Nel caso di “doppia notifica” fa fede la prima notifica

Notificazione di un atto tributario al legale rappresentante o alla società: la modalità è alternativa. In caso di doppia notifica, bisogna far riferimento alla prima per il rispetto dei termini decadenziali dell’atto impositivo.
La notifica di un atto tributario ad una società priva di personalità giuridica avviene, in via alternativa, mediante notificazione al legale rappresentante o alla società.
In caso di “doppia notifica”, quindi, è la prima notifica che va considerata ai fini del rispetto dei termini decadenziali dell’atto impositivo.
Queste la decisione dettata dalla sentenza n. 10282/2023 della Corte Suprema di Cassazione.
La vicenda riguarda il ricorso proposto da una società di persone avverso l’atto di irrogazione della sanzione accessoria, previsto dall’art. 12 co. 2 DLgs. n. 471 del 1997, della sospensione dall’esercizio dell’attività per la durata di tre giorni consecutivi in esito alla contestazione nel quinquennio di quattro violazioni dell’obbligo di emettere lo scontrino fiscale.
L’Agenzia delle entrate aveva notificato l’atto impositivo due volte, sia alla società, in data 26 aprile 2012, sia al suo legale rappresentante, in data 20 aprile 2012.
La società proponeva ricorso avanti la CTP per intervenuta decadenza dal potere di irrogare sanzioni, in quanto l’atto era stato notificato oltre il previsto termine di sei mesi dalla quarta contestazione.
Il ricorso è stato accolto in primo grado ma il giudizio è stato riformato dalla CTR che, in accoglimento dell’appello proposto dall’amministrazione finanziaria, ha chiarito che il dies a quo per far decorrere il termine di sei mesi previsto dalla legge, è quello in cui l’atto è stato notificato alla società nelle mani del legale rappresentante.
La società ha impugnato la decisione di secondo grado dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione, deducendo violazione dell’art. 12 co. 2-bis DLgs. n. 471 del 1997.
A parere della ricorrente il termine di sei mesi avrebbe dovuto, in ogni caso, computarsi dal 20 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna al legale rappresentante della società, e non dal 26 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna alla società.
Infatti, trattandosi di una società priva di personalità giuridica, la notificazione al legale rappresentante della società, con consegna dell’atto a quest’ultima attraverso di essa, già in data 20 aprile 2012 rende in sostanza irrilevante la successiva consegna direttamente alla società il 26 aprile 2012.
Ritenendo fondato il motivo di doglianza della società, la Corte Suprema di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto l’originario ricorso proposto dalla ricorrente.
Il collegio di legittimità ha contestato la tesi della CTR per cui la doppia notifica si perfeziona con l’ultima notificazione.
La Corte Suprema di Cassazione richiama, a tal riguardo, la lettera dell’art. 145 co. 2 c.p.c. (nella versione vigente dal 1° marzo 2006), che prevede la possibilità di effettuare la notificazione di un atto a un ente non personificato o mediante notificazione all’ente stesso nella sede legale o al legale rappresentante dello stesso nei luoghi di sua residenza o domicilio.
La previsione del novellato art. 145 co. 2 c.p.c. – che pone il criterio dell’alternatività tra la notificazione nella sede o al legale rappresentante – si applica, ai sensi dell’art. 2 co. 4 L. n. 263/2005, ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.
Non si tratta, pertanto, di eccesso di zelo dell’Ufficio, bensì di notifica alternativa correttamente eseguita e sottoscritta dal destinatario.
Nella fattispecie, trattandosi di notificazioni effettuate nel 2012, deve farsi applicazione della disciplina pro tempore, ritenendosi corretta la prima notificazione, con conseguente fondatezza del motivo.
Da ciò discende l’annullamento della sentenza impugnata.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 21/12/2022) 21/04/2023, n. 10805

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. HMELJAK Tania – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4425/2020 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA OVIDIO N. 32, presso lo studio dell’avvocato CHIARANTANO BRUNO, (CHRBRN77R21L719W) rappresentato e difeso dall’avvocato RIJLI SALVATORE, (RJLSVT62C25H224Y);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE;

– intimata –

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CALABRIA-SEZ.DIST. REGGIO CALABRIA n. 2162/2019 depositata il 17/06/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2022 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Svolgimento del processo
CHE:

1. In data 23 dicembre 2012, A.A. riceveva notificazione di intimazione di pagamento n. (Omissis) per la complessiva somma di Euro 185.822,71 quanto all’anno di imposta (Omissis) in riferimento ai ruoli (Omissis) e (Omissis). L’intimazione era fondata sulla cartella di pagamento n. (Omissis).

2. Proponeva impugnazione il contribuente eccependo la nullità dell’intimazione per mancata notifica della cartella.

3. La CTP di Reggio Calabria, con la sentenza n. 1147/03/2014, rigettava il ricorso.

4. Proponeva appello il contribuente e la CTR della Calabria, con la sentenza impugnata, accoglieva in parte il gravame, relativamente al calcolo degli interessi.

In particolare, la CTR così motivava:

“La notifica della cartella appare del tutto rituale. Dalla fotocopia prodotta e non contestata dal contribuente si deduce infatti che la copia è stata ritirata dalla moglie del contribuente che si è soltanto rifiutata di sottoscrivere la relata. Di conseguenza la notifica appare corretta e conforme alla normativa vigente.” 5. Propone ricorso per cassazione il contribuente con un unico motivo. L’Agenzia delle entrate-Riscossione resta intimata.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione DEL D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 e degli artt. 138, 139 e 140 c.p.c. 1.1. Le considerazioni della CTR sono smentite dalle evidenze documentali, poichè è indubitabile che la consegna del plico non è mai avvenuta. La circostanza assunta a fondamento della decisione, ossia la consegna dell’atto presupposto alla moglie del contribuente, nonostante il rifiuto della medesima di sottoscrivere l’atto, risulta incontestabilmente esclusa dalla relata di notificazione depositata dall’agente della riscossione: come emerge da detta relata (riprodotta per autosufficienza a pagina 5 del ricorso), “il messo notificatore non attesta di aver consegnato alla moglie del contribuente la cartella stessa, circostanza(,) questa(,) emergente dalla mancata apposizione del contrassegno alla casella: ‘Consegnandola in assenza del contribuentè”. Risulta quindi smentita la regolarità della notificazione, atteso che, in costanza di rifiuto opposto da persona diversa dal destinatario, il messo avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 140 c.p.c. L’osservanza della procedura ai sensi di quest’ultimo articolo era in ogni caso dovuta, essendo normativamente prescritto che solo il rifiuto del destinatario possa assumere rilevanza ai fini della regolarità della notificazione.

2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.

2.1. Dalla relazione di notificazione della cartella di pagamento, costituente il presupposto dell’intimazione oggetto di impugnazione, notificazione, come detto, riprodotta nel corpo del ricorso, emerge che:

– non è contrassegnato il riquadro relativo alla casella che recita: “Consegnandola in assenza del contribuente”;

– la “moglie convivente” del contribuente “si rifiuta di firmare”.

2.2. In ragione di quanto precede, ed in particolare della dicitura: “Si rifiuta di firmare”, la suddetta “moglie convivente” ha espressamente ricusato di ricevere la notifica, senza peraltro che, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, il tenore letterale della relata consenta di affermare che la medesima abbia comunque ricevuto il piego.

2.3. Pertanto, a fronte dell’art. 139 c.p.c., comma 2, secondo cui, “se il destinatario non viene trovato in uno d(ei) luoghi (ove deve essere ricercato), l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purchè non minore di quattordici anni o non palesemente incapace”, nella specie, trova applicazione l’art. 140 c.p.c., secondo cui, “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.

Invero, come detto, ricorre l’ipotesi del “rifiuto”.

3. La sentenza impugnata va pertanto annullata e cassata senza rinvio.

3.1. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, questa Suprema Corte è abilitata a decidere definitivamente la causa, accogliendo il ricorso introduttivo del giudizio, in ragione dell’omessa rituale notificazione della cartella di pagamento al contribuente.

3.2. L’esito del giudizio comporta, in punto di spese, che, compensate quelle dei gradi di merito, l’Agenzia delle entrate-Riscossione sia condannata a rifondere al contribuente quelle del grado di legittimità, liquidate, secondo tariffa, come in dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso.

Per l’effetto, annulla e cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio.

Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.

Condanna l’Agenzia delle entrate-Riscossione a rifondere alla contribuente le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 5.600, oltre esborsi per Euro 200, spese forfetarie in misura del 15% ed accessori, se ed in quanto dovuti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2023


Fallimento: la notifica pec al domicilio digitale fa decorrere il termine per il reclamo

La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza del 9 febbraio 2023, nel ritenere valida la notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento presso il “domicilio digitale” del procuratore della società fallita e, di conseguenza, spirato il termine per la proposizione del reclamo da parte del socio illimitatamente responsabile e legale rappresentante della medesima società, ha affermato che, alla luce della vigente normativa, deve considerarsi come validamente effettuata la notifica via pec al “domicilio digitale” anche in caso di espressa elezione di “domicilio fisico”, in quanto trattasi di due opzioni alternative che, lungi l’una dal precludere l’altra, concorrono.

Orientamenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2021, n. 39970Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 11 febbraio 2021, n. 3557

La Corte di d’appello di Catanzaro, si è pronunciata sulla validità della notificazione della sentenza di fallimento di una s.n.c., emessa dal Tribunale di Cosenza, al “domicilio digitale”, ovvero all’indirizzo pec, del procuratore della società; nonché di conseguenza sull’idoneità della stessa a far decorrere il termine perentorio per proporre reclamo, ai fini di valutare la tempestività o meno del ricorso depositato dal socio illimitatamente responsabile e legale rappresentate della s.n.c..

Infatti, nel costituirsi in giudizio, la Curatela del Fallimento aveva eccepito l’inammissibilità del reclamo per tardività, poiché il relativo ricorso era stato proposto dal fallito oltre il termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 18 comma 1 L.F., termine decorrente “dalla data della notificazione della sentenza a norma dell’art.17” (art. 18, co. 4, L.F.).

Precisamente, l’art. 17 L.F. dispone che entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, la sentenza che dichiara il fallimento vada notificata, su richiesta del cancelliere, al debitore, eventualmente presso il domicilio eletto nel corso del procedimento, e comunicata per estratto al pubblico ministero, al curatore e al richiedente il fallimento, con la specificazione che l’estratto deve contenere il nome del debitore, il nome del curatore, il dispositivo e la data del deposito della sentenza.

L’art. 18 L.F. prosegue poi prevedendo che contro la sentenza che dichiara il fallimento possa essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della Corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni, termine che come precisato al comma 4 decorre per il debitore dalla data della notificazione della sentenza.

Premettendo che l’eccezione è stata ritenuta fondata e meritevole di accoglimento, la Corte d’Appello ha rilevato come risultasse dall’attestazione telematica che in data 31.01.2022 la Cancelleria fallimentare del Tribunale di Cosenza aveva notificato a mezzo pec la sentenza dichiarativa di fallimento, oggetto del reclamo, ex art. 170 c.p.c., all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocato procuratore speciale costituito nel giudizio pre-fallimentare.

I Giudici hanno evidenziato come, ai sensi dell’art. 16, comma 4, D.L. 18.10.2012, n. 179 (convertito in L. 17.12.2012 n. 221), “Nei procedimenti civili e in quelli davanti al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Pertanto, la notificazione della sentenza dichiarativa del fallimento da parte della Cancelleria all’indirizzo pec del procuratore domiciliatario era da ritenersi idonea a far decorrere il termine per impugnare ex art. 18 .L.F.; e ciò ancorché la società fallita, nell’atto di costituzione in giudizio, avesse optato per un’elezione di “domicilio fisico” presso lo studio dell’avvocato.

Al riguardo, la Corte di Catanzaro ha richiamato la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione la quale ritiene che, alla luce della vigente normativa, il “domicilio fisico” costituisca un’alternativa al “domicilio digitale”, e che, dunque, debba considerarsi come validamente effettuata la notifica al “domicilio digitale” pure in caso di espressa elezione di “domicilio fisico”.

In particolare, si è riportato un precedente della giurisprudenza di legittimità che, seppur non riguardante l’ipotesi di reclamo ex art. 18 L.F., è stato ritenuto a questa assimilabile, e in cui la Suprema Corte di Cassazione ha considerato tardivo il ricorso per cassazione in quanto la sentenza impugnata era da ritenersi, ai fini di decorrenza del termine breve, validamente notificata via pec al domiciliatario in appello oltre che al “dominus” difensore; e ciò nonostante l’elezione di “domicilio fisico” in capo all’avvocato, destinatario della notifica telematica (Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2021, n. 39970).

La norma venuta in rilievo nel caso appena menzionato è quella, sempre introdotta con la L. di conversione n. 221/2012, dell’art. 16-sexies D.L. n. 179/2021, che sotto la rubrica “Domicilio digitale” stabilisce che “quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

La Corte Suprema di Cassazione ha così affermato, richiamando a propria volta un’altra pronuncia di legittimità (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 11 febbraio 2021, n. 3557), che il “domicilio digitale” può essere utilizzato per la notificazione in questione, anche se non elide la prerogativa processuale di eleggere “domicilio fisico”, sicché le due opzioni concorrono: in tal caso, la parte aveva solo eletto domiciliazione fisica, ma la domiciliazione digitale, pur non impedendo l’utilizzo della prima, restava, per volontà dell’ordinamento, una delle due possibilità ai fini in discussione. Ne discendeva la ritualità della notifica della sentenza impugnata, nei sensi eccepiti dalla controricorrente, con conseguente sua idoneità all’attivazione del termine breve di impugnazione e tardività del ricorso.

Dunque, la validità della notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento presso il “domicilio digitale” del procuratore della società fallita ha portato, di riflesso, a ritenere che fosse spirato il termine per la proposizione del reclamo da parte del socio illimitatamente responsabile e legale rappresentante della società fallita.

Ed invero, è stato applicato alla fattispecie il principio enunciato da Cass. civ., Sez. I, 17 novembre 2016, n. 23430, secondo cui “nel caso di dichiarazione di fallimento di una società di persone e del socio illimitatamente responsabile, anche in virtù di un ragionevole bilanciamento tra le ricordate esigenze di tutela del diritto di difesa e quelle di concentrazione e celerità dello svolgimento delle procedure concorsuali, deve ritenersi che, nel caso in cui il socio dichiarato fallito abbia anche la veste di legale rappresentante della società, la notifica della sentenza ricevuta in questa veste assicuri la piena conoscenza della decisione anche con riguardo alla dichiarazione del suo fallimento personale, con la conseguenza che da detta notifica decorre il termine breve per proporre reclamo anche nella qualità di socio illimitatamente responsabile”.

