Buona Pasqua!

In tempi tristi e cupi, che questa Pasqua, primavera di vita, sia foriera di infinita speranza e letizia.
Auguri di Buona Pasqua!

MOBILITA’ VOLONTARIA: esclusa dai tetti di spesa per le assunzioni

La mobilità volontaria deve essere attivata obbligatoriamente prima della indizione di un concorso pubblico, mentre non ci sono opinioni differenti sul vincolo della sua messa in atto prima dell’uso di una graduatoria esistente nell’ente.

E’ necessario, in qualunque circostanza, il consenso dell’amministrazione cedente:

  • il placet va espresso mediante il parere del dirigente competente
  • infatti continua ad essere utilizzabile la modalità per interscambio e (ad eccezione della preferenza per il personale in comando) è necessario attivare procedure di comparazione e dare una giusta pubblicità preventiva alla sua utilizzazione.

Dunque prima della indizione del concorso pubblico è necessario attivare le procedure di mobilità volontaria previste dall’art. 30 d.lgs 165/2001. Le regole per la mobilità volontaria devono essere stabilite da ciascun ente e devono fare fede ai principi di pubblicità contemplati dall’ordinamento, il personale in comando presso il medesimo ente ha diritto di precedenza nelle assunzioni in mobilità.

Il ricorso a questo istituto non può essere allargato al personale non dipendente delle P.A., nemmeno a quelle delle società in house assunti mediante concorso pubblico. La mobilità non può essere circoscritta al personale del medesimo comparto e, in attesa della tabella di equiparazione, questo procedimento deve essere realizzato da ogni ente.

La Corte spiega che la mobilità può proseguire ad essere disposta anche come interscambio tra enti, nonostante ci sia stata l’abrogazione delle norme contrattuali grazie all’art. 62 del decreto-legge 5/2012.

Il parere spiega che “l’abrogazione della disposizione contrattuale di cui all’art. 6 comma 20 del dpr 268/1987 non preclude agli enti locali di poter attivare una mobilità reciproca o bilaterale con altre amministrazioni locali in applicazione del principio generale contenuto nell’articolo 6 del d.lgs 165/2001.

La mobilità volontaria è uno strumento fondamentale per giungere ad una migliore allocazione del personale nelle P.A.; i suoi costi non sono inclusi nel tetto della spesa per le assunzioni ed i suoi risparmi non si possono calcolare con l’intento di stabilire il tetto di spesa per le nuove assunzioni. (Corte dei Conti sezione controllo del Veneto parere n. 65 del 6.3.2013)

Il parere prevede limitazioni nella sua utilizzazione concreta: “la mobilità deve avvenire tra enti soggetti entrambi ai medesimi vincoli assunzionali; l’interscambio deve avvenire tra dipendenti appartenenti alla stessa qualifica funzionale; l’interscambio deve avvenire entro un periodo di tempo congruo che consenta agli enti di non abbattere le spese di personale qualora l’assunzione del dipendente in entrata slitti dal punto di vista temporale rischiando di traslarsi all’esercizio successivo”.

Ed ancora è necessario garantire ”la neutralità finanziaria” e ”il personale soggetto ad interscambio non deve essere dichiarato in eccedenza o sovrannumero”.

La F.P. ha evidenziato che la mobilità necessita del consenso tanto dell’ente cedente che di quello ricevente, oltre che naturalmente l’iniziativa del dipendente. Diversamente dal passato, con il testo dellart.30 del d.lgs 165/2001 (modificato dalla legge Brunetta) il nulla osta continua quindi in pratica a permanere, ma nella forma del “parere” del dirigente individuato come competente dall’amministrazione (ente ricevente), parere che deve essere preceduto da quello del dirigente dell’articolazione organizzativa presso cui il dipendente fornisce la sua attività lavorativa (ente cedente).

Dunque, contro la volontà dell’ente presso cui il dipendente presta servizio, non è possibile dare corso alla mobilità. (Funzione Pubblica parere n. 10395-2013)


Cons. Stato Sez. IV, Sent., (ud. 12-02-2013) 19-03-2013, n. 1609

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2234 del 2009, proposto da:

C.F., rappresentata e difesa dagli avv ti Stefano Tosi, Silvio Crapolicchio, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, via Belsiana, 100;

contro

Casa Circondariale di Bologna, Provveditorato Regionale Amm. Penitenziaria Emilia Romagna, Ministero della Giustizia, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA: SEZIONE I n. 00108/2008, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione disciplinare della censura – ris. danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Casa Circondariale di Bologna e di Provveditorato Regionale Amm. Penitenziaria Emilia Romagna e di Ministero della Giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Stefano Tosi e l’avvocato dello Stato Cristina Gerardis;

Svolgimento del processo
La sig.ra C.F., ispettore capo della polizia penitenziaria , in servizio presso la Casa circondariale di Bologna, proponeva innanzi al Tar dell’Emilia Romagna ben sette ricorsi volti ad ottenere l’annullamento di provvedimenti ritenuti lesivi delle posizioni giuridiche soggettive inerenti lo status da lei ricoperto.

Con riferimento a ciascuno degli atti gravati con le relative impugnative l’interessata chiedeva altresì per ognuno dei suddetti ricorsi la declaratoria del diritto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’illecita condotta tenuta dal datore di lavoro ( l’Amministrazione penitenziaria), riconducibile a suo dire a fenomeni di mobbing e comunque produttiva di lesioni all’integrità psicofisica ( danno biologico ) e alla qualità della vita ( danno esistenziale ) della stessa ricorrente.

L’adito TAR con sentenza n.108/2008 riuniva i detti sette ricorsi, accoglieva alcune delle impugnative proposte con conseguente annullamento degli atti gravati, mentre rigettava tutte le azioni risarcitorie pure inoltrate con i citati rimedi giurisdizionali; inoltre condannava l’Amministrazione resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio nel limite di 1/3, compensandole tra le parti per i restanti 2/3.

La sig. C. ha impugnato in parte qua la suindicata sentenza, contestando le statuizioni negativamente assunte dal primo giudice in ordine alla domanda risarcitoria avanzata in ogni singolo ricorso.

Secondo parte appellante in base ai fatti accaduti e agli atti di contenuto negativo assunti nei suoi confronti scaturisce un giudizio di grave responsabilità datoriale della P.A. di appartenenza.

In particolare, gli atteggiamenti illeciti posti in essere nell’ambiente di lavoro avrebbero dato luogo a fenomeni di mobbing, con conseguente dequalificazione professionale e demansionamento. In ogni caso dai provvedimenti di tipo vessatorio adottati nei suoi confronti si evincono i presupposti per la sussistenza di un pregiudizio suscettibile di risarcimento per danno esistenziale e danno morale.

Parte appellante in sede conclusiva ha chiesto che in parziale riforma della impugnata sentenza, questo giudice di appello :

a) disponga CTU medico legale “al fine di valutare le conseguenze dannose dei fatti lamentati sulla persona della ricorrente”;

b) condanni l’Amministrazione intimata al risarcimento “dei danni tutti , patrimoniali e non patrimoniali”, quantificati nella “complessiva misura di Euro 500.000 o nella somma ritenuta di giustizia”;

c) condanni l’Amministrazione penitenziaria al pagamento delle spese del giudizio di primo grado nella loro integralità.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia che ha contestato la fondatezza dei motivi d’appello chiedendone la reiezione.

Parte appellante ha poi prodotto ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni apposite memorie difensive.

All’odierna udienza pubblica la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione
L’appello è infondato, con conferma delle statuizioni rese con l’impugnata sentenza.

Occorre preliminarmente , ai fini di una compiuta disamina dei motivi d’impugnazione,

procedere a definire il precipuo petitum avanzato con il gravame all’esame.

Oggetto di contenzioso è la richiesta di accertamento, disattesa dal primo giudice, del diritto al risarcimento dei danni variamente sussumibili sotto le voci di danno biologico, sub specie del pregiudizio psico- fisico, di danno esistenziale e di danno morale che l’appellante assume di aver patito per ragioni appartenenti a due autonomi titoli :

a) in via principale e in gran parte per l’ attività di mobbing posta in essere nei confronti della C. dall’Amministrazione di appartenenza ;

b) per l’avvenuta violazione da parte dell’Amministrazione dei doveri propri del datore di lavoro di osservanza dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa oltrechè di tutela del dipendente.

Tanto debitamente precisato, la pretesa risarcitoria avanzata in riferimento ad entrambi i capi di domanda si rivela palesemente infondata.

Il danno da mobbing è una fattispecie che si fa risalire , quanto alla natura giuridica, alla responsabilità datoriale, di tipo contrattuale, prevista dall’art.2087 del codice civile che pone a carico del datore di lavoro l’onere di adottare nell’esercizio di impresa tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro ( cfr Cassazione sezione lavoro 25 maggio 2006 n.1244).

