Cons. Stato, Sez. II, Sent., (data ud. 20/06/2023) 22/08/2023, n. 7917

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5432 del 2021, proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Lipani, con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, del -OMISSIS-, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l’istanza di passaggio in decisione senza discussione orale prodotta dai difensori delle parti.

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023 il cons. Francesco Guarracino, nessuno comparso per le parti;

Svolgimento del processo
Il Ministero della difesa ha proposto appello avverso il capo della sentenza in epigrafe con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, in parziale accoglimento del ricorso proposto dal sig. -OMISSIS-, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, avverso il diniego di rimborso delle spese di patrocinio legale sopportate per un procedimento penale per fatti connessi all’esercizio delle proprie funzioni conclusosi con la sua assoluzione, ha provveduto alla quantificazione delle somme dovute a tale titolo, in via “complessiva ed equitativa”, nella misura complessiva di € 20.000,00.

Il sig. M. si è costituito in giudizio per resistere all’appello e ha prodotto scritti difensivi.

La domanda cautelare proposta in via incidentale con l’appello è stata respinta con ordinanza della Sezione del 22 luglio 2021, n. -OMISSIS-.

L’appellato ha depositato una memoria in vista della discussione.

Alla pubblica udienza del 20 giugno 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione
Sostiene l’appellante che il T.A.R., annullato il diniego di rimborso delle spese di patrocinio legale, non avrebbe potuto stabilirne il quantum, dovendo rimetterne la determinazione all’Amministrazione, previa valutazione di congruità della competente Avvocatura erariale, in ragione del carattere obbligatorio e vincolante del parere di congruità previsto dall’art. 18 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con L. n. 135 del 1997.

In senso contrario l’appellato deduce che si verterebbe di un rapporto paritetico in cui il dipendente pubblico vanta, alla ricorrenza dei presupposti di legge, un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, scevro da apprezzamenti di natura discrezionale e rispetto al quale il parere rimesso all’Avvocatura dello Stato sarebbe una mera manifestazione di scienza o di giudizio.

L’appello è fondato.

Stabilisce l’art. 18 cit. che “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”.

Illustrando il contenuto e la ratio della disciplina in materia di rimborso delle spese di patrocinio legale di cui alla suddetta disposizione alla luce della pregressa giurisprudenza amministrativa e civile, questo Consiglio di Stato (sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137) ha già chiarito che:

“Per i casi in cui sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo (pur se è stata talvolta definita come di ‘diritto condizionato’ all’accertamento dei relativi presupposti: Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2017, n. 6194; Sez. VI, 21 gennaio 2011, n. 1713).

L’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché – quando sussistano tali presupposti – se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso – con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).

Di per sé il parere – per la sua natura tecnico-discrezionale – non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736; Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722)”.

La giurisprudenza invocata nelle difese dell’appellato (Cass., SS.UU. ord., 17 febbraio 2020, n. 3887) riguarda i funzionari onorari e si riferisce alla disciplina contenuta nell’art. 86 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che non prevede il parere di congruità.

Pertanto il T.A.R., dopo aver annullato il provvedimento di diniego e accertato l’an debeatur (con pronuncia che in parte qua non costituisce oggetto d’appello), si sarebbe dovuto limitare a rimetterne la quantificazione all’Amministrazione perché vi procedesse con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato.

Pertanto l’appello dev’essere accolto e la sentenza di primo grado riformata nella parte in cui ha stabilito il quantum debeatur nell’importo complessivo di € 20.000,00 invece di rimettere la sua quantificazione agli ulteriori atti dell’Amministrazione.

Si ravvisano nella peculiarità della vicenda i presupposti per la compensazione delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, riforma la sentenza appellata nella parte in cui ha provveduto alla quantificazione delle somme dovute.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.

Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2023 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Sabbato, Presidente FF

Antonella Manzione, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore

Maria Stella Boscarino, Consigliere

Francesco Cocomile, Consigliere


BUON FERRAGOSTO !!!


Residenza: le “conseguenze” della decisione della Corte Costituzionale

La sentenza della Corte Costituzionale n. 209 del 13/10/2022 ha come oggetto alcune norme in materia di IMU.
Si premette che, con ordinanza del 22 novembre 2021, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2022, la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del D.L. n. 201 del 2011, convertito nella L. n. 214 del 2011, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. n. 147 del 2013, nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’ imposta municipale propria (IMU) per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare, nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune.
Il riferimento al nucleo familiare non era presente nell’originaria disciplina dell’IMU (istituita dall’art. 8 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, recante “Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale“), che subordinava il riconoscimento dell’esenzione per l’abitazione principale alla sussistenza del solo requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale del possessore dell’immobile: a questi veniva riconosciuto il diritto all’esenzione in termini oggettivi, del tutto a prescindere dal suo status soggettivo di coniugato. Ciò che rilevava, ai fini della identificazione della abitazione principale, era, infatti, che egli si trovasse a risiedere e dimorare abitualmente in un determinato immobile.
Solo con l’art. 4, comma 5, lettera a), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, nella L. 26 aprile 2012, n. 44, che è intervenuto su diversi aspetti della disciplina dell’IMU, è stata modificata la definizione di abitazione principale, introducendo, in particolare, il riferimento al nucleo familiare ai fini di individuare l’immobile destinatario dell’agevolazione.
Segnatamente, il comma 2 dell’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011, come convertito, è stato così modificato e integrato: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile“.
Nulla si dice inoltre al riguardo di coniugi residenti in Comuni diversi, i quali pertanto, sulla base dei requisiti previsti dalla norma, non hanno diritto all’agevolazione per nessuno degli immobili occupati.
Il problema nasce dal quarto periodo del comma 2, dell’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011, come convertito, che ha introdotto nella fattispecie generale dell’agevolazione il riferimento al nucleo familiare.
Va notato, a questo proposito che, da un lato è assente, nella disciplina dell’IMU, una specifica definizione di “nucleo familiare“, a fronte di diversi riferimenti presenti – a vario titolo e oltre quelli civilistici – nell’ordinamento. Si pensi, ad esempio, a quello stabilito ai fini dell’ indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) dall’art. 3 del D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, recante “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’ indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)“, oppure a quello, stabilito però esclusivamente con riguardo all’ imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) dall’art. 5, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) e, non ultimo, ovviamente, la definizione di famiglia anagrafica contenuta nel Regolamento Anagrafico, n. 223/1989, art. 4.
In tal caso, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dell’abitazione principale, non ritenere sufficiente la residenza e – si noti bene – la dimora abituale in un determinato immobile (cioè un dato facilmente accertabile, come si preciserà di seguito, attraverso i dovuti controlli) determina una evidente discriminazione rispetto a chi, in quanto singolo o convivente di fatto, si vede riconosciuto il suddetto beneficio al semplice sussistere del doppio contestuale requisito della residenza e della dimora abituale nell’immobile di cui sia possessore.
Non vi è ragionevole motivo per discriminare tali situazioni: non può, infatti, essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 del Codice civile, dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l’affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 28 gennaio 2021, n. 1785). Né a tale possibilità si oppongono le norme sulla “residenza familiare” dei coniugi (art. 144 cod. civ.) o “comune” degli uniti civilmente (art. 1, comma 12, della L. 20 maggio 2016, n. 76, recante “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”).
Inoltre, il secondo comma dell’art. 45 cod. civ., contemplando l’ipotesi di residenze disgiunte, conferma la possibilità per i genitori di avere una propria residenza personale.
Nella norma censurata, invece, attraverso il riferimento al nucleo familiare, tale ipotesi finisce per determinare il venir meno del beneficio, deteriorando così, in senso discriminatorio, la logica che consente al singolo o ai conviventi di fatto di godere pro capite delle esenzioni per i rispettivi immobili dove si realizza il requisito della dimora e della residenza abituale.
D’altra parte, a difesa della struttura della norma censurata nemmeno può essere invocata una giustificazione in termini antielusivi, motivata sul rischio che le cosiddette seconde case vengano iscritte come abitazioni principali.
Stante che tale rischio esiste anche per i conviventi di fatto, va precisato che i comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 10, lettera c), punto 2, del D.Lgs. n. 23 del 2011, anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l’esistenza o meno di una dimora abituale.
In conclusione, la norma censurata si dimostra quindi in contrasto
1) con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. nella parte in cui introduce il riferimento al nucleo familiare nel definire l’abitazione principale, disciplinando situazioni omogenee ” in modo ingiustificatamente diverso” (ex plurimis, sentenza n. 165 del 2020),
2) con l’art. 31 Cost., che statuisce: “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose“. Tale norma senz’altro si oppone, in ogni caso, a trattamenti fiscali che si risolvono in una penalizzazione della famiglia. Infatti la norma censurata ricollega l’abitazione principale alla contestuale residenza anagrafica e dimora abituale del possessore e del nucleo familiare, secondo una logica che, come si è visto, ha condotto il diritto vivente a riconoscere il diritto all’esenzione IMU (o alla doppia esenzione) solo in caso di “frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi” e conseguente “disgregazione del nucleo familiare“.
3) Con l’art. 53 Cost. Infatti, avendo come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale in relazione a beni immobili, l’IMU riveste la natura di imposta reale e non ricade nell’ambito delle imposte di tipo personale, quali quelle sul reddito. Appare pertanto con ciò coerente il fatto che nella sua articolazione normativa rilevino elementi come la natura, la destinazione o lo stato dell’ immobile, ma non le relazioni del soggetto con il nucleo familiare e, dunque, lo status personale del contribuente
Con la Sentenza in oggetto, pertanto, viene dichiarata l’illegittimità costituzionale delle seguenti norme:
A) art. 13, comma 2, quarto periodo, del D.L. 6 dicembre 2011, n.201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. 27 dicembre 2013, n. 147, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 201, art. 13, comma 2, quinto periodo, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. n. 147 del 2013;
B) art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo, della L. 27 dicembre 2019, n. 160;
C) art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della L. n. 160 del 2019;
Va infine sottolineato come la Corte Costituzionale abbia ritenuto opportuno chiarire che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale pronunciate valgono a rimuovere i vulnera agli artt. 3, 31 e 53 Cost. imputabili all’attuale disciplina dell’esenzione IMU con riguardo alle abitazioni principali, ma non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” delle coppie unite in matrimonio o in unione civile ne possano usufruire. Ove queste abbiano la stessa dimora abituale (e quindi principale) l’esenzione spetta una sola volta.
Da questo punto di vista il venir meno di automatismi, ritenuti incompatibili con i suddetti parametri, responsabilizza i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli al riguardo; controlli che, come si è visto, la legislazione vigente consente in termini senz’altro efficaci.


Modalità di pubblicazione dei concorsi pubblici

La Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, ha presentato una richiesta alla Corte Costituzionale riguardante una legge della Regione Valle d’Aosta del 2022. La legge riguarda l’edilizia residenziale pubblica e stabilisce modalità per l’assunzione di personale temporaneo.