La Corte d’Appello non ha dubitato che il suddetto soggetto avesse avuto legale e completa conoscenza della sentenza che dichiarava il suo fallimento quale socio illimitatamente responsabile della snc, già al momento della notifica dell’atto presso il domicilio eletto da quest’ultima, in quanto egli aveva anche la veste di legale rappresentante della società.

Ne è derivata, pertanto, l’inammissibilità del reclamo proposto in data 2.5.2022, poiché ben oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza impugnata avvenuta in data 31.1.2022; e la Corte d’Appello di Catanzaro, ha in definitiva dichiarato inammissibile il reclamo e condannato il reclamante al pagamento delle spese di lite.


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 25/11/2020) 11/02/2021, n. 3557

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7271/2018 proposto da:

G.A., in persona del curatore pro tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO CAMPO;

– ricorrente –

contro

LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI TRAPANI già PROVINCIA REGIONALE DI TRAPANI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato NICOLA ADRAGNA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA STELLA PORRETTO;

– controricorrente –

e contro

ASSESSORATO REGIONALE DELLA FAMIGLIA, DELLE POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO, SERVIZIO UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO DI TRAPANI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 782/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/11/2017 R.G.N. 1032/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCO CAMPO;

udito l’Avvocato NICOLA ADRAGNA per delega verbale Avvocato MARIA STELLA PORRETTO.

Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Trapani aveva dichiarato il diritto di G.A. ad essere assunto a tempo indeterminato, a decorrere dal 10.2.2009, come soggetto appartenente alle categorie protette ex L. n. 68 del 1999, e condannò la Provincia di Trapani (poi, Libero Consorzio Comunale di Trapani) al risarcimento del danno, liquidandolo in misura pari alla differenza tra quanto il G. aveva percepito dal 10.2.2009 e quanto il medesimo avrebbe percepito ove l’obbligo di assunzione fosse stato assolto.

2. Adita dal Libero Consorzio Comunale di Trapani, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dal G..

3. Avverso questa sentenza G.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso il Libero Consorzio Comunale Di Trapani.

4. L’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro e il Servizio Ufficio Provinciale del Lavoro di Trapani non risultano costituiti in giudizio.

Motivi della decisione
Sintesi dei motivi.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 3 e art. 4, comma 4, per avere la Corte territoriale affermato che il transito del lavoratore già dipendente del datore di lavoro pubblico, nella quota di riserva non comporta una novazione del rapporto che rimane immutato nè la trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo determinato e part-time in rapporto a tempo indeterminato a tempo pieno.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 7.

7. Sostiene l’erroneità della statuizione della Corte territoriale nella parte in cui ha affermato che, in base alla L. n. 68 del 1999, art. 7, che rinvia al D.Lgs. n. 29 del 1993, oggi D.Lgs. n. 165 del 2001, la P.A. deve procedere alleòassunzioni delle categorie protette mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposte liste e che a tale regola non farebbe eccezione l’ipotesi disciplinata dalla L. n. 68 del 1999, art. 4, comma 4, secondo l’indicazione di questa Corte Cass. n. 14153/2012.

8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 quater e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 3 bis. Deduce che dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio di primo grado era stato dimostrato che nel 2007 la Provincia Regionale di Trapani non rispettava la quota di assunzioni obbligatorie prevista dalla L. n. 68 del 1999, art. 3 e che l’Ufficio Provinciale del Lavoro la aveva diffidata a procedere al reclutamento della L. n. 68 del 1999, ex art. 3, conformemente alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, prescrizione alla quale la Provincia non aveva ottemperato.

9. In via preliminare deve essere esaminata la questione (affrontata funditus da entrambe le parti nel ricorso, nel controricorso e nella memoria depositata dal ricorrente), della quale si impone il rilievo d’ufficio, riguardante la ammissibilità del ricorso proposto il 20 febbraio 2018 a fronte della notifica della sentenza impugnata avvenuta il 30 novembre 2017 “nei confronti di G.A. il quale agisce con l’assistenza del curatore G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Campo nel domicilio eletto”.

10. E’ infondata la prospettazione difensiva del ricorrente, che al fine di negare la validità di detta notificazione ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, asserisce che a seguito dell’introduzione del domicilio digitale, corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, la notificazione degli atti processuali deve essere effettuata unicamente all’indirizzo p.e.c. sul rilievo che soluzioni alternative sono possibili solo ove la posta certificata non funzioni”.

11. Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, rubricato “Domicilio digitale”, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 52, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, dispone che Salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.

12. Il dato testuale (quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario…) attesta in modo chiaro ed inequivoco che la disposizione innanzi richiamata, nell’ambito della giurisdizione civile, fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c., per il giudizio di cassazione, ha depotenziato la domiciliazione ex lege presso la Cancelleria dell’ufficio giudiziario imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia, salvo nei casi di impossibilità di procedere alla notifica a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

13. Ad un tempo l’art. 16 sexies, ha ridimensionato il campo di applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, ormai limitato nella sua applicazione al caso in cui la notificazione a mezzo p.e.c non è possibile per causa imputabile al destinatario della stessa.

14. La prescrizione prescinde, dunque, dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, e trova applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri dai quali è possibile attingere l’indirizzo PEC del difensore; ciò in ragione dell’obbligo gravante su quest’ultimo di comunicarlo al proprio ordine e in capo al Consiglio dell’Ordine di inserirlo sia nel registro INIPEC, che nel ReGindE. 15. In altri termini, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario (Cass. n. 14140 del 2019, n. 14914 del 2018, Cass. 17048/2017).

16. Deve, però, escludersi che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass. 1982/2020, Cass. 2942/2019, Cass. 22892/2015).

17. Quest’ affermazione non contrasta con i principi affermati nella decisione di questa Corte n. 10355 del 2020 relativa a fattispecie, diversa da quella in esame, nella quale veniva in rilievo la notificazione della sentenza di appello effettuata presso il domiciliatario nonostante l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore costituito.

18. Prevista per agevolare le comunicazioni di cancelleria e le notificazioni delle parti, l’indicazione della PEC non rende, infatti, inapplicabile l’intero insieme delle norme e dei principi sulla domiciliazione nel giudizio, soprattutto allorchè sia la stessa parte o il suo difensore a designare l’elemento topografico dell’elezione di domicilio in maniera compatibile con le regole del processo.

19. Deve, pertanto, affermarsi che ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, anche dopo l’introduzione del “domicilio digitale” (D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014), resta valida la notificazione effettuata presso il domicilio fisico ove il destinatario abbia scelto, eventualmente in associazione a quello digitale, di eleggervi il domicilio.

20. Nella fattispecie in esame è indiscusso che vi era stata esplicitata elezione del domicilio fisico (topograficamente coincidente con l’indirizzo dello studio del difensore dell’odierno ricorrente costituito in giudizio) e che non vi fu alcuna scelta di ricevere le notificazioni e/o le comunicazioni presso l’indirizzo p.e.c..

21. Dall’esame degli atti del giudizio emerge, inoltre, che la sentenza impugnata era stata notificata in data 30.11.2017 “nei confronti di G.A. il quale agisce con l’assistenza del curatore G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Franco Campo nel domicilio eletto” ed era stata ricevuta da quest’ultimo, raggiungendo lo scopo di provocare e attivare l’attività di impugnazione, scopo proprio della notificazione della sentenza (Cass. Sez. Un. 20866 del 2020; Cass. 2396 del 2020, Cass. 16663 del 2018, Cass. n. 2220 del 2016, Cass. 7365 del 2010, Cass. 11093 del 1998).

22. La notifica effettuata a G.A. presso il difensore costituito, al di là della formula letterale che è stata oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione.

23. La notificazione della sentenza munita della formula esecutiva alla parte presso il procuratore costituito, è, infatti, equivalente alla notificazione al procuratore stesso, prescritta dagli artt. 285 e 170 c.p.c., ed è pertanto idonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 2 (Cass. 2974/20020, Cass. 11216/2008).

24. Come già evidenziato, è indiscusso tra le parti, e la circostanza emerge dall’esame degli atti, che il ricorso per cassazione è stato notificato al Libero Consorzio del Comune di Trapani il 20 febbraio 2018, ben oltre, quindi il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c., u.c., decorrente, ai sensi dell’art. 326 c.p.c., comma 1, dalla data della notificazione della sentenza impugnata (come detto 30 novembre 2017).

25. Va, in conclusione dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

26. La complessità della questione concernente la validità della notifica della sentenza impugnata giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

27. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte;

Dichiara il ricorso inammissibile.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 27/01/2023) 18/04/2023, n. 10282

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’AQUINO Filippo – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. SALEMME Andrea Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26239-2016 R.G. proposto da:

A.A. DI B.B. e C Snc , elettivamente domiciliata in ROMA VIA VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DI CAPUA ALBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato SANGIOVANNI GIUSEPPE (SNGGPP63S18A345I);

-ricorrente-

CONTRO

AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ((Omissis)) che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 3273-2016 depositata il 07/04/2016.Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/01/2023 dal Consigliere ANDREA ANTONIO SALEMME.

Svolgimento del processo
1. A.A. DI B.B. e C. Snc era attinta da atto di irrogazione della sanzione accessoria ex D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2, della sospensione dall’esercizio dell’attività per la durata di tre giorni consecutivi in esito alla contestazione nel quinquennio di quattro violazioni dell’obbligo di emettere lo scontrino fiscale.

Ai fini del presente giudizio, rileva che l’atto di contestazione della quarta violazione era stato notificato due volte, avendo l’Agenzia delle entrate provveduto alla cd. doppia notifica, mediante inoltro per la notifica ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14 sia alla società, sia al suo legale rappresentante; l’una aveva ricevuto la notifica in data 26 aprile 2012, l’altro in data 20 aprile 2012.

2. La società proponeva ricorso avanti la CTP di Napoli per intervenuta decadenza dell’amministratore dal potere di irrogare sanzioni in quanto l’atto era stato notificato oltre il previsto termine di sei mesi dalla quarta contestazione.

2.1. Con sentenza n. 13766 del 28 maggio 2014, la CTP di Napoli accoglieva l’eccezione di decadenza.

3. L’Agenzia delle entrate proponeva appello, che la CTR della Campania accoglieva, osservando:

– la motivazione della sentenza di primo grado è contraddittoria: “mentre da un lato si dà atto delle regolarità del provvedimento impugnato e della tempestività della notifica, facendo decorrere il termine di sei mesi dall’ultima notifica dell’atto di contestazione avvenuta il 26/04/2012, poi si considera (la stessa) non idonea alla prova della avvenuta notifica, sul presupposto della mera contestazione da parte della società contribuente”;

– “deve invece ritenersi che (…) l’eccezione relativa alla tardività della notifica del provvedimento con il quale l’Ufficio irrogava le sanzioni accessorie risulti (…) priva di fondamento”;

– il termine di sei mesi è rispettato, “atteso che nel caso in esame l’Ufficio provvedeva a notificare l’avviso di irrogazione di sanzioni una prima volta il 20/04/2012 all’amministratore della società appellata Sig. B.B. e una seconda volta il 26/04/2012 con ulteriore raccomandata inviata alla società A.A. di B.B. e C. s.n.c.”;

– “avendo l’amministrazione finanziaria provveduto ad una doppia notifica appare corretto considerare quale ‘dies a quò, per far decorrere il termine di sei mesi previsto dalla legge, l’ultimo atto notificato alla società nelle mani del legale rappresentante, non comprendendosi per quale motivo e sulla base di quale presupposto di legge dovrebbe tenersi conto solo della prima raccomandata”.

4. Avverso la sentenza della CTR propone la società ricorso per cassazione con tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. La società deposita memoria, mediante la quale ulteriormente illustra i motivi di cui al ricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis, dell’art. 149 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3.

1.1. Alla stregua delle rubricate disposizioni di legge, in caso di consegna dell’atto notificando, l’efficacia della notificazione, per il notificante, retroagisce al momento dell’invio. Di conseguenza il termine di sei mesi avrebbe dovuto nella specie essere computato dal 18 aprile 2012, giorno in cui era avvenuto l’invio delle due distinte raccomandate attraverso le quali l’atto di irrogazione di sanzioni era stato rimesso alla società ed alla persona fisica che la rappresentava.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis, e dell’art. 145, comma 2, c.p.c. nel testo “ratione temporis” applicabile.

2.1. Pur non volendo accedere alla tesi di cui al primo motivo, il termine di sei mesi avrebbe dovuto, in ogni caso, computarsi dal 20 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna al legale rappresentante della società, e non dal 26 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna alla società. A partire dal 1 marzo 2006, l’art. 145, comma 2, c.p.c. prevede che la notificazione ad una società non avente personalità giuridica si possa fare a norma del comma precedente (ossia mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata) presso la sede o alla persona fisica che rappresenta l’ente. Conseguentemente, nella specie, la notificazione al legale rappresentante della società, con consegna dell’atto a quest’ultima attraverso di essa, già in data 20 aprile 2012 ha reso irrilevante la successiva consegna direttamente alla società il 26 aprile 2012.

3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione della Cost., art. 11, comma 6, e dell’art. 132 c.p.c. e motivazione apparente e/o perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

3.1. La motivazione della sentenza impugnata sulla tempestività dell’atto di irrogazione è tautologica ed incomprensibile, ragion per cui essa, meramente apparente, è sostanzialmente inesistente.

4. Procedendo in ordine logico nella disamina dei motivi, rileva preliminarmente l’esame del terzo.

4.1. Esso è infondato, in quanto la motivazione della sentenza impugnata si esprime chiaramente – ed in tal senso, infatti, è stata intesa in ricorso – nel senso di individuare il “dies a quo” del termine semestrale nella seconda delle due notificazioni dell’atto di contestazione della quarta violazione effettuate dall’Agenzia delle entrate, per il fatto di avere quest’ultima “provveduto ad una doppia notifica”. In buona sostanza, secondo la CTR, la doppia notifica si perfeziona con l’ultima notificazione, nel senso che, a fronte della duplice notificazione alla società ed al legale rappresentante, quantunque quella a questi siasi perfezionata prima, è alla seconda, perfezionatasi dopo, ossia per ultima, a dover essere accordata preminenza.

Trattasi di una motivazione errata, come subito si dirà, ma non per questo perplessa e men che meno apparente.

