Estinzione della Società e responsabilità dei soci

La cancellazione dal registro delle imprese, pur determinando l’estinzione dell’ente, non comporta la scomparsa dei debiti che la società aveva nei confronti dei terzi (Cass. sentenze n. 6070/13 e 6071/13). Di tali debiti rispondono i soci nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione o totalmente, se illimitatamente responsabili. Dunque, a norma dell’art. 2495 c.c. i creditori possono agire nei confronti dei soci dell’estinta società di capitali sino alla concorrenza di quanto gli stessi hanno riscosso in base al bilancio finale di liquidazione, così come nei riguardi del liquidatore se il mancato pagamento è dipeso da sua colpa. Nel caso di specie, la CTR lombarda dichiara la legittimità degli avvisi di accertamento emessi a fronte dell’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi, data l’esistenza di plusvalenze frazionate ai sensi dell’art. 86 del D.P.R. 917/86. Ne consegue che, alla luce di una presunta distribuzione delle plusvalenze tra i soci, salvo prova contraria, l’estinzione della società ha comportato una loro responsabilità solidale nei confronti del debito contestato dall’Erario.

SENTENZA DEL 20/05/2020 N. 789/2 – COMM. TRIB. REG. PER LA LOMBARDIA

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con separati atti di impugnazione tempestivamente proposti l’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso le sentenze n. 2959/04/2018 e 2958/04/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano di accoglimento dei ricorsi del contribuente, B. R., quale liquidatore della società estinta L. srl, volto ad ottenere l’annullamento degli avvisi di accertamento T9XXXXX/2016 e T9YYYYY/2016 con i quali erano stati accertati, per i periodi d’imposta 2010 e 2011, i redditi di impresa ed i valori della produzione, rispettivamente ai fini IRES ed IRAP, per entrambe le annualità, di € 46.714,00.

I procedimenti relativi sono stati preliminarmente riuniti per ragione di connessione oggettiva e soggettiva

Lamentava l’appellante che le sentenze impugnate avevano posto a fondamento delle pronunce soltanto l’inapplicabilità ai casi concreti delle disposizioni in materia di società estinte dettate dall’art. 28 c. 4 d. lgs. n. 175/14: ” …l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese”.

Non era stato preso in considerazione, invece, un altro profilo evidenziato dall’appellante nel giudizio di primo grado, e cioè il fatto che gli avvisi di accertamento erano stati notificati anche ai due soci della L. srl, B. R. (odierno appellato) e B. S., e che la cancellazione dal registro delle imprese, pur determinando l’estinzione dell’ente, non poteva (secondo Cass. Sez U. n. 6070/13 e 6071/13) provocare la scomparsa dei debiti che la società aveva nei confronti dei terzi. Tali debiti sono riferibili ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente se sono illimitatamente responsabili.

Il primo giudice aveva omesso, quindi, l’esame di un profilo giuridico decisivo, di per sé idoneo a rendere le sentenze impugnate meritevole di riforma

Infine, si eccepiva che a seguito della cancellazione la società si estingue e la legittimazione processuale si trasferisce ai soli soci, non al liquidatore, con la conseguenza che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado era da ritenersi inammissibile perché proposto da soggetto non legittimato (il liquidatore).

Si costituiva in giudizio il contribuente chiedendo, in via preliminare, declaratoria di inammissibilità, perché nel giudizio di appello erano stati proposti motivi nuovi non proposti

nel corso del giudizio di primo grado, ed in via principale la conferma delle sentenze appellate.

All’esito dell’odierna pubblica udienza ritiene la Commissione che l’appello dell’Ufficio debba essere accolto.

Va innanzitutto osservato che le questioni preliminari proposte dalle parti sono infondate.

E’ infondata quella dell’appellante, atteso che nel caso in esame la figura del socio (B. R., socio al 90%) e quella del liquidatore coincidono. Inoltre sia il socio sia il liquidatore possono essere chiamati a rispondere del loro operato ex art. 2495 c.c. e quindi hanno interesse e sono legittimati a proporre ricorso.

Anche la questione preliminare proposta dalla parte appellata deve essere disattesa.

Invero già nelle controdeduzioni depositate il 21.9.17 davanti alla Commissione Provinciale l’Ufficio rilevava che l’avviso di accertamento era stato notificato ad entrambi i soci e che la estinzione della società non poteva provocare la scomparsa dei debiti rimasti insoddisfatti.

Nessuna violazione degli artt. 57 del d. lgs. 546/92 e 345 c.p.c. è pertanto ravvisabile, nessuna domanda o eccezione nuova è stata proposta nel presente giudizio di appello.

Nel merito deve essere osservato come a norma dell’art. 2495 c.c. i creditori possono agire nei confronti dei soci della estinta società di capitali sino alla concorrenza di quanto questi ultimi abbiano riscosso in base al bilancio finale di liquidazione, e possono agire anche nei confronti del liquidatore se il mancato pagamento è dipeso da colpa di costui.

L’avviso di accertamento è stato esattamente notificato nel confronti del contribuente al proprio domicilio fiscale al fine di far valere la legittima pretesa dell’Amministrazione Finanziaria, che aveva contestato, per entrambe le annualità, l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, nonostante la presenza di una plusvalenza € 233.568,00 realizzate nel 2007 e frazionata nella misura di 1/5 ai sensi dell’art. 86 dpr 917/86 e pari per gli anni 2010 e 2011 ad € 46.714,00.

Nessuna difesa è stata apprestata dal contribuente sia in ordine alla omessa presentazione della dichiarazione sia in ordine alla realizzazione della plusvalenza.

L’estinzione della società ha comportato una comunione fra i soci di tale plusvalenza, e la presunzione di distribuzione, salvo prova contraria, che opera nelle società di capitali a ristretta base azionaria, ha determinato la responsabilità dei predetti soci in ordine al debito sorto nei confronti dell’erario e la legittimità degli avvisi di accertamento emessi per le annualità 2010 e 2011.

L’appello dell’Ufficio deve essere pertanto accolto ed affermata la legittimità degli avvisi di accertamento emessi.

Le spese, in considerazione della particolarità delle questioni trattate, possono essere compensate.

P.Q.M.

La Commissione

in riforma

delle impugnate sentenze accoglie l’appello dell’Ufficio.  Spese compensate.


Art. 1334. Efficacia degli atti unilaterali

Gli atti unilaterali [c.c. 1324, 1414] producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza [c.c. 1335] della persona alla quale sono destinati [c.c. 1324, 1335, 1724].


Scissione della notifica solo per atti processuali

Incorre nella maturazione del termine di decadenza l’avviso di accertamento pervenuto al destinatario oltre i termini di decadenza; la scissione degli effetti della notifica per il mittente e per il destinatario si applica solo per gli atti processuali e non per quelli sostanziali.

Lo ha stabilito la sezione 24 della Commissione tributaria regionale della Lombardia nella sentenza n.61/2020 (Presidente Liguoro, Relatore Sacchi) depositata in segreteria il 16 gennaio 2020.

Il caso tratta di una richiesta di pagamento di una tassa automobilistica per l’anno d’imposta 2013.

Nel ricorso introduttivo la ricorrente eccepiva la decadenza della pretesa, in quanto la notifica doveva essere perfezionata entro il 31 dicembre 2016; mentre l’atto, sia pure consegnato entro il 31 dicembre 2016 era stato recapitato alla parte il 2 febbraio 2017.

La Ctp di Milano, ritenendo decaduto il termine legittimo, accoglieva il ricorso con una decisione che veniva confermata in appello. La Commissione regionale ha ritenuto che gli atti sostanziali producano i loro effetti soltanto nel momento in cui pervengono all’indirizzo del destinatario, non rilevando la data di consegna all’ufficiale giudiziario o all’ufficio postale e non essendo ammessa alcuna applicazione in via interpretativa stante l’impedimento ex articolo 1334 del codice civile.

La decisione dei giudici regionali, fonda le sue motivazioni sulla sentenza della Corte di cassazione n. 24822/2015 Sezioni Unite.

