Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 28-05-2019) 26-11-2019, n. 30787

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28160-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BI KIRA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA E.Q. VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato ANGELO PETRONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIO MODESTO MARIA ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5120/2014 della COMM. TRIB. REG. della Campania, depositata il 23/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

Svolgimento del processo
CHE:

– la Bi-Kira S.r.l. impugnava la cartella di pagamento con cui, a seguito di revisione della dichiarazione doganale, l’Agenzia delle Dogane di Napoli (OMISSIS), a mezzo dell’agente della riscossione, chiedeva il pagamento della somma di Euro 112.763,25 per imposte doganali e IVA su importazione; in particolare, la ricorrente eccepiva l’invalidità della cartella in ragione della mancata notifica del presupposto avviso di accertamento;

– la C.T.P. di Napoli respingeva il ricorso affermando che, essendo stata dimostrata la consegna di una busta raccomandata proveniente dall’Agenzia, sarebbe stato onere del destinatario dimostrare che il plico non conteneva alcun atto o che ne conteneva uno diverso;

– la C.T.R. della Campania, con la sentenza n. 5120/32/14 del 23/5/2014, accoglieva l’appello della Bi-Kira; in particolare, il giudice d’appello rilevava che l’onere probatorio, in caso di contestazione del contenuto dell’involucro, spettava al mittente e che, perciò, “era il mittente, cioè l’ente impositore, a dover provare di avere inserito nella busta, oltre al processo verbale di revisione (la cui ricezione è pacifica), anche l’avviso di rettifica contenente l’invito al pagamento a cui si riferiva la cartella di pagamento impugnata”;

– avverso tale decisione l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione (affidato a due motivi), al quale resiste con controricorso la Bi-Kira S.r.l..

Motivi della decisione
CHE:

1. Col primo motivo la ricorrente Agenzia deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), degli art. 1335 e 2697 c.c., per avere la C.T.R. ritenuto che spettasse al mittente l’onere di dimostrare che l’atto notificato – unitario, pur se costituito da diversi documenti (segnatamente l’avviso di rettifica e l’allegato processo verbale di constatazione) – fosse stato inserito nella busta notificata alla società.

2. Il motivo è fondato.

La C.T.R. richiama nella motivazione il principio espresso da Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20027 del 30/09/2011, Rv. 619195-01 secondo cui “la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere, ex art. 1335 c.c., l’invio e la conoscenza dell’atto, spettando al destinatario l’onere eventuale di provare che il plico non conteneva l’avviso. Tale presunzione, però, opera per la sola ipotesi di una busta che contenga un unico atto, mentre ove il mittente affermi di averne inserito più di uno (come nella specie, gli avvisi di accertamento per più annualità) ed il destinatario contesti tale circostanza, grava sul mittente l’onere di provare l’intervenuta notifica e, quindi, il fatto che tutti gli atti fossero contenuti nel plico e ciò in quanto, secondo l’id quod plerumque accidit, ad ogni atto da comunicare corrisponde una singola spedizione” – ma ne fa erronea applicazione alla fattispecie de qua.

Infatti, come rilevato nel ricorso della difesa erariale, l’avviso di rettifica dell’accertamento e il processo verbale di constatazione non costituiscono atti distinti – per i quali si deve presumere la notificazione mediante singola spedizione – bensì un atto unitario posto che il processo verbale è parte integrante dell’avviso e ne costituisce allegato ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, nel caso di contestazione dell’atto comunicato a mezzo raccomandata, l’onere di provare che il plico non conteneva l’atto stesso, ovvero che ne conteneva uno diverso da quello spedito, grava sul destinatario in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale. Tale conclusione discende altresì dal cosiddetto “principio di vicinanza della prova” poichè, una volta effettuata la consegna del plico per la spedizione, esso fuoriesce dalla sfera di conoscibilità del mittente e perviene in quella del destinatario, il quale può dunque dimostrare che al momento del ricevimento il plico era privo di contenuto (o ne aveva uno diverso).

In altri termini, conformemente a quanto statuito da questa stessa Sezione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16528 del 22/6/2018; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 33563 del 28/12/2018), “la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l’atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. ord. n. 9533 del 12/5/2015; n. 2625 del 11/2/2015; n. 18252 del 30/7/2013; n. 24031 del 10/11/2006; n. 3562 del 22/2/2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti già citati, Cass. 22 maggio 2015, n. 10630; conf. Cass. n. 24322 del 14/11/2014; n. 15315 del 4/7/2014; n. 23920 del 22/10/13; n. 16155 del 8/7/2010; n. 17417 del 8/8/2007; n. 20144 del 18/10/2005; n. 15802 del 28/7/2005; n. 22133 del 24/11/2004; n. 771 del 20/1/2004; n. 11528 del 25/7/2003; n. 4878/1992; 4083/1978; cfr. Cass., ord. n. 20786 del 2/10/2014, per la quale tale presunzione non opererebbe con inversione dell’onere della prova – ove il mittente affermasse di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contestasse tale circostanza). L’orientamento prevalente risulta peraltro conforme al principio generale di c.d. “vicinanza della prova”, poichè la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato) che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto.”.

3. Resta assorbito il secondo motivo del ricorso dell’Agenzia.

4. In conclusione, il ricorso è accolto e la sentenza cassata con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, per l’ulteriore esame e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

accoglie il primo motivo del ricorso di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, anche per la statuizione spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019


Circolare 2019-004 Notifica art. 65 DPR 600/1973 – Applicabile anche ai Tributi Locali

L’articolo 65 del D.P.R. 600/1973 prende in considerazione l’eventualità in cui non risultino ancora identificati gli eredi del contribuente defunto ma non introduce una procedura speciale di notificazione, rimanendo fermo a tal fine il riferimento all’art. 60 della medesima legge.

……

Leggi: Circolare 2019-004 Notifica art. 65 DPR 600-1973 – Applicabile anche ai Tributi Locali


INI-PEC valido e attendibile: la Corte di Cassazione modifica la sua valutazione

Con un provvedimento di correzione materiale, gli Ermellini confermano la validità del Registro INI-PEC a seguito del provvedimento che aveva messo a rischio centinaia di notifiche

Leggi: Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 14-11-2019) 15-11-2019, n. 29749


In pensione a 67 anni fino al 2022

A darne la conferma è il decreto del ministero dell’Economia, di concerto con quello del Lavoro, pubblicato in Gazzetta ufficiale

Fino al biennio 2021/2022 si potrà andare in pensione a 67 anni. A darne la conferma, dopo l’anticipazione data nei giorni scorsi (leggi Pensione a 67 anni fino al 2022) è il decreto del ministero dell’Economia, di concerto con quello del Lavoro, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 15 novembre.

«Dal 1° gennaio 2021 i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici non sono ulteriormente incrementati». Questo perché la speranza di vita non è cresciuta e quindi i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia non s’innalzano. Così il decreto e in molti possono tirare un respiro di sollievo. Il provvedimento determina gli eventuali aggiornamenti dell’età di vecchiaia e di altri requisiti alla variazione della speranza di vita: il possibile aumento di un mese, conseguente all’incremento della longevità registrato nel 2018, non scatterà grazie all’arrotondamento alla terza cifra dopo la virgola.

L’aumento della speranza di vita a 65 anni è di 0,021 decimi di anno. E dunque «Trasformato in dodicesimi di anno equivale ad una variazione di 0,025 che, a sua volta arrotondato in mesi, corrisponde ad una variazione pari a 0». Nero su bianco il riferimento è all’anno 2021 ma, considerato che gli adeguamenti sono biennali, il livello fissato a 67 anni resterà in vigore anche l’anno successivo.

Si cambia dal 2023: da quel momento scatterà l’ulteriore adeguamento che, comunque, non potrà superare in ogni caso i 67 anni e 3 mesi, se si tiene presente che il requisito dell’età può aumentare per un massimo di 3 mesi alla volta. Resta il requisito dei 20 anni di contributi versati per andare in pensione a 67 anni. Per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 – regime contributivo – è necessario avere un trattamento pari a una volta e mezzo il minimo. In ogni caso c’è quota 100.


