Cass. civ. Sez. II, (ud. 23-02-2007) 31-05-2007, n. 12834

Contravvenzioni, circolazione stradale, avviso bonario, fonti, oblazione comunale

… con delibera 28/04, il Comune di Barletta aveva stabilito, che, in caso di omessa esposizione della ricevuta di pagamento, prima dell’applicazione della prescritta sanzione amministrativa, fosse consentito al trasgressore l’estinzione della violazione col pagamento di euro 6 entro 5 giorni dal rilascio del preavviso, nella specie apposto sul parabrezza, e ritenuto “di per sé sufficiente ad integrare la sua avvenuta conoscenza” della contestazione; …

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere

Dott. ATRIPALDI Umberto – rel. Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIA NIZZA N. 45, presso lo studio dell’avvocato BORROMEO CARLO, rappresentata e difesa dall’avvocato GRILLO FRANCESCO, (Avviso postale VIA ROMA N. 11 –

70051 BARLETTA -), giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BARLETTA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’Avvocato PANARITI BENITO, che lo rappresenta e difende giusta mandato in calce al ricorso notificato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 524/05 del Giudice di pace di BARLETTA del 2/11/05, depositata il 12/11/05;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 23/02/07 dal Consigliere Dott. Umberto ATRIPALDI;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. CARLO DESTRO che ha concluso per il rinvio della trattazione del ricorso alla pubblica udienza.

Svolgimento del processo
D.M. ha impugnato, nei confronti del Comune di Barletta, con ricorso notificato il 17.1.06, la sentenza del Giudice di Pace, depositata il 12.11.05, che le aveva rigettato l’opposizione al verbale di contestazione della violazione dell’art. 157 C.d.S., comma 6 – 8 per “sosta del veicolo in zona di pagamento senza l’esposizione della ricevuta”.

Lamenta: 1) l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa “l’avvenuta conoscenza della contestazione da parte del proprietario dell’infrazione”, dato che, con Delib. n. 28 del 2004, il Comune di Barletta aveva stabilito, che, in caso di omessa esposizione della ricevuta di pagamento, prima dell’applicazione della prescritta sanzione amministrativa, fosse consentito al trasgressore l’estinzione della violazione col pagamento di Euro 6,00 entro 5 giorni dal rilascio del preavviso, nella specie apposto sul parabrezza, e ritenuto “di per sè sufficiente ad integrare la sua avvenuta conoscenza” della contestazione; 2) la violazione della Delib. comunale n. 28 del 2004, che prescrive “opportune modalità che permettano all’utente di sanare la propria situazione”, dato che l’apposizione di un avviso sul parabrezza non poteva considerarsi equipollente di una notificazione; nonchè la violazione dell’art. 3 Cost., attesa l’evidente discriminazione fra cittadino fortunato, cui viene fatta la contestazione immediata e sfortunato, non presente sul posto.

Il Comune non resiste.

Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., il P.G. ha chiesto la trattazione del ricorso in P.U..

Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato per l’assorbente ragione che il potere sanzionatorio delle violazioni al C.d.S. e la sua regolazione anche nel momento applicativo, è disciplinato direttamente dalle norme del D.Lgs. n. 285 del 1992, aventi forza di legge;

e che, quindi, secondo il principio gerarchico delle fondi, non possono certo essere derogate da delibere comunali che, come nella verificatasi ipotesi”, stabiliscano una sorta di “oblazione”, in alcun modo prevista o autorizzata dal legislatore; esulando del tutto dalla previsione dell’art. 7 C.d.S., richiamato nella menzionata delibera, il profilo sanzionatorio delle violazioni; e dovendosi perciò escludere che sussista in forza dello stesso qualsiasi delega o autorizzazione in tal senso a favore dei Comuni.

Il ricorso va pertanto rigettato.

L’omessa costituzione dell’intimato, esonera dalla liquidazione delle spese.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2007


Non spetta al Comune la competenza relativa alla determinazione dei compensi dei messi comunali

Stralcio

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 850/2007, ribadisce il proprio convincimento espresso nella sentenza n. 604/2006, secondo il quale non spetta al Comune la competenza relativa alla determinazione dei compensi dei messi comunali, in quanto riservata alla legislazione statale. Il Consiglio di Stato giustifica detta conclusione sulla base di un duplice ordine di considerazioni. Anzitutto, l’avvenuta abrogazione dell’art. 4 della Legge n. 249/1976, quale norma di rango primario, non comporta l’automatico effetto di devoluzione della competenza e alla regolamentazione della fattispecie originariamente disciplinata dalla norma abrogata e ad una fonte normativa secondaria o, addirittura amministrativa (come in questo caso), se non in presenza di una esplicita clausola di delegificazione (nella specie mancante).
In secondo luogo, la legge n. 114/1971 qualifica espressamente i compensi come direttamente spettanti ai messi comunali, e non ai Comuni, derivandone l’esclusione della titolarità del servizio in questione da parte dell’ente locale e dunque del diritto alla sua remunerazione.
Uniformemente a quanto già definito nella precitata sentenza n. 604/2006, viene ribadito inoltre che deve escludersi che la potestà del Comune all’autoregolamentazione dell’attività di notificazione assegnata ai messi comunali possa estendersi fino a condizionare la stessa possibilità di utilizzo del servizio in questione da parte delle amministrazioni statali, con la previsione di modalità e di termini per l’accesso allo stesso del tutto incompatibili con le esigenze postulate dal rispetto della normativa primaria che regola le notifiche degli atti giudiziari (cfr. Consiglio di Stato n. 604/2006).


Cass. civ. Sez. I, (ud. 15-02-2007) 25-05-2007, n. 12311

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MUSIS Rosario – Presidente

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere

Dott. GIULIANI Paolo – Consigliere

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A.O., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Cavour n. 17, presso lo studio dell’Avv. TERRA Massimo, che lo rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Fulvio Castrusini, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CARROZZERIA ZANON ANTONIMO, in persona del legale rappresentante, domiciliata in Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia n. 9, presso lo studio dell’Avv. LEONE Arturo, che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Gabriella Terziari, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa depositata il 19 giugno 2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 15 febbraio 2007 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito per il ricorrente l’Avv. Massimo Terra, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avv. Andrea G. Ligi, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 15 maggio 2000, il Giudice di Pace di Bassano del Grappa respingeva l’opposizione proposta da G.A. O., ai sensi dell’art. 650 cod. proc. civ., avverso il Decreto Ingiuntivo emesso nei suoi confronti su istanza della Carrozzeria Zanon. Il G. impugnava tale sentenza deducendo in primo luogo l’erroneità della decisione con cui il Giudice di Pace aveva ritenuto regolare la notifica del ricorso per decreto ingiuntivo e del pedissequo decreto, e con-seguentemente la tardività dell’opposizione. Sosteneva, infatti l’opponente, che non sussistevano i presupposti per procedere alla notifica ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., comma 1, occorrendo invece applicare la procedura ex art. 140 c.p.c.. L’opponente contestava anche l’an e il quantum della pretesa creditizia azionata in via monitoria.