Il collegio regionale rileva come, in questa stessa sentenza si sia stabilito che la scissione degli effetti della notifica per il mittente e per il destinatario si applichino soltanto per la notifica degli atti processuali e non per quella degli atti sostanziali (amministrativi). In effetti la citata sentenza della cassazione, trattando sui termini di notifica da considerare nei limiti di estensione del principio della diversa decorrenza per il mittente e per il destinatario, recita testualmente che «gli opposti esiti del bilanciamento derivano dalla opposta natura degli atti che vengono in rilievo: atti sostanziali e atti processuali.

Per gli atti negoziali unilaterali un diritto non può dirsi esercitato se l’atto non perviene a conoscenza del destinatario. Per gli atti processuali il diritto (processuale) è esercitato con la consegna dell’atto all’ufficio notificante. La ratio posta a base di queste opposte soluzioni (atti negoziali unilaterali e atti processuali) implica una fondamentale actio finium regundorum: la soluzione a favore del notificante vale nel solo caso in cui l’esercizio del diritto può essere fatto valere solo mediante atti processuali. In ogni altro caso, e indipendentemente dalle scelte del soggetto che intende interrompere la prescrizione (l’ordinamento non può consentire che il pregiudizio per la parte destinataria, incolpevole, derivi dalle scelte arbitrarie e ad libitum della controparte), opera la soluzione opposta».


La sospensione non si applica ai tributi locali

La sospensione dell’attività di accertamento, che ha l’effetto di impedire la notifica degli atti impositivi fino alla fine dell’anno in corso, non si applica ai tributi locali, ma solo ai tributi erariali.

Enti locali e concessionari, infatti, possono notificare gli avvisi di accertamento esecutivi. Dall’8 marzo al 31 maggio sono stati bloccati solo i termini di prescrizione e decadenza delle attività di accertamento e riscossione. I termini vengono spostati più avanti per tutto il periodo di sospensione. La sospensione fino al prossimo 31 agosto si applica solo ai versamenti, alle azioni esecutive e cautelari. Lo ha chiarito l’Ifel (l’Istituto di finanza locale dell’Anci), con una nota del 22 giugno 2020.

L’Ifel prende posizione su una questione piuttosto dibattuta e che ha generato incertezze interpretative. In particolare, sull’applicabilità dell’articolo 157 del dl «Rilancio» (34/2020), che ha posto un freno per l’anno in corso alla notifica degli atti impositivi. Per l’Istituto, che condivide la tesi espressa dal dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia, con la risoluzione 6 del 15 giugno 2020, «dal 1° giugno i comuni possono riprendere la notifica degli atti di accertamento, con riferimento a tutte le annualità accertabili». «Invero, dalla semplice lettura del testo si desume che l’art. 157 non è applicabile ai tributi comunali, sia perché gli enti impositori locali non sono mai citati espressamente, sia perché per l’attuazione della disposizione, i commi 5 e 6 dettano indicazioni solo con riferimento all’Agenzia delle entrate. Inoltre, tutte le tipologie di atti indicati nei commi 2 e 3 sono esclusivamente riferibili alle attività proprie delle Agenzie fiscali».

Per il Ministero, l’articolo 67 del dl «Cura Italia» (18/2020) ha previsto la sospensione dall’8 marzo al 31 maggio 2020 dei termini relativi alle attività di liquidazione, controllo, accertamento, riscossione e contenzioso degli enti impositori, compresi gli enti locali. Tuttavia, la norma non ha sospeso l’attività degli enti impositori, poiché prevede esclusivamente la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza per il periodo sopra indicato. L’effetto della disposizione in commento, pertanto, «è quello di spostare in avanti il decorso dei suddetti termini per la stessa durata della sospensione», che è stata di 85 giorni. Aggiunge l’Ifel, con la nota de qua, che «la disposizione funge da salvaguardia di tutti gli enti impositori, impedendo ope legis il verificarsi di decadenze che, per ragioni derivanti dalla emergenza epidemiologica, in molti casi non avrebbero potuto essere rispettate». Quindi, «i termini non scadono più al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata commessa la violazione, ma 85 giorni dopo». È evidente che per le annualità d’imposta da accertare (2015-2019) gli atti potranno essere notificati aggiungendo gli 85 giorni del periodo di sospensione al termine ordinario. Per esempio, entro il 26 marzo 2021, 2022 o 2023, rispettivamente, per gli anni d’imposta 2015, 2016 e 2017.

L’articolo 68 dello stesso decreto «Cura Italia», invece, ha disposto la sospensione dei termini dei pagamenti, scadenti nel periodo che va dall’8 marzo al 31 agosto 2020, dovuti in seguito alla notifica di cartelle, ingiunzioni e accertamenti. A questi ultimi atti, però, la sospensione si applica solo dopo che gli stessi siano divenuti esecutivi. Secondo l’Ifel, gli enti locali e i soggetti affidatari non possono attivare, medio tempore, procedure di recupero coattivo né adottare misure cautelari. Per il contribuente è prevista la sospensione dei versamenti fino al prossimo 31 agosto.


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 05-12-2019) 17-07-2020, n. 15349

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29124-2014 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A. (già SERIT SICILIA S.P.A.), Agente della Riscossione per la Provincia di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA DI STEFANI, rappresentata e difesa dall’avvocato ACCURSIO GALLO;

– ricorrente –

nonché contro

P.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 415/2014 del TRIBUNALE di TERMINI IMERESE, depositata il 28/04/2014, R.G.N. 50595/2011.

Svolgimento del processo

CHE:

  1. Il Tribunale di Termini Imerese ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Polizzi Generosa che, su ricorso di P.S. notificato nel settembre 2010, ha annullato con effetto dalla data di pubblicazione della sentenza il preavviso di fermo amministrativo notificatogli nel luglio 2007, ritenendo che dal D.L. n 203 del 2005, art. 2 (rectius 3), comma 41, e il D.M. n. 503 del 1998, artt. 3 e 5, dall’obbligo di condursi secondo buona fede e dall’art. 24 Cost., si possa ricavare il principio per cui, dopo avere disposto il fermo, l’autorità ha l’obbligo di dar corso al pignoramento nei termini di legge;
  2. il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
  3. con l’unico motivo di ricorso, ulteriormente illustrato con memoria, Riscossione Sicilia s.p.a. censura la sentenza del Tribunale di Termini Imerese per violazione del D.L. n. 203 del 2005, art. 2 (rectius 3), comma 41, D.M. n. 503 del 1998, art. 35, art. 12 disp. prel., cui non ha resistito P.S..

Motivi della decisione

CHE:

  1. il ricorso è da accogliere;
  2. D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, dispone, nella versione vigente ratione temporis: “I. Decorso inutilmente il termine di cui all’art. 50, comma 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza. 2. Il fermo si esegue mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede. 3. Chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo è soggetto alla sanzione prevista dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 214, comma 8.
  3. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, sono stabiliti le modalità, i termini e le procedure per l’attuazione di quanto previsto nel presente articolo”;
  4. D.L. n. 203 del 2005, art. 3, ha disposto, poi, che “D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 86, si interpreta nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel decreto del Ministro delle finanze 7 settembre 1998, n. 503”;
  5. tale ultimo decreto non prevede, in generale, termini entro i quali procedere all’esecuzione;
  6. non esistono, dunque, disposizioni di legge o di decreto ministeriale che impongano di procedere all’esecuzione forzata entro termini perentori dal fermo;
  7. il fermo, d’altro canto, è comunemente ritenuto una misura afflittiva, volta proprio a indurre il debitore all’adempimento sottraendogli la disponibilità del bene (v., fra le altre, Cass. n. 15354 del 2015);

10.nè possono rilevare, in contrario, il principio di buona fede e l’art. 24 Cost., richiamati in sentenza;