La questione sollevata riguarda due aspetti della legge regionale:

  • l’articolo 3, comma 2, della legge afferma che la selezione del personale avverrà solo in base ai titoli posseduti e attraverso una prova orale, mentre secondo il ricorrente questa disposizione entra in conflitto con una legge nazionale che richiede almeno una prova scritta;
  • in secondo luogo, l’articolo 3, comma 2, terzo periodo, della legge regionale stabilisce che i bandi di selezione saranno pubblicati solo nell’albo e sul sito web dell’Azienda regionale, senza prevedere una pubblicazione più ampia. Il ricorrente sostiene che questa modalità di pubblicazione contrasta con principi nazionali che richiedono una pubblicità adeguata delle selezioni per il reclutamento nel settore pubblico.

Modalità di pubblicazione concorsi pubblici, i chiarimenti della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ha emesso la sentenza n. 140/2023, affermando che l’articolo 3, comma 2, terzo periodo, della legge regionale è incostituzionale.

La Corte Costituzionale ha sostenuto che la modalità di pubblicazione dei bandi prevista dalla legge regionale non assicura una portata territoriale sufficiente e contrasta con i principi di selezione aperta e pubblica per il reclutamento nel settore pubblico.

Inoltre, la Corte Costituzionale ha sottolineato che la selezione del personale basata solo su titoli e prova orale entra in conflitto con la normativa nazionale.

In sintesi, la Corte Costituzionale ha dichiarato che la modalità di pubblicazione dei bandi e la selezione del personale previste dalla legge regionale sono incostituzionali poiché:

  • non permettono la partecipazione alla selezione di chiunque abbia i requisiti richiesti
  • non assicurano un’idonea diffusione dei bandi.

Sarebbero in tal modo pregiudicati i principi di imparzialità, di buon andamento dell’azione amministrativa e di eguaglianza, alla cui realizzazione è funzionale la regola del pubblico concorso.


Rifiuto di ricevere l’atto: valida la notifica alla società in forma impersonale ex art. 140 c.p.c.?

In relazione alla persona giuridica, la norma, applicabile qualora sia impedita la notificazione presso la sede o il legale rappresentante, non opera verso l’ente in quanto tale

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione V, con la sentenza 15 giugno 2023, n. 17251, chiarisce alcuni aspetti della notifica della cartella di pagamento effettuata nei confronti di una società.

Nel caso di specie, il messo comunale ha tentato la notifica presso la sede della s.r.l. ma le persone ivi presenti hanno rifiutato di ricevere l’atto e non si sono identificate, pertanto, ha proceduto con il rito degli irreperibili (ex art. 140 c.p.c.). Tale forma di notificazione non può attuarsi nei confronti dell’ente in quanto tale e opera solo allorché sia impedita la notificazione presso la sede della società, o presso il legale rappresentante (ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.).

Secondo la giurisprudenza, «il vano esperimento delle modalità previste dall’art. 145 c.p.c., comma 1 per la notificazione degli atti processuali alle persone giuridiche consente l’utilizzazione delle forme previste dagli artt. 140 e 143 c.p.c., purché la notifica sia fatta alla persona fisica che rappresenta l’ente e non già all’ente in forma impersonale».

Nel caso di specie, la notifica non è valida, in quanto è stata effettuata non nei confronti del rappresentante legale della società, bensì verso la società stessa, con spedizione della raccomandata informativa alla s.r.l. presso la sua sede.

Una società riceve un’intimazione di pagamento, una cartella esattoriale e il preavviso di fermo amministrativo in ragione di tre avvisi di accertamento per maggiori imposte (IVA, IRPEG e IRAP). La contribuente impugna l’intimazione di pagamento e la sottostante cartella esattoriale relativa ai tre avvisi. Il ricorso viene rigettato in primo e secondo grado. Si giunge così in Cassazione, ove la contribuente contesta la validità della notifica alla società effettuata ex art. 140 c.p.c.

Premessa: notifica alle società e notifica con rito degli irreperibili

L’art. 145 c.p.c. si occupa della notificazione alle persone giuridiche e, nella fattispecie in esame, vengono in rilievo il primo e il terzo comma.

La notificazione alle persone giuridiche si esegue:

  1. nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile in cui è la sede;
  2. può anche essere eseguita, a norma degli articoli 138 (a mani proprie), 139 (presso residenza, dimora o domicilio) e 141 (presso domiciliatario), alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.
  3. Se la notificazione non può essere eseguita con le modalità precedenti e nell’atto è indicata la persona fisica che rappresenta l’ente, può essere eseguita anche a norma degli articoli 140 (irreperibilità o rifiuto di ricevere copia) o 143 (residenza, dimora, domicilio sconosciuti).

L’iter previsto per la notifica agli irreperibili (ex art. 140 c.p.c.) prevede il deposito della copia dell’atto nella casa comunale, l’affissione dell’avviso e la spedizione della cosiddetta raccomandata informativa.

Equiparazione tra rifiuto e notifica in mani proprie solo se il rifiutante è il destinatario

Il ricorrente si duole del fatto che i giudici di merito hanno considerato valida la notifica della cartella esattoriale, infatti, la notifica ex art. 140 c.p.c. può dirsi correttamente effettuata solo laddove sia infruttuosa la notifica la legale rappresentante e non alla società presso la sua sede, come accaduto nel caso di specie.

La Corte Suprema di Cassazione considera fondata la doglianza.

Nella fattispecie oggetto di scrutinio, la notifica è stata tentata presso la sede della società. Il messo comunale ha attestato il rifiuto di ricevere l’atto espresso dalle persone che si trovavano in loco, ma che avevano rifiutato sia la ricezione dell’atto sia di declinare le proprie generalità. Il messo annotava il rifiuto e dava atto di aver provveduto al deposito presso la casa comunale, affiggendo l’avviso e dando comunicazione del deposito con raccomandata. La raccomandata veniva indirizzata presso la sede della società e veniva ritirata dal portiere.

Tutto ciò premesso, la notifica presso la sede della società non è andata a buon fine perché le persone presenti hanno rifiutato di riceverla ma soprattutto non si sono identificate. Secondo il codice di rito, se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione e la notificazione si considera fatta in mani proprie (art. 138 c. 2 c.p.c.) solo ove sia certa l’identificazione dell’autore del rifiuto con il destinatario dell’atto. Infatti:

«Presupposto indispensabile per la valutazione della ritualità della notifica è l’identificazione certa dell’autore del rifiuto della recezione del plico con il destinatario dell’atto processuale, non essendo ammissibile l’equiparazione legale del rifiuto del plico alla notificazione in mani proprie (art.138, secondo comma, cod. proc. civ.) non solo, com’è ovvio, nell’ipotesi che il comportamento negativo sia ascrivibile a soggetto del tutto estraneo, ma anche ove l’accipiens sia un suo congiunto o addetto alla casa (e, a fortiori, un vicino o il portiere), pur abilitati da norme diverse, in ordine prioritario gradato, alla recezione dell’atto»

No all’equiparazione se a rifiutare è un soggetto non identificato

Non è consentita l’equiparazione di cui sopra qualora il rifiuto sia opposto da un soggetto estraneo. Inoltre, se la notifica della cartella di pagamento avviene presso la sede della società e non nel luogo di residenza del legale rappresentante, l’atto va consegnato solo ai soggetti indicati nell’art. 145 c.p.c. (Cass. 8472/2018), ossia:

  • il rappresentante
  • la persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, altra persona addetta alla sede stessa ovvero il portiere dello stabile in cui è la sede.

Dal momento che il soggetto che ha rifiutato la notifica non è stato identificato come rappresentante non è possibile l’equiparazione prevista dall’art. 138 c.p.c. c. 2 tra rifiuto e avvenuta notifica.

Ciò premesso, non essendo stato possibile effettuare la notifica ai sensi del primo comma dell’art. 145 c.p.c. il messo avrebbe dovuto procedere ai sensi del terzo comma e, quindi, verso il legale rappresentante.

Conclusioni: no alla notifica alla società in forma impersonale ex art. 140 c.p.c.

Secondo gli ermellini l’art. 145 ultimo comma c.p.c. prevede, con riguardo alla persona giuridica e all’ente non personificato, la notifica ex art. 140 c.p.c.:

«ma tale forma – operante solo nel caso in cui sia impedita la notificazione presso la sede della società, o presso il legale rappresentante, ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c. – non può attuarsi nei confronti dell’ente in quanto tale. Il vano esperimento delle modalità previste dall’art. 145 c.p.c., comma 1 per la notificazione degli atti processuali alle persone giuridiche consente l’utilizzazione delle forme previste dagli artt. 140 e 143 c.p.c., purché la notifica sia fatta alla persona fisica che rappresenta l’ente e non già all’ente in forma impersonale» (Cass. 2232/2017, Cass. 9237/2012; Cass. 18762/2011).

La Commissione Tributaria Regionale non ha osservato i suesposti principi, ritenendo regolare la notifica. Essa ha erroneamente equiparato la fattispecie del rifiuto di ricevere l’atto da parte di soggetti non identificati, anche se presenti presso la sede della società con quella in cui l’atto sia stato consegnato a persona rinvenuta nella sede e che abbia, pertanto, ricevuto il plico. Inoltre, non ha considerato che la notifica ex art. 140 c.p.c. è stata effettuata non nei confronti del rappresentante legale della società, bensì della società stessa, con spedizione della raccomandata informativa alla società presso la sua sede. In ragione di ciò, la Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 20/06/2023) 20/07/2023, n. 21607

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. FEDELE Ileana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25305-2022 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dagli avv.ti Vittorio Perria, e Martina Vacca, con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 sexies conv. con modif. in L. n. 221 del 2012;

– ricorrente –

contro

Comune di Arzachena, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Forgiarini, dirigente dell’avvocatura comunale, con domicilio digitale presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocatura inserito nel pubblico elenco “Reginde”: avvocatura.pec.c.omunearzachena.it;

avverso la sentenza n. 123/2022 della Corte d’appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, depositata il 19/08/2022 r.g.n. 41/2022;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2023 dal Consigliere Dott. Ileana Fedele;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fresa Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

Svolgimento del processo
1. – La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha respinto il reclamo proposto ai sensi della L. 28 giugno 2012, n. 92, da A.A., dipendente del Comune di Arzachena in qualità di Comandante del Servizio di Polizia Locale, in ordine all’impugnazione del licenziamento intimatogli in data 27 febbraio 2018 per falsa attestazione della presenza in servizio D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55 quater.

2. – Per quanto qui rileva, la Corte territoriale dopo aver analiticamente illustrato le vicende processuali e le valutazioni rese nelle precedenti fasi dal Tribunale di Tempio Pausania, ha ritenuto infondati i motivi di gravame sulla base dei seguenti rilievi.

2.1. – Al lavoratore era contestato “l’allontanamento dal luogo di lavoro per motivi privati senza far risultare tale assenza mediante l’utilizzo del dispositivo marcatempo” nei giorni e nelle ore riportate nella raccomandata del 17 gennaio 2018, comportamento integrante la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, n. 1, lett. a), cui era seguita la sanzione del licenziamento senza preavviso.

2.2. – L’istruttoria svolta aveva confermato le uscite e i rientri del lavoratore dal Municipio del Comune di Arzachena senza attivare l’utilizzo del badge.

