Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 14-06-2017) 19-12-2017, n. 30417

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22688-2015 proposto da:

SETA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo studio dell’Avvocato PIETRO CAVASOLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIGLIOLA IOTTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PARIDE CASINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 514/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 07/05/2015 R.G.N. 823/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/06/2017 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo e assorbimento del 2 motivo del ricorso;

udito l’Avvocato PIETRO CAVASOLA;

udito l’Avvocato Di Meo Stefano.

Svolgimento del processo
1)In primo grado il Tribunale di Modena aveva respinto la domanda di M.S. diretta a far accertate l’illegittimità della destituzione intimatagli dalla datrice di lavoro, l’azienda di trasporto urbano Seta spa, ai sensi del R.D. n. 148 del 1931, a seguito di contestazione disciplinare con cui si addebitava al dipendente di aver ripetutamente svolto attività lavorativa nella cartoleria tabaccheria della moglie per alcune giornate del settembre e dell’ottobre 2009, precisando che tale condotta configurava inadempienza ai doveri generali di correttezza e di buona fede e che tale attività esterna faceva presumere l’inesistenza della malattia e quindi il compimento di un artificio per procurarsi indebiti vantaggi, configurandosi la fattispecie prevista dal R.D. n. 148 citato, art. 45, punto 2 del regolamento A).

2) Il Tribunale aveva ritenuto che, ferma la legittimità di tutta la procedura disciplinare prevista dal R.D. all’art. 53, il fatto contestato, riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 45 del R.D., fosse stato provato, in quanto la patologia descritta dai certificati medici di sindrome ansioso depressiva, diagnosticata nei primi giorni del mese di settembre 2009, soltanto in base alle dichiarazioni del paziente, alla ripresa del lavoro a seguito di un’aspettativa di un anno, non aveva impedito al M. di recarsi a lavorare presso la tabaccheria, sebbene soltanto in orari diversi da quelli previsti dalle fasce orarie per le visite di controllo medico. La sola circostanza che egli potesse uscire, secondo prescrizione medica non giustificava in alcun modo che egli potesse dedicarsi in modo sistematico e in orari precisi all’attività commerciale della moglie.

3)La corte d’appello di Bologna, ritenuti non fondati i motivi di appello relativi alla sostenuta non regolarità della procedura di contestazione disciplinare prevista dal R.D. n. 148, art. 53 e confermando la sentenza anche con riferimento alla tempestività della contestazione in presenza di accertamenti di natura complessa, ha ritenuto invece fondato il motivo relativo alla lamentata mancata sussistenza della fattispecie contestata di cui all’art. 45, n. 2 citato.

4)In particolare pur osservando che la simulazione della malattia ben può configurare la causale soggettiva di legge e che l’attendibilità delle certificazioni mediche ben possono essere liberamente valutate e sindacate dal giudice, la Corte territoriale ha poi ritenuto che, nel caso in esame “l’attività discontinua limitata temporalmente nell’ambito della tabaccheria gestita dai familiari, che emergeva dalla relazione investigativa, alla luce della patologia di “disturbo dell’adattamento con sindrome mista” non consentiva di ricavare anche solo una presunzione qualificata di simulazione, attesa la relativa marcata eterogeneità rispetto alla capacità di lavoro specifica dedotta in contratto, di autista di pullman”.

5)Avverso la sentenza propone ricorso la società con due motivi, poi illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste M. con controricorso.

Motivi della decisione
6)Con il primo motivo di ricorso la società lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativa a questione controversa e decisiva ai sensi dell’art. 360, comma 5. Secondo la società ricorrente la sentenza sarebbe contraddittoria perchè nonostante ritenga legittima in astratto una destituzione del dipendente di azienda municipalizzata che ha esercitato in proprio attività lavorativa e nonostante abbia ritenuto possibile che le certificazioni di malattia possano essere sindacabili in giudizio, non ha poi tenuto conto che l’Azienda ha contestato i referti medici prodotti in causa perchè redatti sulla scorta delle mere dichiarazioni del paziente M.. In sostanza la Corte non avrebbe dato modo di comprendere se, pur ammessa tale sindacabilità, sia stato valutato il valore probatorio dei certificati in atti e con quale esito di valutazione in giudizio.

7)Secondo l’appellante una diagnosi di disturbo dell’adattamento, malattia diagnosticata al M., dovrebbe essere valutata alla stregua dei criteri clinici e ciò non è avvenuto, non avendo la corte considerato che colui che è affetto in modo apprezzabile dal disturbo dell’adattamento non può lavorare e non ci riesce, trattandosi comunque di una reazione individuale ad un evento ritenuto stressante che compromette tout court la capacità lavorativa, sia che si lavori in un esercizio commerciale, sia che si svolga un’attività di autista di pullman. Comunque alcuna verifica è contenuta nella sentenza che, pur ritenendo sindacabili i certificati medici, finisce poi per non sviluppare nessun sindacato sugli stessi, mancando qualunque motivazione sul valore da attribuire alla certificazione: di qui l’illogicità delle deduzioni tratte dalla certificazione. Infine, secondo la ricorrente, la corte non ha tenuto conto che in nessuno dei due documenti prodotti in giudizio e trascritti si afferma che il M. dovesse astenersi dalla prestazione lavorativa in ATCM. 8) Il motivo è inammissibile. Deve infatti preliminarmente rilevarsi che nel caso in esame si applica ratione temporis la normativa processuale di cui al D.L. n. 83 del 20012, art. 54 convertito in L. n. 43 del 2012 e pertanto il vizio motivazionale lamentato dalla ricorrente non può che esaminarsi alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e che deve consistere in un ” omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

9) Le SSUU di questa corte hanno chiarito la riformulazione di tale fattispecie statuendo che può denunciarsi soltanto quell’anomalia motivazionale che attiene all’esistenza della motivazione in sè, indipendentemente dal confronto con le risultanze processuali, quando diventa una motivazione del tutto apparente, o nel “contrasto irriducibile tra affermazioni tra se inconciliabili”, così scomparendo il controllo della motivazione con riferimento al parametro della sufficienza e restando il controllo della esistenza e della coerenza (così Cass. n.8053/2014).

10) Ancora questa Corte ha precisato che il controllo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 deve concernere l’omesso esame di un fatto storico,principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza – rilevanza del dato testuale – o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo – vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia – (cosi Cass. SSUU n.19881/2014).

10) Nel caso in esame sebbene la corte di merito abbia adottato una motivazione non particolarmente esaustiva e indubbiamente poco argomentata quantomeno rispetto alla valutazione della connessione tra la patologia depressiva indicata nella certificazione medica e la sfera lavorativa, non può tuttavia ritenersi che la stessa sia assente o meramente apparente, neanche dirsi che le argomentazioni adottate per giungere all’apprezzamento fattuale siano del tutto illogiche o contraddittorie, come sostenuto dalla ricorrente.

11) Ed infatti la corte bolognese non ha omesso di esaminare il fatto storico decisivo per il giudizio,che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia la patologia indicata quale “disturbo dell’adattamento con sindrome mista”, come certificata da referto medico dell’Unità Operativa di salute mentale di Pavullo, che tuttavia non ha ritenuto potesse essere in contrasto con lo svolgimento anche discontinuo e limitato temporalmente di attività presso la tabaccheria di proprietà familiare, diversamente ritenendo invece con riferimento alla capacità di lavoro specifica connessa alla sua prestazione lavorativa di conducente di pullmann di linea, così che ha escluso che da ciò si potesse ricavare anche solo una qualificata presunzione di simulazione della malattia. Tale argomentazione, per quanto prima osservato, non è suscettibile di censura in base alla nuova formulazione del vizio lamentato.

12)Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la società ricorrente la condanna alle spese sarebbe stata adottata in contrasto con la norma di cui all’art. 92 perchè non vi sarebbe stata una totale soccombenza della società, ma solo con riferimento alla domanda di reintegrazione, essendo stata accolta soltanto la domanda sulla illegittimità della destituzione, mentre la domanda risarcitoria era stata abbandonata dal M. e, in relazione all’altra, la sentenza di primo grado aveva trovato conferma in appello.

13) il motivo è infondato. Premesso che in tema di regolamento delle spese il sindacato della cassazione è limitato ad accertare soltanto che non risulti violato il principio della soccombenza, va rilevato che, come questa Corte ha più volte affermato, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, dovendo il corrispondente onere essere attribuito e ripartito in ragione dell’esito complessivo della lite, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (cfr per tutte Cass. 23226/2013 Cass. n.1775/2017).

14) Nel caso in esame la Corte, riformando la sentenza di primo grado ha provveduto ad una nuova liquidazione delle spese e tenendo conto dell’esito complessivo della lite che vedeva la parte appellante vincitrice in relazione alla domanda di illegittimità del licenziamento e di reintegrazione, ha ritenuto di porre a carico della società le spese, senza operare alcuna compensazione parziale. Non essendo stato violato il principio di soccombenza, la società ricorrente non può fondatamente dolersi della mancata compensazione.

15) Deve infine ritenersi inammissibile e comunque infondata la richiesta di condanna del controricorrente M. al risarcimento del danno di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1. Come già più volte osservato da questa Corte la domanda di risarcimento da responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, pur recando in sè una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall’improvvida iniziativa giudiziale,comunque impone una sia pur generica allegazione della “direzione” dei supposti danni (Cass. 7620/2013); inoltre tale istanza, proponibile anche nel giudizio di legittimità per il risarcimento dei danni causati dal ricorso per cassazione, deve essere formulata nel controricorso con una prospettazione della temerarietà della lite riferita a tutti i motivi del ricorso, essendo altrimenti impedito alla Corte l’accertamento complessivo della soccombenza dolosa o gravemente colposa, la quale deve valutarsi riguardo all’esito globale della controversia e, quindi, rispetto al ricorso nella sua interezza (così Cass. n.21805/2013). Nel caso in esame non ricorrono tali presupposti.

Il ricorso deve quindi essere rigettato, con condanna della società soccombente alla rifusione delle spese del presente grado, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente società al pagamento delle spese di lite di giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2017


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 30-10-2017) 14-12-2017, n. 30139

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28270/2016 proposto da:

ASSIMOCO SPA, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 77, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO BOCHICCHIO, rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO MARTUCCI SCHISA;

– ricorrente –

contro

D.F.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. TORNIELLI 46, presso lo studio PROTA, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA PORZIO, ANTONIO MALAFRONTE;

– controricorrente –

e contro

L.M.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1527/2016 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA, depositata il 24/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/10/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ritenuto che, con ricorso affidato ad un unico motivo, la Assimoco S.p.A. ha impugnato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, in data 24 maggio 2016, che, in accoglimento del gravame interposto da D.F.V. avverso la sentenza del 12 marzo 2015 del Giudice di pace di Torre Annunziata, ne accoglieva la domanda di risarcimento dei danni subiti a seguito di sinistro stradale, del quale veniva dichiarata responsabile L.M.S., proprietaria di autoveicolo assicurato presso l’anzidetta Assimoco;

che resiste con controricorso D.F.V., mentre non ha svolto attività difensiva l’intimata L.M.S.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il controricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Considerato che, con l’unico motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione del D.L. 25 giugno 2014, n. 90, art. 52, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, in riferimento alla L. n. 183 del 2011, art. 25, e all’art. 141 c.p.c., per aver il Tribunale erroneamente ritenuto valida la notificazione dell’atto di appello ad essa Assimoco, avvenuta ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, presso la cancelleria del Giudice di pace di Torre Annunziata per essere il relativo difensore domiciliatario patrocinante extra districtum, e non presso l’indirizzo PEC di detto difensore o quello della stessa società, risultanti, rispettivamente, dal ReGIndE e dall’INI PEC, come imposto in forza del citato art. 52;

che il motivo è manifestamente fondato;

che a tal fine occorre osservare che l’art. 16 sexies (rubricato “Domicilio digitale”) del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, come introdotto dal D.L. 25 giugno 2014, n. 90, art. 52, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, prevede testualmente: “Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”;

che tale norma, dunque, nell’ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, (codice dell’amministrazione digitale) ovvero presso il ReGIndE, di cui al D.M. n. 44 del 2011, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione;

che, in tal senso, la prescrizione dell’art. 16 sexies, prescinde dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l’indirizzo PEC del difensore, stante l’obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell’ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel ReGIndE;

che, pertanto, la norma in esame non solo depotenzia la portata dell’elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia (ad es., per mutamento di indirizzo non comunicato) non consentirà, pertanto, la notificazione dell’atto in cancelleria, ma pur sempre e necessariamente alla PEC del difensore domiciliatario (salvo l’impossibilità per causa al medesimo imputabile), ma, al contempo, svuota di efficacia prescrittiva anche il R.D. n. 37 del 1934, art. 82, posto che, stante l’obbligo di notificazione tramite PEC presso gli elenchi/registri normativamente indicati, potrà avere un rilievo unicamente in caso, per l’appunto, di mancata notificazione via PEC per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell’ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria;