5. Fondato è il secondo motivo.

5.1. Esso assume come presupposto che l’art. 145, comma 2, c.p.c. (nella versione vigente dal 1 marzo 2006) prevede la possibilità di effettuare la notificazione di un atto a un ente non personificato o mediante notificazione all’ente stesso nella sede legale o al legale rappresentante dello stesso nei luoghi di sua residenza o domicilio.

5.2. La previsione del novellato art. 145, comma 2, c.p.c. – che pone il criterio dell’alternatività tra la notificazione nella sede o al legale rappresentante (atteso che “la notificazione alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e ai comitati di cui agli artt. 36 e seguenti del codice civile si fa a norma del comma precedente, nella sede indicata nell’art. 19, comma 2, ovvero alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale”) – si applica, ai sensi della l. n. 263 del 2005, art. 2, comma 4, ai procedimenti instaurati successivamente al 1 marzo 2006.

5.3. Il criterio dell’alternatività della notificazione trova suggello nella costante giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, 10 maggio 2022, n. 14716; Sez. 5, 10 novembre 2020, n. 25137, Sez. 5, 7 giugno 2021, n. 17266; Sez. 5, 22 novembre 2021, n. 35889; Sez. 5, 10 maggio 2022, n. 14716; Sez. 6-3, 7 settembre 2001, n. 24061, Rv. 662217-01); così come si afferma che l’obbligo di notificazione degli atti tributari presso il domicilio fiscale ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. c, non esclude la possibilità di eseguire la notificazione in via alternativa a quella nella loro sede, direttamente alla persona fisica che le rappresenta, purchè ne siano indicati nell’atto la qualità, la residenza, il domicilio o la dimora abituale (Sez. 5, 10 novembre 2010, n. 25137).

5.4. Non si tratta, pertanto, di “eccesso di zelo” dell’Ufficio, bensì di notifica alternativa correttamente eseguita e sottoscritta dal destinatario. Nella specie, trattandosi di notificazioni effettuate nel 2012, deve farsi applicazione della disciplina pro tempore, ritenendosi corretta la prima notificazione, con conseguente fondatezza del motivo.

5.5. La fondatezza del secondo motivo – da cui discende l’assorbimento del primo – comporta l’annullamento della sentenza impugnata. Non essendo necessari nuovi accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi il ricorso introduttivo spiegato dalla contribuente avverso l’atto di irrogazione della sanzione. Invero, come risulta dalla sentenza impugnata e dalla concorde versione delle parti, a fronte dell’essere stato l’avviso di contestazione della quarta violazione validamente (per le esposte ragioni) notificato all’amministratore della contribuente il 20 aprile 2012, la notificazione dell’atto di irrogazione della sanzione in data 22 ottobre 2012 è avvenuta oltre il termine semestrale, previsto espressamente a pena di decadenza, dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis.

5.6. In punto spese, l’esito del giudizio comporta che, compensate integralmente tra le parti quelle di entrambi i gradi di merito, l’Agenzia delle entrate va condannata a rifondere alla contribuente quelle del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il terzo ed assorbito il primo.

Per l’effetto, in relazione al motivo accolto, annulla e cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso.

Compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di merito.

Condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere a A.A. DI B.B. e C. Snc le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000, oltre Euro 200 a titolo di esborsi, 15% a titolo di contributo forfetario e accessori se e in quanto dovuti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2023


Cons. Stato, Sez. VII, Sent., (data ud. 24/02/2023) 17/04/2023, n. 3829

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8297 del 2018, proposto da P.P., rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Giromini, Federico Pardini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Bolano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marialuisa Zanobini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 243/2018, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bolano;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 24 febbraio 2023 il Cons. Fabrizio D’Alessandri e presenti le parti come da verbale;

Svolgimento del processo
L’odierna appellante ha impugnato la sentenza del T.A.R. Liguria, sez. I, n. 243/2018, pubblicata in data 26 marzo 2018, che ha respinto, previa riunione, i ricorsi R.G. 284/2016 e 285/2017 proposti rispettivamente per:

– l’annullamento del diniego di accertamento di conformità urbanistica del fabbricato residenziale di sua proprietà, successivo a un’ordinanza di demolizione, nonché della comunicazione con la quale il Comune di Bolano ha avvertito che si sarebbe tenuto un sopralluogo finalizzato alla verifica circa l’ottemperanza all’ordine di demolizione precedentemente adottato (R.G. 284/2016);

– l’annullamento della determinazione con cui il Responsabile dei Servizi Area Urbanistico Edilizia Privata e Ambiente ha dichiarato l’intervenuta acquisizione gratuita dell’area al patrimonio del Comune (R.G. 285/2017).

Più precisamente, con il primo ricorso n. 284 del 2016, l’odierna appellante ha impugnato la Det. n. 8 del 2 marzo 2016 con cui il Comune di Bolano ha dichiarato irricevibile per tardività la domanda di sanatoria presentata in data 18/11/2015, al fine di ottenere l’accertamento di conformità urbanistica del suo fabbricato residenziale sito nel predetto Comune, oggetto di una precedente ordinanza di demolizione, in quanto realizzato in mancanza dei prescritti titoli edilizi.

Ad avviso della ricorrente, il provvedimento risultava meritevole di annullamento perchè ritenuto viziato per violazione di legge, in quanto privo della firma autografa del Responsabile dell’Area, nonché per incompetenza perché adottato da personale privo di qualifica dirigenziale.

Successivamente, con atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato la comunicazione del 12/03/2016 con la quale il Comune aveva avvertito che in data 31/03/2016 si sarebbe tenuto un sopralluogo volto a verificare l’ottemperanza all’ordine di demolizione precedentemente emesso, ossia in data 30/10/2007.

Con tale impugnativa, la ricorrente ha censurato la violazione dell’obbligo del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 e, analogamente a quanto dedotto con il ricorso principale, la mancanza di sottoscrizione autografa della Det. n. 8 del 2016 che avrebbe, a suo avviso, invalidato il successivo provvedimento.

Il 21 aprile 2016, in pendenza del giudizio, il Comune di Bolano ha notificato all’odierna appellante il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e successivamente, con Det. n. 21 del 10 febbraio 2017, ha dichiarato l’intervenuta acquisizione gratuita delle opere realizzate al patrimonio comunale, cui ha fatto seguito la nota di iscrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di La Spezia.

L’odierna appellante, pertanto, con distinto ricorso R.G. n. 285 del 2017, ha impugnato quest’ultima Det. n. 21 del 2017, censurando le modalità con cui il Comune avrebbe applicato gli articoli 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 45 della L.R. n. 16 del 2008, che prevedono – in caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione – l’acquisizione non solo del bene o dell’area di sedime coperta dall’opera abusiva, ma anche di quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive purché non superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

Ad avviso dell’odierna appellante, infatti, il Comune, nell’individuazione dell’ulteriore superficie da acquisire, si sarebbe limitato a dar conto del rispetto del limite massimo previsto dalla richiamata normativa, senza motivare lo specifico interesse pubblico a detto ampliamento nonché le modalità di determinazione ed individuazione della superficie complessiva oggetto di acquisizione.

Inoltre, anche con tale gravame, la ricorrente ha dedotto l’illegittimità della determinazione per carenza di sottoscrizione autografa.

Il T.A.R. Liguria, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto i suddetti ricorsi, previa riunione, ritenendo:

– infondata la censura concernente la mancanza di sottoscrizione autografa in quanto, ad avviso del Giudice di prime cure, tale carenza non integrerebbe ex se motivo di invalidità dell’atto amministrativo, ove concorrano altri elementi testuali che consentano di individuare la sicura provenienza e attribuibilità dell’atto al suo autore;

– infondata e insufficientemente argomentata la doglianza concernente l’adozione della determinazione da parte di organo incompetente, atteso che non sono presenti figure dirigenziali all’interno dell’Amministrazione intimata;

– che il provvedimento impugnato con l’atto di motivi aggiunti non risulta affetto, pertanto, da invalidità derivata;

– che l’Amministrazione comunale non ha violato l’obbligo del preavviso di rigetto, stante la natura officiosa del procedimento di cui trattasi;

– infondata, infine, la censura riguardante l’errata modalità di individuazione della superficie ulteriore da acquisire, ritenendo che il Comune abbia adeguatamente motivato le determinazioni assunte sulla base della normativa urbanistica esistente e delle esigenze di utilizzabilità dell’area.

Avverso la suddetta sentenza, l’odierna appellante ha proposto il presente gravame, formulando i seguenti rubricati motivi di appello:

I. Error in iudicando sul primo motivo del ricorso n. rg 284/2016. violazione di legge. Eccesso di

potere per travisamento dei fatti, erroneità sui presupposti, mancanza dei requisiti essenziale dell’atto impugnato;

II. Error in iudicando sul secondo motivo di ricorso n. rg 284/2016. Violazione di legge. Eccesso di

potere per travisamento dei fatti, erroneità sui presupposti, mancanza dei requisiti essenziale dell’atto impugnato;

III. Error in iudicando sul primo motivo di ricorso dei motivi aggiunti. Violazione di legge. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità sui presupposti, mancanza dei requisiti essenziali dell’atto impugnato anche in via derivata;

IV. Error in iudicando sul secondo motivo di ricorso dei motivi aggiunti. Violazione di legge con

specifico riferimento all’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990. Eccesso di potere per travisamento, sviamento, erroneità sui presupposti, ingiustizia grave e manifesta, difetto di motivazione ed istruttoria;

V. Error in iudicando sul primo motivo del ricorso 285/2017. Violazione degli artt. 31 e 45 D.P.R. n. 380 del 2001. Eccesso di potere per travisamento, sviamento, erroneità sui presupposti, illogicità, ingiustizia, difetto di motivazione;

VI. Error in iudicando sul secondo motivo del ricorso 285/2017. violazione degli artt. 18 e 19 D.P.R. n. 445 del 2000 e L. n. 69 del 2009. eccesso potere per travisamento dei fatti, erroneità sui presupposti, mancanza dei requisiti essenziale dell’atto impugnato;

VII. Error in iudicando sulle spese di lite.

Il Comune si è costituito in giudizio in data 26 maggio 2021, concludendo per la reiezione dell’appello, in quanto inammissibile, irricevibile e infondato.

In vista dell’udienza di trattazione l’Amministrazione comunale ha depositato documenti e una memoria, con cui ha illustrato le proprie difese e replicato in maniera puntuale alle censure ex adverso proposte.

In particolare, con memoria depositata in data 16 gennaio 2023, il Comune intimato ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, atteso che la statuizione del giudice di prime cure concernente l’intervenuto silenzio diniego, ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, non sarebbe stata puntualmente censurata dalla parte appellante.

La parte resistente ha ribadito, altresì, che l’area di sedime su cui insistono gli abusi, nonché l’area necessaria alle opere analoghe a quelle realizzate sine titulo, sono state calcolate in modo esatto.

A sostegno di tale assunto, il Comune intimato ha richiamato il contenuto del documento inerente i criteri per la determinazione dell’area da acquisire, all’interno del quale risulta correttamente illustrato il procedimento seguito dall’Amministrazione nella determinazione del perimetro della c.d. pertinenza urbanistica.

L’acquisizione, infatti, sarebbe stata effettuata con quelle modalità al fine di garantire l’accesso della viabilità di uso pubblico esistente, la distanza dal perimetro del fabbricato abusivo di almeno 5 metri da ogni spigolo dello stesso, nonché ogni possibilità di manovra durante le operazioni di demolizione.

In data 7 febbraio 2023, le parti hanno depositato un’istanza congiunta di passaggio in decisione della causa sulla base degli scritti difensivi depositati.

All’udienza di smaltimento del 24 febbraio 2023, svoltasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione
1. L’appello è da rigettare.

2. In via preliminare, il Collegio deve dare atto della fondatezza, relativamente al solo primo motivo di appello, dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza di interesse formulata dalla difesa comunale.

Sul punto, il Collegio osserva che, analogamente a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, nonché evidenziato dalla parte resistente, l’eventuale accoglimento della prima censura afferente alla carenza di sottoscrizione autografa del provvedimento di rigetto (che lo renderebbe a detta dell’appellante inesistente), non consentirebbe – in ogni caso – all’odierno appellante di conseguire il pieno soddisfacimento dell’interesse fatto valere in giudizio, atteso che l’istanza di sanatoria dovrebbe ritenersi comunque rigettata dal Comune, versandosi in un’ipotesi di silenzio-diniego prevista ex lege.

Secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, al silenzio serbato dal Comune sull’istanza di accertamento di conformità, possono ricollegarsi gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego, essendo pacificamente annoverato tra le ipotesi di silenzio significativo cui la legge attribuisce natura provvedimentale (Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 07/04/2022, n. 3396; Consiglio di Stato, sezione VI, 06/06/2018, n. 3417).

In virtù della mancata impugnazione della statuizione del giudice di prime cure concernente tale profilo e del conseguente passaggio in giudicato del capo della sentenza non censurato, pertanto, deve dichiararsi l’inammissibilità dell’appello in ordine al primo motivo del ricorso, in considerazione della mancanza di utilità pratica che deriverebbe dall’accoglimento della doglianza, a causa della formazione del silenzio-diniego.

3. Fatto salvo quanto indicato, il Collegio rileva per completezza dell’esame come, in ogni caso, il primo motivo di ricorso risulti infondato anche nel merito.

Infatti, con il primo motivo di gravame, l’appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondata la doglianza afferente alla mancanza della sottoscrizione autografa del Responsabile Area Urbanistica Edilizia del Comune di Bolano.

Al riguardo, l’appellante ha dedotto anche in sede di appello l’illegittimità della Det. n. 8 del 02 marzo 2016 di rigetto della domanda di sanatoria per carenza del requisito essenziale della sottoscrizione ed evidenziato come la giustificazione addotta dal Comune, in ordine alle procedure utilizzate per la formazione degli originali e delle copie conformi all’epoca dell’adozione dell’atto, non potesse ritenersi sufficiente ai fini della totale irrilevanza della firma.

Ad avviso dell’appellante sarebbe stata necessaria, infatti, almeno un’attestazione di conformità della copia all’originale ad opera di un pubblico ufficiale autorizzato, non potendo ritenersi sufficiente l’apposizione della dicitura “firmato” sul duplicato del provvedimento.

In replica a quanto dedotto dalla parte appellante, l’Amministrazione comunale ha ribadito quanto già esposto in primo grado in ordine alle procedure informatiche in uso all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, che avrebbero consentito la stampa di un unico originale cartaceo e di una pluralità di copie, la cui conformità sarebbe stata attestata dal funzionario, in qualità di autore dell’atto.