2.3. – Il lavoratore, senza negare in fatto le circostanze contestate, le aveva ritenute giustificate per essere stato assolto dal Giudice per l’udienza preliminare perchè il fatto non sussiste; la difesa si fondava sulla natura delle funzioni svolte, in virtù delle quali il lavoratore non era tenuto a utilizzare il badge per documentare la presenza in ufficio, non essendo neppure vincolato all’osservanza di un orario di lavoro oltre quello minimo di trentasei ore previsto contrattualmente, orario minimo che non era controverso che egli avesse sempre rispettato, senza che fosse stato arrecato alcun pregiudizio economico al datore di lavoro, non avendo percepito alcun compenso per lavoro straordinario ovvero riposi compensativi, avendo al contrario svolto attività lavorativa ben oltre detto orario minimo; ove avesse timbrato in uscita sarebbe stato privato della tutela antinfortunistica assicurata dall’INAIL nonchè della qualifica di agente di polizia; il luogo di lavoro non era il Municipio ma, per esigenze di servizio, l’intero territorio comunale; quale responsabile delegato del servizio di protezione civile era tenuto a conoscere tempestivamente le allerte della protezione civile, conoscenza che, in quel periodo, poteva acquisire solo dal personale computer di casa, atteso che quello di ufficio non era accessibile a causa di un sistema di protezione aggirabile solo in presenza del dipendente che lo aveva installato, all’epoca assente per malattia; aveva continuato a lavorare anche dalla propria abitazione mediante l’utilizzo del cellulare, ricetrasmittente e personal computer;

2.4. – Le giustificazioni addotte non erano fondate posto che: il comportamento sanzionato dall’art. 55 quater è quello del pubblico dipendente che fa apparire di essere in servizio (che ben può svolgersi anche in luogo diverso dall’ufficio dove è situato l’apparecchio marcatempo) mentre in realtà è impegnato in attività estranee a quelle d’ufficio oppure è in luoghi diversi da quelli dove avrebbe dovuto recarsi per dovere di ufficio; tra tali luoghi vi è l’abitazione privata, salvo che il lavoratore sia a ciò previamente autorizzato, circostanza non allegata nè documentata nel caso di specie, non essendo stato giustificato perchè, dopo essersi recato presso l’abitazione per accedere al sito della protezione civile, non avesse poi fatto ritorno in ufficio per svolgere le attività necessarie, essendo incontestabile che il lavoratore avesse scelto di rimanere a casa ben oltre il tempo necessario per accedere al sito della protezione civile, circostanza comunque inidonea a giustificare il contestato comportamento per ventisei giorni per un totale di ottanta ore (apparendo comunque inverosimile la dedotta necessità di recarsi presso l’abitazione per accedere al sito della protezione civile, inaccessibile dall’ufficio). Parimenti irrilevanti le circostanze del rispetto dell’orario minimo di lavoro e dell’assenza dell’obbligo di rispettare un orario di lavoro per il tempo successivo, visto che il lavoratore era stato autorizzato a svolgere lavoro straordinario per fruire di giorni compensativi ovvero per la corresponsione di compenso straordinario, nei limiti delle risorse finanziarie, non essendo, di contro, autorizzato ad omettere l’utilizzo del cartellino marcatempo per la quantificazione del lavoro straordinario, il cui uso era dunque necessario per ottenere il relativo trattamento economico ovvero il riposo compensativo (di cui il A.A. aveva concretamente usufruito il (Omissis)), assumendo rilievo non già la concreta percezione di emolumenti ma il compimento di attività preordinate a conseguire tale utilità.

2.5. – Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha ritenuto irrilevante il giudicato penale di assoluzione ex art. 425 c.p.p., in quanto tale sentenza era fondata sulle dichiarazioni del lavoratore di non essere tenuto a registrare le entrate e le uscite in ufficio e di non essere tenuto all’osservanza di un orario di lavoro prefissato ex art. 39 del regolamento della polizia locale, non avendo percepito alcun compenso ed avendo svolto attività di responsabile delegato del COC ed attività investigativa accedendo ai posti di indagine. La sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal giudice per l’udienza preliminare non era ostativa al giudizio disciplinare, non essendo comunque preclusa una diversa valutazione dei fatti con il solo limite dell’immutabilità dell’accertamento svolto sul piano materiale in sede penale. La contestazione disciplinare aveva ad oggetto la condotta del lavoratore che, uscito dalla sede della polizia senza timbrare, si era recato presso la propria abitazione e non anche le diverse condotte in cui il predetto, uscito senza utilizzare il badge, aveva svolto attività di servizio sul territorio (la contestazione, quindi, atteneva all’essersi recato ripetutamente, per ben ventisei giorni, per un totale di ottanta ore, in meno di tre mesi di indagine, nella propria abitazione senza fare uso del badge).

2.6. – In questo senso, era improprio il richiamo alla normativa antinfortunistica INAIL, perchè tendeva ad estendere tale tutela anche all’abitazione privata in assenza di autorizzazione o indicazione scritta del datore per l’utilizzo di quest’ultima quale luogo di lavoro, mentre la qualifica di ufficiale di polizia, ai sensi dell’art. 57 c.p., prescindeva dall’orario di lavoro, e non poteva reputarsi illegittima se svolta oltre tale orario.

2.7. – Pertanto, erano irrilevanti le prove articolate, perchè non avrebbero corrisposto alla prova di aver sempre svolto attività lavorativa presso l’abitazione, e parimenti irrilevanti, anche se sotto diverso profilo, erano i capi di prova relativi all’attività svolta in luogo diverso dalla propria abitazione. Irrilevante, infine, anche la richiesta di acquisizione dei tabulati e dell’hard disk del personal computer, dovendosi dimostrare tramite tali acquisizioni che il lavoratore aveva svolto attività lavorativa per tutto il periodo in cui si trovava presso l’abitazione.

2.8. – Integrata la fattispecie contestata, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater (sotto il profilo della falsa attestazione in ordine alle registrazioni in entrata e in uscita, in quanto la condotta si compendia nell’allontanamento dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza economicamente apprezzabili, idonea ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro), è risultata altresì proporzionata la sanzione espulsiva in relazione alla gravità dei fatti (reiterazione in breve arco di tempo, sistematicità della condotta), che incide sull’elemento fiduciario del rapporto, anche in considerazione del ruolo istituzionale ricoperto.

2.9. La Corte territoriale ha altresì escluso la natura ingiuriosa del licenziamento, in condivisione delle valutazioni espresse dal primo giudice, considerate le dichiarazioni rese dal Sindaco alla stampa e gli articoli di giornali, da cui non emergeva la prova che la notizia fosse stata divulgata da parte dell’amministrazione, essendosi il Sindaco limitato a rispondere alle domande del giornalista, a conferma di una notizia di cui il medesimo giornalista appariva essere già a conoscenza.

3. – Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il A.A. articolando sette motivi, cui resiste il Comune di Arzachena con controricorso.

4. – Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

5. Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, anche in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 62 e all’art. 13 del regolamento del servizio di polizia locale del comune di Arzachena, prospettando un’indebita confusione tra la nozione di “luogo di lavoro” e quella di “presenza in servizio”.

1.1. – Il motivo è infondato, stante il consolidato indirizzo di questa Corte, da cui non vi sono motivi per discostarsi (Cass. Sez. L, 06/09/2016, n. 17637, Cass. Sez. L, 14/12/2016, n. 25750, Cass. Sez. L, 24/05/2021, n. 14199), secondo cui integra la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater anche l’assenza intermedia dal luogo di lavoro fra le timbrature di entrata ed uscita, circostanza che sussiste nel caso di specie, come accertato sul piano fattuale dal giudice di merito (in senso conforme, più di recente, per una fattispecie di rientro presso l’abitazione nonostante le registrazioni del tesserino attestassero la presenza del lavoratore in ufficio, in base all’accertamento di fatto svolto dal giudice di merito, Cass. Sez. L, 06/03/2023, n. 6660).

1.2. – Quanto alla giustificazione addotta dal A.A., relativa alla possibilità, in ragione delle mansioni svolte, di eseguire la prestazione anche al di fuori dall’ufficio e pure dall’abitazione, ciò non vale di per sè ad escludere che il lavoratore fosse comunque tenuto ad utilizzare il contrassegno marcatempo, dovendo rispettare un orario minimo (irrilevante, che, in concreto svolgesse più ore), trovandosi comunque a dover giustificare perchè, in concreto, avesse scelto di lavorare da casa invece che presso la sede di servizio, ciò che evidenzia l’alterazione indotta dall’apparente presenza in ufficio in virtù delle timbrature effettuate.

1.3. – Risulta, pertanto, integrata la fattispecie oggetto di contestazione, in conformità alla richiamata interpretazione resa sul punto da questa Corte, con conseguente insussistenza della dedotta violazione di legge, risolvendosi ogni ulteriore censura in un’inammissibile sollecitazione ad un differente accertamento dei fatti.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con particolare riferimento al sollecitato accertamento in ordine allo svolgimento dell’attività lavorativa al di fuori del comando e/o presso il domicilio, essendosi pervenuto al rigetto dell’impugnativa del licenziamento per asserita irrilevanza delle prove dedotte sul punto dal lavoratore.

2.1. – In disparte ogni profilo di inammissibilità della censura, prospettata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 rispetto ad un’ipotesi di cd. “doppia conforme” e senza neppure aver illustrato le differenze fra le sentenze di merito, idonee a consentire in siffatta evenienza la proposizione del ricorso, il motivo è comunque infondato, in quanto la Corte ha ritenuto le prove articolate irrilevanti in virtù della ratio decidendi adottata (mancata autorizzazione allo svolgimento dell’attività lavorativa presso l’abitazione, irrilevante che avesse comunque prestato la propria attività lavorativa dall’abitazione e comunque non per tutto il periodo), rispetto alla quale, in ogni caso, le circostanze oggetto delle richieste istruttorie non rivestono la portata decisiva invece attribuita dal ricorrente, neppure ai fini giudizio di proporzionalità, espresso dalla Corte non solo in ordine alla reiterazione delle condotte ma anche con particolare riferimento alla lesione dell’elemento fiduciario per il rilevante ruolo istituzionale ricoperto dal lavoratore.

3. – Con il terzo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza e/o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, anche in relazione agli art. 111 Cost., art. 132 c.p.c. e L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 59 e 60, per omessa ammissione di prove ammissibili e rilevanti e conseguente rigetto del reclamo per asserite carenze istruttorie.

3.1. – Il motivo è infondato, come già osservato in relazione alla censura precedente, per la ritenuta irrilevanza delle prove articolate al fine di escludere la configurabilità dell’addebito.

4. – Con il quarto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 653 c.p.p., anche in relazione alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, per non essere stata considerata la rilevanza della sentenza penale di proscioglimento perchè il fatto non sussiste e l’accertamento, in quella sede, di fatti positivi che valgono ad escludere la sussistenza dell’addebito, avuto riguardo alla irrevocabilità di fatto della sentenza di non luogo a procedere.

4.1. – Il motivo, che postula la valutazione in ordine alla valenza nel procedimento disciplinare dell’accertamento svolto in sede penale, è infondato.