che a siffatta interpretazione non ostano i precedenti richiamati dal controricorrente (Cass. n. 14969/2015 e Cass. n. 22892/2015, al quale va aggiunto il più recente Cass. n. 15147/2017, indicato, unitamente a Cass. n. 25215/2014, con la memoria, le cui argomentazioni, pertanto, non colgono nel segno), che, in tutti i casi considerati (peraltro, Cass. n. 14969/2015 riguarda soltanto il giudizio di cassazione), non fanno applicazione dell’art. 16 sexies, citato, ma dell’assetto normativo antecedente alla sua introduzione, là dove, poi, Cass. n. 15147/2017 ha cura di precisare proprio l’inapplicabilità al proprio giudizio della norma introdotta nel 2014;

che, del resto, l’impianto argomentativo anzidetto è a conferma del principio recentemente enunciato da Cass. n. 17048/2017, secondo cui: “In materia di notificazioni al difensore, a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’ordine di appartenenza, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, (conv., con modif., dalla L. n. 221 del 2012), come modificato dal D.L. n. 90 del 2014 (conv., con modif., dalla L. n. 114 del 2014), non è più possibile procedere – ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, – alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario”;

che, dunque, essendo il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, come introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 114 del 2014, entrato in vigore il 19 agosto 2014 e trovando esso immediata efficacia nei giudizi in corso per gli atti compiuti successivamente alla sua vigenza, in applicazione del principio (non derogato dalla stessa legge n. 114 del 2014 attraverso l’indicazione di una diversa specifica decorrenza della citata norma processuale) del tempus regit actum (tra le tante, Cass. n. 17570/2013, Cass. n. 5925/2016, Cass. n. 1635/2017), la notificazione dell’appello alla Assimoco S.p.A., costituitasi nel giudizio di primo grado, proposto da D.F.V. avverso la sentenza del Giudice di pace di Torre Annunziata del 12 marzo 2015, avrebbe dovuto essere effettuata presso l’indirizzo PEC del difensore della stessa Assimoco risultante dagli elenchi/registri indicati dallo art. 16 sexies e, soltanto ove impossibile per causa imputabile a detto difensore, allora presso la cancelleria del Giudice pace adito;

che ne consegue che la notificazione dell’appello effettuata direttamente (ed esclusivamente) presso la cancelleria del Giudice di pace di Torre Annunziata è affetta da nullità, ma non già da inesistenza, essendo quest’ultima configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale, tra cui, in particolare, i vizi relativi all’individuazione del luogo di esecuzione, nella categoria della nullità (cfr. Cass., S.U., n. 14916/2016 e Cass. n. 21865/2016);

che il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio della causa al Tribunale di Torre Annunziata, quale giudice di appello, perchè, in applicazione dei principi innanzi enunciati, provveda alla rinnovazione della notificazione del gravame nei confronti della Assimoco S.p.A. e di L.M.S., litisconsorte necessario in quanto proprietario dell’autovettura assicurata presso la stessa compagnia Assimoco (e, dunque, responsabile civile anche ai sensi del vigente art. 144 cod. ass.: tra le altre, Cass. n. 9112/2014, Cass. n. 25421/2014 e Cass. n. 23706/2016), oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Torre Annunziata, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 3 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2017


La pubblica amministrazione digitale frena lo spam

Necessario il consenso del titolare per fare marketing

Gli indirizzi Pec (Posta elettronica certificata) e i recapiti digitali non possono essere utilizzati se non per le comunicazioni aventi valore legale e per le comunicazioni da parte di enti pubblici. Per scopi diversi, come quelli del marketing, ci vuole il consenso dell’interessato.

Per limitare le comunicazioni elettroniche indesiderate, il decreto legislativo correttivo del Cad, Codice dell’amministrazione digitale, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, chiarisce la portata della disposizione sull’uso dei domicili digitali, preferendo il generale divieto espresso di utilizzi diversi.

La norma è contenuta in un ampio provvedimento di modifica del dlgs 82/2005, con l’incentivo, oltre al resto, a digitalizzare i rapporti con i cittadini, promuovendo il domicilio digitale.

Nella versione finale, il testo ha cura di specificare che il domicilio digitale non deve diventare il luogo virtuale in cui facilmente accatastare (beninteso virtualmente, ma con fastidio reale) messaggi di spam.

Il Codice dell’amministrazione digitale prevede elenchi di indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti e delle pubbliche amministrazioni.

Il correttivo cambia il nome: non si parlerà più di posta elettronica certificata, ma di domicili digitali e gli elenchi delle Pec diventano elenchi di domicili digitali.

I domicili digitali comprendono, infatti, sia l’indirizzo di posta elettronica certificata sia il servizio elettronico di recapito certificato qualificato.

Dei domicili digitali ci saranno tre elenchi: l’elenco dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti e cioè l’Indice nazionale dei domicili digitali (Ini-Pec, articolo 6-bis del Cad); l’Indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi (articolo 6-ter del Cad); e un terzo elenco, tutto nuovo, ovvero l’elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, chiamato dal decreto correttivo «Indice degli indirizzi delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato» (nuovo articolo 6-quater del Cad).

Siamo di fronte a liste molto appetibili, anche per il marketing. Non a caso il garante della privacy ha chiesto di modificare il nascituro articolo 6-quinquies del Cad, che si occupa di consultazione e accesso. Nel dettaglio della nuova disposizione, si prevede che la consultazione online degli elenchi di professionisti, imprese, p.a. e privati (articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del Cad) è consentita a chiunque tramite sito web e senza necessità di autenticazione. Gli elenchi sono realizzati in formato aperto. Inoltre l’estrazione dei domicili digitali dagli elenchi sarà effettuata secondo modalità fissate da Agid nelle Linee guida.

Ma, attenzione, si aggiunge che in assenza di preventiva autorizzazione del titolare dell’indirizzo, è vietato l’utilizzo dei domicili digitali per finalità diverse dall’invio di comunicazioni aventi valore legale o comunque connesse al conseguimento di finalità istituzionali dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, del Cad (enti pubblici istituzionali, gestori servizi pubblici).

In una versione iniziale del decreto correttivo in esame si leggeva una diversa formulazione, secondo la quale in assenza di preventiva autorizzazione del titolare dell’indirizzo, comunicazioni, diverse da quelle aventi valore legali e diverse da quelle provenienti da p.a. e gestori di pubblici servizi, sarebbero state comunicazioni indesiderate ai sensi dell’articolo 130 del Codice della privacy (decreto legislativo 196/2003).

In proposito il garante della privacy ha chiesto di eliminare il riferimento all’articolo 130 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e di introdurre al suo posto un espresso divieto.

L’osservazione è stata accolta, per rendere più evidente, come spiega la relazione di accompagnamento, l’intento di limitare lo spam.

Questo generale divieto di utilizzare il domicilio digitale dovrà però essere coordinato con le norme del Regolamento Ue sulla privacy (n. 2016/679), e su questo si attendono i decreti legislativi da adottarsi ai sensi della legge 163/2017.


BUONE FESTE !!!

mail generale


Giornata di Studio in house – U.T.I. della Carnia – Tolmezzo (UD) – 15.12.2017

Locandina GdS Uti Carnia 2017LA NOTIFICA ON LINE

Venerdì 15 dicembre 2017

UTI Carnia
Via Carnia Libera 1944 29
Tolmezzo (UD)
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con la collaborazione di ComPA – Centro di competenza per la Pubblica Amministrazione

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Durì Francesco

Resp. Servizio Notifiche del Comune di Udine

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2018

Vedi: Depliant GdS Uti Carnia 2017

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS UTI Carnia 2017

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2018

  1. Comunicazione Associazione Senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000)
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza
  6. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione
  7. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  8. Documento di identità  personale del Legale Rappresentante pro tempore

Dpr 602/1973: modifiche all’art. 26

La Legge n. 172 del  4 dicembre 2017, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili. Modifica alla disciplina dell’estinzione del reato per condotte riparatorie  (GU Serie Generale n.284 del 05-12-2017)  ha apportato, tra l’altro, la modifica dell’art. 26 del Dpr 602/1973 come segue:

2. All’articolo 26, primo comma, primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, dopo la parola: “municipale” sono aggiunte le seguenti: “; in tal caso, quando ai fini del perfezionamento della notifica sono necessarie più formalità, le stesse possono essere compiute, in un periodo di tempo non superiore a trenta giorni, da soggetti diversi tra quelli sopra indicati ciascuno dei quali certifica l’attività svolta mediante relazione datata e sottoscritta”.

Pertanto il nuovo testo completo del succitato art. 26 è il seguente:

Art. 26. Notificazione della cartella di pagamento

La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale; in tal caso, quando ai fini del perfezionamento della notifica sono necessarie più formalità, le stesse possono essere compiute, in un periodo di tempo non superiore a trenta giorni, da soggetti diversi tra quelli sopra indicati ciascuno dei quali certifica l’attività svolta mediante relazione datata e sottoscritta. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda. La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo ((del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600)). Quando la notificazione della cartella di pagamento avviene mediante consegna nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda, non è richiesta la sottoscrizione dell’originale da parte del consegnatario. Nei casi previsti dall’art. 140, del codice di procedura civile, la notificazione della cartella di pagamento si effettua con le modalità stabilite dall’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune. (2) L’esattore deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione. Per quanto non è regolato dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’art. 60 del predetto decreto; per la notificazione della cartella di pagamento ai contribuenti non residenti si applicano le disposizioni di cui al quarto e quinto comma dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. (1)

————- AGGIORNAMENTO (1) La Corte costituzionale, con sentenza del 24 ottobre – 7 novembre 2007, n. 366 (in G.U. 1a s.s. 14/11/2007, n. 44), ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 58, primo comma e secondo periodo del secondo comma, e 60, primo comma, lettere c), e) ed f), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e dell’articolo 26, ultimo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui prevede, nel caso di notificazione a cittadino italiano avente all’estero una residenza conoscibile dall’amministrazione finanziaria in base all’iscrizione nell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE), che le disposizioni contenute nell’articolo 142 del codice di procedura civile non si applicano”.

————- AGGIORNAMENTO (2) La Corte Costituzionale, con sentenza 19 – 22 novembre 2012, n. 258 (in G.U. 1a s.s. 28/11/2012, n. 47), ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale del terzo comma (corrispondente all’attualmente vigente quarto comma) dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui stabilisce che la notificazione della cartella di pagamento «Nei casi previsti dall’art. 140 del codice di procedura civile […] si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600», anziché «Nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario […] si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60, primo comma, alinea e lettera e), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600»”.


Giornata di Studio Montagnana (PD) – 02.02.2018

Locandina Montagnana 2018LA NOTIFICA ON LINE

Venerdì 2 febbraio 2018

Comune di Montagnana (PD)

Castel San Zeno
Sala Veneziana
Via Carrarese 24
Montagnana
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con la collaborazione del Comune di Montagnana (PD)

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 142.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già è socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2017 con rinnovo anno 2018 già pagato al 31.12.2017. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

€ 212.00(*) (**) (***) se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2018 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (**) (***) per il primo partecipante
  • € 170,00  (**) (***) per il secondo partecipante
  • €  80,00   (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2018 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile e/o integrabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 200,00 ecc. 


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: Codice IBAN: IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento sul Conto Corrente n. 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio
Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti

Causale: G.d.S. Montagnana 2018 o numero fattura elettronica

(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà  seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Durì Francesco

Resp. Servizio Notifiche del Comune di Udine

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività formativa anno 2018

Scarica: Depliant GdS Montagnana PD 2018

Vedi: Video della Giornata di Studio

Vedi: 

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Montagnana PD 2018

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2018

  1. Comunicazione Associazione Senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000)
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza
  6. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione
  7. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  8. Documento di identità  personale del Legale Rappresentante pro tempore

Equitalia: nulle le cartelle esattoriali a mezzo pec col pdf

La Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia conferma il proprio orientamento dichiarando illegittime le notifiche effettuate dall’Agente della Riscossione dove venga utilizzata la pec con semplice allegazione di pdf e senza attestazione di conformità

Nuovo pronunciamento della Commissione Tributaria Provinciale della Spezia in materia di notifiche a mezzo P.e.c. delle cartelle esattoriali effettuate dall’agente della riscossione.

La Commissione con la sentenza gemella (n. 420/2017 sotto allegata) ha confermato il proprio orientamento espresso pochi giorni addietro (cfr. sent. n. 415/2017) in tema di notifiche delle cartelle esattoriali a mezzo p.e.c.: sono illegittime le notifiche effettuate dall’Agente della riscossione (Equitalia), ai contribuenti dove venga utilizzata la posta elettronica certificata con semplice allegazione di un file pdf e senza tra l’altro l’attestazione di conformità.

E’ questo il principio di diritto espresso nuovamente dalla Commissione Tributaria Provinciale della Spezia con provvedimento a firma del Giudice Alessandro Ranaldi – ha visto segnare per la seconda volta il punto contro l’Agente della riscossione – da parte di società spezzina patrocinata dallo scrivente.

