REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente
Dott. VIDIRI Guido – rel. Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12862-2006 proposto da:
L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato DIERNA ANTONINO, rappresentato e difeso dall’avvocato MUGNAI FRANCO, giusta mandato in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI;
– intimato –
e sul ricorso 15266-2006 proposto da:
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato DIERNA ANTONINO, rappresentato e difeso dall’avvocato MUGNAI FRANCO, giusta mandato in calce al ricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 686/2 005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/05/2005 R.G.N. 1377/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/2009 dal Consigliere Dott. GUIDO VIDIRI;
udito l’Avvocato BUCCI FEDERICO per delega MUGNAI FRANCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 11 febbraio 2002 il dott. ing. L. L., dipendente del Ministero delle infrastrutture e trasporti con la qualifica di (OMISSIS) qualifica professionale, adiva il Tribunale di Grosseto al fine di ottenere – previo accertamento dell’asserito svolgimento di mansioni superiori “per essere stato adibito alla Direzione dell’Ufficio Provinciale della M.C.T.C. di Grosseto” – la condanna del Ministero al pagamento del trattamento economico corrispondente a quello di (OMISSIS), a far data dal 1 dicembre 1998, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Dopo la costituzione dell’amministrazione convenuta, il Tribunale di Grosseto accoglieva la domanda del L. ed, a seguito del gravame del Ministero, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava l’amministrazione al pagamento delle differenze retributive maturate nel periodo corrente dal 1 dicembre 1998 sino al 2 agosto 2000, oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo effettivo. Osservava al riguardo la Corte territoriale – per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità – che nel periodo per il quale andavano riconosciute le differenze retributive il L. aveva esercitato funzioni dirigenziali in via permanente e duratura ed aveva diretto un ufficio, al quale, sulla base della documentazione dello stesso Ministero, doveva essere preposto un dipendente con qualifica dirigenziale. Per il periodo successivo all’agosto 2000 – con un decreto avente, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non un mero valore di atto interno ma forza vincolante anche nei riguardi del L. perchè regolarmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – il Ministero aveva individuato in relazione ai suoi 112 uffici periferici (sulla base dell’ampiezza dell’area territoriale di competenza e del carico di lavoro effettivamente gravante su ciascuna unità) solo 61 posizioni dirigenziali, e tra queste non era compresa la posizione dell’Ufficio provinciale di Grosseto. Da qui il diritto del L. al riconoscimento delle differenze retributive solo sino al 2 agosto 2000, data di pubblicazione del suddetto decreto di classificazione dei suddetti uffici.
Avverso tale sentenza hanno spiegato ricorso sia il L., affidandosi a tre motivi, che il Ministero delle Infrastrutture, con due motivi, la cui fondatezza è stata dal L. contestata con controricorso.
Motivi della decisione
1. Ai sensi dell’art. 335 c.p.c. i ricorsi del L. e del Ministero vanno riuniti perchè proposti ambedue contro la stessa decisione.
2. Con il primo e secondo motivo del suo ricorso il L. deduce violazione di legge e nella specie degli artt. 2697 c.c., artt. 101, 426, 421 e 437 c.p.c., anche in relazione alla L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17 laddove prevede espressamente al numero 4 che i regolamenti sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale, ed ancora denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla applicazione della suddetta normativa sostanziale e processuale alla fattispecie in oggetto. In particolare lamenta che, contrariamente a quanto ha ritenuto la impugnata sentenza, il diritto alle differenze retributive non è venuto meno in concomitanza con l’asserita emanazione del D.M. 2 agosto 2000 n. 148, atteso che era preciso onere dell’Amministrazione, che aveva eccepito l’inesistenza del diritto azionato, dimostrare che l’atto regolamentare fosse efficace in quanto rispettoso del procedimento di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17. La Corte fiorentina, pertanto, a fronte di un fatto non contestato dal Ministero (che nulla aveva eccepito con riferimento alla inefficacia del regolamento in esame) aveva in violazione dell’art. 2697 c.c., dato invece conto della pubblicazione del regolamento di cui al D.M. n. 148 de 2000, sopperendo in tal modo all’inerzia dell’amministrazione sul punto ed esercitando così poteri officiosi in difetto però dei requisiti richiesti.
2.1. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia un error in procedendo assumendo che il giudice di merito, in pregiudizio del diritto di difesa di esso ricorrente e del principio del contraddittorio, aveva fatto un uso non corretto dei suoi poteri ufficiosi anche in relazione alla L. 23 agosto 1988, art. 17, n. 400, incorrendo in un vizio di ultrapetizione deducibile a norma dell’art. 112 c.p.c.. Rileva in particolare che l’uso non corretto dei poteri officiosi denunziati nel primo motivo di ricorso aveva finito per concretizzare un error in procedendo capace di rendere nullo il procedimento d’appello e la sentenza impugnata.