4.2. – Occorre qui evidenziare che il A.A. è stato prosciolto in sede di udienza preliminare perchè il fatto non sussiste. Viene, dunque, in rilievo la questione dell’applicabilità o meno dell’art. 653 c.p.p., considerato che nella specie la sentenza di proscioglimento è stata emessa dal giudice in sede di udienza preliminare come sentenza di non luogo a procedere. Tale pronuncia non è tecnicamente suscettibile di inquadramento quale “sentenza irrevocabile” cui l’art. 653 c.p.p. (“sentenza penale irrevocabile di assoluzione”) riconosce efficacia di giudicato in sede disciplinare: infatti, basta qui considerare che la sentenza di non luogo a procedere può essere revocata in determinati casi, ai sensi dell’art. 434 c.p.p., ed è assistita, pertanto, da un grado di stabilità “relativa”, non riconducibile al paradigma di “irrevocabilità” che qualifica la fattispecie disciplinata dalla richiamata disposizione, per essere piuttosto caratterizzata da un’efficacia preclusiva rebus sic stantibus (nel senso della non definitività dell’accertamento, che spiega la revocabilità della sentenza, impedendo di farne parametro per un giudizio di revisione, Cass. Sez. pen. 15/12/2005, n. 1538, secondo cui “In materia di revisione, nella nozione di “altra sentenza penale irrevocabile”, di cui all’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), non rientra la sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare, perchè la non definitività dell’accertamento, che spiega la revocabilità della sentenza, impedisce di farne parametro per un giudizio di revisione”; in senso conforme, fra molte, Cass. Sez. pen. 04/06/2009, n. 26189, e Cass. Sez. pen. 18/06/2014, n. 39191).

4.3. Nè potrebbe la differenza “ontologica” fra la sentenza di non luogo a procedere e quella di proscioglimento irrevocabile essere colmata dalla asserita “ratio” della disposizione, per come dedotto dal ricorrente, atteso che la sentenza di non luogo a procedere rimane caratterizzata da un regime di revocabilità che non consente di equipararla ad una sentenza irrevocabile di assoluzione, profilo che renderebbe irrilevante, sul piano dell’individuazione del tertium comparationis, anche ogni valutazione circa un’eventuale denuncia di incostituzionalità della disposizione.

5. – Con il quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, anche in relazione all’art. 2119 c.c. e all’art. 3 del c.c.n.l. applicato, con riferimento alla proporzione fra il comportamento addebitato e la massima sanzione applicata.

5.1. – Il motivo è infondato, perchè la Corte di merito, come già sopra osservato, ha compiuto una espressa e compiuta valutazione sulla gravità fatto, ai fini del giudizio di proporzionalità della sanzione irrogata, con conseguente insussistenza della dedotta violazione di legge, risolvendosi ogni censura sul punto in un’inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito.

6. – Con il sesto motivo il ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la motivazione addotta siccome meramente apparente in ordine alla valutazione della proporzionalità della sanzione in relazione agli elementi errati e/o non provati sui quali la Corte territoriale ha espresso il proprio giudizio.

6.1. – Anche questo motivo è infondato, secondo già osservato in relazione alla precedente censura, in quanto la Corte ha espresso il proprio argomentato convincimento sul punto, onde non è ravvisabile la denunciata ipotesi di motivazione apparente, mentre le ulteriori argomentazioni sviluppate in proposito nel ricorso tendono – il che non è consentito in sede di legittimità – ad infirmare l’accertamento fattuale e/o il governo delle prove espressi nella sentenza impugnata.

7. – Con il settimo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza e/o del procedimento, per essere stata addotta una motivazione contraria ai documenti allegati in ordine alla lamentata ingiuriosità del licenziamento.

7.1. – La censura è infondata, in quanto la Corte di merito ha motivato chiaramente le ragioni per le quali ha escluso la responsabilità dell’ente, onde non è ravvisabile l’ipotesi di motivazione apparente, risolvendosi, anche in questo caso, le ulteriori doglianze in un’inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito della ricostruzione fattuale posta a fondamento della sentenza impugnata.

8. – In definitiva, il ricorso è complessivamente infondato e va respinto.

9. – Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo in ragione della difesa della parte controricorrente assunta dalla avvocatura comunale.

10. – Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.000,00 Euro per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2023


SANZIONI AL CODICE DELLA STRADA: NUOVO AUMENTO DELLE SPESE DI NOTIFICA DA LUNEDÌ 24 LUGLIO 2023

Si comunica che da lunedì 24 luglio aumenteranno le spese postali di notifica per le sanzioni al Codice della Strada. Si tratta del terzo aumento da giugno 2022, poi marzo 2023 ed ora a luglio. È Poste Italiane che nel “rispetto dei limiti e delle prescrizioni disposte dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni con la Delibera 160/23/CONS del 27 giugno 2023”, andrà a modificare le condizioni economiche dei “Servizi Universali” di corrispondenza e pacchi.
Le cause dell’aumento sono specificate nei preamboli della delibera, che autorizza e consente a Poste Italiane s.p.a. il recupero dell’inflazione registrata nel secondo semestre del 2022 e nel primo semestre 2023 al fine di perseguire la corrispondenza delle tariffe dei servizi universali con i sottostanti costi di produzione, anche considerato “che negli ultimi dodici mesi il tasso di inflazione è calcolato nella misura del 6,75%, corrispondente alla media tra il dato accertato dall’Istituto nazionale di statistica per l’anno 2022 (indice FOI quantificato dall’Istat in 8,1%) e la stima per l’anno 2023 utilizzata per la programmazione economica e finanziaria annuale dello Stato (indice TIP quantificato dal Ministero dell’economia e delle finanze in 5,4%)”.
Le tariffe dell’Atto Giudiziario, comprensive della quota forfettaria di CAN e CAD, subiranno modifiche in tutti gli scaglioni di peso. L’importo complessivo dovuto per invii accettati presso gli Uffici Postali fino a 20 grammi varierà da € 10,85 a € 11,45, mentre per gli invii accettati presso i centri business (anche con l’opzione bolgetta), utilizzati dagli organi di polizia stradale, ivi compresi quelli dei Servizi Integrati Notifiche, varierà da € 10,45 a € 11,05. Tale incremento sarà applicato anche alle tariffe di recapito di Atto Giudiziario Business Online.
Si passa così dai 9.50 euro di giugno 2022 (quando l’aumento fu del 7%) a 11.05 euro in 13 mesi, con un aumento stratosferico del 16,3%, che supera la soglia dell’inflazione.
Un verbale da 42 euro per un divieto di sosta avrà così un aggravio di 11,05 euro solo di spese postali, oltre alle spese procedurali che variano a seconda dell’organo di polizia che la notifica, che variano dai 3 ai 20 euro per alcuni comandi Polizia Locale. Per cui anche oltre 70 euro. Un verbale per violazione alla zona a traffico limitato (83 euro sanzione da codice della strada) arriverà ad oltre 100 euro. Se invece si è sorpresi alla guida, utilizzando il cellulare (165 euro la sanzione prevista dal codice della strada) si pagheranno 190-195 euro, così come circolare contromano (167 euro la sanzione prevista dal codice).
Va ricordato che proprio il codice prevede il pagamento integrale sia della sanzione così come delle spese di notifica e procedurali. Nei primi cinque giorni dalla notifica è possibile pagare con lo sconto del 30%.
“Un anno fa, dopo uno dei tanti aumenti delle spese postali ASAPS – Associazione Sostenitori e Amici Polizia Stradale – chiedeva un intervento al Governo per fermare gli aumenti, così come l’aumento biennale degli importi delle sanzioni. Mentre lo scorso gennaio quest’ultimo è stato bloccato con la legge di bilancio, assistiamo invece ad un incremento vertiginoso delle spese postali che ci preoccupa.
ASAPS sollecita l’attivazione della Piattaforma Notifiche Digitali, attraverso il SEND (Servizio Notifiche Digitali), la nuova piattaforma realizzata da PagoPA oggi a disposizione degli enti pubblici per digitalizzare e semplificare la notificazione a valore legale degli atti amministrativi, con risparmio per la spesa pubblica e minori oneri di notifica per i cittadini, che ha visto proprio in questi giorni le prime notifiche in quattro comuni (Verona, Gattinara, Misano Adriatica e Mortara), che andrebbe da subito a ridurre a soli 2 euro più le spese procedurali i costi. Ancora una volta aumentano i costi postali a discapito degli automobilisti, che vengono giustamente sanzionati quando non osservano le norme del Codice della Strada.

Leggi: Servizi postali universali interno e estero dal 24 07 2023 – Tariffe

Leggi: Delibera AGICOM n. 160-2023


Notifica effettuata direttamente presso l’abitazione del legale rappresentante della società

La notificazione della cartella di pagamento effettuata direttamente al legale rappresentante della società presso l’abitazione dello stesso è da ritenere ritualmente avvenuta e regolare.
In tal senso si è espressa la Corte Suprema di Cassazione nell’ordinanza n. 18614/2023.

Il caso: la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da Equitalia Sud S.p.A. nonché in parziale accoglimento dell’appello incidentale avanzato dalla società Delta s.r.l. riformava parzialmente la sentenza di primo grado determinando il debito tributario oggetto di iscrizione ipotecaria nella minore somma di euro 6.800,32; ad avviso dei giudici di merito andavano esclusi gli importi di nn. 5 cartelle di pagamento prodromiche all’iscrizione ipotecaria che risultavano notificate irritualmente in violazione del disposto di cui all’art. 145 cod. proc. civ., nel testo ratione temporis vigente.
Equitalia Sud Spa ricorre per cassazione, deducendo che i giudici di appello avevano applicato un principio di diritto erroneo non considerando che le notifiche in questione, eseguite direttamente presso la residenza dell’allora legale rappresentante della società, ante riforma del 2006, dovevano essere ritenute valide alla luce di principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità.
Per la Corte Suprema di Cassazione il motivo è fondato: sul punto vi sono due orientamenti:
a) una parte della giurisprudenza di legittimità, in più occasioni, ha affermato che gli atti tributari devono essere notificati al contribuente persona giuridica presso la sede della stessa (nel regime anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 dicembre 2005, n. 263), secondo la disciplina dell’art. 145, primo comma, cod. proc. civ. e, solo qualora tale modalità risulti impossibile, in base al successivo terzo comma del medesimo art. 145, la notifica potrà essere eseguita, ai sensi degli artt. 138 e ss.;
b) successivamente, le Sezioni Unite nella sentenza n. 22086/2017 ha sancito che la notificazione di un atto ad una società – data la diretta riferibilità ad essa, in virtù del principio di immedesimazione organica, degli atti compiuti da e nei confronti di coloro che la rappresentano e ne realizzano esecutivamente le finalità – è regolarmente effettuata alla persona specificamente preposta alla ricezione per conto dell’ente sociale, anche se reperita in luogo diverso dalla sede ufficiale dello stesso, per la medesima regola sancita per le persone fisiche dall’art. 138 c.p.c., secondo cui la consegna a mani proprie è valida ovunque sia stato trovato il destinatario nell’ambito territoriale della circoscrizione;
c) nel caso di specie la notificazione delle cartelle in questione è stata effettuata al legale rappresentante della società presso l’abitazione dello stesso sicché è da ritenere ritualmente avvenuta, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito.


“Furbetti del cartellino” in aumento nella Pubblica Amministrazione

È stato registrato un aumento dei cosiddetti “furbetti del cartellino” nella Pubblica Amministrazione, nel 2022.