Il Collegio, ritiene corretto il ragionamento logico-giuridico proposto dal T.A.R. a sostegno della reiezione del motivo, in quanto l’assenza di sottoscrizione non può ritenersi invalidante qualora risulti possibile e inequivocabile l’accertamento circa la concreta riconducibilità dell’atto al suo autore.

Invero, in virtù del principio di correttezza e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, l’autografia della sottoscrizione non può essere qualificata in termini di requisito di esistenza o validità giuridica degli atti amministrativi ove concorrano ulteriori elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che lo ha adottato), emergenti anche dal contesto documentativo dell’atto, che consentano di individuare la sicura provenienza e l’attribuibilità dell’atto al suo autore (Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 24/01/2023, n. 793; Consiglio di Stato, sez. V, 28/5/2012, n. 3119; Consiglio di Stato, sez. IV, 11/5/2007, n. 2325).

Inoltre, come già affermato, anche qualora si ritenesse che l’atto fosse inesistente, ci si troverebbe comunque al cospetto di un’ipotesi di silenzio-diniego prevista ex lege, atteso che l’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dispone che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncino sulla richiesta di permesso in sanatoria entro il termine di sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.

4. Nel merito il Collegio ritiene infondati anche gli altri motivi di appello per le ragioni che seguono.

Con il secondo motivo di appello, l’appellante ha criticato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondata e insufficientemente argomentata la censura riguardante l’incompetenza dell’organo che ha adottato il provvedimento impugnato.

Ad avviso dell’odierna appellante, nella fattispecie di giudizio non possono ritenersi applicabili i presupposti di cui all’art. 109, comma 2, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che consentono, in assenza di personale con qualifica dirigenziale, l’attribuzione delle competenze in materia edilizia in capo ai responsabili degli uffici o servizi, in quanto, alla data di emissione del provvedimento impugnato, nel Comune di Bolano erano presenti numerose figure dirigenziali.

Al riguardo, la difesa comunale ha ribadito la competenza del Responsabile dell’ufficio,

atteso che alla data di adozione del provvedimento impugnato non risultavano presenti figure dirigenziali nella pianta organica dell’ente, in guisa tale da poter affermare la legittimazione dell’organo che ha adottato il provvedimento.

Sul punto, il Collegio ritiene che le argomentazioni esposte in sede di appello dall’appellante non sono idonee a sovvertire la valutazione effettuata dal giudice di prime cure, in quanto non è stato acquisito alcun elemento probatorio che possa attribuire rilievo alla doglianza dedotta dalla ricorrente.

La mera indicazione del rinvio all’analisi del “portale web” dell’Amministrazione comunale in ordine all’esistenza al momento dell’adozione dell’atto di figure dirigenziali all’interno del Comune, non suffragato da alcuna produzione documentale, non può ritenersi sufficiente ai fini dell’accoglimento della censura.

L’appellante avrebbe dovuto dare ben altra evidenza rispetto a tale circostanza meramente affermata sia in primo che in secondo grado e non ammessa dall’Amministrazione resistente.

Conseguentemente, va ritenuto che il Responsabile dell’ufficio comunale abbia legittimamente adottato il provvedimento di rigetto della sanatoria, tenuto conto che, in materia edilizia, la normativa statale è univoca nel consentire ai Comuni sprovvisti di personale con qualifica dirigenziale l’attribuzione delle funzioni previste dall’art. 107, commi 2 e 3, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ai responsabili degli uffici o servizi (Cfr., ex multis, Consiglio Stato, Sez. V, 15/10/2009, n. 6327; Cons. Stato, sez. IV, 31/03/2009, n. 2024).

5. Con il quarto motivo di doglianza, l’appellante contesta il ragionamento logico-giuridico seguito dal Giudice di prime cure. Quest’ultimo, nel ritenere infondata la censura riguardante l’omissione del “preavviso di rigetto”, in virtù della natura officiosa del procedimento, non avrebbe analizzato correttamente le garanzie partecipative sottese all’istituto di cui all’art. 10-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241.

In altri termini, l’appellante ritiene che la mancata adozione del preavviso di rigetto abbia invalidato la comunicazione del 12 marzo 2016, ritenuta completamente immotivata, irrituale e, pertanto, violativa del diritto partecipativo dell’appellante.

Ad avviso del Collegio, anche tale motivo si appalesa infondato in quanto, come sostenuto correttamente dal T.A.R., l’atto impugnato risulta attinente a una procedura ufficiosa volta all’acquisizione gratuita del bene abusivo che non necessita dell’obbligo di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, previsto dall’articolo 10-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241, soltanto per i procedimenti ad istanza di parte (ex pluris: Consiglio di Stato, sez. V, 30.12.2015, n. 5868; Consiglio di Stato, Sez. V, 3/05/2012, n. 2548).

6. Con il quinto motivo di appello, sono state contestate le argomentazioni della sentenza impugnata in ordine all’individuazione della complessiva area oggetto di acquisizione comunale.

In sintesi, l’appellante sostiene che il Comune non abbia adeguatamente motivato l’interesse pubblico sotteso all’acquisizione gratuita della porzione ulteriore rispetto a quella coincidente con l’area su cui insistono le opere contestate e che difetterebbe il nesso funzionale tra i due acquisti.

Sempre secondo l’appellante, l’area di acquisizione individuata dal Comune eccede largamente la necessità di garantire un accesso dalla viabilità ad uso pubblico esistente e una distanza dal perimetro del fabbricato abusivo di 5 metri in tutti i punti.

Inoltre, l’individuazione dell’area oggetto di acquisizione si appaleserebbe errata poichè il Comune intimato non avrebbe considerato che la ricorrente è proprietaria di 30.000 mq di terreno, a fronte dei 12.682 mq riconosciuti.

Sul punto, il Collegio ritiene non sussista alcun difetto di motivazione e sia condivisibile quanto illustrato dal giudice di prime cure in ordine all’esatta individuazione dell’area oggetto di acquisizione gratuita.

E invero, sulla base degli atti processuali e dei documenti versati nel giudizio, sono emerse le modalità di calcolo con cui l’Amministrazione è pervenuta all’individuazione dell’”area ulteriore”.

Dal contenuto dell’ordinanza di demolizione n. 81 del 30/10/2007, del provvedimento di rigetto della istanza di sanatoria, del provvedimento di acquisizione gratuita delle opere, nonché della planimetria catastale, della documentazione fotografica e degli allegati criteri per l’individuazione dell’area, si evince esplicitamente la superficie complessiva del fabbricato realizzato abusivamente, pari a 126,82 mq., la zona urbanistica in cui ricade il predetto manufatto, nonché le modalità di calcolo dell’area circostante acquisibile.

L’Amministrazione comunale, infatti, in ottemperanza a quanto previsto dagli articoli 31, comma 3, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 45 della L.R. n. 16 del 2008, ha esplicitato

correttamente la superficie necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle realizzate abusivamente, pari a 12.682 mq, poi ridotta a 1.268,20 mq., ai fini del rispetto del limite massimo di dieci volte la superficie utile abusivamente costruita.

A ciò si aggiunga che, come può evincersi dalla planimetria catastale, la predetta superficie garantisce l’accesso dalla viabilità ad uso pubblico esistente e una distanza dal perimetro del fabbricato abusivo di almeno 5 metri, al fine di garantire la possibilità di manovra durante le operazioni di demolizione.

Tali motivazioni, peraltro, costituendo esercizio di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, non possono essere sindacate se non per evidente violazione di criteri di ragionevolezza o illogicità o per travisamento dei fatti; profili che il Collegio ritiene non siano ravvisabili nel caso in esame.

7. Per le ragioni suindicate, che hanno confermato la legittimità degli atti gravati, devono ritenersi prive di pregio anche le doglianze, di cui al terzo e sesto motivo di appello, con cui è stata dedotta l’illegittimità, in via derivata, dell’atto impugnato con i motivi aggiunti, nonché della Det. n. 21 del 10 febbraio 2017 con cui il Comune ha dichiarato l’intervenuta acquisizione gratuita delle opere realizzate al patrimonio comunale.

8. Infondato è, altresì, il settimo motivo di appello volto a contestare genericamente la condanna alle spese in primo grado, che va rigettato in ragione della circostanza che il Collegio di primo grado ha seguito il corretto criterio della soccombenza e che la sentenza è stata confermata in questa sede di appello.

9. Per quanto suindicato, l’appello in epigrafe deve essere respinto, con conferma della sentenza di primo grado.

Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese e degli onorari del grado di giudizio di appello, che liquida in € 4.000,00, oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2023 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Raffaello Sestini, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere

Fabrizio D’Alessandri, Consigliere, Estensore


Ministero dell’economia e delle finanze – Decreto 14 aprile 2023

Individuazione delle misure relative al costo della notifica degli atti degli enti locali correlata all’attivazione di procedure esecutive e cautelari a carico del debitore.2

1Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 aprile 2023, n. 100.

2Emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Preambolo

Capo I

Disposizioni In Materia Di Ripetibilità Delle Spese Di Notifica

Art. 1. Ripetibilità delle spese di notifica

Art. 2. Costo della notifica

Art. 3. Esclusioni

Art. 4. Decorrenza

Capo II

Disposizioni in materia di determinazione dei diritti, oneri e spese per la fase esecutiva

Art. 5. Misure del rimborso delle spese esecutive a carico dei debitori

Art. 6. Coefficienti di maggiorazione

Art. 7. Rimborso delle spese sostenute per le attività funzionalmente connesse allo svolgimento della procedura di riscossione coattiva

Art. 8. Imposte di registro e quelle sugli atti giudiziari

Art. 9. Decorrenza

Capo III

Disposizioni finali

Art. 10. Annullamento o inesigibilità del credito

Art. 11. Oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie

Art. 12. Aggiornamento delle spese di notifica ed esecutive

Art. 13. Pubblicazione

Tabella allegato A

Tabella allegato B

Preambolo

IL DIRETTORE GENERALE DELLE FINANZE

Visto l’art. 1, comma 803, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, il quale stabilisce che i costi di elaborazione e di notifica degli atti degli enti locali e quelli delle successive fasi cautelari ed esecutive sono posti a carico del debitore;

Visto l’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019 il quale prevede, tra l’altro, che con decreto non regolamentare del Ministero dell’economia e delle finanze sono individuate le misure concernenti il costo della notifica degli atti correlata all’attivazione di procedure esecutive e cautelari a carico del debitore, ivi comprese le spese per compensi dovuti agli istituti di vendite giudiziarie e i diritti, oneri ed eventuali spese di assistenza legale strettamente attinenti alla procedura di recupero, nonché le tipologie di spesa oggetto del rimborso e che nelle more dell’adozione del provvedimento, con specifico riferimento alla riscossione degli enti locali, si applicano le misure e le tipologie di spesa di cui ai decreti del Ministero delle finanze 21 novembre 2000 e del Ministro dell’economia e delle finanze 12 settembre 2012;

Visto l’art. 1, comma 784, della legge n. 160 del 2019 secondo il quale le disposizioni di cui ai commi da 786 a 814 si applicano alle province, alle città metropolitane, ai comuni, alle comunità montane, alle unioni di comuni e ai consorzi tra gli enti locali, di seguito complessivamente denominati «enti»;

Visto l’art. 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 che disciplina la facoltà di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vi-genti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali;

Visto l’art. 26 del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, concernente la Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione, di cui all’art. 1, comma 402, della legge n. 160 del 2019, il quale al comma 2, lettera c), stabilisce che per «amministrazioni» devono intendersi le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli agenti della riscossione e, limitatamente agli atti emessi nell’esercizio di attività ad essi affidate ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, i soggetti di cui all’art. 52, comma 5, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4), del medesimo decreto legislativo;

Visto il decreto del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale 30 maggio 2022 sull’«individuazione dei costi e dei criteri e modalità di ripartizione e ripetizione delle spese di notifica degli atti tramite la piattaforma di cui all’art. 26, comma 14 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76»;

Ritenuto che per la determinazione della misura delle spese di notifica si possa procedere a una rivalutazione di quelle previste nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 12 settembre 2012 tenuto conto dell’incremento dei costi applicati da Poste Italiane S.p.a. per ogni tipologia d’invio;

Ritenuto che per la determinazione della misura delle spese esecutive a carico del debitore si possa far riferimento agli importi indicati nella tabella A allegata al decreto del Ministero delle finanze 21 novembre 2000, attualizzati tenendo conto degli incrementi registrati dall’indice Istatindice dei prezzi al consumo per famiglie, operai e impiegati – dal mese di gennaio 2001 al mese di dicembre 2021;

Ritenuto che la misura dei rimborsi delle spese per le procedure esecutive vada applicata in misura fissa per crediti non superiori a euro cinquecento, mentre per importi superiori deve essere applicato un coefficiente di maggiorazione, graduato in funzione dell’entità del credito, atto a rappresentare la maggiore onerosità riconducibile al corretto svolgimento di attività esecutive ai fini del recupero di crediti di rilevante importo;

Considerato che oltre al rimborso delle spese per le procedure esecutive svolte direttamente, agli enti e ai soggetti di cui all’art. 52, comma 5, lettera b) del decreto legislativo n. 446 del 1997 compete anche il rimborso delle spese vive sostenute per le attività necessariamente svolte da soggetti esterni, funzionalmente connesse allo svolgimento delle procedure di riscossione coattiva, da rimborsarsi nelle misure risultanti da tariffe ufficiali e sulla base di atti di liquidazione corredati di idonea documentazione;

Ritenuto di non dover procedere alla revisione dei regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’economia e delle finanze 18 dicembre 2001, n. 455, del Ministro di grazia e giustizia 11 febbraio 1997, n. 109, e del Ministro della giustizia 15 maggio 2009, n. 80, per quanto riguarda gli oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie che pertanto continuano a trovare applicazione in forza della previsione dell’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019;

EMANA

il seguente decreto:

Capo I

Disposizioni In Materia Di Ripetibilità Delle Spese Di Notifica

Art. 1. Ripetibilità delle spese di notifica

  1. Sono ripetibili le spese per i compensi di notifica degli atti impositivi e degli atti di contestazione e di irrogazione delle sanzioni e di sollecito, stabiliti in applicazione della legge 20 novembre 1982, n. 890, quelle derivanti dall’esecuzione degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, dell’art. 1, commi 792 e seguenti della legge 27 dicembre 2019, n. 160, nonché le spese derivanti dall’applicazione delle altre modalità di notifica previste da specifiche disposizioni normative.
  2. Per la ripetizione delle spese di notifica degli atti tramite la piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione di cui all’art. 26 decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, si applica il decreto del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale 30 maggio 2022.

