Assenteismo, l’Inps dichiara guerra ai “fannulloni seriali”: un software scoverà i lavoratori da controllare d’ufficio

Giro di vite nella lotta all’assenteismo da parte dell’Inps. Da settembre i controlli sulle assenze dei dipendenti pubblici potranno essere effettuati anche d’ufficio, senza che sia il dirigente a farne richiesta. La novità più importante è però un nuovo software che, incrociando i dati in possesso dell’Istituto, scoverà i nomi degli “assenteisti seriali” e consentirà un piano di verifiche “selettive”.
L’obiettivo del sistema “Savio” è quello di sconfiggere in particolare il fenomeno delle assenze a ridosso del fine settimana o dei festivi. Per gli statali le visite saranno possibili sette ore al giorno, dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18. Per i dipendenti privati, invece, resta l’orario già in vigore, dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. Non è escluso però che a breve gli orari vengano armonizzati.
La rivoluzione è la conseguenza dell’istituzione del “Polo unico delle visite fiscali”.

Dall’1 settembre sarà l’Inps, con il definitivo passaggio di consegne dalle Asl, a sorvegliare sulle assenze per malattia, anche se a saltare la giornata di lavoro sono dipendenti pubblici.


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 03-05-2017) 22-08-2017, n. 20256

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16217-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

E.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GONDAR 22, presso lo studio dell’avvocato MARIA ANTONELLI, che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati CRISTINA ZUNINO e VALENTINA PICCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1533/3/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di GENOVA, depositata il 23/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perché connessi, nei cui confronti la parte contribuente ha resistito con controricorso illustrato da memoria, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR della Liguria, relativa a un avviso d’accertamento Irap 2008, lamentando la violazione dell’art. 142 c.p.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 in combinato disposto, nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 42 e 43, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 156 c.p.c., in quanto erroneamente i giudici s’appello hanno ritenuto invalida la notifica dell’atto impositivo effettuata al contribuente che era residente all’estero, mediante spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’indirizzo della residenza estera rilevato dai registri dell’anagrafe degli italiani residenti all’estero, ovvero, in subordine, in caso di notifica ritenuta irregolare, comunque, sanata per il raggiungimento dello scopo, essendosi il contribuente costituito e difeso nel merito, dimostrandosi pienamente edotto della pretesa impositiva.

Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.

Il ricorso è fondato.

Infatti, seppur l’art. 142 c.p.c., in tema di notificazione degli atti giudiziari a persona non residente, nè dimorante nè domiciliato nella Repubblica, faccia riferimento alle modalità di notificazione consentite dalle convenzioni internazionali (non invocate nel presente giudizio da alcuna delle parti in causa), e preveda – comma 1 – in caso d’impossibilità, che la notifica avvenga per mezzo della posta con raccomandata e mediante consegna di altra copia al Pubblico Ministero che ne cura la trasmissione al Ministero degli affari esteri per la consegna alla persona a cui è diretto l’atto, tuttavia, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 4, norma speciale prevista per la notifica degli atti impositivi che accertano una maggiore credito erariale, si prevede che “in alternativa a quanto disposto dall’art. 142 c.p.c.” la notificazione ai contribuenti non residenti “è validamente effettuata mediante spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’indirizzo della residenza estera rilevato dai registri dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero”. La norma, che non fa distinzioni fra il caso del contribuente residente in paese della UE e il caso del contribuente residente in paese extra UE – quindi, applicabile anche per il cittadino residente in Svizzera come nel caso di specie – è stata introdotta dal D.L. n. 40 del 2010, art. 2, comma 1, lett. a), ed è applicabile, senza incertezze normative, alla notifica dell’avviso oggetto d’impugnazione, avvenuta il 3.10.2013.

Nel caso di specie, pertanto, il contribuente si è iscritto all’AIRE a decorrere dal 25 novembre 2008 (vedi, p. 3 del controricorso), ed ha ricevuto, in data 3.10.13, la notifica dell’avviso d’accertamento all’indirizzo comunicato all’anagrafe degli italiani residenti all’estero, notifica che risulta essere stata rituale e tempestiva; inoltre, è fondato il rilievo dell’ufficio secondo cui, la proposizione del ricorso del contribuente che si è difeso nel merito ha sicuramente sanato l’eventuale nullità della notifica dell’avviso (Cass. nn. 5057/15, 654/14, 1238/14, ord. n. 917/16) ed escluso qualsivoglia decadenza dalla potestà impositiva.

La sentenza va, pertanto, cassata e rinviata nuovamente alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, affinché, riesamini il merito della controversia.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2017


Giornata di Studio Ricigliano (SA) – 12.10.2017

Locandina GdS Ricigliano SA 2017LA NOTIFICA ON LINE

Giovedì 12 ottobre 2017

Comune di Ricigliano (SA)

Municipio
Piazza Nuova Europa 6
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Ricigliano (SA)

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 142.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già  socio A.N.N.A. (persona fisica già  iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2016 con rinnovo anno 2017 già  pagato al 31.12.2016. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

€ 212.00(*) (**) (***) se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2018 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 160,00  (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • €   70,00  (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2018 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 200,00 ecc. 


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: Codice IBAN: IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento sul Conto Corrente n. 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio
Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti

Causale: G.d.S. Ricigliano 2017 o numero fattura elettronica

(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***). Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.

L’Associazione rilascerà  ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà  costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà  essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Durì Francesco

Resp. Uff. Notifiche del Comune di Udine

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività  del Messo Comunale e attività  dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità  normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà  ad effettuare l’esame di idoneità  per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà  di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività  di formazione anno 2017

Scarica: Depliant GdS Ricigliano SA 2017

Vedi: 

Vedi: 

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Ricigliano (SA) 2017

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2017

  1. Comunicazione Associazione Senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000)
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza
  6. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione
  7. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  8. Documento di identità  personale del Legale Rappresentante pro tempore

T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, Sent., (data ud. 15/03/2017) 21/08/2017, n. 1310

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 864 del 2016, proposto da:

Istituto Professionale di Stato Per i Servizi Enogastronomici e dell’Ospitalità Alberghiera “Roberto Virtuoso”, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Vuolo, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, largo Plebiscito, 6;

contro

Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Vittoria De Gennaro, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Regionale in Napoli, alla vua S. Lucia n. 1

Provincia di Salerno non costituito in giudizio;

Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, Ufficio Scolastico Regionale della Campania, Convitto Nazionale Tasso, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliata in Napoli, alla via A.Diaz n.11;

per l’annullamento

della delibera della Giunta Regionale Campania n. 20/2016 recante dimensionamento scolastico piano dell’offerta formativa 2016/2017 nella parte in cui ha approvato l’istituzione di un nuovo indirizzo di studi concernente i servizi enogastronomici e per l’ospitalità albergheria presso il Convitto Nazionale “Torquato Tasso” di Salerno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Campania e di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca – di Ufficio Scolastico Regionale della Campania e di Convitto Nazionale Tasso;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2017 la dott.ssa Rita Luce e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con Delib. n. 20 del 26 gennaio 2016 la Regione Campania, nell’ambito del più ampio dimensionamento della rete scolastica e dell’offerta formativa per l’anno scolastico 29016/2017, ha approvato l’attivazione di un nuovo indirizzo di studio concernente i servizi enogastronomici e per l’ospitalità albergheria presso il Convitto Nazionale “Torquato Tasso” di Salerno, recependo la proposta fatta pervenire, in tal senso, dal Commissario ad acta con Delib. n. 2 del 17 novembre 2015.

L’Istituto ricorrente ha impugnato la delibera in parte qua deducendo:

-l’illegittima inclusione del Convitto “Tasso” nel Piano di dimensionamento delle istituzioni Scolastiche in violazione dell’art 7 del D.p.r. n. 233/1998 atteso che le disposizioni in esso contenute non si applicherebbero ai Convitti in quanto soggetti privi di personalità giuridica autonoma;

-la violazione del procedimento previsto dalle Linee Guida Regionali in quanto la proposta del Convitto, di istituzione del nuovo indirizzo, risulterebbe intervenuta dopo la chiusura del procedimento in seno alle competenti Commissioni d’ambito;

-la elusione delle Line Guida Regionali in quanto l’istituzione del nuovo indirizzo presso il Convitto “Tasso” risulterebbe in contrasto con gli obiettivi di razionalizzazione dell’offerta formativa e contenimento della spesa in essa previsti (D.G.R. n. 512 del 27.10.2015 paragrafo n 5), non tenendo in debita considerazione il fatto che altri tredici Istituti specializzati nel settore della Enogastronomia e dell’Ospitalità sono presenti nel territorio della provincia di Salerno.

Il Convitto, infine, non disporrebbe di strutture adeguate per offrire una idonea offerta formativa e laboratoriale.

-il difetto di motivazione e di istruttoria in quanto la Regione si sarebbe limitata a recepire acriticamente e senza alcun supporto motivazionale la determinazione del Commissario ad acta e non avrebbe garantito il rispetto delle garanzie partecipative previste dalla normativa di settore a tutti i soggetti coinvolti nel procedimento.

Si è costituita in giudizio la Regione Campania deducendo l’infondatezza delle avverse censure; la delibera regionale costituirebbe, infatti, espressione di attività discrezionale, non sindacabile se non in presenza di vizi logici e carenza assoluta di motivazione, nella specie non riscontrabili.

La delibera sarebbe, comunque, compiutamente motivata e sorretta da adeguata istruttoria, nonché pienamente rispettosa delle prerogative degli enti locali coinvolti: da un lato, infatti, l’Istituto ricorrente, infatti, contava un numero di iscritti nell’anno scolastico 2015/2016 pari a ben 1207 alunni cosicchè non sarebbe a rischio di sottodimensionamento e, dall’altro, l’Istituto Tasso presentava locali e strutture sufficienti a garantire il corretto funzionamento del nuovo corso di studi.