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 31-01-2019) 15-11-2019, n. 29729

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20865-2017 R.G. proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Mauro Mercadante ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Giovanni Nicotera 29, presso lo studio dell’avvocato Maria Teresa Pagano;

– ricorrente –

contro

FINO 1 SECURITISATION s.r.l. e per essa DOBANK s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Claudio Luca Migliorisi ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Isonzo 42/A, presso lo studio dell’avvocato Achille Reali;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3370/2017 della Corte d’appello di Milano, depositata il 17 luglio 2017;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 31 gennaio 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo.

Svolgimento del processo
B.S. ha proposto opposizione avverso l’atto di precetto con il quale Unicredit s.p.a. gli intimava il pagamento della somma di Euro 437.701,51, oltre spese interessi ed accessori, indicando quale titolo esecutivo un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Monza. A sostegno dell’opposizione deduceva una serie di vizi del titolo, fra i quali l’incertezza circa l’identificazione dell’Ufficio giudiziario emittente (il ricorso era stato presentato al Tribunale di Monza e il decreto risultava sottoscritto da un giudice in servizio presso tale ufficio, ma nell’intestazione del provvedimento e quale luogo di sottoscrizione era riportata la dicitura “Milano”) e l’invalidità della notificazione.

Il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione. La sentenza è stata appellata dal B., che ha riproposto le medesime censure. La corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame, condannando l’appellante alle spese di lite.

Avverso tale decisione il B. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Il B. ha depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.

Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 131 e 132 c.p.c., consistita nella violazione della forma legale prescritta per il decreto ingiuntivo.

In realtà, si tratta della riproposizione della censura già disattesa nei gradi di merito circa l’impossibilità di individuare con certezza l’ufficio giudiziario emittente il decreto ingiuntivo, a causa di un errore contenuto nell’intestazione del provvedimento e nell’indicazione del luogo di emissione. Ma, lo stesso ricorrente dà atto della circostanza che il provvedimento è sottoscritto da un magistrato certamente in servizio, a quella data, presso il Tribunale di Monza, cui era rivolto il ricorso. Si è in presenza, pertanto, come già correttamente rilevato dalla Corte d’appello, di un mero errore materiale, che non inficia l’esistenza del titolo esecutivo.

Il motivo è quindi inammissibile.

Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2719 c.c. e degli artt. 115, 116, 140 e 215 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1341 c.c., comma 2, e dell’art. 140 c.p.c.. Con il quarto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c. e degli artt. 115, 116 e 140 c.p.c. Le tre censure, largamente sovrapponibili, riguardano la notificazione del titolo esecutivo, che, a parere del ricorrente, sarebbe invalida in quanto eseguita presso un luogo ove egli non era più residente, in violazione delle norme sostanziali e processuali in tema di elezione di domicilio, di notificazione e di onere della prova.

I motivi possono essere unitariamente disattesi, in quanto, nel loro complesso, non denunciano un’ipotesi di radicale inesistenza della notificazione, specialmente nei termini puntualizzati dalle Sezioni Unite. Infatti, l’inesistenza della notificazione di un atto giudiziario è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603 – 01).

Pertanto, i vizi denunciati dal ricorrente avrebbero potuto giustificare, tutt’al più, un’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c. Con la conseguenza che, qualora l’ingiunto, opponente tardivo, non abbia, con l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 650 c.p.c., dedotto altre ragioni ulteriori rispetto a quelle della nullità della notificazione, quest’ultima risulta sanata per effetto dell’opposizione stessa (Sez. 2, Sentenza n. 1038 del 28/01/1995, Rv. 490073 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 5907 del 04/11/1980, Rv. 409701 – 01).

Per queste stesse ragioni, i vizi di notificazione del decreto ingiuntivo non possono essere dedotti con l’opposizione a precetto ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., davanti ad un giudice diverso da quello funzionalmente competente a giudicare sull’opposizione a decreto ingiuntivo (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25713 del 04/12/2014, Rv. 633681 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8011 del 02/04/2009, Rv. 607885 – 01). Infatti, innanzi al giudice dell’esecuzione potrebbero dedursi vizi idonei a determinare la radicale inesistenza del titolo esecutivo, mentre ogni questione attinente alla sua validità o nullità deve essere decisa dal giudice funzionalmente compente.

Va quindi affermato, in continuità con il precedente orientamento, il seguente principio di diritto:

“La nullità della notificazione del decreto ingiuntivo non determina in sè l’inesistenza del titolo esecutivo e, pertanto, non può essere dedotta mediante opposizione a precetto o all’esecuzione intrapresa in forza dello stesso, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., restando invece attribuita alla competenza funzionale del giudice dell’opposizione al decreto – ai sensi dell’art. 645 c.p.c. e, ricorrendone le condizioni, dell’art. 650 c.p.c. – la cognizione di ogni questione attinente all’eventuale nullità o inefficacia del provvedimento monitorio”.

Nel caso di specie, l’opponente non ha prospettato, neppure in astratto, la sussistenza di vizi idonei a determinare l’inesistenza del titolo esecutivo e quindi i motivi in esame sono inammissibili.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lui proposta.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 14-11-2019) 15-11-2019, n. 29749

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marinella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA PER CORREZIONE ERRORE MATERIALE

sul ricorso 29544-2019 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCA RUZZETTA;

– ricorrente –

contro

M.L., F.M.;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 24160/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 27/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/11/2019 dal Presidente Relatore Dott. FRASCA RAFFAELE.

Svolgimento del processo
che:

1. Con ricorso per regolamento di competenza iscritto al n. r.g. 21066 del 2018 S.P. impugnava l’ordinanza del Tribunale di Genova con la quale quel tribunale – investito di una controversia di querela di falso ai sensi dell’art. 221 c.p.c., proposta dalla S. nei confronti di M.L., magistrato del Tribunale di Firenze, in riferimento a provvedimenti da questo emessi nell’ambito di un giudizio civile – aveva d’ufficio rilevato l’incompetenza territoriale ai sensi dell’art. 18 c.p.c. in favore del Tribunale di Firenze e rinviato la causa per consentire all’attrice di munirsi di nuovo difensore e per l’eventuale deposito di memorie.

2. Il M. non svolgeva attività processuale.

3. Il ricorso per regolamento veniva avviato a trattazione con il procedimento di cui all’art. 380-ter c.p.c. ed all’esito del deposito delle conclusioni del Pubblico Ministero, deciso con l’ordinanza n. 24160 del 2019, la quale dichiarava il regolamento di competenza inammissibile.

3.1. L’inammissibilità veniva dichiarata perchè proposto nei confronti di una ordinanza priva del carattere di provvedimento impugnabile con il regolamento di competenza, in quanto carente di definitività ai fini della risoluzione della questione di competenza.

3.2. In via gradata veniva altresì ravvisata anche un’ulteriore causa di inammissibilità per inosservanza del requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

3.3. La Corte, inoltre, nell’affermare l’inammissibilità del regolamento per le ragioni indicate, osservava ancora quanto segue: “questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al M. “con elezione di domicilio presso l’avvocato Tribunale di Firenze” a un indirizzo di posta elettronica che è quello della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze, ovvero anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INIPEC, elenco che, oltre a non essere riferibile alla posizione del M., è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019, secondo cui “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INIPEC”). Questo indipendentemente dal fatto che la notifica ad un magistrato non può essere validamente effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica della Cancelleria dell’immigrazione o del protocollo del Tribunale di appartenenza;”.

4. In relazione all’affermazione finale inerente alla notificazione del ricorso, questa Corte ravvisava l’esistenza nell’ordinanza n. 24160 del 2019 di un palese errore materiale e, per tale ragione, veniva redatta dal relatore designato proposta di correzione d’ufficio a norma del secondo inciso dell’art. 391-bis c.p.c., comma 1 e veniva fissata l’odierna adunanza della Corte, in vista della quale non sono state svolte attività difensive.

Motivi della decisione
che:

1. Il Collegio rileva che la proposta di correzione di ufficio appare fondata per le ragioni e nei termini di cui si verrà dicendo.

1.1. Mette conto in primo luogo di rilevare che la circostanza che essa riguarda sicuramente un’affermazione fatta dalla decisione senza efficacia effettivamente giustificativa dell’adottato decisum di inammissibilità non esclude, ma anzi rafforza il convincimento in ordine all’esercizio del potere officioso di correzione.

