Riunione Giunta Esecutiva del 08.05.2019

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà mercoledì 8 maggio 2019 alle ore 14:00 presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 16:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Attività istituzionale;
  2. Attività formativa 2019/2020
  3. Varie ed eventuali.

Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 05-03-2019) 02-05-2019, n. 11562

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8408/2014 proposto da:

Comune Benevento, in persona del Sindaco pro tempore elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Gracchi 39, presso lo studio dell’avvocato Ester Perifano, che lo rappresenta e difende in forza di procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.D., elettivamente domiciliato in Roma via Barnaba Tortolini 30, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara, e rappresentato e difeso dall’avvocato Silvio Ferrara, in forza di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2644/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

udito l’Avvocato ALESSANDRO FERRARA, munito di delega dall’avvocato SILVIO FERRARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata.

Svolgimento del processo
1. V.D. ha convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Napoli il Comune di Benevento, proponendo opposizione avverso la determinazione dell’indennità di espropriazione e di occupazione da questo offerta con riferimento al terreno espropriato con Decreto n. 6367 del 15-18/9/2003.

Si è costituito in giudizio del Comune, che ha chiesto il rigetto delle domande dell’attore, e la Corte di appello ha sospeso il giudizio in attesa della definizione dell’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del decreto di esproprio.

Dopo la conferma in tale sede della legittimità dell’esproprio, la riassunzione del giudizio e l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 25/6/2013 la Corte di appello ha determinato in Euro 161.490,00 l’ammontare della giusta indennità di esproprio e in Euro 11.332,63 quello della giusta indennità di occupazione e ha condannato il Comune di Benevento al deposito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze delle differenze fra le predette indennità e le somme già versate a tali titoli presso la Cassa Depositi e Prestiti, con il favore delle spese di giudizio.

2. Avverso la predetta sentenza, indicata come notificata il 31/1/2014, con atto notificato il 26/3/2014 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Benevento, svolgendo tre motivi.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il Comune ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, poichè la Corte di appello di Napoli aveva completamente omesso di considerare che la particella di (OMISSIS) m.q., censita a catasto terreni al Foglio (OMISSIS), erroneamente ricompresa nel calcolo dell’indennità, era di proprietà del Comune di Benevento a far data dal 9/11/1999, in forza di atto di cessione bonaria rep. (OMISSIS) del 9/11/1999, stipulato fra il V. e il Dirigente dell’Ufficio tecnico dinanzi al Segretario comunale di Benevento.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alle norme in tema di edificabilità legale di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, artt. da 1 a 4.

In primo luogo la doglianza trae origine dal fatto che la Corte territoriale aveva considerato edificabili aree che ricadevano, in parte, in fascia di rispetto stradale secondo il P.U.C. in vigore e, in parte, in zona E3 del P.R.G. – area agricola ordinaria a prevalente uso agricolo, forestale e pascolivo (per la precisione: parte in Zona E1- verde privato vincolato, parte in Zona E2 – aree private di rispetto stradale, e parte in Zona E3 – aree private di verde agricolo, incolto e boschivo).

In secondo luogo, il Comune ricorrente lamenta che la Corte napoletana abbia adottato illegittimamente il criterio di valutazione del “valore medio comprensoriale”, basandosi sull’individuazione di un comprensorio omogeneo, al cui servizio è posta la viabilità attuata sui fondi, e calcolando il prezzo di mercato dei beni espropriati nella media dei valori dei fondi edificabili e di quelli destinati invece a viabilità, non applicando invece l’unico criterio legale legittimo, basato sulla verifica dell’edificabilità o meno del terreno espropriato.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il Comune ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, anche in rapporto alla nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, poichè la Corte di appello di Napoli, ai fini della quantificazione del valore di mercato dell’area, aveva utilizzato, senza motivare adeguatamente, criteri di stima presi in esame da altro consulente in un diverso giudizio e relativi a fondi non omogenei e con caratteristiche differenti da quelli in esame.

3. Con atto notificato il 5/5/2014 ha proposto controricorso V.D., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.

4. In data 20/1/2019 il controricorrente V.D. ha provveduto a notificare alla controparte un elenco di documenti relativi all’ammissibilità del ricorso ex art. 372 c.p.c. (originale in forma esecutiva della sentenza 2644/2013 della Corte di appello di Napoli corredato da plurime notifiche; originale dell’attestato della Corte di Appello di Napoli del 3/2/2014 relativo alla mancata impugnazione della predetta sentenza; estratto dell’Albo degli Avvocati di Benevento; originale del certificato di iscrizione all’Albo dell’avv. Luigi Giuliano; estratto della Delib. Consiglio Comunale Benevento 28 aprile 2016, n. 344).

Con memoria in data 29/1/2019 il controricorrente, tra l’altro, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per tardività, poiché la sentenza impugnata era stata notificata, già una prima volta, in data 2/10/2013, ai due difensori costituti per il Comune di Benevento nel giudizio di secondo grado, avvocati Luigi Giuliano e Maria Di Florio, prima della seconda notifica eseguita il 31/1/2014, a cui aveva fatto riferimento il ricorrente nel suo ricorso.

Con memoria del 20/2/2019 il Comune di Benevento ha eccepito l’inammissibilità delle produzioni ed eccezioni avversarie, a suo dire proposte alla Corte di Cassazione in palese violazione del principio del contraddittorio, perché relative ad atti, fatti e avvenimenti risalenti a epoca anteriore alla notifica del ricorso e soprattutto alla notifica del controricorso da parte del V..

Motivi della decisione
1. La Corte in via del tutto preliminare deve esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso del Comune di Benevento per tardività, sollevata dal controricorrente con la memoria del 29/1/2019.

2. In via ulteriormente preliminare, la Corte deve valutare l’eccezione difensiva del Comune, che ha sostenuto l’inammissibilità delle avversarie produzioni e la tardività delle eccezioni avversarie, perché proposte alla Corte di Cassazione in palese violazione del principio del contraddittorio, e relative ad atti, fatti e avvenimenti risalenti a epoca anteriore alla notifica del ricorso e soprattutto alla notifica del controricorso da parte del V..

2.1. In sostanza, il Comune sostiene che tali produzioni ed eccezioni avrebbero dovuto essere sollevate con il controricorso, momento nel quale, effettivamente, la controparte disponeva già di tutti gli elementi per procedere in tal senso.

2.2. Tale assunto non ha fondamento nel diritto processuale positivo.

L’art. 372 c.p.c., comma 2, è del tutto inequivoco nello stabilire che il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità (ovviamente: del ricorso) può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato mediante elenco, alle altre parti.

Ciò significa, senz’ombra di dubbio, che tali produzioni possono essere effettuate anche successivamente alla notificazione del controricorso, seppur dirette a dimostrare l’inammissibilità del ricorso.

Questa Corte ha affermato che la produzione di atti e documenti di cui all’art. 372 c.p.c., riguardanti l’ammissibilità del ricorso per cassazione, da parte dell’intimato che abbia proposto tardivamente il controricorso, al quale i documenti siano stati allegati, è valida ed efficace, ed i documenti stessi possono conseguentemente essere esaminati e valutati dalla Corte (nella specie, per verificare l’intempestività della notifica del ricorso, e quindi la formazione di un giudicato interno) a condizione che l’intimato stesso partecipi alla discussione orale (Sez. 5, n. 9093 del 21/06/2002, Rv. 555253 – 01). Inoltre al fine di assicurare la garanzia del contraddittorio nella trattazione delle questioni relative all’ammissibilità del ricorso per cassazione questioni che danno luogo ad una fase autonoma del processo, comprendente una sia pur limitata attività istruttoria relativamente alle fonti di prova addotte a fondamento delle stesse l’adempimento della notificazione dell’elenco dei documenti al riguardo prodotti può essere validamente surrogato da un’adeguata indicazione degli stessi nel controricorso, mentre la loro produzione non deve necessariamente avvenire negli stessi termini fissati per il deposito del ricorso o del controricorso, ma, in assenza della precisazione del relativo termine da parte dell’art. 372 c.p.c., comma 2, può ritenersi consentita fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione (salva restando la facoltà del difensore della controparte di richiedere un rinvio per formulare eventuali rilievi). (Sez. L, n. 3736 del 28/03/2000, Rv. 535121 – 01; Sez. L, n. 13865 del 19/10/2000, Rv. 541068 – 01).

Inoltre è stato rilevato che la norma di cui all’art. 372 c.p.c. – nel consentire la produzione di documenti (anche in fotocopia, con i limiti probatori di cui all’art. 2719 c.c.) relativi alla ammissibilità del ricorso, dei quali deve essere data notizia alla controparte mediante notifica del suo elenco – non fissa un termine, sicché tale produzione è consentita fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione. La eventuale contestazione non può consistere nella mera obiezione alla produzione di fotocopia ma deve avere specificamente ad oggetto la conformità all’originale ed in tal caso al giudice della legittimità è demandato di svolgere una, sia pure limitata, attività istruttoria di accertamento delle fonti di prova sulle quali la richiesta stessa si fonda, che può comprendere anche la verifica della autenticità del documento prodotto. Tale verifica, dovendo rispettare il principio del contraddittorio, può comportare il superamento dell’indicato limite temporale ed eventualmente il rinvio della causa. (Sez. L, n. 23321 del 15/12/2004, Rv. 578184 – 01) 2.3. Né può essere condivisa la censura di violazione del contraddittorio, sollevata dal Comune di Benevento, considerato che l’elenco delle produzioni è stato notificato alla controparte, i documenti sono stati depositati, la memoria difensiva è stata portata a conoscenza del ricorrente, che ha conseguentemente potuto esercitare nella dialettica processuale le proprie difese, preferendo tuttavia con la memoria ex art. 378 c.p.c., limitarsi a sostenere la mera inammissibilità delle produzioni ed eccezioni avversarie, senza affrontarle nel merito e senza partecipare alla discussione orale all’udienza del 5/3/2019.

2.4. Non merita condivisione neppure l’argomentazione spesa in memoria dal ricorrente per delineare il pregiudizio processuale che avrebbe subito per effetto della condotta avversaria, circa la preclusione del controricorso incidentale che sarebbe stata determinata dalla ritardata proposizione dell’eccezione da parte del V..