Il Tribunale di Bassano del Grappa rigettava l’appello.

Quanto alla eccepita irregolarità della notificazione, il Giudice d’appello rilevava che essa era stata eseguita ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., comma 1, e che nella relata si leggeva: “anzi non potuto notificare in quanto ivi recatomi all’indirizzo in atti indicato rinvengo il di lui padre Sig. G.; lo stesso mi dichiara che il figlio da tempo si è trasferito ma ignora dove reperirlo ad un nuovo indirizzo o recapito stante il non buon rapporto esistente tra i due”. Osservava quindi che, per poter procedere alla notifica ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., occorre in primo luogo che il destinatario dell’atto si sia trasferito dal luogo nel quale risulta risiedere in base ai registri anagrafici (il che comporta che l’ufficiale giudiziario debba recarsi presso tale luogo, e che lo stesso sia individuato). Nella specie, rilevava il Tribunale, risultava accertato che la residenza conosciuta dell’opponente era in strada (OMISSIS) e che presso tale indirizzo effettivamente l’ufficiale giudiziario si era recato, rinvenendovi una persona che, qualificatasi come il padre del G., gli aveva riferito del trasferimento di quest’ultimo in luogo sconosciuto.

Ciò posto, il Tribunale riteneva infondate le doglianze dell’appellante in ordine all’operato dell’ufficiale giudiziario, per avere questi omesso di verificare presso l’ufficio anagrafe del Comune di Bassano del Grappa se vi fossero state annotazioni relative ad una sua nuova residenza, in quanto le risultanze ufficiali disponibili evidenziavano che il G. risiedeva proprio in strada (OMISSIS). Non era quindi in discussione il fatto che il destinatario della notificazione risiedesse ufficialmente presso tale indirizzo e che le risultanze anagrafiche inducessero l’ufficiale giudiziario a tentare di ivi eseguire la notificazione. Le indagini esperite dall’ufficiale giudiziario, peraltro, dovevano ritenersi rispondenti al canone della dovuta diligenza, giacchè egli aveva rinvenuto In loco una persona qualificatasi come padre del destinatario in assenza di elementi tali da poter anche far soltanto presumere che la sua presenza fosse abusiva (non essendo neanche state dedotte istanze istruttorie in tal senso) e che tale potesse essere percepita dall’ufficiale giudiziario; legittimamente, pertanto, quest’ultimo aveva fatto affidamento sulle dichiarazioni in questione, con la conseguenza che la notificazione ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., comma 1, doveva essere ritenuta corretta.

Quanto alle istanze istruttorie, il Tribunale dichiarava la inammissibilità della querela di falso proposta dall’appellante, sia perchè proposta tardivamente solo unitamente alla comparsa conclusionale, sia perché la discrasia censurata non risultava assoggettabile a querela di falso, ma alle normali regole probatorie.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso G.A. O. sulla base di sette motivi, illustrati da memoria; resiste, con controricorso, la Carrozzeria Zanon Antonio.

Motivi della decisione
Deve preliminarmente dichiararsi la irricevibilità dei documenti allegati alla memoria ex art. 378 cod. proc. civ., trattandosi di documenti diversi da quelli dei quali, ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., è consentita la produzione nel giudizio di legittimità.

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 139, 140 e 143 cod. proc. civ.. Premesso di non essersi mai trasferito dalla propria residenza, in Via (OMISSIS) in (OMISSIS), ove era stata tentata la notifica, il ricorrente sostiene la insussistenza dei presupposti perchè l’ufficiale giudiziario potesse procedere ad una notificazione ex art. 143 cod. proc. civ., anzichè ex art. 140 c.p.c., peraltro senza assumere alcuna attendibile informazione, senza essere in possesso del certificato anagrafico del destinatario e senza avere ricevuto una richiesta in tal senso da parte del richiedente la notificazione. Infatti, non poteva ritenersi che la dichiarazione riferita al Sig. G. costituisse rifiuto della ricezione dell’atto nè impossibilità di reperire altrove il destinatario, che aveva comunque diritto a ricevere la comunicazione del deposito nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c., e non in quelle dell’art. 143 c.p.c.. Nel primo caso, l’ufficiale giudiziario avrebbe avuto l’onere di consegnare copia dell’ingiunzione al soggetto rinvenuto in loco dandone rituale notizia al destinatario mediante lettera raccomandata A.R.; nel secondo caso, invece, l’ufficiale giudiziario avrebbe dovuto accertare, anche tramite soggetti estranei, l’effettivo luogo di residenza del destinatario, usando la normale diligenza prevista dalla legge e il comune buon senso. Del resto, l’asserita non conoscenza, da parte del soggetto rinvenuto in loco, qualificato come padre del destinatario, non poteva costituire in alcun modo impossibilità assoluta di reperire il destinatario dell’atto.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 650 cod. proc. civ., in quanto sussistevano i presupposti per poter ritenere ammissibile l’opposizione tardiva, vertendosi in ipotesi di notifica nulla, inefficace e giuridicamente inesistente. Quand’anche poi si volesse ritenere regolare la notificazione, si verterebbe comunque nell’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, non essendo certamente imputabili ad esso ricorrente le mendaci dichiarazioni assertivamente raccolte o, più probabilmente, inventate di sana pianta dall’ufficiale giudiziario. Del resto, conclude il ricorrente, l’irregolarità della notifica di cui all’art. 650 cod. proc. civ., va intesa in senso ampio, come una violazione delle norme che regolano le notificazioni, anche se non produttiva della nullità della stessa.