Tanto perchè, non comportando alcuna incidenza sulla decisione assunta non è possibile dubitare che, in realtà, la Corte proceda ad una correzione che, in ipotesi, possa riguardare impropriamente un errore di diritto, in quanto – al di là della oggettiva connotazione nella specie dell’errore che si rileverà come errore materiale per quanto si dirà trattandosi di errore non incidente sulla decisione, esso per definizione non potrebbe essersi concretato in un errore di diritto, una volta inteso l’errore di diritto come rilevante ex necesse sulla decisione.

1.2. In secondo luogo, una volta considerato, che detta affermazione concerne, nel tenore in cui è stata espressa, una pretesa inidoneità dell’efficacia di un registro rilevante ai fini delle notificazioni a mezzo PEC e, dunque, un apparente principio esegetico suscettibile di applicazione ove dovesse porsi un problema di validità di una notificazione, l’esercizio del potere di correzione risulta giustificato dall’esigenza di evitare che detto principio venga inteso come espressione di un effettivo convincimento esegetico della Corte nei termini in cui figura letteralmente espresso.

2. Tanto premesso, l’errore materiale indicato nella proposta si annida nella parte su indicata della motivazione dell’ordinanza, là dove essa, pur mostrando chiaramente di assumere come presupposto soltanto – per quanto attiene alla notifica presso l’indirizzo di posta elettronica certificata “del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INIPEC” e, si badi, non anche per l’indirizzo di PEC che indica come “quello della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze”, che è estratto dal REGINDE una condivisibile “inidoneità soggettiva” del registro INIPEC da giustificarsi con esclusivo riferimento alla qualità del soggetto destinatario della notifica, ha poi riferito l’inidoneità al registro INIPEC nella sua oggettività, indicandolo espressamente come “dichiarato non attendibile” da un precedente di questa Corte, sul quale, peraltro, risulta in corso di pubblicazione un’ordinanza di correzione d’ufficio.

E’ palese, viceversa, che nell’ordinanza corrigenda la Corte avrebbe voluto, in realtà, soltanto evidenziare che le due notifiche del ricorso indirizzate al magistrato M. sia come domiciliato presso un indirizzo INIPEC riferito al Tribunale di Firenze come “prot.tribunale.firenzegiustiziacert.it”, sia come domiciliato presso un indirizzo estratto dal REGINDE e riferito allo stesso Tribunale come “cancelleria.immiglrazione.tribunale.firenzegiustizia.it”, riguardavano indirizzi soggettivamente non riferibili – al contrario di quanto dichiarato nelle relate di notifica telematica – quali pretesi luoghi di elezione di domicilio al magistrato. Sicchè, al di là delle espressioni usate, la Corte avrebbe voluto alludere, con riferimento al caso di quello estratto dall’INIPEC (ma non diversamente per quello estratto dal REGINDE) ad una mera inidoneità sul piano soggettivo, cioè per non essere esistenti indirizzi di tal fatta come riferibile al magistrato, nel Registro INIPEC (e nel registro REGINDE), cioè – in sostanza – per non essere presenti in detto registro (e nel REGINDE) indirizzi di domiciliazione elettiva del magistrato in servizio presso un tribunale in plessi organizzatori come quelli dei due indirizzi utilizzati.

L’affermazione generica della inattendibilità di quello che si definì “elenco INIPEC” – quale obiter dictum che, sebbene all’apparenza appoggiato al precedente, isolato, n. 3709 del 2019, non è suscettibile di mettere il discussione il principio, enunciato dalle S.U. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “In materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. dalla L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv. con modif. dalla L. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia” – voleva essere giustificata, in realtà, dalla rilevata non riferibilità soggettiva.

In sostanza, l’ordinanza voleva dire che le due notificazioni indirizzate al magistrato come asseritamente domiciliato presso i due indirizzi di PEC relativi al Tribunale di Firenze avevano riguardato indirizzi in alcun modo riferibili, sebbene sub specie di elettiva domiciliazione, al magistrato.

3. Ritiene, dunque, la Corte di disporre la correzione dell’ordinanza n. 24160 del 2019 nel seguente modo, con alcune variazioni rispetto al tenore della proposta.

Si intenda espunta in detta ordinanza la seguente proposizione: “questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al M. “con elezione di domicilio presso l’avvocato Tribunale di Firenze” a un indirizzo di posta elettronica che è quello della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze, ovvero anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INI PEC, elenco che, oltre a non essere riferibile alla posizione del M., è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019, secondo cui “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INI4 PEC”). Questo indipendentemente dal fatto che la notifica ad un magistrato non può essere validamente effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica della Cancelleria dell’immigrazione o del protocollo del Tribunale di appartenenza;”.

Si intenda essa sostituita con la seguente proposizione:

“questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al M. “con elezione di domicilio presso l’avvocato Tribunale di Firenze” (sic) a un indirizzo di posta elettronica della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze (presente nel REGINDE) e ad un indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INIPEC, senza che essi siano riferibili alla posizione del M., tenuto conto che la notifica ad un magistrato non si comprende come possa validamente essere effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica della Cancelleria dell’immigrazione o presso l’ufficio del protocollo del Tribunale di appartenenza sul presupposto di una inesistente elezione di domicilio da parte del magistrato ai sensi dell’art. 141 c.p.c., comunque in alcun modo è configurabile ai sensi di tale norma”.

4. Si dispone che la cancelleria provveda ad annotare la presente ordinanza sull’originale dell’ordinanza n. 24160 del 2019.

P.Q.M.
La Corte, visto l’art. 391-bis c.p.c., comma 1, secondo inciso, dispone d’ufficio la correzione della propria ordinanza n. 24160 del 2019 nei termini indicati nella motivazione.

Visto l’art. 288 c.p.c., comma 2, secondo inciso, manda alla cancelleria di provvedere ad annotare la presente ordinanza sull’originale dell’ordinanza n. 24160 del 2019.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 14 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 15 novembre 2019


Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 24-09-2019) 06-11-2019, n. 28528

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24934-2018 proposto da:

DOTT D.D. COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato CARLO COLAPINTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO COLAPINTO;

– ricorrente –

contro

COINFRA SRL, CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE, CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 16354/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 21/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Svolgimento del processo
Questa Corte, con ordinanza n. 24934/2018, pronunciata in un giudizio promosso dalla Coinfra spa nei confronti della Dott. D.D. Costruzioni srl, dinanzi al Tribunale di Bari, per sentire accertare la responsabilità della convenuta in ordine alla esclusione della AT.I. futura, che avrebbe dovuto essere costituita tra l’attrice, mandataria, e la Dott. D.D. Costruzioni srl, dalla procedura di pubblico incanto per l’affidamento dei lavori di costruzione di un lotto dell’autostrada Siracusa-Gela indetto dal Consorzio per le Autostrade Siciliane, ha respinto il ricorso per cassazione proposto dalla Dott. D.D. Costruzioni srl nei confronti della Coinfra spa, avverso sentenza della Corte d’appello di Bari, con la quale era stata accolta una domanda subordinata della Coinfra di condanna della convenuta a manlevare l’attrice.

Avverso la suddetta sentenza, la Dott. D.D. Costruzioni srl propone ricorso per revocazione, in unico motivo, nei confronti di Coinfra srl, già Coinfra spa, Consorzio per le Autostrade Siciliane e (OMISSIS) srl, (che non svolgono attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, che questa Corte sarebbe incorsa in errore di fatto revocatorio per avere omesso di pronunciare sui motivi quarto e settimo del ricorso.