Si costituiva in giudizio anche il MIUR- Ufficio Scolastico Regionale della Campania eccependo la nullità della procura conferita dal ricorrente all’avv. to Luigi Vuolo per asserito contrasto con l’art. 14 co. VII bis del D.p.r. n. 275/99 che, anche per gli Istituti scolastic, prevede il patrocinio obbligatorio della Avvocatura dello Stato.

Parte ricorrente depositava ulteriori memorie difensive in cui, replicando alle eccezioni ex adverso formulate, insisteva per l’accoglimento del gravame.

All’udienza pubblica del 15 marzo 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

In via preliminare, quanto alla eccezione di nullità sollevata dal MIUR, per aver l’Istituto ricorrente conferito la procura ad un avvocato del libero foro in violazione delle norme sul c.d patrocinio obbligatorio, valevoli, ex art. 14 co. VII bis del D.p.r. n. 275/99, anche per gli istituti Scolastici il Collegio ritiene che la relativa eccezione deve essere disattesa: non sussistono, infatti, nella specie, le condizioni per ritenere violate le norme sul c.d patrocinio obbligatorio.

È vero, infatti, che ai sensi dell’art.5 del R.D. 30 ottobre 1933, n.1611 nessuna amministrazione dello Stato può richiedere l’assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni eccezionali, inteso il parere dell’Avvocato Generale dello Stato e secondo norme che saranno stabilite dal Consiglio dei Ministri; è parimenti vero che ai sensi dell’art.14, comma 7bis, del D.P.R. n. 275 del 1999, aggiunto dall’art.1 del D.P.R. n. 352 del 2001, contenente il regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche “l’Avvocatura dello Stato continua ad assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, i Collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, di tutte le istituzioni scolastiche cui è stata attribuita l’autonomia e la personalità giuridica a norma dell’art. 21 della legge n.59/1997”.

Tuttavia occorre tener conto del fatto che ai sensi dell’art.43 comma 4^ del regio decreto sopracitato, sub art. 11 L. n. 103 del 1979, per le amministrazioni non statali e per quelle dotate di autonomia e personalità giuridica, il ricorso al patrocinio dell’Avvocatura è escluso nei casi di conflitto di interesse con amministrazioni statali; conflitto che l’Avvocatura deve obbligatoriamente rilevare e segnalare.

Il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, quindi, può essere sostituito da quello di un Avvocato del libero Foro qualora a questi sia necessario rivolgersi perché tra le controparti evocate in giudizio vi sia altra Amministrazione, anch’essa sottoposta obbligatoriamente al patrocinio dell’Avvocatura Erariale, con la quale si verrebbe a creare un conflitto di interessi (sent. TAR. Napoli, sez. IV, 27 aprile 2016, n. 2141), cosicchè “il ricorso ad un avvocato del libero foro in tale ipotesi … appare non solo ammissibile, ma obbligato, in quanto il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, non tollera che possano sussistere situazioni nelle quali il patrocinio venga rifiutato e non si possa adire altrimenti il giudice”(cfr. TAR Pescara, sez. I, 14 novembre 2011, n. 641).

Ciò premesso, è evidente che le suddette circostanze si sono verificate nel caso di specie essendo stato evocato in giudizio anche il MIUR in posizione antagonista rispetto a quella prospettata dal ricorrente, sicchè legittimamente, ed opportunamente, il patrocinio è stato conferito ad un avvocato del libero foro.

Quanto al merito delle dedotte censure, il ricorso è infondato.

In primo luogo, il Collegio intende condividere quanto rilevato dalla Regione Campania con nota n. 0254062 del 13.04 2016 versata in atti e ritenere che, se è vero che le istituzioni educative, come i Convitti, sono escluse ai sensi dell’art 7 del D.p.r. n. 233/1998 dalle azioni di dimensionamento scolastico, è pur vero che le stesse possono essere prese in considerazione in relazione a proposte di indirizzi, opzioni aggiuntive e/o sostitutive che rispondano all’esigenza di realizzare una offerta formativa diffusa e articolata.

Nel merito, i motivi di censura proposti avverso la delibera regionale non possono essere condivisi

Sul punto, si osserva brevemente che l’art. 3 del D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233, recante Regolamento per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali degli singoli Istituti, demanda alle Regioni il compito di approvare il c.d Piano di dimensionamento scolastico sulla base dei piani predisposti dalle singole Province; nello stesso tenore, l’art. 138 comma 1 del D.lgs 31 marzo 1998 n.112, nel delineare le funzioni e i compiti attribuiti alle Regioni ed agli enti locali in materia di istruzione e disciplina della rete scolastica, attribuisce alla Regione la programmazione della rete scolastica tenuto conto dei piani provinciali e delle riscorse umane e finanziarie disponibili.

Alla luce di tali disposizioni normative, quindi, deve ritenersi che la Regione costituisca l’ente titolare della potestà pianificatoria in materia di programmazione scolastica e che gli Enti locali territoriali (Provincia e Comune) siano coinvolti in tale attività in via solo preventiva in quanto deputati alla formulazione di proposte non vincolanti per l’ente regionale: le proposte, infatti, sono predisposte dai Comuni, previa consultazione con gli Istituti scolastici interessati, e quindi, una volta delibate dalle Province, definitivamente assunte dalla Regione con delibera di Giunta o decreto del Presidente sulla base dei criteri da essa preventivamente delineati.

La Regione Campania, pertanto, in attuazione delle previsioni di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e dell’art. 3 del D.P.R. 18 giugni 1998, n. 233 citati, con Delib. n. 512 del 17 ottobre 2015, ha approvato le linee guida per il dimensionamento della rete scolastica e la programmazione dell’offerta formativa per l’anno scolastico 2016/2017, delineando una scansione procedimentale nella quale il coinvolgimento degli enti locali si sostanzia in un potere di sola proposta non vincolante, essendo il solo ente regionale deputato alla approvazione della delibera finale di programmazione.

Per ciò che concerne, invece, la natura degli atti di programmazione scolastica, è noto che essi costituiscono atti generali e dal contenuto altamente discrezionale, come tali non sindacabili in sede di legittimità se non in presenza di vizi procedimentali e/o di carenze logiche e motivazionali (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 febbraio 2007 n. 661; T.A.R. Milano, Sez. IV 30 settembre 2008, n. 4587); anche in base al disposto di cui all’art. 3 della L. n. 241 del 1990, quindi, l’obbligo di motivazione delle scelte pianificatore ivi espresse deve ritenersi adeguatamente e sufficientemente soddisfatto mediante l’indicazione dei criteri generali e di massima che presiedono alla loro redazione. (T.A.R. Catanzaro, sez. II, 29 luglio 2011 n.1135). (T.A.R Catanzaro, sez. II, 29 luglio 2011 n.1135; T.A.R Campania, Napoli sez. VIII, 10 aprile 2014, n. 2046; T.A.R Lazio, sez. I ter, 24 luglio 2013, n. 7548; T.A.R. Catanzaro, Calabria, sez. II, 8 maggio 2013, n. 543; T.A.R Lombardia, Brescia, sez. II, 20 novembre 2009, n. 2248), non occorrendo che la P..a, nell’adozione della scelta di Piano, controdeduca singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e/o opposizione che pervenga in sede procedimentale (Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012 n. 2710).

Quanto sin qui sinteticamente esposto, giustifica il rigetto del gravame.

Parte ricorrente, infatti, sollecita, nella specie, un riesame nel merito del provvedimento impugnato che, per come sopra evidenziato, deve intendersi precluso a questo Giudice, costituendo esso espressione di attività discrezionale di competenza regionale, cui non è dato sostituirsi in assenza di vizi logici e/o di motivazione.

Non si può ritenere, inoltre, che la delibera impugnata sia priva di motivazione in quanto, come rilevato, essa costituisce un atto di carattere generale, sufficientemente motivato con l’indicazione dei criteri di massima che avevano presieduto alla sua redazione.

La Regione, inoltre, non ha leso alcuna delle prerogative istituzionali riconosciute agli altri soggetti coinvolti nel procedimento in quanto la facoltà di adottare le scelte definitive in materia di dimensionamento scolastico anche in difformità dal piano provinciale o dalle proposte fatte pervenire dai Comuni, non è che l’espressione di quel potere di coordinamento e di verifica che le sono propri (TAR Campobasso, sez. I, 4 dicembre 2014, n. 664)

Infine, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, la delibera impugnata risulta coerente con le Linee Guida Regionali atteso che, da un lato, l’Istituto ricorrente contava, nell’anno scolastico 2015/2017, un numero di iscritti pari a ben 1207 alunni cosicchè non sarebbe a rischio di sottodimensionamento e, dall’altro, l’Istituto “Tasso” presentava locali e strutture sufficienti a garantire il corretto funzionamento del nuovo corso di studi.

Quanto alla ultima censura secondo cui la delibera impugnata sarebbe intervenuta tardivamente, basti osservare che in assenza di una espressa qualificazione contraria, i termini procedimentali previsti dalla normativa di settore devono ritenersi come meramente ordinatorio e non perentorio.

In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.

Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione e la peculiarità della controversia giustificano, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Grasso, Presidente

Paolo Severini, Consigliere

Rita Luce, Referendario, Estensore


PayPal approda su PagoPA

PayPal si aggiunge ai sistemi di pagamento disponibili sulla piattaforma PagoPA con il supporto di Intesa Sanpaolo. Sarà utilizzabile per pagare tasse, bollo auto, mensa scolastica
Negli stessi giorni in cui sembra che il progetto ANPR riprenda velocità, arriva una notizia interessante per i servizi di pagamento di PagoPA, l’iniziativa messa a punto dall’Agenzia per l’Italia Digitale.
Come è risaputo PagoPA è un ecosistema di regole, standard e strumenti definiti dall’Agenzia per l’Italia Digitale e accettati dalla Pubblica Amministrazione, dalle Banche, Poste ed altri istituti di pagamento ( Prestatori di servizi di pagamento – PSP) aderenti all’iniziativa, e come tale dovrebbe agevolare i processi di pagamento, e favorire sia i privati sia la PA, quest’ultima con la certezza e l’automazione delle riscossioni, la riduzione dei costi grazie alla standardizzazione dei processi, e la semplificazione e la digitalizzazione dei servizi.

