Lettera inviata all’INPS: modalità di notificazione degli AVA. Circolare associazione A.N.N.A.

L’Associazione Nazionale Notifiche Atti che ha come scopo la valorizzazione della figura del Messo Comunale, sollecitata dai suoi iscritti in relazione alle richieste pervenute per la notificazione degli avvisi di addebito inviati dagli uffici dell’INPS che richiedono che si provveda alla notificazione di tali atti mediante il ricorso alla procedura di cui all’art. 60 del DPR 600/1973, è intervenuta per chiarire a quali norme si debba fare riferimento per la notificazione degli AVA con la circolare n. 001/2015.

Lettera inviata al Presidente dell’I.N.P.S.: Lettera notificazione AVA 2015


Giornata di Studio Cesena (FC) – 13.11.2015

Locandina Cesena 2015LA NOTIFICA ON LINE

Venerdì 13 novembre 2015

Comune di Cesena (FC)

Sala Consiliare
Piazza del Popolo 10
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Cesena

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2014 con rinnovo anno 2015 già pagato al 31.12.2014. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2016 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


 Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte.


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Cesena 2015 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Durì Francesco

Resp. Messi Comunali del Comune di Udine

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2015

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Cesena 2015 

Vedi: Immagini della giornata di studio

Vedi: Video della giornata di studio

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura

Scarica: Documentazione fiscale 2015

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

L’attività formativa dell’Associazione – anno 2016

Notifica on line 2016Il «Progetto per la valorizzazione del Messo Comunale» è una iniziativa dell’Associazione A.N.N.A. che ha come obbiettivo principale quello di riqualificare la figura ed il ruolo del Messo Comunale e tutte le figure che svolgono l’attività di notificazione, attraverso la conoscenza dei principi fondamentali del Procedimento notificatorio.

L’Associazione attraverso tale iniziativa, che si svolge su tutto il territorio nazionale, intende dare il proprio contributo affinché l’applicazione delle norme che regolano il Procedimento notificatorio sia la più uniforme possibile .

L’informatizzazione della pubblica amministrazione è certamente una delle principali sfide che Stato, Regioni ed Enti locali si trovano ad affrontare in questo momento storico. L’impatto della tecnologia sull’amministrazione pubblica ed i servizi ai cittadini è di enorme portata, ma per risultare veramente efficace il processo di informatizzazione necessita di un gran numero di strumenti normativi, tecnici ed organizzativi. Gli effetti dello sviluppo e della diffusione dell’innovazione tecnologica sulla produzione documentaria sono oramai rilevanti (basti pensare a quelli derivanti dall’introduzione della firma elettronica e del servizio di posta elettronica certificata che hanno reso possibile la formazione, la trasmissione e la ricezione di documenti informatici a valenza giuridica e forza probatoria), il che rende necessari l’attivazione di sistemi di gestione elettronica e lo sviluppo di soluzioni di natura archivistica, organizzativa e tecnologica, capaci di garantire la conservazione nel tempo e la fruizione della memoria digitale.

Di fronte a tale situazione, A.N.N.A. si propone di fornire un contributo alla soluzione delle problematiche connesse alla produzione e conservazione dei documenti e degli archivi informatici; problematiche che, se non affrontate correttamente, rischiano di provocare la perdita irreversibile di gran parte del patrimonio archivistico che sarà prodotto in futuro dalle amministrazioni pubbliche e dalle imprese.

Le giornate di studio, di carattere prevalentemente pratico, affrontano la materia delle notifiche attraverso l’analisi, lo sviluppo ed il coordinamento delle norme procedurali. Particolare attenzione viene prestata alla compilazione dei moduli operativi, anche in relazione alle conseguenze derivanti dall’evoluzione giurisprudenziale che spesso sopperisce a lacune legislative ovvero ne determina ulteriori dubbi e difficoltà sull’applicabilità delle norme. Si tratterà, inoltre, in maniera approfondita della Notifica On Line

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (Art. 1, comma 158 e ss.).

I docenti sono operatori di settore che, con una collaudata metodologia didattica, assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati.
Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

PRIMO SEMESTRE  2016

Data Luogo Tipologia
Giovedì 28 Gennaio  Udine  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Giovedì 4 Febbraio  Montegrotto Terme (PD)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Martedì 9 Febbraio  Fara in Sabina (RI)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Martedì 16 Febbraio  Basiglio (MI)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Giovedì 31 Marzo  Sarteano (SI)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Lunedì 4 Aprile  Argenta (FE)  Giornata di Studio per Messi Comunali in house
Venerdì 8 Aprile  Capo d’Orlando (ME)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Martedì 3 Maggio  Ospedaletto Euganeo (PD)  Giornata di Studio per Messi Comunali in house
Venerdì 6 Maggio  San Giuseppe Jato (PA)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Martedì 28 Giugno  Soc. A.e G. Spa – Lucca  Giornata di Studio per Messi Notificatori in house

 SECONDO SEMESTRE  2016

Data Luogo Tipologia
 Giovedì 8 Settembre   Pisa  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Martedì 11 Ottobre   Zola Predosa (BO)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 28 Ottobre   Tortona (AL)
 Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Lunedì 7 Novembre   Trieste  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 15 Dicembre   Ancona  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 16 Dicembre   Cesena (FC)
 Giornata di Studio per Agenti Notificatori

PA DIGITALE POSSIBILE – Macerata 23.10.2015

L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
NELL’AMBITO DEL MASTER UNIVERSITARIO IN FORMAZIONE, GESTIONE
E CONSERVAZIONE DI ARCHIVI DIGITALI IN AMBITO PUBBLICO
E PRIVATO (FGCAD) – EDIZIONE 2014/2015

organizza

SEMINARIO DI STUDI

pa_digitale_possibile

Venerdì 23 ottobre 2015

Aula A Ex Monastero S. Chiara

Via Garibaldi 20 – Macerata

Presentazione
Il Codice dell’amministrazione digitale disegna uno scenario in cui cittadini, pubbliche amministrazioni e imprese interagiscono on-line, si scambiano documenti per via telematica, erogano servizi o ne fruiscono con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’obiettivo del legislatore è chiaro: ridurre i costi e aumentare l’efficienza dell’azione amministrativa rispondendo anche alle esigenze di innovazione della società contemporanea.
Conseguire concretamente questi risultati, però, non è semplice in quanto l’introduzione delle tecnologie informatiche è una condizione necessaria, ma non sufficiente. La transizione dal documento cartaceo al documento informatico e, in generale, la dematerializzazione dei procedimenti amministrativi, infatti, richiede l’adozione di un nuovo modello organizzativo e procedurale, un modello specificamente disegnato per l’amministrazione pubblica digitale.
Il seminario si propone di analizzare queste problematiche, presentando l’esperienza concreta della Regione Emilia-Romagna che, con il supporto di Lepida S.p.A. e dei suoi partner di mercato, ha costruito in questi anni un percorso di innovazione della pubblica amministrazione regionale, registrando un impatto molto positivo sui servizi resi all’utenza e sull’operatività degli uffici.
Si tratta di un’iniziativa che nasce nell’ambito del modulo di «Formazione permanente» del Master in «Formazione, gestione e conservazione degli archivi digitali (FGCAD)» e si prefigge l’obiettivo di presentare un caso di studio come momento di aggiornamento sulle possibili soluzioni tecnologiche e organizzative per attuare concretamente il modello della «PA digitale».

Programma: PA DIGITALE POSSIBILE _ FGCAD

Per iscrizioni


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 19/05/2015) 07/10/2015, n. 20072

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21893/2014 proposto da:

D.C.G.W. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’avvocato PALLINI MASSIMO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SERVIZI MUNICIPALI RIETI S.P.A.;

– intimata –

avversò la sentenza n. 6799/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/07/2014 r.g.n. 1360/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2015 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato PALLINI MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. D.C.G.W. impugnava L. n. 92 del 2012, ex art. 1 comma 48, il licenziamento irrogatogli dall’Azienda servizi municipalizzati di Rieti S.p.A. per ragioni disciplinari, relative all’illegittima fruizione di permessi ex L. n. 104 del 1992, nelle giornate del 16, 17 e il 18 luglio del 2012.

2. L’ordinanza di rigetto veniva confermata dal Tribunale con la successiva sentenza e la Corte d’appello rigettava il reclamo proposto dal D.C.. La Corte territoriale argomentava che dall’istruttoria espletata era emerso che nei tre giorni sopra indicati, per i quali il D.C. aveva richiesto ed ottenuto i permessi ex L. n. 104 del 1992, per assistere la suocera, in realtà egli aveva compiuto attività di tipo sportivo e ricreativo e nell’orario lavorativo per il quale aveva fruito del permesso non aveva svolto alcun tipo di assistenza in favore dell’invalida.

3. Per la cassazione della sentenza D.C.G.W. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo. L’Azienda servizi municipalizzati Rieti S.p.A. è rimasta intimata.

4. Il ricorso è inammissibile, non risultandone il compimento del processo notificatorio.

5. Deve premettersi che il difensore in data 15 settembre 2014 ha inteso effettuare la notifica del ricorso a mezzo posta elettronica certificata, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1, e succ. mod..

6. Esaminando il quadro normativo di riferimento, si rileva che il comma 3 dell’art. 3 bis della suddetta L. n. 53, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, prevede che la notifica effettuata con modalità telematica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 1, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 2, dello stesso D.P.R..

7. L’art. 6, comma 1, sopra richiamato prevede a sua volta che nella ricevuta di accettazione, fornita al mittente dal gestore di posta elettronica certificata da questi utilizzato, sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione del messaggio di posta elettronica certificata.

8. Il comma 2 aggiunge che la ricevuta di avvenuta consegna è fornita al mittente dal gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario, e da al primo la prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario (indipendentemente dalla lettura che questo ne abbia fatto) e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione.

9. La L. n. 53 del 1994, art. 9, e succ. mod., prevede infine al comma 1 bis, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 16 quater, che, qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’art. 3 bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratti ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1. Il comma 1 ter, aggiunto dalla L. di conversione n. 114 del 11 agosto 2014, al D.L. n. 90 del 2014, ha poi aggiunto che in tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1 bis.

10. Dal sistema normativo sopra delineato risulta quindi che la notifica a mezzo posta elettronica certificata non si esaurisce con l’invio telematico dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del plico informatico nella casella di posta elettronica del destinatario, e la prova di tale consegna è costituita dalla ricevuta di avvenuta consegna. La mancata produzione della ricevuta di avvenuta consegna della notifica a mezzo p.e.c. del ricorso per cassazione, impedendo di ritenere perfezionato il procedimento notificatorio, determina quindi l’inesistenza della notificazione, con conseguente impossibilità per il giudice di disporne il rinnovo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., in quanto la sanatoria ivi prevista è consentita nella sola ipotesi di notificazione esistente, sebbene affetta da nullità (così sull’ultima affermazione ex multis Cass. n. 3303 del 1994, Cass. n. 8287 del 2002, Cass. Sez. U., n. 20604 del 2008).

11. Ciò è quanto avvenuto nel caso in esame, in cui la difesa non ha prodotto la ricevuta di avvenuta consegna della notifica tramite p.e.c., neppure nel previsto supporto analogico (trasposizione cartacea del contenuto del documento informatico).

12. Non è stata prodotta peraltro neanche la ricevuta di accettazione, sicchè il processo notificatorio non risulta compiuto neppure per il notificante.

13. Segue la dichiarazione d’ inammissibilità del ricorso. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in considerazione della mancata radicazione del contraddittorio.

14. Si applica ratione temporis alla fattispecie la L. 24 dicembre 2012, n. 228, il cui art. 1, comma 17, ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. n giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso inammissibile, deve provvedersi in conformità.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2015


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 12-05-2015) 02-10-2015, n. 19704

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. CICALA Mario – Presidente Sezione –

Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13678/2012 proposto da:

RIGANTE G. DI RIGANTE GIOVANNI & C. S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI 22, presso lo studio dell’avvocato G. VENETO, rappresentata e difesa dall’avvocato BELSITO ANTONIO, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD S.P.A., legittimata in quanto società incorporante della Equitalia E.TR. s.p.a., soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Equitalia s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 3, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MARIA GAZZONI, rappresentata e difesa dall’avvocato MOLINARA PAOLO, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 68/5/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BARI, depositata il 29/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2015 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

uditi gli avvocati Liana DI MOLFETTA per delega dell’avvocato Antonio Belsito, Paolo MOLINARA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
La società Rigante G. di Rigante Giovanni & C. s.a.s. impugnò dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari la cartella di pagamento n. (OMISSIS) emessa da Equitalia E.TR. s.p.a. per IVA, sanzioni e interessi in relazione all’anno 2003, deducendo che tale cartella – risultante notificata il 27.05.2006 – le era rimasta assolutamente sconosciuta ed assumendo di essere venuta a conoscenza della relativa obbligazione tributaria soltanto dall’estratto di ruolo rilasciato, su sua richiesta, dalla competente concessionaria della riscossione.

La Commissione Tributaria provinciale di Bari, ritenuto che solo formalmente l’atto opposto era la cartella, mentre in realtà l’opposizione riguardava l’estratto di ruolo, ne dichiarò l’inammissibilità essendo l’estratto di ruolo “atto interno dell’Agente della riscossione, non rientrante tra quelli tassativamente indicati dal D.Lgs. n. 546 del 19922, art. 19, comma 1”. La Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con la sentenza n. 68/5/11, confermò la decisione.

In particolare i giudici d’appello, premesso che nell’atto introduttivo era stata impugnata la cartella in questione per omessa notifica, escludevano che la richiesta al concessionario di copia dell’estratto di ruolo potesse comportare la riapertura dei termini per impugnare una cartella non tempestivamente opposta (ancorché per asserito difetto di notifica) e conseguentemente escludevano che potesse essere “oggetto di discussione” la suddetta cartella in quanto non ritualmente opposta. I predetti giudici ribadivano inoltre l’inammissibilità della proposta opposizione anche ove ritenuta diretta avverso l’estratto di ruolo, rilevando che esso, oltre ad essere atto non previsto nel novero di quelli impugnabili ai sensi dell’art. 19 citato, difetta del requisito della “coattività della prestazione tributaria ivi espressa” e quindi della idoneità a costituire “provocatio ad opponendum”, senza che sia per ciò solo configurabile violazione del diritto di difesa del contribuente, restando salva la possibilità di denunciare l’inesistenza della notifica della cartella in sede di gravame avverso eventuali e specifici atti realizzativi del credito fiscale.

Per la cassazione di questa sentenza la società ha proposto, nei confronti di Equitalia E.TR. s.p.a., ricorso per cassazione illustrato da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso Equitalia Sud s.p.a., incorporante di Equitalia E.TR. s.p.a..

Con ordinanza interlocutoria n. 16055 del 2014 il collegio della 6^-5 sezione civile di questa Corte dinanzi al quale il ricorso è stato discusso ha sollecitato l’intervento compositivo di queste sezioni unite segnalando che, nell’ambito di un panorama giurisprudenziale in materia di atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari piuttosto composito e articolato, è negli ultimi anni emerso nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità uno specifico contrasto tra alcune pronunce secondo le quali il ruolo non è autonomamente impugnabile in quanto atto “interno”, che può essere impugnato solo con l’atto impositivo nel quale viene trasfuso e a mezzo del quale viene notificato, ed altre pronunce che hanno invece affermato l’autonoma impugnabilità del ruolo.