  1. da un canto, “l’impugnazione del preavviso di fermo amministrativo, sia se volta a contestare il diritto a procedere all’iscrizione del fermo, sia che riguardi la regolarità formale dell’atto, è un’azione di accertamento negativo a cui si applicano le regole del processo di cognizione ordinario, e come tale non assoggettata al termine decadenziale di cui all’art. 617 c.p.c.” (v., fra le altre, Cass. n. 18041 del 2019), così che il contribuente che si ritenga leso nei suoi diritti può sempre agire per sentir dichiarare illegittimo il fermo e toglierlo di mezzo, senza essere tenuto a sopportarne, sine die, gli effetti;
  2. dall’altro, il fermo ammnistrativo ha proprio la funzione di “spingere il cittadino all’adempimento”, ferma la possibilità di esperire i rimedi di legge per farne valere l’illegittimità;
  3. in conclusione la sentenza va cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, l’opposizione avverso il fermo amministrativo va rigettata;
  4. Le spese del giudizio di merito e di legittimità si liquidano come in dispositivo e seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione a fermo amministrativo; condanna la parte intimata al pagamento delle spese liquidate, per compensi professionali, in Euro 600,00 per il giudizio di primo grado, Euro 800,00 per il giudizio di secondo grado, Euro 1.500,00 per il giudizio di legittimità, oltre Euro 200,00 per esborsi e quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020


DECRETO-LEGGE 16 luglio 2020, n. 76 Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale

DECRETO-LEGGE 16 luglio 2020, n. 76

Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.

(GU n.178 del 16-7-2020 – Suppl. Ordinario n. 24)

Vigente al: 17-7-2020

Leggi: DECRETO-LEGGE 16 luglio 2020, n. 76 Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale


Decreto semplificazioni 2020, il testo definitivo in Gazzetta ufficiale

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato il decreto semplificazioni che è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale, ed entra in vigore dal 17 luglio 2020, 10 giorni dopo essere stato varato dal Consiglio dei ministri. Un elenco di 130 opere strategiche finora bloccate che potranno iniziare a correre grazie al piano “Italia Veloce”, ma anche misure per snellire le procedure burocratiche dei cantieri pubblici e interventi per la digitalizzazione della pubblica amministrazione.

Il testo del decreto semplificazioni rappresenta il primo capitolo delle riforme che il governo ha in cantiere dal 2020 in poi per il rilancio dell’Italia dopo l’emergenza Covid. Obiettivo: snellire le procedure amministrative per gli appalti e rendere più facile per i cittadini l’accesso ai servizi dell’amministrazione pubblica.

Cosa cambia per appalti e lavori pubblici

Per quanto riguarda le opere pubbliche, il decreto semplificazioni 2020 prevede l’affidamento diretto per cantieri da meno di 150 mila euro. Non saranno necessari i bandi di gara anche per gli interventi tra 150 mila e 5,3 milioni di euro, in questo caso ci sarà una procedura negoziata tra un numero ristretto di società.

Si stringono i tempi delle procedure: la ditta incaricata dei lavori dovrà essere individuata entro due mesi al massimo, che salgono a 4 in casi specifici, e a 6 se si parla di grandi opere. A chi farà ritardare la stipula dei contratti con le aziende potrà essere contestato il danno erariale. C’è anche la riforma del reato di abuso di ufficio.

Il testo del decreto semplificazioni 2020 e l’elenco delle 130 opere strategiche

Per quanto riguarda le 130 opere strategiche che saranno sbloccate fin da questo 2020, l’elenco definitivo non è stato allegato al testo del decreto semplificazioni, ma sarà inserito nel programma nazionale di riforma, un documento con le linee guida dell’azione di governo, all’interno del piano di investimenti denominato “Italia Veloce” messo a punto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Nella lista dei grandi lavori figurano opere come il nodo di Genova, il raddoppio della linea ferroviaria Pontremolese, il Terzo Valico di Giovi per collegare velocemente in treno Genova e Novi Ligure, la Palermo-Catania-Messina, la Salerno-Reggio Calabria, l’autostrada Tirrenica e la Due Mari. In una trentina di casi arriveranno anche dei commissari a seguire i lavori più complessi.

Autocertificazione via app e servizi digitali della pubblica amministrazione

Novità in vista anche per i cittadini, che si rivolgono agli uffici della pubblica amministrazione. Il testo del decreto semplificazioni prevede l’accesso a tutti i servizi digitali pubblici grazie al codice Spid, alla Carta di identità elettronica oppure tramite l’app per smartphone IO, già usata di recente per il bonus vacanze. Vedi art. 28.

Inoltre verrà creata una piattaforma unica di notifica digitale di tutti gli atti della pubblica amministrazione e via PEC degli atti giudiziari, sarà semplificata la procedura della firma elettronica avanzata, rafforzata l’integrazione tra le banche dati pubbliche in modo che i cittadini non debbano comunicare ogni volta le stesse informazioni. Semplificazione poi per i lavori per la banda larga, ridisegnate infine le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA).


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27-02-2020) 14-07-2020, n. 14941

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11111-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS). in persona dei rispettivi Direttori pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

Z.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1526/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO.

Svolgimento del processo
che:

Con sentenza in data 27 settembre 2018 la Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva parzialmente l’appello proposto da Z.C. avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Torino che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro avviso di intimazione emesso a seguito del mancato pagamento di alcune cartelle esattoriali.

Osservava la CTR, in riferimento a due cartelle di pagamento, “che non vi è alcun documento che provi il collegamento tra la fotocopia della spedizione e ricevuta della raccomandata e le cartelle apparentemente notificate, motivo che di per sè porterebbe alla nullità della notifica. Non vi è poi regolare attestazione di notifica da parte dell’ufficiale postale notificante perchè non vi è indicazione della qualifica del firmatario della ricevuta o dell’ufficiale postale notificante. Ne consegue che tali notifiche irregolari sono nulle”.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 27 marzo 2019, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate-Riscossione hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Il contribuente non ha svolto difese.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Motivi della decisione
che:

Con unico mezzo le ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1335 e 2697 c.c., nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26.

Censurano la sentenza impugnata per avere la CTR erroneamente ritenuto necessaria, per la validità della notifica, la produzione delle cartelle di pagamento nella loro integralità, nonchè l’indicazione sull’avviso di ricevimento della qualifica del firmatario.

Il ricorso è fondato.

Va osservato che, dopo talune oscillazioni, si è ormai consolidato l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, in base al quale “In tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova” (Cass. n. 16528 del 2018 e giurisprudenza ivi richiamata). Questa Corte ha inoltre precisato che “Nell’ipotesi in cui il destinatario della cartella esattoriale ne contesti la notifica, l’agente della riscossione può dimostrarla producendo copia della stessa, senza che abbia l’onere di depositarne nè l’originale (e ciò anche in caso di disconoscimento, in quanto lo stesso non produce gli effetti di cui all’art. 215 c.p.c., comma 2, e potendo quindi il giudice avvalersi di altri mezzi di prova, comprese le presunzioni), nè la copia integrale, non essendovi alcuna norma che lo imponga o che ne sanzioni l’omissione con la nullità della stessa o della sua notifica” (Cass. n. 25292 del 2018).

Con riguardo alla ritenuta nullità della notifica per la mancata indicazione della qualifica del soggetto che ha sottoscritto l’avviso di ricevimento, va richiamato il principio di diritto secondo cui “La cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, anche direttamente da parte del concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, art. 32 e 39, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; ne consegue che se, come nella specie, manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido, poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata”(Cass. n. 11708 del 2011).

La sentenza impugnata non si è uniformata ai richiamati arresti giurisprudenziali e pertanto, in accoglimento del ricorso, deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2020


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27-02-2020) 14-07-2020, n. 14935

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4307-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6120/22/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 22/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO.

Svolgimento del processo
che:

Con sentenza in data 22 giugno 2018 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate-Riscossione avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso proposto da R.L. avverso cartella di pagamento, inviata a mezzo del servizio postale con plico raccomandato, relativa ad imposta comunale sulla pubblicità per l’anno d’imposta 2009. Osservava la CTR che l’agente della riscossione, nonostante la contestazione mossa dal contribuente, non aveva assolto all’onere – che gravava sul mittente – di provare il contenuto del plico raccomandato.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 22 gennaio 2019, l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Il contribuente non ha svolto difese.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Motivi della decisione
che:

Con unico mezzo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1335 e 2697 c.c., nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, per avere erroneamente la CTR ritenuto che gravasse sul mittente l’onere di provare l’esatto contenuto del plico raccomandato.