Art. 2. Costo della notifica

  1. L’ammontare delle spese di cui all’art. 1, ripetibile nei confronti del destinatario dell’atto notificato, è fissato nella misura unitaria di euro 7,83 per le notifiche effettuate mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, di euro 6,51 per le raccomandate semplici, di euro 2 per le notifiche effettuate mediante l’invio a mezzo posta elettronica certificata, di euro 11,55 per le notifiche effettuate ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 14 della legge 20 novembre 1982, n. 890 e di euro 1,33 per i solleciti inviati a mezzo posta ordinaria ai sensi dell’art. 1, comma 795 della legge n. 160 del 2019.
  2. L’ammontare delle spese di cui all’art. 1, escluse quelle relative alla traduzione degli atti, ripetibili nei confronti del destinatario degli atti stessi, è fissato nella misura unitaria di euro 12,19 per le notifiche eseguite all’estero, ai sensi dell’art. 60, primo comma, lettera e-bis), quarto e quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, degli articoli 37 e 77 del decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71 e dell’art. 142 del codice di procedura civile, fatto salvo quanto diversamente previsto dalle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali.

Art. 3. Esclusioni

  1. Non sono ripetibili le spese per la notifica di atti istruttori e di atti amministrativi alla cui emanazione l’amministrazione è tenuta su richiesta.
  2. E’ esclusa, altresì, la ripetizione relativamente all’invio di qualsiasi atto mediante comunicazione, fatta salva l’applicazione dell’art. 2, comma 1.

Art. 4. Decorrenza

  1. Le spese di cui al presente Capo si applicano per gli atti emessi successivamente all’entrata in vigore del presente decreto.

Capo II

Disposizioni in materia di determinazione dei diritti, oneri e spese per la fase esecutiva

Art. 5. Misure del rimborso delle spese esecutive a carico dei debitori

  1. E’ approvata la tabella, riportata in allegato A, che fa parte integrante del presente decreto, concernente la misura del rimborso delle spese esecutive a carico dei debitori correlata all’attivazione di procedure esecutive e cautelari ai sensi dell’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019.
  2. Il valore riportato nella tabella in allegato A, rimborsa tutti i costi e gli oneri sostenuti per l’attivazione delle procedure cautelari ed esecutive.
  3. Le spese di notifica vengono rimborsate secondo quanto previsto dal Capo I del presente decreto.

Art. 6. Coefficienti di maggiorazione

  1. Ai fini dell’applicazione dei coefficienti di maggiorazione, la misura del rimborso delle spese relative alle singole procedure esecutive, di cui alla tabella in allegato A al presente decreto, si calcola prendendo per base l’importo complessivo del credito per cui si procede.
  2. Per l’esecuzione mobiliare il diritto a percepire il rimborso della spesa sorge all’atto in cui il funzionario responsabile della riscossione si presenta per eseguire il pignoramento, anche se il contribuente paghi il suo debito all’atto stesso.

Art. 7. Rimborso delle spese sostenute per le attività funzionalmente connesse allo svolgimento della procedura di riscossione coattiva

  1. Oltre al rimborso di cui agli articoli 5 e 6, compete anche il rimborso delle spese vive, diritti ed oneri sostenuti per quelle attività, riportate nella tabella in allegato B, che fa parte integrante del presente decreto, funzionalmente connesse allo svolgimento della procedura di riscossione coattiva. Il rimborso di tali spese spetta sulla base di atti di liquidazione corredati da idonea documentazione.
  2. Per lo svolgimento delle attività comprese nella tabella in allegato B la liquidazione del relativo rimborso è calcolata utilizzando i parametri forensi previsti dalle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto.
  3. E’, altresì, rimborsabile ogni ulteriore ed eventuale spesa, diritto od onere, documentati, non compresi nella tabella in allegato B, strettamente attinente al tentativo di recupero coattivo del credito e necessario alla finalizzazione dello stesso.

Art. 8. Imposte di registro e quelle sugli atti giudiziari

  1. Le imposte di registro e quelle sugli atti giudiziari sono a carico dell’aggiudicatario o dell’acquirente ove sia seguita l’aggiudicazione o l’acquisto; in caso contrario le stesse sono a carico del contribuente.

Art. 9. Decorrenza

  1. Le tabelle in allegato A e B si applicano per il rimborso delle spese relative agli atti emessi successivamente all’entrata in vigore del presente decreto.

Capo III

Disposizioni finali

Art. 10. Annullamento o inesigibilità del credito

  1. Nel caso di annullamento o inesigibilità del credito, fatte salve le diverse pattuizioni contrattuali, al soggetto affidatario spetta il rimborso delle spese a carico dell’ente creditore nella misura della spesa effettivamente sopportata e addebitata al debitore.

Art. 11. Oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie

  1. Gli oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie continuano a essere regolati dai decreti del Ministro dell’economia e delle finanze 18 dicembre 2001, n. 455, del Ministro di grazia e giustizia 11 febbraio 1997, n. 109, e del Ministro della giustizia 15 maggio 2009, n. 80, in forza dell’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019.

Art. 12. Aggiornamento delle spese di notifica ed esecutive

  1. Le misure previste per le spese di notifica e per quelle esecutive di cui ai capi I e II possono essere aggiornate con cadenza triennale, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto. L’aggiornamento è effettuato ai sensi dell’art. 1, comma 803, lettera b), della legge n. 160 del 2019.

Art. 13. Pubblicazione

  1. Il presente decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Tabella allegato A

SPESE ESECUTIVE

Pignoramento mobiliare

26,00

Pignoramento presso terzi (compreso fitti e pigioni)

38,00

Pignoramento immobiliare o di mobili registrati

248,00

Istanza di insinuazione nelle procedure concorsuali

212,00

Incanto mobiliare

13,00

Vendita a trattativa privata

17,00

Incanto immobiliare

57,00

Iscrizione di causa a ruolo

11,00

Per ogni udienza davanti al giudice

57,00

Progetto di attribuzione del ricavato

38,00

Richiesta di registrazione

11,00

Asporto per procedure eseguite nell’aggregato urbano

35,00

Asporto per procedure eseguite fuori dell’aggregato urbano

57,00

Deposito:

 

a) autocarri, autotreni, autoarticolati e semirimorchi

3,90 / giorno

con portata fino a 25 q.li

4,60 / giorno/

con portata fino a 35 q.li

8,50 / giorno

con portata oltre 35 q.li

14,20 / giorno

di rimorchi ed autocarri con motrici

29,70

b) di autoveicoli

1,10 /giorno

con valore fino a euro 2.582,00 – primi trenta giorni

39,00 1,80 / giorno

con valore fino a euro 2.582,00 – giorni successivi a trenta

 

con valore superiore a euro 2.582,00 – primi trenta giorni

42,50

con valore superiore a euro 2.582,00 – giorni successivi a trenta

0,90 / giorno 68,00 1,70 / giorno

c) altri beni con valore fino a euro 2.582,00 – primi trenta giorni

 

con valore fino a euro 2.582,00 – giorni successivi a trenta

con valore superiore a euro 2.582,00 – primi trenta giorni

 

con valore superiore a euro 2.582,00 – giorni successivi a trenta

 

Comunicazione preventiva fermo amministrativo

43,00

Comunicazione preventiva iscrizione ipotecaria

212,00

Cancellazione ipotecaria

78,00

Sequestro conservativo

180,00

Coefficienti di applicazione della maggiorazione per gli importi superiori a euro 500,00

Da

A

incremento

500,01

1000,00

20,00%

1000,01

3000,00

50,00%

3000,01

5000,00

100%

5000,01

10.000,00

200%

10.000,01

20.000,00

300%

Oltre 20.000,00

 

500%

Tabella allegato B

TABELLA ATTIVITA’ SVOLTE SOGGETTE A RIMBORSO SPESE

PROCEDURE

ATTIVITA’

Pignoramento mobiliare

Stima dei beni pignorati

 

Opera di specialisti per accesso forzato

 

Assistenza forza pubblica

 

Pignoramento ex art. 521 bis c.p.c. (c.d. pignoramento auto) e relativa trascrizione presso PRA

 

Pignoramento di quote sociali, relativa trascrizione e spese di Consulenza

Tecnica d’Ufficio necessaria per la valutazione delle quote

 

Pignoramento di cose mobili

 

Intervento nell’esecuzione mobiliare

 

Pignoramento presso terzi ed eventuale giudizio di accertamento

 

Pignoramento ex art. 72 bis D.P.R. 602/73

Pignoramento immobiliare

Attività propedeutica all’avvio della procedura (iscrizione, cancellazione e riduzione ipotecaria)

 

Richiesta certificati ipotecari

 

Richiesta certificati catastali

 

Perizia Ufficio tecnico erariale

 

Trascrizione del pignoramento immobiliare

 

Istanza di vendita

 

Consulenza tecnica d’ufficio

 

Pubblicità

 

Intervento nella procedura immobiliare

Procedure concorsuali

Istanza di liquidazione giudiziale

 

Insinuazione tempestiva, tardiva ed ultra tardiva

 

Eventuale relazione del consulente tecnico di parte

Procedure di opposizione ad esecuzione,atti esecutivi e di terzo

Costituzione in giudizio e compimento di ogni attività necessaria al fine del compimento del mandato professionale

Procedure di reclamo in ambitoconcorsuale

Costituzione in giudizio e compimento di ogni attività necessaria al fine del compimento del mandato professionale

Assistenza stragiudiziale

Assistenza legale nella definizione delle procedure esecutive al fine di agevolare il recupero del credito

 


Furbetti del cartellino: licenziamento senza automatismi

La Corte Suprema di Cassazione, Sez. lav, con sentenza n. 8453 del 24 marzo 2023, ha stabilito che, secondo principi ormai acquisiti nel pubblico impiego privatizzato l’art. 55-ter del D.Lgs. n. 165/2001, inserito dal D.Lgs. n. 150/2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente. La Corte Suprema di Cassazione ha, inoltre, ribadito che, anche in presenza di uno degli illeciti tipizzati dall’art. 55-quater D.Lgs. n. 165/2001, va escluso qualsivoglia automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare, perché della norma deve essere fornita un’interpretazione orientata al rispetto dei principi costituzionali.
Il fatto
La Corte d’appello di Genova respingeva il reclamo proposto da una dipendente comunale, con funzioni di coordinatrice dei Servizi educativi di prima infanzia, avverso la sentenza del Tribunale reiettiva dell’impugnativa di licenziamento per giusta causa: il licenziamento aveva fatto seguito a una contestazione relativa a plurime irregolarità nella registrazione della presenza in servizio, e dei relativi orari di entrata e uscita, ritenuta adeguatamente comprovata alla stregua delle risultanze delle indagini della Guardia di finanza che avevano dato luogo anche a un giudizio penale chiusosi poi con l’assoluzione della dipendente comunale.
La funzionaria comunale proponeva, pertanto, ricorso per Cassazione, avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova.
Il ricorso veniva rigettato dalla Corte Suprema di Cassazione, con sentenza n. 8453 del 24 marzo 2023, con addebito alla parte soccombente delle spese processuali.
La decisione
La funzionaria comunale sosteneva che la Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che l’ingerenza indebita di militari della Guardia di finanza – e, dunque, di soggetti estranei all’UPD e non connotati da terzietà – nell’istruttoria disciplinare non costituiva violazione di legge, e aveva errato nel trascurare che il fatto costituente addebito disciplinare era stato, con sentenza penale di assoluzione (con formula “per insussistenza del fatto”), ritenuto insussistente: per la Corte Suprema di Cassazione il procedimento era stato instaurato, e concluso, dall’UPD competente e la dedotta nullità sarebbe al più seguita ove fosse stato instaurato da soggetto diverso rispetto a tale ufficio; sicché, la lamentata partecipazione o indebita ingerenza di soggetti estranei non si rifletteva, come opinava la difesa della ricorrente, in termini di nullità; per la Corte Suprema di Cassazione, non occorreva attendere l’esito del giudizio penale, poiché nel pubblico impiego privatizzato l’art. 55-ter, D.Lgs. n. 165/2001, inserito dal D.Lgs. n. 150/2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. n. 8410/2018; Cass. n. 29376/2018).
La ricorrente sosteneva, altresì, che la Corte d’Appello aveva ritenuto provato un addebito in via presuntiva, fondando l’inferenza su fatti e presunzioni non connotati da gravità, precisione e concordanza ed anzi smentiti da prove testimoniali, completamente ignorate e, pertanto, sottoponeva a un analitico riesame tutte le risultanze dell’istruttoria, assumendo che la Corte le avrebbe travisate: tale motivo è considerato dalla Cassazione, con la sentenza che qui si annota, inammissibile, poiché le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione (Cass. sez. Unite, n. 1785/2018) hanno precisato che la denuncia di violazione o falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 c.c. si può formulare quando il giudice di merito affermi che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice del merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. n. 9054/2022); per la Corte Suprema di Cassazione, non può avere ingresso in questa sede il tentativo di prospettare una diversa ricostruzione dei fatti e/o di sottoporre a revisione le risultanze istruttorie, atteso che, così facendo, le doglianze, sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge per violazioni dei principi che sovrintendono alla prova per presunzioni, si rivelano più che altro finalizzate a un riesame del merito, chiaramente precluso in questa sede (Cass. n. 6960/2020).
La ricorrente rimproverava, inoltre, alla Corte territoriale di non aver valutato la gravità della condotta, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi: la Corte Suprema di Cassazione, nel ribadire che anche in presenza di uno degli illeciti tipizzati dall’art. 55-quater D.Lgs. n. 165/2001, va escluso qualsivoglia automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare (Cass. n. 1351/2016, Cass. n. 18326/2016, Cass. n. 18858/2016, Cass. n. 24574/2016), perché della norma deve essere fornita un’interpretazione orientata al rispetto dei principi costituzionali, puntualizza che ciò non risponde al vero.
Il Giudice delle leggi, infatti, esaminando diverse disposizioni legislative che prevedevano automatismi espulsivi, ha ritenuto che la privazione di una valutazione di graduazione della sanzione in riferimento al caso concreto lede i principi della tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.), del buon andamento amministrativo (art. 97 della Costituzione) e quelli fondamentali di ragionevolezza (i.e., art.3 Cost, Corte Cost. n. 971/1988 in materia di destituzione di diritto; Corte Cost. n. 170/2015 in materia di trasferimento obbligatorio in caso di violazione di specifici doveri da parte dei magistrati).
Per la Corte Suprema di Cassazione, è stato, però, evidenziato anche, in relazione all’assenza ingiustificata, che “la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa”(Cass. n. 18326/2016): nel caso di specie, per la Corte Suprema di Cassazione, la pronuncia della Corte territoriale risulta rispettosa del principio di diritto sopra enunciato, poiché, dopo aver escluso, con accertamento di fatto non censurabile presso la Corte Suprema di Cassazione, la fondatezza delle giustificazioni fornite dalla dipendente comunale, aveva evidenziato che l’addebito contestato, per la sussistenza dell’elemento soggettivo (“quanto meno della colpa”) e per la sua gravità, era idoneo a integrare una giusta causa di licenziamento, non solo sulla base della previsione normativa, ma anche per le delicate e importanti funzioni svolte dalla lavoratrice, per il fatto che il suo servizio si svolgeva in maniera rilevante all’esterno con minor possibilità di controllo del Comune, vuoi per l’irrilevanza, in riferimento ad alcuni episodi, dell’assenza di benefici economici collegati alla falsa attestazione.
La materia del licenziamento disciplinare nel pubblico impiego è governata dal principio di proporzionalità e dunque alcun automatismo sanzionatorio può essere desunto dalla previsione di legge dell’illecito, essendo costituzionalmente garantita sia l’emersione delle difese nella sede procedurale, che la gradualità della risposta sanzionatoria, giocoforza parametrata ai profili oggettivi e soggettivi del caso concreto.
Per la Cassazione (Cass. 26/01/2016, n. 1351; Cass. 25/08/2016, n. 17335; Cass. 09/03/2017, n. 6099; Cass. 11/09/2018, n. 22075) non è ammesso alcun automatismo verso il licenziamento disciplinare nelle ipotesi di cui all’art.55-quater D.Lgs. n. 165/2001 dovendo la valutazione dell’amministrazione, nell’applicazione della massima sanzione espulsiva, muovere nell’apprezzamento del caso concreto, dell’utilità e natura del singolo rapporto, delle mansioni espletate dall’incolpato e del relativo grado di affidamento, dell’intenzionalità della condotta e della relativa intensità.
Riferimenti normativi:
Art. 55-ter, D.Lgs. n. 165/2001
Art. 55-quarter, D.Lgs. n. 165/2001