Motivi della decisione
1. Con unico motivo, deducendo “ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, e dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., la ricorrente censura la decisione impugnata innanzitutto affermando che l’estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso dinanzi alle Commissioni Tributarie perché esso costituisce parziale riproduzione del ruolo, atto considerato impugnabile ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, avendo peraltro la giurisprudenza di legittimità affermato che va riconosciuta la possibilità di ricorrere avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che essa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, atteso l’indubbio interesse del destinatario a chiarire la sua posizione rispetto a tale pretesa e quindi ad invocare la tutela giurisdizionale. La ricorrente si duole inoltre del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso ogni valutazione in ordine alle circostanze dalla medesima evidenziate con riguardo alla dedotta omissione di (valida) notifica della cartella, pur non avendo la convenuta contestato tali circostanze né tanto meno fornito alcuna prova dell’avvenuta notifica della suddetta cartella.

In particolare, rilevato che, dopo un primo infruttuoso tentativo di notifica presso la sede della società contribuente – dove la stessa era risultata sconosciuta -, veniva effettuata ulteriore notifica “per irreperibilità assoluta” con deposito dell’atto presso il Comune e affissione dell’avviso di deposito, la ricorrente evidenzia la mancanza di prova della comunicazione alla società, mediante raccomandata, dell’avvenuto deposito dell’atto presso il Comune nonché la mancanza dell’attestazione della impossibilità di effettuare la notificazione al legale rappresentante della suddetta società, il quale risultava individuato e nominato nell’atto da notificare.

Le censure esposte sono fondate esclusivamente nei limiti e nei termini di cui in prosieguo.

Prima di passare al relativo esame, tuttavia, è necessario definirne l’ambito e la reale portata attraverso un’attività interpretativa (della sentenza impugnata e dei ricorso per cassazione) resa imprescindibile innanzitutto per le diverse qualificazioni – ferma restandone la sostanza – della opposizione proposta dalla contribuente, ma anche per il rischio di una non univoca attribuzione di significato a termini come “ruolo” ed “estratto di ruolo”, potenzialmente inducente ambiguità non solo terminologica ma anche concettuale. In proposito occorre innanzitutto schematicamente considerare che, come emergente da quanto sopra riportato, la società ricorrente ha impugnato la cartella esattoriale a suo carico – della quale era venuta a conoscenza solo a seguito di rilascio dell’estratto di ruolo da parte del concessionario – deducendo che la medesima non era stata validamente notificata. I primi giudici hanno sostenuto che quella proposta, anche se formalmente qualificata come opposizione alla cartella, costituiva sostanzialmente una inammissibile impugnazione dell’estratto di ruolo, atto interno dei concessionario. Il contribuente ha contestato in appello la non impugnabilità dell’estratto di ruolo affermata dai primi giudici, si è doluto della ritenuta inammissibilità dell’opposizione e l’ha riproposta, ribadendo “le questioni, domande e richieste formulate nell’atto introduttivo” e insistendo per la “declaratoria di nullità e improduttività di qualsiasi effetto giuridico della cartella di pagamento impugnata”. I giudici d’appello hanno affermato l’inammissibilità della proposta opposizione, sia se qualificata come opposizione avverso la cartella sia se qualificata come opposizione avverso l’estratto di ruolo, e la società ha proposto ricorso per cassazione contestando la affermata inammissibilità dell’opposizione proposta ed altresì dolendosi del fatto che i giudici d’appello abbiano omesso di trarre le conseguenze dagli elementi circa l’invalidità della notifica della cartella addotti dalla medesima ricorrente e non contestati dalla controparte.

Come è evidente, al di là di mere qualificazioni, la ricorrente ha agito in giudizio nell’intento di ottenere attraverso la proposta opposizione (comunque qualificata) la declaratoria della nullità della cartella emessa a suo carico in quanto non validamente notificata e ricorre oggi dinanzi a questo giudice per ottenere l’annullamento della decisione impugnata laddove ha ritenuto inammissibile la suddetta opposizione. Occorrerà pertanto valutare la fondatezza della censura anche eventualmente rimettendo in discussione la formale qualificazione della opposizione proposta, alla luce della giurisprudenza di questo giudice di legittimità secondo la quale la corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, a condizione che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto (v. Cass. n. 3437 del 2014; 6935 del 2007; 19132 del 2005; 4939 del 1998).

Tanto premesso, prima di procedere oltre occorre, in via ulteriormente preliminare, fare chiarezza sull’oggetto della analisi che seguirà, perciò intendersi sul significato da attribuire a termini come “ruolo” ed “estratto di ruolo”, e ciò non per mera esigenza definitoria fine a se stessa ma perché la comprensibilità di qualunque discorso passa per l’utilizzo di un linguaggio comune, quindi per la condivisione convenzionale del significato dei termini utilizzati, e la stessa correttezza di qualsivoglia soluzione giuridica impone che sia preventivamente individuato con precisione il concreto “oggetto” del problema da risolvere. Ne consegue che per decidere se un atto (volgarmente) detto “estratto di ruolo” sia stato o meno impugnato (e se sia o meno impugnabile) occorrerà identificare in fatto e, poi, qualificare in diritto l’oggetto concreto della disamina, al fine di evitare che si possa confondere l’”estratto di ruolo” con il “ruolo” e, soprattutto, che si possa in qualche modo ridurre, attesa la nota anfibologia di ogni documento, ad uno solo i due oggetti (“documento” e suo “contenuto”) come se si trattasse di della mera diversità di nome dello stesso oggetto.

Il “ruolo”, come noto, ha una sua precisa definizione legislativa, posto che, per il vigente testo del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 10, lett. b), esso è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario” e che, per l’art. 11 del medesimo D.P.R., “nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi”.

A norma del successivo art. 12, l’ufficio competente “forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce”; nel ruolo “devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione”; “il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da un suo delegato” e “con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo”, cioè costituisce titolo esecutivo.

Dai riprodotti dati normativi discende che il “ruolo” è un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate allorché sia previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse) proprio ed esclusivo dell’”ufficio competente” (cioè dell’ente creditore impositore), quindi “atto” che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale (cfr. le norme sopra richiamate laddove si precisa che esso deve indicare le “somme dovute” in “riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento” o, “in mancanza” di questo, la “motivazione” del debito).

In quanto titolo esecutivo, il ruolo sottoscritto dal capo dell’ufficio o da un suo delegato, giusta il dettato del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 24, comma 1, viene consegnato “al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce”, esso pertanto non solo è atto proprio ed esclusivo dell’ente impositore (mai del concessionario della riscossione), ma, nella progressione dell’iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del concessionario, della quale costituisce presupposto indefettibile.

Il concessionario della riscossione, a sua volta, in forza del ruolo ricevuto, redige “in conformità al modello approvato” (oggi dall’Agenzia delle Entrate) “la cartella di pagamento” (che, per il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, “contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata”) e provvede (ai sensi del successivo art. 26) alla “notificazione della cartella di pagamento” al debitore.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, elenca espressamente tra gli “atti impugnabili” (quindi da impugnare necessariamente per evitare la cristallizzazione irreversibile di quel determinato momento del complessivo iter di imposizione e/o riscossione), al comma 1, lett. d), “il ruolo e la cartella di pagamento”, mentre la seconda parte del medesimo D.Lgs. n. 546, art. 21, comma 1, dispone espressamente che “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”.

Da tali disposizioni si evince pertanto che: il ruolo è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento; è atto impugnabile; il termine iniziale per calcolare i “sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato” (fissati a espressa “pena di inammissibilità” dalla prima parte del medesimo art. 21 per l’impugnazione di qualsiasi “atto impugnabile”) coincide con quello della “notificazione della cartella di pagamento”; entro il suddetto termine pertanto il debitore, giusta i principi generali, a seconda del suo interesse, può impugnare entrambi gli atti (“ruolo” e “cartella di pagamento”) contemporaneamente ovvero anche solo uno dei due che ritenga viziato, con l’ovvio corollario che la nullità di un atto non comporta quella degli atti precedenti nè di quelli successivi che ne sono indipendenti e quindi che la nullità della cartella di pagamento non comporta necessariamente quella del ruolo mentre la nullità del ruolo determina necessariamente la nullità anche della cartella, questa essendo giuridicamente fondata su quel ruolo e, pertanto, “dipendente” dallo stesso.

Il “documento” denominato “estratto di ruolo”, tale indicato dallo stesso concessionario che lo rilascia, non è invece specificamente previsto da nessuna disposizione di legge vigente. Esso – che viene formato (quindi consegnato) soltanto su richiesta del debitore – costituisce (v. Consiglio di Stato, 4^, n. 4209 del 2014) semplicemente un “elaborato informatico formato dall’esattore…

sostanzialmente contenente gli… elementi della cartella…”, quindi anche gli “elementi” del ruolo afferente quella cartella (il C.d.S., peraltro, ha affermato l’inidoneità del suo rilascio ad ottemperare all’obbligo di ostensione all’interessato che ne abbia fatto legittima e motivata richiesta, della copia degli originali della cartella, della sua notificazione e degli atti prodromici).

Da quanto sopra esposto emerge con sufficiente chiarezza la differenza sostanziale tra “ruolo” ed “estratto di ruolo” (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi): il “ruolo” (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è un “provvedimento” proprio dell’ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell’ente suddetto); l’”estratto di ruolo”, invece, è (e resta sempre) solo un “documento” (un “elaborato informatico… contenente gli… elementi della cartella”, quindi unicamente gli “elementi” di un atto impositivo) formato dai concessionario della riscossione, che non contiene (né, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta.

La inidoneità dell’estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo, peraltro, l’esattore carente del relativo potere) comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 c.p.c.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo infatti alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato. Peraltro, anche l’eventuale contestazione dell’attività certificativa del concessionario in sè considerata – ad esempio in relazione alla non corrispondenza tra quanto certificato nell’estratto e quanto risultante dal ruolo – avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio per aver confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell’estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un “annullamento” della certificazione.

Fatta – si spera – la chiarezza terminologica e concettuale necessaria al prosieguo dell’analisi della questione in esame, si può in astratto convenire con i giudici di primo grado e d’appello laddove hanno affermato la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, tra l’altro perchè “atto interno dell’Agente della riscossione” (così la sentenza di prime cure come riportata nella sentenza d’appello). E deve inoltre precisarsi che il contrasto giurisprudenziale per il quale la causa è stata rimessa a queste sezioni unite non riguarda l’impugnabilità dell’estratto di ruolo (documento tale definito dal concessionario che lo rilascia) bensì l’impugnabilità del ruolo, atto impositivo proprio dell’ente impostore disciplinato dalle norme sopra richiamate.

Tuttavia, come già evidenziato, al di là di ogni formale qualificazione, il ricorrente nella specie si è sempre doluto della invalida notificazione della cartella (e quindi anche del ruolo, posto che la sua notificazione coincide con quella della cartella D.Lgs. n. 546 citato, ex art. 21) e di questo atto – non del documento rilasciatogli dal concessionario – ha chiesto l’annullamento.

Pertanto occorrerà in questa sede affrontare la (diversa) questione della ammissibilità della impugnazione della cartella invalidamente notificata (e conosciuta attraverso l’estratto di ruolo), con la precisazione che le considerazioni che saranno esposte in proposito devono intendersi riferibili anche alla impugnazione del ruolo, attesa la coincidenza della notificazione della cartella con quella del ruolo.

3. Escluso, sulla base di quanto si è fin qui esposto, l’interesse del richiedente ad impugnare il documento “estratto di ruolo”, può ovviamente sussistere un interesse del medesimo ad impugnare il “contenuto” del documento stesso, ossia gli atti che nell’estratto di ruolo sono indicati e riportati.

I suddetti atti (iscrizione del richiedente in uno specifico “ruolo” di un determinato ente impositore per un preciso “credito” di quest’ultimo; relativa cartella di pagamento fondata su detta iscrizione; notificazione della medesima – e del ruolo – ai richiedente nella data indicata nell’estratto di ruolo ricevuto) risultano univocamente impugnabili per espressa previsione del combinato disposto dei già richiamato D.Lgs. n. 546 citato, art. 19, lett. d), e art. 21, comma 1. E ovviamente nessun problema in ordine alla impugnabilità dei medesimi si pone quando essi sono stati (validamente) notificati, sussistendo il diritto e l’onere dell’impugnazione con decorrenza dal momento della relativa notificazione (momento che per il ruolo e la cartella, come rilevato, è il medesimo ai sensi del D.Lgs. 546 citato, art. 21), mentre profili di problematicità potrebbero ravvisarsi nell’ipotesi – ricorrente nella specie – di impugnazione di cartella della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo e non attraverso (valida) notifica.

Nella specie i giudici d’appello hanno escluso l’ammissibilità dell’impugnazione della cartella di pagamento sul rilievo che la richiesta al concessionario di copia dell’estratto di ruolo non può comportare la riapertura dei termini per impugnare una cartella non tempestivamente opposta (ancorché per asserito difetto di notifica).

L’affermazione non è condivisibile. Premesso infatti in linea generale che i termini di impugnazione di un atto non possono che decorrere dalla (valida) notificazione dell’atto medesimo e che pertanto il destinatario dell’atto ha l’interesse (e il diritto) di provocare la verifica della validità della notifica dell’atto del quale egli non sia venuto a conoscenza in termini per l’impugnazione a causa di anomalie di tale notifica, è da escludere che l’impugnazione volta innanzitutto a provocare tale legittima verifica possa giammai condurre ad una “riapertura” dei suddetti termini, posto che, ove l’atto risultasse validamente notificato, nessuna “riapertura” sarebbe ovviamente ipotizzabile all’esito della verifica, mentre, ove l’atto non risultasse (validamente) notificato, i termini non avrebbero neppure iniziato a decorrere.

Posta pertanto come indiscutibile la possibilità per il contribuente di far valere l’invalidità della notifica di una cartella della quale (a causa di detta invalidità) sia venuto a conoscenza oltre i previsti termini di impugnazione, dubbi potrebbero ravvisarsi soltanto in relazione alla individuazione del momento a partire dal quale è possibile far valere tale invalidità, e ciò in ragione del disposto del D.Lgs. n. 546 citato, art. 19, comma 3, secondo il quale la mancata notifica degli atti autonomamente impugnabili adottati precedentemente all’atto notificato “ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.

Tale previsione costituisce il precipitato di un principio – per anni considerato immanente al sistema tributario- secondo il quale la natura recettizia dell’atto tributario lo rende impugnabile solo a seguito di notifica al contribuente, essa sola costituente (secondo alcuni) manifestazione dell’esercizio della funzione impositiva, di talchè gli atti espressivi di tale funzione verrebbero a giuridica esistenza solo in quanto notificati.

In proposito, tuttavia, occorre dare conto del fatto che nell’ultimo decennio in numerose pronunce di questa Corte, anche a sezioni unite, si è ripetutamente affermata l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità che essi siano espressi in forma autoritativa (v. tra le molte s.u. n. 16293 del 2007 nonché da ultimo s.u. n. 3773 del 2014, secondo la quale è impugnabile la comunicazione con la quale l’Agenzia neghi la sussistenza del diritto patrimoniale che il creditore del creditore di imposta intende pignorare, rilevando che nella specie l’atto – ancorchè non diretto in forma autoritativa nei confronti del contribuente – ha natura indubbiamente tributaria comportando l’accertamento della sussistenza di crediti di imposta).

La giurisprudenza sopra richiamata, ammettendo l’autonoma ed immediata impugnabilità di qualsivoglia atto porti comunque legittimamente a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria (prescindendo dal fatto che tale atto sia direttamente rivolto al contribuente e si manifesti in forma autoritativa, quindi, a fortiori, prescindendo dal fatto che esso risulti notificato al medesimo contribuente) attraversa (di fatto superandola) la questione della natura recettizia dell’atto amministrativo e della sua impugnabilità solo a seguito della notifica al contribuente.