Con il terzo motivo il G. deduce la nullità della sentenza ex artt. 50 quater, 158, 161 cod. proc. civ., per invalida costituzione del Giudice unico e omesso intervento del P.M., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4. Il Giudice monocratico non avrebbe dovuto decidere sull’ammissibilità o meno della querela di falso, trattandosi di causa devoluta alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale ex artt. 50 bis cod. proc. civ. e art. 48 c.p.c., comma 2, ordinamento giudiziario. Anche la inammissibilità della querela, quindi avrebbe dovuto essere pronunciata dal collegio, anche in applicazione dell’art. 281 nonies cod. proc. civ.. Il G.U. aveva l’obbligo di rimettere la causa al collegio provvedendo ai sensi degli artt. 187, 188 e 189. Inoltre, osserva il ricorrente, non è stata fatta alcuna comunicazione al P.M. onde consentirgli di conoscere la causa e di svolgere le proprie autonome determinazioni.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 221 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5. La censura si riferisce alla statuizione della sentenza impugnata in ordine alla tardività della querela di falso, proposta dopo che il Giudice aveva disatteso le istanze istruttorie volte a provare l’irregolarità della notificazione e la falsità delle attestazioni riguardanti le attività assertivamente compiute dall’ufficiale giudiziario. Il Giudice contraddittoriamente avrebbe, da un lato, evidenziato la correttezza della soluzione di ritenere possibile provare per testi le falsità relative alle circostanze apprese dall’ufficiale giudiziario, e, dall’altro, sostenuto che la discrasia censurata non sarebbe assoggettatile a querela di falso, ma alle normali regole probatorie. Errata sarebbe poi la statuizione di tardività, posto che la querela di falso può essere proposta in qualsiasi stato e grado del giudizio, finchè la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato.

Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia la violazione delle norme in materia di ammissibilità dei mezzi di prova, omesso esame delle risultanze documentali e contraddittoria e/o erronea valutazione delle prove, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5. In sostanza il ricorrente si duole della violazione del suo diritto alla prova.

Con il sesto motivo, il G. lamenta omessa e/o carente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 4 e 5. La sentenza impugnata troverebbe fondamento sull’erronea supposizione di fatti e circostanze la cui verità è incontrastabilmente esclusa dalle risultanze probatorie, e cioè sul fatto che esso ricorrente sarebbe stato irreperibile presso la propria residenza, perchè trasferito in luogo ignoto, e che sarebbe stato debitore delle somme vantate dalla parte intimante. Su tali circostanze difetterebbe la motivazione.

Con il settimo motivo, il G. deduce “falsità della relata, ovvero inutilizzabilità, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4”. La sentenza è stata emessa sulla base di una notificazione giuridicamente inesistente, la cui nullità e falsità ideologica risulta dalle indagini svolte in sede penale.

Da ultimo, il G. propone, sottoscrivendo il ricorso per Cassazione, querela di falso in ordine alla relazione di notifica del decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, in merito alle attività assertivamente compiute dall’ufficiale giudiziario presso l’abitazione di Via (OMISSIS) in (OMISSIS), e alle pretese dichiarazioni dallo stesso attribuite a tale sig. G., circa la irreperibilità e il non meglio precisato trasferimento di residenza da parte di esso ricorrente.

Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

La questione centrale del presente giudizio, pur nella varietà delle prospettazioni svolte dal ricorrente nei numerosi motivi di ricorso, è quella della ritualità o meno della notificazione del decreto ingiuntivo, avverso il quale il ricorrente ha proposto opposizione tardiva.

La sentenza impugnata ha ritenuto detta notifica rituale, rilevando come l’Ufficiale giudiziario abbia, con la necessaria diligenza, proceduto ad accertare che, nel luogo ove il destinatario della notificazione risultava residente, lo stesso non era reperibile e ad escludere altresì che potesse essere conosciuto il luogo della nuova residenza. La ritualità di tale notificazione è stata desunta dal rilievo che l’ufficiale giudiziario rinvenne presso la residenza anagrafica del ricorrente una persona che, qualificandosi come padre di quest’ultimo, riferì che il ricorrente stesso si era da tempo trasferito e che egli ignorava ove reperirlo. Una simile circostanza è stata contrastata dal ricorrente, il quale non solo ha dedotto di essere sempre stato residente nel luogo ove era stata effettuata la notificazione, ma ha altresì escluso che la persona che ha reso all’ufficiale giudiziario la dichiarazione riportata nella relata di notifica fosse il proprio padre.

In relazione a tale situazione, occorre rilevare che correttamente il Tribunale di Bassano del Grappa ha escluso che fosse ammissibile la proposta querela di falso, e ciò, prima ancora che per la tardività della deduzione istruttoria, per la non esperibilità di detto rimedio con riferimento al contenuto delle dichiarazioni che il pubblico ufficiale riferisce essergli state fatte da terzi. Nella giurisprudenza di questa Corte è saldo il principio secondo cui l’efficacia probatoria che l’art. 2700 cod. civ., riconosce all’atto pubblico (che fa prova piena, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che questi dichiari avvenuti in sua presenza), non si estende al contenuto sostanziale delle dichiarazioni rese dalle parti; e perciò detta fede privilegiata non si estende al contenuto sostanziale e, in tema di notifica di atti giudiziari, alla veridicità delle dichiarazioni rese dal consegnatario dell’atto circa le qualità o le condizioni personali del destinatario della notifica, quali appunto la situazione di convivenza, quando questa non è frutto di indagini o accertamenti compiuti dall’ufficiale giudiziario. In tale ipotesi è perciò ammessa la prova contraria da parte dell’interessato, senza necessità di ricorrere alla querela di falso al fine di dimostrare che la predetta situazione non ha corrispondenza con la realtà (Cass., S.U., n. 6635 del 1993). Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento a dichiarazioni, quali quelle riportate nella relata di notifica, ricevute dall’ufficiale giudiziario e tali da indurlo, proprio a causa del loro contenuto, a concludere la propria attività notificatoria con una relata negativa.