Con articolata sentenza, la Ctp ha accolto nuovamente le argomentazioni difensive – ribadendo e confermando la propria posizione in tema di notifiche a mezzo p.e.c. “accertato che la cartella allegata alla P.e.c. e notificata sotto forma di documento informatico risultava essere un semplice file pdf privo dell’estensione ‘p7m’, unico formato che rende valido ed esistente l’atto notificato”. La cartella come creata è illegittima così come è illegittimo l’intero processo notificatorio.

La Commissione ha evidenziato, ancora una volta, quale ulteriore criticità che l’atto notificato va attestato conforme all’originale, potere di certificazione di cui i funzionari di Equitalia sono sprovvisti.

Leggi: Ctp La Spezia, sentenza n. 420-2017


AVVISO DI SERVIZIO: CHIUSURA PER MANUTENZIONE SITO WEB annamessi.it

Il sito https://www.annamessi.it/ sarà CHIUSO per operazioni di manutenzione dalle ore 21.00 di venerdì 17.11.2017 alle ore 21:00 del giorno lunedì 20.11.2017.

Ci scusiamo per il disagio


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 14-06-2017) 08-11-2017, n. 26479

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3545-2016 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO 177 C/0 CASA MILILLO, rappresentato e difeso dall’Avvocato CARMINE RUGGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MATERA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO GHERA, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO GAROFALO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale – e contro

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO 177 C/0 CASA MILILLO, rappresentato e difeso dall’Avvocato CARMINE RUGGI, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale – avverso la sentenza n. 216/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 04/08/2015 R.G.N. 509/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/06/2017 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per inammissibilità del ricorso principale, rigetto dell’incidentale;

udito l’Avvocato CARMINE RUGGI;

udito l’Avvocato PATRIZIA SCAPPATURA per delega Avvocato DOMENICO GAROFALO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. La Corte di Appello di Potenza, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento disciplinare intimato a P.F. dal Comune di Matera in data 6.11.2012 e, dichiarato risolto il rapporto di lavoro, ha condannato il Comune a pagare al P. l’indennità risarcitoria, commisurandola a nove mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: il termine di 120 giorni previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis era stato violato perchè la proroga del termine per la difesa del lavoratore aveva efficacia sospensiva solo in relazione al periodo compreso tra il 14.4.2012 (data di richiesta del lavoratore di rinvio della audizione disposta per il giorno 17.4.2012) ed il 25.6.2012 e non anche in relazione al periodo successivo al 25.6.2012 (data della richiesta del lavoratore di anticipazione della nuova data fissata per la sua audizione fissata per il giorno 17.10.2012). Premessa l’applicabilità della disciplina contenuta nella L. n. 92 del 2012 ai licenziamenti intimati ai pubblici dipendenti la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti addebitati, nei termini risultati accertati in giudizio, integravano la giusta causa di licenziamento in quanto irreparabilmente lesivi del vincolo fiduciario. Ha, poi, affermato che alla violazione del termine di 120 giorni, previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis conseguiva, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6 come modificato dalla L. n. 92 del 2012, l’applicazione della tutela indennitaria (indennità risarcitoria compresa tra 6 e 12 mensilità). In considerazione della durata del rapporto di lavoro la Corte territoriale ha commisurato l’indennità risarcitoria a nove mensilità dell’ultima retribuzione di fatto.

3. Avverso detta sentenza P.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

4. Il Comune di Matera ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso il P..

5. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Sintesi dei motivi del ricorso principale.

6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 1 e art. 55 bis, comma 4 della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 1 e 4 come novellato dalla L. n. 92 del 2012, e dell’art. 1418 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto inefficace il licenziamento intimato in violazione del termine previsto per la conclusione del procedimento disciplinare e per avere, conseguentemente, applicato la sola tutela indennitaria. Asserisce che la violazione dei termini previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 2 e art. 4, u.c. comporta la nullità del licenziamento in quanto adottato in violazione di norme imperative con conseguente operatività della tutela reintegratoria “piena”. Invoca i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 24157 del 2015.

7. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 6, della L. n. 604 del 1966, art. 5 dell’art. 2119 c.c. e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione su un fatto decisivo. Lamenta che la Corte territoriale ha effettuato una valutazione sommaria e complessiva dei fatti contestati in sede disciplinare omettendo di accertare la effettiva sussistenza di ciascuna delle plurime condotte contestate e asserisce che, in caso di plurime contestazioni, ove anche uno solo degli episodi contestati non sussista l’atto di recesso deve essere considerato illegittimo. Il ricorrente sostiene, inoltre, che non era emersa la prova che i comportamenti contestati in sede disciplinare fossero stati posti in essere. Si duole che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare, con riferimento alla contestazione disciplinare sub b. (reato di cui agli artt. 81, 110, 56 e 317 c.p.) che il Tribunale di Matera aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere, quanto alla contestazione sub c. (reato di cui all’art. 317 c.p.) che era risultato provato che esso ricorrente aveva versato la quota integrale al (OMISSIS) e non aveva pronunciato alcuna frase offensiva o minacciosa, con riguardo alla contestazione sub d. (controlli mirati presso il (OMISSIS)) che dalle prove era rimasto escluso che i controlli fossero stati ispirati da intenti minacciosi, e, quanto alla contestata concussione perpetrata nei confronti dell’Assessore B., deduce che il Tribunale del riesame di Potenza aveva dichiarato l’insussistenza del fatto. Assume che non vi era stata alcuna coartazione della condotta degli addetti ai controlli, i quali avevano accertato le inadempienze del (OMISSIS) e che era stato provato che lo spostamento del dipendente C. presso l’impianto di compostaggio non aveva pregiudicato l’attività sindacale da questi svolta.

Sintesi del motivo del ricorso incidentale. 8. Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 2. Sostiene che la proroga del termine per la conclusione del procedimento disciplinare opera in misura corrispondente alla intera durata del differimento e non invece alla durata dell’impedimento del lavoratore.

9. In via preliminare deve essere affrontata la questione relativa alla applicabilità delle regole procedurali di cui alla L. n. 92 del 2012 ai rapporti dell’impiego pubblico contrattualizzato, tra i quali rientra quello dedotto in giudizio, in quanto il controricorrente ha eccepito la inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 1 c. 62 della L. n. 92 del 2012, sul rilievo della tardività della sua notifica.

10. La questione va risolta in senso affermativo in adesione ai principi affermati da questa Corte nella decisione n. Cass. 11868/2016, alla quale il Collegio ritiene di aderire, condividendone le argomentazioni motivazionali, da intendersi qui richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. 11. Affermata, per quanto innanzi osservato, l’applicabilità delle regole procedurali contenute nella L. n. 92 del 2012 al giudizio in esame, deve essere esaminata la questione dell’ammissibilità del ricorso per cassazione.

12. Il controricorrente, come innanzi accennato, ha, infatti, eccepito che la sentenza n. 216 del 2015, corredata della motivazione, è stata depositata nella cancelleria della Corte di Appello di Potenza il giorno 4.8.2005 e che in pari data è stata comunicata in forma integrale dalla stessa cancelleria a mezzo di posta elettronica certificata al difensore del P.. Il controricorrente, muovendo da siffatto rilievo deduce che tale comunicazione è idonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione previsto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 62 ed evidenzia che siffatto termine era ormai scaduto alla data della notifica del ricorso (1.2.2016).

13. Il Collegio ritiene di dare continuità, condividendolo, all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (Cass. 19177/2016, 16216/2016) secondo cui il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 62, decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di previsione speciale, che in via derogatoria comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell’art. 133 c.p.c., comma 2, nella parte in cui stabilisce che “la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.”, norma attinente al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria. E’ stato osservato, nelle innanzi richiamate decisioni, che il disposto si pone come norma speciale rispetto alla disciplina generale del cosiddetto termine breve di impugnazione, dettata dagli artt. 325 e 326 c.p.c., poichè fa decorrere il termine perentorio dalla comunicazione della sentenza o dalla notificazione, ma solo se anteriore alla prima, e consente l’applicazione del termine stabilito dall’art. 327 c.p.c. unicamente nel caso in cui risultino omesse sia la notificazione che la comunicazione della decisione. Ed è stato precisato che, affinchè possa decorrere il termine breve, non è sufficiente il mero avviso del deposito della sentenza, essendo, invece, necessario che la comunicazione si riferisca al contenuto integrale della decisione, di modo che la parte sia posta, dal momento della comunicazione, in grado di conoscere le ragioni sulle quali la pronuncia è fondata e di valutarne la correttezza.

14. Le decisioni già richiamate hanno anche osservato che a dette conclusioni conduce innanzitutto il tenore letterale del richiamato comma 62 che, diversamente da quanto disposto, ad esempio, dall’art. 420 bis c.p.c., comma 2 fa riferimento, appunto, alla comunicazione della sentenza e non “dell’avviso di deposito” della stessa. Inoltre la disposizione, sebbene di carattere speciale, nulla specifica in merito alla forma della comunicazione, sicchè vale al riguardo la disciplina dettata dal codice di rito che, all’art. 45, comma 2, disp. att. c.p.c., come modificato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, stabilisce che “il biglietto contiene in ogni caso il testo integrale del provvedimento comunicato”. La necessità della comunicazione del testo integrale è stata ribadita dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, che ha modificato l’art. 133 c.p.c., inapplicabile alla fattispecie in giudizio, solo nella parte in cui, diversamente da quanto previsto per il rito speciale, esclude che la comunicazione possa fare decorrere il termine breve di impugnazione.

15. A sostegno dell’eccezione di tardività il controricorrente ha depositato “ATTESTAZIONE TELEMATICA” della cancelleria, che reca “Attestazione relativa ai dati desunti dal registro di cancelleria riferiti alla comunicazione/notificazione di cancelleria” eseguita in data 04 agosto 2015 alle ore 14,21 da ” R.S.” nei confronti di “VENETO GAETANO” (difensore costituto del ricorrente nel giudizio di appello) all’indirizzo di posta elettronica certificato “veneto.gaetano-avvocatidibari.legalmail.it”.

16. Dalla attestazione si evince che il “testo inviato con la PEC” ebbe ad oggetto “DEPOSITO SENTENZA – PUBBLICAZIONE (DISPOSITIVO LETTO IN UDIENZA) e reca la dicitura “Descrizione: “DEPOSITATA (PUBBLICATA) SENTENZA (DISPOSITIVO N. 216/2015 LETTO IN UDIENZA). Essa è riferita al Registro Numero di Ruolo Generale 509 del 2014, relativa alle parti P.F. (indicato come “Ricorr., principale”) e Comune di Matera (indicato come Resist. principale”); vi risulta indicato il nome del “Giudice” S.A. (che risulta essere il Consigliere relatore).

17. Dalla richiamata attestazione telematica “redatta automaticamente dal registro di cancelleria in data 27 gennaio 2016 alle ore 11,:07 dall’operatore ” L.G.N.” si ricava in maniera inequivoca che la comunicazione conteneva l’intero testo della sentenza oggi impugnata, che fu inviata dalla cancelleria della Corte di Appello di Potenza al difensore del P., costituito nel giudizio di appello, il giorno 4 agosto 2015 alle ore 14,21, che detta comunicazione fu accettata dal sistema in pari data ed ora e che venne consegnata al destinatario il giorno 4 agosto 2015 alle ore 14.22.

18. La circostanza che oggetto della comunicazione sia stato l’intero provvedimento oggi impugnato e non solo il dispositivo si evince anche dalla attestazione rilasciata al difensore del Comune controricorrente in data 17 febbraio 2016 (allegata al controricorso), all’esito della consultazione del programma ministeriale SICID, nella quale risulta precisato che la comunicazione è stata effettuata “come da D.L. n. 90 del 2014, art. 45, lett. b”, disposizione questa, che come sopra evidenziato, ha modificato l’art. 133 c.p.c., comma 2, sostituendo le parole: “il dispositivo” dalle seguenti: “il testo integrale della sentenza”.

19. Parte ricorrente, nella memoria ex art. 378 c.p.c., non nega che la comunicazione della sentenza sia avvenuta in forma integrale ma sostiene che la sentenza oggetto della comunicazione telematica sarebbe inidonea a far decorrere il termine, breve, per la sua impugnazione in quanto il cancelliere non avrebbe apposto, all’atto dell’inserimento nel fascicolo informatico, la firma digitale sulla copia digitalizzata dell’originale formato cartaceo della sentenza. Allega a tal fine l’attestazione rilasciata in data 1.2.2016 dal Cancelliere di Potenza nella quale si dà atto che “la sentenza allegata (alla comunicazione telematica) è stata scansionata e non firmata digitalmente poichè il funzionario che ha apposto il depositato per la pubblicazione è privo di firma digitale”.

20. La tesi è priva di giuridico fondamento, in quanto il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 convertito con modificazioni nella L. n. 221 del 2012, nel testo vigente “ratione temporis” (la comunicazione della sentenza impugnata è stata effettuata, come sopra evidenziato, il 4.8.2015) dispone che “Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere. Il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti di cui al periodo precedente ed attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico. Le copie analogiche ed informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico e munite dell’attestazione di conformità a norma del presente comma, equivalgono all’originale. Il duplicato informatico di un documento informatico deve essere prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all’ordine del giudice”. La norma precisa dunque, innovando rispetto alla precedente disciplina (D.M. n. 44 del 2011, art. 15) e prendendo atto del fatto che nella realtà fattuale non sempre la copia inserita nel fascicolo informatico conteneva la sottoscrizione del cancelliere, che la copia informatica contenuta nel fascicolo informatico equivale all’originale ancorchè priva della sottoscrizione del cancelliere.