Secondo quanto emerso dal Giudizio di Parificazione del Rendiconto generale dello Stato, presentato alla fine di giugno scorso dalla Corte dei Conti, sono in aumento i furbetti del cartellino, ovvero i dipendenti che timbrano la presenza a lavoro, quando in realtà sono altrove.

Il fenomeno è cresciuto del 13% nel 2022.

Come dichiarato nel report della Corte dei Conti, la “falsa attestazione della presenza in servizio” è la causa di almeno il 30% dei licenziamenti nelle pubbliche amministrazioni.

Nel 2022, sono stati scoperti 168 casi di dipendenti pubblici che timbravano il cartellino, quando in realtà non entravano in servizio. Di questi, 51 sono stati licenziati, 53 sono stati sospesi dal servizio e 47 sono stati sono stati sospesi per procedimento penale (al momento della pubblicazione del Rendiconto, 17 casi non erano stati inclusi).

La percentuale di allontanamento dal lavoro, nel 2022, è stata del 26,3%, molto vicina a quella dell’anno precedente, che si attestava al 26%. È in diminuzione, invece, la percentuale delle sospensioni motivate dalla commissione di un reato (-1% rispetto al 2021).

Dipendenti con doppi stipendi

Nel report è presente anche il tema dei dipendenti pubblici che hanno “arrotondato” lo stipendio, lavorando in altri uffici, senza autorizzazione.

Il valore totale degli importi accumulati ha toccato i 7,6 miliardi di euro.

La Guardia di Finanza, nel 2022, ha scoperto 293 casi di presunti doppi stipendi non consentiti. Tutto ciò ha portato ad una serie di sanzioni amministrative, per un totale di 4 milioni e mezzo di euro.

In quasi tutte le sanzioni disciplinari, disposte nel 2022, le motivazioni principali sono state il non aver osservato le disposizioni di servizio e l’aver tenuto comportamenti negligenti o scorretti, oltre alle assenze ingiustificate.

Sulle 2897 segnalazioni inoltrate all’Ispettorato, 1457 riguardano le amministrazioni pubbliche centrali, 726 gli enti locali e 436 gli enti pubblici non economici.

In 998 casi le segnalazioni non hanno portato a nulla, a volte per l’incompetenza dell’Ispettorato e, in altri casi, perché si trattava di segnalazioni infondate o già superate.


Send, come funziona la nuova piattaforma che da oggi notifica atti a valore legale: dal fermo amministrativo al preavviso di ipoteca

Da oggi 15 luglio 2023 è attiva la piattaforma SEND Servizio Notifiche Digitali (prima si chiamava Piattaforma Notifiche Digitali). Sul sito si può fare l’accesso sia come imprese che come cittadini.

Cos’è? È un modo più semplice e veloce di gestire la corrispondenza di atti a valore legale. La piattaforma infatti digitalizza la gestione delle comunicazioni a valore legale, semplificando il processo sia per chi invia che per chi riceve.
SEND digitalizza e semplifica la gestione delle comunicazioni a valore legale. Gli enti mittenti devono depositare l’atto da notificare: sarà la piattaforma a occuparsi dell’invio, per via digitale o analogica. Le notifiche sono inviate, gestite e monitorate tramite un solo canale, accessibile da più referenti dello stesso ente.
Con SEND diminuisce l’incertezza della reperibilità dei destinatari e si riducono i tempi e i costi di gestione.
L’ente mittente deve solo caricare l’atto. SEND si integra con il protocollo degli enti e offre sia API per l’invio automatico delle notifiche, sia la possibilità di fare invii manuali. Una volta effettuato il caricamento degli atti e dei moduli di pagamento, la piattaforma genera lo IUN, un codice univoco identificativo della notifica. Successivamente, cerca nei suoi archivi e nei registri pubblici una PEC riconducibile al destinatario e invia la notifica. Poi, invia un avviso di cortesia agli altri recapiti digitali (app IO, email e SMS) del destinatario. Se il destinatario non ha indicato alcun recapito digitale e non ha accesso alla piattaforma, questa procede con la ricerca di un indirizzo fisico, e quindi con l’invio tramite raccomandata cartacea.
Il destinatario accede alla piattaforma tramite SPID o CIE, dove può visionare e scaricare l’atto notificato. Grazie all’integrazione con pagoPA, può anche pagare contestualmente quanto dovuto. Se ha attivato il servizio su app IO, potrà fare tutto direttamente in app. Come l’ente, anche il destinatario ha accesso alla cronologia degli stati della notifica e alle attestazioni opponibili a terzi che ne danno prova.
La comunicazione di cortesia, che il destinatario della notifica può ricevere su IO, l’app dei servizi pubblici, via mail o tramite SMS, contiene il link per la consultazione della notifica e dei documenti allegati sulla piattaforma, mediante un codice che identifica la notifica (IUN). Se la notifica prevede un pagamento, questo potrà essere effettuato direttamente sulla piattaforma pagoPA.
È possibile notificare tramite SEND il preavviso di ipoteca e il fermo amministrativo?
La legge che istituisce SEND (l’art. 26, comma 17, del D.L. n. 76/2020) esclude l’utilizzo di SEND per le notifiche relative:

a: gli atti del processo civile, penale, per l’applicazione di misure di prevenzione, amministrativo, tributario e contabile. Ed è escluso anche per gli atti della procedura di espropriazione forzata disciplinata dal titolo 2, capi 2 e 4, del D.P.R.n. 602/1973, diversi da quelli di cui all’art. 50, commi 2 e3, e all’art. 77, comma 2-bis.
Il preavviso di ipoteca però è disciplinato dall’art. 77, comma 2-bis, del D.P.R. n.602/1973 e il fermo amministrativo è disciplinato all’art. 86 del D.P.R. n. 602/1973, rubricato al titolo 2, capo 3. La notifica tramite SEND è, pertanto, ammessa per entrambi.
La notifica digitale potrà avere come destinatari anche le persone giuridiche?
Le notifiche potranno essere inviate in formato digitale sia alle persone fisiche sia alle persone giuridiche. Per queste ultime è in corso di implementazione l’integrazione con INI-PEC (domicili digitali persone giuridiche) e Registro delle Imprese.
Chi può aderire a SEND?
A SEND possono aderire le Pubbliche Amministrazioni e gli agenti della riscossione. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni statali, come gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado; le istituzioni educative; le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo; le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni; le istituzioni universitarie; gli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP).
Ma anche le Camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni; tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali; le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio Sanitario Nazionale; l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, che svolgono attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in atto esercitate da Ministeri ed enti pubblici e operano al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e locali.
Oltre alle pubbliche amministrazioni, quali altri soggetti possono aderire a SEND?
Possono aderire a SEND gli agenti della riscossione e altri soggetti ai quali può essere affidata l’attività di riscossione, in particolare: i soggetti iscritti nell’albo istituito dal MEF (quindi anche una società privata ma solo se è iscritta all’albo), i riscossori stabiliti in un Paese membro dell’Unione Europea previa presentazione di certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento. E poi anche le società a capitale interamente pubblico, a condizione che: l’ente titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla; svolga la propria attività solo nell’ambito territoriale di pertinenza dell’ente che la controlla.


Corte cost., Sent., (data ud. 19/04/2023) 11/07/2023, n. 140

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

Svolgimento del processo
SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo e terzo periodo, della L.R. Valle d’Aosta 30 maggio 2022, n. 8 (Disposizioni in materia di interventi di riqualificazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 5 agosto 2022, depositato in cancelleria il 5 agosto 2022, iscritto al n. 55 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;

udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2023 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Renato Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;

deliberato nella camera di consiglio del 19 aprile 2023.

1.- Con ricorso notificato il 5 agosto 2022 e depositato in pari data (reg. ric. n. 55 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché all’art. 2, lettera a), della L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo e terzo periodo, della L.R. Valle d’Aosta 30 maggio 2022, n. 8 (Disposizioni in materia di interventi di riqualificazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica).

2.- La suddetta legge regionale è finalizzata a dare sostegno all’attuazione di specifici interventi nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, per la cui realizzazione dispone, per quanto qui rileva: a) l’istituzione, da parte dell’Azienda regionale per l’edilizia residenziale (ARER), di un’apposita struttura di progetto cui assegnare unità di personale non dirigenziale a tempo determinato (art. 3, comma 1); b) l’assunzione di tale personale, individuato nella misura di due unità, in via straordinaria e urgente, per un periodo massimo di trentasei mesi (art. 3, comma 2, primo periodo); c) l’effettuazione delle relative procedure selettive, dirette al reclutamento, “con modalità semplificate di svolgimento delle prove, assicurando comunque il profilo comparativo per titoli e prova orale nella quale è accertato anche il possesso di conoscenze informatiche e digitali” (art. 3, comma 2, secondo periodo); d) la pubblicazione dei bandi delle predette procedure selettive, “entro il 31 dicembre 2022, nell’Albo notiziario e nel sito istituzionale dell’ARER per quindici giorni consecutivi” (art. 3, comma 2, terzo periodo).

3.- Ad avviso del ricorrente il secondo periodo dell’art. 3, comma 2, della L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022 – stabilendo che la selezione dei candidati avvenga esclusivamente sulla base dei titoli posseduti e mediante prova orale – si porrebbe in contrasto con l’art. 35-quater, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che invece prevede l’espletamento di almeno una prova scritta.

Il terzo periodo della medesima disposizione regionale, in quanto stabilisce la pubblicazione dei bandi unicamente nell’albo e nel sito istituzionale dell’ARER, senza prevedere, quantomeno, la pubblicazione di un avviso di concorso nel Bollettino Ufficiale della Regione, confliggerebbe sia con l’art. 35, comma 3, lettera a), del D.Lgs. n. 165 del 2001, secondo cui le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni devono rispettare, tra l’altro, il principio della “adeguata pubblicità della selezione”, sia con l’art. 4 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi). Quest’ultima disposizione, al comma 1, prevede, infatti, la pubblicazione dei bandi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e, al comma 1-bis, consentirebbe agli enti locali territoriali di sostituire tale pubblicazione unicamente con un avviso di concorso contenente gli estremi dei bandi stessi e l’indicazione della scadenza del termine per la presentazione delle domande.

Le richiamate disposizioni atterrebbero al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, la cui disciplina sarebbe ascrivibile alla materia dell’ordinamento civile, e recherebbero norme fondamentali di riforma economico-sociale. Di conseguenza le disposizioni regionali impugnate violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e l’art. 2, lettera a), dello statuto speciale, il quale, nell’attribuire alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste la competenza legislativa primaria nella materia “ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale”, esige il rispetto delle norme di riforma economico-sociale.

Risulterebbero lesi, inoltre, gli artt. 3 e 97 Cost.

Premesso che la regola del pubblico concorso è posta a presidio del principio di eguaglianza nonché dei canoni di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione (è citata la sentenza di questa Corte n. 227 del 2013), l’Avvocatura generale ritiene che le disposizioni impugnate – escludendo la necessità della prova scritta e non garantendo, in ragione delle descritte modalità di pubblicazione, “un’adeguata pubblicità e capacità di diffusione” dei bandi – pregiudichino l’esigenza di accertamento di un “adeguato livello di competenze” in capo ai concorrenti e la parità di accesso alle procedure selettive.

4.- Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, nella persona del Presidente della Giunta regionale, chiedendo di dichiarare inammissibili o, comunque, non fondate le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.