Con il supporto di Intesa SanPaolo la novità odierna è che tra i sistemi di pagamento possibili e disponibili su PagoPA approda anche PayPal, che sarà quindi utilizzabile per le bollette online, le tasse, la mensa scolastica, il bollo auto, direttamente dai siti di servizio della PA.
Se ne serviranno circa 6 milioni di italiani e oltre 200 milioni nel mondo, mentre Intesa Sanpaolo beneficerà della presenza diretta sulla piattaforma PagoPA con un servizio di pagamento personalizzato che comprende carte di credito, prepagate, Internet, cellulare e telefono.
Intanto PagoPA è adottato già da 22 mila uffici PA, da banche e poste, istituti di credito e privati che possono essere individuati da logo PagoPA.
E PayPal Italia a sua volta con Federico Zambelli Hosmer, GM di PayPal Italia commenta: “Semplificare attraverso il digitale il modo di pagare i tributi, la mensa scolastica ed altri servizi pubblici, significa eliminare le code agli sportelli, i tempi di attesa e contribuire al miglioramento della relazione fra il cittadino e la Pubblica Amministrazione. Il nostro obiettivo consiste nel contribuire a colmare il gap digitale che ancora ci separa dal resto dell’Europa e far sì che sempre più italiani utilizzino PayPal almeno una volta al giorno”.


La mancata notificazione telematica disposta dalla legge in via esclusiva, comporta l’annullamento della notificazione

A seguito dell’introduzione del “domicilio digitale” (D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), non è più possibile procedere, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario davanti al quale pende la controversia e ciò anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.
In applicazione del principio sopra trascritto, la Corte di Cassazione con la decisione n. 17048 del 11 luglio 2017 ha ritenuto nulla la notifica della sentenza d’appello eseguita presso la cancelleria della Corte d’Appello posto che la stessa doveva essere notificata alla PEC del destinatario risultante dal REGINDE o da INIPEC.
Alla nullità della notificazione segue l’inidoneità della stessa a far decorrere il termine di impugnazione di cui all’art. 325 cod. proc. civ., con la conseguenza che il ricorso proposto dalla ricorrente prima della scadenza del termine “lungo” previsto dall’art. 327 cod. proc. civ. deve essere considerato tempestivo.
Il principio applicato dalla Suprema Corte è corretto al pari delle conseguenze scaturite dalla sua applicazione; dal 25 giugno 2014 è infatti in vigore l’art. 16 sexies DL. 179/12 introdotto dall’art. 52 del DL 90/14 il quale dispone che:
“Salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.”.
Ciò significa che se il destinatario della notifica non ha eletto domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa, il difensore dovrà notificare la relativa sentenza (ai fini della decorrenza del termine breve) non in cancelleria ma alla PEC del destinatario risultante dai pubblici elenchi e quindi da INIPEC o dal REGINDE.
Ancora prima dell’introduzione dell’art. 16 sexies DL 179/12, le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 10143 del 20 giugno 2012, avevano di fatto affermato che a seguito dell’obbligo per il difensore di indicare nell’atto il proprio indirizzo PEC (introdotto alla luce delle modifiche degli artt. 366 e 125 c.p.c, apportate dall’art. 25 della L. 12 novembre 2011, n. 183, in vigore dal 1° febbraio 2012) e ciò in quanto “…dopo l’entrata in vigore delle modifiche degli artt. 366 e 125 c.p.c., apportate rispettivamente dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, comma 1, lett. i), n. 1), e dallo stesso art. 25, comma 1, lett. a), quest’ultimo modificativo a sua volta del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 35-ter, lett. a), conv. in L. 14 settembre 2011, n. 148, e nel mutato contesto normativo che prevede ora in generale l’obbligo per il difensore di indicare, negli atti di parte, l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, si ha che dalla mancata osservanza dell’onere di elezione di domicilio di cui all’art. 82 per gli avvocati che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati consegue la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio solo se il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c., non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine”.
Nel caso oggetto di commento, la Corte di Cassazione deve preliminarmente esaminare l’eccezione di tardività del ricorso formulata dal contro ricorrente considerando che, ove la stessa fosse risultata fondata, comporterebbe l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata e l’inesistenza del potere decisorio degli Ermellini.
Il controricorrente ritiene e sostiene che il ricorso per Cassazione sia stato notificato a termine ormai scaduto posto che la sentenza d’appello era stata notificata presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano in data 11 giugno 2015 e che, pertanto il termine per proporre ricorso per cassazione doveva considerarsi scaduto il successivo 10 settembre, mentre il ricorso era stato effettivamente notificato in data 22 ottobre 2015.
Aggiunge il controricorrente che la notificazione presso la cancelleria si era resa necessaria e pertanto giustificata considerando che l’attuale ricorrente nel giudizio di appello non avrebbe effettuato elezione di domicilio alcuna e che l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore era indicato solamente quale recapito per le comunicazioni di cancelleria ma non anche per le notificazioni.
La società ricorrente sostiene, invece, che la controparte non avrebbe potuto notificare la sentenza presso la cancelleria della corte d’appello, avendo l’onere di procedere alla notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata risultante in atti.
La Suprema Corte, dopo aver attentamente e scrupolosamente passato in rassegna il quadro normativo di riferimento, ritiene infondata l’eccezione sollevata dalla controricorrente ritenendo assolutamente tempestivo il ricorso per cassazione notificato nel rispetto dei termini di cui all’art. 327 c.p.c.
In assenza della norma sul “domicilio digitale” ricorrerebbero le condizioni alle quali per il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, comma 2, (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore) l’attuale ricorrente avrebbe dovuto considerarsi domiciliata ex lege presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano ma, il R.D. ora citato deve essere raccordato (dal 25 giugno 2014) con la disciplina del c.d. “domicilio telematico” e delle notificazioni a mezzo di posta elettronica certificata (PEC).
Diverse pronunce della Cassazione hanno tuttavia ridimensionato il rilievo della “elezione” del domicilio telematico affermando (per fatti verificatisi prima del 25 giugno 2014) che, “..mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria” così come stabilito da: Sez. 6 – 3, sentenza n. 25215 del 27/11/2014, Rv. 633275; Sez. 6 – 3, ordinanza n. 2133 del 03/02/2016, Rv. 638920 e, da ultimo, Sez. 3 sentenza 20 giugno 2017 n. 15147.
Ma, come già evidenziato, anche l’ambito applicativo del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 ha subito, a sua volta, un giusto e doveroso ridimensionamento considerando che, a seguito di tutte le modifiche normative la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario. Nelle restanti ipotesi, ovverosia quando l’indirizzo PEC è disponibile, è fatto espresso divieto di procedere a notificazioni o comunicazioni presso la cancelleria, a prescindere dall’elezione o meno di un domicilio “fisico” nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa.
Residua, tuttavia, un ristretto margine di applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82. Si tratta del caso in cui l’uso della PEC è impossibile per causa non imputabile al destinatario. In tale ipotesi, le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni degli atti vanno effettuate nelle forme ordinarie, ai sensi degli artt. 136 ss. cod. proc. civ.: solamente in tale eventualità assume rilievo – ai fini del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 cit., comma 2, – l’omessa elezione del domicilio “fisico” nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario.

La sentenza è oltremodo interessante visto che non viene ritenuta valida la notificazione non effettuata all’indirizzo pec del destinatario a fronte di quanto disposto dall’art. 16-bis del DL 179/2012.
Tale norma infatti dispone la notifica in via esclusiva all’indirizzo pec del destinatario, quindi tale decisione sembra aprire ad ulteriori annullamenti delle notificazioni effettuate in contrasto all’obbligo di notifica telematica esclusiva che potrebbe riguardare in futuro anche gli atti dell’A.d.E., visto che la mancata attuazione del combinato disposto degli artt. 6-bis e 3-bis del dlgs 82/2005 e art. 60, 7° comma del DPR 600/1973, pone sostanzialmente sullo stesso piano le due situazioni.

Leggi il testo della sentenza: Cassazione Civile, sez. III, sentenza 11.07.2017 n. 17048


Stop al monopolio delle Poste Italiane su multe e atti giudiziari

Concorrenza, la riforma è legge

Il provvedimento interessa assicurazioni, mercato dell’energia, liberi professionisti, Poste, banche ma anche albergatori e farmacie.

Il provvedimento sulla concorrenza interviene anche nel settore dei servizi postali con la soppressione, a partire dal 10 settembre 2017, del monopolio di Poste Italiane nel servizi di notifica e comunicazione degli atti giudiziari oltre che delle notifiche relative a violazioni del Codice della Strada.

A partire dal 10 settembre, dunque, multe e atti giudiziari non saranno consegnati solo dai postini, ma anche da altri operatori, e le notifiche saranno valide a tutti gli effetti, col conseguente venir meno di tutte le sentenze che avevano sancito sinora la nullità  delle consegne effettuate da servizi privati.

Testo approvato dal Parlamento in data 2 agosto 2017 e non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale:

58. Al decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, sono apportate le seguenti modificazioni:

a)       all’articolo 2, comma 14, lettera b), le parole: «e dei proventi per i servizi affidati in via esclusiva, di cui all’articolo 4» sono soppresse a decorrere dal 10 settembre 2017;

b)      l’articolo 4 è abrogato a decorrere dal 10 settembre 2017;

c)       all’articolo 5, comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il rilascio della licenza individuale per i servizi riguardanti le notificazioni di atti a mezzo della posta e di comunicazioni a mezzo della posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, nonché per i servizi riguardanti le notificazioni a mezzo della posta previste dall’articolo 201 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve essere subordinato a specifici obblighi del servizio universale con riguardo alla sicurezza, alla qualità , alla continuità , alla disponibilità  e all’esecuzione dei servizi medesimi.»;

d)      all’articolo 10, comma 1, le parole: «e dai servizi in esclusiva di cui all’articolo 4» sono soppresse a decorrere dal 10 settembre 2017;

e)      all’articolo 21, il comma 3 è abrogato a decorrere dal 10 settembre 2017.

58. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’Autorità  nazionale di regolamentazione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera u quater), del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, determina, ai sensi dell’articolo 5, comma 4, del predetto decreto legislativo n. 261 del 1999, e successive modificazioni, sentito il Ministero della giustizia, gli specifici requisiti e obblighi per il rilascio delle licenze individuali relative ai servizi di cui all’articolo 5, comma 2, secondo periodo, del medesimo decreto legislativo n. 261 del 1999, introdotto dal comma 57 del presente articolo; con la stessa modalità  l’Autorità  determina i requisiti relativi all’affidabilità , alla professionalità  e all’onorabilità  di coloro che richiedono la licenza individuale per la fornitura dei medesimi servizi.


Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 06-06-2017) 31-07-2017, n. 19012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29818/2011 R.G. proposto da (OMISSIS), in liquidazione (C.F. (OMISSIS)), in persona del liquidatore pro tempore, e P.G. (C.F. (OMISSIS)), rappresentate e difese dall’avv. Massimiliano Bianchi e dall’avv. Alberto Jorio, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, piazza Sant’Andrea della Valle 6. – ricorrenti –

contro

Fallimento della (OMISSIS), in liquidazione (C.F. (OMISSIS)), e fallimento di P.G. (C.F. (OMISSIS)), in persona del curatore pro tempore, G.F.C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1524/2011 della Corte d’appello di Torino, depositata il 24 ottobre 2011.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2017 dal Consigliere Fichera Giuseppe.

Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Soldi Anna Maria, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 24 ottobre 2011, ha respinto il reclamo proposto dalla (OMISSIS), in liquidazione, nonchè dal socio accomandatario P.G., avverso la sentenza dichiarativa del loro fallimento pronunciata dal Tribunale di Torino.

Ha ritenuto la corte d’appello che la notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento al liquidatore e socio accomandatario della società, con la forma prevista per i soggetti irreperibili, si fosse ritualmente perfezionata; ha soggiunto il giudice di merito che la debitrice non aveva dimostrato il mancato superamento dell’esposizione debitoria complessiva idoneo all’esonero dalla soggezione al fallimento, stante l’inattendibilità delle scritture contabili prodotte, ove non risultavano annotate le ragioni vantate dal creditore istante per la dichiarazione di fallimento.

(OMISSIS), in liquidazione, e Giuseppina hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi; non hanno spiegato difese le parti intimate.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo deducono (OMISSIS), in liquidazione, e P.G. violazione degli artt. 138, 139, 140, 143, 145 e 148 c.p.c., nonchè della L.Fall., art. 15, e dell’art. 24 Cost., per avere il giudice del reclamo ritenuta valida la notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento, mediante deposito presso la casa comunale dell’ultima residenza nota del suo liquidatore e socio accomandatario, senza che fossero state curate le ricerche della medesima secondo canoni di ordinaria diligenza.

Con il secondo motivo assume violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e, di nuovo, degli artt. 138, 139, 140, 143, 145 e 148 c.p.c., della L.Fall., art. 15, e dell’art. 24 Cost., avendo trascurato la corte d’appello le prove idonee a dimostrare l’effettiva presenza del liquidatore della fallita presso la sua residenza anagrafica all’epoca della notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento.

Con il terzo motivo lamenta nullità dell’intero procedimento e della sentenza di fallimento impugnata, per omessa attivazione del contraddittorio con i soggetti destinatari dell’istanza di fallimento nella fase cd. prefallimentare.

Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), palesandosi carente e contraddittorio il ragionamento della corte d’appello sulla ritenuta ignoranza incolpevole del creditore istante, nonchè sulla prove dedotte a dimostrazione dell’effettiva presenza del liquidatore della fallita presso la sua residenza anagrafica.

Con il quinto motivo assume violazione degli artt. 2697, 2710, 2727 e 2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e della L.Fall., art. 1, comma 2, e L.Fall., art. 15, avendo erroneamente ritenuto il giudice di merito che le ricorrenti non avessero fornito la prova della contemporanea presenza dei requisiti dimensionali da cui dipende l’esonero dalla dichiarazione di fallimento e, in particolare, dell’esposizione debitoria inferiore ad Euro 500.000,00.

Con il sesto motivo deduce vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo la corte d’appello omesso di motivare le ragioni che inducevano a ritenere inattendibili i bilanci della società poi fallita.

2. Il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente stante la stretta connessione, sono tutti parimenti infondati.

Com’è noto, secondo l’orientamento di questa Corte, cui si intende dare continuità, i presupposti, legittimanti la notificazione a norma dell’art. 143 c.p.c., non sono solo il dato soggettivo dell’ignoranza, da parte del richiedente o dell’ufficiale giudiziario, circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, nè il mero possesso del certificato anagrafico, dal quale risulti il destinatario stesso trasferito per ignota destinazione, essendo anche richiesto che la condizione di ignoranza non sia superabile attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi ad opera del mittente con l’ordinaria diligenza. A tal fine, la relata di notificazione fa fede, fino a querela di falso, circa le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente e limitatamente ai soli elementi positivi di essa, mentre non sono assistite da pubblica fede le attestazioni negative, come l’ignoranza circa la nuova residenza del destinatario della notificazione (Cass. 27/11/2012, n. 20971).

Orbene, l’ordinaria diligenza, alla quale il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, per vincere l’ignoranza in cui versi circa la residenza, il domicilio o la dimora del notificando, al fine del legittimo ricorso alle modalità di notificazione previste dall’art. 143 c.p.c., va valutata in relazione a parametri di normalità e buona fede secondo la regola generale dell’art. 1147 c.c. e non può tradursi nel dovere di compiere ogni indagine che possa in astratto dimostrarsi idonea all’acquisizione delle notizie necessarie per eseguire la notifica a norma dell’art. 139 c.p.c., anche sopportando spese non lievi ed attese di non breve durata. Ne consegue l’adeguatezza delle ricerche svolte in quelle direzioni (uffici anagrafici, portiere della casa in cui il notificando risulti aver avuto la sua ultima residenza conosciuta) in cui è ragionevole ritenere, secondo una presunzione fondata sulle ordinarie manifestazioni della cura che ciascuno ha dei propri affari ed interessi, siano reperibili informazioni lasciate dallo stesso soggetto interessato, per consentire ai terzi di conoscere l’attuale suo domicilio, residenza o dimora (Cass. 04/06/2014, n. 12526).

Nella vicenda all’esame, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi sopra ricordati, avendo osservato che una volta verificata l’impossibilità di notificare il ricorso per la dichiarazione di fallimento presso la sede sociale (per la chiusura dei locali), e constatato che nell’anno precedente un tentativo di notifica di un atto di precetto presso l’ultima residenza nota del suo liquidatore era fallito, la notifica nella forma degli irreperibili costituiva l’unico strumento per assicurare il contraddittorio.

Nè può dubitarsi dell’adeguatezza delle ricerche effettuate dall’ufficiale giudiziario, prima di procedere al deposito del plico presso la casa comunale ai sensi dell’art. 143 c.p.c., nell’ultima residenza nota della P., in (OMISSIS), avendo costui attestato di non avere rinvenuto il nominativo della predetta, nè sui citofoni e neppure sulle cassette postali situate all’indirizzo anagrafico – che anzi risultava al relativo interno dell’edificio un diverso nominativo -, ed avendo ricevuto informazioni negative sulla medesima dai residenti interpellati; circostanze queste che comprovano in maniera chiara le ricerche effettivamente compiute dall’organo notificatore.

2.1. Inammissibile, infine, si mostra il denunciato vizio di motivazione, in thesi desumibile dalla scarsa rilevanza attribuita dalla corte d’appello a taluni documenti prodotti dalle reclamanti nel corso del giudizio (costituiti dalle buste contenenti talune missive indirizzate, tra il 2010 e il 2011, all’ultima residenza anagrafica della P.), in quanto in tema di errores in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. 10/11/2015, n. 22952).

3. Il quinto e sesto motivo, avvinti dal comune oggetto, sono anch’essi infondati.

Ai fini della prova, da parte dell’imprenditore, della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L.Fall. art. 1, comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi costituiscono la base documentale imprescindibile, ma non anche una prova legale, sicchè, ove ritenuti motivatamente inattendibili dal giudice, l’imprenditore rimane onerato della prova circa la ricorrenza dei requisiti della non fallibilità (Cass. 31/05/2017, n. 13746; Cass. 01/12/2016, n. 24548; Cass. 30/06/2014, n. 14790).

Nella vicenda all’esame della Corte, il giudice di merito ha plausibilmente ritenuto inattendibili i bilanci depositati dalla fallita al fine di comprovare l’indebitamento complessivo della società -, considerato che proprio nelle scritture contabili esibite non risultava annotato neppure il credito (di rilevante importo) vantato dal creditore istante, pure portato da titolo esecutivo; dunque correttamente è stata ritenuto che la società debitrice non avesse dato la prova – su di essa pacificamente incombente – di avere requisiti dimensionali inferiori a quelli prescritti dalla L.Fall., art. 1, comma 2.

4. Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva delle parti intimate.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017


Riunione Giunta Esecutiva del 09.09.2017

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà  sabato 09 settembre 2017 alle ore 07:30 presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 9:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione iscrizioni all’Associazione per l’anno 2017 e 2018;
  2. Criteri generali per rimborso spese;
  3. Formazione anni 2017/2018;
  4. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale GE 09 09 2017


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 22-03-2017) 17-07-2017, n. 17636

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15098/2015 proposto da:

R.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA MARRANA 7 presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CATTIVERA, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO GATTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SEVEL – Società Europea Veicoli Leggeri S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIACINTO FAVALLI, MARIO CAMMARATA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1040/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 04/12/2014 R.G.N. 1214/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/03/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO GATTA;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega verbale Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO.

Svolgimento del processo
Con sentenza 4 dicembre 2014, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la Corte d’appello di L’Aquila rigettava l’appello proposto da R.G. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda di impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli da Sevel s.p.a. il 13 aprile 2010, per avere lavorato nei campi durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia (intervento di meniscectomia), così ritardandone la guarigione.

Esclusa ogni denunciata indebita estensione valutativa del primo giudice a periodo temporale non oggetto di contestazione e pure ogni confusione nell’apprezzamento delle condizioni del ginocchio sinistro del lavoratore, in luogo del destro operato, la Corte territoriale ribadiva la dipendenza causale del ritardo nella guarigione dalla prestazione della suddetta attività (in particolare consistita nella legatura di viti e nella conduzione di un mezzo agricolo), accertata dal C.t.u. medico-legale.

Con atto notificato il 4 giugno 2015, R.G. ricorre per cassazione con sei motivi, cui resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per ampliamento della contestazione datoriale del 1 aprile 2010, alla base del licenziamento disciplinare del 13 aprile 2010, a fatti, collegati a certificati medici del (OMISSIS), relativi al ginocchio sinistro (e non al destro, interessato dall’intervento chirurgico per cui il lavoratore in malattia), in violazione del principio di immutabilità della contestazione.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 115 c.p.c., quale la documentazione medica dell’intervento di (OMISSIS) al ginocchio sinistro del lavoratore.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce nullità della sentenza, per la mancata esplicazione delle ragioni di ravvisato pregiudizio per la propria guarigione nella sporadica attività agricola prestata, indicata in una presunta attività di coltivazione delle viti, anzichè nella loro legatura e nella guida di un mezzo agricolo, come accertato dal Tribunale.

4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 134 c.p.c., per il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi in ordine all’inesistenza di alcun aggravamento a carico del ginocchio destro del lavoratore a causa dell’attività svolta durante il periodo di assenza per malattia.

5. Con il quinto, il ricorrente deduce manifesta illogicità della sentenza, per la censurata prestazione di attività agricola durante la malattia, da una parte e, dall’altra, per la mancata prestazione, se allora possibile, di una parziale prestazione al datore di lavoro, peraltro al di fuori della contestazione disciplinare.

6. Con il sesto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 2103 e 2119 c.c., per difetto di proporzionalità tra l’addebito contestato e la sanzione espulsiva inflittagli, senza neppure specifica indicazione degli elementi giustificativi.

7. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per ampliamento della contestazione a base del licenziamento disciplinare nell’inosservanza del principio di immutabilità della contestazione, è infondato.

7.1. Occorre premettere che la violazione del principio di immutabilità della contestazione attiene alla correttezza del procedimento disciplinare, che evidentemente non può che collocarsi in una fase anteriore a quella di eventuale impugnazione giudiziale del provvedimento sanzionatorio cui esso mette capo, in quanto corollario del principio di specificità della contestazione medesima. E detto principio risponde all’esigenza, rilevante ai fini della garanzia dell’esercizio del diritto di difesa, che i fatti addebitati siano specificamente individuati nell’atto di contestazione, secondo l’impostazione giurisprudenziale più squisitamente contenutistica di applicazione del principio esclusivamente in relazione alla funzione di garanzia di esercizio del diritto di difesa del lavoratore, con la negazione di qualsiasi profilo di illegittimità qualora in concreto nessun vulnus sia arrecato a tale diritto (Cass. 22 aprile 2015, n. 8238; Cass. 5 marzo 2010 n. 5401; Cass. 13 giugno 2005 n. 12644).

Nè si verifica alcuna violazione del diritto di difesa, qualora sia rispettato il principio generale, in materia di sanzioni disciplinari, di assicurazione al lavoratore della possibilità di contestare l’addebito in relazione all’unico fatto materiale accertato, anche diversamente qualificato giuridicamente, con le garanzie del contraddittorio (Cass. 10 marzo 2016, n. 4725; Cass. 20 marzo 2007, n. 6638).

7.2. Nel merito, deve peraltro essere esclusa la violazione denunciata, non avendo la Corte territoriale valutato comportamenti diversi da quelli oggetto del licenziamento impugnato: posto che la documentazione medica successiva si riferisce all’accertamento, compiuto dalla Corte e adeguatamente giustificato (per le ragioni esposte al terzo e al quinto capoverso di pg. 2 della sentenza), dell’aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore, per effetto dell’attività prestata.

8. Il secondo motivo, relativo ad omesso esame della documentazione medica relativa all’intervento di (OMISSIS) al ginocchio sinistro del lavoratore, è inammissibile.

8.1. Il ricorrente non ha, infatti, osservato il protocollo deduttivo (consistente nell’indicazione del “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, del “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e della sua “decisività”) in ordine all’omesso esame, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: neppure peraltro la censura inerendo ad un fatto, ma piuttosto ad una valutazione compiuta dalla Corte territoriale, nel senso dell’irrilevanza della condizione del ginocchio sinistro rispetto al documentato accertamento dello stato di quello destro, oggetto dell’intervento chirurgico giustificante l’assenza dal lavoro (dal primo periodo al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza).

9. Il terzo motivo, relativo a nullità della sentenza per mancata esplicazione delle ragioni di ravvisato pregiudizio alla guarigione del lavoratore per la sporadica attività agricola prestata, è infondato.

9.1. Non ricorre la denunciata nullità quale error in procedendo. Essa è, infatti, integrata da una motivazione che sia solo apparente, inidonea a rendere percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. s. u. 3 novembre 2016, n. 22232).

Ma la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni di pregiudizio comportate dall’esercizio dell’attività agricola in pendenza della malattia del lavoratore, per le ragioni succintamente ma adeguatamente illustrate (in particolare al penultimo capoverso di pg. 3 della sentenza), sulla base di accertamento in fatto (recepito dal giudice di primo grado, al terzo capoverso di pg. 2 della sentenza), insindacabile nell’odierna sede di legittimità; infine, nella palese e coerente confluenza delle attività di legatura delle viti e della guida di un mezzo agricolo in quella di coltivazione, cui funzionalmente accedenti.

10. Il quarto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 134 c.p.c., per mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi in ordine all’inesistenza di aggravamento a carico del ginocchio destro del lavoratore per attività svolta durante il periodo di malattia, è inammissibile.

10.1. E’ noto come nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ai sensi dell’art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non sia censurabile con ricorso per cassazione, qualora la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (Cass. 12 marzo 2009, n. 6023; Cass. 23 ottobre 2014, n. 22534).

E ciò non risulta nel caso di specie.

11. Il quinto motivo, relativo a manifesta illogicità della sentenza per la censurata prestazione di attività agricola durante la malattia del lavoratore e la mancata, neppure parziale, al datore di lavoro peraltro al di fuori della contestazione disciplinare, è infondato.

11.1. La Corte territoriale ha reso una chiara e congruente giustificazione dell’aggravamento della condizione patologica del lavoratore per effetto dell’attività lavorativa prestata nel periodo di malattia (sulla base delle argomentazioni svolte dal penultimo capoverso di pg. 3 al primo di pg. 4 della sentenza), senza alcuna intrinseca contraddittorietà tale da non rendere comprensibile il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione assunta, nell’impossibilità di individuarne gli elementi di fatto considerati o presupposti, in funzione della sua intelligibilità e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. 10 novembre 2010, n. 22845; Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 22 giugno 2015, n. 12864).

Sicchè, tanto escluso, la censura eccede il rigoroso perimetro devolutivo di denunciabilità del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

12. Il sesto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 2106 e 2119 c.c., per difetto di proporzionalità tra addebito contestato e licenziamento, è infondato.

12.1. E’ noto come la giusta causa di licenziamento debba rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare (Cass. 18 settembre 2012, n. 15654; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144).

Sicchè, la sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonchè dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta: per la quale ultima, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza (Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).

Ebbene, nella valutazione che le pertiene, in ordine alla verifica della concretizzazione operata dall’interprete della giusta causa di licenziamento quale clausola generale, tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144), reputa questa Corte che la Corte d’appello aquilana abbia fatto corretta applicazione dei suenunciati principi di diritto. E che essa abbia pure accertato la ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo, sotto il profilo del giudizio di fatto demandatole, incensurabile in cassazione se, come nel caso in esame, privo di errori logici e giuridici (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo(2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144): e ciò anche in specifico riferimento al requisito di proporzionalità, che esige valutazione non astratta dell’addebito, ma attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).

Ed infatti, la Corte territoriale ha a ciò provveduto con accertamento in fatto, succintamente ma adeguatamente motivato (al terzo capoverso di pg. 4 della sentenza e con evidente richiamo anche del profilo dell’intenzionalità, all’ultimo capoverso di pg. 3), insindacabile in sede di legittimità.

13. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna R.G. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017


Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 20/04/2017) 13/07/2017, n. 17335

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21063/2012 proposto da:

Borio Mangiarotti S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Augusto Imperatore n. 22, presso l’avvocato Pottino Guido rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bucolo Alberto, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.p.a.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VERBANIA, depositato il 13/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/04/2017 dal cons. TERRUSI FRANCESCO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE RENZIS LUISA, che chiede che la Corte respinga il ricorso con le conseguenze previste dalla legge.