Tale questione risulta peraltro ampiamente superata anche dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità che, in conformità con la previsione letterale dell’art. 1334 c.c. – ai sensi del quale gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati -, ha ripetutamente affermato che la notificazione è una mera condizione di efficacia, non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicché il vizio (ovvero l’inesistenza) di tale notificazione è irrilevante ove essa abbia raggiunto lo scopo per avere il destinatario impugnato l’atto in data antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo (v. tra le più recenti Cass. n. 654 del 2014 e n. 8374 del 2015), principio presupposto già da s.u. n. 19854 del 2004 (seguita da numerose altre), secondo la quale la natura non processuale dell’atto impositivo non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale – essendovi in proposito espresso richiamo nella disciplina tributaria – e quindi all’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie dettato per gli atti processuali, con la conseguenza che l’impugnazione dell’atto impositivo da parte del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della relativa notificazione per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., (sanatoria operante solo se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere impositivo).

Tanto premesso, occorre rilevare che nel diritto amministrativo, prima che la L. n. 15 del 2005, art. 14, introducesse, nella L. n. 241 del 1990, l’art. 21 bis (recante disposizioni in materia di “efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo”), era assolutamente pacifica l’inapplicabilità della regola generale dettata dall’art. 1334 c.c. (espressamente prevedente – come già rilevato – una incidenza della mancata conoscenza da parte del destinatario dell’atto sulla efficacia del medesimo), valendo l’opposto principio secondo il quale l’esercizio unilaterale del potere produce effetti innovativi della precedente situazione giuridica senza bisogno di comunicazione al destinatario, salvo che la legge disponga espressamente in senso diverso o la recettizieta sia sicuramente desumibile dal tipo di atto. E’ quindi solo con la citata riforma del 2005 che trova espressa legittimazione il criterio c.d. “della qualità degli effetti”, secondo cui sono recettizi i provvedimenti “limitativi della sfera giuridica dei privati”.

Gli atti tributari – certo innanzitutto in ragione della indubbia incidenza sul patrimonio del destinatario – sono invece da sempre considerati atti recettizi. In tali atti pertanto le misure di partecipazione sono elementi costitutivi dell’efficacia giuridica, per cui l’effetto giuridico non decorre dalla data di adozione del provvedimento, ma dalla data di avvenuta comunicazione dello stesso.

E indubbiamente la natura recettizia degli atti tributari rende inapplicabile l’istituto della “piena conoscenza” ai fini del decorso del termine di impugnazione, essendo l’inammissibilità dell’utilizzo di strumenti alternativi o surrogatori al fine di provocare aliunde l’effetto di conoscenza una delle più rilevanti conseguenze connesse alla natura recettizia dell’atto, onde l’omessa comunicazione, nei modi di legge, del provvedimento recettizio (nella specie l’atto tributario) comporta il mancato decorso dei termini di impugnativa e impedisce che l’atto diventi inoppugnabile, con pregiudizio per la stabilità dei relativi effetti.

Da quanto sopra esposto circa l’origine storica e la disciplina connessa alla natura recettizia degli atti amministrativi in generale e degli atti tributari in particolare emerge che la recettizietà è essenzialmente e innanzitutto posta a presidio e tutela dei destinatario dell’atto, impedendo che l’atto recettizio, siccome negativamente incidente sulla sfera patrimoniale del contribuente, possa produrre i suoi effetti prima che siano scaduti i termini per impugnare, termini da calcolare a decorrere dalla conoscenza dell’atto, che non può essere ritenuta se non a seguito dell’avvenuto espletamento del procedimento all’uopo previsto dalla legge. Tuttavia, se è vero che, come sopra rilevato, non è sufficiente la prova della “piena conoscenza” dell’atto ai fini della decorrenza dei suddetti termini ma è necessaria una comunicazione effettuata nei modi previsti dalla legge, è anche vero che ciò non può impedire l’impugnabilità dell’atto (del quale il contribuente sia venuto “comunque” a conoscenza) ma soltanto, appunto, la decorrenza dei relativi termini di impugnazione in danno del contribuente, distinzione che risulta ben chiara nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. sul punto tra le altre s.u. n. 3773 del 2014 nonché Cass. nn. 17010 del 2012 e 24916 del 2013) secondo la quale l’ammissibilità di una tutela “anticipata” non comporta l’onere bensì solo la facoltà dell’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare successivamente, in ipotesi dopo la notifica di un atto “tipico”, la pretesa della quale il contribuente sia venuto a conoscenza (eventualmente attraverso un atto “atipico”, in quanto ad esempio non manifestato in forma “autoritativa” oppure privo delle indicazioni previste dal secondo comma dell’articolo 19 citato).

Ove poi volesse ritenersi che l’indiscutibile recettizietà dell’atto tributario sia (al di là delle sue origini storiche e della relativa disciplina positiva) intesa (anche) ad una sorta di “salvaguardia” dell’amministrazione, nel senso che la notifica manifesterebbe univocamente la volontà dell’amministrazione di “esternare” l’atto, così evitando l’impugnazione di “atti interni”, di carattere meramente procedimentale, rispetto ai quali non si sia completata la volontà dell’ente, è agevole replicare, a tacer d’altro, che nella specie l’iter procedimentale era assolutamente concluso e l’ente impositore aveva univocamente manifestato la volontà di “esternare” l’atto, avendo definito la pretesa tributaria, formato il ruolo costituente titolo esecutivo e richiesto al concessionario l’emissione e notificazione di cartella.

Né, d’altro canto, potrebbe ragionevolmente sostenersi che la recettizietà dell’atto tributario comporti la spettanza all’amministrazione del potere di stabilire, attraverso la scelta del momento di notifica dell’atto, (non solo quando esternare la propria volontà impositiva ma anche e soprattutto) quando consentire al destinatario di impugnare tale volontà impositiva, eventualmente già formatasi e portata all’esterno al punto da dare l’avvio ad un procedimento esecutivo e produrre effetti che comunque il contribuente ha interesse a contrastare.

Una lettura costituzionalmente orientata dell’ultima parte del D.Lgs. n. 546 citato, art. 19, comma÷3, (non esclusa dal tenore letterale del testo) impone pertanto di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato ivi prevista non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il destinatario sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la facoltà del medesimo di far valere, appena avutane conoscenza, la suddetta invalidità che, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, ha prodotto l’avanzamento del procedimento di imposizione e riscossione, con relativo interesse del contribuente a contrastarlo il più tempestivamente possibile, specie nell’ipotesi in cui il danno potrebbe divenire in certa misura non più reversibile se non in termini risarcitori.

Una diversa lettura della norma in esame (nel senso che l’impugnazione di un atto non notificato possa avvenire sempre e soltanto unitamente all’impugnazione di un atto successivo notificato) comporterebbe infatti una abnorme ed ingiustificata disparità tra i soggetti del rapporto tributario. E’ infatti da considerare che mentre le notifiche degli atti processuali vengono valutate immediatamente dal giudice nel processo e, se non valide e tempestive, non producono alcun effetto in danno del destinatario, con riguardo agli atti impositivi l’invalidità delle relative notifiche produce come unico effetto immediato (non l’intervento del giudice ma) l’impossibilità per il destinatario di conoscere l’atto e quindi di promuovere il controllo giurisdizionale sul medesimo, e non interrompe quindi (ma rende anzi più “fluido”, in mancanza di contestazioni) il procedimento di imposizione e riscossione avviato dall’amministrazione, procedimento che potrebbe pertanto proseguire indisturbato fino alla sua conclusione attraverso il compimento dell’esecuzione senza che il contribuente abbia avuto mai modo di contestare la pretesa attraverso una impugnazione, e ciò non per fatto al medesimo contribuente addebitabile, bensì in ragione della invalidità di notifiche delle quali è onerata l’amministrazione e che sono nella sua piena determinazione sia con riguardo ai tempi di intervento sia con riguardo alle relative modalità (ad esempio indicazione di nominativi e recapiti) sia con riguardo alla valutazione della espletata attività di notificazione (in relazione al successivo controllo del buon esito della medesima ed alle determinazioni circa la necessità o meno di riprendere il procedimento notificatorio).

In simile situazione, la possibilità per il contribuente di conoscere legittimamente attraverso il c.d. estratto di ruolo le iscrizioni a proprio carico e l’eventuale emissione e notificazione di cartelle potrebbe rappresentare un “correttivo” idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra amministrazione e contribuente soltanto se la conoscenza – attraverso l’estratto di ruolo – di un atto che il contribuente avrebbe avuto il diritto di impugnare (e che non è stato impugnato in quanto non conosciuto perché malamente notificato) ne consentisse l’immediata impugnazione, non certo se al contribuente – che a causa dell’invalidità di una notifica della quale era onerata l’amministrazione sia stato espropriato del proprio diritto di accedere alla tutela giurisdizionale – si continui a negare tale accesso, subordinandolo alla notifica di un ulteriore atto da parte dell’amministrazione, senza considerare che: in alcuni casi potrebbe anche non esservi un ulteriore atto prima di procedere ad esecuzione forzata sulla base del ruolo; la possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale da parte del contribuente sarebbe ancora una volta rimessa alla determinazioni dell’amministrazione circa i modi e i tempi della notifica dell’eventuale atto successivo;

nel frattempo aumenterebbe per il contribuente il pregiudizio connesso alla iscrizione in un registro di pubblici debitori nei confronti dei quali è stato avviato un procedimento di esecuzione coatta; tale pregiudizio, nonché quello derivante da un eventuale completamento della esecuzione senza possibilità per il contribuente di far valere le proprie ragioni dinanzi ad un giudice, potrebbero essere eventualmente fatti valere poi solo coi tempi e i modi di un’azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione.

Per altro verso, la possibilità che il contribuente faccia valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto non (validamente) notificatogli, senza bisogno di attendere la notifica di altro atto successivo (che potrebbe essere a sua volta malamente notificato) è funzionale anche al buon andamento della pubblica amministrazione, perché di certo contribuisce ad evitare i costi di una procedura esecutiva male instaurata, la produzione e l’aumento di danni da risarcire al contribuente, i rischi di decadenza dell’amministrazione in ragione di ripetute notifiche non andate a buon fine.

Né può ritenersi che la riconosciuta impugnabilità del ruolo e della cartella non (validamente) notificati dei quali il contribuente sia venuto a conoscenza tramite l’estratto di ruolo espongano ai rischi di dilatazione del contenzioso e rallentamento dell’azione di prelievo, come da taluno paventato.

In proposito è infatti appena il caso di rilevare che l’impugnazione della cartella per mancanza di (valida) notificazione proposta non unitamente alla impugnazione dell’atto successivo notificato non comporta un aggravio del contenzioso se si considera che l’impugnazione della cartella, ancorché “ritardata”, interverrebbe in ogni caso al momento della notifica dell’atto successivo, mentre la proposizione “anticipata” di essa potrebbe evitare l’emissione e la notifica (quindi l’impugnazione) dell’atto successivo e perciò indurre un possibile effetto deflativo. Tanto premesso, è però indubbio che anche un eventuale (modesto) incremento del contenzioso non potrebbe giustificare una compressione del diritto alla tutela giurisdizionale consistente nel posticipare la possibilità di accesso ad essa ad un momento successivo al sorgere dell’interesse ad agire e perciò ad un momento in cui è possibile che alcuni effetti lesivi dell’atto si siano già prodotti. E’ infine da escludere che dalla impugnabilità di un atto nel quale risulti esternata una ben definita pretesa tributaria possa derivare un “rallentamento” dell’azione di prelievo, che non sia quello strettamente (e legittimamente) derivante dall’interesse e dal diritto costituzionalmente presidiato del contribuente di contrastare la possibilità di un prelievo illegittimo, dovendo rilevarsi che posticipare il momento in cui il contribuente può far valere l’illegittimità della pretesa non serve a “sveltire” l’azione di prelievo ma solo ad aumentare il danno derivante da azioni esecutive in ipotesi portate avanti sulla base di pretese illegittime. 4) Alla luce di quanto fin qui esposto deve conclusivamente affermarsi la fondatezza – nei termini sopra riportati – del motivo in esame nella parte in cui la ricorrente si duole della ritenuta inammissibilità della opposizione proposta per far valere l’invalidità della notifica della cartella di pagamento della quale essa era venuta a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo. Deve invece affermarsi l’infondatezza del motivo in esame nella parte in cui la ricorrente sostiene che i giudici d’appello, trascurando ogni valutazione sia in ordine alle circostanze di fatto offerte dalla contribuente con riguardo alla dedotta omissione di notifica della cartella sia in ordine alla mancata contestazione delle suddette circostanze ad opera della controparte, sarebbero incorsi in “difetto di attività del giudice che si risolve nella nullità della sentenza per insufficiente motivazione”.

In proposito, infatti, anche ritenendo di poter prescindere dalla impropria formulazione della censura, deve evidenziarsi che i giudici d’appello hanno dichiarato l’inammissibilità della proposta opposizione e che queste sezioni unite hanno ripetutamente affermato che, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza) con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare, con la conseguenza che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (così SU n. 3840 del 2007 e numerose altre successive), dovendo a fortiori ritenersi infondata l’impugnazione che, come nella specie, sostanzialmente censuri (sia pure attraverso incongrui riferimenti normativi) l’omessa pronuncia sul merito da parte del giudice che si sia spogliato della relativa potestas iudicandi con una statuizione di inammissibilità.

Dall’argomentare che precede discende l’accoglimento, nei limiti e nei termini sopra esposti, del ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR della Puglia in diversa composizione perché provveda a decidere la controversia facendo applicazione del seguente principio di diritto: “E’ ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata (validamente) notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, posto che una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”.

Il giudice del rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte a Sezioni Unite accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per te spese alla C.T.R. Puglia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2015


Cass. civ., Sez. VI – 2, Ord., (data ud. 21/05/2015) 30/09/2015, n. 19387

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19628/2012 proposto da:

C.D. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, VIA M. BRAGADIN, 95, presso lo studio dell’avvocato MATTEO CARLO PARROTTA, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

PUBBLICO MINISTERO presso la PROCURA GENERALE di CATANZARO;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 277/11 R.C.C. della CORTE D’APPELLO di CATANZARO dell’8/06/2012, depositata il 20/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Svolgimento del processo
Con ordinanza del 20 luglio 2012, la Corte di appello di Catanzaro, chiamata a pronunciarsi sull’opposizione proposta da C. D., con separati ricorsi, poi riuniti, avverso i decreti di liquidazione dei compensi ad esso spettanti per l’attività defensionale svolta nell’interesse dei propri assistiti, entrambi ammessi al gratuito patrocinio nell’ambito di un procedimento per i reati di cui della L. 685 del 1975, artt. 71, 74 e 75, e definito con sentenza in data 5/10/2012, in riforma del provvedimento impugnato, ha accolto le censure mosse ai provvedimenti impugnati e provveduto alla rideterminazione dell’ammontare dei compensi spettanti al difensore con l’aggiunta del rimborso delle spese di viaggio e dell’indennità di trasferta.

Avverso tale provvedimento definitivo della Corte di appello di Catanzaro ha presentato ricorso a questa Corte, il medesimo C., deducendo due diversi motivi.

Con la prima articolata censura ha denunciato, in primis, la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e all’art. 111 Cost., in secondo luogo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, in relazione alle norme determinative della tariffa professionale penale di cui al D.M. n. 127 del 2004, nonchè violazione del principio del divieto di reformatio in peius anche per vizio di motivazione.

Con il secondo mezzo ha dedotto la violazione dell’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. b); violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170, in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c., oltre ad omessa motivazione sul medesimo punto relativo alle spese del giudizio.

L’intimato Pubblico Ministero presso la Procura Generale di Catanzaro non ha svolto difese in questa fase del giudizio.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., proponendo l’accoglimento del ricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa di adesione alla relazione.