Correttamente, dunque, il Tribunale di Bassano del Grappa ha escluso l’ammissibilità della proposta querela di falso sulla base del rilievo che le circostanze riferite all’ufficiale giudiziario erano suscettibili di prova contraria. E tuttavia, il Giudice d’appello non ha ammesso le prove che il ricorrente aveva dedotto al fine di dimostrare la non veridicità delle dichiarazioni fatte da un terzo all’ufficiale giudiziario, da questi riferite nella relata di notifica e ritenute idonee a giustificare la notificazione nelle forme dell’art. 143 cod. proc. civ.. La valutazione di irrilevanza delle dedotte istanze istruttorie, peraltro, è stata dal Giudice del merito rapportata alla prova della inadeguatezza delle ricerche effettuate dall’Ufficiale giudiziario, laddove oggetto della prova era la situazione sostanziale riferibile all’essere o no il ricorrente reperibile all’indirizzo ove l’ufficiale giudiziario ha eseguito la notificazione e, in particolare, all’essere o no il soggetto rinvenuto sul posto dall’ufficiale giudiziario il padre del ricorrente. In relazione a tali circostanze, dunque, le istanze istruttorie formulate dal ricorrente si appalesano decisive, sicchè la sentenza impugnata è sul punto (censurato, in particolare, con il quinto motivo di ricorso) viziata e se ne impone la cassazione.

L’accertamento che dovrà essere effettuato dal Giudice di rinvio sul punto consente di ritenere assorbite le questioni ulteriori proposte dal ricorrente in riferimento alla regolarità della notificazione del decreto ingiuntivo oggetto dell’opposizione tardiva (primo e secondo motivo), mentre la già rilevata inammissibilità della querela di falso comporta la reiezione dei motivi con i quali il ricorrente si duole sia della mancata ammissione di detto mezzo in sede di appello (quarto motivo), sia in questa sede di legittimità, dovendosi comunque rilevare che la proposta querela non sarebbe comunque (ammissibile sui limiti all’ammissibilità della querela di falso nel giudizio di cassazione, v., ex plurimis, Cass., n. 21657 del 2006, secondo cui la querela di falso è “proponibile nel giudizio di Cassazione soltanto nei limiti degli atti del relativo procedimento (ricorso, controricorso o documenti producibili à sensi dell’art. 372 c.p.c.), ma non può riguardare documenti in forza dei quali il Giudice di merito abbia pronunciato la decisione impugnata”).

Privo di pregio risulta altresì il terzo motivo, concernente la nullità della sentenza impugnata perchè sulla proposta querela di falso avrebbe dovuto pronunciarsi il Tribunale in composizione collegiale, stante la obbligatoria partecipazione del Pubblico Ministero al giudizio di falso, è sufficiente rilevare che le regole procedurali delle quali il ricorrente denuncia la violazione attengono al giudizio sul merito della proposta querela e non anche alla preliminare delibazione da parte del Giudice del procedimento principale nel caso in cui la querela di falso venga proposta in via incidentale.

In conclusione, il ricorso va accolto nei limiti ora indicati e la sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata, con rinvio al Tribunale di Bassano del Grappa, in persona di diverso magistrato, il quale procederà a nuovo esame delle istanze istruttorie formulate dal ricorrente, di cui ai punti 1, 2 e 3 dell’atto di citazione e della memoria depositata in data 11 settembre 2001. Al Giudice del rinvio è demandato altresì il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Bassano del Grappa in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2007


Trasmissione informatica dei documenti

D. Lgs. 7.3.2005 n. 82
Art. 45.
Valore giuridico della trasmissione

1. I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, ivi compreso il fax, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale.

2. Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore.

Art. 76.

Entrata in vigore del codice

1. Le disposizioni del presente codice entrano in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2006.


Riunione dei Messi comunali della Provincia di Catania

Riunione dei Messi comunali della Provincia di Catania
I Messi Comunali della Provincia di Catania, con il patrocinio del Comune di Valverde, si incontrano il 22 giugno a Valverde.
L’iniziativa voluta dai colleghi di Valverde e Capo d’Orlando ha come obbiettivo principale quello di sensibilizzare tutti i colleghi della provincia catanese e oltre ad una piena consapevolezza del proprio ruolo e nello stesso tempo quello di far conoscere l’Associazione.
L’incontro si svolgerà a Valverde presso la sala ricevimenti Casalrosato.


Effettività della notifica

La Suprema Corte con la sentenza Sentenza 15 marzo 2006 n. 5789 affronta il tema della prova dell’avvenuta notifica di un atto o di un documento che, nel caso specifico, consiste in un verbale di accertamento di infrazione delle disposizioni del codice della strada.
Il principio dell’onere della prova e quello dispositivo impongono, ovviamente, alla parte attrice di un processo di provare i fatti che costituiscono il fondamento della propria richiesta.
Nel caso di specie si doveva provare anche la conoscibilità del relativo provvedimento sanzionatorio della P.A.. Infatti, in mancanza di una tale rituale comunicazione, la potestà di riscossione coattiva da parte della P.A. viene meno.
Il Comune costituitosi in giudizio quale controparte, a supporto delle proprie richieste, ha fornito quale elemento probatorio dell’avvenuta notifica, una mera annotazione di eseguita notifica sul registro detenuto dalla P.A., riportante la data, ma senza indicazioni del contenuto dell’atto notificato.
La Cassazione ha deciso per l’accoglimento del ricorso dell’automobilista sulla base del ragionamento che vuole assolutamente distinti e separati gli atti di annotazione di avvenuta notifica (atto interno alla P.A.) e la notifica vera e propria del verbale di accertamento, unico atto con efficacia probatoria.
Ecco che allora si statuisce in tal senso sul fondamento che l’annotazione in un registro, sia pure di una P.A., di una eseguita notifica, senza indicazione dell’atto notificato, integra un elemento privo anche di valore indiziario e comunque del tutto inidoneo a fornire la prova che un determinato atto sia stato effettivamente notificato al destinatario, prova nella specie necessaria al fine di potere superare la contestazione sollevata dal ricorrente.


Cons. Stato, Sez. IV, Sent., (data ud. 17-04-2007) 11/05/2007, n. 2325

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
(SEZIONE QUARTA)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso iscritto al NRG 3258\2005, proposto dal comune di Pianezze in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Orsoni e Mario Sanino ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, viale Parioli n. 180;

contro

I.H. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Piva e Luigi Manzi, domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5;

e nei confronti di

O.M., non costituita.

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, sezione II, n. 3762 del 25 ottobre 2004;

Visto il ricorso in appello;

visto l’atto di costituzione in giudizio e contestuale appello incidentale della I.H. s.r.l. (in prosieguo società I.);

viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

visti gli atti tutti della causa;

data per letta alla pubblica udienza del 17 aprile 2007 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati come da verbale di udienza;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. La società I. ha presentato domanda di permesso di costruire al comune di Pianezze in data 15 gennaio 2004.