Svolgimento del processo
che:

la Borio Mangiarotti s.p.a. propose domanda di ammissione al passivo del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. (dichiarato in data 9-7-2010), per la somma di Euro 364.312,50 portata da una cambiale ipotecaria;

la domanda venne accolta ma al chirografo, essendo l’ipoteca revocabile ai sensi della L.Fall., art. 67;

invero la presunzione di onerosità da parte del terzo datore di ipoteca ((OMISSIS) s.p.a.) poteva dirsi sussistente nel solo diverso caso di garanzia concessa contestualmente al sorgere del credito;

l’opposizione della creditrice, basata sull’assunto che, invece, l’ipoteca era stata concessa in relazione al debito cambiario sorto contestualmente al rilascio del titolo, veniva rigettata dal Tribunale di Verbania;

il tribunale riteneva non dimostrato che il rilascio della nuova cambiale avesse determinato l’estinzione dell’originario rapporto di garanzia relativo al pagamento del prezzo della vendita immobiliare a cui era da associare il rilascio dei titoli inizialmente emessi;

in particolare la mera sostituzione di quei titoli con altri, potendo risolversi in mera dilazione di pagamento, non poteva implicare – secondo il collegio – una novazione del rapporto in difetto di prova della volontà di estinguere l’obbligazione precedente; il decreto del Tribunale di Verbania, depositato il 13-7-2013, è impugnato con ricorso per cassazione della Borio Magiarotti s.p.a.; il fallimento non ha svolto difese;

il procuratore generale ha depositato conclusioni scritte; la ricorrente ha depositato una memoria.

Motivi della decisione
che:

il primo motivo di ricorso, con cui si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1992 e seg. e 1230 c.c., è infondato; la ricorrente sostiene che l’emissione di nuova cambiale, unita alla restituzione delle precedenti, aveva costituito ipso facto novazione del rapporto cambiario, senza necessità di alcuna ulteriore indagine e di alcuna ulteriore prova sulla interna volontà delle parti non risultante dal documento;

codesta affermazione pecca di astrattismo, e la fattispecie in esame, per come pacificamente ricostruita dal giudice a quo, ne rende giustizia;

la fallita aveva concesso ipoteca su alcuni immobili a fronte di cambiali rilasciate dalla società P&D s.r.l. per il pagamento di alcune rate del prezzo di una compravendita stipulata il 21-5-2009; in data anteriore alla scadenza di una delle rate, i contraenti avevano convenuto di posticipare il pagamento del saldo e di rideterminare la misura degli interessi; donde l’acquirente P&D s.r.l. aveva emesso un nuovo titolo cambiario a favore della venditrice Borio Mangiarotti, per l’importo residuo del prezzo (appunto Euro 364.312,50); la cambiale di cui si tratta era stata rilasciata a garanzia del pagamento di tale residuo, e la fallita (OMISSIS) s.p.a. aveva quindi ribadito l’ipoteca concessa a latere della vendita sugli immobili di sua proprietà;

tali essendo i fatti come emergenti dalla decisione impugnata, è essenziale considerare che l’art. 1230 c.c. prevede che l’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso, e che la volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco;

il mero fatto che, in correlazione con la dilazione di una obbligazione già assunta, vengano rilasciati nuovi effetti cambiari in sostituzione dei precedenti, non è segno di una volontà novativa;

difatti la novazione oggettiva si configura come contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, con nuove e autonome situazioni giuridiche;

di un simile contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi, consistente nell’inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, da intendersi come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto (v. tra le tante Cass. n. 12083-15);

nel caso di specie il titolo del rapporto e l’oggetto della prestazione erano pur sempre quelli discendenti dalla vendita intercorsa tra la Borio Magiarotti e la P&D s.r.l., e non giova insistere sull’astrattezza dell’obbligazione cambiaria, volta che la stessa ricorrente ha dedotto che le cambiali ipotecarie erano state emesse sempre a garanzia del saldo del prezzo della vendita, in guisa di tale causa essendo state azionate;

il secondo motivo di ricorso, con cui si denunzia l’omesso esame e l’omessa e insufficiente motivazione su fatto controverso, è inammissibile;

la ricorrente sostiene di aver contestato anche l’esistenza del requisito soggettivo della revocatoria e lamenta l’omissione o comunque l’insufficienza motivazionale del giudice a quo su tale punto;

può osservarsi che, in prospettiva di autosufficienza, la ricorrente ha ammesso di essersi limitata a sottolineare l’inesistenza di rapporti commerciali o contrattuali col terzo datore di ipoteca prima del fallimento;

per quanto emerge dal ricorso, la difesa sulla questione della inscientia era stata affidata alla considerazione di aver rinunziato all’ipoteca legale nei confronti dell’acquirente (P&D s.r.l.) quanto al saldo del prezzo convenuto;

dinanzi a tali argomentazioni dell’opponente, poste a corredo della prova della inscientia su di lei gravante ai sensi della L.Fall., art. 67, comma 1, n. 3, è pertinente la (seppur sintetica) motivazione del tribunale nella parte in cui ha osservato che l’opponente non aveva offerto alcuna allegazione e alcuna prova “su circostanze esterne, concrete e specifiche tali da far ritenere che la società terza datrice di ipoteca si trovasse in una situazione di normale esercizio dell’impresa”;

difatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, gli atti revocabili previsti dalla L.Fall., art. 67, comma 1, rivestono connotati tali da evidenziare di per sè la possibilità che l’imprenditore che li compie possa trovarsi in situazione di insufficiente liquidità (v. Cass. n. 8826-11); cosicchè la prova della inscientia deve essere fornita in relazione alla specifica apparente condizione economica del debitore in quanto idonea a far supporre l’esistenza di una situazione di normalità;

da questo punto di vista la prova, per quanto suscettibile di essere fornita con ogni mezzo, non si esaurisce nella dimostrazione di un mero stato d’animo (v. Cass. n. 683-99; Cass. n. 6240-88);

essa postula – come esattamente ritenuto dal tribunale di Verbania l’indicazione di circostanze esterne concrete e specifiche, perchè solo dinanzi all’indicazione puntuale di simili circostanze è possibile affermare il presupposto di non conoscenza secondo il parametro della ragionevolezza di una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza;

l’onere può ritenersi assolto solo ove abbia a oggetto la prova di concreti collegamenti tra il soggetto onerato e i sintomi conoscibili, per una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza, del predetto stato (e v. già Cass. n. 1043-83; Cass. n. 4070-85, Cass. n. 3630-86, fino a giungere a Cass. n. 3781-08 e a Cass. n. 17286-14);

il giudice del merito ha dunque esaurito l’onere motivazionale, e la relativa valutazione, a lui istituzionalmente riservata, si sottrae al sindacato di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017


Agenzia delle Entrate: circolare Prot. n. 120768/2017 del 28.06.2017

Modalità di comunicazione, tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate, dei dati relativi all’indirizzo di posta elettronica certificata per la notifica degli atti, ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

Leggi: Agenzia delle Entrate Prot. n. 120768-2017 del 28 06 2017


Nuova modulistica di Poste Italiane

Poste Italiane ha modificato le buste e le relative cartoline per la notificazione postale ed introdotto un nuovo prodotto che va a colmare una lacuna. Il nuovo prodotto è la raccomandata contenente una comunicazione inerente il procedimento notificatorio. La legge 890/1982 infatti dispone non solo in merito alla notificazione postale vera e propria ma anche a quegli avvisi che l’agente notificatore deve inviare a casa del destinatario quando la notificazione non è avvenuta mediante consegna a mani proprie, attività attualmente rientrante nella riserva esclusiva di Poste Italiane. Si tratta quindi della raccomandata del 139 c.p.c., della raccomandata A.R. del 140 c.p.c. e della raccomandata di cui all’art. 60 lett. b-bis DPR 600/1973 per quanto riguarda le notifiche realizzate dai Messi Comunali.
Nonostante la legge 890/1982 si riferisca sia alla notifica postale che alle comunicazioni connesse alla notificazione, Poste Italiane aveva predisposto il modello postale solo per le buste e relative cartoline per la notifica postale, tanto che gli ufficiali giudiziari utilizzavano la busta verde anche per la raccomandata del 139 c.p.c. che non necessiterebbe di avviso di ricevimento e per il 140 c.p.c. con un avviso di ricevimento con restituzione in raccomandazione, quindi con costi più elevati del necessario.
Il nuovo prodotto di poste italiane quindi giunge con molto ritardo a colmare un vuoto che si protrae dal 1982. In effetti le buste e cartoline necessarie alle raccomandate in questione, dovranno essere fornite da Poste Italiane e dovranno essere predisposte secondo precisi criteri, pena la mancata accettazione tranne che l’ufficio che ne ha necessità non intenda dotarsi delle relative buste e cartoline in proprio, ma ovviamente osservando scrupolosamente i particolari limiti e criteri previsti per il prodotto. Si tratta di criteri di localizzazione dell’indirizzo del destinatario e del mittente in determinati spazi e apposizione del relativo codice in una zona precisa che serviranno a garantire una lettura automatica e quindi uno smistamento più preciso e veloce di questo tipo di corrispondenza. Inoltre per le raccomandate A.R., come ad esempio quella del 140 c.p.c., è prevista la restituzione dell’avviso di ricevimento decorso il decimo giorno dal deposito presso l’ufficio postale senza ritiro del plico. Ciò consentirà di disporre dell’avviso di ricevimento prima dei 30 giorni necessari al compimento dei termini previsti per il deposito postale. Tale beneficio quindi è subordinato all’acquisto delle buste e delle cartoline presso l’ufficio postale, già dotate di codice di spedizione, che si tradurrà in un costo che inciderà ulteriormente sul prezzo di spedizione al quale viene applicata la stessa tariffa che Poste Italiane applica alle CAN e CAD previste dagli artt. 7 e 8 della legge 890/1982.
La novità quindi è solo sul fronte della tipologia di prodotto postale ma non su quello normativo. Se dovessimo ritenere che sia indispensabile spedire le raccomandate previste dall’art. 139 c.p.c., 140 c.p.c. e art. 60 lett. b-bis, dovremmo chiederci come mai la mancanza del relativo prodotto per così tanti anni non abbia determinato vizi di notificazione. Quindi, a fronte di un beneficio come ad esempio sarà la restituzione dell’avviso del plico depositato decorso il 10° giorno e la presunta velocizzazione e precisione dello smistamento, bisogna anche considerare i costi.
Attualmente la raccomandata A.R. inerente l’art. 140 c.p.c., costa euro 4,10 se spedita con macchina affrancatrice o mediante affidamento a Poste Italiane con specifico contratto, a fronte di euro 5,00 per la CAN (art. 139 c.p.c. e art. 60 lett. b-bis) ed euro 5,95 per la CAD (art. 140 c.p.c.), quindi se non interverranno ulteriori novità che costringano i Messi Comunali a passare al nuovo prodotto la differenza sostanziale è sui costi e quindi soprattutto su questo fronte sembra si affermerà o meno la nuova modalità di spedizione delle raccomandate connesse alla notificazione.