Firma digitale e notifica cartacea: l’invito all’adesione è valido

Le norme del Codice dell’amministrazione digitale non sono applicabili alle attività e funzioni “ispettive e di controllo fiscale” ma valgono invece rispetto alle funzioni istituzionali di accertamento. Di conseguenza è legittimo l’invito all’adesione di cui all’articolo 5-ter del Dlgs n. 218/1997 redatto come originale informatico sottoscritto in formato digitale e notificato in copia analogica conforme secondo le regole ordinarie della trasmissione a mezzo del servizio postale.
Così si è espressa la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana nella sentenza n. 3 dello scorso 3 gennaio che, facendo applicazione dei principi elaborati in materia dal Collegio di legittimità, ha confermato la pronuncia di primo grado favorevole all’Ufficio.
Svolgimento del processo
Una società impugnava un avviso di accertamento dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale di Prato eccependo in via preliminare l’inesistenza dell’invito all’adesione notificatole dall’Ufficio ai sensi dell’articolo 5-ter del Dlgs n. 217/1997, invito che, a detta dell’istante, non avrebbe potuto essere formato e sottoscritto digitalmente e poi notificato in esemplare cartaceo, derivandone altrimenti la nullità dell’attività istruttoria.
L’adito giudice respingeva il gravame con sentenza che l’interessata appellava al giudice regionale: per quanto d’interesse, la contribuente ribadiva la censura relativa alle modalità di formazione dell’invito a comparire per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento.
La pronuncia del collegio regionale
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana ha confermato il decisum di prime cure ribadendo la non accoglibilità dell’eccezione relativa all’asserita nullità dell’invito all’accertamento con adesione redatto in originale informatico firmato digitalmente e notificato all’interessato in copia analogica dichiarata conforme.
In particolare, spiegano i giudici della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana riportandosi alla sentenza della Cassazione n. 1150/2021 richiamata dall’Ufficio nelle proprie difese, le norme del Codice dell’amministrazione digitale (Cad), “sono applicabili anche alle funzioni istituzionali di accertamento svolte dall’Agenzia delle Entrate, mentre non possono essere applicate alle attività e funzioni “ispettive e di controllo fiscale””.
La pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, si legge nell’odierno arresto, per un verso è stata motivata valutando la differenza fra l’attività accertativa e quella preliminare di verifica e controllo; per l’altro, “i Giudici di legittimità hanno confermato l’inesistenza di alcun necessario collegamento tra documento informatico e notifica a mezzo PEC”.
Di conseguenza, secondo la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, nessuna norma impedisce di procedere alla notificazione, anche secondo le regole ordinarie della trasmissione a mezzo del servizio postale, della copia analogica di un documento conforme all’originale informatico, ragion per cui l’invito all’adesione “ben poteva essere redatto e sottoscritto in formato digitale, in quanto contenente l’analitica elencazione dei rilievi fiscali e la quantificazione del debito fiscale, conformemente a quanto disposto dall’art. 2 del d.lgs. 82/2005”.
Osservazioni
La fattispecie presa in esame dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana si ricollega ad un filone di contenzioso in cui i giudici fiscali sono stati chiamati a valutare la fondatezza dell’eccezione, sollevata dalle parti private, relativa all’asserita carenza di valida sottoscrizione di atti di accertamento che, formati come documento elettronico sottoscritto digitalmente, erano stati notificati dagli Uffici trasmettendo al destinatario copia analogica dell’atto, munita di attestazione di conformità all’originale, ma priva di firma autografa, essendo quest’ultima sostituita dall’indicazione a mezzo stampa del firmatario.
Diverse pronunce di merito – facendo leva sul disposto dell’articolo 2, comma 6, del Cad, che a decorrere dal 14 settembre 2016 stabiliva l’inapplicabilità della disciplina digitale relativamente, tra l’altro, “all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale …” – avevano infatti concluso nel senso che la firma a stampa era consentita soltanto per gli accertamenti emessi a seguito di procedure automatizzate e che, invece, l’apposizione di una firma digitale all’originale informatico di un avviso di accertamento notificato non tramite Pec ma in formato analogico determinava la nullità dell’atto per difetto di sottoscrizione.
Successivamente, in conseguenza delle modifiche apportate dal Dlgs n. 217/2017, a decorrere dal 27 gennaio 2018, nell’articolo 2 del “Codice”, per un verso, è stato eliminato nel comma 6 il riferimento alle parole “ispettive e di controllo fiscale”; per l’altro, è stato introdotto il comma 6-bis, in base al quale “Ferma restando l’applicabilità delle disposizioni del presente decreto agli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.., sono stabiliti le modalità e i termini di applicazione delle disposizioni del presente Codice alle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale”.
Al riguardo, con sentenze n. 1150/2021 e 1557/2021, la Corte Suprema di Cassazione ha chiarito che, attraverso la riferita norma del Cad, il legislatore ha operato una distinzione tra gli atti “emessi ‘nell’esercizio’ delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, “a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive” (vale a dire gli atti propedeutici all’esercizio del potere di accertamento quali ad esempio gli accessi, ispezioni e verifiche di cui agli articoli 32 del Dpr n. 600/1973 e 52 del Dpr n. 633/1972), rispetto ai quali la disciplina digitale non è applicabile, e gli atti “impositivi” (ad esempio, gli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria) per i quali detta regolamentazione digitale deve invece ritenersi pienamente operante.
Il Supremo collegio, sulla scorta del dato normativo, ha dunque sancito che anche in ambito tributario la regola è l’atto informatico mentre ogni limitazione all’uso dei mezzi digitali costituisce un’eccezione, e che di conseguenza nulla impedisce che una copia analogica di un documento informatico conforme all’originale venga notificata, anche secondo le regole ordinarie della notifica a mezzo posta (Cassazione n. 1555/2021; negli stessi termini, da ultimo, Cassazione n. 37493/2022); perché “l’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi” (Cassazione n. 36894/2022).
In definitiva, la pronuncia della Corte di giustizia tributaria della Toscana appare pienamente coerente con la consolidata ermeneutica di legittimità e con l’impostazione secondo cui la normativa in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in conseguenza degli obblighi di adeguamento alla disciplina unionale, “impone ormai come regola generale l’adozione dei documenti informatici, residuando ad eccezione il mantenimento dei documenti analogici” (Cassazione n. 25910/2022).


Il Messo Comunale è tenuto a cercare il destinatario della cartella esattoriale

Il messo notificatore deve cercare il destinatario della cartella di pagamento, verificando l’eventuale cambio di indirizzo: lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza numero 7994 del 2023
La notifica degli atti impositivi va effettuata con la sola affissione presso l’albo comunale, senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, solo quando il messo notificatore non recepisca il contribuente perché trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune del domicilio fiscale.
Così ha statuito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7994 del 20 marzo 2023.
Nel caso in esame la ricorrente impugnava la cartella esattoriale dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, contestando l’inefficacia dell’atto impugnato a causa dell’insussistenza del diritto dell’ufficio a richiedere il pagamento di somme afferenti al tributo dell’IRPEF, senza aver preliminarmente provveduto a notificare correttamente i prodromici avvisi di accertamento.
La CTP dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla contribuente, ritenendo che gli atti impositivi fossero stati regolarmente notificati. Stesso esito in appello perché la CTR rigettava l’impugnativa introdotta dalla contribuente e confermava la decisione assunta dalla CTP.
Il contribuente ha proposto ricorso in cassazione, censurando la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice del gravame, per non aver correttamente applicato il combinato disposto dagli artt. 140 c.p.c., e 60 del Dpr n. 600 del 1973, in ordine agli adempimenti relativi al procedimento di notificazione dei prodromici avvisi di accertamento in esame.
In particolare, il citato art. 60, comma primo, lett. e), del Dpr n. 600 del 1973 contiene delle indicazioni specifiche sulla modalità di compimento del processo di notificazione di un atto tributario al contribuente irreperibile.
Infatti, quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 del c.p.c., in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune, senza l’invio della raccomandata informativa, e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione.
La Corte Suprema di Cassazione ha inoltre precisato che la notificazione ai sensi dell’art. 60, comma 1, lett. e) del d.P.R. n. 600 del 1973 è ritualmente eseguita solo nell’ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il messo notificatore deve svolgere nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, in esso non rinvenga l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente.
Solo in questi casi la notificazione è ritualmente effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune, senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, né di ulteriori ricerche al fuori del detto Comune.
La notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi va eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. solo ove sia conosciuta la residenza o l’indirizzo del destinatario che, per temporanea irreperibilità, non sia stato rinvenuto al momento della consegna dell’atto, mentre va effettuata ex art. 60, lett. e), del d.P.R. n. 600 del 1973 quando il notificatore non recepisca il contribuente perché trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato, previe ricerche, attestate nella relata, che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune del domicilio fiscale.
Non avendo dato corretta attuazione a tali principi, la sentenza d’appello è stata cassata, con rinvio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione.


Notifica a persone irreperibili ex art. 143 c.p.c.: presupposti

Con la sentenza n. 35022, del 29 novembre 2022, la Corte Suprema di Cassazione si è nuovamente pronunciata sui presupposti affinché possa essere ritenuta valida la notifica di un atto giudiziario per irreperibilità del destinatario ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

La vicenda nasce dall’azione intrapresa da un avvocato, il quale conveniva innanzi al Tribunale il liquidatore di una società a responsabilità limitata chiedendo la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno subito in virtù di un credito vantato nei confronti della predetta società, che era stata cancellata dal registro delle imprese, senza che venisse saldato il suo credito. L’atto introduttivo del giudizio veniva notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

Nella contumacia del convenuto, il Tribunale accoglieva la domanda attorea, accertando la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2495 del Codice civile in relazione all’art. 2491 ultimo comma c.c. I giudici di primo grado ritenevano che il liquidatore, già socio e amministratore unico della società debitrice, non potesse non essere a conoscenza dell’esposizione debitoria della società verso l’attore al momento della richiesta della cancellazione dal Registro delle Imprese.

Avverso la sentenza del Tribunale interponeva appello il convenuto originario, il quale deduceva preliminarmente la nullità della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e, nel merito, l’assenza di responsabilità in capo al liquidatore medesimo con riferimento alla cancellazione della società debitrice dal registro delle imprese.

Il gravame veniva accolto dalla Corte di Appello, la quale dichiarava la nullità della notificazione della sentenza del Tribunale, munita della formula esecutiva, e del contestuale atto di precetto, nonché della notifica dell’atto di citazione di primo grado e degli atti conseguenti.

Pertanto, l’attore investiva della questione la Corte Suprema di Cassazione deducendo, con il primo motivo del ricorso, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 143 c.p.c., avendo la Corte di Appello ritenuto non rispettose dei precetti normativi tanto la notificazione ex art. 143 c.p.c. della sentenza di primo grado in forma esecutiva e dell’atto di precetto, quanto la notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado eseguita anch’essa ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

Il motivo del ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione la quale lo ha accolto senza rinvio, ribadendo il principio di diritto secondo cui «Il ricorso alle formalità di notificazione previste dall’art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto» (Cass. n. 40467/2021).

Come affermato dalla giurisprudenza degli stessi giudici di legittimità, hanno osservato che:

  1. ai fini della notificazione ex art. 143 c.p.c., l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (Cass. n. 8638/2017 );
  2. Il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Cass. n. 24107/2016);

3. l’ufficiale giudiziario deve comunque preliminarmente e concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione.


Atto notificato ad un indirizzo diverso dalla residenza del destinatario: conseguenze

Con la sentenza n. 8463, pubblicata il 24 marzo 2023, la Corte Suprema di Cassazione si è pronunciata su quando può essere ritenuta nulla la notifica di un atto di citazione eseguita ad un indirizzo diverso da quello della residenza anagrafica del destinatario.

La vertenza approdata all’esame dei giudici della Suprema Corte nasce da un giudizio ex art. 702 bis c.p.c. promosso da un istituto bancario, creditore procedente in un pignoramento immobiliare, avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuta accettazione tacita da parte del debitore esecutato dell’eredità della madre defunta, tra i cui beni era ricompreso anche quello oggetto del pignoramento.

Il Tribunale dava torto alla banca rigettando il ricorso da quest’ultima proposto.

Di diverso avviso la Corte di Appello la quale, decidendo il gravame interposto dell’istituto bancario accertava che il convenuto originario era divenuto proprietario del bene pignorato, avendo tacitamente accettato l’eredità della madre.