21. il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis convertito con modificazioni nella L. n. 221 del 2012, nel testo vigente “ratione temporis deve ritenersi applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio perchè non prevede alcuna espressa delimitazione di carattere temporale ma pone, invece, l’accento sul contenuto del “fascicolo informatico”, tanto da chiarire nell’”incipit” che le copie informatiche presenti nei fascicoli informatici dei “procedimenti indicati nel presente articolo” equivalgono all’originale. Va osservato che la disposizione non avrebbe alcun ragione di essere ove fosse riferita ai soli atti per i quali, a decorrere dal 30.6.2014 è obbligatorio il Processo Civile Telematico perchè si tratterebbe all’evidenza di “atti nativi digitali”. In realtà è proprio l’apertura della norma che attesta la volontà del legislatore di estendere l’ambito di applicazione della disposizione in esame oltre l’area della obbligatorietà e addirittura della facoltatività del deposito telematico, disponendone l’applicazione a tutti gli atti “digitalizzati” in conformità al P.C.T. (quindi proprio alle copie informatiche presenti nei fascicoli informatici).

22. Sulla scorta delle considerazioni svolte in ordine alla idoneità della comunicazione telematica della sentenza impugnata in data 4.8.2005 a far decorrere il termine di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 92 il ricorso principale va dichiarato inammissibile perchè è stato notificato solo il 1.2.2016, oltre il termine indicato.

23. L’inammissibilità del ricorso incidentale determina l’inefficacia del ricorso incidentale in quanto anch’esso proposto, incontestatamente, oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, avvenuta nei confronti del procuratore costituito del Comune il 4.8.2015 (Cass. 6077 /2015, 8105/2006)).

24. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza.

25. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.
La Corte Dichiara l’inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale.

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2017


Giornata di Studio in house Cento (FE) – 21.11.2017

Locandina GdS Cento FE 2017LA NOTIFICA ON LINE

Martedì 21 novembre 2017

Comune di Cento (FE)

Municipio
Via Provenzali 18
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con la collaborazione del Comune di Cento FE

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Asirelli Corrado 4Asirelli Corrado

Resp. Servizio Notifiche del Comune di Cesena (FC)

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2017

Vedi: Depliant Giornata di Studio Cento FE 2017

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Cento 2017

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2017
  1. Comunicazione Associazione Senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000)
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza
  6. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione
  7. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  8. Documento di identità  personale del Legale Rappresentante pro tempore

Circolare 003/2017: Competenza del Messo Comunale alla notificazione degli atti inerenti i fermi amministrativi dei veicoli

CircolareANNA1Competenza del Messo Comunale alla notificazione degli atti inerenti i fermi amministrativi dei veicoli. Circolare 003/2017

Leggi: Circolare 2017-003 Competenza del Messo Comunale alla notificazione degli atti inerenti i fermi amministrativi dei veicoli

Schema di lettera utilizzabile in risposta a richiesta di procedere alla notifica del preavviso di fermo amministrativo a mezzo di Messo Comunale, avanzata sulla base delle valutazioni inerenti la natura del preavviso di fermo, ritenuto atto cautelare piuttosto che atto esecutivo.

Leggi: Lettera Restituzione atti Fermi Amministrativi 2017


Multe e atti giudiziari: arriva la gestione digitale delle notifiche

 L’Agcom ha avviato le procedure di consultazione sulle notifiche di multe e atti giudiziari da parte dei privati e le altre novità introdotte dalla legge sulla concorrenza

L’Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni è intervenuta affinché possa essere data presto attuazione alle numerose innovazioni normative introdotte dalla legge annuale per il mercato e la concorrenza. Si tratta di novità che involgono diversi ambiti, tra cui le modalità di esercizio del diritto di recesso (con costi noti a priori), l’acquisizione del consenso espresso e documentato per la fornitura dei servizi in abbonamento, nonché le modalità del sistema di notificazione dopo l’addio del monopolio di Poste Italiane.

Per dare seguito a quanto previsto dalla legge, come dichiarato in un comunicato stampa del 18 settembre (qui sotto allegato), l’Agcom ha deciso di avviare quanto prima un confronto con gli operatori così da assicurare che l’implementazione delle nuove norme sia efficace ed effettiva, in particolare quanto alle misure relative al settore postale. La legge sulla concorrenza (n. 124/2017) ha rappresentato un passaggio fondamentale per il completamento del processo di liberalizzazione dei servizi postali richiesto dall’UE, volto ad abolire qualunque forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore postale e ad adottare tutte le misure necessarie alla completa apertura del mercato Agcom ha quindi approvato un documento di consultazione (qui sotto allegato), aperto alle osservazioni degli interessati, riguardante la regolamentazione del rilascio delle licenze per le notificazioni (di atti giudiziari e violazioni codice della strada) attraverso il servizio postale, un settore liberalizzato a seguito di eliminazione dell’esclusiva riconosciuta a Poste Italiane.

Nel documento sono esposti gli orientamenti che l’Autorità intende seguire nella regolamentazione, ad esempio i requisiti che gli operatori dovranno possedere per svolgere il servizio, nonché gli obblighi a cui saranno sottoposti per assicurare la massima correttezza nello svolgimento dell’attività, e sono altresì avanzate nuove proposte. Venuto meno il monopolio di Poste sui servizi di notificazione e comunicazioni circa atti giudiziari e multe, la legge ha stabilito che spetti ad Agcom, sentito il Ministero della giustizia ed entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, la determinare obblighi e requisiti per il rilascio delle licenze individuali per lo svolgimento del servizio. Gli obblighi dovranno rispettare parametri attinenti “alla sicurezza, alla qualità, alla continuità, alla disponibilità e all’esecuzione dei servizi medesimi”, i requisiti, invece, dovranno essere delineati alla luce delle richiamate nozioni di affidabilità, professionalità e onorabilità dei richiedenti.

Le “nuove” licenze andranno rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico e l’Autorità non manca di valutare che quanto stabilito andrà letto tenendo presente il decreto legislativo, di cui il Consiglio dei ministri ha recentemente approvato lo schema, recante disposizioni integrative e correttive al Codice dell’amministrazione digitale. Poiché il settore della licenza in materia di notifica a mezzo servizio postale si caratterizza per un regime più rigoroso rispetto a quella ordinaria, per l’Agcom appare necessario non solo richiamare in toto le previsioni applicabili a quest’ultima tipologia di licenza, ma anche specificare obblighi e requisiti aggiuntivi che andranno specificati con riferimento al servizio di notificazione. Lo stesso anche per quanto riguarda le norme sui titoli abilitativi (rilascio, diffida, sospensione e revoca del titolo, etc.). Tutto ciò allo scopo di tutelare l’interesse pubblico alla massima sicurezza e correttezza nello svolgimento di tale attività, ad esempio assicurando al destinatario della notificazione il diritto fondamentale a essere messo in grado di conoscere il contenuto dell’atto. All’uopo risulta necessario che l’operatore sia un soggetto qualificato affinché venga scongiurato ogni tipo di disservizio e criticità e andranno evitati procedimenti segmentati di notificazione.

Inoltre, va preservato anche l’interesse del mittente a poter scegliere l’offerta individuando, a priori, con garanzie di certezza e trasparenza, il soggetto al quale affidarsi anche al fine di determinare eventuali responsabilità. Trattandosi di attività delicata, per l’Autorità dovranno essere individuati operatori che rispondano ai menzionati requisiti di affidabilità, professionalità e onorabilità per tutte le tipologie di licenza a mezzo posta (in ambito regionale e nazionale, per atti giudiziari e per le multe) che dovranno esserci all’atto della presentazione della domanda e permanere per tutta la durata della licenza. La perdita anche di uno solo dei requisiti richiesti comporterà automaticamente la decadenza dalla licenza che verrà dichiarata dal Ministero dello sviluppo economico, il quale a tale scopo potrà svolgere controlli periodici per verificarne la permanenza.

Tra le soluzioni innovative che alcuni operatori stanno già proponendo all’utenza sempre più attratta dall’utilizzo dei servizi digitali, l’Autorità evidenzia la dematerializzazione e la digitalizzazione di fasi del procedimento di notificazione. Si tratta, ad esempio, della possibilità offerta ai destinatari di ritirare la posta raccomandata inesitata attraverso modalità digitali, scaricando l’invio digitalizzato connettendosi alla rete da qualsiasi punto e previa digitazione di apposite user id e password (e in un prossimo futuro, probabilmente, anche attraverso l’utilizzo del più semplice SPID). La gestione digitale di alcune fasi del procedimento di notifica e in particolare, di quella di recapito digitale dell’avviso di ricevimento, sembrerebbe in linea con le norme della legge 890/1982 che già prevedevano, in un diverso scenario tecnologico, la possibilità di utilizzare modalità alternative.

Laddove la modifica digitale fosse adottata anche soltanto per l’avviso di ricevimento degli atti giudiziari (uno degli aspetti più problematici dell’intera procedura di notifica), secondo l’Autorità il mercato dei servizi postali ne trarrebbe notevole giovamento, generando anche indubbi vantaggi per l’utenza servita grazie al possibile abbattimento dei costi relativi alla restituzione fisica al mittente. L’Agcom ritiene pertanto opportuno prevedere che, in sede di domanda per ottenere il rilascio della licenza il richiedente si impegni a realizzare, nel triennio successivo, un piano per la gestione digitale di alcune fasi del procedimento di notificazione. Continuità e disponibilità del servizio, secondo l’Autorità, potranno essere meglio garantiti introducendo obblighi quanto alla capillarità dei punti di raccolta e di consegna degli invii, nonché consentendo al destinatario di ritirare l’invio inesitato anche nelle ore pomeridiane.

Per ridurre al minimo l’onere del destinatario di recarsi presso una struttura fisica dell’operatore per ritirare la corrispondenza che non è stato possibile consegnare al destinatario, andrebbe prevista non solo un’adeguata diffusione dei punti di giacenza (con distribuzione omogenea in base alla popolazione e all’ambito territoriale), ma anche misure alternative, come la consegna su appuntamento, che assicurino, con continuità e certezza, la corretta gestione dell’invio inesitato attraverso il contatto con il cliente.

Ancora, al destinatario dovrà essere consentito di ritirare l’invio postale presso la struttura in cui è giacente (indicata nell’avviso) in un orario compreso almeno tra le ore 9.00 e le 19.00. A tal fine, le strutture dovranno essere aperte almeno due pomeriggi a settimana e almeno dalle ore 15.30 alle ore 19.00 oltre che il sabato mattina (orari e giorni compatibili con la normale attività lavorativa).

Leggi: AGCOM consultazione pubblica su regolamentazione del rilascio delle licenze 2017

Leggi: AGCOM Documento sulla regolamentazione del rilascio delle licenze 2017


Riunione Consiglio Generale del 02.12.2017

Ai sensi dell’art. 15 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà sabato 2 dicembre 2017 alle ore 8:30 presso il Comune di Cesena (FC) – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2017;

2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2018;

3. Situazione economica/finanziaria;

4. Attività formativa 2017/2018;

5. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale Riunione Consiglio Generale del 02 12 2017


Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 18/07/2017) 22/09/2017, n. 22086

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11570/2015 proposto da:

M.T.L. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTON GIULIO BARRILI 49, presso il Dott. DANIEL DE VITO, rappresentata e difesa dall’avvocato VALERIO FREDA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3919/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/10/2014.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/07/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l’incidentale;

uditi gli avvocati Valerio Freda per la parte ricorrente e Fabio Tortora per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Svolgimento del processo
La M.T.L. s.r.l. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 74983, notificata il 9.2.2010, con la quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 20.759,00 per avere effettuato con la Cassa Arianese di Mutualità a r.l. transazioni finanziarie in contanti, senza il tramite di intermediari abilitati, in violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, convertito in L. n. 197 del 1991.

Resistendo il Ministero, il Tribunale di Ariano Irpino con sentenza n. 558/10 accoglieva l’opposizione, ritenendo estinta la sanzione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, per l’omessa notifica del verbale d’accertamento e di contestazione dell’illecito e la conseguente prescrizione ex art. 28 stessa legge.

L’appello principale del Ministero dell’Economia e delle Finanze era accolto dalla Corte distrettuale di Napoli, con sentenza n. 3919 del 3.10.2014.

I giudici del gravame escludevano, tra l’altro, la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, ritenendo provato documentalmente che il verbale di contestazione del 25 gennaio 2005 – che identificava come responsabili della violazione la società ed il suo rappresentante Ludovico Miele fosse stato notificato l’8 febbraio 2005 nei confronti della società MTL e, per essa, del suo legale rappresentante Miele. La Corte distrettuale riteneva pure infondata l’eccezione di prescrizione dell’azione e la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 (essendosi proceduto nei confronti della società, coobbligata in solido con l’autore materiale dell’infrazione, pur non essendosi, in realtà, irrogata sanzione a quest’ultimo per intervenuta decadenza).