A seguito di una lunga istruttoria, nel corso della quale venivano acquisiti tutti gli avvisi favorevoli, il responsabile del servizio tecnico comunale, dopo aver espresso la determinazione di rilasciare il permesso, liquidava il contributo di costruzione (cfr. nota 27 ottobre 2004, priva di numero di protocollo, comunicata in pari data a mani del titolare della società, come risulta dalla dicitura apposta a mano alla sommità del documento, e sottoscritta, in calce, con firma autografa dal responsabile del servizio apposta sotto la dicitura a stampa IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO Geometra A.M.).

1.1. In pari data veniva rilasciato permesso di costruire n. 2004/04 comunicato personalmente al titolare della società in data 6 maggio 2004 (tale comunicazione era attestata in calce al permesso di costruire, in un unico contesto documentale); il 5 maggio 2004 la società provvedeva al pagamento del contributo di costruzione.

1.2. Con delibera del Consiglio comunale – n. 16 del 28 aprile 2004 – veniva adottata la variante n. 23 al p.r.g., in forza della quale veniva drasticamente abbattuta la volumetria edificabile nella zona oggetto dell’intervento costruttivo assentito con il menzionato permesso.

Con determinazione del direttore generale del comune di Pianezze datata 4 giugno 2004, il permesso di costruire – identificato al n. 2004/04 del 6 maggio 2004 – veniva annullato nel presupposto esclusivo della sua posteriorità rispetto alla delibera di adozione della variante e dunque perché emesso in spregio della norma sancita dall’art. 12, comma 3, t.u. edilizia, che vieta il rilascio di titoli edilizi in contrasto con gli strumenti urbanistici in itinere (nel caso di specie il contrasto era con l’art. 32 delle n.t.a. della variante).

1.3. Avverso tale atto e la deliberazione consiliare recante l’adozione della variante insorgeva la società I., deducendo tre autonomi motivi, il primo dei quali imperniato sul travisamento dei fatti in cui era incorso il comune, che non si era avveduto che alla data del 28 aprile 2004 il permesso di costruire oggetto di annullamento in sede di autotutela, era stato già rilasciato.

2. L’impugnata sentenza – T.a.r. del Veneto, sezione II, n. 3762 del 25 ottobre 2004 -:

a) ha riconosciuto la fondatezza del primo motivo dopo aver dato atto che il permesso di costruire era stato rilasciato in data 27 aprile 2004;

b) ha annullato il solo atto di autotutela;

c) ha compensato integralmente fra le parti le spese di lite.

3. Con ricorso notificato il 14 aprile 2005, e depositato il successivo 21 aprile, il comune di Pianezze ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.A.R. deducendo:

a) violazione dell’art. 12 t.u. edilizia, degli artt. 29 e 30, l.r. n. 11 del 2004, erronea interpretazione dei fatti di causa, eccesso di potere, difetto di presupposto, contraddittorietà;

b) violazione dell’art. 42, r.d. n. 642 del 1907, il giudice di prime cure avrebbe dovuto sospendere il processo onde consentire la proposizione della querela di falso avverso la nota di determinazione dei contributi di costruzione;

c) tardività delle censure proposte avverso la variante urbanistica n. 23 comunicata personalmente alla società Ittierre con nota del 13 maggio 2004.

4. Si costituiva l’intimata società deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto e insistendo, mediante appello incidentale, per la condanna del comune al risarcimento di tutti i danni subiti quantificati in euro 500.000, nonché alla condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.

5. Con memoria conclusionale del 5 aprile 2007 la società I. ha ridotto la pretesa risarcitorie a 160.000 euro.

Con memoria conclusionale del 4 aprile 2007 il comune di Pianezze ha insistito, fra l’altro, per la sospensione del presente giudizio onde consentire la proposizione della querela di falso.

6. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 17 aprile 2007.

7. L’appello principale è infondato e deve essere respinto.

7.1. Il primo motivo è incentrato, nella sostanza, sulla errata individuazione della data di adozione del permesso di costruire; rileva il comune, in particolare, che nella copia del permesso versata nel proprio fascicolo di parte, mancherebbe la sottoscrizione autografa, a fianco dell’indicazione a stampa del nominativo del funzionario, e che la data del 27 marzo 2004 apposta in calce al permesso (sempre a stampa) sarebbe frutto di un errore materiale.

Il mezzo è infondato sia in fatto che in diritto.

7.1.1. E’ emerso dalla ricostruzione degli aspetti salienti della vicenda per cui è causa, che lo stesso giorno (27 aprile 2004) il responsabile del servizio tecnico comunale ha prima individuato l’ammontare dei contributi concessori e poi rilasciato il permesso di costruire debitamente numerato secondo la serie progressiva.

Nella copia del permesso esibito dal comune, oltre alla stampigliatura (con mezzi chiaramente informatici), della data e dell’indicazione del nominativo del funzionario responsabile, sotto la dicitura “IL RESPONSABILE DEL SERVIZIO TECNICO”, è apposto anche un timbro a secco rotondo del comune di Pianezze.

Nella copia del permesso di costruire esibita dalla società I. (produzione n. 3 del fascicolo T.a.r.), sotto la indicazione a stampa del nominativo del funzionario responsabile è apposta anche la sottoscrizione autografa.

7.1.2. Ma la tesi sostenuta dal comune è errata anche in diritto.

Dopo l’entrata in vigore dell’art. 6 quater d.l. n. 6 del 1991, conv., con modif., nella l. 15 marzo 1991 n. 80 (con riguardo agli atti degli enti locali), e dell’art. 3 d.leg. 12 febbraio 1993 n. 39 (con riguardo agli atti di qualsiasi p.a.), l’autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza o validità giuridica degli atti amministrativi, allorquando, come nel caso di specie, i dati esplicitati nel contesto documentativo dell’atto consentano di accertare la sicura attribuibilità dello stesso a chi deve esserne l’autore; in questi casi, infatti, secondo le su indicate norme, nel caso di emanazione di atti amministrativi attraverso sistemi informatici e telematici, la firma autografa è sostituita dall’indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile (cfr. Cass. sez. I, 14 settembre 2005, n. 18218; 31 maggio 2005, n. 11499; Cons. Stato, sez. IV, 22 aprile 2004, n. 1856, ord.).