3. Con il primo motivo del suo ricorso il Ministero deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25; disposizione poi successivamente modificata dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 e ora contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52. In particolare più precisamente che appartenendo il L. alla ex qualifica (OMISSIS), cui risultavano con decreto conferite ad interini le funzioni direttive dell’Ufficio Provinciale M.C.T.C. di Grosseto, non potevano trovare applicazione i principi normativi di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 disciplinante la diversa ipotesi di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza.
3.1. Con il secondo motivo il Ministero addebita alla impugnata sentenza violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 266 del 1987, art. 20, comma 1, e della L. n. 870 del 1986, art. 13, comma 2, in relazione a quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1. Assume a tale riguardo il Ministero che si era in presenza – con riferimento all’ufficio della motorizzazione della Provincia di Grosseto – di una reggenza, e cioè si era in presenza di una semplice misura organizzativa tesa ad assicurare una continuità dell’azione di pubblici poteri mediante l’utilizzazione di un funzionario adibito a compiti diversi. Proprio in virtù della radicale differenza tra la reggenza da parte del funzionario pubblico e l’incarico di direzione, affidato al titolare proprio nella qualità di dirigente, non potevano al L., chiamato a reggere il suddetto ufficio, riconoscersi gli emolumenti spettanti al dirigente.
4. I motivi dei due ricorsi, per comportare la soluzione di questioni tra loro strettamente connesse, vanno esaminati unitariamente.
5. Va in primo luogo ritenuta infondata l’eccezione, sollevata dal L., di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3 del ricorso del Ministero per ricavarsi dal suo contenuto, contrariamente a quanto sostenuto da controparte, i fatti rilevanti ai fini della decisione e le censure in fatto e diritto mosse alla impugnata sentenza.
6. Va esaminata anche l’altra eccezione del L. secondo cui essendo la sua impugnazione notificata per prima tutte le eventuali successive impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza dovevano essere avanzate nello stesso procedimento e nella forma del ricorso incidentale.
6.1. L’eccezione è infondata. Ed invero questa Corte di cassazione ha più volte ribadito che atteso il principio di unità dell’impugnazione, sancito dall’art. 333 cod. proc. civ. – il quale implica che l’impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell’unico processo nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte le eventuali impugnazioni successive proposte avverso la stessa sentenza, le quali, in conseguenza, possono assumere soltanto carattere incidentale – nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 c.p.c.. Tuttavia, l’inosservanza della forma del ricorso incidentale, in ragione della mancanza di una espressa affermazione da parte della legge circa l’essenzialità dell’osservanza di tale requisito formale, va apprezzata secondo i principi generali relativi alla nullità per inosservanza dei requisiti formali, con la conseguenza che – una volta che l’impugnazione principale e quella successiva autonomamente proposta, anzichè esercitata in via incidentale, siano state riunite ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ. – essa non impedisce la conversione di detto ricorso in ricorso incidentale, qualora esso risulti proposto nel rispetto dei termini temporali entro i quali avrebbe dovuto proporsi, cioè entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso principale. Ed invero si determina in tale ipotesi il verificarsi di una fattispecie di idoneità de secondo ricorso a raggiungere quello stesso scopo che avrebbe raggiunto la rituale proposizione dell’impugnazione nella forma incidentale (cfr. in tali sensi: Cass. 6 agosto 2004 n. 15199, cui adde ex plurimis: Cass., Sez. Un., 25 giugno 2002 n. 9232, ed ancora in epoca successiva, Cass. 22 ottobre 2004 n. 20593).
6.2. In applicazione di tali principi alla fattispecie in esame, in cui i due processi vanno riuniti, il ricorso del Ministero deve ritenersi ammissibile perchè lo stesso da considerarsi incidentale per essere stato proposto successivamente a quello del L., è stato notificato alla controparte entro il termine di cui all’art. 370 c.p.c., per avere il suddetto L. notificato il proprio ricorso in modo rituale il 24 aprile 2006 (in Roma presso l’Avvocatura generale dello Stato) al Ministero, che ha a sua volta notificato la propria impugnazione alla controparte il 6 maggio 2006. 7. Passando all’esame del merito della controversia, va premesso che la sentenza impugnata ha affermato – con una motivazione congrua e corretta sul piano logico-giuridico e pertanto non assoggettabile su tale punto ad alcuna censura in questa sede di legittimità – che nella ipotesi in esame, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso del Ministero, non poteva affermarsi che l’incarico di direttore generale appartenesse al profilo professionale proprio della (OMISSIS) qualifica funzionale rivestita dal L., perchè svolto in regime di semplice reggenza in attesa della destinazione nell’ufficio stesso di un dirigente titolare.