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M.T.L. di M.L. e T. s.n.c., sulla base di otto motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale articolato in due motivi.

La causa, rimessa con ordinanza della seconda sezione civile al primo Presidente per il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte in ordine all’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 e 14, uc., è stata assegnata a queste S.U..

Il ministero ha depositato memoria.

Motivi della decisione
1. – Il primo motivo di ricorso principale denuncia l’omesso esame d’un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene parte ricorrente che la Corte d’appello, nell’escludere la decadenza del Ministero ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, per essere stata notificata la contestazione dell’illecito l’8 febbraio 2005 nei confronti della società MTL e, per essa, del suo legale rappresentante M.L., non avrebbe tenuto conto di tre fatti decisivi. E cioè che la notifica è avvenuta presso l’abitazione di M.L. e non presso la sede legale; che la relata indicava essere avvenuta la notificazione a quest’ultimo previa sua identificazione; e che la nullità di tale notificazione alla MTL sarebbe stata ammessa dallo stesso Ministero nel proprio atto d’appello. Fatti da cui, sostiene parte ricorrente, deriverebbe che la notificazione sarebbe avvenuta non alla società ma al suo legale rappresentante in proprio, quale autore materiale della violazione amministrativa.

2. – Il motivo è manifestamente infondato.

Premessa l’applicabilità alla fattispecie, ratione temporis, del testo dell’art. 145 c.p.c., comma 2, anteriore alla modifica apportatavi dalla L. n. 263 del 2005, è sufficiente osservare che in tema di notifiche a società prive di personalità giuridica, qualora non sia stata tentata la notificazione nella sede indicata nell’art. 19 c.p.c., secondo il disposto dell’art. 145, comma 2, la notificazione stessa non può essere eseguita secondo la forma sussidiaria di cui del citato art. 145, u.c. (cioè secondo le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.), ancorchè risulti indicata nell’atto la persona fisica del rappresentante della società, ma può ritualmente avvenire soltanto mediante consegna nelle mani dello stesso rappresentante, ovunque reperito, e non anche nelle mani di persona di famiglia dello stesso (Cass. nn. 1856/84, 8402/00 e 20104/06). E nella specie la notificazione è avvenuta, appunto, a mani proprio del legale rappresentante della MTL. Esclusa la nullità di tale notificazione è esclusa in partenza anche l’astratta proponibilità del ragionamento sillogistico avanzato da parte ricorrente, che da tale – insussistente invalidità intenderebbe dedurre che la contestazione sarebbe riferibile non alla società ma al suo legale rappresentante, quale autore del fatto illecito, il tutto attraverso la commistione concettuale tra l’atto, espressamente indirizzato alla società, e la relativa sua notifica.

3. – Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2943 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte territoriale erroneamente attribuito efficacia interruttiva del decorso della prescrizione quinquennale alla lettera di convocazione del 22 settembre 2009 indirizzata a tale M.A. e non alla MTL. 4. – Il motivo è infondato sotto due profili.

Quanto al primo, va osservato che l’accertamento della decorrenza, interruzione, sospensione della prescrizione costituisce indagine di fatto demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata e congrua motivazione e non inficiata da errori logici o di diritto (Cass. nn. 23821/10, 17157/02, 9016/02, 1710/68 e 2839/66).

Nella specie, la Corte territoriale ha fornito ampia – e dunque non sindacabile – giustificazione delle ragioni in virtù delle quali la lettera di convocazione del 22.9.2009 doveva ritenersi riferita anche alla posizione della MTL, società che insieme con altre era assistita dall’avv. Freda, estensore, a sua volta, di deduzioni difensive anche nell’interesse di M.A.. Sebbene non indirizzata alla MTL, tale missiva, ha osservato la Corte, faceva esplicito riferimento alla convocazione dei titolari di altre posizioni, tutte rappresentate dal medesimo legale, tra cui anche quella il cui identificativo numerico era riferibile alla MTL. Ne deriva che le repliche proposte al riguardo dalla parte ricorrente introducono e pretendono un accertamento di natura puramente fattuale, del tutto incompatibile con i limiti che l’ordinamento assegna al giudizio di legittimità.

Quanto al secondo profilo, si rileva che in base alla costante giurisprudenza di questa Corte il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).

E nella specie il ricorso non contiene alcuna dimostrazione della presenza, nella sentenza impugnata, di affermazioni che espressamente o implicitamente contrastino con la corretta interpretazione dell’art. 2943 c.c., quale si desume dalla giurisprudenza di questa S.C. 5. – Il terzo mezzo d’impugnazione allega la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 6, 7 e 14, per avere la Corte d’appello escluso che la società odierna ricorrente, coobbligata in via solidale, potesse beneficiare dell’estinzione per l’intervenuta decadenza ex art. 14, u.c., Legge cit., riconosciuta, in favore dell’autrice materiale dell’illecito amministrativo, nel medesimo provvedimento ingiuntivo opposto. Richiama a sostegno Cass. nn. 23871/11 e 3879/12, in base alle quali la responsabilità solidale della società per gli illeciti amministrativi posti in essere dai suoi legali rappresentanti o dipendenti è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore dell’infrazione.

6. – Tale motivo solleva la questione rimessa a queste S.U., che sono chiamate a dirimere il contrasto di giurisprudenza formatosi sull’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, uc..

6.1. – L’interpretazione di tale norma, la quale dispone che l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto, ha dato luogo alla formazione di due distinti indirizzi sulla sorte dell’obbligazione gravante sull’obbligato solidale, allorchè si sia estinta quella a carico del trasgressore (è pacifico, invece, che l’estinzione dell’obbligazione di un responsabile in solido non produca pari effetti estintivi dell’obbligazione gravante sugli altri responsabili solidali: cfr. sentenze nn. 9830/00 e 9557/92).

Secondo un primo orientamento, espresso dalle sentenze nn. 23871/11 e 26387/08, dall’estinzione dell’obbligazione di colui che ha, in concreto, commesso la violazione amministrativa, deriva anche l’estinzione dell’obbligazione a carico del condebitore solidale, dovendosi riconoscere carattere principale all’obbligo incombente sul primo dei due soggetti. Ciò in virtù del rapporto di accessorietà e dipendenza della posizione dell’obbligato solidale rispetto a quella dell’autore materiale e principale della violazione, nei cui confronti il primo non avrebbe potuto esercitare il diritto di regresso previsto dallo stesso art. 6, al comma 4, una volta estintasi nei confronti di lui l’obbligazione sanzionatoria per mancata notificazione.

Ad esito opposto è pervenuta, invece, la sentenza n. 4342/13 (non massimata), secondo cui l’effetto estintivo della pretesa sanzionatoria è limitato, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., al soggetto nei cui confronti non sia stata eseguita la notifica. “In altre parole”, soggiunge tale pronuncia, “l’obbligato solidale per la sanzione amministrativa non equivale a un obbligato solidale nell’ipotesi d’insolvibilità del condannato. Deve dunque riconoscersi l’autonomia della posizione dei due obbligati, in relazione alla quale non esiste un legame necessario tra le due obbligazioni per cui l’una può sussistere anche se l’altra fosse estinta (Cass. S.U. 29.1.1994 n. 890)”.

A sua volta, la questione in esame incrocia il costante orientamento di questa Corte in base al quale il disposto della L. n. 689 del 1981, art. 7 (“l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi”) e quello dell’art. 6, u.c. (per cui l’obbligato solidale che ha pagato “ha diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore della violazione”) sono espressione del principio di personalità che governa la responsabilità nell’illecito amministrativo, per cui la morte dell’autore della violazione determina non solo l’intrasmissibilità agli eredi di lui dell’obbligo di pagare la somma dovuta per la sanzione, ma anche l’estinzione dell’obbligazione a carico dell’obbligato solidale. A tale ultimo riguardo, infatti, si afferma che ai sensi dell’art. 6 cit. questi non è un obbligato sussidiario per le ipotesi di insolvibilità del condannato o di pratica difficoltà di identificare l’autore della violazione – in quanto si tratta di obbligazione solidale nell’interesse esclusivo di uno solo degli obbligati, senza alcun riparto nei rapporti interni, a norma dell’art. 1298 c.c. – e neppure si può configurare, a suo carico, una responsabilità diretta per culpa in eligendo o in vigilando. Nell’affrontare l’obiezione che fa leva sulla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., detta giurisprudenza rileva la profonda distinzione tra la causa estintiva prevista dall’art. 7 e quella indicata nell’art. 14. Mentre, nella prima, la morte incide sull’illecito, facendolo venir meno a causa del carattere personale della responsabilità amministrativa disciplinata dalla L. n. 689 del 1981, nella seconda l’illecito permane, venendo meno soltanto la possibilità per la P.A. di applicare la sanzione, a causa di un ostacolo procedimentale di essenziale rilievo (perchè attinente all’esercizio del diritto di difesa) (così, in particolare, la sentenza n. 2064/94, la quale tuttavia non coglie la contraddizione tra la propria precedente affermazione, per cui l’obbligazione solidale sarebbe di tipo dipendente ex art. 1298 c.c., e la successiva conclusione raggiunta interpretando l’art. 14, u.c., nel senso della permanenza della responsabilità del coobbligato solidale nonostante si sia estinta l’obbligazione del trasgressore; in senso conforme, v. le sentenze nn. 5717/11, 1193/08, 2501/00 e 3245/97).

La conseguenza (sempre secondo Cass. n. 2064/94) è che, a differenza del caso di morte del trasgressore, nell’ipotesi contemplata dell’art. 14 cit., u.c., l’obbligato solidale che ha pagato la sanzione ha diritto di regresso per l’intero contro l’autore della violazione, il quale, ovviamente, potrà, nel relativo giudizio, sostenere la propria assenza di responsabilità in ordine alla violazione, determinando un accertamento giudiziale incidenter tamtum sul punto e con effetti solo nei rapporti interni (e non anche rispetto all’Amministrazione).

6.2. – Queste Sezioni Unite si sono occupate della solidarietà passiva nell’ambito dell’illecito amministrativo con la sentenza n. 890/94 (preceduta dalla n. 4405/91 della prima sezione civile), allorchè hanno affermato che l’identificazione del trasgressore non è un requisito di legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, ancorchè necessaria per esperire l’azione di regresso della L. n. 689 del 1981, ex art. 6, ovvero ai fini della prova della violazione nel giudizio di opposizione o della valutazione della motivazione del provvedimento sanzionatorio o, infine, della contestazione dei presupposti della solidarietà, in relazione ai rapporti fra il trasgressore ed il coobbligato.

In tale occasione le S.U., riprendendo le motivazioni del parere del Consiglio di Stato n. 1523 del 1987, hanno precisato: a) che l’assoggettamento a sanzione dell’obbligato solidale (sia esso una persona fisica come l’imprenditore individuale o un soggetto collettivo) non presuppone necessariamente l’identificazione dell’autore della violazione alla quale la sanzione stessa si riferisce; b) che l’autonomia delle posizioni dei due obbligati si desume chiaramente dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c.; c) che dunque non vi è un legame necessario tra le due obbligazioni, l’una potendo sussistere anche se l’altra si è estinta; d) che, pertanto, l’identificazione dell’autore del fatto può assumere eventualmente carattere di necessità solo per finalità di ordine probatorio; e) che la previsione dell’azione di regresso di cui della L. n. 689 del 1991, art. 6, u.c., è autonoma rispetto alla responsabilità per la sanzione amministrativa e l’eventualità che ne Sia impossibile l’esercizio non può far venire meno l’obbligazione del debitore solidale.

Granitica, ne è scaturita la giurisprudenza successiva, la quale ha riaffermato che l’identificazione e l’indicazione dell’autore materiale della violazione non costituiscono requisito di legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, in quanto la ratio della responsabilità di quest’ultimo non è quella di far fronte a situazioni d’insolvenza del trasgressore, bensì quella di evitare che l’illecito resti impunito quando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto e sia, invece, facilmente identificabile l’obbligato solidale a norma della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1 (v. sentenze nn. 145/15, 11643/10, 24573/06, 2780/04, 4725/04, 18389/03, 7909/02, 357/00, 19861988/97, 1979-1982/97, 1969-1977/97, 1960/97, 1402/97, 1114/97, 590-606/97, 558-573/97 e 172/97).

6.3. – Ne risulta – occasionato dalle diverse e interagenti questioni sul tappeto – un quadro giurisprudenziale composito nelle premesse d’ordine sistematico e nelle soluzioni fornite, che trova riscontro nelle discordanti opinioni di dottrina sulla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c..

Secondo alcuni autori, infatti, detta norma si riferirebbe soltanto all’ipotesi di responsabilità correale o di mancata notificazione nei confronti del responsabile in solido; con la conseguenza che l’omessa contestazione o notificazione nei confronti dell’obbligato in via principale precluderebbe l’accertamento dell’illecito amministrativo anche nei confronti dell’obbligato solidale.