Il ricorso è fondato.

Va osservato che, dopo talune oscillazioni, si è ormai consolidato l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, in base al quale “In tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova” (Cass. n. 16528 del 2018 e giurisprudenza ivi richiamata).

Orbene, la decisione della CTR, nel ritenere che la prova del contenuto del plico raccomandato spettasse al mittente e non già al destinatario, non si è conformata al principio di diritto sopra richiamato.

Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2020


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 16-01-2020) 02-07-2020, n. 13625

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23179-2018 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO GARRONI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO CASELLI LAPESCHI;

– ricorrente –

contro

JUNGHEINRICH ITALIANA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 17, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RUFINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO MACCONE;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 1596/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/01/2018, R.G.N. 1564/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/01/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FILIPPO GARRONI per delega verbale avvocato ALBERTO CASELLI LAPESCHI;

udito l’Avvocato ALESSANDRO RUFINI.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 28 luglio 2018, la Corte d’Appello di Milano, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Pavia, ha dichiarato la legittimità del licenziamento, per giustificato motivo soggettivo, a P.S. dalla Jungheinrich Italiana s.r.l. con comunicazione del 14/10/2009, e, per l’effetto, ha condannato l’appellante società a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso nella misura contrattualmente dovuta oltre rivalutazione monetaria e interessi legali statuendo, altresì, che il P. provvedesse alla restituzione della somma versatagli in esecuzione della sentenza di primo grado.

In particolare, il giudice di secondo grado ha posto in risalto le plurime inadempienze e trascuratezze circa le modalità di redazione del piano finanziario, da redigersi presso il servizio di tesoreria, che la Corte ha ritenuto costituire una delle competenze attribuite al P. già a decorrere dal momento della sua assunzione presso la società pur essendo la stessa, sulla base di una formazione professionale progressiva, diventata mansione centrale solo in occasione della redazione del piano valevole per l’anno 2010.

1.1. Valutando le risultanze probatorie acquisite il Collegio ha, quindi, ritenuto che la base giustificativa del licenziamento non andasse rinvenuta nella giusta causa, bensì nel giustificato motivo soggettivo, non vertendosi nell’ambito di trasgressioni tali da incidere sul vincolo fiduciario in modo da imporre il licenziamento per giusta causa, bensì di fattispecie di inadempimento e neghittosità rilevanti sotto il profilo di una affidabile resa lavorativa, in quanto determinate da mancanza di diligenza e impegno professionale.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso P.S. affidandolo a quattro motivi.

2.1. Resiste, con controricorso, la Jungheinrich Italiana S.r.l.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione ed errata applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 220, commi 1 e 2 e art. 225 del CCNL Terziario Commercio del 18 luglio 2008 e della L. n. 300 del 1970 per aver posto a fondamento del licenziamento disciplinare il mancato o erroneo espletamento di una mansione che non era stata attribuita al lavoratore.

1.1. Sostiene, al riguardo, parte ricorrente che la redazione e revisione del piano finanziario aziendale ha costituito per il lavoratore, a decorrere dal mese di marzo 2009, una mansione nuova, la cui corretta esecuzione non può essere posta a base del licenziamento disciplinare.

2. Il motivo non può trovare accoglimento.

Va premesso, al riguardo, che, secondo l’insegnamento di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 13534 del 2019 nonchè, in terminis, Cass. n. 7838 del 2005 e Cass. n. 18247 del 2009), il modulo generico che identifica la struttura aperta delle disposizioni di limitato contenuto ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, richiede di essere specificato in via interpretativa, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo. La specificazione può avvenire mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva, come nel caso in esame, in cui si colloca la fattispecie. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro errata individuazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (ex plurimis, Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 6901 del 2016; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010).

Conseguentemente, non si sottrae al controllo di questa Corte il profilo della correttezza del metodo seguito nell’individuazione dei parametri integrativi, perchè, pur essendo necessario compiere opzioni di valore su regole o criteri etici o di costume o propri di discipline e/o di ambiti anche extragiuridici, “tali regole sono tuttavia recepite dalle norme giuridiche che, utilizzando concetti indeterminati, fanno appunto ad esse riferimento” (per tutte v. Cass. n. 434 del 1999), traducendosi in un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa (cfr. Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 5026 del 2004; Cass. n. 10058 del 2005; Cass. n. 8017 del 2006).

Nondimeno, va sottolineato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori.

Sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, opera l’accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento. Quindi occorre distinguere: è solo l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta” (in termini ancora Cass. n. 18247/2009 e n. 7838/2005 citate).

Questa Corte precisa, pertanto, che “spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (così, in motivazione, Cass. n. 15661 del 2001, nonchè la giurisprudenza ivi citata).

2.1. Tale distinzione operante per le clausole generali condiziona la verifica dell’errore di sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa, ascrivibile, per risalente tradizione giurisprudenziale (v. in proposito Cass. SS.UU. n. 5 del 2001), al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (di recente si segnala Cass. n. 13747 del 2018).

E’, infatti, solo l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge: l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta” (sul punto, fra le altre, Cass. n. 18247 del 2009 e n. 7838 del 2005).

3. Nel caso di specie appare evidente che la censura, veicolata per il tramite dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in realtà corre lungo i binari della censura fattuale in quanto mira ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad una inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado.

Parte ricorrente, infatti, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiede in realtà alla Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle conclusioni raggiunte con riguardo alla sussistenza della lamentata negligenza mentre le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione di merito, inerente il contenuto dell’accertamento compiuto circa l’attività svolta e il conferimento ab origine dell’incarico di redazione del piano finanziario.

3.1. In particolare, deve ritenersi che la Corte d’appello abbia accertato, sulla base degli elementi probatori precedentemente raccolti, che la mansione di redazione del piano finanziario era stata affidata al P. sin dalla data di ingresso nel “servizio per il quale era stato selezionato” e ciò risultava confermato, secondo il Collegio, da diversi indici rivelatori ed in particolare: dalla circostanza che tale attività era stata descritta e individuata sin dalla ricerca per l’assunzione; dal fatto che tale attività era stata in precedenza di competenza di altro addetto alla tesoreria, il S., e solo temporaneamente affidata alla B., poi sostituita dal P.; dal periodo di diversi mesi in cui il P. stesso era stato affiancato dai colleghi per essere addestrato alla redazione del piano.

L’insieme di tali circostanze ha condotto il giudice di secondo grado a ritenere che la redazione del piano finanziario fosse stata affidata in via esclusiva al P. sin dal suo ingresso in Jungheinrich, accertamento, questo, eminentemente fattuale su cui nessuna diversa valutazione può essere effettuata in sede di legittimità non vertendosi nell’ambito della violazione di legge descritta nel motivo bensì, esclusivamente, in una diversa considerazione del materiale probatorio raccolto non ammessa in sede di ricorso per cassazione.

Nè può giungersi a diverse conclusioni in base al contenuto del mansionario richiamato da parte ricorrente atteso che trattasi esclusivamente di uno degli elementi da cui può arguirsi il conferimento dell’incarico, elemento che la Corte ha valutato unitamente agli altri non rivestendo lo stesso carattere assorbente ed anzi essendo reputato dalla Corte il riferimento ad esso come formalistico e non esauriente.

Va, quindi, rilevato che ci si trova di fronte ad una ricostruzione della vicenda storica effettuata dai giudici del merito cui esclusivamente compete e che è invece criticata da parte ricorrente ma il cui esito, non sconfinando in un risultato irragionevole, per i principi innanzi richiamati, si sottrae al sindacato di legittimità ed inoltre, non identificando quali siano i parametri integrativi del precetto normativo elastico che sarebbero stati violati dai giudici del merito, manca dell’individuazione di una incoerenza del loro giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale, così traducendosi in una censura generica e meramente contrappositiva rispetto al giudizio valutativo operato in sede di merito che ha ritenuto che la mancata adeguata redazione del piano finanziario si sia tradotta in un giustificato motivo soggettivo rilevante da legittimare il licenziamento del P. (sul punto si veda Cass. n. 13534/2019 cit.).

4. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e l’omessa motivazione circa la mancanza di diligenza e di impegno professionale del lavoratore alla luce della comunicazione del datore di lavoro del 07/09/2009 che individua la redazione del piano finanziario quale obiettivo rilevante ai fini della retribuzione variabile.

4.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

Giova sottolineare al riguardo, che, come ribadito anche di recente da questa Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 28887 del 2019) l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

D’altro canto, la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta a suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 1997, n. 13045 e, fra le tante: Cass. 18 marzo 2013, n. 6710) – dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti. In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità (dall’art. 360 c.p.c., n. 5) – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

In particolare, nel caso di specie, la piana lettura del motivo di ricorso così come formulato, con il continuo richiamo alle dichiarazioni rese dai testi escussi, induce a vedere come prospettata una inammissibile diversa lettura delle risultanze istruttorie mentre la Corte, proprio sulla base di quelle risultanze, ha sì escluso la sussistenza di una giusta causa di licenziamento non rilevando trasgressioni incidenti sulla sfera di interessi integrante il vincolo fiduciario in modo tranchant, ma ha ritenuto la sussistenza del giustificato motivo soggettivo, avendo riscontrato un difetto di diligenza ed una incapacità rilevanti sotto il profilo di un’affidabile resa lavorativa, ritenendo provata, come già reputato in primo grado, la presenza di errori e gravi imperfezioni nel documento redatto dal ricorrente.

Va anzi rilevato che il Collegio si sofferma a lungo non solo sul rilievo dei sette mesi di affiancamento di cui il dipendente aveva goduto, ma, anche, sulle singole inesattezze riscontrate, afferenti l’incidenza degli interessi passivi con le banche, l’andamento dei rapporti di leasing, che avevano evidenziato gravi errori e connotati irrealistici nelle previsioni fondate sui dati trasmessi dagli uffici.

5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 220, comma 1 e art. 225 CCNL Terziario commercio per sproporzionalità ed inadeguatezza della sanzione comminata.

Va riaffermato al riguardo che, secondo questa Corte, spettano al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (in motivazione Cass. n. 15661 del 2001, nonchè la giurisprudenza ivi citata).

Nell’ambito delle clausole generali come la giusta causa, quindi, innanzitutto è indispensabile, così come in ogni altro caso di dedotta falsa applicazione di legge, che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta così come effettuata dai giudici di merito (tra le più recenti: Cass. n. 13534 del 2019 cit. e Cass. n. 6035 del 2018), altrimenti si trasmoderebbe nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza di detti giudici; dal momento, poi, che gli elementi da valutare ai fini dell’integrazione della giusta causa di recesso sono, per consolidata giurisprudenza, molteplici (gravità dei fatti addebitati, portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze in cui sono stati commessi, intensità dell’elemento intenzionale, etc.) occorre guardare, nel sindacato di legittimità, alla rilevanza dei singoli parametri ed al peso specifico attribuito a ciascuno di essi dal giudice del merito, onde verificarne il giudizio complessivo che ne è scaturito dalla loro combinazione e saggiarne la coerenza e la ragionevolezza della sussunzione nell’ambito della clausola generale.

Poichè si tratta di una decisione che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di sussunzione, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione dei parametri ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare che la combinazione e il peso dei dati fattuali, così come definito dal giudice del merito, consente comunque la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento (cfr. Cass. n. 18715/2016 cit.) o, per il caso che qui interessa, ai giustificato motivo soggettivo.

D’altra parte secondo quanto affermato dalle Sezioni unite, “il compito del controllo di legittimità può essere soltanto quello di verificare la ragionevolezza della sussunzione del fatto” (in termini, Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010; Cass. SS.UU. n. 1414 del 2004, n. 20024 del 2004, n. 19075 del 2012; per i notai: Cass. SS.UU. n. 4720 del 2012, n. 6967 del 2017) e, pertanto, va ribadito che la Corte non può, “sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati… se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza” e “il sindacato sulla ragionevolezza è quindi non relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione” (così Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010);

Orbene, nel caso di specie, la Corte, escludendo la sussistenza di una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario ai fini del licenziamento per giusta causa, ha, tuttavia, riscontrato una significativa incapacità e negligenza nello espletamento dell’attività lavorativa rilevante, così concludendo per la legittimità della sanzione espulsiva e tale valutazione, immune da vizi logici, non può essere censurata in sede di legittimità.

D’altro canto, non appare dirimente il riferimento all’inclusione della retribuzione corrisposta per la redazione del piano finanziario nell’ambito della retribuzione variabile poichè non può ritenersi discendere tout court da tale circostanza un rilievo relativo della mansione considerata tale da escludere la possibilità di licenziamento in caso di erroneo ed inadeguato svolgimento di essa.

In sostanza, parte ricorrente ribadisce che secondo il suo giudizio – che è solo quello personale della parte che vi ha interesse – il fatto addebitato non sarebbe idoneo a costituire giustificato motivo soggettivo, criticando l’apprezzamento diverso dei giudici d’appello in ordine alla proporzionalità della sanzione, il che tuttavia esula dal controllo di questa Corte (ex pluribus: Cass. n. 2289 del 2019; Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003), la quale in queste valutazioni “non può sostituirsi al giudice del merito”, come ammoniscono le sentenze delle Sezioni unite civili citate.

6. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e degli artt. 2049 e 2087 c.c. nel non aver configurato la Corte l’esistenza di un danno biologico subito dal lavoratore per effetto di condotte vessatorie operate da un superiore e tollerate dall’azienda pur circoscritte ad un periodo di tempo limitato.

6.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello muove, infatti, dalla stessa formulazione dei capitoli di prova proposti in sede di appello incidentale per escludere “in radice” il fenomeno del mobbing per assenza di condotte vessatorie sistematicamente orientate a causare offese di ordine professionale e/o rilevati sul piano psichico e morale.

Anche con riguardo a tale aspetto, il ricorrente invoca una diversa valutazione fattuale dell’accaduto ed in particolare critica le conclusioni circa l’assenza di sistematici comportamenti vessatori raggiunta dalla Corte che invece da congruamente conto del proprio iter motivazionale nell’affermare che pur potendo ravvisarsi “qualche aspra invettiva e offesa esternata dal F.” ha escluso la configurabilità di qualsivoglia ipotesi di mobbing trattandosi, al più, di “isolato e circoscritto dissidio sorto solo durante uno stato avanzato del rapporto di lavoro e, in ragione dei pochi elementi a disposizione, privo di apprezzabile continuità”.

Il dato di partenza da cui muove il ricorrente e, cioè, le “condotte vessatorie operate da un superiore” risulta escluso in punto di fatto dalla Corte e, pertanto, non ne può essere riesaminata la conclusione da questa Corte senza illegittimamente invadere il campo delle indagini fattuali precluso al giudice di legittimità.

7. Alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso va respinto.

7.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 26/02/2020) 08/07/2020, n. 14402

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36370-2018 proposto da:

ADER AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

FINANZIARIA INDUSTRIALE SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIRSO 26, presso lo studio dell’avvocato PIETRO BORIA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7441/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata il 04/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI RAFFAELE.

Svolgimento del processo
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una decisione della CTP di Avellino, che aveva accolto il ricorso della contribuente s.r.l. “FINANZIARIA INDUSTRIALE” avverso una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria del 2015.