Il controricorrente non ha affatto impugnato la sentenza e si è limitato a formulare una eccezione di carattere preliminare che non avrebbe comunque potuto legittimare un’impugnazione incidentale da parte del ricorrente principale.

2.5. D’altro canto, il punto fondamentale è che la tempestività del ricorso è soggetta a verifica ex officio.

Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, l’inammissibilità dell’impugnazione derivante dall’inosservanza dei termini all’uopo stabiliti a pena di decadenza è correlata alla tutela d’interessi di carattere generale e indisponibile e, come tale, è insanabile, oltre che rilevabile d’ufficio (Sez. U, n. 6983 del 05/04/2005, Rv. 580150 – 01; cfr anche: Sez.un. 226 del 25/5/2001, Rv. 548189-01; Sez.Lav. n. 16847 del 26/6/2018, rv 649326-01; Sez.3, n. 25342 del 26/10/2017, Rv. 646457-02).

Tali principi hanno condotto ad affermare anche che la rilevabilità dell’inammissibilità del ricorso per Cassazione notificato tardivamente rispetto al termine breve, decorrente dalla data di notifica della sentenza impugnata, non può essere esclusa per il fatto che il controricorso, con il quale si eccepisce la inammissibilità dell’impugnazione e si indica la prova documentale della notifica della sentenza, sia a sua volta tardivo, ove tale prova documentale, ancorché depositata unitamente al controricorso, sia posta a disposizione del ricorrente. (Sez. L, n. 886 del 13/02/1989, Rv. 461890 – 01).

2. La parte controricorrente ha prodotto la sentenza di secondo grado notificata congiuntamente ai due difensori costituiti nel giudizio di secondo grado, avv. Luigi Giuliano e Maria De Florio, al domicilio da loro eletto a (OMISSIS), presso l’avv. Massimo Pagano, in data 2/10/2013, anteriormente quindi alla seconda notifica, eseguita il 31/1/2014 della quale dà atto il ricorso del Comune di Benevento.

2.1. E’ del tutto evidente che la validità ed efficacia della prima notifica priverebbe di qualsiasi rilievo la seconda notifica del 31/1/2014, per qualsiasi ragione essa sia stata successivamente effettuata.

2.2. L’avv. Luigi Giuliano, all’atto della prima notifica della sentenza 2644/2013, era iscritto all’Albo ordinario degli Avvocati, essendo poi deceduto solo il 18/4/2014; la sua originaria nomina, quale avvocato iscritto all’Albo speciale quale dipendente comunale, non risulta revocata; dalla sentenza 2644/2013, che riporta in epigrafe i nominativi dei due difensori del Comune, non risulta in ogni caso che l’avv. Giuliano sia stato sostituito da altro difensore.

E’ pur vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, 14/12/2016, n. 25638; Sez. L, n. 3143 del 1999; Sez. L, n. 5729 del 1999; Sez. U, n. 363 del 18/5/2000; Sez. 1, n. 20361 del 23/7/2008; Sez. L, n. 11529 del 14/5/2013), gli avvocati e procuratori dipendenti di enti pubblici ed iscritti nell’albo speciale annesso all’albo professionale sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera, onde la cessazione del rapporto di impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere a ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell’ente, comporta il totale venir meno dello ius postulandi per una causa equiparabile a quelle elencate dall’art. 301 c.p.c., a nulla rilevando l’eventuale formale permanenza dell’iscrizione nell’albo speciale; ne consegue che la notifica della sentenza al procuratore cessato dal rapporto d’impiego deve ritenersi inesistente e perciò inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, non essendo ipotizzabile la protrazione dell’attività lavorativa dell’avvocato – funzionario oltre il limite di durata del rapporto di impiego ed essendo perciò inapplicabile alla fattispecie la disciplina dettata dall’art. 85 c.p.c..

Nella fattispecie, tuttavia, l’avv. Luigi Giuliano aveva conservato ad altro titolo lo jus postulandi, risultando iscritto all’Albo Ordinario degli avvocati, dopo la cessazione del rapporto di impiego.

2.3. In ogni caso, la sentenza è stata notificata anche all’avv. Maria De Florio, iscritta all’Albo Speciale, condifensore costituito nel giudizio di secondo grado, come risulta anche dalla sentenza 2644/2013.

Sia dalla sentenza, sia dall’estratto dell’Albo risulta infatti il nominativo Maria De Florio, e non Maria Teresa De Florio, a cui è stata diretta la seconda notifica, che non vi è peraltro motivo d dubitare che sia la stessa persona.

2.4. Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, qualora il mandato alle liti venga conferito a più difensori, ciascuno di essi, in difetto di un’espressa ed inequivoca volontà della parte circa il carattere congiuntivo, e non disgiuntivo, del mandato medesimo, ha pieni poteri di rappresentanza (Sez. 3, 20/06/2017, n. 15174; Sez. 6, 22/09/2016, n. 18622; Sez. un., 09/06/2014, n. 12924).

Da tale principio discende il corollario consequenziale della sufficienza della notificazione ad uno solo dei procuratori costituiti sul quale ricade l’onere di informazione del condifensore (Sez. 1, 31/08/2017, n. 20626; Sez. 6, 22/09/2016, n. 18622; Sez. 2, 27/01/2012, n. 1234).

Pertanto, anche a voler considerare ormai inefficace il mandato difensivo all’avv. Luigi Giuliano per effetto della sua cancellazione dall’Albo speciale e del passaggio all’Albo ordinario, la sentenza sarebbe stata utilmente notificata all’ormai unico difensore, avv. Maria De Florio.

2.5. L’atto risulta consegnato il 2/10/2013 a R.R., portiere dello stabile di (OMISSIS) del domiciliatario avv. Massimo Pagano, con il conseguente invio della lettera raccomandata ex art. 139 c.p.c..

In caso di notificazione effettuata, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., mediante consegna al portiere dell’atto da notificare con contestuale spedizione della prescritta raccomandata, la spedizione della raccomandata non si configura come elemento costitutivo della fattispecie notificatoria, in quanto tale ipotesi di notificazione si perfeziona con la modalità e nel momento della consegna dell’atto al portiere (Sez. lav., 13/05/2003, n. 7349); la norma infatti prevede l’invio al destinatario della notizia “dell’avvenuta notificazione”.

In passato la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla notificazione mediante consegna al portiere, riteneva anzi che l’invio della lettera raccomandata di cui al comma 4 dello stesso articolo, non attenesse alla perfezione dell’operazione di notificazione, sicchè la sua omissione si risolve in una mera irregolarità di carattere estrinseco non integrante alcuna delle ipotesi di nullità previste dall’art. 160 c.p.c. (Sez. 2, 05/07/2006, n. 15315).

Tale orientamento è stato ormai rimeditato e le Sezioni Unite (Sez. un. 31/7/2017 n. 18992), ritengono che l’adempimento della spedizione della lettera raccomandata sia prescritto a pena di nullità.

Le Sezioni Unite hanno infatti autorevolmente osservato: “invero, l’art. 139 c.p.c., prevede, ai suoi commi 3 e 4, che “in mancanza delle persone indicate nel comma precedente”, e cioè del destinatario di persona, oppure di una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda (purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace), “la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda…”: nel qual caso, “il portiere… deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”; l’omissione dell’avviso è ormai, nella giurisprudenza più recente di questa Corte, chiaramente qualificata – non più, come nei primi decenni dall’entrata in vigore del codice, come mera irregolarità (per tutte: Cass. 04/04/2006, n. 7816; Cass. 04/02/1980, n. 755; in precedenza, nello stesso senso: Cass. 4111/79, 397/74, 353/71, 198/68, 1204/67), bensì – come causa di nullità della notificazione per vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario notificante, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale stesso (Cass. 30/06/2008, n. 17915; Cass. 30/03/2009, n. 7667), secondo un principio esteso pure alla notifica a mezzo posta (Cass., ord. 25/01/2010, n. 1366; Cass. 21/08/2013, n. 19366);tale interpretazione va confermata, attesa la funzione dell’avviso nella struttura complessiva di una notificazione che si perfeziona a persona non legata da quei particolari vincoli evidenziati del medesimo art. 139 c.p.c., comma 2, ma pur sempre da altri di peculiare intensità: l’atto entra a far parte della sfera di effettiva conoscibilità del destinatario, ma in una sua porzione connotata da un grado minore di possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto, rispetto a quelle altre fattispecie indicate dal comma 2 per la natura assai stretta del vincolo che lega al destinatario il consegnatario dell’atto; ed un tale minor grado di conoscibilità, se non la degrada al punto di rendere necessario lo spostamento ulteriore del momento di perfezionamento della notifica come accade appunto per l’ipotesi contemplata dall’art. 140 c.p.c., esige però almeno di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post e appunto non incidente sul precedente tempo in cui l’attività notificatoria si è svolta e compiuta; rimane ovviamente fermo che, nell’ipotesi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, il tempo di perfezionamento della notifica si identifica con la consegna ad una persona comunque inserita nella richiamata sfera di conoscibilità del destinatario, ma stavolta latamente intesa, siccome identificata in base ora ai rapporti giuridici nascenti dal portierato in un fabbricato per civili abitazioni ed agli obblighi in capo al portiere in favore dei singoli occupanti”.

Nella fattispecie la lettera raccomandata ex art. 139 c.p.c., risulta spedita in forza dell’attestazione contenuta nella relata di notifica, sicchè non è consentito di dubitare della validità ed efficacia della notificazione eseguita in data 2/10/2013.

2.6. Il ricorso è stato consegnato per la notificazione in data 26/3/2014 e quindi tardivamente, oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata previsto dall’art. 325 c.p.c., in data 2/10/2013, ut supra esposto; i sessanta giorni previsti dall’art. 325 c.p.c., venivano a scadere domenica 1/12/2013, con proroga ex lege al primo giorno feriale successivo, ossia al 2/12/2013.