Motivi della decisione
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta:

“Con il primo motivo viene denunciata la inosservanza o erronea applicazione delle disposizioni in tema di liquidazione degli onorati del difensore, in particolare dell’art. 82 T.U. materia di spese di giustizia e delle norme che ineriscono la tariffa professionale penale contenuti nel D.M. n. 127 del 2004, per avere la Corte di appello di Catanzaro, nonostante il riconoscimento della fondatezza delle censure sollevate dall’odierno ricorrente, proceduto ad una liquidazione dei compensi e degli onorari ad esso spettanti in misura inferiore rispetto ai decreti impugnati e per aver arbitrariamente disatteso quanto attestato dalle note difensive e dalle produzioni documentali della parte.

Con il secondo motivo il ricorrente censura l’ordinanza impugnata per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ed omessa motivazione, limitatamente alla mancata statuizione in ordine alla liquidazione delle spese del procedimento di opposizione.

Per poter procedere all’esame delle suddette doglianze occorre dare atto della imprescindibilità di un adempimento preliminare consistente nella previa integrazione del contraddittorio, non essendo stata evocata in giudizio la necessaria controparte dello stesso.

Al riguardo si sono pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte che, superando il contrasto esistente circa la legittimazione passiva nel giudizio di opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, hanno statuito che litisconsorte necessario è il Ministero della Giustizia. Nel dettaglio, la Suprema corte, ha chiarito come non possa considerarsi titolare passivo del rapporto nè l’agenzia dell’entrate, sovente intimata in tali giudizi, nè il Pubblico Ministero, come è accaduto nel caso di specie, bensì un terzo e diverso soggetto, ciò in quanto tale giudizio, anche se riferito a liquidazioni inerenti ad attività espletate ai fini di giudizio penale, presenta carattere di autonomo giudizio contenzioso avente ad oggetto controversia di natura civile incidente su situazione soggettiva dotata della consistenza di diritto soggettivo patrimoniale, per cui, parte necessaria dei procedimenti suddetti deve considerarsi ogni titolare passivo del rapporto di debito oggetto del procedimento, con la conseguenza che nei giudizi di opposizione a liquidazione inerenti a giudici civili e penali suscettibili di restare a carico dell’erario”, quest’ultimo va identificato nel Ministero della Giustizia, che pertanto è parte necessaria (Cass. S.U. 29 maggio 2012 n. 8516). Trattasi di principi consolidati e ribaditi dalle più recenti pronunce di questa Corte (Cass. 29 gennaio 2015 n. 1687; Cass. 21 ottobre 2014 n. 22316; Cass. 13 febbraio 2014 n. 3312; Cass. 14 febbraio 2013 n. 3622).

In definitiva si conferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., data la necessità di procedere all’integrazione del contradditorio ex art. 331 c.p.c.”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, e alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio, ragione per la quale l’ordinanza impugnata va cassata e, in applicazione dell’art. 383 c.p.c., comma 3, deve essere disposta la rimessione della causa al primo giudice, individuato come in dispositivo, il quale, previa integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero della giustizia, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, dichiara la nullità del giudizio di merito e ne ordina la rinnovazione davanti al Presidente della Corte di appello di Catanzaro, previa integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero della giustizia, il quale provvederà anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte di Cassazione, il 21 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2015


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2015) 25-09-2015, n. 19060

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19693-2010 proposto da:

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

A.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 525/2009 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di BOLOGNA, depositata il 10/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2015 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA;

udito per il ricorrente l’Avvocato MADDALO che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
L’Amministrazione Finanziaria ha notificato ad A.F. nei novembre 1982 avvisi di accertamento per IRPEF ed ILOR relativi agli anni 1975/1980; in data 14-3-1983 il contribuente ha presentato dichiarazione integrativa ex L. n. 516 del 1982, determinando i nuovi imponibili con riferimento non alle dichiarazioni originariamente presentate ma a quanto accertato nei detti avvisi; l’Ufficio, previo controllo, ha proceduto quindi alla liquidazione della detta dichiarazione integrativa ed alla conseguente formazione dei ruoli, con notifica al contribuente della relativa cartella nel settembre 1988, quando però era stata già emessa la sentenza della Corte Costituzionale 175/1986, che aveva sancito l’illegittimità di tutti gli avvisi di accertamento notificati, come quelli in questione, tra il 14/7/1986 ed il 15/3/1983.

Avverso detta cartella il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributarla di primo grado di Parma, sostenendo che la su riferita declaratoria di illegittimità costituzionale non poteva che travolgere anche la dichiarazione integrativa, essendo infatti quest’ultima parametrata su avvisi dichiarati illegittimi.

L’adita Commissione, in parziale accoglimento del ricorso, ha ritenuto che l’Ufficio avrebbe dovuto procedere ad una riliquidazione della dichiarazione integrativa procedendo D.L. n. 429 del 1982, ex art. 19, e cioè considerandola come presentata “in assenza di accertamento”.

La Commissione di secondo grado ha rigettato l’appello dell’Ufficio.

Con sentenza depositata il 10 giugno 2009 la CTC, sez. di Bologna, ha rigettato il ricorso dell’Ufficio; in particolare la CTC ha evidenziato che la dichiarazione integrativa era strettamente connessa e subordinata all’avviso di accertamento; di conseguenza la nullità di quest’ultimo, da ritenersi atto presupposto, non poteva che travolgere tutto il rapporto tributario dallo stesso generato.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione il Ministero dell’Economia e della Finanze e l’Agenzia delle Entrate, affidato ad un motivo; il contribuente non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto proposto oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, ratione temporis vigente (un anno e 46 gg dalla pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta in data 10-6-2009).

Il ricorso, invero, è stato notificato, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., tramite ufficiale giudiziario, mediante deposito di copia nella casa comunale, per irreperibilità del contribuente presso l’indirizzo nel quale quest’ultimo aveva la sua residenza anagrafica (via (OMISSIS)), in data 24-9-2010, e quindi oltre il su menzionato termine.

Irrilevante è, invece, al riguardo, la precedente procedura notificatoria per posta, la cui conclusione, attesa la mancanza della relativa cartolina di ritorno, non può ritenersi provata.

E’ vero, infatti, che “In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie” (Cass. Sez. unite 17352 e ssg.).

Nel caso di specie, tuttavia, risulta che il ricorso è stato consegnato all’Ufficio postale per la notifica in data 21-7-2010, ma, in mancanza (come detto) della relativa cartolina di ritorno, non vi è prova che il mancato perfezionamento dell’intrapresa procedura non sia addebitabile a colpa del notificante; siffatta circostanza configura una interruzione nella continuità della procedura notificatoria, sicché non può ritenersi avvenuta una ripresa del procedimento notificatorio e gli effetti della seconda notifica (avvenuta ex art. 143 c.p.c.) non possono essere ricollegati ad atti della prima, e, in particolare, alla consegna all’ufficio postale del ricorso da notificare.

In conclusione, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, non avendo il contribuente svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2015


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 25/05/2015) 24/09/2015, n. 18936

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11870-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MALESCI ISTITUTO FARMACOBIOLOGICO SPA in persona del legale rappresentante pro tempore e del Consigliere di Amministrazione, elettivamente domiciliato in ROMA VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato FIORILLI PAOLO, rappresentato e difeso dagli avvocati PISTOLESI FRANCESCO, MICCINESI MARCO giusta delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 13/2008 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE, depositata il 28/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIORENTINO che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PISTOLESI che ha chiesto il rigetto del ricorso e la inammissibilità e l’accoglimento del ricorso principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine il rigetto del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo
In relazione alla contestata indetraibilità dell’IVA su fatture passive aventi ad oggetto corrispettivi versati da Malesci Istituto Farmacobiologico s.p.a. per la organizzazione e lo svolgimento di congressi e convegni scientifici autorizzati dal Ministero della Salute negli anni 1998 e 1999, in quanto qualificate come “spese di rappresentanzà negli avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio di Firenze della Agenzia delle Entrate, in quanto tali non detraibili ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 bis.1, comma 1, lett. h) e dell’art. 74 TUIR (entrambe le norme nel testo vigente ratione temporis), la Commissione tributaria della regione Toscana, con sentenza 28.3.2008 n. 13 ed in parziale riforma della decisione di prime cure, dichiarava infondata la pretesa fiscale, interpretando il complesso normativo, anche in combinato disposto dalla L. n. 67 del 1988, art. 19, comma 14 (come modificato dalla L. n. 449 del 1997, art. 36, comma 13), ritenendo che la speciale disciplina normativa riservata, in materia di imposte sui redditi, alle spese per convegni e congressi sostenute dalle imprese farmaceutiche, sottraeva tali spese alla categoria delle “spese di rappresentanza” disciplinate dall’art. 74, comma 2 vecchio TUIR cui rinviava la norma sulla indetraibilità dell’IVA, e pertanto non andavano incontro al divieto di detrazione d’imposta dovendo essere considerate, anche al tempo dei fatti, assoggettate all’ordinario regime IVA previsto per le “spese di pubblicità”, come peraltro deponevano le successive modifiche della L. n. 449 del 1997, art. 36, comma 13 (che consentivano la deduzione, ai fini delle II.DD. delle spese di pubblicità farmaceutica effettuata attraverso convegni e congressi) e la giurisprudenza di legittimità.

I Giudici di appello ritenevano, invece, fondata la pretesa fiscale concernente la indetraibilità dell’IVA sulle spese sostenute dalla società per “servizi connessi” all’acquisto di “beni da destinare ad omaggio” (fonendoscopi), non essendo stata dimostrata la “inerenza” di tali spese con l’esercizio della impresa farmaceutica.

Annullavano inoltre gli avvisi limitatamente alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie, ravvisando, da un lato, la ricorrenza di difficoltà interpretative idonee ad integrare le cause di non punibilità D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 8 ed D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, e dall’altro, la carenza di una autonoma motivazione in ordine all’illecito contestato.

La sentenza di appello, notificata in data 18.7.2008, è stata impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate, con ricorso notificato alla contribuente il 18.5.2009 ed affidato a tre motivi con i quali si deducono vizi di violazione di norme di diritto e vizi di motivazione.

Resiste con controricorso la società, eccependo la inammissibilità del ricorso per violazione del termine breve di impugnazione e proponendo contestuale ricorso incidentale, affidato a tre motivi, con i quali vengono dedotti vizi per “errores in judicando” ed “errores in procedendo” e vizio di motivazione. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione
1. Il ricorso principale è inammissibile.

La parte resistente ha eccepito che il ricorso per cassazione era stato notificato oltre il termine breve di impugnazione previsto dall’art. 325 c.p.c. e dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 1, e art. 62, comma 2, essendo stata notificata la sentenza di appello, ad istanza di parte, in data 18.7.2008 a “mani proprie”, alla “Agenzia delle Entrate – Ufficio di Firenze (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, in via (OMISSIS)” (come emerge dalla relata di notifica), ed essendo stato invece proposto il ricorso per cassazione con atto consegnato all’Ufficiale giudiziario in data 13.5.2009 e notificato alla società contribuente in data 18.5.2009.

La Agenzia fiscale ricorrente contesta la eccezione pregiudziale ritenendo tempestiva la proposizione del ricorso, dovendo ritenersi inefficace, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, la notifica della sentenza di appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 38 in quanto eseguita presso la sede dell’ufficio finanziario che aveva emanato l’avviso di accertamento opposto, anzichè presso la sede della Direzione regionale delle entrate che aveva partecipato al giudizio di appello.

1.1 Risulta dagli atti (intestazione della sentenza di appello) che nel giudizio di secondo grado l’ufficio della Agenzia delle Entrate, che aveva emanato l’atto impugnato (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, comma 1), e nei cui confronti era stato proposto il ricorso (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. c), art. 20, comma 1, art. 23, comma 1), era stato in giudizio “mediante” l’”Ufficio del contenzioso” della Direzione regionale della Toscana (DRE), giusto il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, per cui “l’ufficio…..nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso della direzione regionale o compartimentale ad esso sovraordinata”.

In proposito occorre osservare che, se parte del processo tributario, introdotto dal contribuente, deve intendersi “l’ufficio……che ha emanato l’atto impugnato…” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, comma 1), l’art. 11 comma 2, introduce un sistema di legittimazione processuale alternativa, funzionale al modello organizzativo delle Agenzia fiscali.

La norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, deve, infatti, essere interpretata alla stregua del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 62, comma 2, che ha attribuito alla Agenzia delle Entrate (ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico con autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria: D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 61, commi 1 e 2; art. 1, comma 1, e art. 13, comma 1, Statuto, approvato con delibera CD in data 13.12.2000 n. 6) tutte le competenze già esercitate dal Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze, con “facoltà” di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72).

L’Agenzia fiscale è, infatti, articolata in uffici “centrali e periferici”, “regionali e provinciale (a loro volta articolati in strutture di vertice ed uffici dipendenti), in base alle disposizioni del regolamento di amministrazione adottato con delibera CD del 30.11.2000 n. 4 (art. 2, comma 2; art. 4, comma 1; art. 5), secondo criteri organizzativi che combinano l’applicazione del “principio di competenza” (territoriale e per valore) con i principi “gerarchico” (fondato su rapporti di sovra e sottordinazione: art. 11, comma 1, lett. c), Statuto) e di “sussidiarietà” (art. 1, comma 1, lett. d) reg. amm.).

Per quanto qui interessa, la gestione del contenzioso risulta attribuita a tutte le strutture periferiche, sia di “vertice” che “meramente operative”:

– le Direzioni regionali e le Direzioni provinciali delle Province autonome di Trento e Bolzano, che sono “strutture di vertice”, infatti, oltre a funzioni di direzione e di coordinamento svolgono anche “attività operative di particolare rilevanza nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento, della riscossione, e del contenzioso” (art. 4, comma 3, reg. amm.);

– presso le altre Direzioni provinciali (articolate a loro volta negli “uffici territoriali”, nell’”ufficio controlli” e nell’”ufficio legale”) “l’ufficio legale tratta il contenzioso di tutta la direzione provinciale” (art. 5, comma 3 del reg. amm.) – il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate in data 23.2.2001 n. 36122, pubblicato in GU n. 151/2001 (da ricomprendersi tra le “disposizioni interne” di cui al D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, comma 3), adottato in esecuzione delle norme di legge, regolamentari e statutarie, prevede che le Direzioni regionali esercitano funzioni anche “nei settori della gestione dei tributi, dell’accertamento e del contenzioso”, istituendo presso tali organi anche rufficio del “Contenzioso tributario” cui è affidata tra l’altro la “rappresentanza dinanzi alle Commissioni tributarie regionali”.

1.2 Tanto premesso, ferma la esclusiva riconducibilità dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio (pretesa fiscale) all’Erario, e per esso alla Agenzia delle Entrate alla quale sono stati attribuiti ex lege i poteri di gestione del rapporto tributario con il contribuente, osserva il Collegio che indipendentemente dal rapporto organizzativo, interno all’ente di diritto pubblico, che viene ad essere instaurato tra l’organo sovraordinato (DRE) e l’ufficio che ha emanato l’atto impugnato (avocazione gerarchica della trattazione del contenzioso; accentramento in via generale, presso l’ufficio contenzioso della DRE, della rappresentanza in giudizio dei singoli uffici locali; valutazione caso per caso da parte dell’organo sovraordinato della opportunità di sostituire l’ufficio che ha emanato l’atto nella assunzione della posizione di parte processuale), non pare dubbio che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, attribuisca all’”ufficio del contenzioso” della DRE (nella specie la Direzione regionale della Toscana) una legittimazione processuale concorrente con quella dell’”ufficio provinciale periferico” che ha emanato l’atto opposto (nella specie l’Ufficio di Firenze (OMISSIS)), consentendo all’”ufficio del contenzioso” della DRE di costituirsi in giudizio, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 23, comma 1, in sostituzione del predetto “ufficio periferico” al quale è stato notificato il ricorso introduttivo ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 20 (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 20911 del 03/10/2014).