Altri motiva la soluzione opposta in considerazione del fatto che, diversamente, resterebbero non sanzionabili le violazioni commesse da un autore rimasto ignoto; e che l’obbligazione del responsabile solidale dipende non dalle sorti dell’obbligazione principale, ma dalla stessa commissione del fatto illecito.

In ogni caso, entrambe le posizioni avvertono come imprescindibile il coordinamento dell’art. 14, u.c., con la L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c.. Ipotizzata la sopravvivenza dell’obbligazione del responsabile in solido, nonostante l’estinzione di quella gravante sull’autore dell’illecito per mancata contestazione e tardiva od omessa notificazione, l’azione di regresso è ritenuta autonoma, fondata su di un normale rapporto di diritto privato e, dunque, esperibile nonostante il trasgressore resti liberato verso la P.A. Viceversa, nell’ambito della tesi che considera di natura dipendente l’obbligazione del responsabile solidale, assunta l’impossibilità del regresso per effetto dell’estinzione dell’obbligazione principale, se ne trae argomento per concludere che anche il responsabile in solido debba restare esentato dal pagamento della somma dovuta a titolo di sanzione.

6.4. – Regresso per l’intero ed estinzione dell’obbligazione del responsabile non destinatario di tempestiva notificazione – scilicet, della L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c. e art. 14, u.c. – costituiscono, pertanto, le due polarità (come tali dotate di cariche opposte) entro cui operano le alternative ricostruzioni sistematiche.

La prima muove dall’inquadramento del regresso, in quanto previsto per l’intero, nell’ambito della previsione dell’inciso finale dell’art. 1298 c.c., comma 1, che istituisce il nesso tra le due obbligazioni, principaliter e in via solidale, in chiave di accessorietà-dipendenza. Così allineata, la solidarietà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6, al di là della ratio sottesa all’individuazione normativa delle categorie dei responsabili solidali, esprime soltanto il rafforzamento del credito dell’amministrazione sanzionante in un’ottica di pura garanzia. Benchè innestata in un ambito pubblicistico mirato alla sanzione, e dunque a finalità di tipo afflittivo, la solidarietà nell’illecito amministrativo opera, secondo tale impostazione, in senso dichiaratamente e interamente privatistico attraverso il diritto di regresso. Ne deriva di necessità la perdita di tale garanzia ove l’obbligazione del responsabile dell’illecito si sia estinta ai sensi dell’art. 14, u.c., detta legge, essendo quella del responsabile solidale ex art. 6 un’obbligazione dipendente, benchè non assistita nè da clausola di sussidiarietà nè da beneficio di escussione. Ulteriore corollario, la possibilità per l’obbligato principaliter evocato in regresso di far valere contro il solvens responsabile in solido l’eccezione di estinzione della propria obbligazione, in base alla piana applicazione dell’art. 1203 c.c., n. 3 (sul regresso ex art. 1299 c.c., quale fattispecie di surrogazione legale, con la conseguenza che al condebitore che ha pagato il debito comune sono opponibili non solo le eccezioni relative al rapporto interno di solidarietà, ma anche quelle opponibili al creditore, relativamente a limitazioni, decadenze e prescrizioni inerenti al diritto che ha formato oggetto di surrogazione, cfr. Cass. nn. 7217/09, 4507/01, 1818/81, 1744/72 e 1952/71).

La seconda opzione procede in senso inverso. L’espressa limitazione dell’effetto estintivo dell’obbligazione al solo soggetto nei cui confronti sia mancata la notifica tempestiva, è indice di una duplicità e dunque di un’autonomia di livelli: pubblicistico nel rapporto tra obbligato principaliter, obbligato in via solidale e P.A.; privatistico in quello intercedente tra i primi due nel caso di avvenuto pagamento da parte dell’obbligato solidale. Nel quale ultimo rapporto interno permane, intatto, il diritto di regresso per l’intero del solvens, a nulla rilevando, proprio in virtù di detta autonomia, la circostanza che l’obbligato in via principale sia esente da responsabilità verso l’Amministrazione. L’estinzione dell’obbligazione di quest’ultimo resta così vanificata quoad effectum, ma solo dal punto di vista economico e in linea eventuale, sempre che il regresso stesso non sia obbligatorio per legge.

6.4.1. – Meno sostenibile (e in effetti non riscontrata nè in dottrina nè nella giurisprudenza di questa Corte) l’ipotesi terza e mediana, in base alla quale pur restando in vita l’obbligazione verso la P.A. del responsabile solidale nonostante l’estinzione dell’obbligazione gravante sull’autore dell’illecito amministrativo, il primo perderebbe l’azione di regresso verso il secondo.

Vi si oppongono diverse considerazioni. In linea generale, rispetto alla solidarietà passiva il regresso costituisce (secondo la migliore e più recente dottrina) un profilo fondante e non già un accessorio della disciplina, e dunque non pare possibile prescinderne.

Intuitive ragioni di equità interpretativa, poi, escludono che il diritto di agire in regresso possa venir meno per un mero accidente – la mancata o intempestiva notificazione al trasgressore – per di più ascrivibile alla condotta della stessa P.A. creditrice. Nè ipotizzare un regime di eccezione per il caso di colpa di quest’ultima o almeno una più limitata exceptio doli generalis varrebbe a ricomporre il sistema. Dipendendo da tali (pur ragionevoli) correttivi pretori, questo ne risulterebbe eccessivamente in debito per potersi imporre quale soluzione auto-verificabile. Non senza osservare che il meccanismo di accertamento della responsabilità del coobbligato solidale ne risulterebbe appesantito, aprendosi alla possibilità di defatiganti questioni preliminari sull’adeguatezza del comportamento degli uffici pubblici.

Ancora, una cosa è la concreta efficacia del regresso, omogenea alla solidarietà quale tecnica di deviazione del rischio d’insolvenza, altra ne è l’esclusione de iure per fatto non imputabile all’obbligato solidale. Allocategli le conseguenze dell’illecito amministrativo senza possibilità di rivalsa interna, questi verrebbe ad essere parificato all’obbligato in via principale; ma a differenza di lui non avrebbe la possibilità di provare l’assenza di (una propria) colpa, restando tenuto alle più gravose condizioni di cui ai primi tre commi della L. n. 689 del 1981, art. 6. Il che esporrebbe una siffatta ricostruzione a fondati dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo dell’art. 3 Cost..

Nè varrebbe replicare che anche l’obbligato in solido può confutare l’esistenza dell’illecito sotto ogni profilo, oggettivo e soggettivo. Non altrimenti bilanciata sul piano sostanziale mediante l’attribuzione del regresso per l’intero, la minore vicinanza alla prova del responsabile in solido rispetto all’autore dell’illecito segnalerebbe una recessione di difesa, anch’essa di dubbia legittimità in base all’art. 24 Cost..

Inoltre, il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 12, comma 1 (codice delle assicurazioni private), vietando le assicurazioni che abbiano ad oggetto il trasferimento del rischio di pagamento delle sanzioni amministrative, suggerisce che neppure all’Amministrazione sia dato dirottarne irretrattabilmente e in maniera potestativa il peso economico.

Infine, nessuna delle (pur diverse) premesse sistemiche delle tesi sopra richiamate sarebbe compatibile con soluzioni terze, che ammettessero come possibile la responsabilità in solido deprivata della valvola del regresso. Infatti, l’obbligazione solidale dipendente presuppone, inalienabile, il regresso per l’intero; e per contro, l’autonomia dei due livelli di rapporto sterilizza la propagazione effettuale dell’uno (P.A./responsabile in via principale) all’altro (responsabile solidale/autore dell’illecito), e dunque l’estinzione del primo rapporto, operante a livello pubblicistico, non sarebbe argomento spendibile per dimostrare l’estinzione (anche) del secondo, rilevante a livello privatistico.

7. – Questi essendo i termini essenziali del contrasto, la conferma dell’indirizzo seguito dalle S.U. del 1994 procede attraverso alcune puntualizzazioni in chiave sistematica.

In quell’occasione le S.U., chiamate a risolvere la questione della permanenza o non della responsabilità solidale nel caso in cui l’autore dell’illecito amministrativo fosse rimasto ignoto, istituirono un nesso tra l’autonomia delle due obbligazioni (in via principale e in via solidale) e la conclusione affermativa. Nesso che, però, a ben vedere è tutt’altro che coessenziale alla soluzione raggiunta, ove si consideri che anche nell’illecito di diritto civile la solidarietà non richiede affatto che tutti gli obbligati siano noti (cfr. in motivazione Cass. n. 3630/04). Conclusione, questa, del tutto pacifica che a sua volta non richiede di aderire alla tesi per cui l’obbligazione solidale consta di una pluralità di rapporti obbligatori individuali. Il che suggerisce di non postulare, ma di verificare ed eventualmente fondare altrimenti la ridetta autonomia.

L’affermazione più durevole di S.U. n. 890/94, da allora in poi riprodotta costantemente nella giurisprudenza delle sezioni semplici, è che la ratio della responsabilità solidale L. n. 689 del 1981, ex art. 6, non è quella di far fronte a situazioni d’insolvenza dell’autore della trasgressione, bensì di evitare che l’illecito resti impunito. Detta asserzione, la quale attrae la responsabilità in solido L. n. 689 del 1981, ex art. 6, verso un orizzonte di tipo punitivo-repressivo che fa premio sulla pura esigenza di garanzia, è in sè esatta perchè segna la distanza con le omologhe previsioni degli artt. 196 e 197 c.p. (o della L. n. 4 del 1929, artt. 9 e 10), che contemplano un’obbligazione sostitutiva solo “in caso di insolvibilità del condannato”; ma la sua enunciazione, o meglio quanto ordinariamente se ne è dedotto, si presta ad un possibile equivoco.

Dall’art. 1293 c.c., in base al quale la solidarietà passiva non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse, si desume anche l’ovvia proposizione reciproca per cui l’assenza di modalità distinte, a sua volta, non esclude la solidarietà. E allora affermare che la previsione dell’art. 6 cit. non mira a rimediare all’insolvenza del responsabile principale, non vuol dire ancora nulla sulla possibilità di declinare al singolare o al plurale il rapporto obbligatorio dei vari soggetti responsabili, e di trarre conclusioni sul tema in oggetto.

Piuttosto, è vero che la solidarietà ex art. 6 cit. opera per facilitare la riscossione a prescindere dall’effettiva insolvenza dell’obbligato principale, e che la P.A. ha il potere di rivolgersi direttamente ed esclusivamente al terzo obbligato in solido, ove lo ritenga maggiormente e più facilmente solvibile, e di sanzionare lui soltanto a sua insindacabile scelta. Ragion per cui deve escludersi che la L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 2, imponga di irrogare la sanzione congiuntamente al trasgressore e ai coobbligati solidali.

Detto principio è ben espresso da Cass. nn. 4342/13, 4688/09, 23783/04 e 1144/98, in base alle quali il vincolo intercorrente tra l’autore materiale della violazione e la persona giuridica di cui è prevista la responsabilità solidale consente all’autorità amministrativa competente di agire contro ambedue gli obbligati oppure contro uno o l’altro, ferma restando la necessità che il soggetto in concreto chiamato a rispondere si sia visto contestare o notificare la violazione, così da essere in grado di far pervenire alla P.A. ogni possibile deduzione difensiva.

Coerente a ciò è quanto chiarito da Cass. nn. 7884/11, 16661/07 e 10798/98, secondo cui il vincolo che intercede, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, tra l’autore materiale della violazione e la persona giuridica di cui è prevista la responsabilità solidale, assume rilevanza nel solo caso in cui l’Amministrazione se ne avvalga in concreto (irrogando la sanzione anche al corresponsabile in solido), e non quando la contestazione risulti mossa nei confronti del solo autore materiale. A quest’ultimo, pertanto, non è riconosciuto alcun interesse a rappresentare, in sede di opposizione all’ordinanza ingiunzione, la mancata contestazione (anche) al coobbligato solidale. Infatti, l’effetto estintivo della pretesa sanzionatoria è limitato al soggetto nei cui confronti non è stata eseguita la notifica (L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c.).

Altrettanto consequenziale e del tutto pacifico è che legittimato ad opporsi all’ordinanza d’ingiunzione sia il solo soggetto contro cui è emesso il provvedimento. Così, è stato affermato che il conducente del veicolo col quale sia stata commessa l’infrazione al codice della strada non è legittimato ad opporsi all’ingiunzione emessa soltanto a carico del proprietario del mezzo, responsabile in solido della violazione, trovando, in questo caso, la legittimazione a ricorrere fondamento nell’esistenza di un interesse giuridico alla rimozione di un atto del quale il ricorrente sia destinatario, mentre il fatto di essere esposto ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di fatto (Cass. nn. 18474/05 e 6549/93; in senso analogo, in materia di sanzione irrogata dall’allora Ministero del Tesoro su proposta della Consob, Cass. nn. 5139/07 e 23783/04; v. ancora, in altre materie, Cass. nn. 17617/11, 14098/06, 10681/06, 19284/05, 11763/04, 13283/03, 12240/03, 15830/02, 16154/01, 14635/01, 13588/01, 3543/98, 2816/98, 1910/98, 12515/97, 7718/97, 5833/97, 6573/96 e 1318/92).