4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per tardività e il Comune ricorrente soccombente deve essere condannato alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% spese generali, ed in Euro 200,00 per esposti, oltre oneri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2019


Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 18-10-2018) 29-04-2019, n. 2724

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 9523 del 2008, proposto da

P.E., rappresentato e difeso dall’avvocato Mariagiovanna Belardinelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Pazzaglia in Roma, via Lutezia, n. 8;

contro

Comune di Spoleto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Dante Duranti, Goffredo Gobbi e Maurizio Pedetta, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina, n. 8;

nei confronti

Ministero delle Finanze, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria n. 390/2008, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione del Comune di Spoleto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Massimo Marcucci, per delega dell’avv. Belardinelli, e Giuseppe Giovanelli, per delega degli avv. Duranti e Pedetta;

Svolgimento del processo
1.- E.P. – già messo di notificazione, dipendente di V qualifica funzionale del Comune di Spoleto, addetto, per disposizione del Sindaco impartita con ordine di servizio n. 57 del 16/5/1989, in esecuzione della delibera di Giunta n. 50 del 18/1/1989, a “curare in via esclusiva il servizio di notificazione degli atti dell’Ufficio di Conciliazione di Spoleto”, dovendo le restanti notifiche essere effettuate da altro personale – veniva inquadrato, con delibera di Giunta n. 735 del 24/6/1992, nel posto di “Segretario di conciliazione” – VI qualifica funzionale – istituito dal Consiglio Comunale con Delib. n. 324 del 15 novembre 1991, con il compito di provvedere comunque alle notifiche suddette.

In data 30/10/1994, il P. transitava nei ruoli del Ministero della Giustizia col profilo professionale di “Assistente giudiziario” e l’Amministrazione comunale prendeva atto di tale passaggio con delibera di Giunta n. 1002 del 24/11/1994.

All’indomani stesso del trasferimento dal Comune al Ministero, con nota del 21/11/1994, assumendo di “aver eseguito nel periodo dal 1/8/1991 al 30/10/1994, su incarico del Comune di Spoleto, notificazioni di atti richiesti da varie Amministrazioni finanziarie dello Stato” e “di non avere ancora percepito … i diritti spettanti per dette notificazioni”, ne chiedeva il pagamento al Comune stesso.

A tale richiesta l’Amministrazione comunale, con nota del 20/12/1994, opponeva un primo diniego, richiamando genericamente la legislazione e la giurisprudenza in materia ed invocando il principio della “omnicomprensività” del trattamento stipendiale.

Il diniego trovava conferma nella nota della Prefettura di Perugia del 26/6/1995, prot. n. (…), che veicolava il negativo riscontro fornito dal Ministero delle Finanze, nel senso che “il compenso per la notifica effettuata dall’ente locale per conto di altre amministrazioni dovesse essere introitato dal Comune e non dal dipendente”, emergendo, al riguardo, che “l’attività espletata fosse effettuata ratione ufficii e che pertanto non fosse ravvisabile alcun motivo per consentire che l’introito in questione venisse percepito direttamente dal messo notificatore”.

2.- Avverso gli atti in questione il P. proponeva rituale ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, che lo respingeva con la sentenza epigrafata.

Avverso quest’ultima il Panetta insorge con l’odierno gravame, reiterando le ragioni a sostegno della propria pretesa.

Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza del 18 ottobre 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.

Motivi della decisione
1.- L’appello è infondato e merita di essere respinto.

Vale in proposito evocare il consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale non vi è ragione per discostarsi, secondo cui “ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d’ufficio spettanti ai detti dipendenti, posto che il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5260)

In particolare, importa ribadire che:

a) la notificazione degli atti è mansione tipica e specifica della categoria del messo comunale già secondo la definizione contenuta nell’art. 273 del TULCP n. 383 del 1934 (secondo la quale “il messo comunale e quello provinciale sono autorizzati a notificare gli atti delle rispettive amministrazioni e possono anche notificare atti nell’interesse di altre amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta”) e viene svolta nel normale orario di ufficio e mediante l’utilizzo degli strumenti organizzativi messi a disposizione dell’amministrazione di appartenenza;

b) l’art. 19 del D.P.R. 1 giugno 1979, n. 191, confermato dalle successive norme dettate dalla contrattazione collettiva per il personale dipendente degli enti locali, ha escluso la corresponsione di indennità aggiuntive alla retribuzione annua lorda derivante dal trattamento economico di livello e di progressione economica orizzontale, in quanto inglobante qualsiasi retribuzione per prestazioni a carattere sia continuativo che occasionale, ad eccezione di quelle indennità specificatamente individuate, tra cui non sono ricompresi i diritti invocati: ciò anche in ragione della ratio della disposizione, caratterizzata dall’esigenza di uniformare il trattamento economico dei dipendenti pubblici, in specie degli enti locali, e di globalità della previsione della connessa spesa pubblica, con generale portata preclusiva della corresponsione di compensi ulteriori alle complessive voci retributive individuate in sede contrattuale, di tal che possono essere, in principio, esclusi dal divieto normativo i soli compensi dovuti a seguito dello svolgimento da parte dei dipendenti di compiti ulteriori ed estranei alle ordinarie mansioni, e dunque non direttamente ricollegabili allo status professionale, laddove la notifica degli atti effettuata per conto dell’amministrazione finanziaria rientra nelle mansioni proprie della qualifica di appartenenza del dipendente comunale con la qualifica di messo notificatore;

c) l’art. 4 della L. n. 249 del 1976 è stato abrogato dall’art. 4 della L. 12 luglio 1991, n. 201, che fissa la nuova misura dei compensi esclusivamente per i notificatori speciali mentre nulla prevede per i messi comunali, eliminando qualunque collegamento tra i messi comunali (vigile urbano con funzioni di notificatore) e i notificatori speciali; l’art. 14, secondo comma della L. n. 890 del 1982 è stato, di conseguenza, implicitamente abrogato, atteso il rinvio al primo comma dell’abrogato articolo 4 della L. n. 249 del 1976;

d) è irrilevante, ai fini del riconoscimento del diritto, il fatto che le notificazioni riguardino atti dell’amministrazione finanziaria, essendo il Comune l’unico soggetto legittimato a riscuotere le indennità per l’attività di notifica, come testualmente dispongono sia l’art. 10, della L. n. 265 del 1999 (Notificazione degli atti delle pubbliche amministrazioni), che al comma 2 stabilisce testualmente che “al Comune che vi provvede spetta da parte dell’amministrazione richiedente, per ogni singolo atto notificato, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, una somma determinata con decreti dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’interno e delle finanze”, che il decreto del Ministero del Tesoro del Bilancio e della Programmazione Economica del 14 marzo 2000;

e) in definitiva, il conferimento da parte dell’amministrazione finanziaria al Comune del compito di procedere tramite i messi municipali alla notificazione degli atti finanziari, va inquadrato nella figura giuridica del mandato ex lege in favore del Comune e, come tale, insuscettibile sia di determinare l’inquadramento del messo comunale nell’organizzazione dell’amministrazione richiedente che di attribuirgli diritti nei confronti della medesima amministrazione: il messo municipale, in altri termini, rimane comunque dipendente dell’ente locale ed agisce, anche nell’esecuzione del compito di cui si discute, in adempimento degli obblighi ad esso rivenienti dal rapporto di impiego con il Comune (in tal senso, anche Cass. 30 ottobre 2008, n. 26118 e Cass. SS.UU, 27 gennaio 2010, n. 1627, che in materia di responsabilità per errori e ritardi nella notifica degli atti dell’amministrazione finanziaria, ha escluso la responsabilità del messo notificatore, affermando che unico responsabile è il Comune nei cui confronti si instaura un rapporto di preposizione gestoria che deve essere, per l’appunto, qualificato come mandato ex lege, la cui violazione costituisce, se del caso, fonte di responsabilità esclusiva a carico del Comune, non essendo ravvisabile l’instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra l’amministrazione finanziaria e i messi comunali, che operano alle esclusive dipendenze dell’ente territoriale).

2.- Le esposte considerazioni confermano la totale infondatezza della azionata pretesa e legittimano l’integrale reiezione dell’appello.

Sussistono, ad avviso del Collegio, giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, la complessiva compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolò Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore


Bilancio 2018

Atti relativi al Bilancio dell’Associazione dell’anno 2018 approvato dalla Giunta Esecutiva del 02.02.2019  e su delega dell’Assemblea Generale del 06.05.2017 al Consiglio Generale.

Leggi: Bilancio consuntivo 2018

Leggi: Relazione Bilancio 2018

Leggi: Bilancio preventivo 2019


Responsabilità del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario, c.p.c. art. 60

c.p.c. art. 60. Responsabilità del cancelliere e dell’ufficiale giudiziario

Il cancelliere e l’ufficiale giudiziario sono civilmente responsabili [Cost. 28]:

1) quando, senza giusto motivo, ricusano di compiere gli atti che sono loro legalmente richiesti oppure omettono di compierli nel termine che, su istanza di parte, è fissato dal giudice dal quale dipendono o dal quale sono stati delegati;

2) quando hanno compiuto un atto nullo con dolo o colpa grave.


Il Messo Comunale non è responsabile per notifica fuori termine quando non è indicata scadenza!

PROCEDIMENTO CIVILE – Ufficiale giudiziario Messo Comunale e di conciliazione – Responsabilità ufficiale giudiziario – Responsabilità nei confronti della parte per atto ritardato – Configurabilità – Condizioni – Termine fissato dal giudice o stabilito legittimamente dalla parte – Necessità – Obbligo di desumere il termine ultimo dal contenuto dell’atto – Insussistenza

Non sussiste alcuna responsabilità dell’ufficiale giudiziario per un atto notificato tardivamente, in assenza dell’indicazione del termine entro cui notificare.

Oggetto del provvedimento la notifica di un atto eseguita dall’ufficiale giudiziario preposto, oltre il termine di legge. In ragione di ciò, la parte interessata aveva convenuto in giudizio il Ministero della Giustizia chiedendone la condanna al risarcimento del danno sofferto a causa di tale tardiva notificazione; il Giudice di primo grado aveva accolto la domanda, poi riformata in appello. La società ha impugnato la sentenza per cassazione, sulla scorta di tre motivi.

La Corte di Cassazione, vagliando congiuntamente le censure proposte, ha evidenziato che la responsabilità civile degli ufficiali giudiziari verso la parte istante è regolata dall’art. 60 cod. proc. civ., che indica due ipotesi:

1. “quando, senza giusto motivo, ricusano di compiere gli atti che sono loro legalmente richiesti oppure omettono di compierli nel termine che, su istanza di parte, è fissato dal giudice dal quale dipendono o dal quale sono stati delegati”;
2. quando compiono “un atto nullo con dolo o colpa grave”.