La individuazione dell’ufficio della Agenzia delle Entrate, ritenuto maggiormente idoneo a sostenere la difesa dell’ente pubblico in giudizio, è espressione di scelte discrezionali proprie dell’ente, che riflettono la specifica organizzazione ed articolazione interna degli uffici, che si inscrivono tutte nella definizione legale di “parte nel processo tributario” compiuta dalla legge che, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 28 conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122, applicabile al caso di specie) disponeva, infatti, che “Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio del Ministero delle finanze o l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto ovvero, se l’ufficio è un centro di servizio, l’ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso”, norma che deve essere coordinata, ai fini della individuazione della parte processuale pubblica, con le disposizioni dell’art. 18, comma 2, lett. c) – secondo cui il contribuente deve indicare nel ricorso introduttivo l’ufficio nei cui confronti la impugnazione è proposta -, e dell’art. 23, comma 1 -per cui “l’ufficio….nei cui confronti è stato proposto il ricorso” si costituisce in giudizio entro sessanta giorni dal perfezionamento della notifica-, dovendo in conseguenza ritenersi, in base al combinato disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, comma 1 e art. 23, comma 1, che la qualità di “parte nel processo” debba comunque essere riconosciuta -anche in ipotesi di una eventuale “sostituzione” da parte dell’organo gerarchicamente sovraordinato ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2 -, all’”ufficio provinciale periferico” della Agenzia fiscale “che ha emanato” l’avviso di rettifica o di accertamento ed al quale il ricorso introduttivo è stato notificato dal contribuente.

Orbene il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2, che disciplina la notificazione delle sentenze di merito dei Giudici tributali (ai fini della decorrenza del termine breve anche per la proposizione del ricorso per cassazione: Corte cass. Set. 5, Sentenza n. 5871 del 13/04/2012 secondo cui “l’applicazione di tali disposizioni alle decisioni delle Commissioni tributarie regionali, in forza del generale richiamo fatto per il processo tributario di secondo grado alle norme dettate per il primo grado, trova ostacolo nella disciplina del ricorso per cassazione, interamente regolato dal codice di procedura civile, poichè la notifica delle sentenze di appello resta fuori del giudizio di legittimità, mirando solo alla più celere formazione del giudicato formale”), prescrive in modo inequivoco che la notificazione della sentenza deve essere eseguita “alle altre parti” (“a norma dell’art. 137 c.p.c.” e ss. ed ora, dopo le modifiche introdotte dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 1, lett. a), “a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16”) e dunque, alla stregua delle considerazioni che precedono, all’ufficio che ha emanato l’avviso di accertamento/rettifica opposto, in quanto individuato ex lege come parte del processo tributario e, pertanto, legittimato a ricevere la notifica della sentenza di merito agli effetti della decorrenza, nei confronti dell’Agenzia fiscale titolare del diritto controverso (ente con personalità giuridica di diritto pubblico, nel quale è inserito l’ufficio periferico dotato di pari capacità di stare in giudizio ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11, secondo un modello assimilabile alla preposizione istruttoria di cui agli artt. 2203 e 2204 cod. civ.), del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione.

Tanto alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte – cui il Collegio intende aderire- secondo cui per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, la nuova realtà ordinamentale – caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore- consente infine di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato (cfr.

Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 3118 del 14/02/2006; Sez. U, Sentenza n. 3116 del 14/02/2006), non comportando tale soluzione un aggravio nell’esercizio del diritto di difesa nella fase di legittimità, poichè l’Ufficio centrale e quelli periferici -che emettono l’atto impugnato e curano il contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie- debbono comunque cooperare nell’attività di predisposizione della difesa tecnica dell’Agenzia nel giudizio di cassazione (cfr. Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 22889 del 25/10/2006; id. Sez, 5, Sentenza n. 441 del 14/01/2015).

1.3 La soluzione indicata non trova ostacolo nella disposizione dell’art. 16, comma 2 che, ai fini delle notificazioni e comunicazioni alle parti del processo, richiama anche il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1 secondo cui “salva la consegna a mani proprie”, “le notificazioni sono fatte……nel domicilio eletto o in mancanza, nella residenza, o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio”, indicazione che ha effetto anche per i successivi gradi di giudizio (art. 17, comma 2).

Se, infatti, non può essere logicamente negata alla Amministrazione finanziaria la facoltà di eleggere domicilio, al pari della parte contribuente, deve altresì rilevarsi come la norma del processo tributario, da ultimo richiamata, venga a derogare all’art. 170 c.p.c. (alla norma processualtributaria è stata riconosciuta sì efficacia “endoprocessuale” ma del tutto peculiare, atteso che la indicazione mantiene efficacia, ove non revocata o modificata, anche nel successivo grado di merito, pertanto, venendo a disporre il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, in deroga all’art. 170 c.p.c., ma non anche in deroga alla norma del processo civile che disciplina la “notifica degli atti di impugnazione” – art. 330 c.p.c. – da ritenersi non incompatibile con quella speciale del processo tributario: Corte cass. Sez, U, Sentenza n. 29290 del 15/12/2008; id.

Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 460 del 13/01/2014), e venga, quindi, ad incidere anche sulla disciplina della notifica della sentenza di merito, tenuto conto che, il previgente testo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 in vigore alla data della notifica (la modifica normativa successiva della L. n. 73 del 2010, che ha sostituito il rinvio agli artt. 137 c.p.c. e ss. con quello al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, ha ampliato “le forme” della notificazione della sentenza, ritenendo valide anche la spedizione diretta a mezzo posta in plico senza busta con raccomandata AR, ovvero la consegna della sentenza all’addetto all’ufficio – art. 16, comma 3 -, mentre non ha apportato modifiche alla disciplina del luogo e della parte destinataria della notifica che doveva, essere rinvenuta, pertanto, nella disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, commi 2, 4 e 5, e dall’art. 17), non escludeva l’applicazione – alla notifica delle sentenze tributarie- dell’art. 285 c.p.c. (secondo cui la sentenza deve essere notificata al procuratore costituito, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., ovvero alla parte costituita personalmente in giudizio, presso la residenza dichiarata od il domicilio eletto), norma che doveva pertanto intendersi derogata – relativamente alla disposizione che consente la notifica della sentenza di merito ai sensi dell’art. 170 c.p.c.- dalla disposizione speciale del processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17, comma 1, che fa salva in ogni caso la notifica “a mani proprie” (“le comunicazione e le notificazioni sono fatte, salva la consegna a mani proprie,…”), e che è stata costantemente interpretata da questa Corte nel senso che gli atti processuali e “la sentenza di merito” possono sempre essere notificati direttamente alla parte personalmente, anche nel caso in cui vi sia stata elezione di domicilio (cfr. Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 10474 del 03/07/2003 secondo cui debbono ritenersi ricomprese “tutte le forme di notifica previste dagli artt. 138, 140 cod. proc. civ. e la notifica a mezzo del servizio postale, a seguito delle quali l’atto venga comunque consegnato a mani proprie del destinatario”; id. Sez. 5, Sentenza n. 9381 del 20/04/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 5504 del 09/03/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 10961 del 13/05/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 16234 del 09/07/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 7059 del 26/03/2014, con riferimento alla notifica della sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale).

La applicazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1 indifferentemente ad entrambe le parti del processo tributario, esclude alla radice il dubbio di incompatibilità comunitaria prospettato nella memoria illustrativa dalla Agenzia delle Entrate (secondo cui la notifica eseguita in via alternativa all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato ovvero all’ufficio del contenzioso della DRE, costituitosi in giudizio, sarebbe lesiva dei “principi di origine comunitaria di equivalenza ed effettività della difesa”), peraltro in modo assolutamente carente, essendo stata omessa la indicazione delle norme dell’ordinamento comunitario che si assumono in ipotesi in conflitto con quelle processuali, e tenuto altresì conto, da un lato, che la materia della disciplina processuale è estranea alle materie riservate alla Comunità Europea dal Trattato (art. 6 TUE), e dall’altro che, anche nel caso in cui la ricorrente abbia inteso fare generico riferimento alla violazione dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proprio la mancata individuazione della norma comunitaria in conflitto con la disposizione processuale, impedirebbe comunque la verifica dell’asserita violazione, atteso che, per espressa previsione dell’art. 51, n. 1 della Carta, le disposizioni della medesima si applicano agli Stati membri esclusivamente “nell’attuazione del diritto dell’Unione” (e cioè soltanto ove debba applicarsi una norma comunitaria diversa dalla Carta). E’ stato, infatti, ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia che, quando un regolamento comunitario (od una direttiva comunitaria) conferisce un potere discrezionale ad uno Stato membro, quest’ultimo deve esercitare tale potere nel rispetto del diritto – e dei principi della Carta – dell’Unione (cfr. Corte di giustizia CE, sentenze 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf, Racc. pag. 2609; 4 marzo 2010, causa C-578/08, Chakroun, Racc. pag. 1-1839, e 5 ottobre 2010, causa C-400/10 PPU, McB., Racc. pag. 1-8965), ma nel caso di specie la ricorrente neppure allega -e non è dato altrimenti individuare- il regolamento o la direttiva comunitaria dai quali deriverebbe il potere discrezionale attribuito allo Stato membro nel disporre la disciplina legislativa del processo tributario, che non può, pertanto, essere considerata una normativa di attuazione di un diritto derivante dall’ordinamento comunitario.

Nè è dato ravvisare neppure un “vulnus” al principio di eguaglianza e di effettitività dell’esercizo del diritto di difesa ex artt. 3 e 24 Cost., tenuto conto che la notifica della sentenza tributaria eseguita, in via alternativa, all’ufficio periferico che ha emanato l’atto (parte processuale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 10, comma 1), ovvero -presso il domicilio eletto- nei confronti dell’ufficio del contenzioso della DRE (costituitosi in giudizio “in sostituzione” del primo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2), od ancora direttamente all’ente pubblico presso la sede legale (quale soggetto di diritto pubblico, parte sostanziale del rapporto tributario controverso, nella organizzazione del quale sono organicamente inseriti i predetti uffici), sono forme tutte egualmente funzionali, secondo un canone di ragionevolezza, ad assicurare all’Amministrazione finanziaria la effettiva conoscenza della sentenza pronunciata all’esito del giudizio, ai fini del tempestivo apprestamento dell’atto di impugnazione, non potendo essere addotti in contrario, dall’Agenzia fiscale, eventuali ostacoli di mero fatto dovuti a ritardi od inefficienze della organizzazione degli uffici dell’ente di diritto pubblico.

1.4 La menzionata norma del processo tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1), come interpretata da questa Corte, legittima, pertanto, la parte interessata (pubblica o privata) a notificare la sentenza tributaria di merito, tanto al procuratore domiciliatario, quanto alla “parte personalmente” (“a mani proprie”), dovendo applicarsi tale disposizione anche alla ipotesi, che ricorre nel caso di specie, in cui l’”ufficio che ha emesso l’atto impositivo” Opposto – al quale è stato notificato il ricorso introduttivo e che viene indicato dalla legge come “parte nel processo”- stia in giudizio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, “mediante” l’”ufficio del contenzioso” della DRE e questo abbia eletto domicilio presso la Direzione regionale (come nel caso di specie in cui -come emerge anche dalla intestazione della sentenza della CTR – l’ufficio del contenzioso della DRE della Toscana aveva indicato, costituendosi in grado di appello, il domicilio in Firenze via della Fortezza n. 8: cfr.anche memoria illustrativa depositata dalla Agenzia, pag. 7), essendo irrilevante al proposito che non sia configurabile un rapporto di rappresentanza negoziale tra gli uffici dell’ente pubblico, trovando genesi la partecipazione al giudizio dell’ufficio della DRE in una scelta di tipo organizzativo, riservata all’organo competente del soggetto di diritto titolare della pretesa tributaria contestata (l’Agenzia fiscale dotata di personalità giuridica di diritto pubblico), atteso che la alternativa, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, tra la modalità di notifica “a mani proprie” della parte e la notifica presso il luogo indicato con la elezione di domicilio (anche in assenza di procuratore ad litem o di altro soggetto indicato come domiciliatario) opera in via generale e nei confronti di tutte le parti del processo, dovendo quindi ritenersi equipollenti la notifica della sentenza di merito eseguita alla parte costituitasi personalmente “a mani proprie”, anche se in luogo diverso dal domicilio eletto, e la notifica della sentenza di merito eseguita, presso il domicilio eletto, alla parte ovvero al procuratore ad litem costituito in giudizio o ancora al soggetto indicato come domiciliatario.

1.5 La questione pregiudiziale posta all’esame di questa Corte può dunque essere risolta alla stregua del seguente principio di diritto:

– la scelta riservata alla Agenzia fiscale -ente al quale è conferita personalità giuridica di diritto pubblico e che riveste la posizione di parte sostanziale, ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, nel rapporto tributario controverso- di assumere la lite, introdotta dal contribuente, mediante costituzione in giudizio dell’ufficio periferico che ha emanato l’atto impositivo opposto ovvero dell’ufficio del contenzioso della DRE a quello gerarchicamente sovraordinato, ovvero direttamente con la costituzione in giudizio del Direttore generale dell’ente (in quanto organi tutti dotati di legittimazione processuale concorrente), e così del pari la analoga scelta dell’Agenzia fiscale di avvalersi o meno del patrocinio di un avvocato del foro privato, con il conferimento di apposita “procura ad litem”, hanno carattere eminentemente organizzativo, rispondendo alle esigenze di funzionalità ed efficienza dell’ente pubblico, in considerazione della sua specifica articolazione sul territorio e della distribuzione delle competenze tra i vari organi ed uffici centrali e periferici, e non immutano, pertanto, all’assetto legislativo del processo tributario che, individua “ex ante”, nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, come “parte nel processo”, l’ufficio della Agenzia fiscale “che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto” (ovvero l’ufficio con competenza su tutto o parte del territorio nazionale al quale spettano -in base ai regolamenti organizzativi dell’ente- le attribuzioni in merito a) rapporto controverso). Ne segue che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, bene può essere validamente eseguita, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 nei confronti dell’”ufficio che ha emanato l’atto”, opposto dal contribuente, anche nel caso in cui quest’ultimo si sia costituito in giudizio “mediante” l’ufficio del contenzioso della DRE e questo abbia eletto domicilio presso di sè, in quanto se, da un lato, l’intervento sostitutivo dell’ufficio della DRE non comporta il venire meno della qualifica legale di parte processuale dell’ufficio che ha emanato l’atto impositivo, dall’altro lato, il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16, 17 e 38 disciplinano un sistema compiuto delle modalità di notifica degli atti del processo tributario e delle sentenze emesse dai Giudici tributali, e l’art. 17, comma 1, in deroga all’art. 170 c.p.c., prevede che la notifica dell’atto possa essere eseguita direttamente alla parte mediante consegna “a mani proprie”, ovvero, in via alternativa, mediante notifica alla stessa parte nel domicilio eletto od in caso di conferimento del mandato ad litem al procuratore domiciliatario.

Sembra opportuno al Collegio evidenziare come l’enunciato principio, che si pone in linea con i richiamati precedenti delle sentenze SS.UU. n. 3116 n. 3118 del 14.2.2006, non contrasta con l’affermazione riportata nella massima CED della SC tratta dal precedente di questa Corte 5 sez. 3.10.2014 n. 20911, secondo cui “agli uffici periferici va riconosciuta la posizione processuale di parte e l’accesso della difesa avanti alle commissioni tributarie, permanemdo la vigenza del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 11” atteso che in quella causa veniva in questione la distribuzione tra i vari uffici centrali e periferici dell’Agenzia fiscale, secondo le norme attributive della competenza, della legittimazione a resistere in giudizio, mentre nella presente causa viene in questione la individuazione dell’ufficio dell’Agenzia fiscale che riveste la qualità di “parte nel processo” ed al quale, pertanto, può essere validamente notificata la sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, secondo le modalità alternative di notifica sopra indicate.