2. La censura è inammissibile.

Invero, questa Corte, nella ordinanza qui impugnata per revocazione, ha espressamente esaminato i motivi quarto e settimo del ricorso per cassazione della Dott. D.D. Costruzioni srl, ritenendoli infondati e quindi respingendoli. Questa Corte, nella decisione impugnata per revocazione, ha cosi statuito, per quanto qui interessa: “Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 11, 117, 111, Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè omessa pronuncia, avendo la Corte d’appello omesso ogni decisione in merito all’istanza di disapplicazione della normativa nazionale poichè in contrasto con quella comunitaria in ordine alla mancata trasmissione alla Coinfra s.p.a., per il successivo invio all’appaltante, dei certificati comprovanti il possesso dei requisiti tecnici per partecipare alla gara… Con il settimo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Dir. CEE n. 37/93, non avendo il giudice d’appello disapplicato la L. n. 109 del 1994, art. 10, comma 1 quater, in quanto contrastante con la suddetta direttiva circa i presupposti dell’esclusione dalla gara d’appalto…. Il quarto motivo è parimenti infondato, in quanto la Corte d’appello si è pronunciata chiaramente sull’insussistenza dei presupposti della invocata disapplicazione della normativa interna per un asserito contrasto con la normativa comunitaria indicata dalla ricorrente che riguardava ben diversa fattispecie relativa alla falsità delle dichiarazioni rese dal partecipante alla gara pubblica d’appalto…. Il settimo motivo va, infine, respinto in quanto ha prospettato un contrasto della normativa applicata con la direttiva comunitaria 14.6.93 n. 37 non ben esplicitato, atteso che la Corte d’appello ha ben chiarito che tale direttiva riguardava fattispecie diversa da quella esaminata (inosservanza di termine perentorio per la presentazione di documentazione)”.

Vero che, in riferimento all’omessa pronuncia da parte della Corte di cassazione su un motivo di ricorso, l’unico mezzo di impugnazione esperibile avverso la relativa sentenza è, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità, errore che presuppone tuttavia sempre l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass. 16003/2011; Cass. 26301/2018). Non costituiscono invece vizi revocatori delle sentenze della S.C., ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, nè l’errore di diritto sostanziale o processuale, nè l’errore di giudizio o di valutazione (Cass. S.U. 30994/2017; Cass.8984/2018).

Ora, in ricorso per revocazione, si sollecita piuttosto una inammissibile nuova valutazione delle ragioni fondanti i motivi quarto e settimo del ricorso per cassazione, espressamente giudicati infondati da questa Corte nell’ordinanza impugnata, lamentandosi il mancato rilievo, d’ufficio, di questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 06 novembre 2019


Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 13-03-2019) 04-11-2019, n. 28269

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 35880/2015 R.G. proposto da:

COEDIN S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Nicola Palombi e dall’avv. Ubaldo Perfetti, con domicilio eletto in Roma, in Piazza Cairoli n. 6, presso lo studio dell’avv. Guido Alpa.

– ricorrente –

contro

F.Q., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Viozzi, con domicilio eletto in Roma, alla Via Calamatta n. 16 presso lo studio dell’avv. Federico Rossi;

– ricorrente in via incidentale –

VIA VAI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Tidei e dall’avv. Gian Luca Grisanti, con domicilio eletto in Roma alla Via Prenestina Nuova n. 1534, presso lo studio dell’avv. Adele Di Flavio.

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI ANCONA n. 796/2014, depositata il 27.10.2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13.3.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso, chiedendo di accogliere il quinto motivo del ricorso principale e di dichiarare inammissibile il ricorso incidentale;

uditi gli avv. Ubaldo Perfetti, l’avv. Paolo Viozzi, e l’avv. Adele di Flavio.

Svolgimento del processo
F.Q. ha evocato in giudizio la Via Vai s.p.a. e la Coedin s.r.l. dinanzi al Tribunale di Fermo, assumendo di aver svolto attività di mediazione in favore delle convenute; che, in particolare il ricorrente era stato contattato dalla Via Vai s.p.a., interessata all’acquisto di un immobile in (OMISSIS) e in (OMISSIS) da adibire alla rivendita di auto nuove, ed aveva stabilito contatti con C.R., tecnico di fiducia della Coedin s.r.l., riscontrando la disponibilità di quest’ultima a cedere un proprio opificio ancora da realizzare; che tali incontri erano esitati nella vendita di una costruzione per un corrispettivo di L. 3.500.000.000.

Ha chiesto la condanna di ciascuna delle convenute al pagamento di una provvigione pari a L. 70.000.000, oltre accessori.

Il Tribunale ha respinto entrambe le domande, con pronuncia parzialmente riformata in appello.

La Corte distrettuale ha – difatti – ritenuto che la prescrizione annuale del diritto alla provvigione richiesta nei confronti della Via Vai s.p.a., decorresse dalla data di stipula dei preliminari di vendita (del 11.5.1999 e del 7.6.1999), non fosse stata sospesa ai sensi dell’art. 2941 c.c., n. 8 dal silenzio serbato dai contraenti circa il perfezionamento dell’affare e fosse stata interrotta tardivamente dal F. solo con la notifica della citazione introduttiva.

Quanto ai rapporti con la ricorrente, la Corte di merito ha rilevato che il F. aveva partecipato ad una serie di incontri con la Via Vai s.p.a. e il C., tecnico di fiducia della Coedin s.r.l., e ha concluso che il mediatore avesse svolto un’attività rivelatasi utile per il buon esito dell’affare, reputando irrilevante che la Coedin s.r.l. non avesse conferito alcun incarico o che non fosse a conoscenza del ruolo e della qualità del resistente.

Ha infine ritenuto incontestato che questi fosse iscritto all’albo dei mediatori.

La cassazione di questa sentenza è chiesta dal Coedin s.r.l. sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

F.Q. ha proposto ricorso incidentale in tre motivi.

La Via Vai ha depositato controricorso.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso principale censura la violazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestando alla Corte di merito di non aver considerato che il diritto alla provvigione matura solo nei confronti delle parti che abbiano consapevolezza e siano a conoscenza del ruolo svolto dal mediatore, potendo solo in tal caso valutare l’opportunità di avvalersi delle relative prestazioni; che nel caso in esame, non era sufficiente che, come accertato dalla Corte di merito, il F. avesse partecipato ad taluni incontri volti a definire l’affare o che il suo intervento si fosse rilevato utile per il perfezionamento della vendita.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, data la condizione di inscientia in cui versava la ricorrente, competeva al mediatore la prova di aver reso palese la propria qualità ed il ruolo svolto nell’ambito delle trattative, per cui, in mancanza, la domanda non poteva essere accolta.

Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che la sentenza abbia omesso di pronunciare sull’eccezione relativa alla inconsapevolezza, da parte della ricorrente, del ruolo svolto dal F..

Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sostenendo che, avendo il F. operato su incarico della Via Vai s.p.a., si era perfezionato con quest’ultima un rapporto di mandato e non di mediazione, con la conseguenza che solo la mandante era tenuta a pagare il compenso.

1.1. I quattro motivi, che sono suscettibili di esame congiunto, sono fondati.

La Coedin, convenuta in giudizio unitamente alla Via Vai s.pa., per il pagamento delle provvigioni per l’attività svolta dal resistente in occasione del perfezionamento della vendita immobiliare di cui in atti, aveva espressamente eccepito sin dal primo grado di non esser tenuta al pagamento, non essendo stata edotta (e non essendo a conoscenza) che il F. era intervenuto nell’affare nella qualità di mediatore. L’eccezione era stata riproposta in appello, come è dato atto nella sentenza impugnata (cfr. sentenza pag. 5).

La Corte anconetana, dopo aver stabilito che il F. aveva partecipato a più incontri con la Via Vai sp.a. e con il tecnico di fiducia della ricorrente, ha obiettato che “anche la semplice attività di reperimento dei clienti o la segnalazione dell’affare legittima il diritto alla provvigione, sempre che la descritta attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore”.

La sentenza è, in tal modo, incorsa nei vizi denunciati.

Secondo il disposto dell’art. 1754 c.c. mediatore è colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcune di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza, essendo in posizione di imparzialità rispetto ai contraenti.

Accanto alla mediazione tipica, è configurabile una mediazione cosiddetta atipica, che ricorre nel caso in cui il mediatore abbia ricevuto l’incarico, da uno dei contraenti, di svolgere un’attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione di uno specifico affare, a determinate e prestabilite condizioni (Cass. s.u. 19161/2017).