Dunque, tenuto conto che la responsabilità dell’ufficiale giudiziario per atto omesso o ritardato o nullo è disciplinata dalla suddetta disposizione, in dottrina si è discusso se fosse possibile ipotizzare altri casi di responsabilità dell’ufficiale giudiziario nei confronti della parte, diversi da quelli già disciplinati, relativi ad un atto omesso, ritardato o nullo. In merito a ciò, prevedere una responsabilità civile dell’ufficiale giudiziario nei confronti della parte per atto ritardato in assenza dei presupposti indicati dalla norma, determinerebbe un’interpretazione abrogativa della medesima.
Né appare utile il richiamo alla previsione di cui all’art. 108 d.P.R. n. 1229 del 1959 , diretto a regolare la responsabilità disciplinare dell’ufficiale giudiziario, preservando le conseguenze risarcitorie

dell’inosservanza delle regole deontologiche dettate, senza però normare tali conseguenze, ma implicitamente rimandando alle norme speciali o generali, sulla responsabilità civile.
Ai sensi dell’art. 60, num. 1, cod. proc. civ., il ritardo nel compimento dell’atto è causa di responsabilità civile solo laddove l’atto non sia compiuto “nel termine che, su istanza di parte, è fissato dal giudice” dal quale l’ufficiale giudiziario dipende o dal quale è stato delegato. Pertanto, il termine per il compimento dell’atto, deve essere previamente fissato “dal giudice” e “su istanza di parte”. Pertanto, per il compimento dell’atto, occorre che il termine sia previamente fissato “dal giudice” e “su istanza di parte”.
A tal riguardo, secondo un’interpretazione flessibile dei giudici di legittimità di tale disposizione, il ritardo, ovvero la fonte di responsabilità nel compimento dell’atto, sussiste anche se il termine non sia stato fissato dal giudice, ma sia stato legittimamente stabilito dalla parte, come previsto dall’art. 136 d.P.R. n. 1229, cit., (ora trasfuso nell’art. 36, d.P.R. n. 115 del 2002) che permette di chiedere all’ufficiale giudiziario il compimento di un atto con urgenza, anche nello stesso giorno della richiesta. Diversamente, sarebbe in contrasto con il dato letterale l’interpretazione proposta dalla ricorrente del caso in esame, secondo la quale, l’indicazione del termine potrebbe mancare, posto che rientrerebbe nei compiti dello stesso ufficiale giudiziario desumerlo dal contenuto dell’atto.
Ciò non trova infatti alcun riscontro nella disciplina di riferimento, neppure nell’art. 108 n. 1229 del 1959.

Nella fattispecie in oggetto, l’assunto per cui detto termine era desumibile dall’intestazione dell’atto, è smentito dalla successiva argomentazione secondo cui:
a) dal testo dell’atto si ricavava la data di notifica della comunicazione del locatore dell’intenzione di alienare l’immobile locato;
b) da tale indicazione l’ufficiale giudiziario, sulla base delle conoscenze da lui esigibili (tra le quali, quella del termine entro il quale comunicare l’esercizio del diritto di prelazione ex art. 38 legge n. 382 del 1978), sarebbe potuto risalire alla data ultima entro cui notificare utilmente l’atto.
In effetti, ciò comporterebbe che:
a) l’ufficiale giudiziario abbia l’onere di leggere attentamente il contenuto dell’atto da notificare;
b) elaborarne giuridicamente i dati rilevanti in funzione dell’atto da compiere. Oneri che, nel sistema giudiziario, non hanno alcun fondamento.

La responsabilità dell’ufficiale giudiziario per il ritardo nel compimento dei propri atti, ai sensi dell’art. 60, n. 1, c.p.c., sussiste anche quando il termine non sia stato fissato dal giudice, ma sia stato legittimamente stabilito dalla parte, purché, in quest’ultimo caso, la relativa scadenza sia stata chiaramente evidenziata dalla parte al momento della richiesta, non potendosi configurare, in capo all’ufficiale giudiziario, un onere di esaminare il contenuto dell’atto al fine di trarne le informazioni giuridicamente rilevanti circa lo spirare del relativo termine.

Leggi: Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 13-09-2018) 04-10-2018, n. 24203


È nulla la notifica della cartella di pagamento consegnata al padre dichiaratosi convivente

La Corte Suprema di Cassazione ha precisato che è nulla la notifica della cartella di pagamento consegnata al padre dichiaratosi convivente se il contribuente risiede in realtà in un altro immobile. A tal fine, il certificato di residenza rilasciato dal Comune rende irrilevante la dichiarazione di convivenza attestata dall’agente postale.

continua a leggere Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 07-02-2019) 15-04-2019, n. 10543


BUONA PASQUA !!!

Auguri Pasqua 2019

Quest’anno un uovo di carta al posto di quello di cioccolata, che non contiene una sorpresa tangibile, come le solite sorprese spesso inutili o superflue, ma l’augurio di trovare una “sorpresa” in ogni giorno della tua vita, una sorpresa d’amore, di pace, di speranza, di gioia e serenità, da donare e da realizzare apprezzando ogni attimo, ogni emozione e ogni sentimento che il destino ti ha riservato… (anonimo)


Giornata di Studio in house Pescara – 18.04.2019

Locandina Giornata di Studio aggiornamento Pescara 2019LA NOTIFICA DEL DOCUMENTO INFORMATICO

Giovedì 18 aprile 2019

Comune di Pescara

Palazzo EX INPS

Piazza Duca D’Aosta 15  Sala Masciarelli

4° Piano

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il Patrocinio del Comune di Pescara

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà  seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Fontana LazzaroFontana Lazzaro

Resp. Servizio Notifiche dell’Unione Colline Matildiche

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività formativa anno 2019

Scarica: Depliant Giornata di Studio aggiornamento Pescara 2019

Vedi: Fotografie della Giornata di Studio

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Pescara 2019

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2019

  1. Comunicazione Associazione senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  4. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  5. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  6. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  7. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione.
  8. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  9. Dichiarazione Affidamento fornitura di beni/servizi
  10. Documento di identità del Legale Rappresentante protempore

 


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 13/02/2019) 10/04/2019, n. 10037

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11415-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA D’ARBOREA 30, presso lo studio dell’avvocato CARTONI BERNARDO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 19/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LA TORRE MARIA ENZA.

Svolgimento del processo
Che:

L’agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Lombardia, indicata in epigrafe, che in controversia su impugnazione di cartella di pagamento da parte di T.R. (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis) ai fini IRAP-IRPEF-IVA anno 2000 e 2001, ha accolto l’appello della contribuente, in riforma della sentenza di primo grado.

In particolare, la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella avvenuta a mani del portiere dello stabile, cui non era seguito l’invio dalla raccomandata informativa.

La contribuente si costituisce con controricorso.

Motivi della decisione
Che:

Con l’unico motivo di ricorso si deduce falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4, e della L. n. 890 del 1982, art. 7, commi 5 e 6, nonchè violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, non dovendo seguire alla notifica della cartella di pagamento – effettuata con invio diretto D.P.R. appena citato, ex art. 26, comma 1 – l’invio della c.d. della raccomandata informativa (C.A.N.).

Il motivo è fondato.

Vanno applicati, alla fattispecie in oggetto, i principi di questa Corte, secondo cui, in tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 (Cass. Sez. 6 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016). Ciò in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato e non costituendo nella disciplina della notificazione “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto” (Cass. 28872/2018 cit.; Corte Cost. 175/2018, cit.).

Tale statuizione non è stata superata, come eccepito dal controricorrente nella memoria, dalla modifica legislativa di cui alla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, che ha reintrodotto l’obbligo per l’operatore postale della successiva raccomandata in caso di consegna a persona diversa dal destinatario con disposizione che non ha efficacia retroattiva, in base al principio di cui all’art. 11 preleggi, (non trattandosi di norma costituente attuazione di principi costituzionali).

Ha pertanto errato la C.T.R. a ritenere invalida la notifica avvenuta in modo diretto, ai sensi del citato D.P.R., art. 26, comma 1, non seguita dalla successiva raccomandata informativa, con applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 4. Il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, nulla prevede in merito all’invio della raccomandata informativa, qualora l’Ufficio decida di avvalersi direttamente del servizio postale, a fini notificatori. Infatti, la citata disposizione, stabilisce espressamente che ” (…) la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2, o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

A tali principi non si è uniformato il giudice di appello, ritenendo invalida la notifica della cartelle effettuata presso il portiere senza l’invio di una seconda raccomandata, sul presupposto (erroneo) dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 139 c.p.c..

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2019


Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 29-05-2018) 09-04-2019, n. 9793

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6880/2017 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR 305, presso lo studio dell’avvocato MICHELE GIUSEPPE VIETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE LEOPARDI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), in persona del Dott. C.M. in qualità di procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentata e difesa dall’avvocato RDBERTO BUONFRATE giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 573/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Svolgimento del processo
1. D.G. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 573/16 del 15 dicembre 2016 della Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che nell’accogliere il gravame esperito dalla società Generali Italia S.p.a. (d’ora in poi, “Generali”) contro la sentenza n. 1172/13 del 30 maggio 2013 del Tribunale di Taranto – ha dichiarato inammissibile l’opposizione presentata dall’odierno ricorrente, a norma dell’art. 650 c.p.c., avverso decreto ingiuntivo n. 1146/07, emesso in favore di Generali dal Tribunale di Taranto.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente che la società Generali – munitasi del suddetto provvedimento monitorio, per ingiungere ad esso D. il pagamento della somma capitale di Euro 1.670.000,00, a titolo di rivalsa di quanto dalla stessa società pagato a terzi, in forza di apposita “polizza fideiussoria cauzione tra privati” gli notificava, presso la sede della società di cui era amministratore delegato, in data 15 dicembre 2008, atto di precetto, con cui gli intimava il pagamento del complessivo importo di Euro 1.727.050,64.

Deduce, altresì, il ricorrente di aver appreso solo in tale occasione dell’emissione, a suo carico, del suddetto decreto, notificatogli ex art. 143 c.p.c., circa due anni prima, all’esito di un iniziale infruttuoso tentativo compiuto (il 14 novembre 2007) presso la sua residenza in (OMISSIS).