1.6 La notifica della sentenza della CTR effettuata ad istanza della società contribuente presso la sede dell’Ufficio di Firenze (OMISSIS) (in Firenze via S. Caterina D’Alessandria n. 23) che aveva emesso gli avvisi di accertamento IVA impugnati, anzichè alla Direzione regionale della Toscana (con sede in Firenze via della Fortezza n. 8) costituitasi in giudizio in sostituzione del primo, deve, in conseguenza, ritenersi idonea a far decorrere, nei confronti della Agenzia Entrate, il termine breve ex art. 325 c.p.c. per la proposizione del ricorso per cassazione, dovendo essere considerata inammissibile la impugnazione in quanto proposta oltre il termine di decadenza stabilito dall’art. 62 c.p.c., comma 2 e art. 325 c.p.c., comma 2.

2. Venendo a trattare del ricorso incidentale autonomo, proposto dalla società contribuente osserva il Collegio quanto segue.

2.1 Il primo motivo con il quale si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1 e dell’art. 19 bis.1, comma 1, lett. h), in combinato disposto con l’art. 74, comma 2 TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed il secondo motivo con il quale si deduce il vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono entrambi inammissibili, il primo, per inosservanza dell’onere di esposizione sommaria dei fatti di causa del requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), entrambi per difetto di autosufficienza ed altresì per difetto di interesse alla impugnazione.

2.2 La ricorrente incidentale, premesso di aver offerto in dono ai partecipanti ai convegni dei “fonendoscopi” di valore inferiore al limite di lit. 50.000 (previsto per la deducibilità dal reddito d’impresa delle spese di rappresentanza, dall’art. 74, comma 2 TUIR), si duole che la CTR abbia assoggettato alla medesima disciplina normativa anche altri “oneri soltanto indirettamente correlati ai medesimi donativi e/o aventi natura di costi generali inerenti all’impresa” (cfr. quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.).

2.3 La descrizione della fattispecie controversa è assolutamente carente, non essendo dato individuare la natura ed il contenuto delle prestazioni di servizi di cui si sarebbe avvalsa la società, nè tanto meno l’asserita “accessorietà” delle stesse ai beni consegnati in omaggio: è la stessa società ricorrente incidentale, peraltro, ad introdurre un ulteriore elemento di incertezza laddove ipotizza che le spese in questione possano alternativamente costituire “oneri indirettamente correlati” agli omaggio, ovvero “spese di carattere generale” (nozione in alcun modo esplicitata).

2.4 La sentenza della CTR, peraltro, ha deciso sulla questione controversa alla stregua di due distinte “rationes decidendi”: a) ha negato la detrazione IVA per omessa prova da parte della contribuente del requisito di “inerenza” delle predette spese “generali” all’esercizio dell’attività economica della impresa farmaceutica; b) ha ritenuto non condivisibile “la scissione del costo unitario da quello direttamente afferente (quale il costo della confezione) all’omaggio”.

Entrambi i motivi in esame investono esclusivamente la statuizione sub lett. b), lasciando impregiudicata la statuizione sub lett. a), da sola idonea a giustificare il decisum. In ogni caso qualora si volessero ravvisare due differenti questioni oggetto di decisione (rispettivamente concernenti, le spese generali ritenute non inerenti, e le spese afferenti agli omaggi ritenute superiori al limite di valore indicato), entrambi i motivi sarebbero egualmente da ritenere inammissibili in quanto:

– alcuna prova “decisiva”, ritualmente prodotta nel giudizio di merito, e neppure alcuna descrizione della natura e della entità delle spese sostenute per tali servizi “accessori” è stata fornita dalla ricorrente incidentale, difettando pertanto il necessario requisito di autosufficienza previsto per l’ammissibilità del motivo:

– la statuizione sub lett. b) della sentenza di appello, è errata in diritto, ma corretta nella soluzione giuridica adottata, atteso che la espressa riconducibilità della elargizione di omaggi tra le “spese di rappresentanza” (e non tra le “spese di pubblicità”: art. 74, comma 2 TUIR) deducibili dal reddito d’impresa ai fini delle imposte dirette, non può trovare alcuna corrispondenza in ambito IVA in cui è, invece, espressamente preclusa la detrazione d’imposta delle “spese di rappresentanza” D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19 bis.1, comma 1, lett. h) (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24932 del 06/11/2013, in motivazione, paragr. 10.2). Nella specie non è stato, peraltro, neppure indicato dalla società se i beni consegnati in omaggio contenessero elementi pubblicitari relativi a prodotti farmaceutici o medicinali fabbricati o commercializzati dalla società e se dunque potessero essere valutate come costi di pubblicità, per i quali è consentita senza limitazioni la detrazione IVA sulle fatture passive.

3. Il terzo motivo con il quale si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 è inammissibile per omessa formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

La società lamenta che la CTR non avrebbe pronunciato in ordine al motivo di gravame con il quale si impugnava la decisione di prime cure che aveva ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento che aveva negato la detrazione dell’IVA su fatture emesse in acconto per l’anno 1997 e relative ad acquisti di beni (destinati ad omaggi) perfezionati nel successivo anno 1998.

3.1 La censura è inammissibile atteso che il motivo di ricorso per cassazione, soggetto al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve in ogni caso concludersi con la formulazione di un quesito di diritto idoneo, cioè tale da integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico, anche quando un “error in procedendo” sia dedotto in rapporto alla affermata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non essendovi spazio, in base al testo dell’art. 366-bis cod. proc. civ., per ipotizzare una distinzione tra i motivi d’impugnazione associati a vizi di attività a seconda che comportino, o no, la soluzione di questioni interpretative di norme processuali (cfr. Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4329 del 23/02/2009; id. Sez. L, Sentenza n. 4146 del 21/02/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 10758 del 08/05/2013).

4. In conclusione il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile e quello incidentale deve essere rigettato, sussistendo le condizioni per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso principale proposto dalla Agenzia delle Entrate e rigetta il ricorso incidentale proposto dalla società contribuente, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2015


Nuove condizioni dei servizi postali universali dal 1° ottobre 2015

Significative novità, introdotte nei recenti provvedimenti della normativa di settore, hanno determinato la rimodulazione dell’offerta dei servizi postali universali di Poste Italiane, con decorrenza dal 1° ottobre 2015 così come di seguito indicato:

  • a) sarà rilasciata una nuova gamma di servizi di base di posta ordinaria, “Posta4” / “Posta4pro” per l’Italia e “Postamail Internazionale” per l’estero. Sono previste tariffe a partire da euro 0,95 per la Posta4, euro 0,85 per la Posta4pro ed euro 1,00 per la Postamail Internazionale;
  • b) saranno ridefiniti i servizi di posta prioritaria, “Posta1” / “Posta1pro” per l’Italia e “Postapriority Internazionale” per l’estero, arricchiti con una funzionalità che – previa apposizione dell’apposita etichetta che contiene un codice – permette di ricevere nel caso della “Posta1” e “Posta1pro” per l’Italia l’informazione sull’esito di consegna e, nel caso della Postapriority Internazionale, l’informazione sull’arrivo al centro di scambio internazionale di Poste Italiane. Sono previste tariffe a partire da euro 2,80 per Posta1, euro 2,10  per Posta1pro ed euro 3,50  per Postapriority Internazionale (per l’estero Zona 1);
  • c) relativamente ai servizi online, saranno disponibili i servizi di Posta4online (per l’interno) e Postamail Internazionale online (per l’estero). Per invii fino 20 grammi (da 1 a 3 fogli), limitatamente all’attività di recapito, sono previste tariffe di euro 0,85  (per l’interno) ed euro 1,00 (per l’estero, Zona 1). Previa conferma della relativa disponibilità sulla pagina web dedicata a ciascun canale di accesso, saranno erogati anche i corrispondenti servizi di Posta1 Online e Postapriority Internazionale online;
  • d) Le tariffe dell’Avviso di Ricevimento (A.R.) dei seguenti servizi saranno:
    – singolo per l’interno – per Posta Raccomandata Retail (ivi comprese le comunicazioni connesse alla notifica degli Atti Giudiziari), nonché, ove accettati presso gli uffici postali, Posta Assicurata Retail, Pacco Ordinario Nazionale e pieghi di libri – euro 0,95
    – multiplo per l’interno – Posta Raccomandata Pro, Posta Raccomandata Smart, Posta Raccomandata online, Posta Assicurata Smart e, laddove accettati presso i centri abilitati, Posta Assicurata Retail, Pacco Ordinario Nazionale e pieghi di libri – euro 0,70
    – per l’estero – Posta Raccomandata Internazionale, Posta Assicurata Internazionale, M-Bags Economy raccomandato, Pacco Ordinario Internazionale – euro 1,00.
  • e) gli invii di posta Ordinaria, Raccomandata, Assicurata e del Pacco Ordinario Nazionale saranno consegnati secondo il nuovo obiettivo di recapito J+4 (4 giorni lavorativi oltre quello di accettazione) nelle percentuali riportate, in dettaglio, nella Carta della Qualità dei servizi postali;
  • f) in alcune località, la consegna degli invii e la vuotatura delle cassette saranno effettuate a giorni alterni su base bi-settimanale. Di conseguenza, per la sola Posta1 gli obiettivi di velocità variano, da 1 giorno (J+1) a 3 giorni lavorativi (J+3) oltre a quello di accettazione, a seconda della zona di raccolta / destinazione, secondo quanto riportato sulla Carta dei servizi postali universali.
 Le informazioni di dettaglio relative alle variazioni introdotte sono disponibili negli allegati di seguito riportati nonché presso gli Uffici Postali e negli altri centri di accettazione.

Lettera di diniego di pubblicazione di avviso di deposito ex art. 26 del dpr 602/1973 (caso particolare)

Viste le segnalazioni provenienti da alcuni comuni in merito a richieste di pubblicazione all’albo on-line di avvisi di deposito ex art. 26 del DPR 602/1973, cioè gli avvisi di deposito inerenti la cartella di pagamento, analoghi a quelli che solitamente invia Equitalia, ma che nel caso specifico provengono da società concessionaria del servizio di recupero delle entrate tributarie ed extra-tributarie che operano per conto dei comuni, tuttavia effettuate presso comuni per i quali detta società non esercita la relativa attività e quindi al di fuori del proprio territorio di competenza alla notificazione è stata predisposta una lettera di diniego.

Considerato, inoltre, che gli avvisi in questione non citano l’avvenuto deposito dell’atto (deposito che infatti non viene effettuato) ma attestano che la matrice dello stesso è conservata presso gli uffici della società, la relativa richiesta di pubblicazione è carente sotto diversi profili (meglio esplicitati nella lettera).

Se poi consideriamo che il Garante  della Privacy ha disposto che la pubblicazione di atti che diffondono dati personali sia effettuata in stretta osservanza della norma che lo prevede, la relativa richiesta di pubblicazione degli avvisi di cui trattasi, non appare legittima neppure sotto il profilo del rispetto della privacy.

Per tale motivo la lettera che segue può essere un utile riferimento per la risposta di diniego.

 A seguire, è stato inserito un breve testo da utilizzare nel caso di reiterata richiesta di pubblicazione.

Scarica: Lettera da inviare alla società di gestione entrate e tributi 2015


Violazioni al Codice della Strada, aumentano le spese

Le spese di accertamento e notifica sui verbali di violazione al codice della strada, accertate dalla Polizia Stradale, passano a 15,23 euro. Somme che, a seguito di intervenute modifiche normative o sulla base di maggiori o minori costi di accertamento, potranno essere rideterminate con successivi provvedimenti. È quanto prevede il testo del dm Interno 8.7.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 214 15.09.2015 con cui si determinano i nuovi importi a carico dei trasgressori di norme del Codice della strada, quando tali violazioni sono accertate dal personale della Polizia di Stato. Pertanto, a partire dal 16 settembre 2015, i verbali di accertamento conteranno, oltre all’importo della sanzione amministrativa, anche la somma di 15,23 euro quale spesa di notifica, i cui costi sono anticipati da Poste Italiane. Il dm specifica, altresì, che entro il 30 novembre e il 31 maggio di ogni anno il Servizio Polizia Stradale provvede a verificare le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione dovute a Poste, così da assicurare l’idonea copertura economica delle suddette attività. Con tali somme, si legge nel decreto, si rimborsa la società Poste Italiane per la fornitura degli adeguamenti dei software, già nella disponibilità della Polizia Stradale, nonché per i costi relativi all’hardware e al software di base necessari a supportare tali applicativi. Sotto questo profilo, il dm prevede, inoltre, che i vertici della Polstrada potranno segnalare una rideterminazione degli importi dovuti a titolo di spese di notifica, alla luce di intervenute modifiche normative, ovvero sulla base dei maggiori o minori costi di accertamento per il responsabile del pagamento, derivanti dalle innovazioni tecnologiche e dall’applicazione di nuove soluzioni informatiche ai servizi resi da Poste Italiane alla stessa Polizia Stradale.

MINISTERO DELL’INTERNO

DECRETO 8 luglio 2015

Determinazione delle spese di notifica e accertamento a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada. (15A06864)

(GU n.214 del 15-9-2015)

IL DIRETTORE CENTRALE

dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale

Visto l’art. 208, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 («codice della strada»), di seguito indicato come codice della strada, che devolve allo Stato i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada accertate da funzionari ed agenti dello Stato;

Visto l’art. 389 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, recante il Regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada, che disciplina la ricevibilità e gli effetti dei pagamenti delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada in misura inferiore a quella prevista per l’estinzione dell’obbligazione o fuori dal termine per il pagamento in misura ridotta, prima della formazione del ruolo;

Visto il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 12 luglio 2010, con il quale è stato istituito un conto corrente postale nazionale intestato al Ministero dell’interno – Polizia Stradale;

Considerato che il Dipartimento della pubblica Sicurezza del Ministero dell’interno, in linea con le prescrizioni del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni, recante il codice per l’amministrazione digitale, ha attivato procedure esecutive per la notifica ed il pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato, con l’affidamento di parte dei servizi alla Società «Poste Italiane S.p.A.», sulla base dell’avvenuta stipula del contratto in forma pubblica amministrativa n. 29414 di rep. del 23 dicembre 2013, con scadenza al 31 marzo 2016, regolarmente registrato alla Corte dei conti in data 11 marzo 2014;

Considerato che i costi per il servizio di notificazione degli atti amministrativi effettuato dalla Società «Poste Italiane S.p.A.» ai sensi dell’art. 8 della legge 20 novembre 1982, n. 890 e successive modificazioni, nonché’ per lo svolgimento di alcune attività materiali a supporto dell’attività di accertamento svolto da personale della Polizia di Stato, sono sostenuti dalla predetta Società e sono da ricomprendere tra le spese di notifica e spese di accertamento, che, ai sensi dell’art. 201, comma 4, del codice della strada, sono a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada;

Atteso che l’art. 3 del citato contratto fissa in Euro 12,23, I.VA compresa, il costo della gestione completa del servizio di notifica, di incasso e rendicontazione dei pagamenti, successivamente ridotto, a far data dal 1° dicembre 2014, ad Euro 11,86, I.V.A. compresa, ai sensi della delibera AGCOM 728/13/CONS del 19 dicembre 2013;

Richiamata la convenzione n. 29174 di rep. del 25 maggio 2011, stipulata sempre con la Società «Poste Italiane S.p.A.», con la quale è stata affidata alla stessa la gestione di talune attività complementari e necessarie alla gestione del processo sanzionatorio, ivi comprese quelle relative agli accertamenti, la fornitura degli adeguamenti dei software, già nella disponibilità della Polizia Stradale e necessari all’esecuzione delle parti di processo ad essa delegate, nonché la fornitura dell’hardware e del software di base necessari a supportare tali applicativi;

Viste le comunicazioni n. 300/A/7254/14/131/M/11/8/8/1 del 10 ottobre 2014 e n. 300/A/2014/15/131M/11/8/8/1 del 18 marzo 2015 con le quali il Direttore centrale per la polizia Stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato ritiene congruo rideterminare le spese di notifica ed accertamento da porre a carico pro quota di ciascun contravventore destinato al pagamento delle sanzioni amministrative in complessivi Euro 15,23, I.V.A. compresa, composti da Euro 11,86, I.V.A. compresa, per spese di notifica ed Euro 3,37, I.V.A. compresa, per spese di accertamento;

Visto l’art. 8 del citato decreto interministeriale 12 luglio 2010, che affida al Direttore Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale la determinazione con apposito decreto dell’importo delle spese di notifica e delle spese di accertamento da porre a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato;

Richiamata la nota n. 600/A/INF/0005286/15 del 21 maggio 2015 con la quale l’Ufficio Tecnico e Analisi di Mercato della Direzione Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale ha confermato la determinazione del sopraindicato importo complessivo di Euro 15,23, I.V.A. compresa, in ossequio alla previsione di cui al sopramenzionato decreto interministeriale;

Decreta:

Art. 1

A decorrere dalla data di pubblicazione del presente decreto sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione di violazioni al codice della strada, da porre a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato, sono determinate in Euro 15,23, I.V.A. compresa, composti da Euro 11,86, I.V.A. compresa, e da Euro 3,37, I.V.A. compresa, quali spese di notifica e di accertamento.