Motivi della decisione
che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, e art. 26, comma 2; dell’art. 27 del reg. comunitario n. 910 del 2014; della decisione della commissione CEE n. 1506 del 2015, del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5, nonchè del D.P.R. n. 68 del 2005, recante il regolamento per l’utilizzo della pec., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non era controverso che le cartelle sottese al preavviso impugnato fossero state notificate alla società contribuente via pec; secondo la CTR la notifica di dette cartelle sarebbe stata nulla in quanto il file contenente la cartella aveva un’estensione “pdf” anzicchè “p7m”, ritenendo che solo quest’ultima fosse in grado di garantire l’integrità del documento trasmesso, l’identificabilità del suo autore e la paternità dell’atto; al contrario, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento cartacea non comportava l’invalidità dell’atto, non essendo stata detta nullità espressamente sancita dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, ed essendo solo necessario che l’atto fosse inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo; e detti principi, elaborati con riferimento alle cartelle in formato cartaceo, valevano altresì per le cartelle in versione informatica; era poi errato ritenere che la cartella formato “pdf” (c.d. formato pades) non fosse equipollente al formato “p7m” (c.d. formato cades), avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che le firme digitali del tipo cades e del tipo pades fossero equivalenti, si da essere entrambe ammissibili;

che la contribuente si è costituita con controricorso ed ha altresì presentato memoria;

che l’unico motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è fondato;

che invero la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 10266 del 2018) ha escluso la sussistenza di un obbligo esclusivo di usare la firma digitale in formato CADES, in cui il file generato si presenta con l’estensione finale “p7m”, rispetto alla firma digitale in formato PADES, nel quale il file sottoscritto mantiene il comune aspetto “nomefile.pdf”, atteso che anche la busta crittografica generata con la firma PADES contiene pur sempre il documento, le evidenze informatiche ed i prescritti certificati, si che anche tale ultimo formato offre tutte le garanzie e consente di effettuare le opportune verifiche, anche con riferimento al diritto comunitario, non essendo ravvisabili elementi obiettivi, nella dottrina e nella prassi, tali da far ritenere che solo la firma in formato CADES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa vigente nel nostro paese certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento, sia pure con le differenti estensioni “p7m” e “pdf”;

che è pertanto da ritenere che le 11 cartelle di pagamento, costituenti il presupposto della comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria impugnata dalla società contribuente, siano state ad essa regolarmente notificate a mezzo pec;

che, pertanto, il ricorso in esame va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Campania, sezione staccato di Salerno in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020


Trattamento dati personali nell’ambito dell’emergenza Covid- 19 da parte degli Uffici UNEP dei Tribunali

Il Garante privacy ha precisato che i Tribunali non sono tenuti a conoscere lo stato di salute dei soggetti cui notificare atti giudiziari, ma, per assicurare la tutela del personale – come previsto dalle norme adottate dal Governo – devono predisporre adeguati dispositivi di protezione individuale.

È quanto emerge da una nota indirizzata al Ministero della Giustizia con cui ha fornito il suo parere in merito alla questione sollevata  da un’azienda sanitaria di Verona, alla quale l’UNEP (Ufficio Notifiche Esecuzioni e Protesti) del Tribunale della stessa città aveva chiesto di poter avere quotidianamente gli elenchi aggiornati delle persone positive o sospette positive al Covid-19, dei soggetti in quarantena e dei loro conviventi, nonché a loro dislocazione.

Leggi: GarantePrivacy_9429175_notifiche_UNEP


Nullo l’avviso di accertamento notificato alla società cancellata

La cancellazione dal registro delle imprese e l’estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado compromette la sua capacità processuale.

Nel processo tributario, l’estinzione della società a seguito della cancellazione dal registro delle imprese prima della notifica dell’avviso di accertamento, e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della capacità processuale della stessa.

Il principio è stato enunciato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza numero 12307/2020.

La sentenza – Il caso attiene ad un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate ad una società, quando la contribuente era già stata cancellata dal registro delle imprese.

La CTR, dopo aver respinto l’appello dell’ufficio, annullava in toto l’atto impositivo perché lo stesso era stato notificato a un soggetto inesistente e, per l’effetto, condannava l’amministrazione finanziaria al rimborso delle spese a favore della cancellata Società contribuente.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, peraltro, nei confronti del solo ex socio e ultimo legale rappresentante della cancellata Società.

L’Ufficio rimproverava alla CTR di aver erroneamente annullato in toto l’avviso, senza tenere in considerazione il giudicato formatosi a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado.

La Corte di cassazione ha rigettato in via definitiva il ricorso e annullato l’atto impositivo.

In merito agli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese la Corte di Cassazione ha richiamato il consolidato principio per cui “nel processo tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto sia della capacità processuale della stessa sia della legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore”.

Da qui, non sussistendo alcuna possibilità di prosecuzione dell’azione, il collegio di legittimità ha sancito che la decisione impugnata mediante ricorso per cassazione dovesse essere annullata senza rinvio.

Leggi: Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 12-02-2020) 23-06-2020, n. 12307


Rinvio elezioni amministrative

Le elezioni dei consigli comunali e circoscrizionali previste per il turno annuale ordinario si terranno in un periodo compreso tra il 15 settembre e il 15 dicembre 2020

Sulla G.U. del 19 giugno 2020 è stato pubblicato il d.l. 20 aprile 2020, n. 26, coordinato alla l. di conversione 19 giugno 2020, n. 59, recante “Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020”.

Misure eccezionali in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020

In considerazione della situazione epidemiologica, in via eccezionale, ed in deroga alle disposizioni che li regolano, i termini per le consultazioni elettorali sono stati così fissati:

  • 240 giorni dalla data della vacanza dichiarata dalla Giunta delle elezioni è il termine entro cui devono essere indette le elezioni suppletive per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, per i seggi che siano dichiarati vacanti entro il 31 luglio 2020;
  • le elezioni dei consigli comunali e circoscrizionali previste per il turno annuale ordinario si tengono in una domenica, e nel lunedì successivo, compresi tra il 15 settembre e il 15 dicembre 2020;
  • in tale ultimo turno sono inserite finanche le elezioni nei comuni i cui organi devono essere rinnovati per motivi diversi dalla scadenza del mandato, se le condizioni che rendono necessarie le elezioni si verificano entro la data del 27 luglio 2020, con la precisazione che tali disposizioni non si applicano alle elezioni degli organi circoscrizionali nei comuni il cui consiglio resta in carica fino alla scadenza naturale prevista nell’anno 2021;
  • gli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario il cui rinnovo è previsto entro il 2 agosto 2020 durano in carica cinque anni e tre mesi, e le relative elezioni si svolgono tra il quindicesimo e il sessantesimo giorno successivo al termine della nuova scadenza del mandato o nella domenica e nel lunedì successivo compresi, nei sei giorni ulteriori;
  • le elezioni dei presidenti delle province e dei consigli provinciali si svolgono entro 90 giorni dalle elezioni dei consigli comunali e, fino al rinnovo degli organi, viene prorogata la durata del mandato di quelli in carica.

Modalità di svolgimento delle operazioni di votazione per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020

Per garantire il distanziamento sociale, le operazioni di votazione per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020 si svolgono, in deroga a quanto previsto dall’art. 1, c. 399, l. n. 147/2013, nelle giornate di:

  • domenica dalle ore 7 alle ore 23,
  • lunedì dalle ore 7 alle ore 15.

Comunicazione politica radiotelevisiva e messaggi radiotelevisivi autogestiti in campagna elettorale

Per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020, le disposizioni di cui all’art. 4 della l. n. 28/ 2000 si applicano in modo da evitare posizioni di svantaggio rispetto all’accesso ai mezzi di informazione e per la comunicazione politica durante le campagne elettorali e referendaria, in relazione alla situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del virus.

Principio di concentrazione delle scadenze elettorali e referendum confermativo

Per le consultazioni elettorali resta fermo il principio di concentrazione delle scadenze elettorali (di cui all’art. 7, d.l. n. 98/2011 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 111/2011), che si applica anche al referendum confermativo del testo di legge costituzionale recante “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, pubblicato nella G.U. del 12 ottobre 2019. A tale fine si applicano le disposizioni previste per le elezioni politiche relativamente agli adempimenti comuni, compresi quelli concernenti la composizione, il funzionamento e i compensi degli uffici elettorali di sezione.