4.1.- Le censure di violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e 2, lettera a), dello statuto speciale sarebbero inammissibili, in primo luogo, perché non sufficientemente motivate e, ad ogni modo, contraddittorie, avendo il ricorrente evocato le anzidette disposizioni statali sia in quanto espressione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile, sia quali norme fondamentali di riforma economico-sociale idonee a vincolare l’esercizio della competenza primaria statutaria. In secondo luogo, per “errata individuazione dei titoli competenziali rilevanti e […] erroneità del presupposto interpretativo”, poiché le disposizioni impugnate sarebbero riconducibili alla competenza legislativa residuale in materia di organizzazione amministrativa regionale e a quella primaria statutaria nella materia “ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale”.

Nemmeno le censure formulate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. supererebbero il vaglio di ammissibilità, poiché il ricorrente non avrebbe spiegato le ragioni dell’asserito contrasto.

4.2.- Nel merito, sarebbe anzitutto insussistente la lamentata violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e 2, lettera a), dello statuto speciale.

Le disposizioni impugnate, infatti, disciplinerebbero l’accesso all’impiego pubblico regionale, dal momento che l’ARER è soggetta alla disciplina degli enti pubblici del comparto unico della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.

Esse, in particolare, costituirebbero esercizio della competenza legislativa residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale (art. 117, quarto comma, Cost.), che non potrebbe essere vincolata dalla legge statale, oltre che della competenza primaria di cui all’art. 2, lettera a), dello statuto speciale, che sarebbe stata, in ogni caso, rispettata in quanto l’art. 35-quater, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 165 del 2001 non sarebbe idoneo a integrare una norma di riforma economico-sociale.

In forza di tali rilievi le censure in parola sarebbero dunque prive di pregio.

Anche le questioni promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sarebbero destituite di fondamento.

La resistente premette che le disposizioni impugnate riguarderebbero l’assunzione di personale da impiegare per l’attuazione degli interventi urgenti previsti dall’art. 1 della stessa L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022 nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica.

In questa prospettiva, l’impugnato secondo periodo dell’art. 3, comma 2, nel prevedere una procedura semplificata, non comprometterebbe l’esigenza di verifica delle attitudini professionali dei candidati, in quanto espressamente statuisce che la selezione debba comunque assicurare il profilo comparativo attraverso la valutazione dei titoli e lo svolgimento della prova orale.

Analogamente, la disciplina posta dall’impugnato terzo periodo dell’art. 3, comma 2, anch’essa giustificata dall’esigenza di procedere tempestivamente alle assunzioni, garantirebbe in ogni caso un’adeguata pubblicità delle procedure indette; del resto, nella specie, il bando di concorso approvato sarebbe stato anche inviato dall’ARER a tutti gli altri enti del comparto unico del pubblico impiego regionale, “all’indirizzo PEI regionale dedicato alle opportunità di lavoro”, agli ordini professionali, ai centri per l’impiego, agli organi di informazione e alle organizzazioni sindacali.

5.- Con memoria tempestivamente depositata, la Regione ha ribadito le argomentazioni illustrate nell’atto di costituzione in giudizio e ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni ivi formulate.

Motivi della decisione
1.- Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 55 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato il secondo e il terzo periodo dell’art. 3, comma 2, della L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022.

2.- La legge regionale all’interno della quale si collocano le disposizioni impugnate è rivolta a sostenere l’attuazione di specifici interventi nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, per la cui realizzazione dispone, per quanto qui rileva: a) l’istituzione, da parte dell’Azienda regionale per l’edilizia residenziale (ARER), di un’apposita struttura di progetto cui assegnare personale non dirigenziale a tempo determinato (art. 3, comma 1); b) l’assunzione di tale personale, individuato nella misura di due unità, in via straordinaria e urgente, per un periodo massimo di trentasei mesi (art. 3, comma 2, primo periodo); c) l’effettuazione delle relative procedure selettive, dirette al reclutamento, “con modalità semplificate di svolgimento delle prove, assicurando comunque il profilo comparativo per titoli e prova orale nella quale è accertato anche il possesso di conoscenze informatiche e digitali” (art. 3, comma 2, secondo periodo); d) la pubblicazione dei bandi delle predette procedure selettive, “entro il 31 dicembre 2022, nell’Albo notiziario e nel sito istituzionale dell’ARER per quindici giorni consecutivi” (art. 3, comma 2, terzo periodo).

3.- Secondo il ricorrente, il secondo periodo del citato art. 3, comma 2, non prevedendo lo svolgimento di una prova scritta, si porrebbe in contrasto con l’art. 35-quater, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 165 del 2001, che tale prova invece contempla.

Il successivo terzo periodo – disponendo la pubblicazione dei bandi esclusivamente nell’albo e nel sito istituzionale dell’ARER – si discosterebbe sia dall’art. 35, comma 3, lettera a), del D.Lgs. n. 165 del 2001, secondo cui i bandi concorsuali debbono rispettare il principio della “adeguata” pubblicità, sia dall’art. 4 del D.P.R. n. 487 del 1994, che, al comma 1-bis, consentirebbe agli enti locali territoriali di sostituire la pubblicazione dei bandi di concorso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, prevista dal precedente comma 1, con, perlomeno, quella di un avviso di concorso.

Le disposizioni impugnate, confliggendo con le suddette “norme interposte” violerebbero, in primo luogo, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in riferimento alla competenza legislativa esclusiva nella materia dell’ordinamento civile.

In secondo luogo, dal momento che le richiamate previsioni del D.Lgs. n. 165 del 2001 integrerebbero altresì “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica”, sarebbe violato anche l’art. 2, lettera a), dello statuto speciale, il quale riconosce sì alla resistente la competenza legislativa primaria nella materia “ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale”, ma ne vincola l’esercizio al rispetto, per l’appunto, delle citate norme statali.

Risulterebbero lesi, inoltre, gli artt. 3 e 97 Cost.

Limitandosi a stabilire lo svolgimento delle prove selettive per titoli e prova orale e la pubblicazione dei bandi nell’albo e nel sito istituzionale dell’ARER, le disposizioni impugnate frustrerebbero, l’una, l’esigenza di accertamento della professionalità dei candidati e, l’altra, la parità di accesso alle procedure selettive: sarebbero in tal modo pregiudicati i principi di imparzialità, di buon andamento dell’azione amministrativa e di eguaglianza, alla cui realizzazione è funzionale la regola del pubblico concorso.

4.- Vanno preliminarmente disattese le eccezioni d’inammissibilità sollevate dalla resistente, sul presupposto che le censure statali siano generiche, contraddittorie e non sufficientemente motivate.

Sebbene il ricorso statale si presenti indubbiamente stringato, riesce comunque a individuare le ragioni dei prospettati contrasti, raggiungendo, in relazione ad essi, la “soglia minima di chiarezza e completezza” (ex plurimis, sentenza n. 123 del 2022) necessaria ai fini dell’ammissibilità delle questioni promosse.

Non fondata è anche l’ulteriore eccezione di inammissibilità, prospettata perché le disposizioni impugnate sarebbero ascrivibili alla competenza legislativa residuale nella materia “ordinamento e organizzazione amministrativa regionale” e a quella statutaria nella materia “ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale”.

Essa infatti involge aspetti di merito e non di ammissibilità (ex plurimis, sentenze n. 267 e n. 17 del 2022, n. 195 del 2021 e n. 53 del 2020).

5.- Le censure statali attinenti alla violazione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile non sono fondate.

5.1.- Va premesso che, nello specifico contesto normativo valdostano, l’ARER e il personale da essa dipendente fanno parte del comparto unico del pubblico impiego regionale.

Infatti, l’art. 1, comma 1, ultimo periodo, della L.R. Valle d’Aosta 23 luglio 2010, n. 22 (Nuova disciplina dell’organizzazione dell’Amministrazione regionale e degli enti del comparto unico della Valle d’Aosta. Abrogazione della L.R. 23 ottobre 1995, n. 45, e di altre leggi in materia di personale), attrae espressamente nella propria disciplina – che definisce i principi e i criteri di organizzazione delle strutture dell’amministrazione regionale e degli enti pubblici non economici dipendenti dalla Regione, nonché dei relativi rapporti di lavoro – anche l’ARER (benché ente pubblico economico) e il suo personale, stabilendo altresì che a questo continui a trovare applicazione il contratto collettivo regionale di lavoro del comparto unico della Regione Valle autonoma d’Aosta/Vallée d’Aoste.

Da tale assetto normativo non discende però la conseguenza paventata dal ricorso statale, perché viene comunque in rilievo il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui, se “gli interventi legislativi che incidono sui rapporti lavorativi in essere sono ascrivibili alla materia “ordinamento civile””, si devono “per converso ricondurre alla materia residuale dell’organizzazione amministrativa regionale quelli che intervengono “a monte”, in una fase antecedente all’instaurazione del rapporto, e riguardano profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale” (sentenza n. 267 del 2022; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 84, n. 39 e n. 9 del 2022, n. 195 e n. 25 del 2021).

Non sono pertanto ascrivibili alla materia “ordinamento civile” le disposizioni regionali rivolte a disciplinare le procedure concorsuali dirette all’assunzione e i relativi bandi: esse attengono invece alla competenza legislativa residuale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 267 del 2022, n. 42 e n. 20 del 2021, n. 200 del 2020).

Nell’ambito di quest’ultima competenza rientrano le disposizioni impugnate.

Esse, infatti, hanno a oggetto le modalità di pubblicazione di bandi concorsuali e quelle di svolgimento di prove selettive funzionali all’accesso all’impiego: spiegano quindi la loro efficacia nella fase anteriore all’instaurazione dei rapporti lavorativi, con la conseguente non fondatezza della censura prospettata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

5.2.- Parimenti non fondata è la censura di violazione dell’art. 2, lettera a), dello statuto speciale.

In analoghe fattispecie questa Corte ha già precisato che “la competenza legislativa residuale in materia di organizzazione amministrativa del personale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. – in virtù della cosiddetta clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – spetta anche alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in quanto rappresenta, in questo specifico contesto (sentenza n. 119 del 2019), una forma di autonomia più ampia di quella primaria già attribuitale dall’art. 2 dello statuto speciale, che incontra, fra l’altro, il limite delle “norme fondamentali di riforma economico-sociale” (sentenze n. 58 del 2021, n. 77 del 2020 e, nello stesso senso, anche sentenza n. 241 del 2018)” (ancora sentenza n. 267 del 2022).

La circostanza che le norme del D.Lgs. n. 165 del 2001 evocate dal ricorso statale possano essere riconosciute quali norme fondamentali di riforma economico-sociale non vale quindi a vincolare la potestà residuale della Regione.

6.- Nemmeno è fondata la censura statale relativa all’art. 3, comma 2, secondo periodo, della L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022, prospettata in riferimento all’art. 97 Cost.