Quanto alle oggettive discrasie rilevabili per tabulas – nella specie la diversità dei caratteri di stampa dei permessi esibiti dalle parti, la presenza della sottoscrizione autografa nel solo permesso depositato dalla società, la presenza nel corpo del testo del permesso dell’attestazione dell’intervenuto pagamento dei contributi di costruzione in realtà avvenuto successivamente in data 5 maggio 2004 – alcune delle quali evidenziate dalla difesa comunale, il collegio osserva che trattasi di conseguenze di prassi amministrative invalse in molti enti pubblici, in forza delle quali del medesimo provvedimento vengono rilasciati più duplicati, sottoscritti solo nella versione consegnata al privato.

L’arbitrarietà di una siffatta prassi (e l’errore commesso nel corpo del permesso di costruire) può condurre a conseguenze diverse, sul piano giuridico, ma non consente di escludere, nel peculiare caso di specie, che la data di adozione del permesso di costruire sia identificabile nel 27 aprile 2004.

7.1.3. Nel sistema precedente il t.u., la misura di salvaguardia era riferita all’istanza di rilascio del permesso; pertanto, non poteva operare laddove il titolo fosse stato già rilasciato al momento dell’adozione dello strumento urbanistico (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1993 del 1998) sia con provvedimento espresso che mediante la formazione del silenzio assenso; in ogni caso, una volta formatasi la determinazione positiva sull’istanza di concessione, il rilascio del documento formale era ritenuto atto dovuto da parte del comune (cfr. Cons. Stato sez. V, 21 maggio 1984, n. 376), né tantomeno il titolo edilizio avrebbe potuto considerarsi annullato per il solo fatto di essere in contrasto con la proposta di modificazione dello strumento urbanistico (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 luglio 1996, n. 847).

Attesa l’autonomia dei due procedimenti si era ritenuto che non solo la determinazione dell’onere potesse avvenire successivamente al rilascio del titolo ma, qualora tale determinazione fosse avvenuta al momento del rilascio, l’amministrazione avrebbe potuto effettuare i necessari conguagli dell’ammontare del contributo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 1996, n. 426).

Alcune delle acquisizioni della giurisprudenza formatasi antecedentemente al nuovo t.u. possono essere utilmente richiamate anche nell’esegesi della nuova disciplina edilizia.

Nel sistema del t.u. deve ritenersi che sia sempre necessario un atto formale conclusivo del procedimento adottato dal dirigente (o funzionario responsabile del servizio).

Si badi che il procedimento di rilascio del permesso di costruire e quello di determinazione dei contributi continuano ad avere natura distinta ed autonoma anche nel t.u., fermo restando che il contenuto minimo essenziale del permesso richiede, a differenza che in passato, la determinazione del contributo di costruzione, oltre che, per quanto di interesse ai fini della presente controversia, la proposta finale motivata del responsabile del procedimento, il parere della commissione edilizia (se imposto dal regolamento edilizio), i termini di inizio e conclusione dei lavori; ciò che non è essenziale è che il pagamento dei contributi preceda il rilascio; tale pagamento, infatti, di norma deve avvenire al momento del rilascio ma può anche essere rateizzato e, limitatamente alla quota corrispondente al costo di costruzione, può intervenire in corso d’opera.

Nel caso di specie, il permesso rilasciato alla società I. in data 27 aprile 2004 era munito di tutti i requisiti essenziali non dovendosi ritenere tale l’antecedente pagamento del contributo di costruzione intervenuto nel periodo intercorrente fra il rilascio del titolo e la sua comunicazione (il 6 maggio 2004) da parte del responsabile del servizio tecnico nella qualità di messo comunale. Cadono così le ulteriori argomentazioni difensive sviluppate dalla difesa del Comune di Pianezze.

7.2. Miglior sorte non tocca al secondo motivo.

7.2.1 Ai sensi dell’art. 41, r.d. n. 642 del 1907 cit., la domanda di prefissione di un termine per la proposizione della querela di falso può trovare accoglimento solo allorché si riconosca che la pretesa falsità di documenti si presenta influente e rilevante ai fini del giudizio, non potendo la controversia essere decisa indipendentemente dai documenti in questione.

In ogni caso:

– l’istanza deve essere corredata da adeguati indizi e congruamente motivata ex art. 221 c.p.c. (cfr. Cons. Stato 3 maggio 2000, n. 2622);

– la sospensione del processo può essere concessa se non emergono elementi tali da far escludere con certezza che le circostanze addotte possano essere fondate (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2001, n. 1707; 27 marzo 2000, n. 1751).

7.2.2. Nel caso di specie non ricorrono le condizioni dianzi evidenziate.

Il termine richiesto per la querela di falso al T.a.r. concerneva un atto irrilevante ai fini del presente giudizio (la determinazione del contributo di costruzione), giacché l’accoglimento dell’originario ricorso si fonda correttamente sulla presenza di un formale permesso di costruire antecedente all’adozione della variante.

In secondo luogo, è dirimente la circostanza che il responsabile del servizio tecnico, indagato per i reati di abuso d’ufficio e falsità ideologica per aver retrodatato il permesso di costruire in questione, sia stato prosciolto allo stato da ogni addebito su richiesta del P.M. (del 21 gennaio 1006), con decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Bassano del Grappa (del 1 marzo 2006), stante l’inidoneità degli elementi acquisiti nel corso dell’indagine a sostenere l’accusa in giudizio.

Infine, è appena il caso di notare che il comune potrà autonomamente proporre querela di falso in un separato giudizio.

Coerentemente con quanto fin qui esposto, deve essere respinta la richiesta di sospensione del presente giudizio formulata nelle conclusioni dell’atto di appello e ribadita in memoria conclusionale.

Cadono così le ulteriori argomentazioni difensive sviluppate dalla difesa del comune di Pianezze nell’atto di appello e nella memoria conclusionale.

7.3. Quanto al terzo motivo la sezione ne rileva la palese inammissibilità per carenza di interesse all’appello non essendosi verificata soccombenza relativamente alla domanda di annullamento dell’atto di adozione della variante.

Esattamente il primo giudice, infatti, si è limitato ad annullare il solo provvedimento di autotutela ritenendo tale statuizione integralmente satisfattiva del bene della vita cui aspirava il privato.