Circolare di Poste Italiane

Spett.le ENTE
Roma, 02 febbraio 2017
Come è noto, la notifica degli atti giudiziari e delle comunicazioni connesse costituisce un momento fondamentale dei procedimenti giudiziari ed amministrativi. In tale ottica, Poste Italiane ha progettato una serie di migliorie che, permetteranno ai clienti di beneficiare di un servizio di maggiore qualità. Le iniziative oggetto dell’intervento sono le seguenti, valide dal 27 febbraio 2017. Revisione della modulistica dell’Atto Giudiziario Per facilitare la gestione delle spedizioni e consentire puntuali attività di verifica e ricerca dell’invio, l’Azienda ha rivisto l’avviso di ricevimento – modello 23L/AG – riportando sullo stesso oltre al codice della cartolina stessa, un’etichetta spellicolabile con il codice identificativo del piego. I due codici – c.d. codice 23L e codice AG – saranno univoci e collegati tra loro da un offset (intervallo numerico standard) predefinito.
La soluzione consentirà di differenziare in questo modo il piego e l’avviso di ricevimento e di migliorare, così, notevolmente la qualità del processo di notifica grazie al passaggio ad una lavorazione meccanizzata. Sviluppo di specifiche caratteristiche per le Comunicazioni connesse all’Atto Giudiziario
L’identificazione univoca delle comunicazioni connesse alla notifica degli atti giudiziari effettuate dagli Ufficiali Giudiziari, Messi Notificatori ed altri Soggetti legittimati da specifiche disposizioni (ossia le raccomandate ex artt. 139, 140, 660 Cod. Proc. Civ. e 157 e 161 Cod. Proc. Pen.) al fine di distinguerle, in maniera netta, soprattutto da un punto di vista operativo, dagli atti giudiziari e dagli altri invii raccomandati, costituisce un obiettivo fondamentale sia per l’Azienda che per i clienti, in quanto è funzionale alla corretta gestione degli invii. A tale scopo, Poste Italiane, in conformità a quanto stabilito dalla legge 890/1982 o dalla sentenza n. 3/2010, ha definito caratteristiche di prodotto ad hoc nonché appositi moduli e buste, di colore verde.
Continueranno ad applicarsi, inoltre, le condizioni economiche e il trattamento fiscale degli invii attuali. Al fine del raggiungimento delle finalità proposte, è di fondamentale importanza che i Clienti che si avvalgono direttamente delle citate comunicazioni connesse alla notifica degli atti giudiziari utilizzino esclusivamente i nuovi modelli predisposti da Poste; in caso di errato allestimento, i Clienti dovranno confezionare nuovamente gli invii.
Nella certezza che entrambe le iniziative assunte produrranno i benefici attesi, si precisa che, per consentire la transizione graduale, nell’adozione dei nuovi moduli, sarà previsto un periodo di temporanea coesistenza delle vecchie e nuove modalità di spedizione, della durata di 6 mesi dalla data di avvio del nuovo servizio. In tal modo anche i Vostri Uffici potranno adeguarsi senza disagi alle specifiche tecniche sopra citate, disponibili sul sito www.poste.it, e smaltire le eventuali scorte di modelli già approvvigionati che non potranno, naturalmente, essere utilizzati oltre tale data. Si precisa inoltre che i quantitativi di moduli non utilizzati non saranno rimborsati o sostituiti con i nuovi modelli Si precisa che i clienti in possesso di Autorizzazione alla stampa in proprio /omologazione di Atti Giudiziari e relativi mod. 23L, autoproduttori di modulistica (busta + Mod. 23L), dovranno provvedere entro sei mesi dalla data di avvio dei nuovi servizi, all’allineamento della loro produzione alle nuove Specifiche tecniche e comunque non oltre la data di scadenza dell’autorizzazione in essere. Le modalità previste per il processo di allineamento sono semplificate e il Centro Omologazione Prodotto struttura centrale, provvederà, a conclusione di tale processo, al rilascio del nuovo codice di omologazione e dei nuovi range identificativi. Tutte le novità saranno debitamente pubblicate sul sito www.poste.it negli Uffici Postali e presso i Centri di Impostazione grandi Clienti.
Si resta a disposizione per qualsiasi evenienza o chiarimento.
Cordiali saluti
Il responsabile


Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 07-10-2016) 20-06-2017, n. 15147

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10057-2014 proposto da:

PROVINCIA DI COSENZA, in persona del Presidente e legale rappresentante in carica, On.le O.G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIA 175, presso lo studio dell’avvocato SERAFINO CONFORTI, rappresentata e difesa dagli avvocati ORNELLA NUCCI, GAETANO PIGNANELLI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.R.M., C.P., C.F., CU.FA., C.G., C.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VERONA 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO COCOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato FERRUCCIO FEDELE giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1337/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 17/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato ORNELLA NUCCI;

udito l’Avvocato FERRUCCIO FEDELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’improcedibilità in subordine rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Paola con sentenza 16.4.2013, ritenuta inefficace, in difetto dei presupposti di legge ex art. 27 LEC, la disdetta comunicata dalla Provincia di Cosenza per anticipata cessazione del rapporto di locazione di immobile, destinato a sede dell’Istituto alberghiero di Stato, intrattenuto con gli eredi dei locatori C.A. e Fa. ed oggetto del contratto stipulato il 25.6.1990, e ritenuto altresì giustificato il rifiuto dei locatori di ricevere la consegna dell’immobile che presentava danni e modifiche non autorizzate, condannava l’ente pubblico al risarcimento dei danni e quindi al pagamento delle somme necessarie ai lavori di ripristino dell’immobile deteriorato e danneggiato, al pagamento dell’indennità di occupazione ex art. 1591 c.c. dalla data 16.10.2006 di scadenza della naturale del rapporto fino alla pubblicazione della decisione, al pagamento della ulteriore indennità per diciotto mesi, tempo necessario alla esecuzione dei lavori.

La decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’appello che con sentenza 17.10.2013 n. 1337: 1- riconosceva non dovuto il risarcimento corrispondente alle spese (Euro 322.701,19) per lavori di manutenzione straordinaria (rifacimento intonaco esterno e manto copertura terrazzo), in quanto gravanti esclusivamente sul locatore ai sensi dell’art. 1576 c.c., non incidendo sulla ripartizione degli obblighi ex lege l’omesso avviso ex art. 1577 c.c. da parte dell’ente conduttore; 2- accertava la legittimità del rifiuto dei locatori a ricevere la consegna dell’immobile, in condizioni di degrado tali, accertate in esito alla c.t.u., da richiedere ingenti lavori di ripristino, con conseguente responsabilità della Provincia in mora nell’adempimento della obbligazione ex art. 1590 c.c..

La Provincia di Cosenza ha impugnato per cassazione la sentenza, che dichiara non esserle stata notificata, deducendo con due motivi vizi di errori di diritto e vizio di motivazione.

Resistono con controricorso C.P., F., Fa., E., G. e R. che eccepiscono la improcedibilità del ricorso per violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2) e la inammissibilità del ricorso in quanto tardivamente notificato, assumendo che la sentenza di appello era stata ritualmente notificata, in data 10.1.2014, ai procuratori costituti dell’ente pubblico, presso la Cancelleria della Corte d’appello.

Motivi della decisione
I resistenti hanno eccepito la inammissibilità e la improcedibilità del ricorso per cassazione ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), non avendo l’ente ricorrente prodotto la sentenza impugnata autenticata corredata della relata di notifica ed essendo stato notificato il ricorso in data 17.4.2014 oltre il decorso del termine breve ex art. 325 c.p.c..

Sostengono che la Provincia, diversamente da quanto dalla stessa allegato in tale atto, non ha riferito che la sentenza di appello le era stata ritualmente notificata in data 10.1.2014, mediante deposito presso la Cancelleria della Corte d’appello di Catanzaro, non avendo eletto i difensori dell’ente pubblico domicilio nel comune in cui aveva sede l’Ufficio giudiziario (Corte appello di Catanzaro) ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82.

Il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile in quanto proposto oltre il termine breve di decadenza ex art. 325 c.p.c., comma 2 e art. 326 c.p.c., comma 1: la sentenza di appello, giusta certificazione del funzionario della Cancelleria della Corte d’appello di Catanzaro, risulta notificata, ai fini della decorrenza del termine breve in data 10.1.2014, mentre il ricorso principale è stato notificato in data 17.4.2014, oltre la scadenza alla data 11.3.2014 del termine perentorio di giorni 60.

Occorre premettere che, la notifica della sentenza di appello è stata eseguita alla Provincia di Cosenza presso la Cancelleria della Corte d’appello di Catanzaro, non essendo stata fatta dai difensori della parte elezione di domicilio nella circoscrizione in cui aveva sede l’ufficio del Giudice adito e trovando in conseguenza applicazione il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82 secondo cui “1. (I procuratori: da intendersi sostituito, ai sensi della L. n. 27 del 1997, con “gli avvocati”), i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso.