Scrutini

Appena completate le operazioni di votazione e quelle di riscontro dei votanti per ogni consultazione, si procede, nell’ordine, allo scrutinio relativo:

  • alle elezioni politiche suppletive,
  • al referendum confermativo,
  • alle elezioni regionali.

Lo scrutinio relativo alle elezioni amministrative è rinviato alle ore 9 del martedì, dando la precedenza alle elezioni comunali e poi a quelle circoscrizionali.

Spese

Le spese derivanti dall’attuazione di adempimenti comuni sono proporzionalmente ripartite tra lo Stato e gli altri enti interessati in base al numero delle rispettive consultazioni.

Riduzione del numero delle sottoscrizioni per presentare liste e candidature

Per le elezioni comunali e circoscrizionali dell’anno 2020, il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per la presentazione delle liste e delle candidature è ridotto a un terzo. Anche per le elezioni delle regioni a statuto ordinario il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per la presentazione delle liste e delle candidature viene ridotto a un terzo, ma resta salva, per ciascuna regione, la possibilità di prevedere, in relazione alle regionali 2020, quanto al numero minimo di sottoscrizioni, disposizioni diverse.

Protocolli sanitari e di sicurezza per lo svolgimento delle consultazioni elettorali

In sede di conversione è stato aggiunto, rispetto al testo primigenio, che nella finalità di prevenzione del rischio di contagio, le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020 si svolgeranno nel rispetto delle modalità operative e precauzionali di cui ai protocolli sanitari e di sicurezza adottati dal Governo.

Efficacia

A decorrere dal 20 giugno, come prescritto dall’art. 15, c. 5, l. n. 400/1988: le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 20 aprile 2020, n. 26

Testo del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (in Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 103 del 20 aprile 2020), coordinato con la legge di conversione 19 giugno 2020, n. 59 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale – alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020.». (20A03311)

(GU n.154 del 19-6-2020)

Vigente al: 19-6-2020

Avvertenza:

Il testo coordinato qui pubblicato è stato redatto dal Ministero della giustizia ai sensi dell’art. 11, comma 1, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, nonché’ dell’art. 10, commi 2 e 3, del medesimo testo unico, al solo fine di facilitare la lettura sia delle disposizioni del decreto-legge, integrate con le modifiche apportate dalla legge di conversione, che di quelle modificate o richiamate nel decreto, trascritte nelle note. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui riportati.

Le modifiche apportate dalla legge di conversione sono stampate con caratteri corsivi. Tali modifiche sono riportate in video tra i segni (( … )).

A norma dell’art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

Art. 1 Misure eccezionali in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020

  1. In considerazione della situazione epidemiologica da COVID-19, in via eccezionale, i termini per le consultazioni elettorali di cui al presente comma sono fissati come di seguito indicato:

a) in deroga a quanto previsto dall’art. 86, commi 3 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nonché’ dall’art. 21-ter, comma 3, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, il termine entro il quale sono indette le elezioni suppletive per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica per i seggi che siano dichiarati vacanti entro il 31 luglio 2020 è fissato in duecentoquaranta giorni dalla data della vacanza dichiarata dalla Giunta delle elezioni;

b) in deroga a quanto previsto dall’art. 1, comma 1, della legge 7 giugno 1991, n. 182, limitatamente all’anno 2020, le elezioni dei consigli comunali e circoscrizionali previste per il turno annuale ordinario si tengono in una domenica ((e nel lunedì successivo compresi)) tra il 15 settembre e il 15 dicembre 2020;

c) sono ((inserite)) nel turno di cui alla lettera b) anche le elezioni nei comuni i cui organi devono essere rinnovati per motivi diversi dalla scadenza del mandato, se le condizioni che rendono necessarie le elezioni si verificano entro il 27 luglio 2020((. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle elezioni degli organi circoscrizionali nei comuni il cui consiglio rimane in carica fino alla scadenza naturale prevista nell’anno 2021));

d) in deroga a quanto previsto dall’art. 5, comma 1, della legge 2 luglio 2004, n. 165, gli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario il cui rinnovo è previsto entro il 2 agosto 2020 durano in carica cinque anni e tre mesi; le relative elezioni si svolgono esclusivamente ((tra il quindicesimo e il sessantesimo giorno successivo)) al termine della nuova scadenza del mandato o nella domenica ((e nel lunedì successivo compresi)) nei sei giorni ulteriori;

((d-bis) in deroga a quanto previsto dall’art. 1, comma 79, lettera b), della legge 7 aprile 2014, n. 56, limitatamente all’anno 2020, le elezioni dei presidenti delle province e dei consigli provinciali si svolgono entro novanta giorni dalle elezioni dei consigli comunali di cui alla lettera b) del presente comma; fino al rinnovo degli organi è prorogata la durata del mandato di quelli in carica.))

((Art. 1-bis Modalità di svolgimento delle operazioni di votazione per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020

  1. Al fine di assicurare il necessario distanziamento sociale, le operazioni di votazione per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020 si svolgono, in deroga a quanto previsto dall’art. 1, comma 399, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella giornata di domenica, dalle ore 7 alle ore 23, e nella giornata di lunedì, dalle ore 7 alle ore 15.
  2. Per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020, le disposizioni di cui all’art. 4 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, si applicano in modo da evitare posizioni di svantaggio rispetto all’accesso ai mezzi di informazione e per la comunicazione politica durante le campagne elettorali e referendaria, in relazione alla situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del COVID-19.
  3. Per le consultazioni elettorali di cui all’art. 1 del presente decreto resta fermo il principio di concentrazione delle scadenze elettorali di cui all’art. 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che si applica, altresì, al referendum confermativo del testo di legge costituzionale recante «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019. A tale fine si applicano le disposizioni previste per le elezioni politiche relativamente agli adempimenti comuni, compresi quelli concernenti la composizione, il funzionamento e i compensi degli uffici elettorali di sezione. Appena completate le operazioni di votazione e quelle di riscontro dei votanti per ogni consultazione, si procede, nell’ordine, allo scrutinio relativo alle elezioni politiche suppletive, a quello relativo al referendum confermativo e successivamente, senza interruzione, a quello relativo alle elezioni regionali. Lo scrutinio relativo alle elezioni amministrative è rinviato alle ore 9 del martedì, dando la precedenza alle elezioni comunali e poi a quelle circoscrizionali. Le spese derivanti dall’attuazione di adempimenti comuni sono proporzionalmente ripartite tra lo Stato e gli altri enti interessati in base al numero delle rispettive consultazioni.
  4. Limitatamente alle elezioni comunali e circoscrizionali dell’anno 2020, il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per la presentazione delle liste e delle candidature è ridotto a un terzo.
  5. In considerazione della situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del COVID-19 e tenuto conto dell’esigenza di assicurare il necessario distanziamento sociale per prevenire il contagio da COVID-19 nel corso del procedimento elettorale, nonché di garantire il pieno esercizio dei diritti civili e politici nello svolgimento delle elezioni delle regioni a statuto ordinario 3/3 dell’anno 2020, il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per la presentazione delle liste e delle candidature è ridotto a un terzo.
  6. È fatta salva per ciascuna regione la possibilità di prevedere, per le elezioni regionali del 2020, disposizioni diverse da quelle di cui al comma 5, ai fini della prevenzione e della riduzione del rischio di contagio da COVID-19.))

((Art. 1-ter Protocolli sanitari e di sicurezza per lo svolgimento delle consultazioni elettorali

  1. Al fine di prevenire il rischio di contagio da COVID-19, le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020 si svolgono nel rispetto delle modalità operative e precauzionali di cui ai protocolli sanitari e di sicurezza adottati dal Governo.))

Art. 2 Clausola di neutralità finanziaria

  1. Dal presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 3 Entrata in vigore

  1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

LEGGE 19 giugno 2020, n. 59 (1).

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26, recante disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020.

(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 19 giugno 2020, n. 154.

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

PROMULGA

la seguente legge:

Art. 1.