Il giudizio innanzi alla Corte di Appello si svolgeva nella contumacia del convenuto. Il plico raccomandato contenente la citazione non era stato recapitato a quest’ultimo ed era stato restituito al mittente per compiuta giacenza.

L’originario convenuto proponeva, quindi, ricorso per cassazione deducendo:

  1. la nullità della sentenza e del procedimento di appello, stante la nullità e/o inesistenza della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di appello in quanto eseguita ad un indirizzo diverso dal proprio luogo di residenza e con il quale quest’ultimo non aveva, al tempo della notifica, nessun collegamento;
  2. che il ricorso era stato proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c. decorrente dalla pubblicazione della sentenza di appello, stante la sua qualità di contumace involontario, avendo avuto conoscenza della sentenza della Corte d’Appello quando il proprio difensore nel giudizio di esecuzione immobiliare aveva ricevuto la comunicazione dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione nella quale si faceva menzione della sentenza.

LA DECISIONE: Il motivo del ricorso è stato ritenuto infondato dai giudici della Corte di Cassazione i quali lo hanno rigettato osservando che:

  1. come affermato più volte dagli stessi giudici di legittimità le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora del destinatario di un atto, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (Cass. civ. n. 19387/2015; Cass. civ. n. 11550/2013);
  2. al fine di fornire la prova della nullità della notifica della citazione per essere stata eseguita in luogo diverso dalla residenza effettiva del destinatario, non è sufficiente la sola produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notifica;
  3. nell’ipotesi in cui la notifica viene eseguita nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., si presume che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario, il quale se intende contestarle in giudizio per fare dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova;
  4. la prova contraria, idonea a vincere la presunzione scaturente dalle risultanze anagrafiche, può essere desunta da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni, come quelle desunte dall’indicazione di dimora abituale quale emerge dall’esecuzione del contratto intercorso tra le parti.

Nel caso esaminato, hanno concluso gli Ermellini, è emerso che:

  1. in data anteriore al cambiamento di residenza, come risulta dalla certificazione anagrafica prodotta dal ricorrente, questi risiedeva proprio all’indirizzo ove è stata effettuata la notifica dell’atto di appello;
  2. in occasione delle sottoscrizioni delle fideiussioni rilasciate a garanzia del credito per il quale successivamente la banca ha agito esecutivamente, il ricorrente aveva indicato come proprio indirizzo quello dove è stato notificato l’appello anche se dalla certificazione anagrafica prodotta risultava che il trasferimento presso il nuovo indirizzo era avvenuto due anni prima;
  3. le varie missive relative al credito azionato dalla banca, la notifica dell’atto di precetto a seguito del quale è stata introdotta la procedura esecutiva immobiliare, erano state inviate, sempre dopo il cambio della residenza anagrafica, all’indirizzo dove era stato notificato anche l’atto di appello, e il ricorrente aveva sottoscritto i relativi avvisi di ricevimento.

Uso di p.e.c. non ufficiale: la notifica è insanabile

Argomento di particolare interesse, nel contenzioso tributario, riveste la legittimità della notificazione della cartella di pagamento al contribuente, proveniente da un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante in nessuno dei pubblici elenchi degli indirizzi elettronici previsti per legge, ossia IPA, REGINDE o INIPEC.

Parimenti si ravvisa che, ai sensi dell’articolo 3 bis L. 53/1994, la notificazione con modalità telematica deve essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

Sul punto, l’articolo 16 ter D.L. 179/2012 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 221/2012), rubricato “pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni”, al comma 1 dispone che: “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6 bis, 6 quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia” e, pertanto, la notifica a mezzo p.e.c. è da intendersi validamente effettuata soltanto se effettuata a un indirizzo p.e.c. certificato ed inviata da un indirizzo p.e.c. anch’esso certificato.

Tra l’altro l’articolo 57 bis D.Lgs. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale, “CAD”), ha stabilito, al comma 1, che: “al fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi è istituto l’indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi, nel quale sono indicati gli indirizzi di posta elettronica certificata da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi ed i privati”.

Sulla base di tali presupposti è pacifico considerare che, nel caso in cui mancasse un tale accreditamento, è precluso al contribuente verificare la provenienza del messaggio e, in particolare, la sua attribuibilità alla specifica Amministrazione menzionata come mittente.

In altri termini, il Legislatore ha sancito la necessità che l’attività di notifica avvenga mediante l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica risultanti da pubblici elenchi, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto da notificare e ciò non può valere soltanto rispetto alla parte contribuente.

Nel contesto così delineato, è agevole affermare che non possa reputarsi valida la notifica effettuata dall’Ufficio avvalendosi di indirizzi non ufficiali, poiché ciò non consente l’assoluta certezza della provenienza dell’atto impugnato, atta a comprovare l’affidabilità giuridica del contenuto dello stesso, profili che devono invece essere entrambi garantiti, a salvaguardia della pienezza del diritto di difesa del contribuente.

Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi (Cass. Civ. 3093/2020).

La presenza dell’indirizzo del mittente in uno dei pubblici registri, previsti dalla legge, consente al destinatario la riconoscibilità del mittente, garantendo l’identità e la provenienza del messaggio di posta elettronica.

In definitiva, deve affermarsi che il vizio della notifica inviata attraverso p.e.c. non ufficiale comporta, quindi, una nullità insanabile, essendo minata proprio la certezza della provenienza della stessa.

Quanto sin qui osservato ha trovato conferma anche nelle recenti decisioni della giurisprudenza di merito.

In particolare, la sentenza n. 6507/17/2022 della CTR Lazio (oggi Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio) ha ribadito che la mancata dimostrazione dell’inserimento della casella di posta elettronica erariale nei registri pubblici “rende la notifica della cartella di pagamento originariamente impugnata inesistente e, come tale, non suscettibile di sanatoria. Atteso che all’inesistenza consegue l’impossibilità di operare la sanatoria, escludendo qualsiasi effetto per raggiungimento dello scopo ex articolo 156 c.p.c. perché “utilizzando un indirizzo p.e.c. non certificato e non inserito in pubblici registri, il messaggio di posta elettronica difetta di un requisito indispensabile a tal fine, non consentendo al destinatario di essere messo in condizioni di conoscerne il contenuto, senza correre il rischio di essere attaccato da c.d. “Malware””.


Corte di giustizia tributaria di secondo grado Lazio Roma, Sez. XVII, Sent., (data ud. 21/12/2022) 30/12/2022, n. 6507

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI II GRADO DEL LAZIO
DICIASSETTESIMA SEZIONE

riunita in udienza il 21/12/2022 alle ore 09:30 con la seguente composizione collegiale:
PANNULLO NICOLA, – Presidente
MERCURIO FRANCESCO, – Relatore
FRETTONI FRANCESCO, – Giudice
in data 21/12/2022 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sull’appello n. 3244/2021 depositato il 22/06/2021
proposto da
Agenzia Delle Entrate Riscossione – (…)
Difeso da
Adriano Rocco – (…)
ed elettivamente domiciliato presso avvadrianorocco@puntopec.it
contro
(…)
Difeso da
Maria Laura Vicari – (…)
ed elettivamente domiciliato presso marialauravicari@ordineavvocatiroma.org
Avente ad oggetto l’impugnazione di:
– pronuncia sentenza n. 1698/2021 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale ROMA sez. 29 e pubblicata il 15/02/2021
Atti impositivi:
– CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IRPEF-ALTRO 2015
a seguito di discussione in pubblica udienza
Richieste delle parti:
Ricorrente/Appellante: come in atti.
Resistente/Appellato: come in atti.

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate – Riscossione, ha impugnato la sentenza n. 1698/2021, pronunciata il 04.02.2021 dalla Sez. 29 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma e depositata il 15.02.2021, che ha accolto il ricorso, proposto dal sig. G.G., codice fiscale (…), avverso la cartella di pagamento n. (…) relativa ad IRPEF, annualità 2015 dell’importo di Euro. 3.284,45.
Con il ricorso introduttivo in primo grado il ricorrente eccepiva l’omessa ed irregolare notifica della cartella tramite p.e.c.; l’omessa motivazione dell’atto; il corretto versamento delle imposte derivanti dalla propria dichiarazione; l’assenza di solidarietà tra sostituto e sostituito d’imposta, in relazione al mancato versamento delle ritenute d’acconto; l’omessa indicazione delle modalità di calcolo degli interessi.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate – Riscossione che eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva per le questioni di merito; mentre deduceva la regolarità della notifica effettuata tramite p.e.c. e la corretta motivazione della cartella.
Con la sentenza n. 1698/2021 la CTP di Roma accoglieva il ricorso, atteso che dalla documentazione fornita dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione risultava che la notifica della cartella di pagamento proveniva dall’indirizzo p.e.c. notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it e che tale indirizzo non risultava nell’elenco del Reginde (Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), nonostante la ricorrente si fosse costituita in giudizio eccependo l’inesistenza della notifica.
L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha interposto appello avverso la suddetta sentenza, eccependo: 1) la regolare notifica della cartella di pagamento, siccome avvenuta nel pieno rispetto della normativa speciale in materia di riscossione esattoriale, ritenendo sul punto inconferente la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 17346/2019; 2) la legittimità della cartella di pagamento redatta in conformità al modello ministeriale; 3) la pretestuosità dell’eccezione sul difetto di attestazione di conformità all’originale; 4) sanatoria per raggiungimento dello scopo; 5) nel merito, difetto di legittimazione passiva e richiesta di intervento adesivo dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale 1 di Roma; 6) legittimità della cartella esattoriale; 7) legittimità delle somme azionate a titolo di interessi e saggio. Conclude per l’accoglimento dell’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza dichiarare la validità e l’esigibilità della stessa. Con vittoria di spese ed onorari del doppio grado di giudizio.
L’atto di appello pur essendo stato regolarmente notificato anche l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 1 di Roma, non risulta costituita in giudizio.
Il sig. (…) si è costituito in giudizio, con proprie controdeduzioni, e contesta i motivi di appello poiché asseritamente infondati e ripropone le eccezioni formulate nel primo grado di giudizio. Preliminarmente eccepisce sull’inammissibilità della richiesta di intervento dell’ente impositore, posto che il giudizio di appello non può che svolgersi nei confronti delle parti già evocate nel primo grado di giudizio. Insiste che la sentenza di prime cure risulta immune dai vizi ascrittigli, avendo fatto corretta applicazione della normativa speciale e dei principi vigenti in tema di esistenza e notificazione di documenti informatici. Ribadisce che per la valida esistenza della notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali, come previsti dall’art. 3-bis della L. n. 53 del 1994, può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante, risultante da pubblici elenchi, come statuito anche dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 17346/2019. Ripropone l’eccezione di illegittimità della pretesa derivante dal mancato riconoscimento di ritenute d’acconto regolarmente operate dal ricorrente sui compensi (come risulta dalle relative parcelle) ma, presumibilmente, non versate dai sostituti di imposta. Conclude per il rigetto dell’appello e, per l’effetto, confermare la sentenza impugnata. Con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio, oltre accessori come per legge.
L’appellante ha replicato con memorie illustrative, in particolare precisa sull’eccezione di inammissibilità della richiesta di intervento dell’ente impositore e in ipotesi di mancato accoglimento debba essere tenuta indenne da qualsiasi conseguenza pregiudizievole. Ribadisce sulla fondatezza dei motivi di appello.
All’odierna trattazione in pubblica udienza le parte costituite illustrano le proprie ragioni, come in atti, e successivamente la causa viene posta in decisione.

