Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 30-06-2020) 21-10-2020, n. 22985

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10583-2017 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. FILIBERTO 166, presso lo studio degli avvocati ANTONIO CORVASCE, SOFIA PASQUINO, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 4628/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/10/2016 R.G.N. 4202/2013.

Svolgimento del processo
CHE:

1. L.A., dipendente del Ministero della Giustizia addetta alla cancelleria Gip del Tribunale di Roma, ha prestato servizio dal 2001 al 2005, sulla base di un orario giornaliero dalle 8 alle 15,12, per cinque giorni la settimana, rinunciando, con il consenso dell’Amministrazione, alla pausa pranzo;

la L., non avendo percepito in tale periodo i buoni pasto giornalieri, ha agito giudizialmente per ottenere il pagamento del controvalore pecuniario, oltre al risarcimento del danno, con domanda che è stata respinta dal Tribunale di Roma, la cui sentenza è stata poi confermata dalla Corte d’Appello della medesima città;

la Corte d’Appello affermava che l’art. 4 del CCNL di riferimento condizionava il riconoscimento del buono pasto all’effettuazione della pausa pranzo, cui invece la ricorrente aveva rinunciato;

d’altra parte, aggiungeva la Corte, la circolare ministeriale del 10.2.1998, nel riconoscere la possibilità del dipendente di rinunciare alla pausa, ma con mantenimento del diritto al buono pasto, si riferiva al caso di recupero in soli due giorni delle ore non effettuate nella sesta giornata settimanale, con orario di lavoro di nove ore e restava subordinato ad esigenze di servizio;

nel caso di specie nulla era risultato in ordine alla ricorrenza di ragioni organizzative di interesse dell’Amministrazione nell’accogliere la domanda della L. di rinuncia alla pausa pranzo e dunque, al di là del fatto che la circolare non poteva rivestire effetti normativi, comunque non ricorrevano neppure i presupposti da essa indicati;

2. la L. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso del Ministero.

Motivi della decisione
CHE:

con il primo motivo la ricorrente afferma la violazione del D.P.R. n. 3 del 1957, L. n. 724 del 1994, art. 22, D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 8, L. n. 550 del 1995, art. 2, comma 11, L. n. 334 del 1997, art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 29 del 1996, art. 52 della Circolare 10 febbraio 1998 ed inoltre dell’Accordo Sindacale 30.4.1996, integrato dall’Accordo 12.12.1996, nonchè dell’art. 19, comma 4 CCNL (orario di lavoro) e dell’art. 7, comma 1 CCNL 12.1.1996;

1.1 il motivo è infondato;

come è noto, il diritto alla fruizione dei buoni pasto ha natura assistenziale e non retributiva, finalizzata ad alleviare, in mancanza di un servizio mensa, il disagio di chi sia costretto, in ragione dell’orario di lavoro osservato, a mangiare fuori casa (Cass. 28 novembre 2019, n. 31137; Cass. 8 agosto 2012, n. 14290);

esso, data tale natura, dipende strettamente dalle previsioni delle norme o della contrattazione collettiva che ne consentano il riconoscimento;

in particolare, qualora di regola esso sia riconnesso ad una pausa, destinata al pasto, il sorgere del diritto dipende dal fatto che quella pausa sia in concreto fruita;

le norme primarie (L. n. 334 del 1997, art. 3, comma 1, e L. n. 550 del 1995, art. 2, comma 11) si limitano del resto a rinviare, per le regole di attribuzione dei buoni pasto, ad appositi accordi collettivi;

nel caso di specie i presupposti del diritto sono fissati dall’art. 4, comma 2, dell’accordo collettivo sul riconoscimento dei buoni pasto, secondo cui “il buono pasto viene attribuito per la singola giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la relativa pausa prevista dall’art. 19, comma 4, del CCNL, all’interno della quale va consumato il pasto”;

l’art. 19, comma 4, del CCNL del 1995, ivi richiamato, stabilisce a propria volta che “dopo massimo sei ore continuative di lavoro deve essere prevista una pausa che comunque non può essere inferiore ai 30 minuti”, previsione sostanzialmente analoga a quella dell’art. 7, comma 1, CCNL 1996 cui fa parimenti riferimento il motivo di ricorso;

questa Corte, interpretando norme di formulazione sostanzialmente identica a quelle appena evidenziate, seppure in relazione all’area dirigenziale, ha in effetti ritenuto che “in materia di trattamento economico del personale del comparto Ministeri, il cosiddetto buono pasto non è, salva diversa disposizione, elemento della retribuzione “normale”, ma agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale”, la quale quindi “spetta solo ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 4 dell’accordo di comparto del personale appartenente alle qualifiche dirigenziali del 30 aprile 1996, che ne prevede l’attribuzione ai dipendenti con orario settimanale articolato su cinque giorni o turnazioni di almeno otto ore, per le singole giornate lavorative in cui il lavoratore effettui un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la pausa all’interno della quale va consumato il pasto, dovendosi interpretare la regola collettiva nel senso che l’effettuazione della pausa pranzo è condizione di riconoscimento del buono pasto” (Cass. 14290/2012 cit.);

nel caso di specie è pacifico che la pausa pranzo non sia stata fruita, per rinuncia ad essa della lavoratrice, evidentemente al fine di poter terminare anticipatamente, nel primo pomeriggio, la prestazione di lavoro;

pertanto, in mancanza di pause, non sono integrati gli estremi cui la disciplina collettiva subordina il diritto alla prestazione;

1.2 il motivo, nella parte in cui denuncia la “violazione e/o falsa applicazione della Circolare 10 febbraio 1998” è invece inammissibile;

è noto infatti che le circolari non sono fonte del diritto ma semplici presupposti chiarificatori della posizione espressa dalla P.A. su un dato oggetto (Cass. 12 gennaio 2016, n. 280; Cass. 14 dicembre 2012, n. 23042; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1577; Cass. 6 aprile 2011, n. 7889), sicchè la loro ipotetica violazione non è denunciabile in cassazione sotto il profilo (art. 360 c.p.c., n. 3) della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (Cass. 10 agosto 2015, n. 16644; Cass. 30 maggio 2005, n. 11449), nè la censura è stata fatta come violazione dei criteri ermeneutici (art. 1362 ss. c.c.) relativi ad atti unilaterali (amministrativi nella specie);

1.3 nè ha rilievo la veridicità o meno della rinuncia della L. ai buoni pasto, da essa negata, in quanto è sufficiente che vi sia stata rinuncia alle pause, quale elemento necessario al riconoscimento del diritto;

quanto poi all’argomento sviluppato dalla ricorrente secondo cui l’articolazione dell’orario, nel pubblico impiego, non potrebbe mai basarsi su esigenze personali del lavoratore, esso non muta le conclusioni da assumere;

è indubbio infatti che la P.A. possa negare il consenso alla rinuncia alla pausa pranzo, se ciò entri in contrasto con le proprie esigenze di servizio, ma ciò non significa che una tale articolazione oraria, se derivante da richiesta del lavoratore, non risalga ad un’autonoma decisione di quest’ultimo della quale, se l’effetto sia quello di far venire meno uno dei presupposti per la fruizione dei buono pasto, lo stesso non possa lamentarsi nei riguardi del proprio datore di lavoro;

non può poi affermarsi la coincidenza della rinuncia alla pausa concomitante con l’esigenza di un servizio ininterrotto, di cui alla Circolare, con il consenso ad una rinuncia alla pausa prospettata dal dipendente e cui la P.A. si limiti a consentire, in quanto in quest’ultimo caso non vi è la ineludibile esigenza amministrativa di un servizio ininterrotto, ma solo l’accettazione di esso come tale, per avallare la domanda del dipendente;

1.4 altra questione è se l’organizzazione oraria comunque definita risulti eventualmente in contrasto con la disciplina sui riposi e le pause, tra cui le norme, citate dalla ricorrente nel motivo, di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 22 e D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 8;

ciò tuttavia potrebbe avere rilievo non sul diritto a percepire i buoni pasto, che dipende dal verificarsi dei corrispondenti e specifici presupposti, ma semmai rispetto ad eventuali danni, anche alla persona, che dovessero essere derivati dall’indebita modalità di organizzazione del lavoro, ma non è questo l’oggetto del contendere quale impostato in causa;

2. il secondo motivo afferma, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c., sostenendo che alla ricorrente sarebbe spettato il risarcimento del danno per equivalente derivante da inadempimento della controparte;

l’inadempimento, anche in tale motivo, è identificato nel rifiuto di corrispondere i buoni pasto, ma è evidente l’insostenibilità dell’assunto, in quanto se i buoni pasto non erano dovuti, tale inadempimento non può esservi, mentre del tutto evanescente e non meglio specificato risulta, nei tratti concreti ulteriori rispetto ad un inadempimento che in sè non vi è stato, il richiamo, parimenti contenuto nel motivo, ai principi di buona fede e correttezza;

il terzo motivo è dedicato infine alla denuncia di violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2697 c.c. e 115 e 414 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) oltre che all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5);

nel corpo del motivo si censura in realtà esclusivamente il fatto che i giudici di appello non abbiano ammesso le prove pur articolate nel ricorso di primo grado e sulle quali la ricorrente aveva insistito anche con l’atto di appello;

il motivo è del tutto generico, non indicando neppure il contenuto di tali prove, sicchè ne è palese l’inammissibilità;

3. al rigetto del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020


Modulo per richiesta rimborso spese – anno 2021

Nel rimborso delle spese ricadono i costi degli spostamenti, e quindi di treni, automobili ed aerei, nonché dei mezzi pubblici. Vi sono inoltre i costi di vitto e alloggio, effettuati in strutture di ristorazione ed alberghiere.

E’ importante, al fine di ottenere il dovuto rimborso delle spese di viaggio, di tenere nota accurata di ogni spesa, redigendone una opportuna nota spese, con i seguenti dati:

  • data in cui la spesa è effettuata
  • luogo in cui la spesa è effettuata
  • importo della spesa effettuata
  • documentazione allegata comprovante l’importo (fattura o ricevuta)

Tale nota spese sarà poi consegnata/inviata all’Unità Operativa Vicolo Quasimodo 34 – 35020 Albignasego PD.

I costi chilometrici per utilizzo di mezzi di trasporto di proprietà

Tariffe ACI e trasferte nel comune

Nella realtà è frequente rilevare l’erogazione e la contabilizzazione di rimborsi chilometrici per l’utilizzo da parte di dipendenti e parasubordinati di mezzi di trasporto propri per conto e nell’interesse delle imprese in cui operano.

Il relativo costo viene determinato in base alle percorrenze e prendendo come riferimento le tariffe ACI che sono determinate in base ai seguenti parametri:

• categoria del veicolo utilizzato (autovettura, motociclo, ciclomotore, fuoristrada, autofurgone);

• elenco delle marche automobilistiche;

• tipo di alimentazione (es. benzina, gasolio, ecc.);

• periodo di utilizzo del veicolo.

In linea generale l’utilizzo da parte di dipendenti e parasubordinati di veicoli propri genera in loro favore il diritto al riconoscimento di un’indennità chilometrica a titolo di rimborso spese.

La stessa viene calcolata in base ai seguenti due elementi:

percorrenza effettuata per conto dell’impresa, determinata in chilometri;

costo chilometrico oggettivamente attribuibile al tipo di mezzo utilizzato.