Il concetto di mobbing sia in punto di fatto che in punto di diritto è alquanto indeterminato, ancorchè, quanto ad una ragionevole sua definizione , possa considerarsi tale quell’insieme di condotte vessatorie e persecutorie del datore di lavoro o comunque emergenti nell’ambito lavorativo concretizzanti la lesione della salute psico-fisica e dell’integrità del dipendente e che postulano, ove sussistenti, una adeguata tutela anche di tipo risarcitorio ( in tal senso, Cass. Sezione Lavoro 26 marzo 2010 n.1307).

Attesa la indeterminatezza della nozione , la giurisprudenza si è preoccupata di indicare una serie di elementi e/o indizi caratterizzanti il fenomeno del mobbing dai quali far emergere la concreta sussistenza di una condotta offensiva nei sensi sopra esposti , come tradottasi con atti e comportamenti negativamente incidenti sulla reputazione del lavoratore, su i suoi rapporti umani con l’ambiente di lavoro e sul contenuto stesso della prestazione lavorativa.

Così per aversi mobbing è richiesto l’azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore deve essere sistematica e frequente posta in essere con una serie prolungata di atti e avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi ( Cass. Sezione lavoro n.4774/2006; Trib. Roma 7marzo 2008 n.69).

Di contro non si ravvisano gli estremi del mobbing nell’accadimento di episodi che evidenziano screzi o conflitti interpersonali nell’ambiente di lavoro e che per loro stessa natura non sono caratterizzati da volontà persecutoria essendo in particolare collegati a fenomeni di rivalità, ambizione o antipatie reciproche che pure sono frequenti nel mondo del lavoro.

Se quelli testè esposti sono rispettivamente i parametri del mobbing e la linea di demarcazione della nozione giuridica di siffatto fenomeno, nella fattispecie è da escludere che nei confronti dell’appellante sia sta posta in essere da parte dell’Amministrazione penitenziaria , quale datrice di lavoro, provvedimenti, atti e/o comportamenti di tipo mobizzante.

Indubbiamente la sig.ra C. è stata destinataria di una serie di provvedimenti che hanno inciso negativamente sulle sue posizioni giuridiche soggettive e alcuni dei quali il Tar ha correttamente censurato come illegittimi, ma tutto ciò non vale a far configurare la sussistenza di una condotta di mobbing suscettibile di una pretesa risarcitoria.

Invero, i provvedimenti recanti sanzioni disciplinari e l’attribuzione di una valutazione in sede di rapporto informativo ingiustificatamente peggiorativa , non rivelano alcun indizio sintomatico del mobbing e cioè l’esistenza di un atteggiamento sistematicamente persecutorio o vessatorio a nulla rilevando che l’interessata abbia avuto un aspecifica ” percezione “che tali vicende manifestino l’ intento dell’Amministrazione di emarginarla ed essendo gli episodi sottesi ai provvedimenti adottati a suo carico unicamente riconducibili al clima di conflittualità esistente tra il personale di custodia all’interno della struttura carceraria.

Ne deriva che alcun fondamento può rivestire la richiesta di risarcimento del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniali sotto le varie forme di danno avanzata dall’interessata : se mobbing non sussiste, parimenti non vi può essere danno ( risarcibile ) da mobbing, sotto nessuna delle voci di danno dedotte in giudizio, per l’assenza materiale e giuridica del titolo cui far scaturire l’invocato ristoro

La sig.ra C. ha pure richiesto il risarcimento di danni in ragione della ritenuta condotta violativa dei doveri del datore di lavoro ravvisata comunque in capo all’Amministrazione( di cui al suindicato punto sub b) , ma neppure in relazione a tale più generale titolo appare configurabile una pretesa risarcitoria.

Invero, non sussistono nel caso di specie gli elementi costitutivi di una responsabilità causativa di danno imputabile in capo alla P:A. sia perché che gli atti e i provvedimenti in contestazione, ancorchè illegittimi non rilevano una condotta colposa sia perché dall’adozione degli stessi non è dato rilevare un nesso causale tra le determinazioni assunte e il danno lamentato e vuoi ancora perché non è dato configurare un danno ingiusto.

E’ allora, sul punto, il caso di dare atto come l’assenza delle suindicate condiciones iuris appare preclusiva di quale che sia richiesta risarcitoria.

Pure infondata si rivela l’impugnativa nella parte in cui contesta la conclusione del Tar in ordine alla parziale compensazione delle spese del giudizio di prime cure: fermo restando che il giudice ai fini della relativa statuizione può legittimamente valutare ogni elemento ( Cons. Stato Sez. IV 28 maggio 2009 n.3349 ) , nella parte del decisum è chiaramente spiegato che la parziale compensazione avviene in ragione della reciproca soccombenza e tale circostanza ben giustifica la resa statuizione.

In forza delle suestese considerazioni,l’appello, in quanto infondato, va respinto .

Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda all’esame, per compensare tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.

Spese e competenze del presente giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente FF

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere


Modulistica aggiornata – marzo 2013

Le relate di notifica devono essere, in calce all’atto, correttamente compilate (complete del Cognome e Nome del Messo Comunale e della sua qualifica, possibilmente a stampa o con timbro, oltre che della di lui sottoscrizione) sia sull’originale che sulla copia che è consegnata al destinatario o chi per lui o depositata nella Casa Comunale.

Si ricorda, inoltre, la grande importanza della relazione di notifica ai sensi dell’art. 148 del c.p.c.. Troppo spesso viene sottovalutata la necessità di scrivere nella relata tutte le ricerche effettuate. Non basta, cioè, scrivere “ricerche effettuate in loco” o simili. La giurisprudenza impone al Messo Comunale di esplicitare quali sono state le ricerche e da chi ha avuto le informazioni.

La giurisprudenza ha preso in esame molto spesso il problema della mancata relazione di notifica annullando le relate di notifica che con contenevano le notizie relative alle ricerche effettuate, ribadendo, altresì, che la mera iscrizione all’Anagrafe della Popolazione è uno degli elementi ai fini del rinvenimento del destinatario.

Leggi: MODULISTICA 2013


Il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici.

E’ stato approvato l’8 marzo 2013 dal Consiglio dei ministri il nuovo Codice di comportamento per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni.

Il provvedimento va a completare alcuni precedenti interventi normativi tra cui le disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione.

Nel regolamento della legge anti-corruzione via all’operazione trasparenza contro i meri conflitti di interesse, oltre che le tangenti. Stretta sui telefoni di ufficio

Via all’operazione trasparenza nella pubblica amministrazione. Il Consiglio dei Ministri approva, salvo intese, un regolamento contenente il codice di comportamento dei dipendenti pubblici. In attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale vale la pena di prefigurare le novità contenute nel provvedimento emanato in attuazione della legge anti-corruzione (la 190/2012), in linea con le raccomandazioni Ocse in materia di integrità ed etica pubblica: chi sgarra incorre nella responsabilità disciplinare. Tra le principali novità, sono previsti a carico dei pubblici dipendenti: l’obbligo di astensione da qualunque atto del proprio ufficio nell’eventualità in cui si prospetti un conflitto di interessi, anche solo potenziale (previsti specifici obblighi di comunicazione; il divieto di chiedere o accettare regali, compensi o altre utilità di valore superiore a 150 euro (anche sotto forma di sconto);  per i dirigenti, nuove regole di trasparenza e di tracciabilità dei processi decisionali adottati(regole che annoverano anche precisi obblighi di comunicazione prima dell’assunzione delle loro funzioni), comprovati da adeguati supporti documentali.

Assoluto lo stop all’uso privato di informazioni acquisite per ragioni d’ufficio. Inoltre, il codice sancisce espressamente che l’utilizzo delle attrezzature e del materiale di servizio (telefono, auto, dotazioni telematiche e quant’altro), va strettamente limitato, nel rispetto dei vincoli posti dell’amministrazione statale.

I dipendenti dovranno anche comunicare l’eventuale appartenenza ad associazioni ed organizzazioni (ad esclusione dei partiti politici e dei sindacati) i cui settori d’interesse possano influenzare lo svolgimento delle attività d’ufficio.

Limiti anche all’uso dei mezzi di trasporto messi a disposizione dalla PA. L’utilizzo è ammesso solo per ragioni di servizio e ciò vale anche per l’eventuale trasporto di terzi.

Per quanto riguarda le attrezzature anche telematiche e telefoniche dell’ufficio potrà utilizzarle nel “rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione”.

L’impiegato inoltre deve garantire documentalmente la tracciabilità e trasparenza dei processi decisionali adottati.

Previste pene molto più severe per le violazioni del codice (che sono fonti di responsabilità disciplinare), tenuto conto della gravità del comportamento e del pregiudizio (anche morale) cagionato “al decoro o al prestigio dell’amministrazione”: in casi di particolare rilevanza o nell’ipotesi di recidiva, gli illeciti possono comportare anche il licenziamento.