In entrambe le ipotesi, il rapporto assume carattere contrattuale (Cass. 18514/2009; Cass. 5777/2006; Cass. 3472/1998; Cass. 6813/1988; Cass. 2631/1982) e può perfezionarsi anche mediante comportamenti concludenti che implichino la volontà dei contraenti di avvalersi dell’opera del mediatore o mediante la semplice accettazione dell’opera da questi svolta (stante l’assenza di vincoli di forma anche se l’operazione da concludere abbia ad oggetto diritti immobiliari: Cass. 11655/20188; Cass. 1934/1982).

Occorre quindi che la parte (destinataria della domanda di pagamento del compenso) sia stata posta in grado di conoscere il ruolo svolto dall’intermediario, il quale deve operare in modo palese, rendendo nota la qualità rivestita (Cass. 4107/2019; Cass. 11521/2008).

L’onere della prova di tale presupposti è a carico della parte che pretenda di essere remunerata per l’opera prestata, trattandosi di elemento costitutivo del diritto al compenso (Cass. 6004/2007; Cass. 3154/1980).

1.2. La Corte di merito, qualificato il rapporto come mediazione tipica, non poteva – quindi – condannare la Coedin s.r.l. al versamento del compenso per il solo fatto che l’attività del F. si era rivelata utile per la conclusione dei preliminari di vendita, ma, avendo la Coedin s.r.l. specificamente contestato di essere a conoscenza del ruolo assunto dal resistente, era tenuta a verificare se vi fosse prova che questi aveva palesato la propria qualità, tenendo conto che era il F. a dover dimostrare la sussistenza delle condizioni cui era subordinato il diritto alla provvigione.

Lo stesso inquadramento del rapporto nell’ambito della mediazione tipica necessitava della previa verifica della natura dell’incarico conferito dalla Via Vai s.p.a. al fine di stabilire se si fosse in presenza di un mandato, avendo riguardo alla natura vincolante o meno di detto incarico (Cass. 482/2019; Cass. 163882/2009; Cass. 24333/2008).

2. Il quinto motivo denuncia la violazione della L. n. 39 del 1989, artt. 3 e 6, nonchè dell’art. 345 c.p.c., sostenendo che la sentenza abbia erroneamente escluso che l’eccezione di insussistenza della prova dell’iscrizione del F. nell’albo dei mediatori potesse esser proposta direttamente in appello, non considerando non solo che la questione era stata già sollevata in primo grado, ma che, inoltre, essendo l’iscrizione una condizione di validità del rapporto, la sua carenza poteva esser rilevata d’ufficio o comunque dedotta direttamente in secondo grado.

Il motivo è infondato perchè la sentenza impugnata, pur dando incidentalmente atto della tardività dell’eccezione proposta dalla ricorrente, l’ha respinta nel merito, osservando che, anche riguardo a tale profilo, è invocabile il principio di non contestazione, e che, alla luce delle difese svolte dalla Coedin s.r.l., non era necessaria alcuna verifica probatoria in ordine all’iscrizione all’albo dei mediatori da parte del F..

Non avendo la Corte di merito dichiarato inammissibile la censura ai sensi dell’art. 345 c.p.c. e non avendo negato rilievo all’iscrizione del nell’albo dei mediatori quale condizione di validità del rapporto, i vizi denunciati non possono ritenersi sussistenti.

3. Il primo motivo del ricorso incidentale deduce la violazione dell’art. 1755 c.c., comma 1, artt. 2950 e 2935 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la sentenza erroneamente fatto decorrere la prescrizione del diritto al compenso dalla conclusione dei contratti preliminari di vendita in luogo che dalla data del definitivo, trascurando inoltre che nessuna comunicazione era giunta al F. circa data di conclusione dei suddetti contratti, i quali, peraltro, non erano stati trascritti.

In ogni caso, il decorso della prescrizione doveva considerarsi sospeso, perchè le società convenute aveva occultato dolosamente il perfezionamento dell’affare.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la prova dell’intervenuta prescrizione non era stata raggiunta, dato che i preliminari erano privi di data certa e non erano stati trascritti e che la Via Vai s.p.a. non aveva dedotto e dimostrato quale fosse il momento in cui il mediatore aveva appreso della conclusione dell’affare. La missiva del 26.6.2000, valorizzata – a tali effetti – dalla Corte distrettuale, non era stata prodotta dalla Via Vai s.p.a. nè quest’ultima aveva dichiarato di volersene avvalere, sicchè il documento non poteva essere utilizzato per ritenere estinto il diritto al compenso.

Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 2943 c.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la prescrizione doveva ritenersi interrotta tempestivamente dalla notifica della citazione introduttiva, la quale, sebbene pervenuta alle società destinatarie in data 28.6.2000, era stata consegnata all’ufficiale giudiziario il 26.6.2000, impedendo comunque l’estinzione del diritto alla provvigione.

3.1. Il ricorso incidentale è inammissibile.

F.Q. ha tempestivamente notificato il controricorso alla sola Coedin s.r.l. mentre, preso atto che la notifica alla Via Vai s.p.a. (unica parte verso cui era indirizzato il ricorso incidentale), non era andata a buon fine a causa del trasferimento del difensore, con istanza dell’11.5.2015, ha chiesto di essere rimesso in termini.

Con provvedimento presidenziale del 29.5.2015, l’istanza è stata rimessa alle valutazioni del Collegio.

Dalla certificazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Ancona (la cui produzione è ammissibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1), risulta tuttavia che, già in data 11.7.2014, il trasferimento dello studio da (OMISSIS) a (OMISSIS) era stato annotato nell’albo professionale.

Solo in data 25.11.2015 il F. ha rinnovato la notifica (cfr. attestazione dell’ufficiale giudiziario in calce al controricorso depositato in data 22.1.2016).

Giova ribadire che la notificazione dell’impugnazione presso il domicilio dichiarato nel giudizio di merito, che abbia avuto esito negativo per l’avvenuto trasferimento dello studio, non ha alcun effetto giuridico.

La notifica va difatti effettuata al domicilio reale (quale risulta dall’albo professionale ovvero dagli atti processuali), poichè il dato di riferimento personale prevale su quello topografico.

La parte impugnante ha, in tal caso, la facoltà e l’onere di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e la successiva notificazione avrà effetto dalla data di attivazione del procedimento, semprechè detta ripresa sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto tenuti presenti i tempi necessari per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni necessarie per provvedere alla rinnovazione (Cass. s.u. 17352/2009; Cass. s.u. 15594/2016; Cass. s.u. 15295/2014).

In tale ipotesi, la possibilità di superare eventuali decadenze è subordinata a due condizioni: l’errore sul domicilio del destinatario non deve essere imputabile al notificante e la nuova notifica deve essere eseguita entro un termine ragionevole (non superiore alla metà di quello stabilito a pena di decadenza).

Riguardo al primo profilo, la notifica presso il procuratore costituito o domiciliatario va effettuata nel domicilio eletto nel giudizio, se questi esercita l’attività in un circondario diverso da quello di assegnazione, o, in alternativa, nel domicilio effettivo, previo riscontro, da parte dell’interessato, delle risultanze dell’albo professionale, dovendosi escludere che tale onere di verifica attuabile anche per via informatica o telematica – arrechi un significativo pregiudizio temporale o impedisca di fruire, per l’intero, dei termini di impugnazione, non essendo giustificata la notificazione ad un indirizzo diverso (Cass. s.u. 14594/2016; Cass. s.u. 17532/2009; Cass. s.u. 3818/2009).

L’errore in cui è incorso il F. non può, quindi, ritenersi scusabile – e non giustifica la chiesta rimessione in termini – dato che il trasferimento era stato annotato nell’albo degli avvocati da data ampiamente anteriore alla proposizione dell’impugnazione incidentale, la quale è stata, inoltre, notificata presso il domicilio effettivo del difensore della società resistente a distanza di mesi dal momento in cui la parte ha avuto conoscenza delle ragioni per le quali la prima notifica non aveva avuto esito.

Va inoltre rilevato che il diritto del mediatore alla provvigione nei confronti di più le parti dell’affare concluso per effetto del suo intervento dà luogo a crediti distinti che possono essere fatti valere in separati giudizi (Cass. 1152/1995; Cass. 3894/1979).