Proposta, avverso il provvedimento monitorio, opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., deducendo la nullità della notifica per difetto dei presupposti legittimanti il ricorso alle modalità di cui all’art. 143 c.p.c. (e nel merito, per quanto qui di interesse, l’infondatezza della pretesa creditoria di Generali, basata su una fideiussione della quale l’odierno ricorrente disconosceva la sottoscrizione, non senza, peraltro, previamente eccepire la prescrizione del diritto azionato), al giudizio così incardinatosi veniva riunito anche quello proposto dal D. a norma dell’art. 615 c.p.c..

Dichiarata nulla, dall’adito giudicante, la notifica ex art. 143 c.p.c., e dunque ammissibile l’opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo, ritenuta nel merito fondata, contro tale decisione proponeva appello la Generali, vedendosi accogliere il gravame.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte tarantina ha proposto ricorso il D., sulla base di due motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 139, 143 e 360 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti.

Si censura la sentenza impugnata laddove essa – sul presupposto che, nel caso di specie, all’esito della prima infruttuosa notificazione presso l’abitazione del D. (essendo stato “in loco” rinvenuto “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi”) non fosse possibile ricorrere alle forme di cui all’art. 140 c.p.c., applicabili solo in caso di allontanamento precario, da quel luogo, del destinatario dell’atto – ha ritenuto che la notificazione andasse eseguita a mani del destinatario, ex art. 138 c.p.c., non potendo trovare applicazione l’ipotesi di cui al comma 2 del successivo art. 139. Difatti, secondo il giudice di appello, come sottolineato dall’odierno ricorrente, non poteva “essere preteso che il richiedente la notifica e l’ufficiale giudiziario si appostassero nei pressi della sede dell’azienda, rappresentata da una s.r.l. di cui il D. era amministratore delegato”, giacchè il ricorso a siffatta procedura notificatoria – “eseguita in assenza” dell’interessato “mediante consegna all’addetto all’ufficio o all’azienda” – si sarebbe potuta ritenere “valida ed efficace solo in relazione ad una notifica effettuata al detto D. in tale qualità”. Di qui, dunque, la necessità sempre secondo la Corte tarantina – dell’applicazione dell’art. 143 c.p.c..

Orbene, l’odierno ricorrente censura tale affermazione, che reputerebbe possibile il ricorso alla consegna dell’atto da notificare a persona “addetta all’ufficio o all’azienda” soltanto se l’atto stesso attenga ad attività lavorativa o professionale svolta “in loco” dal destinatario dell’atto, innanzitutto perchè in contrasto con il tenore letterale dell’art. 139 c.p.c., comma 2, che non introduce affatto una simile limitazione.

Lo confermerebbe, del resto, la giurisprudenza di legittimità, concorde – secondo il ricorrente – nel ritenere che per “ufficio” del destinatario di un atto debba intendersi “il luogo in cui egli svolge abitualmente la sua attività lavorativa, senza alcuna possibile distinzione tra l’ufficio da lui creato, organizzato e diretto per la trattazione degli affari propri, e quello in cui presti servizio o eserciti la sua attività lavorativa alle dipendenze di altri,” rilevando unicamente, in entrambi casi, che la relazione del soggetto con quel luogo sia caratterizzata “da una sufficiente stabilità”, senza, però, che essa debba comportare “necessariamente una sua abituale continua presenza fisica”, essendo, invece, “sufficiente una continuità di rapporti di tale portata che valga a giustificare una presunzione di reperibilità e, quindi, di conoscibilità dell’atto recapitato in tale luogo” (è citata Cass. Sez. 1, sent. 8 giugno 1995, n. 6487).

D’altra parte, ancora più di recente, è stato affermato – si legge sempre nel ricorso – che l’art. 139 c.p.c., “non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguire la notifica presso la casa di abitazione o presso la sede dell’impresa o presso l’ufficio, purchè si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza” (è citata Cass. Sez. 2, sent. 16 febbraio 2016, n. 2968), stabilendosi anche che è “nulla la notificazione effettuata con le modalità previste dell’art. 143 c.p.c., quando sia noto il luogo di lavoro del destinatario” (Cass. Sez. 3, sent. 1 maggio 2011, n. 10217).

Su tali basi, dunque, si ritiene che la sentenza vada cassata, perchè il giudice del rinvio accerti – diversamente dal giudice di appello, che ha invece omesso di esaminare tale fatto decisivo – se tra il luogo in cui ha sede la società di cui il D. era l’amministratore delegato e il D. medesimo sussisteva quella “stabile relazione” idonea a consentire la consegna dell’atto a persona addetta all’ufficio o all’azienda, condizione necessaria e sufficiente per il legittimo ricorso a tale modalità di notificazione.

3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c..

Si reputa, in ogni caso, viziata la sentenza impugnata per avere ritenuto valida ed efficace la notifica ex art. 143 c.p.c., senza che l’ufficiale giudiziario abbia dato atto delle ricerche svolte per il reperimento della residenza effettiva del destinatario, adempimento richiesto a pena di nullità della notificazione (è citata Cass. Sez. Lav., sent. 9 febbraio 2009, n. 3037).

Si censura, infatti, l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la prima relata di notificazione – che si limitava ad attestare, osserva il ricorrente, che all’indirizzo di via (OMISSIS), indicato come luogo di abitazione del D., vi era “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi” – potesse “ritenersi parte integrante della seconda” (ancor più laconica, limitandosi ad attestare l’effettuazione della notificazione “mediante deposito di una copia nella casa comunale di (OMISSIS)”), sicchè dalla loro lettura congiunta potrebbe ricavarsi l’effettuazione delle ricerche volte ad individuare la residenza effettiva del D..

Assume il ricorrente come nessuna delle due relate dia conto delle indagini effettuate, non essendo, d’altra parte, neppure ipotizzabile che la prova dell’irreperibilità del destinatario possa essere ricavata “aliunde” e non dalla relata.

4. Ha resisto con controricorso Generali, per chiedere che l’avversaria impugnazione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Il primo di tali esiti viene motivato sul rilievo che, in sede di giudizio di merito, le difese del D. sono state tutte articolate “sulla sola dicotomia artt. 143 – 140 c.p.c.”, sicchè la questione relativa all’applicazione dell’art. 139 c.p.c., comma 2, presenterebbe, inammissibilmente, carattere di novità, oltre ad essere preclusa da giudicato.

Inoltre, si assume che la questione relativa alla necessità della notificazione presso il “luogo di lavoro” del destinatario dell’atto viene sollevata “su di un piano astratto e teorico”, giacchè il tema non è secondo la controricorrente – se l’atto “potesse” essere ivi notificato, bensì se lo “dovesse”. In altri termini, il D. era onerato dal provare – ciò che non ha fatto – che la sede della società, di cui egli era stato in passato rappresentante legale, fosse il suo “abituale” luogo di lavoro e se “in loco” vi fosse effettivamente “persona addetta all’ufficio”.

Infine, le censure non coglierebbero l’effettiva “ratio decidendi”, ovvero che la Corte tarantina ha comunque espresso il convincimento circa la “aleatorietà” di quel luogo a fungere da centro di interessi per l’odierno ricorrente, sulla base di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede, ciò che degrada al rango di una pleonastica digressione – al più emendabile ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., – l’affermazione relativa al fatto che la notifica a persona addetta all’ufficio o all’azienda concerne i casi in cui la notificazione attenga ad atti relativi ad attività ivi svolta.

5. Hanno presentato memoria entrambe le parti per ribadire le proprie argomentazioni e replicare a quelle avversarie.

Motivi della decisione
6. Il ricorso va accolto, limitatamente al secondo motivo.

6.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

6.1.1. Nell’esaminare lo stesso occorre muovere dal rilievo che la sentenza impugnata attesta essere stata inizialmente tentata la notifica, ex art. 139 c.p.c., comma 1, presso quello che dallo stesso contratto di fideiussione, intercorso tra le parti e fonte del credito oggetto del provvedimento monitorio da notificarsi – risultava essere il luogo ove risiedeva il D., via (OMISSIS), sicchè in assenza di reperimento del destinatario, o di persona di famiglia o addetta alla casa, la stessa, all’esito delle ricerche anagrafiche (che confermavano in via (OMISSIS) il luogo di residenza del destinatario dell’atto), veniva effettuata ex art. 143 c.p.c..

La pretesa, dunque, che la seconda notifica fosse compiuta – ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2, – presso la sede della società, della quale il D. era stato, in passato amministratore, quale luogo in cui esso aveva (avuto) il proprio “ufficio” non ha fondamento, visto che il citato art. 139, “nei prescrivere che la notifica si esegue nel luogo di residenza del destinatario e nel precisare che questi va ricercato nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, non dispone un ordine tassativo da seguire in tali ricerche, potendosi scegliere di eseguirla presso la casa di abitazione o la sede dell’impresa o l’ufficio, purchè si tratti, comunque, di luogo posto nel comune in cui il destinatario ha la sua residenza” (Cass. Sez. 6-2, ord. 16 ottobre 2017, n. 25489, Rv. 646821-01; Cass. Sez. 3, ord. 10 febbraio 2010, n. 2266, Rv. 611300-01)”.

Tanto basta, dunque a ritenere non fondato il motivo, a prescindere dell’errata affermazione della Corte territoriale, secondo cui la notifica al D. presso la sede della società di cui era stato amministratore sarebbe stata ammissibile solo se effettuata allo stesso in tale qualità.

6.2. Il secondo motivo è, invece, fondato.

6.2.1. Va, infatti, dato seguito al principio già enunciato da questa Corte secondo cui, in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., “l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 aprile 2017, n. 8638, Rv. 643689-01).