Testo del decreto: Il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici 2013


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 12-02-2013) 12-03-2013, n. 6070

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Primo Presidente f.f. –

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente Sez. –

Dott. RORDORF Renato – rel. Presidente Sez. –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9074-2009 proposto da:

COMUNE DI AVELLINO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la 67 CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PREZIOSI CLAUDIO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMPAGNIA GENERALI SERVIZI E FINANZA S.P.A., in persona del Presidente pro tempore, nella qualità di successore nel diritto controverso della S.A.S. RAINONE COSTRUZIONI DI VINKO MLADEN & C., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CASTALDI FILIPPO, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

sul ricorso 12379/2009 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALATAFIMI 11, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA BULDO, rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI AVELLINO, RAINONE COSTRUZIONI S.A.S DI VINKO MLADEN & C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4406/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2013 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

uditi gli avvocati Claudio PREZIOSI, Donatella Maria Ines GEROMEL per delega dell’avvocato Filippo Castaidi;

udito il P.M. in persona del’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso r.g. n. 9074/2009 e rimessione di entrambi alla prima sezione civile.

Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata in cancelleria il 23 dicembre 2008, in parziale riforma di una precedente pronuncia del Tribunale di Avellino, condannò il Comune di Avellino a pagare alla s.a.s. Rainone Costruzioni di Vinko Mladen & C. in liquidazione (d’ora innanzi indicata come Rainone) la somma di Euro 402.649,22, oltre ad interessi, a titolo di corrispettivo per l’esecuzione di lavori pubblici eseguiti da detta società su incarico dell’ente locale.

La sentenza è stata impugnata dal Comune di Avellino con ricorso per cassazione notificato ai procuratori domiciliatari della Rainone nel giudizio d’appello.

L’ammissibilità del ricorso è stata però contestata dalla Compagnia Generali Servizi e Finanza s.p.a. (in prosieguo indicata come Compagnia Generali), che ha depositato un controricorso nel quale, premesso che il 15 giugno 2005 il credito dedotto in lite le era stato ceduto dalla Rainone, ha fatto presente che quest’ultima società è da considerare estinta sin dal 25 maggio 2007, data in cui è stata cancellata dal registro delle imprese, onde l’impugnazione non avrebbe potuto essere ad essa indirizzata.

Altro ricorso avverso la medesima sentenza della Corte d’appello di Napoli, notificato al Comune di Avellino ed alla società Rainone, è stato proposto dall’avv. R.G., difensore dell’anzidetta società nel giudizio di merito, il quale si è lamentato della mancata distrazione delle spese processuali in suo favore.

Riuniti i due ricorsi, la prima sezione di questa corte, con ordinanza n. 9943 del 2012, ne ha sollecitato la rimessione alle sezioni unite affinchè sia decisa la questione di massima di particolare importanza consistente nell’individuare la sorte dei rapporti processuali pendenti nel momento in cui una società (nella specie una società di persone) venga cancellata dal registro delle imprese.

I ricorsi riuniti sono stati perciò discussi all’odierna udienza dinanzi alle sezioni unite.

Motivi della decisione
1. La corte è chiamata a prendere posizione su un nodo tematico – gli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese, dopo la riforma organica del diritto societario attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003 – in parte già esaminato da alcune sentenze delle sezioni unite nel corso dell’anno 2010. Giova dir subito che non v’è ragione per rimettere qui in discussione i principi in quelle sentenze affermati, dalle quali occorre invece partire, senza ovviamente ripercorrerne l’intero percorso motivazionale ma ricapitolandone brevemente i punti salienti, per cercare di far chiarezza su una serie di ulteriori ricadute derivanti dalla suaccennata riforma del diritto societario.

Con le sentenze nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010 le sezioni unite di questa corte hanno ravvisato nelle modifiche apportate dal legislatore al testo dell’art. 2495 c.c. (rispetto alla formulazione del precedente art. 2456, che disciplinava la medesima materia) una valenza innovativa. Pertanto, la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese, che nel precedente regime normativo si riteneva non valesse a provocare l’estinzione dell’ente, qualora non tutti i rapporti giuridici ad esso facenti capo fossero stati definiti, è ora invece da considerarsi senz’altro produttiva di quell’effetto estintivo: effetto destinato ad operare in coincidenza con la cancellazione, se questa abbia avuto luogo in epoca successiva al 1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della citata riforma, o a partire da quella data se si tratti di cancellazione intervenuta in un momento precedente. Per ragioni di ordine sistematico, desunte anche dal disposto del novellato art. 10 della legge fallimentare, la stessa regola è apparsa applicabile anche alla cancellazione volontaria delle società di persone dal registro, quantunque tali società non siano direttamente interessate dalla nuova disposizione del menzionato art. 2495 e sia rimasto per loro in vigore l’invariato disposto deil’art. 2312 (integrato, per le società in accomandita semplice, dal successivo art. 2324). La situazione delle società di persone si differenzia da quella delle società di capitali, a tal riguardo, solo in quanto l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto che le cancella ha valore di pubblicità meramente dichiarativa, superabile con prova contraria.

Ma è bene precisare che tale prova contraria non potrebbe vertere sul solo dato statico della pendenza di rapporti non ancora definiti facenti capo alla società, perchè ciò condurrebbe in sostanza ad un risultato corrispondente alla situazione preesistente alla riforma societaria. Per superare la presunzione di estinzione occorre, invece, la prova di un fatto dinamico: cioè che la società abbia continuato in realtà ad operare – e dunque ad esistere – pur dopo l’avvenuta cancellazione dal registro. Ed è questa soltanto la situazione alla quale la successiva sentenza n. 4826 del 2010 ha poi ricollegato anche la possibilità che, tanto per le società di persone quanto per le società di capitali, si addivenga anche d’ufficio alla “cancellazione della pregressa cancellazione” (cioè alla rimozione della cancellazione dal registro in precedenza intervenuta), in forza del disposto dell’art. 2191 oc, con la conseguente presunzione che la società non abbia mai cessato medio tempore di operare e di esistere.

2. Ferme tali premesse, si tratta ora di mettere meglio a fuoco le conseguenze che ne possono derivare in ordine ai rapporti, originariamente facenti capo alla società estinta a seguito della cancellazione dal registro, che tuttavia non siano stati definiti nella fase della liquidazione, o perchè li si è trascurati (li si potrebbe allora definire “residui non liquidati”) o perchè solo in seguito se ne è scoperta l’esistenza (li si suole definire “sopravvenienze”).

Converrà farlo tenendo separati, per maggiore chiarezza espositiva, i rapporti passivi, cioè quelli implicanti l’esistenza di obbligazioni gravanti sulla società, dai rapporti attivi, in forza dei quali prima della cancellazione la società poteva vantare diritti; e converrà esaminare anzitutto i profili di diritto sostanziale e poi le conseguenze che se ne debbano trarre sul piano processuale.

3. Il legislatore del codice civile, anche in occasione della già ricordata riforma del diritto societario, si è preoccupato espressamente soltanto di disciplinare la sorte dei debiti sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società dal registro.

Il citato art. 2495, comma 2, (riprendendo, peraltro, quanto già stabiliva in proposito il previgente art. 2456, comma 2) stabilisce, a tal riguardo, che i creditori possono agire nei confronti dei soci della dissolta società di capitali sino alla concorrenza di quanto questi ultimi abbiano riscosso in base al bilancio finale di liquidazione. E’ prevista, inoltre, anche la possibilità di agire (deve intendersi, però, per risarcimento dei danni) nei confronti del liquidatore, se il mancato pagamento del debito sociale è dipeso da colpa di costui; ma di tale ulteriore previsione non occorre qui occuparsi, non essendo stata esercitata azione alcuna contro il liquidatore nella vertenza in esame.

Un’analoga disposizione è dettata, per le società in nome collettivo, dal pure già citato art. 2312, comma 2, salvo che, in tal caso, pur dopo la dissoluzione dell’ente ma coerentemente con le caratteristiche del diverso tipo societario, non opera la limitazione di responsabilità di cui godono i soci di società di capitali. La stessa regola si ripropone per la società in accomandita semplice, ma l’ultrattività dei principi vigenti in pendenza di società fa sì che, anche dopo la cancellazione, l’accomandante risponda solo entro i limiti della sua quota di liquidazione (art. 2324).

Lo scarno tessuto normativo cui s’è fatto cenno non sembra autorizzare la conclusione che, con l’estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, si estinguano anche i debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo. Se così fosse, si finirebbe col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui (magari facendo venir meno, di conseguenza, le garanzie, prestate da terzi, che a quei debiti eventualmente accedano), e ciò pare tanto più inammissibile in un contesto normativo nel quale l’art. 2492 c.c., neppure accorda al creditore la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione. Ipotizzare – come pure si è fatto da taluni – che la volontaria estinzione dell’ente collettivo comporti, perciò, la cessazione della materia del contendere nei giudizi contro di esso pendenti per l’accertamento di debiti sociali tuttora insoddisfatti significherebbe imporre un ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori; sacrificio che non verrebbe sanato dalla possibilità di agire nei confronti dei soci, alle condizioni indicate dalla citata disposizione dell’ari:.