6.1.- Questa Corte ha sì affermato che le norme statali che regolano le procedure concorsuali per l’accesso all’impiego pubblico possono “”contribuire a enucleare e a definire” i contorni del principio di buon andamento” che le regioni devono comunque rispettare nell’esercizio della propria competenza legislativa residuale (sentenze n. 267 del 2022 e n. 126 del 2020); ma ha al contempo precisato che tali norme non ne rappresentano la “unica declinazione possibile” (sentenze n. 58 del 2021 e n. 273 del 2020), sicché “non ogni difformità” della disciplina regionale rispetto alle regole dettate dallo Stato denota la violazione dell’art. 97 Cost. (sentenze n. 126 del 2020 e n. 241 del 2018).

6.2.- Il ricorso statale non precisa in quali termini l’art. 35-quater, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 165 del 2001 risulterebbe applicabile anche ai contratti a tempo determinato, direttamente regolati dall’art. 36 del medesimo decreto legislativo, ma si limita a contestare, richiamando la suddetta disposizione, il venir meno, in contrasto con i canoni di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, della ragionevole “garanzia di un adeguato livello di competenze”.

6.3.- Tale effetto non è tuttavia imputabile alla disciplina regionale, che autorizzando l’assunzione, in via straordinaria e urgente, di due unità di personale a tempo determinato, pur non prevedendo la prova scritta, impone che venga comunque effettuata la comparazione dei concorrenti, e ciò sulla base sia dei titoli da essi vantati sia dell’esito della prova orale, nella quale deve essere peraltro accertato anche il possesso delle conoscenze informatiche e digitali.

In tal modo, la norma in esame non irragionevolmente contempera le esigenze di celerità del reclutamento, sottese al carattere temporaneo dei progetti alla cui attuazione sono preordinate le assunzioni in discorso, con l’obiettivo di selezionare soggetti in possesso della necessaria qualificazione professionale.

Del resto, proprio con specifico riferimento ai contratti a termine, questa Corte, da un lato, ha ritenuto che non violi il principio di buon andamento una norma regionale che consente la selezione “per soli titoli”, anziché per titoli ed esami, rilevando che “la previsione di un metodo selettivo concorsuale più snello […] è giustificata dal carattere temporaneo delle necessità organizzative da soddisfare e dalla conseguente esigenza di maggiore rapidità nello svolgimento delle selezioni” (sentenza n. 235 del 2010).

Dall’altro, ha escluso il medesimo contrasto rispetto a una norma regionale che prevedeva, diversamente da quanto disposto in via generale dal legislatore statale (art. 37, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001), la mera facoltatività dell’accertamento della conoscenza dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche (sentenza n. 200 del 2020).

La norma in questione, pertanto, non presta il fianco alla censura formulata dal ricorso statale.

7.- A diverse conclusioni si deve pervenire con riguardo al terzo periodo dell’art. 3, comma 2, della L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022.

7.1.- In questo caso le disposizioni statali citate dal ricorrente (art. 35, comma 3, lettera a, del D.Lgs. n. 165 del 2001 e art. 4 del D.P.R. n. 487 del 1994) esprimono il carattere indefettibile del pubblico concorso, che ritrova nella natura aperta della procedura selettiva, in più occasioni ribadita da questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 95 del 2021, n. 227 del 2013, n. 299 del 2011, n. 225 del 2010 e n. 293 del 2009), un suo elemento essenziale.

È di tutta evidenza che tale natura aperta implica adeguate modalità di pubblicazione dei bandi concorsuali, perché solo un’ampia conoscibilità della loro indizione può permettere la partecipazione alla selezione di chiunque abbia i requisiti richiesti.

Le richiamate norme statali contribuiscono certamente a enucleare e a definire i contorni di una ragionevole declinazione dei principi del buon andamento e della parità di accesso alle cariche pubbliche.

La modalità di pubblicazione stabilita dall’art. 3, comma 2, terzo periodo, della L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022 non assicura, invece, un’idonea diffusione dei bandi e si pone dunque in contrasto con i suddetti principi costituzionali.

La pubblicazione unicamente nell’Albo notiziario e nel sito istituzionale dell’ARER mina, infatti, la possibilità, per il quivis de populo, di venire a conoscenza delle procedure in parola e restringe eccessivamente l’accessibilità delle stesse da parte dei potenziali candidati.

Non è inutile, del resto, osservare come la stessa Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste abbia dedotto che il bando approvato a seguito dell’adozione della legge regionale di cui si discute è stato anche trasmesso dall’ARER – evidentemente riconoscendo l’inidoneità della disciplina dettata dalla disposizione impugnata ad assicurarne un’adeguata diffusione – agli altri enti del comparto unico, “all’indirizzo PEI regionale dedicato alle opportunità di lavoro”, agli ordini professionali, ai centri per l’impiego, agli organi di informazione e alle organizzazioni sindacali.

7.2.- Né a diverse conclusioni può condurre l’assunto della resistente secondo cui le censurate forme di pubblicità sarebbero state nella specie “necessari[e]” per consentire la tempestiva assunzione del personale.

Il BUR – nel quale la pubblicazione degli estratti dei bandi delle procedure selettive è in linea generale prevista dall’art. 12, comma 1, lettera b), del regolamento regionale 12 febbraio 2013, n. 1 (Nuove disposizioni sull’accesso, sulle modalità e sui criteri per l’assunzione del personale dell’Amministrazione regionale e degli enti del comparto unico della Valle d’Aosta. Abrogazione del Reg. reg. 11 dicembre 1996, n. 6) – è, infatti, “pubblicato settimanalmente, salvo edizioni straordinarie” (art. 5, comma 1, della L.R. Valle d’Aosta 23 luglio 2010, n. 25, recante “Nuove disposizioni per la redazione del Bollettino Ufficiale della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e per la pubblicazione degli atti della Regione e degli enti locali. Abrogazione della L.R. 3 marzo 1994, n. 7”).

La pubblicazione nel BUR avrebbe consentito, quindi, tempi ragionevolmente compatibili anche con l’esigenza della tempestività delle assunzioni.

7.3.- Alla stregua delle argomentazioni che precedono, deve in conclusione essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, terzo periodo, della L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, terzo periodo, della L.R. Valle d’Aosta 30 maggio 2022, n. 8 (Disposizioni in materia di interventi di riqualificazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica);

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo periodo, della L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché all’art. 2, lettera a), della L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, terzo periodo, della L.R. Valle d’Aosta n. 8 del 2022, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e all’art. 2, lettera a), della L.Cost. n. 4 del 1948, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 2023.

Depositata in Cancelleria l’11 luglio 2023


Notifica via pec non andata a buon fine per “casella piena” del destinatario: effetti

La Corte Suprema di Cassazione nell’ordinanza n. 16125/2023 chiarisce quali oneri abbia il notificante nel caso in cui la notifica via pec dell’appello non vada a buon fine a causa della casella piena del destinatario.

Il caso: Tizio, quale attore nell’ambito di un procedimento avanti alla sezione specializzata in materia di impresa, chiedeva al Tribunale adito di accertare la sua titolarità delle quote societarie di due società di famiglia nelle misure rispettivamente del 50% e 33% del capitale sociale; nonché di accertare l’illegittimità del comportamento dei convenuti (parenti dell’attore) e la lesione del suo diritto di prelazione e, per l’effetto, la condanna delle controparti alla restituzione a suo favore delle quote societarie in questione, nella misura rispettivamente di € 103,29 e di € 20.650,00 istando al contempo per la sua reintegrazione nelle compagini sociali.

Il Tribunale rigettava le domande di Tizio; Caio, quale erede di Tizio, nel frattempo deceduto, proponeva appello con atto notificato il 5 ottobre 2017; la Corte d’Appello dichiarava inammissibile il proposto appello per tardività della notificazione dell’impugnazione per decorso inutile del termine breve:

  • la notificazione dell’impugnazione si era perfezionata il 5 ottobre 2017; la notificazione della sentenza impugnata era avvenuta via pec il 13.4.2017 al difensore costituito dell’appellante;
  • a sostegno dell’avvenuta notifica della sentenza di primo grado la Corte aveva acquisito il messaggio di mancata consegna per casella postale piena.

Caio ricorre alla Corte Suprema di Cassazione, deducendo come terzo motivo la nullità della sentenza impugnata in relazione all’articolo 360, n. 4, c.p.c. per violazione degli artt. 3-bis l. 21 gennaio 1994, n. 53, 16, 16- sexies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179: sul punto la ricorrente eccepisce che:

  1. la Corte territoriale ha ritenuto erroneamente inammissibile per tardività l’appello sul presupposto che si sarebbe perfezionata la notificazione via PEC ad opera delle parti convenute della sentenza di primo grado, ancorché il sistema non avesse generato la ricevuta di “avvenuta consegna” ed avesse invece generato una ricevuta di “mancata consegna” per casella pec piena;
  2. tale situazione non può essere omologata come pretende la Corte territoriale al rifiuto del destinatario di ricevere copia dell’atto da notificare, nel qual caso la notifica si considera fatta a mani proprie, perché, nel caso di specie, il destinatario nulla sa della eseguita notificazione via pec;
  3. non potendo dirsi perfezionata la notifica via pec della sentenza di primo grado, non ha iniziato a decorrere il termine breve per l’appello ex art. 325 c.p.c. pertanto l’appello di Caio avrebbe dovuto essere considerato tempestivo ed ammissibile.

La Corte Suprema di Cassazione, nel ritenere fondata la censura, riguardo alla questione del perfezionamento (o meno) della notifica a mezzo PEC, nel caso in cui la casella digitale del destinatario risulti piena, e ribadisce quanto segue:

  1. si ritiene di dare continuità all’orientamento per cui “ove vi sia la dichiarazione di domicilio “fisico” (nella specie risultante ex actis) in caso di casella piena del soggetto destinatario, è insufficiente per il notificante depositare la relativa comunicazione del gestore della casella, dovendosi quest’ultimo attivare, per effettuare la notifica, a tentare di eseguire l’adempimento al domicilio fisico del destinatario, precedentemente eletto;
  2. pertanto, “in caso di notificazione a mezzo PEC non andata a buon fine, ancorché per causa imputabile al destinatario (nella specie per “casella piena”), ove concorra una specifica elezione di domicilio fisico – eventualmente in associazione al domicilio digitale – il notificante ha il più composito onere di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario fisico eletto in un tempo adeguatamente contenuto, non potendosi, invece, ritenere la notifica perfezionata in ogni caso con il primo invio telematico”.

Leggi: Cassazione-civile-ordinanza-16125-2023


Notifiche PEC e riforma Cartabia: sospesi i commi 2 e 3 della L. n. 53/1994

La legge 3 luglio 2023 n. 87, di conversione del DL. 51/2023, pubblicata in G.U. il 5 luglio 2023, reca novità anche in tema di notifiche PEC ai sensi della legge n. 53/1994.

Il primo marzo 2023 è entrato in vigore il nuovo art. 3 ter della L. n. 53/1994, così come disposto dal decreto legislativo n. 149/2022:

Legge n. 53/1994 – Art. 3-ter

  1. L’avvocato esegue la notificazione degli atti giudiziali in materia civile e degli atti stragiudiziali a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando il destinatario:
  2. è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi;
  3. ha eletto domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 6-quater del medesimo decreto.
  4. Nei casi previsti dal comma 1, quando per causa imputabile al destinatario la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato non è possibile o non ha esito positivo:
  5. se il destinatario è un’impresa o un professionista iscritto nell’indice INI-PEC di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l’inserimento; la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l’inserimento;
  6. se il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto il domicilio digitale di cui all’articolo 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie.
  7. Quando per causa non imputabile al destinatario la notificazione di cui al comma 1 non è possibile o non ha esito positivo, si esegue con le modalità ordinarie.