Era rimasto infatti accertato che le mansioni superiori erano state invece assegnate al L. – in ragione delle numerose incombenze cui doveva assolvere l’ufficio della M.C.T.C. di Grossetto – a partire dal 1993 e si erano protratte per circa 12 anni sicchè non poteva parlarsi di funzioni vicarie. L’esercizio delle funzioni vicarie per rientrare nei compiti propri dei dipendenti con la nona qualifica, non potevano in alcun caso dare diritto ad alcuna differenza retributiva, mentre nel caso di specie non si trattava di sopperire ad una esigenza sopravvenuta e limitata nel tempo, ma si era reso necessario coprire per molti anni un posto rimasto vacante sicchè non poteva parlarsi di espletamento di mere funzioni vicarie.
7.1. Corollario di tale accertamento è il principio di diritto affermato più volte dai giudici di legittimità secondo cui in materia di pubblico impiego contrattualizzato – come si evince anche dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, nel testo, sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 ora riprodotto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 32 – l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.; norma quest’ultima che deve trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di alcun genere – pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (cfr. in tali esatti termini: Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007 n. 25837 cui adde, più di recente, Cass. 17 settembre 2008 n. 23741).
7.2. Nel pervenire a tale conclusione i suddetti giudici hanno rimarcato : che la Corte costituzionale con numerose pronunzie ha patrocinato la diretta applicabilità al rapporto di pubblico impiego dei principi dettati dall’art. 36 Cost., specificando al riguardo che detta norma “determina l’obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della quantità del lavoro effettivamente prestato”, a prescindere dalla eventuale irregolarità dell’atto o dall’assegnazione o meno dell’impiegato a mansioni superiori (Corte Cost. 23 febbraio 1989 n. 57; Corte Cost ord. 26 luglio 1988 n. 908), precisando anche che “il principio dell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso non è incompatibile con il diritto dell’impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente, giusta il principio di equa retribuzione sancito dall’art. 36 Cost.” (Corte Cost. 27 maggio 1992 n. 236).Ed ancora il giudice delle leggi ha rilevato che il mantenere da parte della pubblica amministrazione l’impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determina una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto – ai sensi dell’art. 2126 c.c. e, tramite detta disposizione, dell’art. 36 Cost. – perchè non può ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalità quella illiceità che si riscontra, invece, nel contrasto “con norme fondamentali e generali e con i principi basilari pubblicistici dell’ordinamento” e che, alla stregua della citata norma codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore (Corte Cost. 19 giugno 1990 n. 296 attinente ad una fattispecie riguardante il trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29, comma 2) (cfr. per richiami ai pronunziati della Corte Costituzionale: Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007 n. 25837 cit.).
7.3 A tale riguardo va rimarcato anche come l’estensione della norma costituzionale nei sensi ora precisati all’impiego pubblico sia stato condiviso dalla dottrina giuslavoristica che ha evidenziato come – pur essendo a seguito del D.Lgs. n. 165 del 2001 il trattamento economico dell’impiegato disciplinato dalla contrattazione collettiva e pur essendo detta contrattazione non priva di vincoli unilateralmente apposti per fini di controllo della spesa pubblica (quali quelli derivanti dai primi tre commi dell’art. 48 del suddetto Decreto) – i suddetti vincoli derivanti da esigenze di bilancio non possano impedire comunque la piena operatività, anche nel settore del lavoro pubblico, dei principi costituzionali di proporzionalità ed efficienza della retribuzione espressi dall’art. 36 Cost., per poggiare tale principio sulla peculiare corrispettività del rapporto lavorativo, qualificato dalla specifica rilevanza sociale che assume in esso la retribuzione volta a compensare “una attività contrassegnata dall’implicazione della stessa persona del lavoratore”, il quale ricava da tale attività il mezzo normalmente esclusivo di sostentamento suo e della sua famiglia. Assunto questo che ha anche condotto un indirizzo dottrinario, da un lato, a sganciare il rapporto giuridico retributivo dal novero dei diritti di credito per inquadrarlo tra i diritti assoluti della persona, e dall’altro ha spinto ad affermare – sulla base di una coessenzialità o di una stretta relazione dei due principi della “sufficienza” e della “proporzionalità” ostativa a qualsiasi rapporto gerarchico tra gli stessi – che l’attenuazione del principio sinallagmatico, integrato nel caso in esame dalla rilevanza della persona umana (che determina una traslazione sul datore di lavoro del rischio della inattività del prestatore di lavoro, come in caso di sospensione del rapporto), mostra con palmare evidenza una dimensione sociale della retribuzione ed attesta contestualmente la necessità della copertura a livello costituzionale dei diritti inderogabili del lavoratore.
7.4. In questo contesto ordinamentale si è anche precisato che le uniche ipotesi in cui potrebbe essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte ai casi in cui l’espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente.