2495, se quest’azione fosse concepita come diversa ed autonoma rispetto a quella già intrapresa verso la società, non foss’altro che per la necessità di dover riprendere il giudizio da capo con maggiori oneri e col rischio di non riuscire a reiterare le prove già espletate.

Ma se allora, anche per non vulnerare il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 della Costituzione, deve escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l’estinzione dell’ente debitore, determini al tempo stesso la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi, è del tutto naturale immaginare che questi debiti si trasferiscano in capo a dei successori e che, pertanto, la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato art. 2495 implichi, per l’appunto, un meccanismo di tipo successorio, che tale è anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della società e la morte di una persona fisica.

La ratio della norma dianzi citata, d’altronde, palesemente risiede proprio in questo: nell’intento d’impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest’ultimo del suo diritto. Ma questo risultato si realizza appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati. Il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività giuridica dell’ente collettivo fa naturalmente emergere il sostrato personale che, in qualche misura, ne è comunque alla base e rende perciò del tutto plausibile la ricostruzione del fenomeno in termini successori (sembra dubitarne Cass. 13 luglio 2012, n. 11968, ma in base ad una motivazione in buona parte imperniata sulla disposizione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36, comma 3, operante solo nello specifico settore del diritto tributario). Puntualmente autorevole dottrina ha affermato che la responsabilità dei soci trova giustificazione nel “carattere strumentale del soggetto società: venuto meno questo, i soci sono gli effettivi titolari dei debiti sociali nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo di rapporto sociale prescelto”.

Persuade di ciò anche il fatto che il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s’identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica (si veda, in argomento, Cass. 3 aprile 2003, n. 5113). Come, nel caso della persona fisica, la scomparsa del debitore non estingue il debito, ma innesca un meccanismo successorio nell’ambito del quale le ragioni del creditore sono destinate ad essere variamente contemperate con quelle degli eredi, così, quando il debitore è un ente collettivo, non v’è ragione per ritenere che la sua estinzione (alla quale, a differenza della morte della persona fisica, concorre di regola la sua stessa volontà) non dia ugualmente luogo ad un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali.

Nessun ingiustificato pregiudizio viene arrecato alle ragioni dei creditori, del resto, per il fatto che i soci di società di capitali rispondono solo nei limiti dell’attivo loro distribuito all’esito della liquidazione. Infatti, se la società è stata cancellata senza distribuzione di attivo, ciò evidentemente vuoi dire che vi sarebbe stata comunque incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti da soddisfare. D’altro canto, alla tesi – pure in sè certamente plausibile – che limita il descritto meccanismo successorio all’ipotesi in cui i soci di società di capitali (o il socio accomandante della società in accomandita semplice) abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, ravvisandovi una condizione da cui dipenderebbe la possibilità di proseguire nei confronti di detti soci l’azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società (tesi propugnata da Cass. 16 maggio 2012, nn. 7676 e 7679, nonchè da Cass. 9 novembre 2012, n. 19453), sembra da preferire quella che individua invece sempre nei soci coloro che son destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all’esito della liquidazione (anche, come si dirà, ai fini processuali), fermo però restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità cui s’è fatto cenno.

Il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo.

Della correttezza della ricostruzione sistematica dell’istituto in termini (almeno lato sensu) successori è d’altronde lo stesso legislatore a fornire un indizio assai significativo, disponendo che la domanda proposta dai creditori insoddisfatti nei confronti dei soci possa essere notificata, entro un anno dalla cancellazione della società dal registro, presso l’ultima sede della medesima società (art. 2495 cit., comma 2, ultima parte). Non interessa qui soffermarsi sulle perplessità che da talune parti sono state solevate quanto all’idoneità di tale disposizione ad assicurare adeguatamente il diritto di difesa dei soci nei cui confronti la domanda sia proposta. Importa notare come il legislatore, inserendo siffatta previsione processuale nel corpo di un articolo del codice civile, si sia palesemente ispirato all’art. 303 c.p.c., comma 2, che consente, entro l’anno dalla morte della parte, di notificare l’atto di riassunzione agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto:

testimonianza evidente di una visione in chiave successoria del meccanismo in forza del quale i soci possono esser chiamati a rispondere dei debiti insoddisfatti della società estinta. Ed è appena il caso di aggiungere che, per ovvie ragioni di coerenza dell’ordinamento, la medesima conseguenza sistematica non potrebbe non esser tratta anche per quel che concerne gli effetti successori della cancellazione dal registro di una società di persone che non abbia liquidato interamente i rapporti pendenti, quantunque a questo tipo di società non si applichi la speciale disposizione del citato art. 2495, comma 2.

4. Meno agevole è individuare la sorte dei residui attivi non liquidati e delle sopravvenienze attive della liquidazione di una società cancellata dal registro, perchè il legislatore ne tace.

4.1. E’ ben possibile che la stessa scelta della società di cancellarsi dal registro senza tener conto di una pendenza non ancora definita, ma della quale il liquidatore aveva (o si può ragionevolmente presumere che avesse) contezza sia da intendere come una tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa pretesa (si veda, ad esempio, la fattispecie esaminata da Cass. 16 luglio 2010, n. 16758); ma ciò può postularsi agevolmente quando si tratti, appunto, di mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità d’individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito, onde un tal diritto o un tal bene non avrebbero neppure perciò potuto ragionevolmente essere iscritti nell’attivo del bilancio finale di liquidazione. Ad analoghe conclusioni può logicamente pervenirsi nel caso in cui un diritto di credito, oltre che magari controverso, non sia neppure liquido: di modo che solo un’attività ulteriore da parte del liquidatore – per lo più consistente nell’esercizio o nella coltivazione di un’apposita azione giudiziaria – avrebbe potuto condurre a renderlo liquido, in vista del riparto tra i soci dopo il soddisfacimento dei debiti sociali. In una simile situazione la scelta del liquidatore di procedere senz’altro alla cancellazione della società dal registro, senza prima svolgere alcuna attività volta a far accertare il credito o farlo liquidare, può ragionevolmente essere interpretata come un’univoca manifestazione di volontà di rinunciare a quel credito (incerto o comunque illiquido) privilegiando una più rapida conclusione del procedimento estintivo. Ma quando, invece, si tratta di un bene o di un diritto che, se fossero stati conosciuti o comunque non trascurati al tempo della liquidazione, in quel bilancio avrebbero dovuto senz’altro figurare, e che sarebbero perciò stati suscettibili di ripartizione tra i soci (al netto dei debiti), un’interpretazione abdicativa della cancellazione appare meno giustificata, e dunque non ci si può esimere dall’interrogarsi sul regime di quei residui o di quelle sopravvenienze attive.

4.2. Escluso, per le ragioni già da principio accennate, che l’esistenza di tali residui o sopravveniente sia da sola sufficiente a giustificare la revoca della cancellazione della società dal registro, o che valga altrimenti ad impedire l’estinzione dell’ente collettivo, sono state prospettate tanto l’ipotesi di una successione dei soci, per certi versi analoga a quella che si è visto operare per i residui e le sopravvenienze passive, quanto l’ipotesi che i beni ed i diritti non liquidati vengano a costituire un patrimonio adespota, assimilabile alla figura dell’eredità giacente, per la gestione e la rappresentanza del quale qualunque interessato potrebbe chiedere al giudice la nomina di un curatore speciale in applicazione analogica dell’art. 528 c.c. e segg..

Quest’ultima soluzione non è però persuasiva. Troppo dissimili appaiono, infatti, i presupposti sui quali riposa l’istituto dell’eredità giacente, e non vi sono ragioni che impongano di ricorrere ad esso in presenza di altre più plausibili ipotesi ricostruttive.

Il subingresso dei soci nei debiti sociali, sia pure entro i limiti e con le modalità cui sopra s’è fatto cenno, suggerisce immediatamente che anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio. Se l’esistenza dell’ente collettivo e l’autonomia patrimoniale che lo contraddistingue impediscono, pendente societate, di riferire ai soci la titolarità dei beni e dei diritti unificati dalla destinazione impressa loro dal vincolo societario, è ragionevole ipotizzare che, venuto meno tale vincolo, la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale. Il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, sparita la società, s’instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni pertengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della contitolarità o della comunione.

5. Occorre ora spostare l’attenzione sul piano processuale, traendo le conseguenze di quanto appena detto.

E’ del tutto ovvio che una società non più esistente, perchè cancellata dal registro delle imprese, non possa validamente intraprendere una causa, nè esservi convenuta (salvo quanto si dirà a proposito del fallimento).

Problemi più complicati si pongono però qualora la cancellazione intervenga a causa già iniziata.