[Disposizione in vigore dal 28 febbraio 2023 di applicazione ai procedimenti civili instaurati successivamente a tale data (1° marzo 2023). Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti (art. 35 comma 1)].

Si è già a conoscenza del fatto che, le più importanti e significative novità introdotte da tale articolo, pur formalmente entrate in vigore dal 1 marzo 2023 in realtà non hanno potuto produrre i propri effetti; questo perché sia il pubblico elenco INAD (previsto dal primo comma lettera b dell’art. 3 ter l. 53/1994) sia l’area web ex art. 359 del codice dell’impresa e dell’insolvenza (prevista dal secondo comma lettera a dell’art. 3 ter l. 53/1994), in realtà non erano ancora presenti ed utilizzabili.

Quanto al pubblico elenco INAD, l’Agenzia per l’Italia Digitale ha reso noto, lo scorso 6 giugno 2023, che lo stesso sarebbe stato consultabile dal 6 luglio 2023 mentre, quanto all’area web prevista dall’art. 359 del codice dell’impresa e dell’insolvenza, nessuna novità fino alla pubblicazione della legge 3 luglio 2023 n. 87.

L’articolo 4 ter, a tal proposito, adesso dispone così:

Art. 4 ter

(Proroga in materia di disciplina delle notificazioni eseguite dagli avvocati ai sensi dell’articolo 3-ter della legge 21 gennaio 1994, n. 53).

  1. L’efficacia delle disposizioni dei commi 2 e 3 dell’articolo 3-ter della legge 21 gennaio 1994, n. 53, introdotto dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, è sospesa fino al 31 dicembre 2023. Fino a tale data, quando la notificazione ai sensi del comma 1 dell’articolo 3-ter della citata legge n. 53 del 1994 non è possibile o non ha esito positivo, essa è eseguita con le modalità ordinarie e si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione della notificazione dallo stesso inviata mediante posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato.

E così una delle novità della riforma Cartabia che avrebbero potuto (forse) rendere più rapido e sicuro il procedimento di notifica tramite PEC ai sensi della L. n. 53/1994 quando la stessa non si concludeva per causa imputabile al destinatario, non solo di fatto non è mai entrata in vigore causa l’inesistenza di tale area ma, con la disposizione sopra trascritta, viene sospesa fino al 31 dicembre 2023.

Si riporta, quindi, il nuovo articolo 3 ter della legge 53/1994 in vigore dal 6 luglio 2023:

Legge n. 53/1994 – Art. 3-ter

  1. L’avvocato esegue la notificazione degli atti giudiziali in materia civile e degli atti stragiudiziali a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando il destinatario:
  2. è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi;
  3. ha eletto domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 6-quater del medesimo decreto.

Per effetto delle modifiche apportate si ricorda quindi che, dal 6 luglio 2023 e fino al 31 dicembre 2023, quando la notificazione ai sensi del comma 1 dell’articolo 3-ter della citata legge n. 53 del 1994 non è possibile o non ha esito positivo, essa è eseguita con le modalità ordinarie e si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione della notificazione dallo stesso inviata mediante posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato.


Pec obbligatoria nelle comunicazioni tra l’amministrazione e l’impresa

Sussiste l’obbligo giuridico di utilizzare, in via esclusiva, nelle comunicazioni tra p.a. e imprese, la Pec, Posta elettronica certificata.

Lo ha sancito il Consiglio di stato, sez. VI con la sentenza del 6 giugno 2023 n. 5534.

La controversia in esame verte sul principio della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. e più precisamente se operi la presunzione di ricezione della Pec. Una ditta aveva impugnato il fatto che la notifica della comunicazione di avvio dell’istruttoria di un procedimento amministrativo era stata ritenuta rituale nonostante l’amministrazione avesse ricevuto l’avviso di mancata consegna. I giudici amministrativi respingono la doglianza e precisano che non può avere alcun rilievo il fatto che la Pec dalla società appellante sia temporaneamente fuori servizio.
La Pec, infatti, costituisce ormai mezzo ordinario (nonché esclusivo) per le comunicazioni tra p.a. e imprese. Il dpcm 22 luglio 2011, contenente le “Comunicazioni con strumenti informatici tra imprese e amministrazioni pubbliche” ed adottato in attuazione proprio del menzionato art. 5-bis, comma 2, Cad, prevede, peraltro, al suo art. 3, che, a decorrere dal 1° luglio 2013, “le pubbliche amministrazioni non possono accettare o effettuare in forma cartacea le comunicazioni” (comma 1) e che “in tutti i casi in cui non è prevista una diversa modalità di comunicazione telematica, le comunicazioni avvengono mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata”, ai sensi degli artt. 48 e 65, comma 1, lett. c-bis, Cad. Sulla base del combinato disposto degli artt. 5, comma 1, dl 179 del 2012 (convertito con modificazioni dalla l. n. 221 del 2012) e 16, comma 6, del dl 185 del 2008 e ss.mm., ogni impresa individuale o collettiva ha l’obbligo di essere titolare di Pec ed ha, di riflesso, l’onere di mantenere la stessa in condizioni di efficienza, adottando ogni accorgimento idoneo a garantirne l’ordinaria operatività (ad esempio con lo spostamento o eliminazione dei messaggi per prevenire l’esaurimento della capacità di ricezione ovvero, per quanto qui più di interesse, col regolare adempimento delle eventuali obbligazioni assunte nei confronti del gestore del servizio).
V’è pertanto l’obbligo giuridico dell’impresa di rendersi reperibile con Pec e l’obbligo della p.a. di impiegarla quale unico strumento di comunicazione.

Leggi anche: Attivazione dell’Indice Nazionale dei Domicili Digitali (INAD) 2023


Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 30/06/2023, n. 18614

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo M. – Consigliere –

Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2725/2014 R.G. proposto da:

EQUITALIA SUD Spa , elettivamente domiciliato in ROMA VIA CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato CASADEI BIANCA MARIA (CSDBCM66M56H501X) rappresentato e difeso dall’avvocato RAGNI VINCENZO (RGNVCN66S16A662S);

-ricorrente-

contro

(Omissis) Srl ;

-intimato-

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BARI n. 30/2013 depositata il 13/06/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/05/2023 dal Consigliere FABIO DI PISA.

Svolgimento del processo
1. la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con la sentenza n. 30/07/2013 depositata in data 13/06/2013 e non notificata, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da Equitalia Sud Spa nonchè in parziale accoglimento dell’appello incidentale avanzato dalla società (Omissis) Srl riformava parzialmente la sentenza di primo grado determinando il debito tributario oggetto di iscrizione ipotecaria nella minore somma di Euro 6.800,32;

1.1 ad avviso dei giudici di merito andavano esclusi gli importi di cui alle cartelle di pagamento prodromiche all’iscrizione ipotecaria nn. (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis) che risultavano notificate irritualmente in violazione del disposto di cui all’art. 145 c.p.c., nel testo ratione temporis vigente;

2. Equitalia Sud Spa propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo;

3. la (Omissis) Srl è rimasta intimata;

4. la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. a seguito della relazione del consigliere relatore, ex art. 380-bis c.p.c., il quale ha rilevato l’infondatezza della censura;

Motivi della decisione
1. Equitalia Sud Spa , con un unico motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 145 c.p.c. nel testo ratione temporis vigente;

1.1. ad avviso di parte ricorrente i giudici di appello avevano applicato un principio di diritto erroneo non considerando che le notifiche in questione, eseguite direttamente presso la residenza dell’allora legale rappresentante della società, ante riforma del 2006, dovevano essere ritenute valide alla luce di principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità;

2. il ricorso è fondato;

2.1. la questione sollevata è stata oggetto di una interpretazione non univoca da parte della giurisprudenza di legittimità che, in più occasioni, ha affermato che gli atti tributari devono essere notificati al contribuente persona giuridica presso la sede della stessa (nel regime anteriore alle modifiche introdotte con la L. 28 dicembre 2005, n. 263), secondo la disciplina dell’art. 145, comma 1, c.p.c. e, solo qualora tale modalità risulti impossibile, in base al successivo comma 3 del medesimo art. 145, la notifica potrà essere eseguita, ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c., alla persona fisica che rappresenta l’ente. (vedi Sez. 5, Sentenza n. 8649 del 15/04/2011, Rv. 617529 – 01; in senso conforme, Sez. 2, Sentenza n. 8402 del 20/06/2000, Rv. 537846 – 01 nonchè Sez. 3, Sentenza n. 20104 del 18/09/2006, Rv. 592280 – 01 e Sez. 5, Sentenza n. 15399 del 11/06/2008, Rv. 604055 – 01);

2.2. in altre occasioni la giurisprudenza si è pronunziato nel senso prospettato da parte ricorrente (vedi Cass. 19468/2007 nonchè Cass. 7898/2013);

2.3. ad avviso di questo Collegio occorre tenere conto di quanto successivamente affermato da S.U. n. 22086/2017 in ordine al fatto che la notificazione di un atto ad una società – data la diretta riferibilità ad essa, in virtù del principio di immedesimazione organica, degli atti compiuti da e nei confronti di coloro che la rappresentano e ne realizzano esecutivamente le finalità – è regolarmente effettuata alla persona specificamente preposta alla ricezione per conto dell’ente sociale, anche se reperita in luogo diverso dalla sede ufficiale dello stesso, per la medesima regola sancita per le persone fisiche dall’art. 138 c.p.c., secondo cui la consegna a mani proprie è valida ovunque sia stato trovato il destinatario nell’ambito territoriale della circoscrizione;

2.4. trovando applicazione alla fattispecie in esame, ratione temporis, il testo dell’art. 145, comma 2, c.p.c., anteriore alla modifica apportatavi dalla L. n. 263/05, pur non risultando tentata la notificazione nella sede legale indicata nell’art. 19 c.p.c., deve ritenersi, alla luce del condivisibile principio sopra richiamato, che la notificazione delle cartelle de quibus poteva ritualmente avvenire mediante consegna nelle mani dello stesso legale rappresentante, ovunque reperito (vedi, anche, Cass. nn. 1856/84, 8402/00 e 20104/06);

2.5. nella specie la notificazione delle cartelle in questione è stata effettuata al legale rappresentante della società presso l’abitazione dello stesso sicchè è da ritenere ritualmente avvenuta, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito;

3. conseguentemente la sentenza impugnata va annullata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, decidendo nel merito va rigettato il ricorso introduttivo proposto in primo grado dalla società contribuente, ferma restando la declaratoria di difetto di giurisdizione relativamente alle cartelle riguardanti crediti non tributari;

3.1. la natura delle questioni trattate, non sempre oggetto di univoca interpretazione giurisprudenziale e la interpretazione chiarificatrice delle S.U. intervenuta nelle more del giudizio, giustificano l’integrale compensazione di tutte le spese dei vari gradi di giudizio.

P.Q.M.
La Corte ferma la declaratoria di difetto di giurisdizione relativamente alle cartelle relative a crediti non tributari, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso proposto in primo grado dalla (Omissis) Srl ; dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2023