8. Orbene, le considerazioni svolte forniscono le coordinate per la soluzione della problematica oggetto della presente controversia perchè risultano assorbire tutte le questioni sollevate dalle parti sulla produzione nel presente giudizio e sulla sua rilevanza del D.M. 2 agosto 2000, n. 148, che – è bene però sottolinearlo – secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità doveva, stante la sua natura di atto amministrativo, essere ritualmente e tempestivamente prodotto dal Ministero, che su di esso fondava il suo assunto (cfr. al riguardo: Cass., Sez Un, 29 aprile 2004 n. 9941).
8.1. Ed invero, la regola, secondo cui anche nel pubblico impiego privatizzato l’esercizio di mansioni superiori da diritto ai sensi dell’art. 36 Cost. alle differenze retributive a favore del lavoratore,induce a riformare la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato al L. per il periodo successivo al 2 agosto 2000 le differenze retributive rivendicate, riconoscendole invece per il solo periodo corrente dal 1 dicembre 1998 al 2 agosto 2000. 8.2. Il lavoratore pubblico cui vanno riconosciute le differenze retributive ai sensi dell’art. 36 Cost. per avere svolto mansioni superiori a quelle della propria qualifica ha diritto a non vedersi diminuita a seguito di un provvedimento della pubblica amministrazione la retribuzione percepita dovendosi alla suddetta fattispecie estendersi l’applicazione della prescrizione di cui l’art. 2103 c.c. – secondo cui il prestatore di lavoro deve essere adibito “a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione” – la cui ratio non può non trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui la diminuzione della retribuzione si verifichi nel corso di svolgimento delle stesse superiori mansioni.
8.3. La fondatezza della soluzione seguita riceve un riscontro, anche se indiretto, da alcune significative regole normative. A tale riguardo va fatto riferimento: al divieto di reformatio in peius – ritenuto un principio generale dell’ordinamento anche se non a copertura costituzionale -introdotto dal disposto del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 227, (t.u.), volto a riconoscere al lavoratore (in caso di modifica di qualifica o di nuovo inquadramento o di passaggio da una amministrazione all’altra o, infine, di mobilità) il diritto alla corresponsione del trattamento economico in godimento; ed ancora all’art. 202, cit. t.u. impiegati civili dello stato (D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) che, sempre in osservanza del suddetto divieto, contempla la conservazione del trattamento economico in godimento attraverso l’attribuzione di un assegno ad personam, utile a comporre la base pensionabile e pari alla differenza fra lo stipendio in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione.
9. Per concludere l’excursus argomentativo sulla problematica in esame, oggetto delle censure spiegate dalle parti in causa sulla base di contrapposte considerazioni, va enunciato – in osservanza a quanto voluto dall’art. 384 c.p.c., comma 1 in presenza di questioni di diritto di particolare importanza – la regola di diritto nei seguenti termini: “Il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost., è applicabile anche al dipendente pubblico nelle fattispecie in cui la pretesa del suddetto dipendente ad una retribuzione adeguata si basi sullo svolgimento di mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore a quella posseduta, sempre che tali mansioni siano in concreto svolte nella loro pienezza, sia per quanto attiene al profilo quantitativo che qualitativo dell’attività spiegata sia per quanto attiene all’esercizio dei poteri ed alle correlative responsabilità attribuite. Da ciò consegue che il lavoratore pubblico, cui sono state riconosciute ai sensi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, tali differenze ha diritto a non vedersi diminuita – a seguito di un provvedimento della pubblica amministrazione – per tutto il periodo in cui esercita le stesse superiori mansioni la retribuzione percepita dovendosi estendere alla suddetta fattispecie pure la prescrizione di cui al disposto dell’art. 2103 c.c. – secondo cui il prestatore di lavoro deve essere adibito “a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione” – la cui ratio non può non trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui il lavoratore sia adibito “alle stesse mansioni”. 10. Alla stregua dell’enunciato principio il ricorso principale del L. va, dunque, accolto e le stesse ragioni poste a fondamento di tale accoglimento portano al rigetto del ricorso incidentale, con la consequenziale cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto.
11. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia va decisa nel merito con l’accoglimento della domanda del L. nei termini di cui alla sentenza di primo grado, che va confermata anche in ordine alla statuizione sulle spese.
12. Con riferimento alle spese del gravame e del presente giudizio di cassazione, tenuto conto della natura della controversia, della complessità delle questioni trattate e dell’esito della lite nei diversi gradi del processo, le spese dell’appello vanno compensate tra le parti ricorrendo giusti motivi, mentre il Ministero delle infrastrutture e trasporti va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate unitamente agli onorari difensivi come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale del L. e rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, accoglie la domanda del ricorrente principale nei termini di cui alla sentenza di primo grado, che conferma anche in ordine alla statuizione sulle spese. Compensa tra le parti le spese dell’appello e condanna il Ministero al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 75,00 oltre Euro 3.000,00(tremila/00) per onorari difensivi, ed oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2009