  1. Il decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26, recante disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.
  2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Allegato

Modificazioni apportate in sede di conversione al decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26

All’articolo 1:

al comma 1:

alla lettera b), la parola: «compresa» è sostituita dalle seguenti: «e nel lunedì successivo compresi»;

alla lettera c), la parola: «inseriti» è sostituita dalla seguente: «inserite» e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle elezioni degli organi circoscrizionali nei comuni il cui consiglio rimane in carica fino alla scadenza naturale prevista nell’anno 2021»;

alla lettera d), le parole: «nei sessanta giorni successivi» sono sostituite dalle seguenti: «tra il quindicesimo e il sessantesimo giorno successivo» e la parola: «compresa» è sostituita dalle seguenti: «e nel lunedì successivo compresi»;

dopo la lettera d) è aggiunta la seguente:

«d-bis) in deroga a quanto previsto dall’articolo 1, comma 79, lettera b), della legge 7 aprile 2014, n. 56, limitatamente all’anno 2020, le elezioni dei presidenti delle province e dei consigli provinciali si svolgono entro novanta giorni dalle elezioni dei consigli comunali di cui alla lettera b) del presente comma; fino al rinnovo degli organi è prorogata la durata del mandato di quelli in carica»;

il comma 2 è soppresso.

Dopo l’articolo 1 sono inseriti i seguenti:

«Art. 1-bis. (Modalità di svolgimento delle operazioni di votazione per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020). –

     1. Al fine di assicurare il necessario distanziamento sociale, le operazioni di votazione per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020 si svolgono, in deroga a quanto previsto dall’articolo 1, comma 399, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella giornata di domenica, dalle ore 7 alle ore 23, e nella giornata di lunedì, dalle ore 7 alle ore 15.

  1. Per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020, le disposizioni di cui all’articolo 4 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, si applicano in modo da evitare posizioni di svantaggio rispetto all’accesso ai mezzi di informazione e per la comunicazione politica durante le campagne elettorali e referendaria, in relazione alla situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del COVID-19.
  2. Per le consultazioni elettorali di cui all’articolo 1 del presente decreto resta fermo il principio di concentrazione delle scadenze elettorali di cui all’articolo 7 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che si applica, altresì, al referendum confermativo del testo di legge costituzionale recante: “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019. A tale fine si applicano le disposizioni previste per le elezioni politiche relativamente agli adempimenti comuni, compresi quelli concernenti la composizione, il funzionamento e i compensi degli uffici elettorali di sezione. Appena completate le operazioni di votazione e quelle di riscontro dei votanti per ogni consultazione, si procede, nell’ordine, allo scrutinio relativo alle elezioni politiche suppletive, a quello relativo al referendum confermativo e successivamente, senza interruzione, a quello relativo alle elezioni regionali. Lo scrutinio relativo alle elezioni amministrative è rinviato alle ore 9 del martedì, dando la precedenza alle elezioni comunali e poi a quelle circoscrizionali. Le spese derivanti dall’attuazione di adempimenti comuni sono proporzionalmente ripartite tra lo Stato e gli altri enti interessati in base al numero delle rispettive consultazioni.
  3. Limitatamente alle elezioni comunali e circoscrizionali dell’anno 2020, il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per la presentazione delle liste e delle candidature è ridotto a un terzo.
  4. In considerazione della situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del COVID-19 e tenuto conto dell’esigenza di assicurare il necessario distanziamento sociale per prevenire il contagio da COVID-19 nel corso del procedimento elettorale, nonché di garantire il pieno esercizio dei diritti civili e politici nello svolgimento delle elezioni delle regioni a statuto ordinario dell’anno 2020, il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per la presentazione delle liste e delle candidature è ridotto a un terzo.
  5. È fatta salva per ciascuna regione la possibilità di prevedere, per le elezioni regionali del 2020, disposizioni diverse da quelle di cui al comma 5, ai fini della prevenzione e della riduzione del rischio di contagio da COVID-19.

Art. 1-ter. (Protocolli sanitari e di sicurezza per lo svolgimento delle consultazioni elettorali). – 1. Al fine di prevenire il rischio di contagio da COVID-19, le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2020 si svolgono nel rispetto delle modalità operative e precauzionali di cui ai protocolli sanitari e di sicurezza adottati dal Governo».

Lavori preparatori

Camera dei deputati (atto n. 2471):

Presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte e dal Ministro dell’interno Luciana Lamorgese (Governo Conte-II) il 20 aprile 2020. Assegnato alla I Commissione (Affari costituzionali), in sede referente, il 21 aprile 2020, con pareri del Comitato per la legislazione e delle Commissioni V (Bilancio) e Questioni regionali. Esaminato dalla I Commissione (Affari costituzionali), in sede referente, il 28 aprile 2020; il 12, il 19, il 21, il 26 ed il 27 maggio 2020.

Esaminato in Aula il 28 maggio 2020; l’8, il 9, il 10, l’11 giugno 2020 ed approvato il 15 giugno 2020.

Senato della Repubblica (atto n. 1845):

Assegnato alla 1a Commissione (Affari costituzionali), in sede referente, il 15 giugno 2020, con pareri delle Commissioni 5a (Bilancio) e Questioni regionali.

Esaminato dalla 1a Commissione (Affari costituzionali), in sede referente, il 16, il 17 ed il 18 giugno 2020.

Esaminato in Aula il 17 ed il 18 giugno 2020 ed approvato definitivamente il 19 giugno 2020.


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 12-02-2020) 23-06-2020, n. 12307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6080/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

S.W., quale socio e ultimo legale rappresentante della cancellata Europa Distribuzione S.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n. 101/1/12, depositata il 16 luglio 2012.

Sentita la relazione svolta nella udienza camerale del 12 febbraio 2020 dal Cons. Bruschetta Ernestino Luigi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. che, con l’impugnata sentenza, la Regionale delle Marche, dopo aver dato conto della circostanza che la Provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso promosso dalla cancellata Europa Distribuzione S.r.l. avverso l’avviso di accertamento IVA IRPEG IRAP 2004, annullando i soli “rilievi 1 e 2” della ripresa; dopo aver accertato che l’avviso era stato notificato quando la Società contribuente era già stata cancellata dal registro delle imprese; in dispositivo, dopo aver respinto l’appello dell’ufficio, annullava in toto l’avviso perché, così era spiegato in motivazione, lo stesso era stato “notificato a soggetto inesistente”; e, per l’effetto, condannava l’amministrazione al rimborso delle spese a favore della cancellata Società contribuente;
  2. che l’ufficio ricorreva per un unico motivo, peraltro, nei confronti del solo S.W., quale ex socio e ultimo legale rappresentante della cancellata Società contribuente; esponendo, l’ufficio, che il Santilli si era così qualificato sin dall’originario ricorso;
  3. che il Santilli, pur intimato, non presentava difese;
  4. che l’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dopo aver osservato che l’appello, essendo stato notificato ad una Società cancellata, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile “per erronea vocatio in ius”, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 56 e dell’art. 2909 c.c., rimproverava alla Regionale di aver erroneamente annullato in toto l’avviso, senza cioè tenere in considerazione il giudicato formatosi a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui, quest’ultima, aveva rigettato il ricorso relativamente agli altri rilievi;
  5. che la sentenza deve essere cassata senza rinvio, atteso che, come sopra ricordato, l’avviso è stato notificato quando la Società contribuente era già stata cancellata; questo, sulla scorta del consolidato principio, per cui: “Nel processo tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto sia della capacità processuale della stessa sia della legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché, non sussistendo alcuna possibilità di prosecuzione dell’azione, la decisione impugnata mediante ricorso per cassazione deve essere annullata senza rinvio ex art. 382 c.p.c.” (Cass. sez. trib. n. 33278 del 2018; Cass. sez. trib. n. 5736 del 2016);
  6. che, in mancanza di avversaria costituzione, non deve farsi luogo ad alcun regolamento di spese processuali.

P.Q.M.

La Corte cassa, senza rinvio, l’impugnata sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020