Ma – il punto è da precisare – l’autonomia delle posizioni dei soggetti a vario titolo responsabili non vuol dire che la stessa P.A. non debba procedere nei confronti di tutti, come si desume inequivocabilmente dai primi due commi dello stesso art. 14 sulla contestazione immediata o sulla notificazione, che devono avvenire nei confronti dei trasgressori e dei coobbligati solidali; il che conferma il generale principio di obbligatorietà dell’azione contro tutti i responsabili (direttamente desumibile, a sua volta, dai principi costituzionali di uguaglianza, buon andamento della pubblica amministrazione e doverosità della funzione pubblica).

Se dunque la P.A. deve procedere congiuntamente entro il termine di decadenza di cui all’art. 14, comma 2, contro tutti i soggetti obbligati che le siano noti, ma poi può sanzionare isolatamente entro il termine di prescrizione fissato dall’art. 28 solo alcuni di loro a sua libera scelta, vuol dire che il rapporto sanzionatorio non è unitario (nel senso di inscindibile), ma è declinabile al plurale come in ogni caso di solidarietà (e in tal senso depongono, del resto, i precedenti di S.U. n. 20935/09 e nn. 18075/04, 5833/97, 6573/96 e 1318/92, che escludono ogni ipotesi di litisconsorzio necessario; contra la sola n. 415/98).

8. – Sebbene coessenziale al funzionamento di tale responsabilità in solido, il regresso per l’intero previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c., non appare elemento sufficiente a inclinare verso una ricostruzione dell’obbligo, gravante sui responsabili solidali, in chiave di accessorietà-dipendenza rispetto all’obbligazione del trasgressore.

La responsabilità solidale in tema di illecito amministrativo è tutt’altro che nuova nell’ordinamento. Quella della persona rivestita di autorità o incaricata della direzione o della vigilanza nonchè delle persone giuridiche private per le violazioni commesse dal rappresentante, dall’amministratore o dal dipendente era già contemplata della L. n. 4 del 1929, art. 12 (sulla repressione delle violazioni finanziarie) e della L. n. 706 del 1975, art. 3, comma 2 (sul sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l’ammenda); così la responsabilità del proprietario del veicolo era prevista sia della L. n. 317 del 1967, art. 3, comma 1 (recante modificazioni al sistema sanzionatorio delle norme in tema di circolazione stradale e delle norme dei regolamenti locali), sia della L. n. 706 del 1975 (riferendosi, quest’ultima, al più generico concetto di “cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione”). Ed ulteriori ipotesi di solidarietà erano e sono previste, poi, in materia tributaria e dal codice della strada.

Ciò che in passato restava non disciplinato era il regresso per l’intero, su cui tali precedenti, pur senza minimamente escluderlo, nulla disponevano.

La non parziarietà dell’obbligazione nel rapporto interno fra il trasgressore e il corresponsabile solidale, rapporto che sorge se ed in quanto quest’ultimo abbia pagato la somma dovuta a titolo di sanzione, non basta a ricondurre la fattispecie all’inciso finale dell’art. 1298 c.c., comma 1 e ad innescare la relativa deduzione sillogistica sulla natura dipendente di tale solidarietà. Infatti, l’obbligazione ex art. 6 non è contratta nell’interesse dell’autore della violazione o di qualsivoglia altro consorte (come avviene nelle ipotesi di garanzia fideiussoria, generalmente richiamata nel commentare l’ultimo inciso dell’art. 1298 c.c., comma 1, garanzia che sebbene negoziata con il creditore è pur sempre funzionale all’interesse del debitore principale, che diversamente non potrebbe accedere al credito). Tale obbligazione, invece, è prevista ex lege nel solo ed esclusivo interesse della P.A. creditrice, al duplice scopo di agevolare la riscossione della somma dovuta e di evitare che l’illecito resti impunito (interessi, questi ultimi, che evidentemente non sono riferibili al trasgressore).

Il regresso per l’intero, dunque, nell’assolvere la sua funzione di allocare definitivamente il peso economico della sanzione sull’autore del fatto illecito, e di definire così gli effetti delle due responsabilità, quella in via principale e quella in via solidale, nulla predica sulla natura, dipendente o autonoma, dell’obbligazione solidale nel rapporto esterno con l’Amministrazione.

Pressochè nullo, poi, è l’apporto derivante dai casi di obbligatorietà del regresso.

Già previsto nel settore bancario e in quello dell’intermediazione finanziaria, rispettivamente, dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145, comma 10 e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9, l’obbligatorietà del regresso è stata abrogata dal D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 1, comma 53, lett. n). Essa permane, tuttavia, in base dello stesso D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, comma 4, per le violazioni commesse dai consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede; sicchè, in definitiva, si è in presenza di una disciplina troppo discontinua, disorganica e dipendente dall’interferenza di altri fattori (la tutela dei soci o dei risparmiatori) per offrirsi a considerazioni di carattere generale.

Se ne deve concludere che, quantunque stabilito per l’intero e coessenziale alla tenuta stessa del sistema, il regresso operi ad un livello esclusivamente privatistico di riequilibrio interno, che non comunicando con quello di rilevanza pubblicistica concernente il rapporto obbligatorio tra l’Amministrazione e tutti i suoi debitori per effetto della violazione commessa, non autorizza illazioni sulla natura dipendente o autonoma della solidarietà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6.

Non senza osservare, benchè l’argomento non possa certo accreditarsi come decisivo, che la L. n. 689 del 1981 (così come la L. n. 317 del 1967 e L. n. 706 del 1975) non qualifica l’obbligazione di pagamento della sanzione come obbligazione di “carattere civile”, al contrario di quanto invece stabilivano della L. n. 4 del 1929, art. 3, cpv. e art. 5, comma 3. E dunque almeno ciò è lecito chiosare – nulla si frappone alla possibilità di valorizzare all’interno del rapporto obbligatorio con l’Amministrazione aspetti propriamente pubblicistici.

8.1 – A differenza di quanto si è appena visto per la L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c., l’art. 14, u.c., stessa legge trova perfetta corrispondenza testuale nei precedenti della L. n. 317 del 1967, art. 7, comma 3 e della L. n. 706 del 1975, art. 6, comma 3. Applicando il criterio interpretativo c.d. del legislatore consapevole (id est, la clausola generale esclusiva), la lettera di tale (iterata) disposizione dovrebbe intendersi nel senso di escludere l’effetto estintivo per tutti i soggetti coobbligati, in via principale o solidale, nei cui confronti la notificazione sia invece avvenuta nel termine di legge.

Vi sarebbe, a ben vedere, un’isolata previsione legislativa di pari significato nel D.Lgs. n. 231 del 2007, in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, di recente modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017. L’art. 65, comma 10, come appena sostituito, stabilisce che, in relazione alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dagli artt. 58 e 63 del medesimo decreto, la responsabilità solidale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6, sussiste anche quando l’autore della violazione non è univocamente identificabile, ovvero quando lo stesso non è più perseguibile ai sensi della legge medesima. Tuttavia tale disposizione non vale per le sanzioni previste per i restanti illeciti contemplati dallo stesso D.Lgs., per cui appare arduo attribuirvi una portata generale e un’efficacia risolutiva. Salvo osservare che l’ipotesi di un’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., nel senso della permanenza dell’obbligazione di garanzia, trova, se non una conferma, almeno una sponda legislativa.

8.1.1. – Inappagante il solo dato letterale delle norme in materia, è dunque ancor più necessario ricercare l’orizzonte di senso entro cui opera il sistema.

Una prima, pur ovvia considerazione, è che l’individuazione delle categorie di soggetti responsabili in solido non è neutra, ma esprime un giudizio legislativo di disvalore operato nell’area intermedia tra correalità ed estraneità al fatto. Similmente a quanto avviene nell’ambito della responsabilità civile c.d. aggravata, anche in quella in esame è la relazione con la res adoperata o col soggetto danneggiante a fondare l’attribuzione della responsabilità solidale. Assistita dal regresso per l’intero, quest’ultima assicura, ad un tempo, che la repressione sia agevolata e che i relativi effetti economici ricadano in via definitiva sull’autore del fatto.

Eppure è innegabile che lo strumento dell’obbligazione solidale, per quanto di risalente e consolidata applicazione in materia, appaia prima facie spurio all’interno di un sistema sanzionatorio basato sul principio di personalità. Sistema che comunque opera in maniera dissonante rispetto alle regole civilistiche degli artt. 1292 e segg. e art. 2055 c.c. sulla solidarietà passiva, sol che si consideri che tra più autori del medesimo illecito amministrativo non vi è neppure rapporto interno, sia perchè ciascun concorrente soggiace all’intera sanzione, sia perchè il pagamento da parte di uno non estingue l’obbligazione degli altri (cfr. Cass. nn. 2088/00 e 18365/06).

La previsione di soggetti obbligati in solido ma non in via succedanea costituisce una scelta intermedia tra correalità e mera garanzia. Tant’è che – è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte – conseguenze precipuamente sanzionatorie, come il fermo amministrativo e la confisca, permangono a carico definitivo non del trasgressore, ma dell’obbligato solidale proprietario della res servita o destinata a commettere la violazione (cfr. per un caso di confisca a danno dell’obbligato solidale la sentenza n. 17398/08; v. anche la n. 7666/97, che pure afferma espressamente che destinatari delle sanzioni amministrative accessorie sono anche i soggetti obbligati in solido a norma della L. n. 689 del 1981, art. 6). Segno che anche l’obbligato in solido può soggiacere ad una propria, ancorchè accessoria, sanzione, pur essendo altri l’autore dell’illecito amministrativo. Un’ottica, quest’ultima, che sia pure in larga approssimazione potrebbe definirsi “plurisanzionatoria”.

Inoltre, in tutte le ipotesi previste dai primi tre commi della L. n. 689 del 1981, art. 6, fra il trasgressore e la persona fisica o giuridica con lui obbligata in solido intercorre un nesso che può essere più o meno stretto, coinvolgere rapporti di lavoro o assetti societari ed essere tale, comunque, da rendere il momento sanzionatorio parimenti (anche se non ugualmente) afflittivo per tutti i coobbligati a prescindere dall’an e dal quo modo del regresso. Che per plurime ed ottime ragioni può anche mancare del tutto (salvo le ipotesi residuali di regresso obbligatorio).

L’effettiva collocazione finale del peso economico della sanzione dipende da variabili che l’ordinamento non può nè ha interesse di regola a controllare nel concreto. Ciò che, invece, esso ha interesse a mantenere ferma è la possibilità del regresso, senza la quale lo strumento della solidarietà risulterebbe insanabilmente alterato nei suoi stessi presupposti.

Oltre e più che rafforzare il credito in funzione recuperatoria della somma dovuta dall’autore del fatto, il meccanismo della solidarietà, dunque, mostra oggettivamente di irrobustire la capacità reattiva e afflittiva del sistema sanzionatorio, sì da amplificarne l’efficacia deterrente (cfr. le sentenze nn. 3879/12 e 12264/07, le quali, pur affermando che la responsabilità solidale per gli illeciti commessi dai legali rappresentanti o dipendenti delle società è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione, ammettono che essa risponda anche alla finalità “di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui).

Attraverso forme estese di responsabilità aggravata (fino al limite estremo della responsabilità oggettiva prevista dell’art. 6, comma 3), il sistema mira a dissuadere quelle condotte (in vigilando o in eligendo) che possano agevolare la violazione delle norme amministrative. Il principio di personalità non ne risulta nè contraddetto nè attenuato, ma certamente ricondotto alla sua reale e naturale funzione garantistica, che non esclude la visione dell’illecito come fatto di rilevanza sociale piuttosto che quale mero episodio della vita del singolo.

Conclusione, quest’ultima, che appare coerente alle linee evolutive del più generale settore della responsabilità, che ormai ammette forme di incidenza diretta anche sugli enti collettivi (si pensi alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001).

Se dunque all’interno del sistema dell’illecito amministrativo la solidarietà non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche e soprattutto uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, l’obbligazione del corresponsabile solidale possiede una propria indubbia autonomia; e non dipendendo da quella principale, non si estingue con questa.

Ne deriva un’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., del tutto coerente alla sua lettera, che limita l’effetto estintivo alla sola obbligazione del soggetto nei cui confronti sia stata omessa la notificazione tempestiva. E si conferma la tesi che distingue tra loro, rendendoli non comunicanti, i due livelli di operatività del rapporto, quello pubblicistico necessario tra l’Amministrazione e tutti i soggetti oblati, e quello privatistico eventuale, nel quale attraverso l’azione di regresso si trasferisce l’aggravio economico della sanzione principale sul trasgressore. Con la conseguenza che il regresso a favore del solvens già obbligato solidalmente, non inquadrandosi nello schema della surrogazione legale ex art. 1203 c.c., n. 3, ma derivando da un’espressa norma coessenziale alla tenuta del sistema della responsabilità amministrativa, opera al riparo dall’eccezione di estinzione per mancata notifica nel termine di legge, rilevante solo nel primo dei suddetti rapporti.