Va preliminarmente precisato che se viene riconosciuto un costo superiore rispetto a quello effettivo per l’impiego di autoveicoli personali del dipendente o parasubordinato, il maggiore importo rispetto alla tariffa ACI genera un fringe benefit che deve venire computato fra gli emolumenti imponibili delle retribuzioni o dei corrispettivi, sia ai fini fiscali che previdenziali. È parimenti considerato fringe benefit il corrispettivo erogato che non risulti analiticamente giustificato in base alla percorrenza effettiva del mezzo per finalità aziendali.

L’utilizzo dell’auto del dipendente o parasubordinato può riguardare trasferte:

• poste in essere nel territorio del comune sede di lavoro;

• relative a tragitti fatti al di fuori del comune sede di lavoro.

Trasferte nel comune

In linea generale l’indennità chilometrica corrisposta per trasferte nel comune sede di lavoro costituisce sempre un emolumento imponibile ai fini IRPEF e per il calcolo dei contributi previdenziali.

Invece l’indennità chilometrica corrisposta per trasferte fatte con utilizzo di autovetture del dipendente e parasubordinato è considerata un rimborso spese e non va assoggettata a ritenute previdenziali e fiscali quando il relativo ammontare non supera il limite determinato dalla Tariffa ACI con riferimento al veicolo usato.

In ogni caso l’indennità in esame deve risultare esposta nel Libro Unico del lavoro, e deve venire documentata con un prospetto analitico predisposto e sottoscritto dal soggetto utilizzatore.

Scarica il modulo: Prospetto rimborso spese 2021


DL 20/10/2020, n. 129

DECRETO LEGGE 20 ottobre 2020, n. 129 (1)

Disposizioni urgenti in materia di riscossione esattoriale.

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 20 ottobre 2020, n. 260.

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

Tenuto conto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato la pandemia da COVID-19;

Visto il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27;

Visto il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante: «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19»;

Visto il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, recante: «Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia»;

Visto il decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante: «Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020», con il quale è stato prorogato lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 al 31 gennaio 2021;

Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di intervenire sui termini di versamento dei carichi affidati all’agente della riscossione in considerazione del protrarsi della predetta situazione di emergenza;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 18 ottobre 2020;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze;

EMANA

il seguente decreto-legge:

Art. 1. Disposizioni in materia di riscossione

1. All’articolo 68 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nei commi 1 e 2-ter, le parole: «15 ottobre» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre»;
b) dopo il comma 4, è aggiunto il seguente:
«4-bis. Con riferimento ai carichi, relativi alle entrate tributarie e non tributarie, affidati all’agente della riscossione durante il periodo di sospensione di cui ai commi 1 e 2-bis, sono prorogati di dodici mesi:
a) il termine di cui all’articolo 19, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112;
b) anche in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, e salvo quanto previsto dall’articolo 157, comma 3, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, i termini di decadenza e prescrizione in scadenza nell’anno 2021 per la notifica delle cartelle di pagamento. Relativamente ai termini di decadenza e prescrizione in scadenza nell’anno 2020 per la notifica delle cartelle di pagamento, si applica quanto disposto dall’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159.».
2. All’articolo 152, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, le parole: «15 ottobre» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre».
3. Agli oneri derivanti dal presente articolo, valutati in 109,5 milioni di euro per l’anno 2020 e 72,8 milioni di euro per l’anno 2021 in termini di saldo netto da finanziare e in 316 milioni di euro per l’anno 2020 e 210 milioni di euro per l’anno 2021 in termini di indebitamento netto e di fabbisogno, si provvede:
a) quanto a 275,8 milioni di euro per l’anno 2020, mediante corrispondente versamento all’entrata del bilancio dello Stato, da parte dell’Agenzia delle entrate, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, a valere sulle somme trasferite alla predetta Agenzia per effetto dell’articolo 65 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 e dell’articolo 28, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77;
b) quanto a 72,8 milioni di euro per l’anno 2021, mediante utilizzo delle risorse di cui all’articolo 2, comma 55, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, come modificato dall’articolo 1, comma 167, della legge 27 dicembre 2013, n. 147;
c) quanto a 40,2 milioni di euro per l’anno 2020 e 137,2 milioni di euro per l’anno 2021, in termini di indebitamento e fabbisogno, mediante corrispondente riduzione del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189.

Art. 2. Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.


Demansionamento escluso per impiego in mansioni inferiori

Secondo la Corte di cassazione, al dipendente possono essere assegnati, per motivate esigenze aziendali, anche compiti inferiori al proprio livello qualora questi risultino comunque marginali rispetto alle sue mansioni.
La Suprema corte ha respinto il ricorso promosso dal dipendente di una Srl contro la decisione con cui, nel merito, era stata ritenuta infondata la domanda volta alla declaratoria dell’obbligo, da parte della datrice, di adibire il deducente esclusivamente alle mansioni di sua competenza.
Il lavoratore, in particolare, aveva chiesto che fosse dichiarato illegittimo l’ordine di servizio col quale gli erano state assegnate mansioni inferiori e dequalificanti e che gli fosse corrisposta la retribuzione prevista contrattualmente per la qualifica di appartenenza, comprese le somme arretrate.
Inoltre, la sua domanda era tesa all’accertamento dell’illegittimità nonché del carattere persecutorio e vessatorio del comportamento tenuto nei suoi confronti dalla società datrice, concretizzatosi – a suo dire – in un demansionamento e, successivamente, a fronte del rifiuto da lui opposto all’impiego prescrittogli, in una condotta di mobbing, realizzata attraverso la reiterata irrogazione di sanzioni disciplinari a suo carico.
Sia nel primo che nel secondo grado del giudizio, tuttavia, questa tesi era stata smentita: i giudici di merito avevano ritenuto che, nella specie, fosse legittimo l’impiego dell’interessato in mansioni inferiori alla propria qualifica di appartenenza.
Era stata, infatti, ritenuta ammissibile una flessibilità nell’utilizzo del medesimo lavoratore, tenuto conto del ridotto periodo di tempo di adibizione alle menzionate mansioni inferiori nell’arco della singola giornata lavorativa.
Ciò posto, era stata considerata formalmente legittima l’irrogazione di sanzioni disciplinari a carico del deducente in conseguenza del rifiuto di questi rispetto ai compiti assegnatigli.
Da qui in ricorso in sede di legittimità del lavoratore, volto a contestare la conformità a diritto della pronuncia della Corte d’appello: secondo la sua difesa, l’impiego promiscuo in compiti propri della qualifica inferiore, in precedenza rivestita, doveva essere escluso sul piano legislativo e contrattuale, con conseguente illegittimità anche del rigetto della sua domanda di risarcimento da demansionamento.
Con ordinanza n. 22668 del 19 ottobre 2020, la Corte di cassazione ha giudicato infondata la doglianza del ricorrente e ciò alla luce dell’orientamento di legittimità sopra richiamato: il lavoratore può essere adibito, per motivate esigenze aziendali, anche a compiti inferiori, se marginali rispetto a quelli del suo livello.
La Sezione lavoro della Suprema corte ha sottolineato come, nella specie, la flessibilità data dall’impiego del lavoratore in mansioni promiscue si era rivelata, di per sé, legittima, non trovando ostacolo nella disciplina contrattuale di settore ai sensi dell’art. 2 del CCNL del 27.11.2000 (Trasporto Pubblico Locale).
Senza contare che l’interpretazione di quest’ultima disposizione, in termini di legittimazione della flessibilità in uso in quanto autorizzata da precedenti accordi collettivi per dichiarati superati – per come fatta propria dalla Corte territoriale – non risultava adeguatamente confutata dal ricorrente.
Ne conseguiva la non configurabilità di condotte illegittime del datore di lavoro idonee a fondare pretese risarcitorie.


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 13-07-2020) 19-10-2020, n. 22668

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19765/2017 proposto da:

D.B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V. CARLO MIRABELLO 11, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PIO TORCICOLLO, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO PARATO;

– ricorrente –

contro

FERROVIE DEL SUD-EST E SERVIZI AUTOMOBILISTICI S.R.L., SOCIETA’ CON SOCIO UNICO, SOGGETTA ALL’ATTIVITA’ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE S.P.A., SUCCEDUTA EX LEGE ALLA “GESTIONE COMMISSARIALE GOVERNATIVA PER LE FERROVIE DEL SUD EST”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A STOPPANI 34, presso lo studio dell’avvocato CARLO MOLAIOLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3001/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 07/02/2017 r.g.n. 2582/2013.

Svolgimento del processo
che, con sentenza del 7 febbraio 2017, la Corte d’Appello di Lecce confermava la decisione resa dal Tribunale di Lecce e rigettava le domande proposte da D.B.A. nei confronti di Ferrovie del Sud-Est e Servizi Automobilistici S.r.l., domande aventi ad oggetto la declaratoria dell’obbligo della Società datrice di adibire il D.B. esclusivamente alle mansioni di sua competenza quale “operatore di scambi cabina” e non, come la stessa Società aveva disposto, con apposito ordine di servizio, a quelle, inferiori e quindi dequalificanti, precedentemente svolte di “operatore di manutenzione” e di corrispondergli la retribuzione prevista contrattualmente per la qualifica di appartenenza ivi comprese le somme arretrate non corrisposte dalla data di maturazione del diritto, l’accertamento dell’illegittimità nonchè del carattere persecutorio e vessatorio del comportamento della Società concretatisi nel demansionamento e, a fronte del rifiuto opposto dal D.B. a tale impiego, nella reiterata irrogazione di sanzioni disciplinare, la sua conseguente configurabilità in termini di mobbing, incidente in senso pregiudizievole sullo stato di salute psico-fisico del D.B. e la condanna della Società al risarcimento del danno biologico, professionale, esistenziale e morale, da liquidarsi anche in via equitativa;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto legittimo l’impiego del D.B. in mansioni inferiori a quelle proprie della qualifica di appartenenza dovendo ammettersi, anche alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali, una tale flessibilità, tenuto conto del ridotto periodo di tempo di adibizione ad esse, in assoluto e nell’arco della singola giornata lavorativa, irrilevante a tale stregua la questione dell’ammissibilità di tale flessibilità alla luce della disciplina collettiva, formalmente legittima l’irrogazione di sanzioni disciplinari, dovendosi ritenere le previsioni sul punto recate dal R.D. n. 148 del 1931, compatibili con la regolamentazione privatistica del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri e, perciò, estranee all’abrogazione del R.D. n. 148 del 1931, disposta dalla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 9 e rinunziate e comunque infondate le domande risarcitorie connesse al presunto demansionamento ed alla violazione dell’art. 2087 c.c.;

che per la cassazione di tale decisione ricorre il V., affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, la Società;

che il ricorrente ha poi presentato memoria.