Art. 2

Le somme pagate dai soggetti tenuti al pagamento a titolo di rimborso delle spese di notifica e delle spese di accertamento di cui al precedente art. 1, i cui costi sono sostenuti dalla Società «Poste Italiane S.p.A.», sono versate con operazione di postagiro ovvero di bonifico a favore della medesima Società dal funzionario responsabile della gestione del conto corrente postale nazionale intestato a Ministero dell’interno – Polizia Stradale, a seguito della presentazione di apposita fattura emessa dalla menzionata Società, intestata al Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica Sicurezza – Servizio Polizia Stradale come previsto dai menzionati contratti.

Art. 3

Entro il 30 novembre ed il 31 maggio di ogni anno il Servizio Polizia Stradale provvede a verificare le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione effettivamente dovute alla Società «Poste Italiane S.p.A.», per assicurare la idonea copertura economica delle suddette attività svolte dalla stessa Società «Poste Italiane S.p.A.».

Il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato provvede a segnalare alla Direzione Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale la necessità di rideterminare gli importi di cui all’art. 1 in ossequio alle previsioni di cui all’art. 8 del decreto interministeriale 12 luglio 2010, alla luce di intervenute modifiche normative, ovvero sulla base dei maggiori o minori costi di accertamento per il responsabile del pagamento, derivanti dalle innovazioni tecnologiche  e dall’applicazione di nuove soluzioni informatiche ai servizi resi dalla Società «Poste Italiane S.p.A.» alla Polizia Stradale.

Art. 4

Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello dell’avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Roma, 8 luglio 2015

Il direttore centrale: Franceschelli

Registrato alla Corte dei conti il 1° settembre 2015

Interno, foglio n. 1732


La PEC del Governo in “pensione” dal 18 settembre 2015

CEC-PACDa domani, 18 settembre, il servizio PostaCertific@, la PEC governativa che consentiva esclusivamente lo scambio di comunicazioni, aventi valore legale, paragonabile a quello di una raccomandata con ricevuta di ritorno, tra enti pubblici, cittadino e viceversa, non sarà più attiva.

Le caselle che fino a dicembre 2014 erano attivabili gratuitamente, dal singolo cittadino, erano infatti semplicemente CEC-PAC, acronimo di Comunicazione Elettronica Certificata fra Pubblica Amministrazione e Cittadino.

Fortissimamente voluta dall’On. Renato Brunetta, la CEC-PAC si è rivelata – all’atto pratico – un fallimento. Stando alle statistiche, infatti, ben l’82% delle caselle di PostaCertificat@ non avrebbe mai inviato alcun messaggio e qualcosa come 500.000 richieste di attivazione sarebbero rimaste inevase perché i cittadini non si sono mai presentati presso gli uffici postali per confermare la loro identità ed “autenticare” la casella.

Quindi, a partire dal 18 settembre la PEC governativa (PostaCertificat@) andrà definitivamente in pensione perché non sono stati sin qui raggiunti gli obiettivi fissati inizialmente.

L’Agenzia per l’Italia digitale (AGID) ha confermato che la chiusura del servizio (le caselle CEC-PAC dei cittadini non saranno più accessibili; potranno essere eventualmente richiesti solamente i log relativi all’attività delle stesse entro e non oltre il 17 marzo 2018) porterà ad un risparmio, per le casse dello Stato, quantificabile in circa 19 milioni di euro.

I “numeri complessivi” non sono stati comunque resi noti soprattutto considerando che soltanto per l’appalto iniziale Telecom Italia e Poste Italiane, si aggiudicarono un appalto per la fornitura del servizio del valore di 50 milioni di euro.

Nonostante sia un “unicum” tutto italiano (altri Paesi non hanno sentito il bisogno di dotarsi di una simile soluzione continuando a preferire standard riconosciuti a livello internazionale come S/MIME e OpenPGP), l’attivazione di un account di posta elettronica certificata (PEC) resta un adempimento a carico di professionisti ed imprese. Inoltre, la disponibilità di un indirizzo PEC resta un pressante obbligo, ad esempio, allorquando si debba partecipare a selezioni pubbliche o qualora si debba colloquiare con la pubblica amministrazione.


Cons. Stato Sez. III, Sent., (ud. 09-07-2015) 14-09-2015, n. 4270

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 540 del 2015, proposto da:

Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;

contro

E.S., rappresentato e difeso dagli avv. Guido Contestabile, Graziella Scionti, con domicilio eletto presso Giovanni Esposito in Roma, Vicolo Antoniniano, n.14;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00197/2014,

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di E.S.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Domenico Tropepi su delega di Guido Contestabile e di Graziella Scionti e l’avv. dello Stato Tito Varrone;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.Il sig. E.S. impugnava il decreto di divieto di detenzione d’armi emesso dal Prefetto di Reggio Calabria in data 18.11.2013.

Il provvedimento si fondava su due ordini di ragioni:

a) le frequentazioni dell’interessato con persone con pregiudizi penali;

b) il quadro di relazioni familiari che incideva negativamente sull’affidabilità richiesta, in particolare, la convivenza con due stretti familiari, che risultavano frequentare soggetti gravati da vari precedenti penali.

Si costituiva in giudizio la Prefettura di Reggio Calabria che depositava, oltre al controricorso, la nota della Questura di Reggio Calabria – Commissariato della P.S. di Gioia Tauro, del 30.10.2013, Div. III/cat.6F/PG/2013, dalla quale era scaturito il decreto prefettizio di diniego.

Il sig. S. affidava il ricorso ai seguenti motivi di diritto:

I) Illegittimità del provvedimento per violazione di legge, illogicità e carenza della motivazione – eccesso di potere;

II) Illegittimità del provvedimento per carenza di istruttoria, illogicità e/o carenza della motivazione – eccesso di potere;

III) Violazione di legge: mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

All’udienza cautelare il Tar tratteneva il ricorso per una decisione in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a..

Il Tar riteneva che la vicenda imponeva una particolare attenzione, da un lato, rispetto ai fatti posti a fondamento dell’impugnata informativa, dall’altro, rispetto alla personalità dell’odierno ricorrente in quanto:

– le frequentazioni personali contestate al ricorrente erano del tutto occasionali e irrilevanti (una risalente al 2004, la seconda, più recente, ma con soggetto con precedenti penali attinenti a delitti in ambito familiare);

-del pari irrilevante era la frequentazione contestata al padre del sig. S. con il proprio fratello, peraltro assolto dai reati contestati;

– risalenti nel tempo erano quelle contestate alla propria sorella, due nel 2004 una nel 2007, non più convivente con il sig. S. dal 5.5.2012, giorno in cui aveva contratto matrimonio.

Occorreva valutare anche la personalità del ricorrente così come emergeva dal suo percorso professionale e di vita in quanto:

– il sig. S.E. era stato arruolato nell’Esercito Italiano a far data dal 07.06.2011, con il grado di caporale VFP1 in rafferma annuale, assegnato alla Brigata F. ed aveva ottenuto un elogio per il servizio svolto in data 10.08.2012 (attestato in atti);

-nel corso del 2013 aveva presentato domanda di partecipazione al concorso per il reclutamento di 964 allievi agenti della P.S., riservato ai volontari in ferma di un anno partecipando alle relative prove selettive, dimostrando la volontà e il desiderio di entrare a far parte delle forze di polizia;

-attualmente lavorava alle dipendenze della F.lli S. snc, società dedita alla lavorazione del legno.

Per il Tar, dai dati fattuali sopra esposti emergeva non solo l’illogicità dell’impugnato provvedimento, poiché da nessun concreto elemento poteva evincersi il pericolo di abuso nell’uso delle armi, ma anche la sua intrinseca contraddittorietà in quanto alle sporadiche frequentazioni contestate aveva fatto seguito un periodo di servizio presso le Forze armate, servizio per il quale, l’odierno ricorrente, aveva ricevuto persino un elogio dal proprio comandante.

Conclusivamente per il Tar il provvedimento impugnato presentava evidenti vizi motivazionali laddove, in primo luogo, erano state considerate rilevanti, ai fini del diniego, frequentazioni meramente occasionali; in secondo luogo, per il fatto che non era stata compiuta una valutazione della complessiva personalità del soggetto, tale da fondare in concreto l’incidenza delle contestate frequentazioni sul giudizio prognostico di abuso delle armi.

Le spese del giudizio venivano poste a carico della Prefettura di Reggio Calabria.

2. – Nell’atto di appello il Ministero dell’Interno sostiene la erroneità della sentenza per travisamento dei fatti ed erronea applicazione della normativa di riferimento evidenziando che nel nostro ordinamento portare le armi è vietato e le eccezionali deroghe al divieto sono circondate da particolari cautele a tutela dell’ordine pubblico e della pacifica convivenza; inoltre l’Autorità preposta alla cura di tali beni gode di amplissima discrezionalità, nel caso in esame bene esercitata attesa la non completa affidabilità del ricorrente.

Si è costituito l’appellato signor E.S. evidenziando la inammissibilità/improcedibilità dell’appello per nullità della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio a mezzo PEC, decadenza del diritto di impugnativa, inammissibilità e/o nullità del gravame per mancata indicazione delle specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, violazione dell’art. 101 c.p.a.. e nel merito infondatezza dell’appello.

Sono state depositate ulteriori memorie difensive.

Alla pubblica udienza del 9 luglio 2015 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

3. – La Sezione deve esaminare in via prioritaria la eccezione avanzata dall’appellato di nullità della notifica dell’Avvocatura dello Stato in quanto effettuata per mezzo della posta elettronica certificata (PEC) inviata al procuratore costituito nel giudizio di prime cure.

Deduce l’appellato, richiamando la sentenza del Tar Lazio, sede di Roma della Sez. III ter del 13 gennaio 2015 n.396 che nel processo amministrativo non è ancora consentito agli avvocati notificare l’atto introduttivo del giudizio con modalità telematiche in mancanza di espressa autorizzazione presidenziale ai sensi dell’art. 52 co.2 c.p.c. .

L’assunto non può essere condiviso.

Al riguardo il Collegio ritiene di aderire per relationem al recentissimo precedente di questo Consiglio di Stato, Sez. VI n.2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: “La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, c o. 2, del c.p.a. non può considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la L. n. 53 del 1994 (ed in particolare… gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall’art. 25 co. 3, lett. a) della L. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale… a mezzo della posta elettronica certificata”.

“Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile.”

“Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico -operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a. , ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC”.

Sulla base di tale precedente l’eccezione proposta dall’appellato deve essere respinta.

4. – Anche la seconda eccezione dedotta dall’appellato di nullità dell’appello del Ministero per mancata specificazione dei motivi è infondata.

Il Ministero non si è limitato a riproporre le difese formulate in primo grado ma ha sostenuto la erroneità della sentenza del primo giudice evidenziando con specificità il travisamento dei fatti e l’erronea applicazione della normativa di riferimento e dunque l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice che in primo luogo non si sarebbe avveduto della rilevanza e pericolosità delle frequentazioni dell’interessato e dei suoi familiari, in secondo luogo, non avrebbe rilevato che il sindacato del giudice amministrativo “si arresta al limite della ragionevolezza”.

Non si è trattato quindi di una mera riproposizione di difese svolte in primo grado ma specifiche critiche allo iussum del giudice di primo grado.

5. – L’appello nel merito è fondato.

La Sezione richiama le conclusioni della giurisprudenza amministrativa che ha osservato che ai sensi degli artt. 39 e 43 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 l’amministrazione è titolare di un potere discrezionale molto esteso in materia di rilascio e ritiro di licenze abilitanti il possesso di armi e munizioni. Tale ampia discrezionalità si evince nella previsione contenuta nel citato art. 43 ove si prevede che la licenza può essere ricusata, oltre che in confronto dei soggetti che hanno riportato condanne penali, anche nei riguardi di chi non dà affidamento di non abusare delle armi. Il fine perseguito è, infatti, la tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, non solo in caso di accertata lesione, ma anche in caso di pericolo di lesione, sicché si tratta di un potere attribuito anche con finalità di prevenzione rispetto alla commissione di illeciti.

Ne consegue che il divieto di detenzione di armi, munizioni, esplosivi, così come il diniego di licenza o la revoca della licenza di porto d’armi, non richiedono un oggettivo ed accertato abuso nell’uso delle armi, essendo sufficiente che, secondo una valutazione non inattendibile, il soggetto non dia affidamento di non abusarne.

La valutazione di inaffidabilità del soggetto è attribuita all’autorità amministrativa la quale è chiamata ad un accertamento incensurabile in sede di legittimità nel momento in cui risulta congruamente motivato avuto riguardo a circostanze di fatto specifiche.

Né può risultare indifferente, nel giudizio di valutazione complessiva, la sproporzione significativa, tra l’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza dei cittadini rispetto all’interesse privato di portare armi o comunque di detenerle.

Per cui, salvo il limite dell’onere motivazionale, la valutazione cui è chiamata la Amministrazione, titolare del potere in materia di pubblica sicurezza, può essere contestata nel merito solo per illogicità e travisamento dei fatti sfuggendo invece al sindacato di legittimità l’apprezzamento amministrativo relativo alla prognosi di non abuso delle armi da parte del soggetto che ne sia possessore.

Nel caso in esame la amministrazione ha indicato espressamente le ragioni che hanno indotto ad adottare il gravato provvedimento negativo nei confronti del ricorrente.

Il provvedimento si fondava, come rilevato in fatto, sia sulle frequentazioni dell’interessato con persone con pregiudizi penali, sia sul quadro di relazioni familiari che incideva negativamente sull’affidabilità richiesta, in particolare, la convivenza con due stretti familiari, che risultavano frequentare soggetti gravati da vari precedenti penali.

Quanto alla ricorrenza nel tempo di tali frequentazioni occorre considerare che le stesse hanno coperto un arco di tempo significativo, dal 2004 al 2007, con persone interessate da ipotesi di reato o comportamenti affatto marginali riguardanti gravi reati contro il patrimonio o contro la persona o in ambito familiare; tale ultimo tipo di reati (tra le mura domestiche) non rappresentava certo una attenuante della pericolosità delle frequentazioni, come ritenuto dal Tar, rientrando invece tra le ipotesi di reato più pericolose ed odiose.