2. In mancanza della elezione di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria”.

Non osta alla ritualità della indicata notifica della sentenza, ai fini del decorso del termine breve di impugnazione, la disciplina normativa che ha richiesto al difensore di indicare negli atti difensivi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), introdotta dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 35 ter, lett. a), conv. in L. 14 settembre 2011, n. 148, nonchè dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25 comma 1, lett. a), che hanno modificato -con efficacia dall’1.2.2012- l’art. 125 c.p.c. e l’art. 366 c.p.c., comma 2, (indirizzo PEC coincidente con quello comunicato al Consiglio dell’Ordine ex D.L. n. 185 del 2008), ed ancora dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 conv. in L. 17 dicembre 2012, n. 221 che ha reso obbligatorie le comunicazioni e le notificazioni telematiche. Tale disciplina è stata interpretata sistematicamente dalla SS.UU. di questa Corte che hanno rilevato come la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 2, dettata per il giudizio di legittimità, secondo cui la notifica mediante deposito dell’atto presso la Cancelleria della Corte di cassazione era da considerare valida esclusivamente nel ricorso di entrambe le condizioni negative della omessa elezione di domicilio in Roma della omessa indicazione dell’indirizzo PEC, esprimesse un principio di carattere generale, evidenziando come la indicazione dell’indirizzo PEC si ponesse in aggiunta all’onere di elezione del domicilio, assolvendo entrambe alla medesima funzione di assicurare la speditezza delle notificazioni e comunicazioni del processo, con la conseguenza che anche nel giudizio di merito la ritualità della notifica degli atti mediante deposito in Cancelleria rimane subordinata alla mancanza di entrambe le condizioni predette: se, pertanto, non è stato eletto domicilio, ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 ma risulta indicato l’indirizzo PEC, la notificazione va eseguita presso tale indirizzo e quindi la notifica in Cancelleria deve essere dichiarata invalida (cfr. Corte cass. SSUU 20.6.2012 n. 10143). La notifica in Cancelleria può essere, tuttavia, validamente eseguita se la notifica telematica all’indirizzo PEC non riesce, in quanto il servizio “genera un avviso di mancata consegna”, ossia fornisce risposta che la notifica non si è potuta effettuare per malfunzionamento della casella elettronica per fatto imputabile al titolare dell’indirizzo PEC (regolamento DM 44/2011): ma in tal caso è richiesta anche la pubblicazione nel “portale dei servizi telematici” (D.L. n. 112 del 2008, artt. 34 e 51 conv. L. n. 133 del 2008) dell’avviso di avvenuta notifica con deposito in Cancelleria.

Tanto premesso dall’esame del ricorso proposto in appello dalla Provincia di Cosenza depositato presso la Cancelleria della Corte d’appello di Catanzaro in data 17.5.2013, emerge dalla procura ad litem rilasciata a margine dell’atto che il Presidente dell’ente territoriale aveva conferito il “jus postulandi” all’avv. Gaetano Pignanelli ed all’avv. Ornella Nucci, dichiarando di eleggere domicilio “presso la sede dell’Ente in Cosenza P.zza XV Marzo n. 1”. La elezione di domicilio veniva altresì ripetuta nella intestazione del ricorso (“La Provincia di Cosenza…., domiciliata presso la sede dell’Ente, in Cosenza P.zza XV Marzo n. 1,…”). Dalla medesima intestazione del ricorso in appello, risulta che i predetti difensori avevano indicato il proprio indirizzo PEC, e l’avv. Nucci aveva indicato anche il proprio numero di FAX, ma entrambi chiedendo “espressamente che eventuali comunicazioni vengano trasmesse al numero fax od indirizzo PEC”.

Orbene questa Corte ha già avuto modo di esaminare -anteriormente alla introduzione della previsione normativa di obbligatorietà della notifica telematica: D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies conv. in legge n. 221/2012, introdotto dal D.L. n. 114 del 2014, art. 52 conv. in L. n. 114 del 2014, non applicabile alla fattispecie in esame- la ipotesi di concorrente indicazione nell’atto difensivo, da parte del difensore, dell’indirizzo PEC e del domicilio eletto, presso i quali ricevere le comunicazioni e le notificazioni degli atti processuali (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25215 del 27/11/2014; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14969 de 16/07/2015; id. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 22892 del 10/11/2015; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2133 del 03/02/2016 -in motivazione-; id. Sez. 2 – I Sentenza n. 23412 del 17/11/2016), rilevando:

a) che l’indicazione della PEC, prevista per rendere più agevoli le comunicazioni di Cancelleria, non rende inapplicabile l’intero insieme delle norme e dei principi sulla domiciliazione nel giudizio, non potendo obliterarsi la volontà espressamente manifestata dalla stessa parte o dal suo difensore diretta a designare l’elemento topografico dell’elezione di domicilio in maniera compatibile con le regole del processo;

b) che la PEC costituisce, dunque, oggetto di un’informazione di carattere aggiuntivo finalizzata alle comunicazioni di cancelleria, e che è destinata surrogarsi, anche agli effetti della notifica degli atti, ad una domiciliazione mancante, ma non già a prevalere su di una domiciliazione che il difensore abbia volontariamente effettuato;

c) che tale scelta volontaria prevaleva anche nel caso di elezione di domicilio ex lege presso la cancelleria del giudice adito, in conformità del R.D. n. 37 del 1934, art. 82;

d) che se la indicazione dell’indirizzo PEC, senza ulteriori specificazioni, individuava il luogo virtuale cui dovevano essere effettuate tanto le “comunicazioni”, quanto le “notificazioni” degli atti processuali, diversamente la espressa destinazione del luogo virtuale soltanto alla ricezione delle “comunicazioni” di Cancelleria, se accompagnata da una elezione di domicilio – tanto più se in luogo diverso da quella dello studio del procuratore ad litem -, concentrava esclusivamente sul domicilio eletto il luogo di destinazione delle “notificazioni”: con la conseguenza che, qualora il luogo indicato non fosse ricaduto nella circoscrizione dell’Ufficio giudiziario, doveva ritenersi valida la notifica eseguita mediante deposito dell’atto presso la Cancelleria R.D. n. 34 del 1937, ex art. 82.

Orbene la Provincia (così come nel ricorso per cassazione) nell’atto di appello ha effettuato autonoma elezione di domicilio presso la sede legale dell’ente (dunque in luogo diverso da quello indicato nel R.D. n. 37 del 1934, art. 82: nella specie, nell’ambito della circoscrizione della Corte d’appello di Catanzaro), con la conseguenza che l’indicazione, nello stesso atto di appello, anche dell’indirizzo PEC dei legali “non domiciliatari”, accompagnata dalla esplicita richiesta di ricevere colà soltanto le “comunicazioni”, assume rilevanza (così come nel ricorso per cassazione) esclusivamente ai fini delle “comunicazioni” di Cancelleria ex artt. 134 e 135 c.p.c. e art. 176 c.p.c., comma 2, ma non anche ai fini delle “notificazioni”, dovendo pertanto ritenersi correttamente e validamente eseguita la notifica della sentenza di appello (ex artt. 170 e 285 c.p.c.) presso la Cancelleria della Corte d’appello di Catanzaro.

Pertanto, perfezionatasi in data 10.1.2014 la notifica della sentenza di appello n. 1337/2013 mediante deposito presso la Cancelleria del Giudice a quo, ai sensi del R.D. n. 34 del 1937, art. 82, come da attestazione del predetto Ufficio di Cancelleria in data 22.3.2014, ne segue che il ricorso per cassazione proposto dalla Provincia di Cosenza e notificato in data 17.4.2014, oltre il termine di decadenza ex art. 325 c.p.c., comma 2 e art. 326 c.p.c., comma 1, deve essere dichiarato inammissibile.

La parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017


Multe: annullate 35mila cartelle notificate da poste private

Il Giudice di pace di Palermo annulla 35mila multe per violazioni al codice della strada per vizio di notifica. Accolta class action dei consumatori

Il giudice di pace di Palermo ha annullato 35mila multe per vizio di notifica, accogliendo i ricorsi individuali e collettivi presentati dall’Unione dei Consumatori contro le cartelle esattoriali per sanzioni amministrative dovute a violazioni del codice della strada. Lo comunica in una nota L’unione dei consumatori.

La vicenda

La vicenda risale allo scorso marzo quando l’Unione dei consumatori aveva depositato il primo ricorso collettivo contro Comune di Palermo e Serit, impugnando le cartelle di pagamento di quelle multe, emesse tra il 2011 e il 2015, viziate perché notificate da un centro postale privato, il consorzio Olimpo. Oltre alle multe, che recavano un vizio di forma in quanto notificate da un ente privato, era seguito anche un avviso bonario di pagamento con il quale l’Amministrazione di Palermo chiedeva il pagamento delle multe non ancora incassate  e intimava, inoltre, al pagamento entro 10 giorni pena l’emissione delle cartelle esattoriali con ulteriore aggravio di spese e sanzioni. Pochi giorni fa è arrivata la sentenza del Giudice di Pace che ha dato ragione alla class action, annullando le sanzioni per vizio di forma e condannando il Comune alla soccombenza nelle spese di lite.
Plauso dei consumatori per la decisione
Di martedì¬ scorso la sentenza del giudice di pace palermitano che ha annullato integralmente le cartelle condannando il comune soccombente a pagare le spese di lite.
Con questa decisione il giudice “ha dimostrato grande capacità  e coraggio nel voler tutelare i diritti dei cittadini – ha affermato il presidente dell’Unione consumatori Manlio Arnone, ricordando ai cittadini che hanno ricevuto cartelle esattoriali di rivolgersi all’associazione per avviare il ricorso, perché – grazie all’opposizione all’esecuzione, i canonici termini di opposizione (30 e 60 giorni) non operano e quindi anche cartelle ricevute mesi fa sono ancora opponibili”.