Motivi della decisione
che, con l’unico motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2087 c.c. e del CCNL 27.11.2000 per il Trasporto Pubblico Locale in una con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamenta la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale per essere l’impiego promiscuo del ricorrente in compiti propri della qualifica inferiore in precedenza rivestita escluso sul piano legislativo e contrattuale e conseguentemente l’illegittimità del disconoscimento dell’idoneità lesiva dell’integrità psico-fisica del lavoratore della condotta della Società, viceversa qualificabile come mobbing e fonte di danno risarcibile, domanda questa a sua volta erroneamente considerata rinunziata e disattesa dalla Corte territoriale;

che il motivo esposto si rivela infondato, ritenendo questo Collegio di dover dare continuità all’orientamento accolto da questa Corte e puntualmente richiamato nella motivazione dell’impugnata sentenza per cui “il lavoratore può essere adibito, per motivate esigenze aziendali, anche a compiti inferiori, se marginali rispetto a quelli propri del suo livello” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. Lav., ord, 31 agosto 2018, n. 21515), in base al quale la flessibilità data dall’impiego del lavoratore in mansioni promiscue si rivela di per sè legittimo, mentre non trova ostacolo nella disciplina contrattuale di settore ai sensi dell’art. 2 del CCNL 27.11.2000, la cui interpretazione in termini di legittimazione della “flessibilità in uso” in quanto autorizzata da precedenti accordi collettivi pur dichiarati superati fatta propria dalla Corte territoriale non risulta adeguatamente confutata dal ricorrente, conseguendone, secondo quanto statuito dalla Corte territoriale l’inconfigurabilità nella specie di condotte illegittime della Società idonee a fondare pretese risarcitorie, di cui, comunque, inammissibilmente, per difetto di autosufficienza, stante la mancata trascrizione o allegazione di documentazione comprovante la circostanza, si contesta l’intervenuta rinunzia contestualmente affermata dalla Corte territoriale;

– che il ricorso va, dunque, rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020


Poste Italiane: ripristino termini di giacenza

… considerata l’evoluzione della pandemia in atto e il ponderato allentamento delle misure restrittive disposte dalle Autorità competenti, con decorrenza 15 ottobre sono ripristinati gli ordinari termini di giacenza contrattualmente previsti. …

Leggi: PP.TT. Coronavirus ripristino termini giacenza


GDS EMILIA ROMAGNA
(12-13 Novembre 2020)

Durì Francesco
Docente: Francesco Durì

Scarica il depliant

1° giornata

  • Data: 12 Novembre 2020
  • Orario: 9:00 – 13:00

2° giornata

  • Data: 13 Novembre 2020
  • Orario: 9:00 – 13:00

Programma

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità 

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 
  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Risposte a quesiti

  • Alla fine del corso ci sarà la possibilità di confrontarsi mediante domande e risposte sugli argomenti trattati

A richiesta, scritta (contrassegnare nel modulo di partecipazione), l’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità, gratuitamente, per le persone che verranno indicate al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (Art. 1, comma 158 e ss.).

Quota iscrizione

€ 152.00(*) (**)

se il partecipante alla giornata di studio è già è socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2019 con rinnovo anno 2020 già pagato al 31.12.2019. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

222.00(*) (**)

se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi all’Associazione per l’anno 2021 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

272,00 (*) (**)

più I.V.A se dovuta, per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi all’Associazione).
 

Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente

  • € 210,00 per il primo partecipante
  • € 180,00 per il secondo partecipante
  • € 100,00 per il terzo e oltre partecipante 

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2021 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile e/o integrabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 210,00 ecc. 

 

La quota di iscrizione comprende:

    • accesso in alla piattaforma e-learnig 
    • materiale didattico 

Modalità di pagamento

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

        • Codice IBAN:  IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
        • Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
        • Causale: Numero fattura elettronica
Versamento tramite Carta di Credito

 

Note importi
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)
(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se il corso online si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.

Modalità di partecipazione

La mancata partecipazione comporterà l’integrale fatturazione della quota di partecipazione.

È possibile sostituire i partecipanti in qualsiasi momento prima del corso On Line.

La conferma della tenuta del corso On Line sarà comunicata due giorni prima la data stabilita.

L’Associazione invierà ai partecipanti, che abbiano partecipato ad almeno il 70% delle ore previste, un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione al corso on line dovrà essere effettuata cliccando sul link a fondo pagina. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.
Pertanto, per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia-Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)


Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 16-09-2020) 14-10-2020, n. 22136

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17647-2019 proposto da:

ALIGRA’ DI B.S. & C. S.N.C., B.S. E C.R., rappresentati e difesi dall’Avvocato CHIERICATI ROSA ed elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte di cassazione, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A.;

– intimata –

avverso la SENTENZA n. 2936/2018 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA, depositata il 27/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/9/2020 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.

Svolgimento del processo
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che la Aligrà di B.S.fano & C. s.n.c. nonchè B.S. e C.R. avevano proposto nei confronti della sentenza con la quale, il 10/10/2017, il tribunale aveva dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione dagli stessi a suo tempo proposta avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nei loro confronti su ricorso della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a..

La corte, in particolare, ha condiviso il giudizio del tribunale secondo il quale l’opposizione, in quanto proposta con atto di citazione notificato in via telematica nel quarantesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo opposto ma oltre le ore 21, si era perfezionata, a norma degli del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 septies e art. 147 c.p.c., alle ore 7 del giorno successivo, vale a dire il quarantunesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo, ed era, quindi, tardiva e, come tale, inammissibile.

La Aligrà di B.S. & C. s.n.c. nonchè B.S. e C.R., con ricorso notificato il 27/5/2019, hanno chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza.

La Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. è rimasta intimata.

Motivi della decisione
1.Con l’unico motivo che hanno articolato, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 179 del 2012, art. 16-septies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’opposizione proposta dagli ingiunti con atto di citazione notificato in via telematica nel quarantesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo opposto ma oltre le ore 21, era tardiva, laddove, al contrario, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 75 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies lì dove prevedeva che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anzichè al momento di generazione della predetta ricevuta, l’opposizione in esame, sebbene spedita oltre le ore 21 del quarantesimo giorno successivo alla notificazione del decreto ingiuntivo opposto, deve essere ritenuta tempestiva.

2. Il motivo è fondato.

3. Il D.L. n. 179 del 2012, art. 16-quater, comma 3, conv. con modif. dalla L. n. 221 del 2012, dispone, in effetti, che la notifica eseguita con modalità telematica a mezzo di posta elettronica certificata “si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 1, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 2”.

4. Il citato d.L. n. 179, art. 16-septies ha aggiunto che la notificazione eseguita con modalità telematica è assoggettata alla norma prevista dall’art. 147 c.p.c. (secondo il quale, nella vigente formulazione, le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21) e che tale notifica, quando è eseguita dopo le ore 21, si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo.

5. Ora, la Corte costituzionale, con sentenza n. 75 del 2019, in merito alle notifiche eseguite con modalità telematiche, ha “dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. – il D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies (conv., con modif., in L. n. 221 del 2012), inserito dal D.L. n. 90 del 2014, art. 45-bis, comma 2, lett. b), (conv., con modif., in L. n. 114 del 2014), nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anzichè al momento di generazione della predetta ricevuta”.

6. In effetti, la fictio iuris relativa al differimento al giorno seguente degli effetti della notifica eseguita dal mittente tra le ore 21 e le ore 24, è giustificata nei confronti del destinatario, poichè il divieto di notifica telematica dopo le ore 21, previsto dalla prima parte dell’art. 16 septies, tramite il rinvio all’art. 147 c.p.c., mira a tutelare il suo diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) nella quale egli sarebbe altrimenti costretto a continuare a controllare la casella di posta elettronica.

7. Nei confronti del mittente, al contrario, il medesimo differimento comporta un irragionevole vulnus al pieno esercizio del diritto di difesa (segnatamente, nella fruizione completa dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio, anche nella sua essenziale declinazione di diritto ad impugnare), poichè gli impedisce di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa – che, nel caso di impugnazione, scade (ai sensi dell’art. 155 c.p.c.) allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno – senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta.

8. Inoltre, la restrizione delle potenzialità (accettazione e consegna sino alla mezzanotte) che caratterizzano e diversificano il sistema tecnologico telematico rispetto al sistema tradizionale di notificazione legato “all’apertura degli uffici” è intrinsecamente irrazionale, venendo a recidere l’affidamento che lo stesso legislatore ha ingenerato nel notificante immettendo il sistema telematico nel circuito del processo.

9. La reductio ad legitimitatem della disposizione si realizza con l’applicazione della regola generale di scissione soggettiva degli effetti della notificazione anche alla notifica effettuata con modalità telematiche con la conseguenza, in particolare, che, nei confronti del mittente, la notificazione richiesta ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 3, si perfeziona, ove la ricevuta di accettazione sia rilasciata entro le ore 24, il giorno stesso in cui è eseguita (Cass. n. 4712 del 2020; Cass. n. 12050 del 2020).

10. La corte d’appello, quindi, lì dove ha ritenuto che l’opposizione, in quanto proposta con atto di citazione notificato in via telematica nel quarantesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo opposto ma oltre le ore 21, era tardiva perchè perfezionatasi anche nei confronti del mittente alle ore 7 del giorno successivo, non si è, evidentemente, attenuta alla conclusione sopra esposta.

11. La sentenza impugnata dev’essere, quindi, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Bologna che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte così provvede: accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Bologna che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020


NOTA DI COMPIACIMENTO PER LAZZARO FONTANA

ALL’INDOMANI DELL’APPROVAZIONE DELL’ENNESIMO DECRETO LEGGE PER CONTRASTARE LA PANDEMIA DA COVID-19 SONO FIERA DI PUBBLICARE LA NOTA DI COMPIACIMENTO DELL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI DI REGGIO EMILIA NEI CONFRONTI DEL NOSTRO ULTRATRENTENNALE SOCIO ED ESPERTO DOCENTE ANVU LAZZARO FONTANA, COMANDANTE DEL CORPO DI POLIZIA LOCALE DELL’UNIONE COLLINE MATILDICHE (RE) CHE MI ONORO AVERE QUALE COMPONENTE DEL MIO STAFF NAZIONALE.

SONO GRATA AL C.TE LAZZARO FONTANA PER IL PREZIOSISIMO, GRATUITO ED INCESSANTE CONTRIBUTO PROFESSIONALE FORNITO AI DIRIGENTI ANVU (Associazione Professionale Polizia Locale d’Italia) ED, ATTRAVERSO LA NOSTRA ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE E LE SUE STRUTTURE, AI COLLEGHI DI TUTTA L’ITALIA FIN DALL’INIZIO DELLA PANDEMIA.

I SUOI PUNTUALI E COSTANTI AGGIORNAMENTI SONO STATI PER TUTTI NOI UN PREZIOSISSIMO E DETERMINANTE CONTRIBUTO NELL’ AFFRONTARE LE DIFFICILI AZIONI DI PRESIDIO E CONTROLLO DEL TERRITORIO, AL SERVIZIO DELLE COMUNITA’ OVE LAVORIAMO, AZIONI COMPLICATE DA UN SUSSEGUIRSI INCREDIBILE DI NORMATIVE NAZIONALI E REGIONALI CHE LUI DISTRICA.

UN SINCERO GRAZIE AL C.TE LAZZARO FONTANA A NOME MIO, DEL CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE E DI TUTTI I COLLEGHI D’ITALIA.

SARA’ MIA PREMURA ORGANIZZARE UN MOMENTO DI RICONOSCENZA NEI SUOI CONFRONTI IN UNO DEI FUTURI EVENTI FORMATIVI ANVU, PERCHE’ MERITA DI PERCEPIRE TUTTA LA NOSTRA STIMA.

IL PRESIDENTE NAZIONALE ANVU
SILVANA PACI

LEGGI Lettera-ODCEC-Fontana 2020

*************

La Giunta Esecutiva Nazionale di A.N.N.A. (Associazione Nazionale Notifiche Atti) è orgogliosa che un proprio componente riceva delle note di ringraziamento e di encomio come quelle sopra riportate dall’ANVU Nazionale e dall’ODCEC (Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili) di Reggio Emilia.