Il fatto che il ricorrente abbia svolto per un periodo di tempo con diligenza il servizio nelle forze armate presentando anche domanda come allievo nelle forze di polizia non assume significatività tale da ribaltare la prognosi di non affidabilità circa la detenzione delle armi in relazione al tipo di frequentazioni intrattenute.

Si tenga comunque conto che la esperienza nell’esercito si era oramai conclusa e quella nelle forze di polizia, cui pure accennava il primo giudice, non era mai iniziata tanto che l’appellante oggi lavora in tutt’altro campo.

D’altro canto non può trascurarsi il contesto ambientale, noto per fatti di criminalità organizzata, in cui si inquadrava la vicenda ed il fatto che le frequentazioni dimostravano che il ricorrente, se certo è esente direttamente da dinamiche criminali, comunque non era del tutto lontano da ambienti criminali, cosa, occorre sottolinearlo, diversa dall’affermare che il soggetto sia un criminale.

6. – Conclusivamente le motivazioni del provvedimento impugnato sono idonee a supportare il giudizio ampiamente discrezionale di possibile rischio di abuso del titolo che la legge affida alla autorità prefettizia nella attività di emissione delle autorizzazioni aventi ad oggetto armi, giudizio fondato, nel caso in esame, prevalentemente nell’ambiente sociale e familiare in cui concretamente si esplicava la vita di relazione dell’interessato che evidenziava la possibilità di incidenza di detto ambiente sul modus agendi del medesimo.

Con l’effetto che, del tutto ragionevolmente, il provvedimento impugnato ha valutato sussistente un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica sulla base di un giudizio prognostico ex ante circa la possibilità di abuso delle armi .

7. – L’appello quindi merita accoglimento.

8. – La sentenza appellata deve essere riformata, il ricorso di primo grado respinto.

Tuttavia per l’andamento e la peculiarità dei due gradi di giudizio le spese e gli onorari possono essere compensati.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo accoglie, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Angelica Dell’Utri, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere


Circolare 01/2015 – Avvisi di Addebito INPS

Con l’entrata in vigore dell’art. 30 D.L. 78/2010, convertito nella L. 122/2010, è stata soppressa la fase della iscrizione a ruolo del credito contributivo, e la consegna del ruolo all’agente della riscossione, cui competeva la notifica della cartella di pagamento ed è stato introdotto per il solo Inps l’avviso di addebito, contenente la intimazione al debitore di adempiere entro 60 gg. dalla notifica dell’avviso, con l’avvertimento che in mancanza del pagamento l’agente di riscossione, indicato nell’avviso, procederà ad espropriazione forzata, secondo i poteri e le modalità che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.

La circostanza che nell’avviso di addebito difetti la indicazione dell’ente creditore (a differenza della cartella di pagamento) è da imputarsi al fatto che l’avviso non può che provenire dall’Inps, cui solo è consentita tale modalità di recupero coattivo del credito, cui va ad aggiungersi la mancata indicazione del ruolo e della data di esecutività dello stesso, essendo venuta meno la emissione del ruolo.

Riscossione Inps: nella legge di conversione del Dl 78/2010 più leggera la riforma dal 2011

La riscossione Inps

L’art. 30 del D. L. 78/2010 (recante “Potenziamento dei processi di riscossione dell’INPS”), in sede di conversione in legge, ha subito, come sopra accennato, sostanziali modifiche cambiando di fatto l’obiettivo originario del decreto, i cui effetti avranno decorrenza dal 2011.

Con la legge di conversione sono stati modificati i commi 2, 5 e 15 e sono stati soppressi i commi 3 e 12, riguardanti l’espropriazione forzata (agente della riscossione) trascorsi 30 giorni dal mancato pagamento dell’avviso di addebito dell’INPS emesso per effetto di contributi non versati alle scadenze periodiche, i commi 7, 8 e 11 riguardanti i ricorsi amministrativi relativi ai debiti accertati dagli uffici INPS e il comma 9 in base al quale l’avviso di addebito cessava di avere validità in caso di revisione in autotutela dell’atto di accertamento, ferma restando la possibilità dell’INPS di notificare un nuovo avviso di addebito, in relazione all’eventuale somma ancora dovuta.

Finalità delle nuove norme – A decorrere dal 1° gennaio 2011, la disciplina della riscossione dei crediti da parte dell’INPS (non interessa quindi gli altri enti previdenziali) sarà fondata, come precisa la relazione parlamentare, sullo strumento dell’avviso di addebito, notificato al debitore, avente valore di titolo esecutivo.

La nuova disposizione interesserà il recupero di tutte le somme dovute all’INPS, ivi comprese quelle risultanti dagli accertamenti e quelle derivanti a titolo di sanzioni, somme aggiuntive e interessi.

La  relazione illustrativa del disegno di legge di conversione precisa altresì che le nuove norme sono finalizzate a ridurre fortemente, anche con riferimento agli omessi versamenti periodici (da parte delle aziende e lavoratori autonomi), i tempi intercorrenti tra l’insorgenza del credito rilevato dell’Istituto e il momento in cui l’agente della riscossione possa avviare, secondo la disciplina della riscossione mediante ruoli, l’attività di recupero.

Così la nuova riscossione – Le nuove regole, fissate dalla legge di conversione, possono essere così sintetizzate:

– L’attività di recupero di tutte le somme dovute all’INPS (omessi versamenti periodici e accertamenti d’ufficio) dal 1° gennaio 2011, sarà effettuata mediante notifica  di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo (il titolo esecutivo, per i soli crediti INPS, non sarà più la cartella di pagamento emessa dall’agente della riscossione)

– Detto avviso sarà notificato, in via prioritaria, tramite posta elettronica certificata, ovvero, previa convenzione tra comune e INPS, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale, ovvero a mezzo di raccomandata A.R.;

– L’avviso di addebito che invierà l’INPS dovrà obbligatoriamente contenere (a pena di nullità): codice fiscale del debitore; periodo di riferimento del credito; la causale; l’ammontare del debito ripartito tra quota capitale, interessi (ove dovuti); l’agente della riscossione competente; l’intimidazione ad adempiere al pagamento entro 60 giorni;  l’indicazione che, in mancanza del pagamento,  l’agente della riscossione avvierà la procedura di espropriazione forzata (l’avviso di addebito è già il titolo esecutivo, conseguentemente non verrà più emesso un ruolo con titolo esecutivo), con i poteri, le facoltà e le modalità che disciplinano la riscossione mediante ruolo (la legge di conversione, fatta eccezione per la soppressione dell’esecutività del ruolo, ripristina, rispetto al testo originario del decreto, integralmente la procedura dei ruoli); la sottoscrizione del responsabile dell’ufficio;

– L’avviso di addebito (titolo esecutivo) sarà  consegnato, in deroga alla disciplina sui ruoli (D.Lgs. 46/1999),  all’agente della riscossione con modalità e termini che verranno stabiliti dall’INPS (all’agente della riscossione spettano l’aggio, interamente – non più parzialmente – a carico del debitore e il rimborso delle spese relative alla procedure esecutive di cui all’art. 17, del D. Lgs. 112/2009);

– Il mancato o il tardato pagamento delle somme richieste mediante avviso di addebito, le sanzioni e le somme aggiuntive saranno dovute fino alla data dell’effettivo pagamento;

– Per effetto dell’esecutività data dal legislatore all’avviso di addebito, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati, ai fini del recupero delle somme dovute a qualsiasi titolo all’INPS, al titolo esecutivo emesso dallo stesso istituto (avviso di addebito).

Non è stata quindi modificata la disciplina dei ricorsi che le aziende interessate all’avviso di addebito possono inoltrare al competente comitato, in particolare:

– al comitato amministratore centrale dell’INPS per il mancato o incompleto pagamento dei contributi (sia di lavoro dipendente sia di lavoro autonomo);

– al comitato regionale per i rapporti di lavoro presso la Direzione regione del lavoro per la diversa qualificazione del rapporto di lavoro.

Rimane altresì valida la possibilità da parte dell’azienda di sanare il debito INPS mediante la richiesta di rateazione.

Particolare attenzione occorre dare alla procedura riferita alla sospensione del titolo esecutivo.

La vigente disciplina sui ruoli prevede: la possibilità da parte dell’azienda di ricorrere contro l’iscrizione a ruolo entro 40 giorni dalla notifica della cartella di pagamento; che il giudizio di apposizione contro il ruolo per i motivi inerenti il merito della pretesa contributiva è regolato dagli artt. 442 e seguenti del codice di procedura civile; che nel corso del giudizio di primo grado il giudice del lavoro può sospendere l’esecuzione del ruolo per gravi motivi.

Dette disposizioni, a norma di quanto disposto dall’art. 30 in commento (Per effetto dell’esecutività data dal legislatore all’avviso di addebito, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati, ai fini del recupero delle somme dovute a qualsiasi titolo all’Inps, al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto), dovranno,  dal 2011, essere lette con riferimento al titolo esecutivo dell’avviso di addebito e dovranno essere coordinate, a nostro avviso, con quelle nuove che prevedono che l’avviso di addebito dovrà essere  consegnato, in deroga alla disciplina sui ruoli (Dlgs n. 46/1999),  all’agente della riscossione con modalità e termini che verranno stabiliti dall’INPS.

La legge di conversione conferma, invece, l’abrogazione immediata (dal 31.5.2010) dell’art. 25, c. 2, del Dlgs n. 46/1999. Detta norma prevedeva: “Dopo l’iscrizione a ruolo l’ente, in pendenza di gravame amministrativo, può sospendere la riscossione con provvedimento motivato notificato al concessionario ed al contribuente. Il provvedimento può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione.” Tale abrogazione, la cui decorrenza non coincide con l’entrata in vigore delle nuove norme in materia di riscossione, può creare, almeno fino al 31.12.2010, seri problemi alle aziende, in quanto non potranno più avvalersi della possibilità di chiedere all’Inps di sospendere l’esecutività del ruolo anche quando il medesimo risulta palesemente errato.

Va altresì ricordato che il comma 12 dell’art. 38 della medesima manovra correttiva ha modificato, in via transitoria, la disciplina dei termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo dei debiti contributivi di cui al sopra citato art. 25 del Dlgs n. 46/1999. I termini del predetto articolo non trovano applicazione, limitatamente al periodo 1/1/2010 – 31/12/2012, per i contributi non versati e gli accertamenti notificati successivamente all’1.1.2004. La nota di accompagnamento del citato articolo 38  precisa che la non applicazione di detta decadenza riguarda solo i contributi  e non anche i premi concernenti l’assicurazione infortuni.

Riscossione debiti tributari

La legge di conversione ha apportato importanti modifiche anche all’art. 29 del decreto 78 (recante concentrazione della riscossione nell’accertamento). Il provvedimento, come modificato dalla legge di conversione, stabilisce che a partire dagli atti notificati dal 1’ luglio 2011 (periodi d’imposta in corso alla data del 31.12.2007 e successivi), gli avvisi di accertamento per le imposte dirette e per l’Iva (e connesse sanzioni) dovranno contenere anche l’intimazione al pagamento entro il termine della presentazione del ricorso, l’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, gli importi stabiliti dall’art. 15 del DPR 602/1973 (detta norma prevede: “Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati”. Detta disposizione è applicabile anche ai sostituti d’imposta).

L’intimazione ad adempiere al pagamento deve essere contenuta anche nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata A.R., nei quali si proceda alla rideterminazione degli importi dovuti (si applica anche al mancato pagamento di una sola rata nei procedimenti di accertamento con adesione, al pagamento frazionato del tributi e dei relativi interessi in presenza di processo e alla riscossione delle sanzioni). I predetti atti divengono esecutivi decorsi 60 giorni dalla notifica (e non più all’atto della notifica) e devono espressamente recare che, trascorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione, in deroga alle disposizioni di iscrizione a ruolo, è affidata all’agente della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata dei beni del debitore (l’espropriazione forzata deve in ogni caso essere avviata, a pena di decadenza, entro il 31.12 del secondo anno successivo a quello cui l’accertamento è divenuto definitivo), senza più provvedere alla notifica della cartella di pagamento. In pratica l’avviso di accertamento e il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni costituiranno, dal 1°.7.2011, titolo esecutivo.

Qualora sia ravvisi fondato pericolo per l’esito della riscossione, la riscossione integrale può essere affidata all’agente della riscossione anche prima del termine previsto per il ricorso, ovvero prima dei 60 giorni decorrenti dalla ricezione della raccomandata ovvero prima dei 30 giorni decorrenti dal termine ultimo per il pagamento.

Il ricorso, avverso gli atti notificati, non sospende la riscossione, tuttavia l’ufficio delle entrate o il centro di servizio ha facoltà di disporre la sospensione della riscossione in tutto o in parte, fino alla data di pubblicazione della sentenza della commissione tributaria provinciale, con provvedimento motivato, notificato al concessionario e al contribuente. Il provvedimento può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione.

Come per le norme relative alla riscossione INPS, il provvedimento prevede che i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati agli atti di accertamento, di irrogazione delle sanzioni ed ai successivi atti di rideterminazione degli importi come disciplinati dalla norma in commento.

Il legislatore ha altresì previsto che, con uno o più regolamenti, verranno introdotte nuove diposizioni per la razionalizzazione delle procedure di riscossione coattiva.

Compensazioni

Anche l’art. 31 (recante preclusione alla autocompensazione in presenza di debito su ruoli definitivi) è stato significativamente modificato dalla legge di conversione. In particolare, il testo modificato prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2011, la compensazione dei crediti attraverso il Mod. F24, relativi alle imposte erariali, è vietata fino a concorrenza dell’importo dei debiti, di ammontare superiore a euro 1.500, iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, e per i quali è scaduto il termine di  pagamento.

In caso di inosservanza del predetto divieto, si applica la sanzione del 50% dell’importo dei citati debiti iscritti a ruolo e per i quali è scaduto il termine di pagamento, fino a concorrenza dell’ammontare indebitamente compensato (periodo così modificato dalla legge di conversione).

La sanzione non può essere applicata fino al momento in cui sull’iscrizione a ruolo penda contestazione giudiziale o amministrativa e non può essere comunque superiore al 50 per cento di quanto indebitamente compensato (periodo aggiunto dalla legge di conversione). È comunque ammesso il pagamento, anche parziale, delle somme iscritte a ruolo per imposte erariali e relativi accessori mediante la compensazione dei crediti relativi alle stesse imposte, con le modalità che verranno stabilite con apposito decreto ministeriale.

A decorrere dal 1° gennaio 2011, non opereranno più le disposizioni relative alla compensazione tra il credito d’imposta chiesto a rimborso ed il debito iscritto a ruolo (art. 28-ter del D.P.R. n. 602 del 1973), per i ruoli di ammontare non superiore a 1.500 euro.

La legge di conversione ha altresì introdotto due nuovi commi (1-bis e 1-ter) che modificano, rispettivamente, il DPR 602/1973 sulle riscossioni delle imposte sul reddito, in materia di compensazioni di crediti vantati da soggetti nei confronti di enti territoriali ed enti del Servizio sanitario nazionale con somme iscritte a ruolo, e il comma 3-bis, dell’articolo 9, del DL. 185/2008 (L. 2/2009), che prevede la certificazione da parte di regioni ed enti locali dell’esigibilità dei crediti dichiarati certi, liquidi ed esigibili, finalizzata a consentire la cessione pro soluto a favore di banche o di intermediari finanziari.

Leggi: Circolare A.N.N.A. 2015-001 Avviso di Addebito – Notifica tramite Messi Comunali 2015

Leggi: Circolare del 27 01 2000 n. 16 – Min. Finanze – Dip. Entrate

Leggi: Convenzione tra l’INPS e Roma Capitale per l’espletamento dell’attività di notifica degli Avvisi di Addebito (2017)