8. Può scendersi all’esame della domanda di risarcimento del danno contenuta nell’appello incidentale.

La domanda è sia inammissibile che infondata e và respinta nella sua globalità.

La domanda risarcitoria è inammissibile perché è stata effettivamente proposta per la prima volta solo in grado di appello in violazione del divieto sancito dall’art. 345, comma 1, c.p.c.

Dall’esame analitico del ricorso di primo grado emerge che la quantificazione dei danni operata in quella sede e pari ad euro 1.210.030 (pagine da 16 a 18) aveva come finalità esclusiva quella di sostenere la domanda cautelare.

Nelle sole richieste conclusive (pagina 18) la società instava per la condanna del comune al risarcimento del danno; ma questa formula deve intendersi come richiesta alternativa alla concessione della misura cautelare.

Esattamente il T.a.r., avendo definito l’incidente cautelare con sentenza in forma semplificata a meno di due mesi dalla notificazione del ricorso di primo grado, non ha preso in considerazione la domanda risarcitoria proposta in via alternativa dalla società Ittierre.

In ogni caso la domanda di risarcimento è infondata anche nel merito, mancando la prova della sussistenza dei lamentati danni.

In particolare:

a) come evidenziato in precedenza, fra la data di emanazione del provvedimento di autotutela oggetto del presente giudizio e quella di annullamento giurisdizionale sono trascorsi solo tre mesi;

b) l’interevento costruttivo è stato iniziato e concluso nel pieno rispetto dei termini indicati dal permesso di costruire;

c) la società lamenta la minaccia di risoluzione di alcuni contratti ma non fornisce la prova dell’avvenuta risoluzione;

d) difetta la prova che il mancato inizio dei lavori, nel periodo immediatamente successivo alla pubblicazione dell’impugnata sentenza, sia attribuibile a condizionamenti negativi discendenti dal provvedimento annullato anziché a scelte imprenditoriali; lo stesso è a dire per la stipula di un nuovo contratto di appalto a condizioni asseritamene deteriori rispetto a quello concluso antecedentemente (in data 11 maggio 2004), specie alla luce delle clausole contenute in quest’ultimo contratto (in particolare artt. 6 e 15) che sancivano il pagamento dell’acconto e dell’ulteriore corrispettivo solo dopo l’inizio dei lavori ed in base allo stato di avanzamento;

e) manca la prova del nesso causale fra la riduzione del fido concesso dalle banche e l’adozione del provvedimento di autotutela nonché fra quest’ultimo ed il ricorso all’autofinanziamento da parte dei soci.

8.1. Parimenti infondata è la domanda di risarcimento del danno per lite temeraria non ravvisando il collegio, nel contegno preprocessuale e processuale del comune, vagliato alla luce delle particolarità evidenziate in precedenza, gli estremi della malafede e della colpa grave, presupposti indispensabili della fattispecie illecita delineata dall’art. 96 c.p.c.

9. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni devono essere rigettati sia l’appello principale che quello incidentale.

Nella reciproca soccombenza delle parti il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le stesse le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:

– respinge l’appello principale proposto dal comune di Pianezze e quello incidentale proposto dalla I.H. s.r.l. e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;

– dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 aprile 2007, con la partecipazione di:

Paolo Salvatore – Presidente

Luigi Maruotti – Consigliere

Pierluigi Lodi – Consigliere

Antonino Anastasi – Consigliere

Vito Poli Rel. Estensore – Consigliere


Domicilio fiscale delle società: fa fede l’indirizzo contenuto nella denuncia dei redditi

La Corte di Cassazione con Sentenza 20 aprile 2007, n. 9393, ha fornito chiarimenti in merito alla notifica della cartella di pagamento nel caso in cui una società abbia trasferito la propria sede legale.

Nel caso in esame, la Suprema Corte ha precisato, richiamando l’art. 60, D.P.R. n. 600/1973, che il luogo corretto cui va notificato l’avviso di pagamento va desunto dalla dichiarazione annuale, se successiva alla eventuale comunicazione di variazione dell’indirizzo della sede legale o amministrativa fatta dalla società.

L’indicazione in dichiarazione di un recapito diverso da quello precedentemente dichiarato con l’apposita comunicazione, deve infatti essere interpretato come una nuova rettifica del domicilio.


Commissione tributaria provinciale Lucca, sez. IV, 20-04-2007, n. 176

Sentenza Commissione tributaria provinciale Lucca, sez. IV, 20-04-2007, n. 176 – Pres. Di Bugno A. – Rel. Pizzi E.

[Notificazione al liquidatore di società]

Avviso di accertamento. Notificazione. Liquidatore della società successivamente cancellata dal registro delle imprese. Responsabilità nel contenzioso sorto successivamente all’estinzione della società. Esclusione.
Notifica dell’avviso di accertamento. Inefficacia.

Ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c., nella nuova formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 6/2003 (riforma del diritto societario), la cancellazione della società dal registro delle imprese segna la fine della società anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo, ovvero la cancellazione della società è condizione, non solo necessaria, ma anche
sufficiente per l’estinzione. Ne consegue che i creditori insoddisfatti, essendo definitivamente estinta la società, potranno agire solo nei confronti dei soci e/o del liquidatore, che risponderà dei mancati pagamenti ove ne risulta acclarata la responsabilità.

Nel caso, come quello deciso, in cui il liquidatore abbia proceduto agli adempimenti delegatigli dai soci in tempo anteriore al sorgere del contenzioso tributario, nessuna responsabilità può essergli addebitata e nessun avviso di accertamento notificatogli può avere effetto in quanto solo destinatario del provvedimento nella qualità di rappresentante della società.

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate ha provveduto alla notifica degli avvisi di accertamento in epigrafe alla società P. a r.L nella persona del liquidatore. Questi ha proposto ricorso ed ha eccepito di essere venuto a conoscenza dell’acquisizione della documentazione fiscale della società solo con la notifica degli avvisi ricordati, di aver proceduto alla liquidazione ed alla cancellazione della società non sussistendo altre partite in sospeso e conseguentemente di aver operato legittimamente.

L’Ufficio nella memoria di costituzione, ha contestato i motivi del ricorso evidenziando la fondatezza degli accertamenti.

La Commissione, svoltasi la discussione in pubblica udienza, ha emesso la decisione.