Nell’occasione ci pregiamo di segnalare che l’attività formativa dell’Associazione è rigorosamente rispettosa delle normative anti-contagio COVID-19 vigenti e che Lazzaro Fontana, così come gli altri nostri docenti, nei corsi che tiene per i Messi Comunali/Notificatori nei quali è docente, forma gli stessi al fine di fare le notifiche “a mani proprie” con “accorgimenti e metodiche” tali da salvaguardare la salute di questi particolari lavoratori che si muovono sul territorio a “contatto” con tante persone, ma, altresì, anche quella dei destinatari nelle cui abitazioni, teoricamente, dovrebbero entrare, limitando al massimo inutili esposizioni a possibili contagi.

Tacchini Pietro
Presidente Nazionale A.N.N.A.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 12/12/2019) 09/10/2020, n. 21797

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6430/2015 R.G. proposto da:

B.G., C.F. (OMISSIS), res. in (OMISSIS), rapp.to e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. Gian Mario Fattacciu del Foro di Cagliari e dall’avv. Stefania Saraceni del Foro di Roma, presso il cui studio in Roma, Via Ugo Bartolomei n. 23 è elett. dom.to;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna n. 246/04/14, depositata il 14 luglio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre dal Cons. Luigi Nocella.

Svolgimento del processo
Con distinti ricorsi, B.G., titolare di impresa operante nel settore edilizio, impugnava innanzi alla CTP di Cagliari gli avvisi di accertamento NN. (OMISSIS) e (OMISSIS), con i quali l’Agenzia delle Entrate di Cagliari (OMISSIS), sulla scorta dell’elaborazione mediante studi di settore, aveva recuperato a tassazione IVA, IRPEF, addizionali ed IRAP, rispettivamente per gli anni 2003 e 2004, applicando le relative sanzioni, avendo accertato per il primo un maggior ricavo di Euro 20.573,00 e per il secondo un maggior reddito di Euro 55.950,00.

La CTP di Cagliari, riuniti i ricorsi, con sentenza N. 194/01/2011, respingeva il primo e dichiarava inammissibile il secondo, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 omettendo ogni valutazione delle censure di merito.

Su appello del contribuente, che deduceva la nullità della notifica dell’avviso di accertamento e la connessa tempestività del proprio ricorso per ottenere l’esame delle censure di merito contro l’avviso impugnato, la CTR, con la sentenza oggetto del presente giudizio, ha confermato integralmente la statuizione del primo Giudice, in relazione all’annualità 2004, mentre l’annualità 2003 era stata nelle more definita stragiudizialmente tra le parti. In particolare i Giudici d’appello così ricostruivano la vicenda notificatoria oggetto del gravame: “a) l’Ufficio delle Entrate di Cagliari (OMISSIS) aveva notificato al B. in data 7 maggio 2009…invito al contraddittorio con il quale lo informava che i compensi dichiarati per l’anno 2004 risultavano non compatibili con gli appositi studi di settore… omissis…. Si era svolto, quindi, il contraddittorio al termine del quale…le parti non erano addivenute ad un accordo.

b) L’Ufficio in data 21 novembre 2009 aveva notificato a mezzo del servizio postale l’avviso di accertamento n. (OMISSIS);

c) l’ufficio postale aveva certificato con apposita relata…la consegna dell’atto a mani della madre convivente…omissis…l’ufficiale postale notificatore attestava altresì…l’avvenuta trasmissione in data 23 novembre 2009 della raccomandata di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7, u.c.;

d) B.G. in data 10 febbraio 2010 propose ricorso alla CTP di Cagliari mentre il 20 gennaio 2010 aveva presentato una istanza di accertamento per adesione, dopo avere però già ricevuto regolare invito al contraddittorio.

Alla stregua di tale ricostruzione dei fatti, la CTR ha condiviso in toto la pronuncia appellata, poichè l’istanza di accertamento per adesione era inefficace, D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6, comma 2 a sospendere i termini per l’impugnazione, essendo stata preceduta da invito al (e svolgimento del) contraddittorio in fase amministrativa, e quindi ha ritenuto il ricorso prima facie tardivo. Alla luce delle censure dell’appellante che proponevano la questione della validità della notifica dell’avviso per carenza della relata, ha affermato che, pur a voler ritenere l’esistenza di un vizio della notifica (comunque escluso per avere la CTR affermato che detta relata fosse “esattamente individuabile”), si tratterebbe comunque non già di inesistenza, bensì di nullità, essendo ben individuati luogo e persona che aveva ricevuto l’atto, comunque da escludere stante la particolare procedura di notifica a mezzo del servizio postale, per la quale, secondo orientamento costante di legittimità, la relata non è necessaria, essendo sostituita dalle attestazioni dell’ufficiale postale, aventi valore di fede privilegiata fino a querela di falso. Nella specie questi “ha annotato la trasmissione della raccomandata secondo le indicazioni di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 4 con le specificazioni ivi previste”; sicchè “nessuna altra relata di notifica all’infuori di quella costituita dall’avviso di ricevimento può (o deve) essere compilata essa contiene tutte le indicazioni necessarie ed indispensabili prescritte dalla normativa che consentono il collegamento con l’ufficio emittente, mentre il momento di perfezionamento della notificazione viene individuato, per il destinatario, nella data di ricevimento dell’atto attestata dall’avviso…”.

Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di unico motivo.

L’Agenzia intimata si è costituita previa rituale notificazione di controricorso.

Nella camera di consiglio del 12 dicembre 2019 la Corte, udita la relazione del Cons. Nocella, ha deciso la causa.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il B. denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e art. 137 segg. c.p.c., poichè la CTR non avrebbe considerato che, nel caso di notificazione a mezzo del servizio postale, la L. n. 890 del 1982, art. 14 pur consentendo la notifica diretta degli atti tributari direttamente da parte dell’Ufficio che li emette, fa rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 che escluderebbe tale forma di notifica per gli avvisi di accertamento, che necessiterebbe pur sempre dell’intermediazione di un soggetto abilitato alla notifica.

Il motivo è infondato.

Come affermato dal ricorrente, la L. n. 890 del 1982, art. 14 consente in via generale la notifica diretta degli atti dell’Amm.ne Finanziaria mediante ricorso diretto, cioè senza l’intervento di ufficiali giudiziari o messi notificatori, al servizio postale; diversamente invece da quanto sostenuto dal ricorrente, la stessa norma non deroga a tale principio per la notifica degli avvisi di accertamento (cfr. da ultimo Cass. sez.V ord. 19.12.2019 n. 34007), ma “fa salve” le disposizioni del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 nel senso che, ove ritengano opportuno, le medesime Amministrazioni possono avvalersi dell’intermediazione dei soggetti esterni ad esse ed abilitati alla notificazione degli atti giudiziari. Ne consegue che le disposizioni che prescrivono la compilazione della relata di notifica sull’originale e sulla copia dell’atto notificato (L. n. 890 del 1982, art. 3) si applicano esclusivamente nei casi di notifica a mezzo di soggetto notificatore terzo (come del resto esplicitato dalla formulazione letterale del precetto, che si riferisce direttamente agli adempimenti dell’ufficiale giudiziario), non già ai casi di notifica diretta ai sensi dell’art. 14, nei quali si applicano direttamente le norme relative alle modalità di trasmissione dei plichi raccomandati descritte dalle norme disciplinanti il servizio postale, che non prevedono la estensione della relata; ed in tal senso si è già pronunciata questa Corte (cfr. Cass. sez. V 4.07.2014 n. 15315; Cass. sez. V 15.07.2016 n. 14501; Cass. sez. V 14.11.2019 n. 29642).

Riscontrata quindi la legittimità, anche per gli atti impositivi, del ricorso alla notificazione diretta da parte dell’Ufficio Finanziario, ne consegue l’irrilevanza della mancata compilazione della relata, i cui requisiti sono sostituiti dalle attestazioni dell’agente postale sull’avviso di ricevimento circa le attività compiute, tra le quali, anche nel caso di specie, l’invio della comunicazione di avvenuta notifica; sicchè questa deve ritenersi avvenuta in data 21.11.2009, con la consegna alla madre convivente nel domicilio del contribuente, ed il ricorso da questi proposto contro l’avviso soltanto il 10 febbraio 2010 deve ritenersi ampiamente tardivo.

L’infondatezza dell’unico motivo comporta il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al rimborso in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto altresì che sussistono le condizioni processuali per determinare, a carico della ricorrente soccombente, l’obbligo di versamento del contributo unificato in misura doppia rispetto a quella già versata con l’iscrizione a ruolo.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale dello stesso art. 13, ex comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 09/06/2020) 05/10/2020, n. 21328

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12330-2019 proposto da:

S. COSTRUZIONI SNC DI S.V. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato PAOLA VACCARO, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO GARZILLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS);

– intimate –

avverso la sentenza n. 8784/24/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 12/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO CROLLA.

Svolgimento del processo
CHE:

1. La soc. S. Costruzioni snc di S.V. & C. impugnava l’intimazione di pagamento emessa da Equitalia (oggi Agenzia delle Entrate Riscossioni) limitatamente alla cartella di pagamento n. (OMISSIS), asseritamente notificata in data 7.6.2015, concernente tributo Iva relativo all’anno di imposta 2011, assumendo l’inesistenza della notifica avvenuta a mezzo pec. 2. La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli rigettava il ricorso rilevando la regolarità della notifica della cartella a mezzo pec. 3. Sull’impugnazione della contribuente la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello rilevando che non vi era alcun obbligo attestazione di conformità della copia informatica all’originale della cartella atteso che il documento non aveva origine cartacea (o analogica) ma informatico.

4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso la contribuente sulla base di due motivi. Gli intimati non si sono costituiti.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con i due motivi di impugnazione, da esaminarsi congiuntamente stante la loro intima connessione, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 23 e 24, (Codice Amministrazione Digitale) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per non avere la CTR rilevato e dichiarato l’inesistenza della notificazione della cartella di pagamento mancante dell’attestazione di conformità dell’atto analogico a quello digitale notificato, trasmessa alla contribuente in formato pdf, priva di cosiddetta firma digitale.

2. I motivi sono infondati.

2.1 Nella fattispecie la CTR ha accertato che la cartella esattoriale è stata notificata a mezzo del servizio di posta elettronica certificata, modalità di partecipazione dell’atto, consentita ai sensi del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 2, e del richiamato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 comma 7.

2.2 Sostiene la ricorrente l’inesistenza di tale forma di notifica: a) per essere stata compiuta in estensione pdf anzichè p7m, atteso che soltanto quest’ultima estensione garantisce l’integrità e l’immodificabilità del documento informatico e, quanto alla firma digitale, l’identificabilità del suo autore e, conseguentemente, la paternità dell’atto; b) per mancanza di firma digitale sul documento informatico notificato in pdf; c) per assenza della conformità dell’attestazione di conformità dell’atto analogico a quello digitale notificato.

2.3 Il D.P.R. n. 68 del 2005, art. 1, lett. f), definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come “un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati”. L’ art. 1 CAD, lett. i)-ter), – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), poi, definisce “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” come “il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico”, mentre il medesimo art. 1 CAD, lett. i)-quinquies), – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c),- nel definire il “duplicato informatico” parla di “documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”.