Qualora detti crediti siano dedotti in un unico giudizio, si è in presenza un caso di litisconsorzio facoltativo tra cause connesse per il titolo, da cui consegue l’applicabilità, nei gradi di impugnazione, dell’art. 332 c.p.c. (Cass. 12093/2019; Cass. 30730/2018; si veda pure, in senso parzialmente contrario, Cass. 1668/2005, che sostiene l’applicabilità dell’art. 331 c.p.c. in presenza di un vincolo di dipendenza in senso tecnico tra le domande di pagamento delle provvigioni proposte verso più parti).

Di conseguenza, la tempestività della notifica effettuata nei confronti della Coedin non poteva determinare l’ammissibilità dell’impugnazione incidentale proposta verso la Via Vai s.p.a., dato inoltre che, nello specifico, il F. aveva evocato in causa le due società, chiedendo – a ciascuna di esse – il pagamento di L. 70.000.000 sulla base di fatti costitutivi distinti (il conferimento di uno specifico incarico da parte della ricorrente principale e il concreto svolgimento dell’attività di mediazione verso la Via Vai s.p.a.) ed aveva riproposto in appello le medesime circostanze di fatto dedotte in primo grado cfr. sentenza di appello pag. 2).

Lo stesso ricorso incidentale era rivolto esclusivamente nei confronti della Via Vai s.p.a. ed attingeva profili – (la prescrizione del credito) – che non interessavano la Coedin s.p.s., con la conseguente impossibilità di configurare comunque un vincolo di dipendenza e, dunque, di applicare l’art. 331 c.p.c..

Sono quindi accolti il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, è respinto il quinto motivo di detto ricorso ed è dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di appello di Ancona, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare il ricorrente in via incidentale è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso principale, rigetta il quinto motivo di detto ricorso e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Ancona, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare il ricorrente in via incidentale è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019


Notifica atti via posta e destinatario assente: il ritiro del plico sana i vizi

Per la Cassazione, se il destinatario è assente e nessuno riceve il plico in sua vece, il ritiro del piego presso l’ufficio postale sana gli eventuali vizi o l’incompletezza del procedimento

È il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 26287/2019 (sotto riportata) in accoglimento del ricorso di una società che assumeva di non aver ricevuto la notificazione dell’atto di citazione, con conseguente nullità dell’intero giudizio di primo grado.

Leggi: Notifica atti via posta e destinatario assente il ritiro del plico sana i vizi


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 27-06-2019) 22-10-2019, n. 26938

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI M. Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 27881/14, proposto da:

Conceria Vesuvio di E.M.R. sas, in persona del legale rapp.te, rappresentata e difesa in virtù di procura a margine del ricorso, dall’avv.to Cocchi Gian Pietro, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Corso d’Italia n. 11, presso lo studio dell’avv.to Carini Giacomo;

– ricorrente –

contro

Equitalia Sud Spa;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 3030/17/14, depositata il 21/03/2014 e non notificata;

udita la relazione del consigliere D’Angiolella Rosita all’udienza del 27 giugno 2109.

Svolgimento del processo
Che:

Conceria Vesuvio di E.M.R. s.a.s. impugnava, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli l’estratto del ruolo n. 2009/007469 relativo alla cartella esattoriale n. (OMISSIS), per il pagamento della somma di Euro 2.182.402,33, cartella che la ricorrente assumeva non esserle stata notificata.

La Commissione provinciale rigettava il ricorso rilevando la ritualità della notifica della cartella effettuata presso la sede della società con il deposito al Comune ed affissione dell’avviso all’albo comunale, dopo la comunicazione di irreperibilità del destinatario.

La società proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale (di seguito per brevità CTR), deducendo che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 258 del 2012, anche nel caso di notifica di cartelle esattoriali, trova applicazione l’art. 140 c.p.c. nella sua interezza. La Commissione Regionale, respingeva l’appello della società, confermando la regolarità del procedimento notificatorio.

Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione la società contribuente affidandosi a due motivi.

Equitalia sud Spa è rimasta intimata nonostante la ritualità della notifica del ricorso.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Motivi della decisione
Che:

La ricorrente si affida a due motivi di ricorso, denunciando in entrambi, l’erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR disatteso gli esiti della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 2012 riguardanti il procedimento notificatorio della cartella di pagamento in caso di irreperibilità cd. relativa. In particolare, mentre con il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 e art. 140 c.p.c. nel secondo, denuncia la violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e art. 140 c.p.c..

I motivi come formulati consentono, dunque, il loro esame congiunto.

Va sinteticamente premesso che la ricorrente ha agito in giudizio allo scopo di ottenere, attraverso la proposta opposizione, la declaratoria di nullità della cartella emessa a suo carico invocando l’invalidità della sua notificazione (e quindi del ruolo, posto che la sua notificazione coincide con quella della cartella D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21). Senza qui soffermarsi sull’ammissibilità dell’impugnativa del ruolo e/o della cartella, nonchè sull’ammissibilità della impugnazione della cartella non notificata o invalidamente notificata, della cui esistenza il contribuente sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta, su cui si richiama il consolidato indirizzo di questa Corte inaugurato con la sentenza delle Sezioni Unite n. 19704 del 02/10/2015, Rv. 636309-01, seguito, senza contrasti, dalla giurisprudenza successiva (tra cui v. Sez. 6 L., Ordinanza n. 5443 del 25/02/2019, Rv. 652925- 01), la questione che si pone riguarda essenzialmente il se, per la notificazione della cartella alla società contribuente, siano state rispettate le forme di cui all’art. 140 c.p.c. conseguenti alla pronuncia di illegittimità costituzionale intervenuta nelle more del processo tributario.

La CTR ha risolto la questione in senso svaforevole alla ricorrente, ritenendo che la declaratoria d’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, per le notificazioni da effettuarsi ai sensi dell’art. 140 c.p.c. (cd. irreperibilità relativa) “non ha affatto cancellato la norma richiamata dall’ordinamento ma ha solo limitato la sua applicazione ai casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario”, ipotesi che ha escluso sussistesse per la società ricorrente in quanto “dalla notifica in questione risulta che la società aveva l’ufficio nel Comune ove doveva essere eseguita la notificazione(…)”.

Contrariamente a quanto ritenuto dai secondi Giudici, nella specie, non è in discussione che la società ricorrente avesse la sede nel comune ove doveva essere eseguita la notificazione, essendosi il ricorrente sempre doluto dell’invalidità della notifica della cartella per mancata osservanza delle le formalità di cui all’art. 140 c.p.c., quale norma applicabile a seguito della sentenza 22 novembre 2012, n. 258 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 4, nella parte in cui prevede – in caso di irreperibilità relativa del contribuente – che la notifica della cartella possa avvenire attraverso il semplice deposito dell’atto presso l’albo comunale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e).

Ed infatti, il Giudice delle Leggi ha ristretto la sfera di applicazione del combinato disposto delle disposizioni citate alla sola ipotesi di notificazione di cartelle di pagamento a destinatario “assolutamente” irreperibile, escludendone l’applicazione al caso di destinatario “relativamente” irreperibile, ipotesi per la quale è applicabile il disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e quindi, dell’art. 140 c.p.c. (cui anche rinvia l’alinea del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1) che testualmente così dispone: “Se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.

Proprio in relazione agli esiti conseguenti alla declaratoria di incostituzionalità di cui alla citata sentenza della Corte costituzionale, la giurisprudenza di questa Corte, che qui si condivide e si fa propria, afferma che nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicchè è necessario, ai fini del perfezionamento della notifica della cartella, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 25079 del 26/11/2014, Rv. 634229-01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9782 del 19/04/2018, Rv. 647736- 01; Sez. 5, Ordinanza n. 27825 del 31/10/2018, Rv. 651408-01).

Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Campania in diversa composizione, affinchè verifichi la ritualità del procedimento notificatorio sulla base dei principi innanzi esposti; la CTR, in sede di rinvio, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Cos’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 30-05-2019) 15-10-2019, n. 26106

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 834-2018 proposto da:

SOCIETA’ FINANZIARIA IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MIRANDOLA 23, presso lo studio dell’avvocato LUCIO MARZIALE, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI FROSINONE – UFFICIO CONTROLLI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9745/18/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 29/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La società finanziaria Immobiliare s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza resa dalla CTR Lazio indicata in epigrafe che ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale era stata ritenuta inammissibile l’impugnazione proposta dalla contribuente dell’avviso di accertamento relativo ad IRES, IVA e IRAP per l’anno 2011 in relazione alla tardività del ricorso. Secondo la CTR la notifica dell’avviso di accertamento era stata effettuata regolarmente, poiché in caso di irreperibilità relativa, ai fini della ritualità della notifica, era necessario il deposito dell’atto presso la casa comunale e l’inoltro la destinatario della raccomandata informativa del deposito stesso.