In situazioni di tal fatta questa corte ha già in più occasioni avuto modo di affermare l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla società estinta (si vedano Cass. 15 aprile 2010, n. 9032; e Cass. 8 ottobre 2010, n. 20878), così come di quella proposta nei suoi nei confronti (Cass. 10 novembre 2010, n. 22830); e si è ritenuto che, nei processi in corso, anche se non siano stati interrotti per mancata dichiarazione dell’evento interruttivo da parte del difensore, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 c.p.c., ai soci, che, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, e, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo (Cass. 6 giugno 2012, n. 9110; e Cass. 30 luglio 2012, n. 12796; si veda anche, per un’applicazione di tali principi mediata dalla peculiarità della normativa tributaria, Cass. 5 dicembre 2012, n. 21773).

5.1. Le indicazioni giurisprudenziali cui da ultimo s’è fatto cenno appaiono meritevoli di essere avallate.

L’aver ricondotto la fattispecie ad un fenomeno successorio – sia pure connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società – consente abbastanza agevolmente di ritenere applicabile, quando la cancellazione e la conseguente estinzione della società abbiano avuto luogo in pendenza di una causa di cui la società stessa era parte, la disposizione dell’art. 110 c.p.c. (come già affermato anche da Cass. 6 giugno 2012, n. 9110). Tale disposizione contempla, infatti, non solo la “morte” (come tale riferibile unicamente alle persone fisiche), ma altresì qualsiasi “altra causa” per la quale la parte venga meno, e dunque risulta idonea a ricomprendere anche l’ipotesi dell’estinzione dell’ente collettivo.

Non parrebbe invece altrettanto plausibile, in simile circostanza, invocare il disposto del successivo art. Ili: per la decisiva ragione che il fenomeno successorio di cui si sta parlando non è in alcun modo riconducibile ad un trasferimento tra vivi, o ad un trasferimento mortis causa a titolo particolare che postuli al tempo stesso l’esistenza di un diverso successore universale. Non v’è alcun soggetto diverso dal successore (cioè dai soci) nei cui confronti possa proseguire il processo di cui era parte la società frattanto cancellata dal registro.

Stando così le cose, non v’è motivo per non ritenere applicabili a tale fattispecie le disposizioni dettate dall’art. 299 c.p.c. e segg., in tema di interruzione e di eventuale prosecuzione o riassunzione della causa (così anche Cass. 16 maggio 2012, n. 7676).

La “perdita della capacità di stare in giudizio”, cui dette norme alludono, è infatti inevitabile conseguenza della sopravvenuta estinzione dell’ente collettivo che sia parte in causa; e ricorrono qui tutte le ragioni per le quali il legislatore ha dettato la suaccennata disciplina dell’interruzione e dell’eventuale prosecuzione o riassunzione del giudizio, così da contemperare i diritti processuali del successore della parte venuta meno e quelli della controparte.

Una sola eccezione va segnalata – ma si tratta, appunto, di un’eccezione, come tale destinata ad operare sono nello stretto ambito in cui il legislatore la ha prevista – con riguardo alla disciplina del fallimento. La possibilità, espressamente contemplata dalla L. Fall., art. 10, che una società sia dichiarata fallita entro l’anno dalla sua cancellazione dal registro comporta, necessariamente, che tanto il procedimento per dichiarazione di fallimento quanto le eventuali successive fasi impugnazione continuino a svolgersi nei confronti della società (e per essa del suo legale rappresentante), ad onta della sua cancellazione dal registro; ed è giocoforza ritenere che anche nel corso della conseguente procedura concorsuale la posizione processuale del fallito sia sempre impersonata dalla società e da chi legalmente la rappresentava (si veda, in argomento, Cass. 5 novembre 2010, n. 22547). E’ una fictio iuris, che postula come esistente ai soli fini del procedimento concorsuale un soggetto ormai estinto (come del resto accade anche per l’imprenditore persona fisica che venga dichiarato fallito entro l’anno dalla morte) e dalla quale non si saprebbero trarre argomenti sistematici da utilizzare in ambiti processuali diversi.

5.2. Ulteriori interrogativi sorgono quando, essendosi il giudizio svolto senza interruzione, la necessità di confrontarsi con la sopravvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese si ponga nel passaggio al grado successivo. Il che può accadere o perchè in precedenza siano mancate la dichiarazione dell’evento estintivo (o il suo accertamento in una delle altre forme prescritte dai citati art. 299 e segg.), oppure perchè quell’evento si è verificato quando ormai, nel grado precedente, non sarebbe più stato possibile farlo constare, ovvero ancora perchè l’estinzione è sopravvenuta dopo la pronuncia della sentenza che ha concluso il grado precedente di giudizio e durante la pendenza del termine d’impugnazione.

Pur nella consapevolezza di indicazioni giurisprudenziali non sempre univoche sul punto, le sezioni unite ritengono che l’esigenza di stabilità del processo, che eccezionalmente ne consente la prosecuzione pur quando sia venuta meno la parte, se l’evento interruttivo non sia stato fatto constare nel modi di legge, debba considerarsi limitata al grado di giudizio in cui quell’evento è occorso, in difetto di indicazioni normative univoche che ne consentano una più ampia esplicazione. Viceversa, è principio generale, condiviso dalla giurisprudenza di gran lunga maggioritaria, quello per cui il giudizio d’impugnazione deve sempre esser promosso da e contro i soggetti effettivamente legittimati, ovvero, come anche si usa dire, della “giusta parte” (si vedano, tra le altre, Cass. 3 agosto 2012, n. 14106; Cass. 8 febbraio 2012, n. 1760; Cass. 13 maggio 2011, n. 10649; Cass. 7 gennaio 2011, n. 259; Sez. un. 18 giugno 2010, n. 14699; Cass. 8 giugno 2007, n. 13395; Sez. un. 28 luglio 2005, n. 15783).

Non appare davvero un onere troppo gravoso – nè tanto meno un’ingiustificata limitazione del diritto d’azione, a fronte dell’esigenza di tutelare anche i successori della controparte, che potrebbero essere ignari della pendenza giudiziaria – quello di svolgere, per chi intenda dare inizio ad un nuovo grado di giudizio, i medesimi accertamenti circa la condizione soggettiva della controparte che sono normalmente richiesti al momento introduttivo della lite. Nè giova qui soffermarsi a discutere del se ed in quale eventuale misura tale regola sia suscettibile di attenuazione o di correttivi quando la parte impugnante non sia in condizione, neppure adoperando l’ordinaria diligenza, di conoscere l’evento estintivo che ha interessato la controparte, nè quindi d’individuare i successori nei cui confronti indirizzare correttamente l’atto d’impugnazione.

L’evento estintivo del quale qui si sta parlando, ossia la cancellazione della società dal registro delle imprese, è oggetto di pubblicità legale. Salvo impedimenti particolari (sempre in teoria possibili, ma da dimostrare di volta in volta ai fini di un’eventuale rimessione in termini), non appare quindi ammissibile che l’impugnazione provenga dalla – o sia indirizzata alla – società cancellata, e perciò non più esistente, giacchè la pubblicità legale cui l’evento estintivo è soggetto impone di ritenere che i terzi, e quindi anche le controparti processuali, ne siano a conoscenza; e la necessaria visione unitaria dell’ordinamento non consente di limitare al solo campo del diritto sostanziale la portata delle suaccennate regole inerenti al regime di pubblicità, escludendone l’applicazione in ambito processuale, salvo che vi siano diverse e più specifiche disposizioni processuali di segno contrario (come accade per il verificarsi dell’evento interruttivo nell’ambito del singolo grado di giudizio).

Non ci si nasconde che ad una logica parzialmente difforme sembra rispondere il principio affermato da queste sezioni unite nel caso d’impugnazione proposta nei confronti di società incorporata a seguito di fusione, nel regime anteriore alla riforma societaria del 2003. La sentenza 14 settembre 2010, n. 19509, ha infatti ammesso che, in quel caso, l’impugnazione possa essere validamente notificata al procuratore costituito di una società che nel precedente grado, successivamente alla chiusura della discussione (o alla scadenza del termine di deposito delle memorie di replica), si era estinta per incorporazione, qualora l’impugnante non abbia avuto notizia dell’evento modificatore della capacità giuridica della società mediante la notificazione di esso. Senonchè tale affermazione appare condizionata, in quel caso, dal preliminare diniego dell’effetto processuale interruttivo della fusione e dalla considerazione che, nell’incorporazione per fusione, la società incorporante, già prima della citata novella del 2003, partecipando essa stessa alla fusione, non è mai totalmente distinta dalla parte già costituita, onde quel tipo di operazione dipende interamente dalla volontà degli stessi organi delle due società che ne sono protagoniste, ivi compresa l’incorporante che è destinata a subentrare nella posizione processuale dell’incorporata (nello stesso senso si veda anche la quasi coeva Sez. un. 19 settembre 2010, n. 19698). Ben diverso è il caso dell’estinzione conseguente a cancellazione della società dal registro delle imprese, che certamente può anch’essa dipendere da un atto volontario della parte, ma alla quale non può dirsi partecipe il soggetto (il socio) destinato a succederle nel processo, al quale può essere sì talvolta imputato di aver concorso con la sua volontà a porre la società in liquidazione, ma di regola non certo di averne determinato l’estinzione, a seguito di cancellazione dal registro, nonostante la pendenza di rapporti non ancora definiti.