2.4 Ciò premesso questa Corte ha recentemente affermato che “la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. copia informatica”), come è avvenuto pacificamente nel caso di specie, dove il concessionario della riscossione ha provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici -, realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta. Va esclusa, allora, la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico”(cfr. Cass. 30948/2019 vedi anche Cass. 6417/2019) ed ha inoltre precisato che ” nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale”.

2.5 Del resto già le Sezioni Unite avevano affermato il principio che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. 28 settembre 2018 n. 23620).

2.6 Nè appare necessario l’attestazione di conformità atteso che, ai sensi dell’art. 22 CAD, comma 3, – come modificato dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 66, comma 1, – “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta”. Pertanto nella vicenda che ci occupa, giammai, la ricorrente avrebbe potuto disconoscere la conformità della copia informatica della cartella di pagamento, allegata alla PEC ricevuta, all’originale in possesso dell’amministrazione in quanto come accertato dalla CTR la cartella di pagamento nasce come documento informatico (“nativo”) e come tale viene trasmessa via pec. 2.7 La correttezza del procedimento notificatorio dell’atto esattivo rende inammissibili le censure reiterate nel ricorso che afferiscono alla decadenza e alla asserita illegittimità della pretesa tributaria in quanto precluse dalla mancata impugnazione della prodromica cartella esattoriale.

3 Il ricorso va quindi rigettato.

4 In mancanza di costituzione degli intimati nulla è da statuire sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte:

– rigetta il ricorso.

– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020


Piattaforma per le notifiche digitali

L’attesa nei confronti della realizzazione della piattaforma per la notificazione digitale è veramente alta, perché rappresenterà un vero punto di svolta per la digitalizzazione di tutta la Pubblica Amministrazione.
Tale piattaforma è quanto da noi auspicato già dal 2005 con il convegno svoltosi ad Ancona con il progetto “Testo unico delle notifiche”
Il funzionamento della piattaforma è stato descritto nel DL Semplificazioni appena convertito con la legge n. 120/2020, l’innovazione era già introdotta con la Legge di Bilancio 2020. La piattaforma ha l’obiettivo di rendere più semplice, efficiente, sicura ed economica la notificazione con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni della pubblica amministrazione, con risparmio per la spesa pubblica e minori oneri per i cittadini.
Piattaforma per le notifiche
La Presidenza del Consiglio dei ministri, tramite la società PagoPA S.p.A., svilupperà la piattaforma digitale per le notifiche, che potrà essere affidata – in tutto o in parte – a Poste Italiane, che si occupa anche della spedizione dell’avviso di avvenuta ricezione e la consegna della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione, e garantisce, su tutto il territorio nazionale, l’accesso universale alla piattaforma e al nuovo servizio di notificazione digitale, sostituendo SOGEI come previsto inizialmente; il progetto è finanziato con la somma di 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, già stanziati con la Legge di Stabilità 2020 (articolo 1, comma 403, della legge 27 dicembre 2019, n. 160), mentre per l’adesione alla piattaforma, le amministrazioni utilizzano le risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (commi 19 e seguenti).
Nel comma 2 dell’art. 26 sono contenute le definizioni a cui fare riferimento:
a) «gestore della piattaforma», cioè la società pagoPA S.p.A.;
b) «piattaforma»,
c) «amministrazioni», le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, compresi anche gli agenti della riscossione e, limitatamente agli atti emessi nell’esercizio dell’attività loro affidata;
d) «destinatari», le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, residenti o aventi sede legale nel territorio italiano ovvero all’estero ove titolari di codice fiscale attribuito
e) «delegati», le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, ivi inclusi i soggetti intermediari (avvocati, commercialisti, associazioni, ecc.), ai quali i destinatari conferiscono il potere di accedere alla piattaforma per reperire, consultare e acquisire, per loro conto, atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni notificati dalle amministrazioni;
f) «delega»,
g) «avviso di avvenuta ricezione», l’atto formato dal gestore della piattaforma, con il quale viene dato avviso al destinatario in ordine alle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione;
h) «identificativo univoco della notificazione (IUN)», il codice univoco attribuito dalla piattaforma ad ogni singola notificazione richiesta dalle amministrazioni;
i) «avviso di mancato recapito», l’atto formato dal gestore della piattaforma con il quale viene dato avviso al destinatario in ordine alle ragioni della mancata consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico e alle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione.
È chiaro che la piattaforma riguarda tutto l’ampio spettro di amministrazioni che si avvalgono ogni giorno della notifica per la consegna di atti con valore giuridico; rimarrebbero escluse solo le notifiche che riguardano (comma 17):
a) agli atti del processo civile, penale, per l’applicazione di misure di prevenzione, amministrativo, tributario e contabile e ai provvedimenti e alle comunicazioni ad essi connessi;
b) agli atti della procedura di espropriazione forzata
c) agli atti dei procedimenti di competenza delle autorità provinciali di pubblica sicurezza.
Stranamente manca una definizione di “notifica”, che è invece l’oggetto principale di cui si occupa la piattaforma: ad oggi, le disposizioni di riferimento sono contenute negli artt. 138 e seguenti del Codice di Procedura civile, oltre a disposizioni specifiche in materia tributaria.
Le figure professionali interessate sono:
• I messi comunali (ex Legge n. 265/1999) notificano atti di carattere amministrativo (ordinanze, verbali, convocazioni, inviti, avvisi, circolari, ed ogni altra forma di atto) per conto dell’amministrazione comunale e su richiesta di altri enti, purché nei limiti del territorio comunale di competenza (il destinatario ha residenza, dimora o domicilio nello stesso comune) ed operano con le norme del Codice di Procedura Civile.
• I messi notificatori (ex Legge n. 296/2006) notificano atti di accertamento e/o riscossione dei tributi locali, procedure esecutive o delle entrate patrimoniali dello stato (generalmente dell’agenzia delle entrate) ed operano secondo le norme del D.P.R. n. 600/1973 e D.P.R. n. 602/1973.
• Oltre agli ufficiali giudiziari (ex Legge 890/82) che però non sono direttamente interessati, vista l’espressa esclusione delle notifiche riguardanti i processi dall’utilizzo della piattaforma in questione.
Incertezze sull’esecuzione delle notifiche
Con l’avvento della PEC su larga scala (ad oggi 3 grandi categorie di soggetti hanno l’obbligo di avere un indirizzi di Posta Certificata, e cioè le PA, le imprese e i professionisti iscritti agli albi) si rileva una grande incertezza sulle corrette modalità per l’esecuzione della notifica del documento informatico, cioè se debba avvenire con le procedure di cui all’art. 149 bis del Codice di Procedura Civile o con un semplice invio tramite il protocollo informatico, secondo quanto previsto dall’art. 48 e 6 bis del CAD. Nel comma 3 si prevede la facoltà di adesione delle amministrazioni, in alternativa alle modalità previste da altre disposizioni di legge: visto il grande impatto di semplificazione e ottimizzazione del processo di notifica, sarebbe più opportuno prevedere un utilizzo obbligatorio da parte di tutte le Amministrazioni, magari anche scaglionato in base a scadenze temporali o altri criteri, come sta avvenendo – ad esempio – per l’utilizzo di Siope +.
Il mancato utilizzo della piattaforma continuerebbe a mantenere inalterata la situazione attuale, con il grande carico di lavoro a carico delle Amministrazioni e soprattutto dei Comuni, che si occupano della gestione diretta delle notifiche per tutte le PA che lo richiedono. Il gestore della piattaforma assicura l’autenticità, l’integrità, l’immodificabilità, la leggibilità e la reperibilità dei documenti informatici resi disponibili dalle amministrazioni e, a sua volta, li rende disponibili ai destinatari, ai quali assicura l’accesso alla piattaforma, personalmente o a mezzo delegati, per il reperimento, la consultazione e l’acquisizione dei documenti informatici oggetto di notificazione; l’accesso avviene tramite SPID o CIE, oltre che con l’app IO (comma 8).
Possono essere utilizzate anche «tecnologie basate su registri distribuiti», definite dall’articolo 8-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, dando così spazio all’utilizzo della blockchain nella PA. Nella parte successiva si fa riferimento all’attestazione di conformità agli originali analogici delle copie informatiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni, con riferimento alle disposizioni contenute nel CAD (artt. 23 e seguenti). Se si assume che tutte le Amministrazioni interessate potranno inserire i propri atti nella piattaforma per il completamento del processo di notifica, non è chiaro perché si continua a parlare di “copie informatiche di originali analogici”, quando invece da tempo tutte le PA dovrebbero produrre gli atti di propria competenza in formato esclusivamente digitale (vedi art. 3 bis del CAD).
L’utilizzo della firma
È importante anche precisare che sembra finalmente risolto il contrasto giurisprudenziale sul tipo di firma da utilizzare per la notifica delle cartelle esattoriali (nel caso di specie): in un primo tempo si riteneva che fosse utilizzabile solo la firma CADES (quindi con formato .p7m), invece ora è stato chiarito che tutti i tipi di firma sono ammissibili (CADES e PADES), in quanto offrono le stesse garanzie e anche tenuto conto delle normative europee (tra tutti, il Regolamento EIDAS). Solo nel caso in cui il destinatario provveda a “stampare” l’atto, dovrà essere presente un sistema che renda la copia cartacea conforme all’originale informatico, disponibile nella piattaforma.
La necessità di chiarezza
Il comma 3 si chiude precisando che “La piattaforma può essere utilizzata anche per la trasmissione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni per i quali non è previsto l’obbligo di notificazione al destinatario “. Non è però chiara l’utilità di questa parte, e che rapporto ci sia con l’invio di un documento da parte dell’amministrazione tramite la propria PEC e il protocollo informatico; si potrebbe trattare di una gestione “ottimizzata” degli atti da recapitare tramite Posta, ma rimane poi da capire come funziona la gestione contabile e amministrativa delle spese, che sarebbero invece a carico delle Amministrazioni.
Inoltre, quando si fa riferimento a standard di processo per l’attestazione di conformità dei documenti, sarebbe importante dare dei punti di riferimento, in modo da evitare difformità di comportamento tra diverse PA: meglio sarebbe invece definire fin da subito degli “standard tecnologici” di upload del documento e di utilizzo della piattaforma, oltre a servizi web per interfacciamento diretto con i SW di gestione documentale utilizzati dalle PA, necessari per ottimizzarne l’utilizzo.
Le comunicazioni
La comunicazione tra il gestore della piattaforma e il destinatario può avvenire in modalità telematica o cartacea (a seconda del recapito associato alla persona/impresa), e consiste nell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, con il quale comunica l’esistenza e l’identificativo univoco della notificazione (IUN), nonché le modalità di accesso alla piattaforma e di acquisizione del documento oggetto di notificazione (comma 4). Se la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi, il gestore della piattaforma effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio.
Se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi oppure se l’indirizzo elettronico del destinatario non risulta valido o attivo, il gestore della piattaforma rende disponibile in apposita area riservata, per ciascun destinatario della notificazione, l’avviso di mancato recapito del messaggio, secondo le modalità previste dal successivo decreto di cui al comma 15. Il gestore della piattaforma inoltre dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico.
Recapiti e avvisi
Risulta quindi quantomai necessario il collegamento della piattaforma con ANPR, che contiene i dati della residenza di ciascun soggetto, oltre ai registri IPA e INIPEC, e quest’ultimo in un prossimo futuro conterrà anche i domicili delle persone fisiche, in base alle Linee Guida AGID (delle quali è terminata da poco la consultazione). Per i destinatari che non sono in possesso di una PEC, il recapito dell’avviso cartaceo avviene a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma, con le modalità previste per la notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari (L. 890/1982). Lo stesso avviso di ricezione sarà reso disponibile anche attraverso l’app IO, e i cittadini potranno comunicare anche un indirizzo e-mail non certificato, un numero di telefono o un altro analogo recapito digitale (comma 7). La notificazione si perfeziona (comma 9):
• per l’amministrazione, nella data in cui il documento informatico è reso disponibile sulla piattaforma;
• per il destinatario: il settimo giorno successivo alla data di consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico, il decimo giorno successivo al perfezionamento della notificazione dell’avviso di avvenuta ricezione in formato cartaceo;
• in ogni caso, se anteriore, nella data in cui il destinatario, o il suo delegato, ha accesso, tramite la piattaforma, al documento informatico oggetto di notificazione.
Inoltre, al comma 10 si prevede che “la messa a disposizione ai fini della notificazione del documento informatico sulla piattaforma impedisce qualsiasi decadenza dell’amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione dell’atto, provvedimento, avviso o comunicazione”. Quindi si può assumere che l’avviso di avvenuta ricezione inviato dalla piattaforma sostituisce la “relata di notifica”, che è fino ad oggi lo strumento con il quale conclude la notifica, regolato dall’art. 148 del Codice di Procedura Civile: “l’agente certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto. La relazione indica la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna, oppure le ricerche, anche anagrafiche, fatte dall’ufficiale giudiziario, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario.”
Inoltre, se la notifica per le Amministrazioni si perfeziona “automaticamente” con l’inserimento del documento nella piattaforma, sarebbe bene un raccordo più esplicito con le norme del CPC: ad esempio occorre capire come risolvere il caso delle persone cancellate dall’anagrafe per irreperibilità, al momento regolato dall’art. 140 CPC, o delle persone con residenza sconosciuta, trattato dall’art. 143 CPC. Il raccordo normativo in questo caso è fondamentale, perché questi sono i casi che nella pratica comportano i più grandi problemi di gestione. Il gestore della piattaforma, forma e rende disponibili sulla piattaforma, alle amministrazioni e ai destinatari, le attestazioni opponibili ai terzi relative:
a) alla data di messa a disposizione dei documenti informatici sulla piattaforma da parte delle amministrazioni;
b) all’indirizzo del destinatario risultante, alla data dell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, da uno degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o eletto ai sensi del comma 5, lettera c);
c) alla data di invio e di consegna al destinatario dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico; e alla data di ricezione del messaggio di mancato recapito alle caselle di posta elettronica certificata o al servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultanti sature, non valide o non attive;
d) alla data in cui il gestore della piattaforma ha reso disponibile l’avviso di mancato recapito del messaggio ai sensi del comma 6;
e) alla data in cui il destinatario ha avuto accesso al documento informatico oggetto di notificazione;
f) al periodo di malfunzionamento della piattaforma ai sensi del comma 13;
g) alla data di ripristino delle funzionalità della piattaforma ai sensi del comma 13.
Oltre alla copia informatica dell’avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari, dei quali attesta la conformità agli originali (comma 11 e 12). Anche in questo caso è necessario il raccordo con i SW gestionali degli enti, per fare in modo che i dati e i documenti di queste attestazioni siano messi a disposizione e comunicati all’Amministrazione che ha attivato la notifica, possibilmente tramite WS dedicati. Le spese di notificazione degli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione tramite piattaforma sono poste a carico del destinatario e sono destinate alle amministrazioni, al fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 e al gestore della piattaforma. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità di determinazione e anticipazione delle spese e i criteri di riparto (comma 14).
Quindi sembrerebbe che al momento della ricezione dell’atto il destinatario debba anche pagare le spese di notifica: se così fosse, la piattaforma dovrebbe permettere il pagamento con pagoPA, che si potrebbe far carico anche del riparto delle somme incassate tra gli enti interessati.
L’avvio della piattaforma
Per l’entrata in esercizio della piattaforma sono previsti dei decreti attuativi (comma 15 e 16), compreso il parere del Garante per la protezione dei dati personali da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del DL Semplificazione, attraverso cui è definita l’infrastruttura tecnologica e il piano dei test e le regole tecniche, oltre alle modalità di adesione delle amministrazioni alla piattaforma. Ultimati i test e le prove tecniche di corretto funzionamento della piattaforma, è fissato il termine a decorrere dal quale le amministrazioni possono aderire alla piattaforma.
Lo scenario futuro
Con le nuove modalità di notifica si prevede un’immediata contrazione delle anticipazioni finanziarie, per un ammontare annuo non inferiore a 50 milioni di euro (spese vive di notifica), nonché una riduzione dei costi connessi al contenzioso, per circa 55 milioni di Euro all’anno; inoltre, potrebbe attendersi una significativa riduzione dei costi netti di notifica e spedizione, attualmente stimati in circa 41 milioni di euro annui (calcolati al netto delle somme recuperate a titolo di rimborso per le spese di notifica e spedizione, ove previsto).
Ma risparmi consistenti li avrebbero anche i Comuni, con ricadute positive sui servizi che potrebbero essere erogati ai cittadini. Il risparmio non è solo in termini di “spese vive”, ma anche di personale dedicato interamente a questa attività, che potrebbe essere dedicato ad altro.