Motivi della decisione

Il Collegio, preliminarmente, osserva che è inesistente la notificazione della cartella di pagamento proveniente da un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante in nessuno dei pubblici elenchi previsti per legge. In base all’art. 3-bis, L. n. 53 del 1994, la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. In particolare, l’art. 16-ter del D.L. n. 179 del 2012 ha previsto che, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi i tre registri: IPA, REGINDE e INI-PEC. Nel caso di specie la notifica proveniva dall’indirizzo “notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it” non risultante, a nome di “Agenzia delle Entrate – riscossione” in nessuno dei citati registri. L’indirizzo da cui è giunta la cartella impugnata non è oggettivamente e con certezza riferibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione, non risultando nell’elenco del Reginde (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), né nella pagina ufficiale del sito internet dell’Agenzia Entrate Riscossione, né tantomeno nella pagina della CCIAA (Camera di Commercio di Roma). D’Altro canto, questo Collegio non si vuole discostare dalla recente pronuncia di questa Corte, resa con la sentenza 3514/2022 del 2 agosto 2022, che ha affermato “l’illegittimità della notifica effettuata con spedizione da un indirizzo di PEC (notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it) non risultante da alcun registro pubblico degli indirizzi elettronici IPA, REGINDE o INIPEC”. Precisando, ancora, che “L’art. 16 ter, del D.L. n. 179 del 2012 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221), rubricato “pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni”, al comma 1, dispone: “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia” e la notifica Pec si intende validamente effettuata soltanto se effettuata a un indirizzo Pec certificato ed inviato da un indirizzo Pec anch’esso certificato. Anche l’art. 57-bis, del D.Lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale, ‘CAD’), stabilisce, al comma 1, che “al fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi è istituito l’indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi, nel quale sono indicati gli indirizzi di posta elettronica certificata da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi ed i privati”. Se manca un tale accreditamento, è precluso al contribuente verificare la provenienza del messaggio e, in particolare, la sua attribuibilità alla specifica Amministrazione menzionata come mittente. In altri termini, il Legislatore ha sancito la necessità che l’attività di notifica avvenga mediante l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica risultanti dai pubblici elenchi, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto da notificare e ciò non può valere soltanto rispetto alla parte contribuente. Dunque, nel caso in esame, non può reputarsi valida la notifica effettuata dall’Ufficio avvalendosi di indirizzi non ufficiali, poiché ciò non consente assoluta certezza della provenienza dell’atto impugnato, atta a comprovare l’affidabilità giuridica del contenuto dello stesso, profili che devono invece essere entrambi garantiti, a salvaguardia della pienezza del diritto di difesa del contribuente. Ne consegue l’inesistenza giuridica della consegna informatica dell’atto tributario proveniente da indirizzo formalmente non opponibile al contribuente.
Il vizio della notifica inviata attraverso p.e.c. non ufficiale comporta, quindi, una nullità insanabile, essendo minata proprio la certezza circa la sua provenienza, a fronte dell’oggettiva impossibilità di riferire quell’indirizzo all’AdER, non essendo lo stesso rintracciabile in alcun pubblico elenco ufficiale, conseguendone la sua inesistenza e impossibilità di operare la sanatoria ex art. 156 c.p.c. Quanto sin qui osservato trova conferma anche negli ulteriori arresti della giurisprudenza di questa Commissione (oggi Corte di Giustizia), ex multis CTR Lazio, sentenza n. 915/2022, con cui è stato chiarito che la mancata dimostrazione dell’inserimento della casella di posta elettronica erariale nei registri pubblici rende la notifica della cartella originariamente impugnata inesistente e, come tale, non suscettibile di sanatoria. Atteso che all’inesistenza consegue l’impossibilità di operare la sanatoria, escludendo qualsiasi effetto per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., perché: “utilizzando un indirizzo pec non certificato e non inserito in pubblici registri, il messaggio di posta elettronica difetta di un requisito indispensabile a tal fine, non consentendo al destinatario di essere messo in condizioni di conoscerne il contenuto, senza correre il rischio di essere attaccato da c.d. “Malware.”
Del resto, in linea con l’indirizzo di legittimità, atteso che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17346/2019, ha stabilito che la notifica deve essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici registri. Nel caso di specie, il messaggio pec inviato al contribuente risulta proveniente dal dominio “notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it”, del tutto sconosciuto e non presente nei pubblici registri, ove invece quale dominio riferito all’Agenzia delle Entrate Riscossione risulta: “protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it” nel registro IndicePA, valevole in materia tributaria e amministrativa (e pct@pec.agenziariscossione.gov.it nel registro ReGIndE per le notifiche in materia civile). Infatti, la presenza dell’indirizzo del mittente in uno dei pubblici registri, previsti dalla legge, consente al destinatario la riconoscibilità del mittente, garantendo l’identità e la provenienza del messaggio di posta elettronica. Ancora, più recentemente, con l’ordinanza n. 3093/2020, riprendendo la citata sentenza, la Suprema Corte ha confermato il predetto principio, affermando che “La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”.
Passando al merito della controversia, la ripresa a tassazione di una ritenuta fiscale operata alla fonte, in relazione al mancato versamento delle ritenute d’acconto del sostituto d’imposta, non può essere addebitata al sostituito, posto che la Suprema Corte, con la pronuncia resa a Sezioni Unite, n. 10387 del 12/4/2019, ha definitivamente sancito l’assenza di un vincolo di solidarietà, nei confronti del Fisco, tra il sostituto e il sostituito. In particolare i giudici di legittimità hanno ribadito il principio, per cui il professionista non può rispondere per l’omesso versamento delle ritenute d’acconto regolarmente effettuate, essendo il sostituto d’imposta l’unico responsabile di detta obbligazione tributaria. Tale pronuncia rammenta che la sostituzione e la solidarietà nell’imposta sono istituti distinti, che il versamento della ritenuta d’acconto costituisce un’obbligazione autonoma rispetto all’imposta, e che essa grava unicamente sul sostituto e trova la sua causa nel corrispondente obbligo di rivalsa.
In conclusione, assorbita ogni altra istanza, l’appello deve essere rigettato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Lazio, Sezione 17a, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello. Condanna l’appellante alle spese di giudizio che liquida in Euro 1.000,00 oltre accessori di legge, se dovuti.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2022.


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 05/11/2019) 10/02/2020, n. 3093

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 34135/2018 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in Roma, V.le Angelico 38, presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana, che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 333/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 14/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Svolgimento del processo
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, T.M., cittadino del Mali, ha adito il Tribunale di Perugia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Con ordinanza del 17/2/2017 il Tribunale di Perugia ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’atto di citazione in appello proposto dal T., corredato da quattro motivi1è stato dichiarato nullo dalla Corte di appello di Perugia, in difetto di costituzione del Ministero appellato, con sentenza del 14/5/2018, con dichiarazione di irripetibilità delle spese processuali.

La notifica dell’atto di citazione in appello era stata eseguita all’Avvocatura dello Stato di Perugia presso un indirizzo di posta elettronica (perugia.mailcert.avvocaturastato.it) diverso da quello (ads.pg.mailcert.avvocaturastato.it) risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia (c.d. REGINDE).

Poichè alla prima udienza la difesa dell’appellante, affermando di ritenere valida la notifica effettuata, aveva rifiutato il termine per il rinnovo della notifica al Ministero, la Corte di appello ha ritenuto la notifica nulla perchè ai sensi del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 17, comma 4 (regolamento emanato in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni, ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, commi 1 e 2, convertito in L. 22 febbraio 2019, n. 24) il sistema informatico dell’UNEP individua l’indirizzo di posta elettronica del destinatario dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia (REGINDE), con unica regola applicabile in caso di notificazione al difensore della parte.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso T.M., con atto notificato il 14/11/2018, svolgendo cinque motivi, di cui gli ultimi quattro destinati solamente a riproporre le censure svolte con i quattro motivi di appello non esaminati dalla Corte territoriale, vertenti rispettivamente in tema di erronea valutazione delle dichiarazioni rese alla Commissione Territoriale, di erronea considerazione di inattendibilità delle prove e delle dichiarazioni rese, di mancata concessione della protezione sussidiaria nonostante le attuali condizioni sociopolitiche del Paese di origine e di mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 291 c.p.c. e del R.D. 1611 del 1933, art. 11.

Il ricorrente richiama una pronuncia del Tribunale di Milano e sostiene che la notifica all’Avvocatura doveva ritenersi valida perchè ai fini della validità della notifica a nulla rileva da quale elenco sia stato estratto l’indirizzo p.e.c. utilizzato, purchè si tratti di un elenco pubblico; l’elenco di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 12, non è pubblico ma ristretto alla consultazione di uffici giudiziari, ufficiali giudiziari, avvocati, esecuzioni e protesti; inoltre l’elencazione dei pubblici registri non è esclusiva ma tassativa e fondata sulla pubblica riconducibilità dell’indirizzo al soggetto.

L’esclusività della notificazione a indirizzi contenuti in pubblici elenchi non abroga la domiciliazione presso l’Avvocatura dello Stato ex R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, che va ad aggiungersi a quella della L. n. 53 del 1994, ex art. 3 bis.

In ogni caso INI-PEC (acronimo per Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica certificata) non è un mero indirizzario informatico ma un pubblico elenco, tenuto conto di quanto disposto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 ter, comma 1, convertito in L. 7 dicembre 2012, n. 221 e dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, ossia del Codice dell’Amministrazione Digitale, nonchè dell’art. 149 bis c.p.c., commi 1 e 2, nonchè della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3 bis, comma 1.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Motivi della decisione
1. Il Collegio osserva in linea preliminare che la giurisprudenza di questa Corte appare orientata in senso opposto a quello argomentato dal ricorrente e invece conforme alla decisione impugnata.

E’ stato affermato, sia pur ad altri fini, che in materia di notificazioni al difensore, a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”, corrispondente all’indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, secondo le previsioni di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies (convertito con modificazioni in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni in L. n. 114 del 2014), la notificazione dell’atto di appello va eseguita all’indirizzo p.e.c. del difensore costituito risultante dal REGINDE, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo, sicchè è nulla la notificazione effettuata – ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 – presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra anche la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Sez. 6, 23/05/2019, n. 14140; Sez. 1, 18/01/2019, n. 1411).

Quanto, più in particolare, ai registri di indirizzi da cui le parti possono estrarre i recapiti di posta elettronica certificata utilizzabili ai fini della notificazione, questa Corte, in tempi recentissimi, ha più volte affermato che l’unico registro à cui occorre far riferimento è il REGINDE. Secondo la pronuncia della Sez. 3, 08/02/2019, n. 3709, il domicilio digitale previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, (convertito, con modifiche, in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito con modifiche in L. n. 114 del 2014), corrisponde all’indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (REGINDE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicchè la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo p.e.c. riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel REGINDE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI -PEC).

La citata pronuncia richiama quali precedenti conformi le decisioni della Sez. 6 del 14/12/2017, n. 30139 e del 25/05/2018, n. 13224: nel primo caso, la notifica dell’atto di appello era stata eseguita presso la cancelleria ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, senza ricorrere ai recapiti p.e.c. risultanti dai registri INIPEC e REGINDE; nel secondo caso, la notificazione a mezzo p.e.c. era stata eseguita a un indirizzo, diverso da quello risultante dal REGINDE e indicato dalla parte nella sua comparsa di risposta.

La stessa conclusione è stata raggiunta da Sez. 6, 05/04/2019, n. 9562, secondo la quale per i soggetti censiti all’interno del REGINDE l’unico indirizzo utilizzabile ai fini della notificazione è quello inserito in detto registro e non anche quello eventualmente presente in altri registri PEC, anche qualora gli stessi siano annoverati all’interno del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-ter; pertanto, in tema di notificazione a mezzo p.e.c., ai sensi del combinato disposto dell’art. 149 bis c.p.c. e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, introdotto dalla Legge di Conversione n. 221 del 2012, l’indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell’atto è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (REGINDE), unicamente quello risultante da tale registro. Ne consegue, ai sensi dell’art. 160 c.p.c., la nullità della notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario (in quel caso non risulta da quale registro fosse stato estratto l’indirizzo utilizzato e la Corte ha valorizzato quale elemento di non specificità del mezzo di ricorso l’omessa deduzione dell’estrazione dell’indirizzo utilizzato dal REGINDE).

Ancor più recentemente si sono pronunciate, sempre nella stessa direzione, le ordinanze della Sezione 6-1, del 27/9/2019 n. 24110 (ove non risultava da quale registro, diverso dal REGINDE, l’indirizzo utilizzato fosse stato estratto) e della Sezione 6-3, del 27/9/2019 n. 24160, in tema di notifica dell’atto di impugnazione (in cui l’indirizzo utilizzato era stato estratto da INIPEC, ma tale considerazione era stata espressa ad abundantiam rispetto ad una principale concorrente ratio decidendi).

Quest’ultima decisione è stata tuttavia corretta d’ufficio ex art. 391 bis c.p.c., con ordinanza del 15/11/2019 n. 29749 (pubblicata successivamente alla Camera di consiglio del 5/11/2019) che ha eliminato il riferimento, ritenuto erroneo, alla inidoneità oggettiva dell’estrazione dell’indirizzo p.e.c. dai registri INIPEC. La predetta ordinanza di correzione richiama in motivazione il contenuto della sentenza delle Sezioni Unite del 23/9/2018 n. 23620, che ha ritenuto che il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, introdotto dal D.L. 24 giugno 2014, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, e rubricato “Domicilio digitale”, imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INIPEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, ovvero presso il REGINDE di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, certamente implica un riferimento all’indirizzo di posta elettronica risultante dagli albi professionali, atteso che, in virtù della prescrizione contenuta nel citato D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, commi 2 bis e 5, al difensore fa capo l’obbligo di comunicare il proprio indirizzo all’ordine di appartenenza e quest’ultimo è tenuto a inserirlo sia nel registro INIPEC, che nel REGINDE. La sentenza della Sez. 1, 09/01/2019, n. 287 ha invece escluso la rimessione in termine per la parte che ha effettuato la notifica dell’atto processuale ad un indirizzo PEC non presente nel REGINDE; infatti solo ove l’esito negativo del processo notificatorio sia dipeso da un fatto oggettivo ed incolpevole, del quale la parte notificante deve offrire una puntuale e rigorosa dimostrazione, è possibile fissare un ulteriore termine per la notificazione.

1.2. L’ordinanza della Sez. 6-1, del 27/6/2019 n. 13746 ha invece ritenuto che un’analoga questione fosse stata proposta in termini astratti e teorici, privi della necessaria specificità perchè il ricorrente non aveva assunto chiaramente di aver estratto l’indirizzo utilizzato dal Registro INIPEC. Nella specie il ricorrente presuppone tale estrazione nella sua complessiva argomentazione, e l’afferma espressamente a pagina 8 (10-11 rigo, del ricorso).

1.3. Il “domicilio digitale” di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies e successive modifiche e integrazioni, prevede che, salvo quanto previsto dall’art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.

Tale norma richiama anche gli (altri) elenchi di cui all’art. 6 bis e riguarda l’ipotesi specifica in cui la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario: eventualità ora scongiurata dalla disponibilità di un recapito di posta elettronica ut supra.

Il D.L. 18 otto 2012, n. 179, art. 16, comma 12 (modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 19, lett. b) e successivamente dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 47, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114) in tema di “Biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica” ha previsto che al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2 e successive modificazioni, comunicassero al Ministero della giustizia, con le regole tecniche adottate ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24, entro il 30/11/2014 l’indirizzo di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 e successive modificazioni, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L’elenco formato dal Ministero della giustizia è consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati.

Tale norma non sancisce espressamente un privilegio di esclusività.

Il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis (c.d. Codice dell’amministrazione digitale), in tema di “Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti” per favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonchè lo scambio di informazioni e documenti tra i soggetti di cui all’art. 2, comma 2 e le imprese e i professionisti in modalità telematica, dispone l’istituzione del pubblico elenco denominato Indice nazionale dei domicilii digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico (realizzato a partire dagli elenchi di indirizzi p.e.c. costituiti presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi professionali).

Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 ter, comma 1 (modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 45-bis, comma 2, lett. a), n. 1) convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 e successivamente sostituito dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 66, comma 5) in tema di “Pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni” prevede che a decorrere dal 15/12/2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, artt. 6-bis, 6-quater e 62, dall’art. 16, comma 12, dello stesso decreto, dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 16, comma 6, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, nonchè il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia.

L’art. 149 bis c.p.c., comma 2, in tema di “Notificazione a mezzo posta elettronica dispone che se procede ai sensi del comma 1, l’ufficiale giudiziario trasmette copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni. Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 2, convertito con modificazioni in L. 17 dicembre 2012, n. 221, ha aggiunto le parole: “o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni”.

La L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis, dispone che la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.

Sulla base di tali norme il ricorrente sostiene che il Registro INIPEC è un pubblico elenco e nega che la legge privilegi ai fini delle notifiche giudiziarie esclusivamente gli indirizzi contenuti nel REGINDE, come sostenuto dal richiamato orientamento giurisprudenziale.

3. Il contesto normativo e giurisprudenziale illustrato, secondo il Collegio, colora la questione preliminare processuale sollevata dal ricorso di un evidente interesse nomofilattico, che trascende il caso concreto e ne consiglia la trattazione in pubblica udienza.

P.Q.M.
La Corte:

rinvia la trattazione del ricorso alla pubblica udienza.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020