Alla stregua di tale principio, infatti, non idonee appaiono le indicazioni apposte dall’ufficiale giudiziario, nel presente caso, all’esito del primo (inutile) tentativo di notificazione presso l’abitazione del D., visto che dalla stessa risultava unicamente il rinvenimento, “in loco”, di “un intero stabile non abitato con affisso cartello vendesi”, ma non l’espletamento di ulteriori indagini o ricerche, che – come di recente chiarito da questa Corte – potrebbero sostanzarsi nell’aver “raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell’atto, dai residenti interpellati” (Cass. Sez. 1, ord. 31 luglio 2017, n. 19012, Rv. 645083-02; Cass. Sez. 3, ord. 5 luglio 2018, n. 17596, non massimata), o, almeno, nell’attestare impossibilità di procedere in tal senso, secondo quanto ipotizza la controricorrente, sulla scorta di quel passaggio della sentenza impugnata – ma non delle risultanze della relata – che dà atto dell’assenza, in prossimità dello stabile di via (OMISSIS), di esercizi commerciali, ovvero della presenza, ma solo a distanza, di altri “villini isolati”.

7. La sentenza va, dunque, cassata, rinviando alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione nel merito.

Spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo, cassando, per l’effetto, la sentenza impugnata in relazione e rinviando alla Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, per la decisione nel merito e per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2019


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 19/02/2019) 05/04/2019, n. 9646

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16094/2018 proposto da:

T.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Ciafardini Antonino, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di L’aquila;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2097/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, pubblicata il 15/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/02/2019 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza n. 2097 del 15.11.2017, la Corte di Appello di L’Aquila ha rigettato l’impugnazione proposta da T.A., cittadino ivoriano, avverso l’ordinanza del Tribunale che aveva negato al medesimo sia il diritto alla protezione sussidiaria che quello alla protezione per motivi umanitari.

Il richiedente ha dichiarato di essere originario della Costa d’avorio e di esservi fuggito nel 2010 a seguito delle elezioni politiche; deduce che i genitori e la sorella erano rimasti vittime della violenza che aveva turbato il paese e non vuole rientrarvi per il timore del clima di conflitto armato che lo caratterizza.

A sostegno della decisione di rigetto della domanda, la Corte d’Appello ha rilevato che deve escludersi che la situazione personale del richiedente risulti caratterizzata da una diretta esposizione a rischio, infatti, dalle fonti internazionali, quali i report per l’anno 2017 (Human Rights Watch, Amnesty international) emerge che attualmente in (OMISSIS) non c’è violenza indiscriminata ed anzi vige un clima di maggiore sicurezza e tranquillità: nel 2015, vi è stata una pressochè pacifica rielezione del presidente uscente che ha contribuito alla stabilità politica e alla crescita economica e nel 2016 vi è stata l’adozione di una nuova carta costituzionale, nonchè una diminuzione degli arresti arbitrari, dei maltrattamenti dei detenuti e delle decisioni illegali da parte delle forze di sicurezza, mentre, nel marzo del 2017 si è verificato un attacco isolato, da parte di un gruppo armato a tre hotel del litorale di (OMISSIS).

Avverso questa pronuncia, ricorre per cassazione il cittadino straniero sulla base di tre motivi, mentre, il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di nullità della sentenza di appello, ex art. 134 c.p.c., n. 2 (rectius art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) per motivazione contraddittoria e/o apparente, perchè la Corte d’Appello avrebbe reiterato le motivazioni del Tribunale sull’insussistenza di motivi per ritenere che il ricorrente corra rischi effettivi di subire una minaccia grave alla vita o alla persona, una volta rimpatriato, senza tenere conto che la (OMISSIS) non è uno Stato completamente pacificato, dopo la guerra civile del 2010-2011, con criticità rispetto ai diritti umani e dove fino a poco tempo fa era presente una forza di peace-keeping sotto l’insegna dell’Onu.

Con il secondo motivo di censura, il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere la Corte d’Appello applicato, nella specie, il principio dell’onere probatorio attenuato e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, abdicando all’utilizzo dei propri poteri istruttori ed indagatori, che impongono di ravvisare un dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento del diritto invocato, in particolare, i giudici d’appello non avevano verificato se la situazione personale rappresentata dal richiedente potesse, nel quadro generale così grave, essere plausibile e foriera di effettivi pericoli per la sicurezza e la vita dello stesso, trattandosi di soggetto di ceto poverissimo che difficilmente poteva sperare nella protezione degli organi statali.

Con un terzo motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, comma 5, per non avere la Corte d’Appello riconosciuto la sussistenza dei motivi umanitari per la concessione della relativa tutela, con particolare riferimento alle situazioni di vulnerabilità da proteggere alla luce degli obblighi costituzionale e internazionali gravanti sullo stato italiano. Inoltre, il ricorrente deduce il vizio della motivazione sullo stesso profilo, non essendo percepibile il fondamento della decisione.

Il primo motivo è, in via preliminare, inammissibile, perchè afferisce al merito della controversia, contestando la lettura delle risultanze processuali che è di esclusiva competenza del giudice del merito, se adeguatamente motivata, come nel caso di specie (Cass. nn. 11892/16, 17037/15, 25608/13).

Nel merito, il motivo sarebbe, comunque, infondato, in quanto, la motivazione si colloca ben al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. sez. un. 8053/14), perchè decide la controversia, dando conto sia della situazione generale e socio-politica della Costa d’Avorio (nel senso di escludere un rischio effettivo di subire una minaccia grave alla vita o alla persona) che della situazione personale del richiedente asilo, che non presentava un quadro di vulnerabilità personale tale da consentire il riconoscimento della protezione umanitaria, nè risultava documentata l’integrazione sociale nel paese ospitante.

In ogni caso, la censura non rientra nel novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. ord. n. 27503/18, in particolare, v. Cass. ord. n. 27336/18, sul fatto che la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottragga al principio dispositivo, sia pure attraverso la cooperazione istruttoria del giudice – Cass. ord. n. 26921/17 – attraverso un onere probatorio attenuato, v. in proposito, anche Cass. ordd. nn. 15782/14, 4138/11).

Nel caso di specie, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici d’appello hanno utilizzato i propri poteri istruttori, per verificare officiosamente la situazione del paese di provenienza dello straniero (vedi pp. 10 e 11 della sentenza impugnata), con esito moderatamente positivo, mentre, in riferimento alla situazione personale del richiedente, la Corte d’Appello ha escluso che sussistessero elementi, dalla narrazione dello straniero, che potessero configurare i fatti costitutivi del diritto azionato per ottenere la protezione sussidiaria.

Il terzo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto, in riferimento alla dedotta patologia sanitaria non è stata riportata in ricorso nè allegata, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, alcuna documentazione relativa alla problematica cardio-respiratoria che si assume non considerata dalla Corte d’Appello, la quale, peraltro, ha appurato – CON GIUDIZIO ALTRETTANTO INSINDACABILE, PERCHE’ AFFERENTE AD UNA VALUTAZIONE DI MERITO – che non sussistevano le ragioni per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Non si fa luogo al raddoppio del contributo unificato, in quanto, il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente a pagare all’Amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2019


Assemblea Generale Ordinaria – 04.05.2019

Locandina Assemblea Generale Ordinaria 2019

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto viene convocata la riunione dell’Assemblea Generale Ordinaria sabato 4 maggio 2019 alle ore 07:30 in prima convocazione ed alle ore 10:00 in seconda convocazione, presso il Palazzo Accursio (Palazzo Comunale) Sala del Dentone (Piano terra) Piazza Maggiore 6 Bologna.

Ordine del Giorno:

  1. Revoca Delega al Consiglio Generale per l’approvazione del bilancio consuntivo come da attribuzione delega A.G. del 06.05.2017;
  2. Delega al Consiglio Generale per l’approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi anni 2018, 2019, 2020 ai sensi dell’art. 16 dello Statuto;
  3. Approvazione del bilancio consuntivo anno 2018;
  4. Approvazione del bilancio preventivo anno 2019
  5. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;
  6. Elezione dei Componenti il Consiglio Generale;
  7. Attività associative;
  8. Iniziative proselitismo Associazione;
  9. Varie ed eventuali.

Documentazione: Assemblea Generale Ordinaria del 04 05 2019 – Documentazione

Leggi: AGO 04 05 2019 Verbale

Vedi: Video dell’Assemblea Generale Ordinaria


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 12-07-2016) 13-09-2016, n. 17946

La Corte di Cassazione ha stabilito che, al fine di instaurare correttamente il contraddittorio tra le parti nel procedimento di fallimento, l’atto introduttivo può essere notificato validamente, qualora si siano rivelati infruttuosi i tentativi di notificazione attraverso PEC e presso la sede legale, attraverso il mero deposito del ricorso e del decreto presso la casa comunale.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 187/2015 proposto da:

LIONETTI S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vittorio Tarsia, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Francesco Grieco, in Roma, via Blumenstihl 71;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA LIONETTI S.R.L., IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore pro tempore;

ADRIATICA LEGNAMI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1854/2014 della Corte d’appello di Bari, depositata il giorno 20 novembre 2014;

Sentita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 12 luglio 2016 dal Consigliere relatore dott. Antonio Didone;

udito l’avv. Tarsia per la ricorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari ha rigettato il reclamo proposto dalla Lionetti s.r.l., in liquidazione, contro la sentenza del Tribunale che ne aveva dichiarato il fallimento su istanza della Adriatica Legnami s.r.l..

Per quanto ancora interessa, la Corte di merito ha disatteso la censura con la quale la reclamante aveva dedotto la nullità della notificazione, eseguita mediante deposito presso la casa comunale senza le formalità di cui agli artt. 140 e 143 c.p.c., dopo il vano tentativo di notifica a mezzo pec, essendo risultata impossibile la notificazione presso la sede sociale, peraltro risultando la società cancellata dal registro delle imprese.

La Corte territoriale, invero, alla luce del nuovo testo della L. Fall., art. 15 – applicabile ratione temporis – ha evidenziato che tale normativa individua una disciplina tutta peculiare e differente dall’art. 143 c.p.c., che, infatti, non è richiamato: da un lato, inverte la regola della notifica “di persona”, rendendola obbligatoria anche quando debba essere effettuata fuori dal comune in cui ha sede l’ufficio e, dall’altro, in quanto obbligatoria, rende superflua la specifica istanza della parte che di regola è necessaria per ottenere la notifica a mani fuori dal comune.