Visite fiscali INPS, nuovo servizio per cambiare l’indirizzo di reperibilità

Visite fiscali INPS, arriva il servizio online per cambiare l’indirizzo di reperibilità. Le novità sono contenute nella  Circolare numero 106 del 23-09-2020, che fornisce le istruzioni per i dipendenti pubblici e privati.
I lavoratori dipendenti pubblici e privati potranno modificare online l’indirizzo di reperibilità per le visite mediche INPS in caso di malattia comune.
Il nuovo strumento rende più immediate nonché tracciabili le modifiche, che potranno essere effettuate direttamente dal lavoratore e senza ulteriori adempimenti da parte dell’INPS.
Il servizio di modifica dell’indirizzo di reperibilità per le visite fiscali sostituisce le modalità ad uso sino ad oggi, che prevedevano la comunicazione tramite e-mail al medico legale dell’INPS o al Contact Center, e che resteranno utilizzabili esclusivamente in caso di indisponibilità del servizio telematico.
Si chiama “Sportello al cittadino per le VMC” il nuovo servizio predisposto dall’INPS per modificare l’indirizzo di reperibilità. La novità è illustrata dalla Circolare numero 106 del 23-09-2020.
Il lavoratore dipendente pubblico o privato, previa autenticazione sul sito INPS, potrà accedervi tramite la sezione dedicata ai Servizi Online.
Sarà possibile comunicare e gestire, in caso di malattia ed assenza dal lavoro, una diversa reperibilità rispetto a quella comunicata precedentemente con il certificato di malattia in corso di prognosi o anche con altra comunicazione.
La funzione “Indirizzo reperibilità ai fini delle visite mediche di controllo” permette quindi la comunicazione di un nuovo indirizzo di reperibilità per un’eventuale visita fiscale di controllo domiciliare da parte dei medici INPS.
Per uno stesso certificato di malattia il cittadino può comunicare più reperibilità successive.
Come specificato dalla circolare INPS n. 106 del 23 settembre 2020:
• ogni nuova reperibilità comunicata, nell’ambito dello stesso certificato di malattia in corso di validità, implica l’annullamento automatico dell’eventuale precedente reperibilità limitatamente al periodo di sovrapposizione tra i periodi delle due variazioni comunicate;
• ogni reperibilità è storicizzata, onde evitare che si perda traccia degli indirizzi che possono essere stati utilizzati per eventuali visite mediche di controllo.
Il nuovo servizio predisposto dall’INPS per semplificare la procedura di gestione delle visite fiscali è disponibile per tutti i lavoratori dei settori privato e pubblico ma, specifica la circolare n. 106, non sostituisce gli obblighi contrattuali di comunicazione da parte dei medesimi lavoratori nei confronti dei propri datori di lavoro.
Per quanto riguarda i lavoratori privati che, in caso di malattia, hanno diritto ad essere indennizzati, resta l’onere di comunicare in maniera tempestiva eventuali variazioni dell’indirizzo di reperibilità, per evitare l’applicazione delle sanzioni previste in caso di impossibilità per i medici INPS di effettuare la visita fiscale.
Oltre a dover comunicare correttamente l’indirizzo, il lavoratore dovrà fornire tutti gli elementi utili per consentire ai medici dell’INPS di reperire l’abitazione del lavoratore.
Il compito di verificare che l’indirizzo sia corretto spetta al lavoratore. Nel caso di errori riscontrati nel certificato medico trasmesso all’INPS, bisognerà modificare in maniera tempestiva l’indirizzo di reperibilità al fine di consentire il regolare svolgimento delle visite fiscali.
Per i dipendenti pubblici, invece, la normativa vigente prevede che il dipendente comunichi preventivamente alla sua Amministrazione di appartenenza l’eventuale variazione dell’indirizzo di reperibilità, durante il periodo di prognosi.
L’Amministrazione è tenuta a fornire quindi il dato all’INPS per l’effettuazione delle visite fiscali. La disponibilità all’utilizzo del nuovo servizio anche per il lavoratore pubblico ha lo scopo di ottimizzare il flusso comunicativo e offrire maggiori garanzie per l’effettuazione delle visite fiscali.
Il servizio non deve, invece, essere utilizzato dai lavoratori pubblici per gli adempimenti relativi alla comunicazione del solo allontanamento temporaneo dal proprio domicilio di reperibilità, per terapie, visite mediche, accertamenti sanitari o per gli altri giustificati motivi.
Il datore di lavoro viene messo al corrente del diverso indirizzo di reperibilità comunicato dal lavoratore:
• in fase di richiesta di una VMC, se la comunicazione è stata effettuata prima della richiesta di visita;
• al momento della consultazione degli esiti, qualora il lavoratore abbia comunicato una variazione di reperibilità dopo la richiesta di VMC e il datore di lavoro abbia acconsentito – spuntando l’apposito campo – ad inviare la visita al diverso indirizzo fornito dal lavoratore.
In ogni caso, il nuovo servizio dell’INPS non esonera il lavoratore dall’effettuare le comunicazioni previste al proprio datore di lavoro, sulla base del contratto di riferimento.


Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 04-02-2020) 24-09-2020, n. 20039

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13386/2015 proposto da:

Fallimento della (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore avv. P.A.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Foster n. 166, presso lo studio dell’avvocato Michele D’Agostino, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Napolitano, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.P.A., A.M.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Savoia n. 33, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Vescuso, rappresentati e difesi dall’avvocato Ermanno di Nuzzo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

Pa.Ma.Ro.; R.L.; Tuareg S.r.l.

– intimati –

avverso la sentenza n. 4657/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/02/2020 dal Cons. Dott. Paola Vella.