Sicchè riemergono appieno, in questo caso, le già accennate esigenze di tutela del successore che sono a base tanto dell’istituto dell’interruzione quanto del principio per cui il giudizio d’impugnazione deve esser sempre instaurato nei confronti della “giusta parte”, cui soltanto ormai fa capo il rapporto litigioso.

5.3. In caso di violazione del principio appena ricordato, quando cioè l’impugnazione non sia diretta nei confronti della “giusta parte”, o non provenga da essa, l’impugnazione medesima dev’essere dichiarata inammissibile.

E’ vero che la giurisprudenza di questa corte è apparsa talora incline a ritenere nullo, per errore sull’identità del soggetto (anzichè inammissibile), l’atto d’impugnazione rivolto ad una parte ormai estinta anzichè ai successori (si vedano, ad esempio, Cass. 30 marzo 2007, n. 7981; e Cass. 8 giugno 2007, n. 13395). Ma tale indicazione appare difficilmente condivisibile, ove si rifletta sul fatto che la nullità, in coerenza con la funzione anche informativa dell’atto introduttivo del giudizio, è contemplata dall’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 2, e art. 164 c.p.c., comma 1, nel caso in cui la lettura di quell’atto evidenzi l’omissione o l’assoluta incertezza degli elementi che occorrono per la corretta identificazione delle parti. Non di questo si tratta nella situazione di cui si sta qui discutendo: perchè, lungi dall’esservi incertezza sull’identità della parte, questa è ben chiara, ma accade che il giudizio sia stato promosso, oppure che in esso sia stata evocata, una parte (la società estinta) diversa da quella (i relativi soci) che quel giudizio avrebbero potuto promuovere, o che avrebbero dovuto esservi evocati. Non è, insomma, l’identificazione della parte del processo ad essere in gioco, bensì la stessa possibilità di assumere la veste di parte per l’autore o per il destinatario della chiamata in giudizio. Ed allora, ove tale possibilità di assumere la veste di parte faccia difetto, si è in presenza di un giudizio (o grado di giudizio) che, per l’inesistenza di uno dei soggetti del rapporto processuale che si vorrebbe instaurare, si rivela strutturalmente inidoneo a realizzare il proprio scopo: donde l’inammissibilità dell’atto che lo promuove.

6. Traendo le fila del discorso svolto, in relazione alle questioni per le quali i ricorsi sono stati portati all’esame delle sezioni unite, si possono dunque enunciare i seguenti principi di diritto:

“Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, nè i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato”.

“La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e segg., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta.” 7. In applicazione di tali principi il ricorso proposto dal Comune di Avellino nei confronti della ormai estinta società Rainone deve essere dichiarato inammissibile.

A diversa conseguenza non può condurre la circostanza che la cessionaria del credito a suo tempo azionato da detta società sia intervenuta nel giudizio di cassazione depositando un controricorso, non essendo tale intervento idoneo a sanare l’originaria inammissibilità del ricorso proposto contro un soggetto non più esistente.

8. Il ricorso dell’avv. R., inammissibile per le medesime ragioni nella parte in cui è rivolto nei confronti dell’ormai estinta società Rainone, lo è anche nella parte in cui è riferito al Comune di Avellino (onde non occorre porsi un problema di eventuale integrazione del contraddittorio in questa sede nei confronti dei soci della Rainone), perchè, in caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un’espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., e non dagli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo la richiesta di distrazione qualificarsi come domanda autonoma (si vedano, in tal senso, Sez. un. 7 luglio 2010, n. 16037; e Cass. 30 gennaio 2012, n. 1301).

9. La novità dei profili giuridici esaminati suggerisce di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La corte dichiara inammissibili entrambi i ricorsi e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2013


Tragedia di Perugia: “tensioni sociali fuori controllo: basta denigrare i dipendenti pubblici

I fatti di sangue che hanno tragicamente colpito le due colleghe della Regione Umbria chiamano tutti al raccoglimento e alla solidarietà verso i familiari delle vittime. Ma chiamano anche a una profonda riflessione sulla realtà del lavoro pubblico, sulla rappresentazione distorta, ingiustificata e ingiustificabile di cui lavoratori pubblici sono oggetto da troppo tempo.

La follia e la disperazione che hanno armato la mano dell’omicida avevano, infatti, come obiettivo quella che, in questa rappresentazione deformata, ha finito per costituire la causa delle insufficienze di uno stato e di un sistema di welfare non più in grado di offrire sostegno e sicurezza. Proprio mentre i servizi pubblici devono farsi argine al disagio e delle tensioni sociali esasperate dalle difficoltà della crisi, non solo i cittadini, le famiglie, le imprese, ma gli stessi lavoratori pubblici sono lasciati soli. E questi ultimi sono additati come i terminali dei mali antichi della nostra democrazia.

Negli anni recenti è stata alimentata intorno ai dipendenti pubblici una vera e propria mitologia negativa: il privilegiato inamovibile, il fannullone incapace, la palla al piede del paese, quello che campa alle spalle del cittadino strozzato dalle tasse e dalla crisi… Questa è l’immagine che si è voluto diffondere, con gran clamore mediatico. Non certo con l’intento di armare la mano di un folle, ma contribuendo a fare di lavoratori non meno onesti e “tartassati” della stragrande maggioranza degli italiani, un parafulmine del malessere sociale. Ai quali diventa legittimo togliere tutto: il contratto nazionale, il recupero di un minimo di potere d’acquisto a fronte del costo della vita che cresce per loro come per tutti, il rispetto e la considerazione sociale. Nel caso estremo, perfino la vita.

Questa non è e non vuole essere un’accusa diretta verso chi di questa campagna denigratoria si è fatto alfiere in ogni occasione; ma è un invito a opinionisti e forze politiche a farsi carico della corresponsabilità che tutti abbiamo, in un momento tanto delicato, nel non esacerbare ulteriormente un clima sociale già pesante. E di lavorare invece a ricomporre la frattura che si è aperta tra il “potere pubblico” (le amministrazioni, le istituzioni, la politica) e i cittadini.

Cominciando con il non cercare più comodi capri espiatori, che come in questo caso non sono altro che persone intente a svolgere il loro dovere quotidiano, e andare invece alla fonte dei problemi che fanno apparire l’amministrazione pubblica come “il nemico”: la scarsa chiarezza e coerenza delle norme che essa è deputata ad applicare, l’organizzazione inefficiente, il mancato coordinamento tra gli uffici, i conflitti di competenze, la poca trasparenza, la cultura della procedura anziché del risultato. L’Associazione ha da sempre espresso la propria convinzione per un reale cambiamento in questo senso, facendosi interprete dell’aspirazione di tanti lavoratori pubblici onesti e capaci che intendono il loro ruolo come aiuto al cittadino e non oppressione burocratica.

La vicenda di Perugia è una chiara dimostrazione di quanto l’humus del risentimento sociale possa dare frutti avvelenati. Ma è soprattutto la dimostrazione di quanto il teorema del dipendente pubblico colpevole di ogni stortura sia falso. I lavoratori pubblici hanno dato prova di cosa voglia dire essere in prima linea contro la sofferenza e la disgregazione sociale. Le due colleghe umbre sono l’esempio più chiaro e drammatico di cosa voglia dire l’impegno quotidiano, la dedizione al lavoro, il vivere e lavorare ogni giorno tra i venti della tempesta. E sono l’esempio, purtroppo tutt’altro che retorico, di cosa voglia dire metterci la vita.

L’altra considerazione da fare riguarda gli oggettivi squilibri che, in una fase difficile in cui la sua tenuta più dovrebbe dar prova di sé, il sistema italiano sta palesando. Sul fronte di un fisco sbilanciato a danno di chi lavora e produce, delle famiglie, dei pensionati, dei redditi fissi; su quello di un welfare incapace di fare fronte efficacemente alla domanda di tutela sociale; su quello di una politica cui continua a mancare il coraggio e la capacità di visione per mettere mano ad un disegno credibile di cambiamento, nella prospettiva del quale i pesanti sacrifici richiesti oggi – equamente ripartiti – acquistino un senso e uno scopo.

Le assurde morti di Perugia suonano un campanello d’allarme. Dicono che l’urgenza di ripensare la presenza del “pubblico”, dal livello centrale dello Stato a quello territoriale delle Regioni e dei Comuni con le funzioni e i servizi alle comunità che ad essi fanno capo, non è un tema astratto, ma riguarda la vita delle persone. E’ necessario che la politica, le istituzioni e le parti sociali cerchino con caparbietà ogni possibile soluzione per dare risposte efficaci alle persone, alle famiglie e alle imprese. I lavoratori pubblici sono da sempre in prima linea e troppo spesso finiscono per essere i primi a pagare il prezzo di tensioni sociali fuori controllo. Occorre, da parte di tutti, uno grande sforzo e una grande unità di intenti affinché tragedie come quella di Perugia non si ripetano più.