Inoltre, la notifica si perfeziona, in caso di chiusura della sede, con il deposito presso la casa comunale ed immediatamente, senza che sia previsto dunque, a differenza degli artt. 140 e 143 c.p.c., l’invio di una comunicazione a mezzo posta, l’indicazione nominativa del legale rappresentante persona fisica, il decorso di un termine. E’ esclusa, ancora, la necessità di individuare – nell’atto e nella relata – la persona fisica che rappresenta la società debitrice, dato che le formalità previste dalla L. Fall., novellato art. 15, comma 3, mettono “fuori gioco” l’art. 145 c.p.c., e la correlata necessarietà di ricercare il soggetto presso la sua residenza: l’unica alternativa alla notifica presso la sede è il deposito della copia presso la casa comunale.

Contro la sentenza della Corte di appello la società fallita ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Non hanno svolto difese gli intimati.

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 10 e 15. Deduce che, essendo stata la società cancellata dal registro delle imprese già nel 2013, era evidente che la sede della società fosse chiusa; ciò renderebbe inapplicabile la L. Fall., art. 15 novellato, che disciplina “la notifica per le imprese ancora in vita, offrendo al creditore procedente la via più semplice per effettuare l’adempimento in parola, senza doversi curare di rintracciare la sede reale (ove esistente) di una impresa chiusa o cessata, che non ha adempiuto all’onere di pubblicità”.

Assume, inoltre, che, non avendo previsto la L. Fall., art. 10, che consente la dichiarazione di fallimento entro l’anno dalla cancellazione, le forme per la notificazione del ricorso, resta applicabile la disciplina ordinaria, così come previsto prima del D.L. n. 179 del 2012, e come disposto dal giudice delegato con il decreto di fissazione dell’udienza.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 145 c.p.c., in relazione alla L. Fall., art. 15, lamentando la violazione dei termini a difesa discendente dall’affermazione secondo cui nel caso concreto la notifica si fosse perfezionata con il deposito nella casa comunale, anzichè con la notifica nelle forme previste dalle norme del codice di rito ora menzionate.

2. – Il primo motivo di ricorso è infondato.

Prima della modifica della L. Fall., art. 15 – introdotta dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 17, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 -, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la previsione della L. Fall., art. 10, per il quale una società cancellata dal registro delle imprese può essere dichiarata fallita entro l’anno dalla cancellazione, implica che il procedimento prefallimentare e le eventuali successive fasi impugnatorie continuano a svolgersi, per “fictio iuris”, nei confronti della società estinta, non perdendo quest’ultima, in ambito concorsuale, la propria capacità processuale. Ne consegue che pure il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato presso la sede della società cancellata, ai sensi dell’art. 145 c.p.c., comma 1, (Cass. 6 novembre 2013, n. 24968).

2.1. – La nuova disciplina, applicabile a tutti procedimenti introdotti successivamente al 31 dicembre 2013, stata esaminata dalla Corte costituzionale con la recente pronuncia n. 146 del 2016 e, in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost., il Giudice delle leggi ha puntualizzato che “A differenza della disposizione di cui all’evocato art. 145 c.p.c. – esclusivamente finalizzata all’esigenza di assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati ad alle connesse procedure – il riformulato art. 15 della così detta legge fallimentare (come emerge dalla relazione di accompagnamento del D.L. n. 179 del 2012, art. 17, il cui testo, in parte qua, non è stato oggetto di modifiche in sede di conversione) si propone di coniugare quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore (collettivo) con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale. E, a tal fine appunto, prevede che il tribunale è esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all’imprenditore medesimo”.

La specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l’introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell’ambito della procedura fallimentare, segnano, dunque, l’innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 c.p.c..

Ciò, dunque, ne esclude la comparabilità in riferimento al precetto dell’art. 3 Cost..

2.2. – Quanto all’art. 24 Cost., la Corte costituzionale ha evidenziato che il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità, da parte del debitore, dell’attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, è adeguatamente garantito dalla norma denunciata, proprio in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca della società.

Questa, infatti, ai fini della sua partecipazione al giudizio, viene notiziata prima presso il suo indirizzo di PEC, del quale è obbligata a dotarsi, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ex art. 16, – Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, ed è tenuta a mantenere attivo durante la vita dell’impresa; dunque, in forza di un sistema che presuppone il corretto operare della disciplina complessiva che regola le comunicazioni telematiche da parte dell’ufficio giudiziario e che, come tale, consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell’atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari (ufficiale giudiziario e agente postale).

Solo a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo, segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da comunicare obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 2196 c.c., al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, sì da rendere conoscibili – e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore – i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano.

Per cui, in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale, ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge.

Ciò anche alla luce del principio, più volte enunciato da questa Corte (seppure con riferimento al testo previgente della L. Fall., art. 15), per cui esigenze di compatibilità tra il diritto di difesa e gli obiettivi di speditezza e operatività, ai quali deve essere improntato il procedimento concorsuale, giustificano che il tribunale resti esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità, ancorchè normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di irreperibilità dell’imprenditore debba imputarsi alla sua stessa negligenza e a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3062; Cass. 7 gennaio 2008, n. 32).

2.3.- Il sistema, poi, non è privo di ulteriori correttivi a tutela della effettività del diritto di difesa dell’imprenditore.

La riconosciuta natura “devolutiva” del reclamo – come regolato dalla L. Fall., art. 18, nel testo sostituito dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 2, comma 7, consente, infatti, al fallito, benchè non costituito innanzi al tribunale, di indicare, comunque, per la prima volta, in sede di reclamo avverso la sentenza di primo grado (che gli viene notificata nelle forme ordinarie), i fatti a sua difesa ed i mezzi di prova di cui intenda avvalersi al fine di sindacare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi che hanno condotto alla dichiarazione di fallimento (Cass. 24 marzo 2014, n. 6835; Cass. 19 marzo 2014, n. 6306, Cass. 6 giugno 2012, n. 9174; Cass. 5 novembre 2010, n. 22546).

2.4. – In definitiva, alla luce della ricordata sentenza della Corte costituzionale, deve affermarsi che anche nel caso di società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 3, – nel testo novellato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 -, all’indirizzo di posta elettronica certificata della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero quando, per qualsiasi ragione, non risulti possibile la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante sempre dal registro delle imprese e, in caso di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo dove la medesima aveva sede.

3. – Il secondo motivo è inammissibile, per carenza di interesse.

Al riguardo va data sicura continuità al principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 14.12.1998, n. 12541), recentemente ribadito dalla Sezione anche in tema di impugnazione della sentenza dichiarativa del fallimento proposto ai sensi della L. Fall., art. 18 – nella formulazione derivante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 169 del 2007 -, a tenore del quale è inammissibile l’impugnazione, laddove la stessa sia fondata esclusivamente su vizi di rito, senza la contestuale e rituale deduzione delle eventuali questioni di merito, ed i vizi denunciati non rientrino tra quelli che comportino una rimessione al primo giudice, tassativamente indicati dagli artt. 353 e 354 c.p.c., oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (Cass. 5 febbraio 2016, n. 2302).

E’ invero orientamento consolidato di questa Corte – e non vi sono qui ragioni per discostarsene -, che in caso di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che si sia svolto in contumacia della parte convenuta, determinata dalla inosservanza del termine dilatorio di comparizione, il giudice di appello non può limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado, ma, non ricorrendo nè la nullità della notificazione dell’atto introduttivo e nè alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., deve decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse (Cass. 11.11.2010, n. 22914).

3.1. – Orbene, nella fattispecie concreta l’istante non ha inteso riproporre in sede di legittimità i motivi di reclamo attinenti al merito, già respinti dalla Corte di appello, limitandosi a lamentare, con il motivo in esame, la mera violazione del termine dilatorio di quindici giorni cui alla L. Fall., art. 15.

E tuttavia, traducendosi siffatta violazione, secondo il principio di diritto appena ricordato, in una nullità che non può dare luogo a rimessione della causa al primo giudice, è all’evidenza come un motivo di ricorso così formulato, non accompagnato da censure estese alle questioni di merito già esaminate dalla sentenza qui impugnata, si mostra radicalmente inammissibile per carenza di qualsivoglia interesse al suo accoglimento.

4. – Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva delle parti intimate. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2016


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 13-11-2018) 29-03-2019, n. 8814

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13349/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

EDILCLIMATIC S.R.L.;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 6634/5/16, depositata il 4 novembre 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2018 dal Presidente Dott. Campanile Pietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorso; udito per la ricorrente l’Avv. dello Stato Gianmario Rocchitta.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata in data 27 marzo 2014 la Commissione Tributaria provinciale di Latina, in accoglimento del ricorso proposto dalla S.r.l Ediclimatic, ha annullato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, ritenendo invalida la sottoscrizione dell’atto da parte di un funzionario, Dott. C.U., capo dell’Ufficio Controlli, in assenza di una delega nominativa da parte del direttore provinciale.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe la CTR del Lazio ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio, richiamando il principio espresso da questa Corte con la decisione n. 22803 del 2015, secondo cui la delega di firma o di funzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, deve necessariamente indicare, a pena di nullità, il nominativo del delegato.

3. Per la cassazione di tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto unico ed articolato motivo, illustrato da memoria.

4. La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

5. Con ordinanza depositata in data 17 maggio 2018 la sesta sezione civile ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente va constatata la tempestività del ricorso, proposto entro il termine di cui all’art. 327 c.p.c., così come prorogato di mesi sei in forza del D.L. n. 24 aprile 2017, n. 50, art. 11, comma 9, convertito nella L. 21 giugno 2017, n. 96.

2. Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè della L. n. 241 del 1990, artt. 21 septies, 21 octies e 21 nonies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione deduce, citando specifici arresti di questa Corte e della giurisprudenza amministrativa, una serie di rilievi critici nei confronti dell’orientamento giurisprudenziale, al quale la sentenza impugnata si è conformata, che afferma, ai fini della validità della delega, l’insufficienza della mera indicazione del ruolo rivestito dal soggetto delegato e la necessità, quindi, della specificazione del nominativo del soggetto delegato. Viene richiamata la distinzione fra delegazione amministrativa di competenze e “delega di firma”, espressione di atti interni di organizzazione, che non comporta alcun problema in relazione alla riferibilità dell’avviso di accertamento all’Ufficio, in quanto comunque proveniente dal dirigente delegante, a meno che non venga “specificamene dedotta e dimostrata la non appartenenza del firmatario all’ufficio che si assume la paternità dell’atto, o addirittura, l’usurpazione del relativo potere”.