Svolgimento del processo
che:

1. Il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. ha impugnato, con ricorso per cassazione affidato a due motivi, la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 25/11/2014 che, in accoglimento dell’appello proposto dai coniugi D.P.A. e A.A.M. contro la sentenza di primo grado, ed in parziale riforma della stessa, ha dichiarato non opponibile alla D.P. – acquirente da Tuareg s.r.l. di un’unità abitativa (successivamente costituita in fondo patrimoniale col marito) da questa costruita su terreno già di proprietà di (OMISSIS) – la simulazione assoluta dell’atto del 21/12/1994, con il quale la società poi fallita aveva ceduto alla costruttrice il terreno in questione.

2. D.P.A. e A.A.M. hanno resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per tardività della relativa notificazione.

2.1. Le altre parti del giudizio, cui il ricorso è stato notificato ai fini della litis denuntiatio (siccome destinatarie di domande connesse, avanzate dal Fallimento con l’unico atto di citazione, in ordine alle quali la pronuncia di primo grado è passata in giudicato), non hanno svolto difese.

2.2. I controricorrenti hanno depositato memoria datata 21/01/2020, in cui si insiste per la declaratoria di inammissibilità del ricorso (e in subordine per il suo rigetto), con condanna dei ricorrenti alle spese e al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., comma 3, allegando anche uno stralcio del registro Inipec attestante l’indirizzo pec del legale del difensore costituito per il Fallimento.

2.3. Il Fallimento ricorrente ha a sua volta depositato memoria datata 23/01/2020 nella quale ha eccepito la “nullità della notificazione della sentenza”, con conseguente “insussistenza dell’eccepita inammissibilità del ricorso”, nonchè la “nullità della notifica del controricorso” (in uno ad ulteriori “eccezioni relative alla “fotocopia di passaggio in giudicato””), insistendo per l’accoglimento del ricorso e chiedendo comunque il rigetto della domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..

Motivi della decisione
che:

3. Preliminarmente all’esame dei due motivi – così rubricati: I.) “violazione e falsa applicazione di legge, in relazione al collegamento negoziale ed alla consolidata giurisprudenza di cassazione sul punto, ricorribile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; II.) “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto per aver violato in tema di procedimento e di diritto ai sensi del combinato disposto degli artt. 1343 c.c. e segg. e artt. 1418 e 1421 c.c., incorrendo così non solo in vizi omissivo ma anche di violazione di legge e in procedendo, ricorribile ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, perchè pur riconoscendo l’illiceità della causa distrattiva del contratto non ne dichiara la nullità del contratto stesso che invece doveva rilevarsi d’uffici in ogni stato e grado” – va rilevata l’inammissibilità del ricorso in ragione della tardività della sua notifica, avvenuta in data 21/05/2015, stante la validità della notifica della sentenza d’appello eseguita in data 27/11/2014 a mezzo PEC, con conseguente superamento del termine breve di sessanta giorni ex art. 325 c.p.c..

4. A sostegno della corrispondente eccezione, i controricorrenti hanno allegato (v. doc. 3): copia analogica della sentenza d’appello n. 4657/14, corredata da attestazione di conformità (ex “D.L. n. 90 del 2014, art. 52 – L. n. 114 del 2014”) all’originale digitale “estratto dal fascicolo informatico n. 883/12 R.G. della Corte di appello di Napoli – I sezione civile”; relata di notifica “in via telematica, ai sensi del D.M. Giustizia3 aprile 2013, n. 48” della predetta sentenza, trasmessa a mezzo PEC all’indirizzo di posta elettronica del difensore costituito del Fallimento (OMISSIS) s.r.l., avv. Antonio Napolitano (antonio.napolitano56.avvocatiavellinopec.it); copia analogica delle ricevute di notifica, accettazione e consegna telematica del messaggio e relativi allegati (sentenza e relata telematica in formato pdf.p7m); attestazione di conformità “ai sensi e per gli effetti del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9, convertito nella L. n. 221 del 2012, come introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, convertito nella L. n. 114 del 2014, nonchè del D.L. n. 132 del 2014, convertito nella L. n. 162 del 2014” delle predette ricevute cartacee di accettazione e consegna – attestanti l’intervenuta notificazione della sentenza d’appello, in data 27/11/2014, all’indirizzo PEC dell’avv. Antonio Napolitano “ricavato dal pubblico registro INIPEC” – “ai files. eml emessi contestualmente dal sistema di posta elettronica certificata (c/o Aruba Sign) ed estratti direttamente dal dichiarante”.

4.1. L’intervenuta notificazione della sentenza d’appello trova riscontro nell’istanza del 18/12/2014 allegata allo stesso ricorso, recante come oggetto “parere sull’avvenuta notifica sentenza Corte Appello di Napoli n. 4657/14”, in cui il curatore del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. fa riferimento “alla comunicazione dell’Avvocato Napolitano, costituito per la Curatela, ed alla notifica della sentenza di Appello che richiede una decisione sul prosieguo, urgente perchè consenta nel termine di 60 giorni dal 28 novembre 2014, una decisione circa la proposizione di un ricorso per Cassazione”.

5. Al riguardo il ricorrente, dopo aver perentoriamente affermato nel frontespizio del ricorso che la sentenza d’appello impugnata non era stata “mai notificata”, a fronte dell’eccezione sollevata dai controricorrenti ha aggiunto, nella memoria del 23 gennaio 2020, di aver “ricevuto la notificazione della sentenza n. 4657/2014, da parte della Cancelleria della Corte d’Appello, I sezione civile, inviata ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, che, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, però, non produce gli effetti ex art. 325 c.p.c.” ed ha altresì ammesso che la sentenza gli era stata notificata a mezzo PEC anche dagli odierni controricorrenti, sollevando però una serie di contestazioni sulla regolarità di detta notificazione, in parte estese anche alla regolarità della notifica del controricorso.

5.1. In particolare, dopo aver osservato che la relata di notifica è “presente solo nel messaggio PEC e non anche nel documento separato in formato pdf prescritto dalla L. n. 53 del 1994, art. 3-bis e dall’art. 19-bis del Provv. DGSIA 16/4/2014”, il ricorrente ha eccepito che nell’oggetto del messaggio pec datato 27 novembre 2014 manca la specifica dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” (essendovi indicato solo “notifica telematica”) e che la relata di notifica presenta i seguenti “gravi vizi e/o omissioni”: i) “manca l’attestazione di conformità in quanto non si comprende se sia stata notificata una copia informatica di documento informatico della sentenza, estratta perciò ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 9-bis, ovvero una copia informatica della copia analogica rilasciata dalla cancelleria, essendo stato omesso ogni riferimento al riguardo nella relata di notifica, che dovrebbe contenere le indicazioni previste dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-undecises, comma 3, nel primo caso, e l’attestazione L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, comma 2, nel secondo caso. Il tutto conformemente al disposto di cui all’art. 19-ter Provv. DGSIA 16/4/2014 recante le regole tecniche relative alle modalità di attestazione di conformità su documento separato”, con la conseguenza che non vi è prova che sia stata notificata copia autentica della sentenza; ii) “manca l’indicazione dell’elenco pubblico, tra quelli previsti dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-ter, dal quale è stato estratto l’indirizzo PEC del destinatario”; iii) “non si ha contezza (…) che l’indirizzo PEC dell’avvocato notificante risultasse iscritto in uno dei pubblici elenchi previsti dal D.L. n. 179 del 2012, citato art. 16-ter, secondo la previsione della prima parte della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 12, secondo cui “La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi””; iv) “viene riportato erroneamente il nome A.M.” (in luogo di A.M.A., come indicato nella sentenza di appello); v) “manca l’indicazione del codice fiscale delle parti che hanno conferito la procura alle liti, indicazione prescritta dalla L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 5, lett. c)”; vi) manca “l’indicazione della sezione della Corte d’Appello che pronunciò il provvedimento oggetto di notificazione”, in violazione dell’art. 3-bis cit., successivo comma 6; vii) “non vi è traccia” della procura alle liti al notificante; viii) non è stata “correttamente formata l’attestazione di conformità della copia analogica della notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis, datata 25/06/2015 (dopo la notifica del ricorso per cassazione avvenuta in data 21/05/2015)”, poichè il riferimento fatto dal difensore dei controricorrenti “all’art. 16-bis comma 9 (bis, n.d.e.) D.L. n. 179 del 2012, lascerebbe intendere che il notificante abbia estratto le ricevute delle notificazioni dal fascicolo informatico di cancelleria, laddove la L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1 bis, prescrive, invece, che la prova analogica della notifica eseguita telematicamente dall’avvocato debba essere data attraverso l’estrazione di “copia su supporto analogico (a) del messaggio di posta elettronica certificata, (b) dei suoi allegati, (c) della ricevuta di accettazione e (d) di avvenuta consegna e (e) ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1″ con estrazione di tali copie analogiche, quindi, dal proprio archivio informatico e non di certo dai registri informatici del Tribunale”; ix) “la copia analogica prodotta ex adverso, in violazione della norma richiamata, comprende solo la stampa del messaggio (nel cui corpo del testo è contenuta l’imperfetta relazione di notifica, che non è in PDF e non può pertanto esser stata firmata digitalmente) e le ricevute di accettazione e consegna, senza la stampa dell’atto oggetto di notifica e della relata in formato pdf (“e dei suoi allegati”), sicchè “la prova analogica della notificazione telematica non è stata, correttamente data ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis”.

6. Le minuziose contestazioni sulla regolarità del procedimento di notifica telematica cd. “in proprio”, ai sensi della L. n. 53 del 1994 (e successive modifiche), non appaiono fondate, alla luce dell’orientamento assunto da questa Corte in subiecta materia, in base al fondamentale principio per cui “la L. n. 53 del 1994, art. 11, là dove commina la nullità della notificazione eseguita personalmente dall’avvocato “se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti”, non intende affatto sanzionare con l’inefficacia anche le più innocue irregolarità” – in relazione alle quali “non viene in rilievo la lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione finale, bensì, al più, una mera irregolarità sanabile in virtù del principio di raggiungimento dello scopo” – laddove “la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale”, per avere la parte ricevuto la notifica e compreso il contenuto dell’atto (Cass. Sez. U., 23620/2018, 7665/2016; Cass. 14042/2018, 30927/2018, 20625/2017, 6079/2017, 19814/2016, 26831/2014).

6.1. In particolare, sulla scorta del richiamato principio di raggiungimento dello scopo, questa Corte ha più volte respinto l’eccezione di nullità della notifica telematica priva della indicazione, nell’oggetto del messaggio PEC, della dicitura “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” (Sez. U., 23620/2018; Cass. 30927/2018), rispetto alla quale la dicitura “notifica telematica”, presente nella notifica in esame, appare più che sufficiente.

6.2. Parimenti inconferente è la mera incompletezza del nome di una delle parti nel cui interesse è stata effettuata la notifica ( A.M., in luogo di A.M.A.), avendo questa Corte escluso la nullità della notifica addirittura in un caso di indicazione di un’amministrazione diversa da quella nei cui confronti si era svolto il giudizio, poichè dalla lettura complessiva dell’atto emergeva chiaramente la riferibilità alla parte interessata e lo stesso aveva comunque raggiunto il suo scopo, consentendo alla controparte di difendersi adeguatamente (Cass. 26489/2018).

Le stesse argomentazioni valgono per l’eccezione di “mancata indicazione del codice fiscale delle parti che hanno conferito la procura alle liti, prescritta dalla L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 5, lett. c)” (Cass. Sez. U, 23620/2018), trattandosi di dati chiaramente indicati nell’intestazione della sentenza oggetto di notifica, al pari della “esistenza di procura alle liti in capo al notificante (avv. Di Nuzzo)”.