L’Agenzia delle entrate non si è costituita.

Con l’unica censura proposta, la ricorrente deduce la violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, commi 2 e 3 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 4. La CTR avrebbe errato nel ritenere che ai fini della ritualità della notifica dell’atto di accertamento effettuato in caso di c.d. irreperibilità relativa fosse necessario unicamente l’invio della seconda raccomandata informativa e non già la prova della ricezione della stessa.

La censura è fondata.

Ed invero, questa Corte ha avuto modo di ritenere, con indirizzo ormai costante, che nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte Cost. 22 novembre 2012, n. 258, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicché è necessario, ai fini del perfezionamento della notifica, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (cfr., da ultimo, Cass. ord. n. 9782 del 19/04/2018, Cass. n. 31427/2018).

A tale principio non si è affatto conformato il giudice di appello che ha per converso ritenuto sufficiente ai fini della ritualità della notifica l’invio della seconda raccomandata senza necessità della prova della ricezione, in tal modo tralasciando di verificare l’epoca alla quale poteva dirsi ritualmente effettuata la notifica dell’accertamento impugnato in esito alla ricezione della seconda raccomandata od alla compiuta giacenza dell’avviso non ritirato entro il termine di dieci giorni – cfr. Cass. n. 29109/2018 -.

Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019


Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 10-10-2019) 14-10-2019, n. 6972

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6960 del 2018, proposto da

C.D., L.M., R.F., rappresentati e difesi dagli avvocati Diego Vaiano, Alvise Vergerio Di Cesana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Diego Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio n.3;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero per la Semplificazione e La Pubblica Amministrazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, Commissione Interministeriale per L’Attuazione del Progetto Ripam, Società F.P. non costituiti in giudizio;

F. P.A. – C.S. delle P.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Franco Gaetano Scoca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giovanni Paisiello n. 55;

Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 06223/2018, resa tra le parti, concernente avviso, pubblicato in gazzetta ufficiale 4 serie speciale concorsi ed esami n. 41 del 24 maggio 2016, relativo alla pubblicazione dei nove bandi di concorso per l’assunzione, a tempo indeterminato presso il ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica f1 – atto di costituzione ex art.10 D.P.R. n. 1199 del 1971 -mcp;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di F. P.A. – C.S. delle P.A. e di Ministero per i Beni e Le Attività Culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Vergerio Alvise, Senatore per dichiarata delega di Scoca Franco e dello Stato Greco.;

Svolgimento del processo
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 6223 del 2018 con cui il Tar Lazio aveva respinto l’originario gravame, proposto dalla medesima parte – insieme ad altri concorrenti – al fine di ottenere l’annullamento dell’esclusione disposta dall’Amministrazione al concorso pubblico per l’assunzione di 500 funzionari da inquadrare in vari profili della III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1; in particolare, l’esclusione si basava sul difetto del titolo di accesso previsto dall’art. 3 dei relativi bandi settoriali e in particolare di un “diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale” o di un titolo equipollente/equivalente nella disciplina di riferimento.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i motivi di appello attraverso la riproposizione della articolata censura di primo grado e la critica delle argomentazioni di cui alla sentenza appellata:

– erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, violazione dell’art. 2 del T.U. pubblici concorsi, dell’allegato A del CCNL ARAN, nonché dell’art. 3, Decreto MIUR 22 ottobre 2004 n. 270 e del principio del favor partecipationis, oltre che eccesso di potere per manifesta arbitrarietà, disparità di trattamento, irragionevolezza, ingiustizia grave e manifesta.

La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado ed il rigetto dell’appello.

Con decreto cautelare n. 4157\2018 e successiva ordinanza n. 4867\2018 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Alla pubblica udienza del 10\10\2019, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione

Motivi della decisione
1. La controversia ha ad oggetto l’esclusione dell’odierno appellante dal concorso pubblico per l’assunzione di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1. Per quanto di interesse, nel bando di concorso per il Profilo Funzionario architetto, l’Amministrazione ha stabilito, all’articolo 3, tra i requisiti di ammissione, oltre alla laurea, il possesso di ulteriori titoli tassativamente determinati, ostativi alla partecipazione di parte appellante. In particolare, il bando prevedeva la necessità di un “diploma di specializzazione, o dottorato di ricerca, o master universitario di secondo livello di durata biennale” o di un titolo equipollente/equivalente nella disciplina di riferimento. Parte appellante risultava pertanto esclusa avendo i seguenti titoli: laurea in architettura, Master di II livello in “Exhibition Design – allestimento museale”, di durata inferiore al biennio; abilitazione alla professione di architetto.

2.1 Tanto precisato, in via preliminare deve essere esaminata la riproposta – in quanto non esaminata dal Tar – eccezione di inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. a), del cod. proc. amm.; carenza di interesse determinata secondo la prospettazione dell’Amministrazione appellata dall’omessa impugnazione dell’art. 2 del D.I. 15 aprile 2016, n. 204, che prevede il requisito di partecipazione ai concorsi oggetto di contestazione avversaria (art. 2, comma 1, lett. b), (“Requisiti di partecipazione”), poi recepito in modo pedissequo dagli artt. 3 dei bandi di concorso.

2.2 L’eccezione deve essere respinta, analogamente ai precedenti specifici della sezione, già richiamati in sede cautelare. Invero il ricorso si rivolge anche nei confronti del D.I. 15 aprile 2016, n. 204, il quale, oltretutto, è stato specificamente indicato nell’epigrafe del ricorso di primo grado.

Le considerazioni svolte a sostegno dell’eccezione non risultano condivisibili, posto che le disposizioni impugnate (ovvero i criteri di ammissione al concorso), del bando e del decreto interministeriale, sono analoghe; risulta perciò superflua una specifica articolazione dei motivi rispetto ai due atti, stante il fatto che le disposizione impugnate sono le medesime, così come le relative censure.

3. Nel merito l’appello è fondato e deve trovare accoglimento, nei termini già paventati in sede cautelare, con conseguente applicabilità dell’art. 74 cod proc amm.

3.1 In generale deve essere confermato il principio più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa che riconosce “in capo all’amministrazione indicente la procedura selettiva un potere discrezionale nell’individuazione della tipologia dei titoli richiesti per la partecipazione, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire.” (cfr., Cons. St., Sez. V, 18 ottobre 2012, n. 5351; Cons. St., Sez. VI, 3 maggio 2010, n. 2494). In altre parole, quella che l’amministrazione esercita, nel prevedere determinati requisiti di ammissione, è una tipologia di scelta che rientra tra quelle di ampia discrezionalità spettanti alle amministrazioni. Nondimeno, la giurisprudenza ha chiarito che: “in assenza di una fonte normativa che stabilisca autoritativamente il titolo di studio necessario e sufficiente per concorrere alla copertura di un determinato posto o all’affidamento di un determinato incarico, la discrezionalità nell’individuazione dei requisiti per l’ammissione va esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire o per l’incarico da affidare, ed è sempre naturalmente suscettibile di sindacato giurisdizionale sotto i profili della illogicità, arbitrarietà e contraddittorietà (Cfr. Consiglio di Stato sez. V, 28 febbraio 2012, n. 2098).

3.2 Tanto precisato, nella peculiare vicenda all’attenzione del Collegio, i criteri del bando impugnati non risultano in parte qua proporzionali rispetto all’oggetto della specifica procedura selettiva ed al posto da ricoprire tramite la stessa, risolvendosi pertanto in una immotivata ed eccessiva gravosità rispetto all’interesse pubblico perseguito.