9. – Tale soluzione, che esclude l’ipotesi d’una solidarietà di tipo dipendente e lascia in vita il regresso nonostante l’estinzione dell’obbligazione del responsabile in via principale, non costituisce una dissimmetria rispetto all’indirizzo costante seguito da questa Corte per il caso, solo apparentemente simile, della morte del trasgressore avvenuta prima del pagamento della sanzione.

Nel nostro ordinamento l’illecito amministrativo nasce e si struttura nella sua autonomia mediante successive leggi di depenalizzazione di omologhe fattispecie di reato. La norma della L. n. 689 del 1981, art. 7, in base alla quale l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi, era presente tal quale nei rispettivi della L. n. 317 del 1967, art. 4 e L. n. 706 del 1975, e si coordina oggi con il principio della natura personale della responsabilità amministrativa (L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1), al pari e a somiglianza di quella penale (art. 27 Cost., comma 1). Ed è stata poi richiamata nei rispettivi del D.P.R. n. 454 del 1987, art. 23, comma 1 e D.P.R. n. 148 del 1988, in materia valutaria.

Da ciò la giurisprudenza di questa Corte ha tratto che tale principio si rende applicabile a tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale, e trova la sua ragione giustificativa nel carattere afflittivo di tali sanzioni che le riconduce all’ambito del diritto punitivo, accentuandone quindi – la stretta inerenza alla persona del trasgressore (così la sentenza n. 10823/96; conformi, le nn. 7515/96 e 12853/97).

Dunque, la morte dell’autore della violazione determina, in base ad una libera e risalente scelta di politica legislativa, il venir meno in radice dell’interesse dello Stato ad accertare la responsabilità stessa e ad applicare il relativo trattamento sanzionatorio. Ciò che in tal caso si estingue è lo stesso illecito, al pari dell’estinzione del reato prevista dall’art. 150 c.p., nell’ipotesi di morte del reo prima della condanna. Di riflesso, viene meno l’intero apparato “plurisanzionatorio” di cui si è appena detto, ormai privo della sua primigenia e fondativa giustificazione.

Ma al di là del distinguo appena proposto tra estinzione dell’illecito ed estinzione del relativo trattamento sanzionatorio (che pure potrebbe legittimamente criticarsi per il fatto che sia l’art. 7, sia la L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., parlano solo e allo stesso modo della “obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione”), il venir meno anche della responsabilità solidale nel caso di morte del trasgressore deriva ineluttabilmente dalla circostanza che, comunque, il regresso non potrebbe più essere esercitato. Ammetterne la conservazione verso gli eredi contraddirebbe l’esplicita esclusione dell’obbligazione di pagamento dal fenomeno successorio, non ipotizzabile a corrente alternata e a seconda della persona del creditore (e tenuto ulteriormente conto del fatto che il regresso, come si è innanzi detto, riguarda l’aspetto privatistico della sequenza obbligatoria generata dalla commissione dell’illecito).

Ben diverso, invece, è il caso in cui la morte dell’autore del fatto non preceda ma segua temporalmente il pagamento della sanzione da parte del coobbligato solidale. In tal caso, al momento dell’apertura della successione si è già estinta l’obbligazione verso la P.A., con il che la stessa applicabilità della L. n. 689 del 1981, art. 7, non è più revocabile in ipotesi; ed è già entrata a far parte del patrimonio ereditario del trasgressore la soggezione di lui al potere di regresso del solvens. E dunque più nulla si frappone al fenomeno successorio.

10. – Sulla base di quanto fin qui considerato si enuncia il seguente principio di diritto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1: “all’interno del sistema dell’illecito amministrativo la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione. Pertanto, l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale, per cui, non dipendendone, essa non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c. si estingua per mancata tempestiva notificazione; con l’ulteriore conseguenza che l’obbligato solidale che abbia pagato la sanzione conserva l’azione di regresso per l’intero, ai sensi del citato art. 6, u.c., verso l’autore della violazione, il quale non può eccepire, all’interno di tale ultimo rapporto che è invece di sola rilevanza privatistica l’estinzione del suo obbligo verso l’Amministrazione”.

11. – Il quarto motivo denuncia l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra la parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativamente alla prova delle violazioni, non avendo la Corte territoriale considerato che non sono stati acquisiti agli atti i libri sociali e i registri informatici, e che la prima nota di cassa, su cui si fonda il verbale della polizia tributaria, non costituisce scrittura obbligatoria e non contiene la prova della violazione contestata.

12. – Il motivo è infondato.

Ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, costituisce motivo di ricorso per cassazione l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale riformulazione della norma, com’è noto, è stata interpretata da queste S.U. nel senso: a) che l’omesso esame deve avere ad oggetto un “fatto storico”, non un punto o una questione; e b) che il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v. sentenza n. 8053/14).

Sempre queste S.U. hanno poi ulteriormente precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così, in motivazione, la sentenza n. 19881/14).

Ne consegue che in sede di legittimità non è data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente dell’art. 360 c.p.c., n. 5) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un “fatto storico”, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete.

12.1. – Nello specifico, costituisce una mera torsione verbale qualificare come “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso, la mancata considerazione di ciò, che le operazioni contestate non integrerebbero un trasferimento di denaro contante, non potendo la relativa prova trarsi delle “prime note cassa”, che non costituiscono scritture contabili obbligatorie. Si tratta, ad evidenza, di una critica mossa proprio e solo alla valutazione della prova del fatto storico, decisivo e discusso, dell’avvenuto trasferimento di denaro contante tramite la Cassa Arianese di Mutualità; sicchè non è stato omesso alcun esame del fatto, ma quest’ultimo è stato semplicemente apprezzato in maniera opposta alle aspettative della parte odierna ricorrente.

13. – Il quinto motivo espone la violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, art. 4, commi 1 e 2 e art. 6, commi 1 e 4-bis, in relazione al disposto di cui all’art. 106 Testo Unico Bancario. Si sostiene che la Cassa Arianese di Mutualità rientrava tra i soggetti potenzialmente abilitati ad effettuare le operazioni oggetto di contestazione, in quanto (1) svolgente in prevalenza attività di concessione di finanziamenti e (2) iscritta nell’apposito elenco tenuto dal(l’allora) Ministero del Tesoro ai sensi dell’art. 6, comma 1, di detta legge.

14. – Anche tale motivo non ha pregio.

Ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, convertito in L. n. 197 del 1991, applicabile alla fattispecie ratione temporis, le operazioni di trasferimento di denaro contante possono essere effettuate unicamente dai soggetti abilitati ex lege ai sensi dell’art. 4, comma 1 stesso D.L., ovvero per effetto di un apposito provvedimento amministrativo dell'(allora) Ministro del Tesoro, ricorrendo, in quest’ultimo caso i requisiti indicati nel comma 2 di detto articolo.

Il fatto che l’art. 6, comma 1, detto D.L. preveda che l’esercizio in via prevalente di una o più delle attività di cui all’art. 4, comma 2, sia riservato agli intermediari iscritti in apposito elenco tenuto dal Ministro del tesoro, che si avvale dell’Ufficio italiano dei cambi, il quale dà comunicazione dell’iscrizione alla Banca d’Italia e alla CONSOB; e che il comma 4-bis dello stesso art. 6 consenta agli intermediari di cui ai commi 2 e 2-bis esercenti l’attività alla data di entrata in vigore del decreto di continuare ad esercitarla a condizione che ne diano comunicazione all’Ufficio italiano dei cambi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, non elide, contrariamente a quanto opina parte ricorrente, la necessità del provvedimento di abilitazione. Al contrario, l’inserzione del soggetto nell’elenco degli intermediari finanziari tenuto dall’Ufficio italiano dei cambi è condizione necessaria per l’abilitazione alle operazione di trasferimento di denaro contante, come del resto dimostra la lettera dell’art. 6, comma 1, che tale attività riserva, e non già attribuisce, agli intermediari iscritti nel ridetto elenco.

15. – Il sesto motivo espone l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato riconoscimento della carenza dell’elemento soggettivo ovvero della sussistenza di un errore scusabile, per l’oggettiva difficoltà d’interpretazione delle disposizioni anzidette. Parte ricorrente lamenta, in particolare, che la Corte distrettuale abbia inquadrato la corrispondente censura d’appello nell’ambito dell’esimente della L. n. 689 del 1981, art. 3 cpv., mentre la società ricorrente aveva evidenziato che l’errore incolpevole investiva non già il divieto, ma il fatto storico che la Cassa Arianese di Mutualità possedesse la qualifica di soggetto intermediario abilitato.

16. – Strettamente connesso il settimo mezzo, che ripropone la medesima doglianza sotto il profilo della nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente.

17. – Entrambi i suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

In primo luogo va rilevato che l’errore sul divieto rientra nella L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1, ed è di regola irrilevante, mentre l’errore sul fatto è disciplinato dal comma 2 del medesimo articolo, ed ha efficacia scriminante se non dipende da colpa. Pertanto, la censura, lì dove lamenta che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente attratto sotto l’art. 3, cpv. legge cit. l’errore riguardante “il fatto storico del possesso da parte della CAM della qualifica di intermediario abilitato” (v. pag. 26 del ricorso), mostra di essere formulata in maniera non giuridicamente consequenziale.

Ciò a parte, è decisivo osservare che la sentenza impugnata, pur richiamando espressamente solo dell’art. 3, comma 1 Legge cit., ha in realtà esaminato diffusamente anche l’asserito errore sul fatto, escludendolo sulla base di molteplici considerazioni (v. pagg. 17-18 della sentenza impugnata), tutt’altro che apparenti (la società ingiunta non si era neppure posta il problema di verificare se la CAM fosse in possesso dell’abilitazione per le operazioni di trasferimento di denaro contante, perchè più semplicemente ne ignorava l’illiceità; era poco probabile che detta società conoscesse la nota dell’Ufficio italiano cambi, peraltro giudicata non rilevante a tal fine, da cui la stessa società aveva infondatamente dedotto la sussistenza dell’abilitazione; le indagini penali e il successivo decreto di archiviazione avevano riguardato altro, ossia il reato di attività bancaria abusiva; non vi era stata una vera e propria prassi della CAM tale da ingenerare l’errore, che ad ogni modo non era nè incolpevole nè inevitabile per la sola asserita usualità della condotta vietata; del pari dubbio che la società sapesse di una precedente ispezione della Banca d’Italia presso la CAM e del suo esito, e in ogni caso tale ispezione era del tutto irrilevante perchè anteriore di circa sette anni rispetto a quella da cui erano scaturite le contestazioni oggetto di causa).

Per il resto, sui generali limiti del controllo di legittimità ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si ripropongono valide e intatte le osservazioni svolte supra al paragrafo 12.

18. – Con l’ottavo motivo si censura, infine, in base all’art. 360 c.p.c., n. 5, la statuizione di rigetto del motivo d’appello incidentale con cui l’odierna ricorrente aveva chiesto ridursi la sanzione irrogata. Ciò in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che la sanzione irrogata corrisponde al 5% dell’importo complessivo delle operazioni contestate.

19. – La censura è manifestamente infondata, atteso che la Corte territoriale ha espressamente esaminato il suddetto motivo d’impugnazione incidentale e l’ha respinto proprio osservando che, a fronte di una sanzione edittale massima pari al 40% del valore della transazione, la percentuale del 5% applicata in concreto era proporzionale ed equa, tenuto conto anche della gravità soggettiva della violazione.

20. – Il rigetto del secondo motivo del ricorso principale assorbe l’esame del primo motivo del ricorso incidentale (violazione o falsa applicazione dell’art. 2943 c.c.) espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento della ridetta censura dell’impugnazione principale.

21. – Il secondo motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte d’appello, in altre precedenti cause d’opposizione ad ingiunzioni emesse a carico della Cassa Arianese di Mutualità e dei suoi soci, aveva disposto la condanna alle spese della parte opponente. Pertanto, in costanza delle medesime questioni processuali e sostanziali, la soccombenza della parte privata avrebbe dovuto condurre alla condanna di quest’ultima alle spese.

22. – Il motivo è infondato.

Lo stare decisis non è una regola ma una direttiva di tendenza, immanente nell’ordinamento, in relazione alla quale non è consentito discostarsi da un’interpretazione del giudice di legittimità, investito istituzionalmente della funzione della nomifilachia, senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative: cfr. Cass. S.U. n. 13620/12); e dunque esso non è argomento idoneo a vincolare il giudice di merito alle proprie precedenti decisioni.

Inoltre, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (v. ex multis, Cass. nn. 8421/17, 15317/13 e 5386/03).

E nella specie la Corte distrettuale ha compensato le spese facendo correttamente leva sull’esistenza di contrasti giurisprudenziali, in sede di legittimità, sull’interpretazione delle più volte citate norme della L. n. 689 del 1981.

23. – In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti.

24. – Applicato ratione temporis (il giudizio è iniziato nel 2010) il testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, derivanti dal contrasto di giurisprudenza sull’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

25. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono le condizioni per il raddoppio del: contributo unificato a carico della sola parte ricorrente principale (per quanto concerne il Ministero ricorrente incidentale, il medesimo obbligo non può trovare applicazione, poichè le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo: v. Cass. nn. 1778/16 e 5955/14).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa integralmente le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017