Del resto, lo scopo essenziale della relazione di notificazione è rendere “percepibile dal destinatario la funzione cui l’invio dell’atto assolve, contenendo i dati che consentono di individuarne la collocazione processuale e la conformità all’originale, nonchè la legittimazione del mittente” (Cass. 11593/2017, che ha perciò reputato inidonea a far decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c., una notifica della sentenza che si presentava del tutto priva della relazione di notificazione, del codice fiscale dell’avvocato notificante, del nome, cognome, ragione sociale o codice fiscale della parte conferente il mandato, nonchè dell’attestazione di conformità all’atto cartaceo da cui l’atto notificato era stato tratto).

6.3. Analoga conclusione va tratta per la mancata indicazione, nella relata di notifica, della sezione della Corte d’Appello che ha pronunciato la sentenza impugnata – invece specificamente indicata nella “attestazione di conformità” della copia analogica all’originale digitale – avendo questa Corte affermato che, nell’ipotesi di notifica dell’atto in corso di procedimento, l’onere di indicazione della sezione (oltre che del numero e dell’anno di ruolo della causa) “assolve al fine di consentire l’univoca individuazione del processo al quale si riferisce la notificazione”, sicchè, “ove l’atto contenga elementi altrettanto univoci”, come “gli estremi della sentenza impugnata, la notificazione non potrà essere dichiarata nulla, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, avendo comunque raggiunto il suo scopo” (Cass. 17022/2018).

6.4. Sempre in forza del principio del raggiungimento dello scopo va esclusa l’efficacia invalidante della mancata indicazione, nella relata di notifica, dell’elenco pubblico – tra quelli previsti dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-ter – da cui è stato estratto l’indirizzo di posta elettronica del destinatario (Cass. Sez. U, 7665/2016; Cass. 6079/2017, 30927/2018), tanto più che nel caso di specie il notificante ha espressamente dichiarato, nell’attestazione di conformità relativa alle ricevute cartacee di accettazione e consegna, che l’indirizzo PEC del destinatario è stato “ricavato dal pubblico registro INIPEC”, come poi comprovato dal documento allegato alla memoria dei controricorrenti.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, valorizzando l’introduzione del cd. “domicilio digitale”, hanno ritenuto valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6-bis, atteso che, proprio in virtù di tale disposizione, il difensore è obbligato a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è a sua volta obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGIndE, che sono, per l’appunto, pubblici elenchi (Cass. Sez. U., 23620/2018).

Numerose pronunce hanno poi ribadito la piena legittimità di notifiche eseguite presso l’indirizzo PEC risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC) istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico, espressamente incluso fra i pubblici elenchi del D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16-ter (ex multis Cass. 9893/2019), ribadendo espressamente “il principio, enunciato dalle S.U. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. dalla L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv. con modif. dalla L. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia”” (Cass. 29749/2019).

6.5. Le superiori considerazioni valgono anche con riguardo all’analoga contestazione riferita all’indirizzo PEC dell’avvocato notificante (avvermannodinuzzo.pec.ordineforense.salerno.it); del resto, la disposizione normativa invocata dal ricorrente (L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 12, prima parte) si limita a prescrivere che “la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”, e tale requisito risulta pacificamente integrato.

6.6. Quanto alle perplessità sollevate sul rispetto delle regole tecniche dettate dall’art. 19-ter del Provv. DGSIA 16 aprile 2014 per l’attestazione di conformità della sentenza notificata (nel senso che difetterebbe la prova che si tratti di copia autentica della sentenza impugnata), si rileva che nell’attestazione di conformità datata 14/5/2015 è scritto espressamente che l’atto notificato “è copia analogica del corrispondente provvedimento in formato digitale estratto dal fascicolo informatico” (doc. 3 allegato al controricorso).

D’altronde, circa i requisiti dell’autentica questa Corte ha chiarito che l’attestazione di conformità del difensore è sufficiente se riferita al contenuto testuale del documento che ne è oggetto, e che la regolarità del documento attestato si presume sino a specifica contestazione della parte controinteressata, onerata di allegare l’esistenza di precisi vizi, tali da determinare la lesione del diritto di difesa o un pregiudizio per la decisione; di conseguenza, è stata ritenuta idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione anche una notificazione telematica di copia della sentenza mancante dell’attestazione di conformità all’originale, gravando sul destinatario l’onere di dimostrare che tale irregolarità abbia arrecato un pregiudizio alla conoscenza dell’atto e al concreto esercizio del diritto di difesa (Cass. 20747/2018).

6.7. Analoga sorte spetta alle perplessità sollevate con riguardo all’attestazione di conformità della copia analogica delle ricevute di accettazione e consegna, datata 25/06/2015, poichè essa appare testualmente riferita a files informatici (formato.eml) estratti dall’archivio informatico del dichiarante (segnatamente dal “sistema di posta elettronica certificata c/o Aruba Sign”), al di là del riferimento al D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis (come introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52).

6.8. Non è meritevole di accoglimento il rilievo per cui non sarebbe stata “correttamente” data la “prova analogica della notificazione telematica ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis” – per essere stati stampati solo il messaggio contenente la relazione di notifica e le ricevute di accettazione e consegna, non anche l’atto oggetto di notifica e la relata in formato pdf – in quanto al messaggio risultano “allegati” la sentenza d’appello n. 4657/14 e la relata telematica, in formato pdf.p7m (cfr. Cass. 6417/2019).

Al riguardo questa Corte ha più volte evidenziato l’idoneità della copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna (RAC), completa di attestazione di conformità, a certificare il recapito non solo del messaggio, ma anche degli eventuali allegati alla stessa, salva prova contraria – di cui è onerata la parte che eccepisca la nullità costituita da errori tecnici riferibili al sistema informatizzato (Cass. 9897/2019; cfr. Cass. 4789/2018, 29732/2018); ciò perchè, “nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della pec e di consegna della stessa nella casella del destinatario, si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema di dichiarazioni negoziali, dall’art. 1335 c.c.. Spetta quindi al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole (…) della difficoltà nella presa visione degli allegati trasmessi via pec, onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente” (Cass. 25819/2017, 21560/2019).

6.9. Del tutto irrilevante è infine la contestazione della mancanza di prova della notifica della sentenza alle altre parti del giudizio d’appello, che peraltro non sono litisconsorti necessari nella causa instaurata dal Fallimento contro i signori D.P. e A..

7. Per le medesime ragioni sopra illustrate, risultano infondate anche le analoghe eccezioni di nullità della notifica del controricorso, nella quale peraltro, contrariamene a quanto dedotto, l’oggetto del messaggio di notifica contiene regolarmente la dizione “notifica telematica ex L. n. 53 del 1994”; inoltre, risultano allegate sia la “attestazione di conformità”, sia la prova dell’avvenuta notificazione telematica mediante stampa degli atti.

7.1. In ogni caso, va richiamato l’orientamento di questa Corte per cui, “in tema di rito camerale di legittimità ex art. 380-bis.1 c.p.c., relativamente ai ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 e per i quali venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà può presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente, trovando in tali casi applicazione l’art. 1 del Protocollo di intesa sulla trattazione dei ricorsi presso le Sezioni civili della Corte di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016 tra il Consiglio Nazionale Forense, l’Avvocatura generale dello Stato e la Corte di cassazione” (Cass. 12803/2019, 5508/2020).

8. Alla rilevata tardività del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo. La farraginosità della normativa in materia di notifiche telematiche esclude la ricorrenza dei presupposti (dolo, colpa grave o errore grossolano) della condanna invocata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, ovvero per lite temeraria ai sensi dell’abrogato art. 385 c.p.c., comma 4, applicabile ratione temporis (Cass. 17814/2019; v. Cass. Sez. U, 22405/2018; Cass. 14035/2019, 29462/2018, 2040/2018, 3003/2014, 21805/2012).

9. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U., n. 23535/2019 e n. 4315/2020).

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge. Rigetta la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020


Mansioni superiori: differenze retributive

Il Tribunale di Treviso riconosce sotto il profilo economico le mansioni superiori all’impiegata dell’Agenzia delle Entrate a cui è stata adibita non avendo né titolo di studio né profilo professionale
Nel pubblico impiego, il dipendente assegnato allo svolgimento, al di fuori dei casi consentiti, di mansioni corrispondenti a una qualifica superiore rispetto a quella posseduta, avrà diritto anche in relazione a tali compiti a una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 della Costituzione.
Ciò a condizione che le mansioni superiori siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate ad esse.
Lo ha rammentato il Tribunale del Lavoro di Treviso nella sentenza n. 136-2020 in materia di riconoscimento delle mansioni superiori, sotto il profilo economico, di dipendente dell’Agenzia delle Entrate.
La ricorrente, assistente tributaria di II area funzionale, lamenta di aver continuativamente svolto mansioni superiori rispetto all’inquadramento posseduto, avendo nel tempo svolto in autonomia tutta una serie di attività tra cui quelle di accertamento e contestazione nei confronti di soggetti sospettati di evasione fiscale, provvedendo anche alla predisposizione degli avvisi di accertamento e delle denunce penali in presenza dei relativi presupposti di legge, assumendo il ruolo di responsabile del procedimento nell’ambito delle segnalazioni inoltrate all’Autorità giudiziaria.
Il Tribunale rileva come la giurisprudenza di legittimità, nelle controversie tese ad ottenere il riconoscimento di qualifica superiore o comunque volte a dimostrare lo svolgimento di mansioni superiori (per rivendicare le relative differenze retributive), abbia più volte affermato che il procedimento logico giuridico alla base dell’indagine diretta alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore non può prescindere da tre fasi successive.
Devono, in pratica, accertarsi in fatto le attività lavorative in concreto svolte nonché individuarsi le qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria. Andrà poi effettuato un raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.
All’esito di tale procedimento, e ai fini dell’applicazione della tutela apprestata dall’art. 2103 c.c., la condizione da verificare è che l’assegnazione alle mansioni superiori sia stata piena, nel senso che abbia comportato l’assunzione della responsabilità e l’esercizio dell’autonomia proprie della corrispondente qualifica superiore.
Nello specifico settore del pubblico impiego, prosegue la sentenza, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “in materia di pubblico impiego contrattualizzato (…) l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (fra le altre sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989: n. 236 del 1992: n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.”
Tale retribuzione deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere, pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano siate svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri e assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni ( Cass. SS.UU. n. 25837/2007 e Cass. n. 27887/2009).
Nel caso di specie, le emergenze istruttorie conducono il giudice ad affermare che le mansioni svolte dalla ricorrente siano senz’altro da ricondurre a quelle riconducibili alla terza area funzionale e, per l’effetto, l’Agenzia delle Entrate viene condannata, ex art. 52 d.lgs. 165/01, al pagamento in suo favore delle differenze retributive tra quanto avrebbe percepito con un inquadramento nella III area funzionale, livello retributivo F1, e quanto ha effettivamente percepito, oltre la maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo.
Tuttavia, per il Tribunale è fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla resistente Agenzia delle Entrate: essendo rivendicate differenze retributive, spiega il Tribunale, devono intendersi in ogni caso prescritte le somme riferibili al periodo anteriore al quinquennio calcolato a ritroso dalla data di notifica del ricorso.