In particolare, per quel che rileva in questa sede, non risulta giustificata la pretesa titolarità di titoli ulteriori rispetto al diploma di laura, ed in particolare di un master di II livello della durata biennale – con esclusione quindi dei master parimenti di II livello, ma aventi solo una durata annuale – in relazione allo specifico profilo di Funzionario architetto in questione.

3.3 In disparte le considerazioni circa l’equivalenza o meno dei due titoli (annuale e biennale) alla stregua del D.M. n. 270 del 2004 e la necessità di discriminare, se del caso, in base ai rispettivi crediti formativi conseguiti attraverso ciascun titolo, piuttosto che in base alla relativa durata, l’eccessività, e dunque l’illegittimità, dei criteri impugnati rispetto al fine da perseguire emerge da più fattori.

In primo luogo, in generale deve ricordarsi che il Testo Unico dei pubblici concorsi, all’articolo 2, comma 6, prevede che “Per l’accesso a profili professionali di ottava qualifica funzionale è richiesto il solo diploma di laurea”.

Secondariamente, in riferimento allo specifico concorso oggetto di causa, tramite l’accordo siglato in sede sindacale nel 2010 – propedeutico all’emanazione dei bandi di concorso, quale quello oggetto del presente giudizio – lo stesso Ministero aveva convenuto che per accedere ai concorsi dallo stesso indetti, i candidati dovevano essere in possesso del diploma di laurea magistrale (o di vecchio ordinamento) coerente con le professionalità specifiche. In particolare, per il profilo a cui ambisce l’appellante – “Funzionario per la promozione e comunicazione” – a differenza di altri profili, il Ministero, in sede di stipula del citato accordo, non ha individuato alcun requisito ulteriore oltre al diploma di laurea magistrale (o di vecchio ordinamento) coerente con le professionalità specifiche.

Per quel che rileva in questa sede, il ricordato accordo è sintomatico della eccessiva gravosità dei criteri successivamente stabiliti per l’accesso al concorso. Invero, lo stesso Ministero, proprio al fine di procedere ai successivi concorsi per l’assunzione, per il profilo di Funzionario per la promozione e comunicazione, aveva ritenuto sufficiente il solo requisito del possesso del diploma di laurea, evidentemente considerato di per sé idoneo a garantire l’adeguata preparazione e professionalità per tale profilo. Appare dunque ingiustificata la successiva previsione in sede di indizione del concorso di ulteriori requisiti, quali quelli censurati nel presente giudizio.

3.4 Inoltre, la scelta di prevedere ulteriori titoli, rispetto a quello della solo diploma di laurea, nel caso di specie, non può ritenersi giustificata dal peculiare contesto nel quale è stato indetto il bando oggetto di causa. Al riguardo, parte appellata osserva che il concorso in esame è stato indetto, anche in parziale deroga dei vigenti vincoli di assunzione previsti dell’art. 1, comma 328 e seguenti, della L. n. 208 del 2015 (c.d. legge di stabilità per il 2016), nell’ambito di una più ampia serie di misure economiche di promozione e sviluppo del patrimonio culturale, anche in considerazione della difficile situazione che lo stesso sta vivendo.

Invero, la necessità di derogare ai vincoli di assunzione dettati da misure rigoriste di natura finanziaria, al fine di far fronte all’urgente bisogno di intervenire nel settore di riferimento, non pare possa ragionevolmente giustificare l’aggravamento dei criteri di ammissione al concorso, i quali devono invece essere predisposti in vista dei requisiti culturali e di professionalità richiesti dal ruolo da ricoprire, indipendentemente dal contesto economico finanziario che caratterizza l’epoca di indizione del concorso.

3.5 Nel caso di specie l’amministrazione contesta l’applicabilità dei principi predetti sotto due profili: da un lato, in quanto l’accordo sindacale del 2010 sarebbe stato superato dalle determinazioni contenute nel successivo D.I. n. 204 emesso in data 24 marzo 2016; dall’altro lato il suddetto accordo si sarebbe limitato solo a richiedere i requisiti minimi di partecipazione dei funzionari architetti alla selezione, con la conseguenza il Ministero sarebbe stato autorizzato ad individuare ulteriori criteri per l’accesso allo stesso profilo.

Entrambe le argomentazioni si scontrano con la preminente natura e forza dei principi suddetti. Da un lato lo stesso decreto invocato risulta essere stato tempestivamente impugnato e, conseguentemente, non può che leggersi alla stregua degli stessi superiori principi. Dall’altro lato, l’illegittimità dell’ulteriore limitazione, lungi dall’essere così autorizzata, consegue direttamente dall’applicazione dei medesimi principi già affermati dalla giurisprudenza in generale e dalla sezione in particolare.

4. In definitiva l’appello proposto dalla dott.ssa P. deve trovare accoglimento e, in riforma della sentenza impugnata, deve annullarsi in parte qua il bando ed il relativo decreto presupposto, con conseguente illegittimità dell’esclusione della possibilità di partecipare al concorso da parte dell’appellante, dovendosi di conseguenza confermare il provvedimento con il quale, a seguito dell’ammissione cautelare al sostenimento delle prove, la stessa risulta in posizione utile della graduatoria.

Sussistono giusti motivi, analogamente ai precedenti della sezione, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente FF

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 15-05-2019) 10-10-2019, n. 25450

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – rel. Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1673-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO TIMI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2034/26/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il 07/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MOCCI Mauro.

Svolgimento del processo
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che aveva accolto l’appello di C.M.F. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Foggia. Quest’ultima aveva invece respinto il ricorso del contribuente, in ordine ad un avviso di accertamento per IRPEF, IRES e IVA, relativo all’anno 2009;

Motivi della decisione
che il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è articolato in due motivi;

che, attraverso il primo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

che la sentenza impugnata avrebbe accolto un motivo di invalidità, mai proposto nel ricorso originario del contribuente; che, mediante il secondo, l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 nonché artt. 158 e 160 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, giacché la CTR avrebbe erroneamente tratto gli elementi relativi al domicilio fiscale del contribuente da un dato diverso rispetto al modello unico della dichiarazione dei redditi;

che l’intimato ha resistito con controricorso;

che la prima censura è fondata;

che il termine di decadenza stabilito, a carico dell’ufficio tributario ed in favore del contribuente, per l’esercizio del potere impositivo, ha natura sostanziale e non appartiene a materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale decadenza non concerne diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del fisco, sicchè è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o no della relativa eccezione, che ha natura di eccezione in senso proprio e non è, quindi, rilevabile d’ufficio (Sez. 5, n. 27562 del 30/10/2018; Sez. 6-5, n. 31224 del 29/12/2017);

che, in particolare, la CTR non avrebbe potuto escludere la sanatoria invocata dall’Ufficio sulla scorta “del decorso del termine di decadenza del potere di accertamento della A.F.”, giacchè tale eccezione non era stata sollevata in primo grado; che anche il secondo rilievo è fondato;

che, in tema di accertamento delle imposte dei redditi, in caso di originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta a controllare l’esattezza del domicilio eletto (Sez. 5, n. 25680 del 14/12/2016; Sez. 6-5, n. 15258 del 21/07/2015);

che, pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR Puglia, in diversa composizione, affinché si attenga agli enunciati principi e si pronunzi anche con riguardo alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019


Riunione Giunta Esecutiva del 16.11.2019

Logo Giunta EsecutivaAi sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 16 novembre 2019 alle ore 8:30 presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione iscrizioni 2019;
  2. Approvazione iscrizioni 2020;
  3. Attività formativa 2019/2020;
  4. Attività Istituzionale;
  5. Valutazioni relative alla sentenza Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 23-05-2019) 05-09-2019, n. 22167;
  6. Varie ed eventuali.

Leggi: Documentazione

Leggi: GE 16 11 2019 Verbale


Riunione Consiglio Generale del 16.11.2019

Logo Consiglio Generale1Ai sensi dell’art. 15 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà sabato 16 novembre 2019 alle ore 8:30 presso il Comune di Cesena (FC) – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2019;
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
  3. Attività formativa 2019/2020;
  4. Attività Istituzionale;
  5. Valutazioni relative alla sentenza Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 23-05-2019) 05-09-2019, n. 22167;
  6. Varie ed eventuali.

Leggi: Documentazione

Leggi: Verbale CG del 16 11 2019