2. La questione che il ricorso in esame pone riguarda l’incidenza sulla validità dell’avviso di accertamento dei requisiti della delega rilasciata dal dirigente dell’ufficio al funzionario che, in sua sostituzione, sottoscriva l’avviso stesso.

In linea generale, la funzione della sottoscrizione dell’atto impositivo, che sottende la tematica degli aspetti di natura probatoria, nel giudizio, in caso di contestazione, da parte del contribuente, della legittimità della sottoscrizione stessa, non trova una disciplina uniforme. Non mancano, invero, ipotesi in relazione alle quali opera il principio secondo cui deve presumersi che l’atto sia riferibile all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso sia stato adottato, come affermato da questa Corte in riferimento alla cartella esattoriale, al diniego di condono, all’avviso di mora e all’attribuzione di rendita catastale (cfr., per tutte, la recente Cass., 31 ottobre 2018, n. 27871).

Ad avviso del Collegio in tale prospettiva deve essere valutata la portata della prescrizione contenuta nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, secondo cui “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”.

3. La norma non contiene alcuna specificazione in ordine alle modalità di rilascio della delega, alla sua funzione e ai requisiti di validità, dovendosi per altro rilevare che al successivo comma 3 è prevista la nullità dell’avviso qualora non rechi, tra l’altro, “la sottoscrizione”.

Appare dunque necessario, per quanto maggiormente rileva in questa sede, un approfondimento della questione che prenda le mosse non tanto dalla funzione dell’avviso di accertamento quale atto impositivo, quanto dalla sua natura di atto amministrativo. Se, invero, come è stato già rilevato, gli avvisi di accertamento costituiscono la più complessa espressione del potere impositivo, incidendo con particolare profondità nella realtà economica e sociale, deve ritenersi che la loro sottoscrizione da parte del capo dell’ufficio, o da funzionario da lui delegato, sia stata prevista come essenziale garanzia per il contribuente (Cass. n. 1875 del 2014 e, da ultimo, Cass. n. 22800 del 2015). Sotto tale profilo, appare evidente come il dato fondante sia costituito dal superamento di quella generale presunzione, sopra richiamata, di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo dotato del potere di emanarlo, richiedendosi, al contrario, che tale provenienza sia avvalorata dalla sottoscrizione del capo dell’ufficio, o del funzionario da lui delegato. Giova sin d’ora evidenziare, ancorchè il rilievo sia privo, di per sè, di un decisivo valore argomentativo, non attenendo specificamente al tema della delega, come lo stesso riferimento al soggetto che riveste il ruolo apicale sia del tutto “impersonale”: a tale riguardo vale bene richiamare l’orientamento secondo cui l’avviso di accertamento è valido ove sia sottoscritto dal ” reggente”, ossia dal soggetto chiamato, ai sensi del D.P.R. n. 266 del 1987, art. 20, comma 1, lett. a) e b), a sostituire temporaneamente il dirigente assente per cause improvvise in tutte le funzioni svolte dallo stesso ai fini della direzione dell’Ufficio (Cass., 7 novembre 2018, n. 28335; Cass., 5 settembre 2014, n. 18758).

4. In relazione alla prescrizione contenuta nel citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, questa Corte ha posto in evidenza come, trattandosi di un atto esterno al giudizio, la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale: in caso di contestazione, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado del giudizio. Deve altresì ribadirsi che se l’avviso di accertamento non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio “incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio” (Cass., nn. 14626/00, 14195/00; 17044/13, 12781/16; cfr. Cass. sez. 6-5, nn. 19742/12, 332/16; 12781/16; 14877/16; 15781/17; 5200/18), poichè il solo possesso della qualifica non abilita il funzionario della carriera direttiva alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. n. 17400 del 2012). E’ stato quindi precisato che la sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di funzionario diverso da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dall’art. 42, commi 1 e 3 del citato D.P.R. n. 600 del 1973 (Cass., 2 dicembre 2015, n. 24492, in cui l’onere probatorio facente capo all’Amministrazione, in caso di contestazione, viene giustificato anche con riferimento a principi di leale collaborazione e di vicinanza della prova).

5. Quanto ai requisiti della delega, questa Corte, con la nota decisione n. 22803 del 9 novembre 2015, ha affermato il seguente principio di diritto, al quale si è conformata la sentenza impugnata:”In tema di accertamento tributario, la delega di firma o di funzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, deve necessariamente indicare il nominativo del delegato, pena la sua nullità, che determina, a sua volta, quella dell’atto impositivo, sicchè non può consistere in un ordine di servizio in bianco, che si limiti ad indicare la sola qualifica professionale del delegato senza consentire al contribuente di verificare agevolmente la ricorrenza dei poteri in capo al sottoscrittore”.

Tale indirizzo, confermato in varie decisioni successive (per tutte, Cass., ord., 6 marzo 2018, n. 5200), si fonda sul rilievo che il D.L. 15 giugno 2015, n. 78, art. 4 bis, conv. in L. n. 125 del 2015, ancorchè non applicabile alla fattispecie, disciplina l’istituto della “delega” sancendo che la stessa sia nominativa, prevedendo che “in relazione all’esigenza di garantire il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa, i dirigenti delle Agenzie fiscali, per esigenze di funzionalità operativa, possono delegare, previa procedura selettiva con criteri oggettivi e trasparenti, a funzionari della terza area, con un’esperienza professionale di almeno cinque anni nell’area stessa, in numero non superiore a quello dei posti oggetto delle procedure concorsuali indette ai sensi del comma 1 e di quelle già bandite e non annullate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti, escluse le attribuzioni riservate ad essi per legge, tenendo conto della specificità della preparazione, dell’esperienza professionale e delle capacità richieste a seconda delle diverse tipologie di compiti, nonchè della complessità gestionale e della rilevanza funzionale e organizzativa degli uffici interessati, per una durata non eccedente l’espletamento dei concorsi di cui al comma 1 e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016…”.

6. La questione sottoposta all’esame del Collegio riguarda, come sopra evidenziato, esclusivamente le modalità di individuazione del soggetto delegato ai fini della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, non essendo posti in discussione i principi relativi alla necessità di una delega scritta e agli oneri probatori come sopra evidenziati. Trattasi, per altro, di tematica sotto molti profili speculare rispetto a quella, già esaminata da questa Corte, in relazione alla sottoscrizione di atti processuali da parte di un funzionario a tanto delegato (Cass., 4 ottobre 2015, n. 20628), risolta in virtù del richiamo alla nota distinzione, operata dalla dottrina nonchè dalla giurisprudenza amministrativa, fra “delega di funzioni” e “delega di firma”.

6.1. La seconda ipotesi si verifica quando un organo, pur mantenendo la piena titolarità circa l’esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo, ma anche a funzionario non titolare di organo, il compito di firmare gli atti di esercizio dei potere stesso: in questi casi l’atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell’attività decisionale di quest’ultimo, resta formalmente imputato all’organo delegante, senza nessuna alterazione dell’ordine delle competenze” (Cass., n. 6113/2005).

6.2. Al contrario, l’istituto di diritto pubblico della “delegazione amministrativa” di competenze assume rilevanza esterna, ragion per cui si richiede che sia disciplinato per legge attuandosi, mediante adozione di un formale atto di delega, l’attribuzione ad un diverso ufficio od ente di poteri in deroga alla disciplina normativa delle competenze amministrative (c.d. delega di funzioni).

7. Appare evidente la differenza fra le due figure: la “delega di firma” realizza un mero decentramento burocratico: il “delegato alla firma” non esercita, infatti, in modo autonomo e con assunzione di responsabilità i poteri inerenti alle competenze amministrative riservate al delegante, ma agisce semplicemente come “longa manus” – e dunque in qualità di mero sostituto materiale – del soggetto persona fisica titolare dell’organo cui è attribuita la competenza. L’atto di “delegazione della competenza” ha, al contrario, rilevanza esterna, essendo suscettibile di alterare il regime della imputazione dell’atto, al contrario di quanto si verifica nell’ipotesi della mera delega di firma, nella quale il delegante rimane l’unico ed esclusivo soggetto dal quale l’atto proviene e del quale si assume la piena responsabilità verso l’esterno.

8. Sulla base delle superiori considerazioni va osservato come non sia condivisibile l’affermazione (v. la citata Cass. n. 22803 del 2015) secondo cui, ai fini di valutare la portata della disposizione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, debba prescindersi dalla natura della delega, sia essa di funzioni o di firma, dovendo in ogni caso essere nominativa. In tal modo, oltre ad operarsi una sovrapposizione fra le figure in esame, si contraddice la portata della norma testè richiamata, che chiaramente, anche in base al tenore letterale, è riferibile a una delega per la sottoscrizione, e, soprattutto, viene ad applicarsi a una figura, quale la delega di firma, la disciplina dettata per la delega di funzioni. Sotto tale profilo deve osservarsi che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, si riferisce espressamente ed inequivocabilmente alla “delega di funzioni”, laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate.

Tale rigore non si addice alla delega di firma, nella quale, come è stato già rilevato, il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante (cfr. la citata Cass. n. 20628 del 2015) e che trova titolo nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (Statuto Ag. Entrate approvato con Delib. 13 novembre 2000, n. 6, art. 11, comma 1, lett. c) e d); reg. amm. n. 4 del 2000, art. 14, comma 2,) nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio.

9. Ne consegue che, pur dovendosi ribadire l’orientamento, sopra richiamato, in relazione agli oneri probatori in capo all’amministrazione in caso di contestazione della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, deve affermarsi che non è richiesta alcuna indicazione nominativa della delega, nè la sua temporaneità, apparendo conforme alle esigenze di buon andamento e della legalità della pubblica amministrazione ritenere che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione della c.d. delega di firma possa avvenire, come nella specie, attraverso l’emanazione di ordini di servizio che abbiano valore di delega (Cass., 20 giugno 2011, n. 13512) e che individuino il soggetto delegato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale parimenti consente la successiva verifica della corrispondenza fra il sottoscrittore e il destinatario della delega stessa.

10. L’accoglimento del ricorso, per le indicate ragioni, comporta la cassazione dell’impugnata decisione, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, che, in diversa composizione, applicherà il principio sopra enunciato, provvedendo, altresì, in merito alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata decisione e rinvia, anche per le spese, alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2019