Corso di formazione/aggiornamento San Marco Argentano (CS) – 14.06.2013

Venerdì 14 giugno 2013

Comune di San Marco Argentano (CS)

Sala del Consiglio Comunale

Via Roma 14

Orari:  9:00 – 13:00   14:00 – 17:00

Con il patrocinio del Comune di San Marco Argentano (CS)

Quote di partecipazione al corso:
La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.
€ 170,00(*) (**) se il partecipante al Corso è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2012 con rinnovo anno 2013 già pagato al 14.01.2013. NON sono considerati iscritti i dipendenti di Enti o di Comuni associati ad A.N.N.A. quali persone giuridiche se non sono iscritti, a loro volta, ma come persone fisiche)
€ 210,00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2013 pagando la quota insieme a quella del Corso. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 280,00più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo il Corso (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).
La quota d’iscrizione dovrà essere pagata, al netto delle spese bancarie e/o postali ed aggiungendo l’imposta di bollo di € 1,81, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria del Corso

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Corso San Marco 2013 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art.10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – aggiungere all’importo totale € 1,81 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento oltre € 1,81 per imposta di bollo.
(***) Se il corso si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Asirelli Corrado

  • Resp. Servizio Notifiche del Comune di Cesena (FC)
  • Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Corso realizzato con il sistema Outdoor training

PROGRAMMA

Il Messo Comunale

  • Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: il rispetto della privacy nel procedimento di notificazione
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c. : notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi

La sentenza della Corte Costituzionale 3/2010

La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 149 bis c.p.c. ed il Codice della Amministrazione Digitale (D. Lgs 82/2005)

La mera trasmissione di atti a mezzo posta elettronica

La PEC

La firma digitale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Le novità introdotte dalla “Legge di Stabilità” 2013  (L. 228/2012)

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973

L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973

L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)

  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • Il D.P.R. 602/1973

L’Art 26 del D.P.R. 602/1973

  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2012

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy contenute nella delibera n. 88/2011
  • Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line (link “Iscrizione on line” a fondo pagina) a cui dovrà seguire il versamento della quota di partecipazione al Corso.

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne Comunale, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.).

Vedi: L’attività Formativa dell’Associazione 2013

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE San Marco Argentano 2013


Corso di formazione/aggiornamento – Montegrotto Terme (PD) – 16.05.2013

Giovedì 16 maggio 2013

Comune di Montegrotto Terme (PD)

Rustico Villa Draghi

Via Enrico Fermi 1

Orari:  9:00 – 13:00   14:00 – 17:00

Con il patrocinio del Comune di Montegrotto Terme (PD)

Quote di partecipazione al corso:
La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.
€ 160,00 (*) (**) se il partecipante al Corso è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2012 con rinnovo anno 2013 già pagato al 14.01.2013. NON sono considerati iscritti i dipendenti di Enti o di Comuni associati ad A.N.N.A. quali persone giuridiche se non sono iscritti, a loro volta, ma come persone fisiche)
€ 200,00 (*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2013 pagando la quota insieme a quella del Corso. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 270.00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo il Corso (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).
La quota d’iscrizione dovrà essere pagata, al netto delle spese bancarie e/o postali ed aggiungendo l’imposta di bollo di € 1,81, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria del Corso

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Corso Montegrotto 2013 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972 e successive modificazioni.
(**) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art.10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – aggiungere all’importo totale € 1,81 (Marca da Bollo)

(***) Se il corso si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Asirelli Corrado

  • Resp. Servizio Notifiche del Comune di Cesena (FC)
  • Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Corso realizzato con il sistema Outdoor training

PROGRAMMA

Il Messo Comunale

  • Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: il rispetto della privacy nel procedimento di notificazione
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c. : notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi

La sentenza della Corte Costituzionale 3/2010

La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 149 bis c.p.c. ed il Codice della Amministrazione Digitale (D. Lgs 82/2005)

La mera trasmissione di atti a mezzo posta elettronica

La PEC

La firma digitale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Le novità introdotte dalla “Legge di Stabilità” 2013  (L. 228/2012)

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973

L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973

L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)

  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • Il D.P.R. 602/1973

L’Art 26 del D.P.R. 602/1973

  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2012

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy contenute nella delibera n. 88/2011
  • Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line (link “Iscrizione on line” a fondo pagina) a cui dovrà seguire il versamento della quota di partecipazione al Corso.

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne Comunale, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.).

Vedi: L’attività Formativa dell’Associazione 2013

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Corso Montegrotto Terme 2013

Vedi: Immagini della Giornata di Studio

Vedi: Video della Giornata di Studio


Corso di formazione/aggiornamento Como – 6.05.2013

Lunedì 6 maggio 2013

Comune di Como

Musei Civici

Sala Barelli

Piazza Medaglie d’Oro 1

Orari:  9:00 – 13:00   14:00 – 17:00

Con il patrocinio del Comune di Como

Quote di partecipazione al corso:
La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.
€ 160,00 (*) (**) se il partecipante al Corso è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2012 con rinnovo anno 2013 già pagato al 14.01.2013. NON sono considerati iscritti i dipendenti di Enti o di Comuni associati ad A.N.N.A. quali persone giuridiche se non sono iscritti, a loro volta, ma come persone fisiche)
€ 200,00 (*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2013 pagando la quota insieme a quella del Corso. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 270,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo il Corso (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).
La quota d’iscrizione dovrà essere pagata, al netto delle spese bancarie e/o postali ed aggiungendo l’imposta di bollo di € 1,81, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria del Corso

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Corso Como 2013 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972 e successive modificazioni.
(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento oltre € 1,81 per imposta di bollo..
(***) Se il corso si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Lombardi Giuseppe

  • Resp. Messi Comunali del Comune di Alessandria
  • Membro del Consiglio Generale di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

 Corso realizzato con il sistema Outdoor training

PROGRAMMA

Il Messo Comunale

  • Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: il rispetto della privacy nel procedimento di notificazione
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c. : notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi

La sentenza della Corte Costituzionale 3/2010

La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 149 bis c.p.c. ed il Codice della Amministrazione Digitale (D. Lgs 82/2005)

La mera trasmissione di atti a mezzo posta elettronica

La PEC

La firma digitale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Le novità introdotte dalla “Legge di Stabilità” 2013  (L. 228/2012)

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973

L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973

L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)

  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • Il D.P.R. 602/1973

L’Art 26 del D.P.R. 602/1973

  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2012

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy contenute nella delibera n. 88/2011
  • Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line (link “Iscrizione on line” a fondo pagina) a cui dovrà seguire il versamento della quota di partecipazione al Corso.

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne Comunale, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.).

Vedi: L’attività Formativa dell’Associazione 2013

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Como 2013

Vedi: Video della Giornata di Studio


Ai sindacati niente dati nominativi sul lavoro straordinario

Le pubbliche amministrazioni, in assenza di disposizioni normative o di specifiche clausole contenute in contratti collettivi, non possono comunicare le ore di straordinario svolte da un dipendente indicando anche il nome e il cognome dello stesso. Le comunicazioni vanno fatte in forma anonima o aggregata. Lo ha stabilito [leggi testo a fondo pagina] il Garante privacy che ha imposto al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia di interrompere la trasmissione alle organizzazioni sindacali dei dati relativi alle ore di straordinario effettuate da un commissario di polizia penitenziaria. L’interessato, non iscritto ad alcun sindacato, aveva lamentato la comunicazione in forma nominativa, alle organizzazioni sindacali del comparto sicurezza, del prospetto concernente le prestazioni di lavoro straordinario da lui effettuate e le relative competenze. Ritenendo violate le norme sulla privacy, aveva chiesto che il Dipartimento cessasse tale trattamento illecito dei dati.

Non avendo ottenuto riscontro, si era è rivolto dunque all’Autorità chiedendo che i suoi dati personali non venissero né trasmessi alle OO.SS., né affissi e quindi diffusi in locali comuni.

L’istruttoria condotta dal Garante ha messo in luce come nel caso in questione non esistono né disposizioni normative né disposizioni contenute in accordi sindacali di settore che legittimino la trasmissione in forma nominativa di informazioni relative alle ore di straordinario svolto dai dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria: l’Accordo Nazionale quadro per il personale del Corpo di polizia penitenziaria, risalente al 2004,  prevede infatti solo la comunicazione in forma anonima dei prospetti delle prestazioni di lavoro straordinario.

Nella sua decisione l’Autorità ha richiamato inoltre quanto previsto dalle Linee guida del Garante del 14 giugno 2007 (doc. web n. 1417809), sul trattamento dei dati personali nel rapporto di lavoro pubblico, le quali stabiliscono che l’amministrazione pubblica può fornire alle organizzazioni sindacali dati numerici e aggregati e non anche quelli riferibili ad uno o più lavoratori individuabili”.

Nell’accogliere dunque il ricorso dell’interessato e ritenendo pertanto illecito il trattamento effettuato dall’amministrazione penitenziaria, l’Autorità ha disposto il blocco dell’ulteriore comunicazione dei dati del dipendente addebitando le spese del ricorso al Ministero.

Leggi: Provvedimento del Garante – 20 dicembre 2012 [2288474]


Le indicazioni dell’Anci sui contratti integrativi

L’Anci ha pubblicato un documento redatto per supportare le Amministrazioni nel percorso di adeguamento dei contratti decentrati, secondo quanto previsto dall’articolo 65 del D.lgs. n. 150/2009: il documento (sotto riportato) contiene una serie di indicazioni utili a identificare correttamente gli ambiti di intervento dettati dal legislatore. Gli enti locali, infatti, per effetto di quanto previsto dall’articolo 65 del D.Lgs. n. 150/2009, sono tenuti ad adeguare i contratti collettivi integrativi vigenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso alle disposizioni riguardanti la definizione degli ambiti riservati, rispettivamente, alla contrattazione collettiva ed alla legge, nonché a quanto previsto dalle disposizioni del Titolo III del citato decreto.

Il successivo art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 141/2011, recante l’interpretazione autentica dell’articolo 65 suddetto, ha chiarito che tale adeguamento dei contratti collettivi integrativi è necessario solo per i contratti vigenti alla data di entrata in vigore del decreto n. 150, mentre ai contratti sottoscritti successivamente si applicano immediatamente le disposizioni introdotte dal medesimo decreto.
Nell’evidenziare, pertanto, la necessità che gli Enti attivino il tavolo negoziale con le rappresentanze sindacali al fine di procedere all’adeguamento di cui si tratta, l’Anci ha fornito, le indicazioni utili a identificare correttamente gli ambiti di intervento dettati dal legislatore.

Leggi: ANCI-La contrattazione decentrata negli enti locali 2013


Corso formazione/aggiornamento Chieti – 23.04.2013

Martedì 23 aprile 2013

Comune di Chieti

Sala del Consiglio Comunale

Corso Marrucino 81

Orari:  9:00 – 13:00   14:00 – 17:00

Con il patrocinio del Comune di Chieti

Quote di partecipazione al corso:
La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.
€ 160,00 (*) (**) se il partecipante al Corso è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2012 con rinnovo anno 2013 già pagato al 14.01.2013. NON sono considerati iscritti i dipendenti di Enti o di Comuni associati ad A.N.N.A. quali persone giuridiche se non sono iscritti, a loro volta, ma come persone fisiche)
€ 200,00 (*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2013 pagando la quota insieme a quella del Corso. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 270,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo il Corso (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).
La quota d’iscrizione dovrà essere pagata, al netto delle spese bancarie e/o postali ed aggiungendo l’imposta di bollo di € 1,81, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria del Corso

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Corso Chieti 2013 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972 e successive modificazioni.
(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento oltre all’imposta di bollo di € 1,81.
(***) Se il corso si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Asirelli Corrado

  • Coordinatore Servizio Notifiche del Comune di Cesena (FC)
  • Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

 Corso realizzato con il sistema Outdoor training

PROGRAMMA

Il Messo Comunale

  • Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: il rispetto della privacy nel procedimento di notificazione
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c. : notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi

La sentenza della Corte Costituzionale 3/2010

La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 149 bis c.p.c. ed il Codice della Amministrazione Digitale (D. Lgs 82/2005)

La mera trasmissione di atti a mezzo posta elettronica

La PEC

La firma digitale

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Le novità introdotte dalla “Legge di Stabilità” 2013  (L. 228/2012)

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973

L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973

L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)

  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • Il D.P.R. 602/1973

L’Art 26 del D.P.R. 602/1973

  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2012

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy contenute nella delibera n. 88/2011
  • Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line (link “Iscrizione on line” a fondo pagina) a cui dovrà seguire il versamento della quota di partecipazione al Corso.

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Le modifiche alla procedimento di notifica della cartella esattoriale apportate dall’intervento della Corte Costituzionale

 La sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2012 ha abrogato per incostituzionalità l’art. 26 del DPR 602/1973 nella parte in cui prevede che le notificazioni delle cartelle esattoriali da effettuarsi ai sensi dell’art. 140 c.p.c. si eseguono mediante affissione all’albo pretorio dell’avviso di deposito previsto dall’art. 60 lett. e) del DPR 600/1973.

Tale interpretazione dell’art. 26 era da ritenersi non in linea con la sentenza n. 3/2010 della Corte Costituzionale che in tema di notifica a soggetti momentaneamente irreperibili aveva avuto modo di precisare che il perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario si realizza col ritiro della raccomandata A.R. o comunque se non ancora ritirata, decorsi 10 giorni dalla sua spedizione.

Per tal motivo la Corte delle leggi ha determinato una nuova lettura del 4° comma precisando quanto segue:

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale del terzo comma (corrispondente  all’attualmente vigente quarto comma) dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui stabilisce  che la notificazione della cartella di pagamento «Nei casi previsti dall’art. 140 del  codice di procedura civile […] si esegue con le modalità stabilite dall’art. 60 del d.P.R.  29 settembre 1973, n. 600», anziché «Nei casi in cui nel comune nel quale deve  eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario […] si  esegue con le modalità stabilite dall’art. 60, primo comma, alinea e lettera e), del d.P.R.  29 settembre 1973, n. 600»

Come si può notare il 4° comma va inteso nel senso che la citazione dell’art. 140 c.p.c. e dell’art. 60 del DPR 600/1973 deve essere sostituita riferendosi invece alle modalità di notificazione previste dall’art. 60 lett. e).

In pratica, il 4° comma deve essere inteso come indicazione sulle modalità di notificazione agli irreperibili assoluti e non a chi è momentaneamente assente.

Come immediata conseguenza constatiamo che l’art. 26 non dà più specifiche indicazioni sulle modalità di notificazione ai soggetti momentaneamente assenti e poiché il 6° comma dell’art. 26 rimanda, per quanto in esso non previsto, all’applicazione dell’art. 60 del DPR 600/1973, la notificazione della cartella esattoriale nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., si esegue mediante deposito di copia dell’atto, affissione dell’avviso all’uscio del contribuente e invio al destinatario di raccomandata A.R., contenente l’avviso dell’avvenuto deposito. Accade così che il messo esattoriale, che notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non ha più necessità di inviare all’albo pretorio on-line gli avvisi di deposito.

Nonostante la Corte delle leggi sia intervenuta per sanare un’evidente disparità di trattamento, il suo intervento ha tuttavia determinato una rilettura della norma che riverbera i suoi effetti sulla notificazione della cartella esattoriale agli irreperibili assoluti.

Se infatti sostituiamo il primo periodo con il testo adottato dalla Corte («Nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario […] si  esegue con le modalità stabilite dall’art. 60, primo comma, alinea e lettera e), del d.P.R.  29 settembre 1973, n. 600») e lasciamo inalterato il secondo periodo, non toccato dalla sentenza della Corte Costituzionale, che dispone che la notificazione si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune, dovremo concludere che la sentenza 258/2012 non solo ha modificato le modalità di notificazione agli irreperibili momentanei ma anche agli irreperibili assoluti.

Per tal motivo Equitalia ha disposto che l’avviso previsto dall’art. 60 lett. e) sia affisso per un giorno soltanto anziché otto.

Per quanto tale interpretazione possa essere condivisibile, balza subito all’occhio il determinarsi di una nuova situazione di disparità di trattamento in casi identici. Mentre per gli avvisi di accertamento di atti finanziari la notificazione si perfeziona per il destinatario nell’ottavo giorno successivo all’affissione dell’avviso, per la cartella esattoriale il termine è decisamente più breve.

Sarà lecito quindi aspettarsi una nuova pronunzia della Corte Costituzionale, anche in considerazione del fatto che in campo tributario, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010 inerente il perfezionamento della notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. , il termine ultimo di eseguita notificazione può essere addirittura di dieci giorni, mentre in una situazione più precaria, quale quella dell’irreperibile assoluto il termine concesso è irragionevolmente più breve, o nel caso di notifica di cartella esattoriale, addirittura brevissimo.

Leggi: Circolare Agenzia delle Entrate 2013
Verona 01.03.2013


Circolare 001/2013 – Modifiche al procedimento di notifica della cartella esattoriale

La sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2012 ha abrogato per incostituzionalità l’art. 26 del DPR 602/1973 nella parte in cui prevede che le notificazioni delle cartelle esattoriali da effettuarsi ai sensi dell’art. 140 c.p.c. si eseguono mediante affissione all’albo pretorio dell’avviso di deposito previsto dall’art. 60 lett. e) del DPR 600/1973.

Leggi: Circolare 2013-001 Le modifiche alla procedimento di notifica della cartella esattoriale apportate dall’intervento della Corte Costituzionale con sentenza 258