Osserva

E’ necessario, preliminarmente, evidenziare che la società P. a r.L è stata posta in liquidazione l’11.12.2003 e successivamente cancellata dal registro delle imprese con la conseguente estinzione della stessa. Gli avvisi di accertamento sono stati notificati solo nel 2005 senza che il liquidatore avesse notizia della acquisizione di documenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

La riforma del diritto societario e la nuova formulazione dell’art. 2495, 2° co, cc (dlgs 6/2003) consente di esaminare la controversia sotto un profilo diverso. Infatti, come da recente giurisprudenza di merito, il perentorio incipit del citato comma 2 “Ferma restando l’estinzione della società” evidenzia che l’adempimento della formalità pubblicitaria (cancellazione) segna la fine della società anche in presenza di crediti insoddisfatti e di rapporti di altro tipo ovvero la cancellazione della società è condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente per l’estinzione. Ne consegue che i creditori insoddisfatti – ex 2 comma cit. – potranno agire solo nei confronti dei soci e/o del liquidatore essendo definitivamente estinta la società. Il liquidatore risponderà dei mancati pagamenti ove ne risulti acclarata la responsabilità.

Nel caso di specie il liquidatore ha proceduto agli adempimenti delegatigli dai soci in tempo anteriore al sorgere del presente contenzioso senza che, all’epoca, sussistesse pendenza di alcun genere per cui alcuna responsabilità può essergli addebitata per non aver pagato quanto oggi richiesto (ove legittimamente fondato).

La società è estinta e alcuna azione può essere proposta nei confronti della stessa, mentre nei confronti del liquidatore, ancorché non ritenuto responsabile di alcuna violazione, l’accertamento così come notificato non può avere effetto in quanto solo destinatario del provvedimento nella qualità di rappresentante della società.

La Commissione, attesa la rilevanza della questione trattata, ritiene sussistano giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Commissione accoglie il ricorso. Spese compensate.


Pubblico impiego: niente infortunio in itinere se il dipendente non rispetta il codice della strada

Non può essere riconosciuta la dipendenza da causa di servizio delle lesioni riportate dal pubblico dipendente che, nel recarsi al luogo di lavoro con la propria autovettura, sia rimasto coinvolto in un incidente stradale, allorché risulti che quest’ultimo sia stato causato da un errore di guida inescusabile del dipendente stesso (nel caso di specie, l’interessato si era immesso su una strada senza fermarsi allo “stop”).
Consiglio di Stato, sezione VI, 20 marzo 2007, n. 1309


Nullità della notifica apposta sul frontespizio

Il mancato rispetto delle formalità indispensabili per il raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 c. 2 c.p.c. rende nulla la notifica e non comporta il prodursi dell’effetto giuridico ad esso conseguente.

La notifica della sentenza effettuata in maniera irrituale perché la relata, anziché essere apposta in calce all’atto, sarebbe stata annotata sul frontespizio, non offre garanzie che la consegna dell’atto sia avvenuta nella sua integralità, e di conseguenza non produce l’effetto giuridico ad esso conseguente (prescrizione ai fini dell’impugnazione), onde deve ritenersi nulla la notificazione così eseguita, ai sensi del novellato art. 156 c. 2 c.p.c., perché “l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”.
E’ quanto ha stabilito la quinta sezione civile della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6750 del 21 marzo 2007, accogliendo il ricorso di un contribuente il cui appello era stato dichiarato inammissibile dalla C.T.R. dell’Emilia Romagna, in quanto proposto oltre il termine breve d’impugnazione a seguito di notificazione della sentenza di primo grado. Infatti il contribuente, con un unico motivo, aveva sostenuto l’irrituale notifica della sentenza di primo grado perché la relata, anziché essere apposta in calce all’atto, era stata annotata sul frontespizio, deducendo di conseguenza di aver ricevuto notifica della sola prima facciata, e non anche della parte restante del documento.
Tali argomentazioni sono state ritenute fondate dalla Suprema Corte, così dichiarando nulla la notifica e gli effetti giuridici ad essa conseguenti, nella fattispecie il decorso del termine breve e la prescrizione del diritto all’impugativa, sulla scorta della disciplina di cui all’art. 148 c.p.c., con il quale il legislatore ha statuito che l’Ufficiale Giudiziario certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto, dunque ribadendo che proprio la regolare osservanza delle prescrizioni formali imposte dalla legge all’Ufficiale Giudiziario, in funzione del principio di recezione, è il fondamento degli effetti che scaturiscono dalla notifica, ed inoltre che la relazione – che la legge vuole sia apposta solo in calce alla copia dell’atto notificato e non in qualsiasi altra sede “topografica” del documento – ha la funzione garantistica di richiamare l’attenzione dell’Ufficiale Giudiziario alla regolare esecuzione dell’operazione di consegna della copia conforme all’originale dell’atto, confermando, quindi, quanto già espresso dalla stessa Corte con sentenza n. 15199/04, ovvero che l’eccezione di inammissibilità di un atto di impugnazione, proposta sotto il profilo dell’incompletezza della copia notificata per mancanza di alcuno dei fogli o delle pagine, deve respingersi solo qualora l’originale dell’atto depositato dall’impugante rechi in calce la relazione di notificazione redatta dall’Ufficiale Giudiziario, contenente l’attestazione dell’eseguita consegna della copia dell’atto, dovendosi ritenere, in difetto di querela di falso, che detta attestazione sia estesa alla conformità della copia consegnata all’originale completo.

Cassazione civile Sentenza, Sez. V, 21/03/2007, n. 6750


LA LEGGE FINANZIARIA 2007 NON IMPONE L’OBBLIGATORIETÀ DEI CORSI DI FORMAZIONE AI MESSI COMUNALI

LA LEGGE FINANZIARIA 2007  NON IMPONE L’OBBLIGATORIETÀ DEI CORSI DI FORMAZIONE PER I MESSI COMUNALI

La L. 27-12-2006 n. 296 (legge Finanziaria 2007) all’art. 1, commi 158, 159,160 prevede la possibilità da parte dei Comuni e delle Province di avvalersi di nuove figure, chiamati messi notificatori, per la notifica degli atti tributari locali. Tali figure sarebbero nominate dal Dirigente dell’ufficio competente.
Considerate le mansioni previste per tali figure, è previsto a carico dell’Ente, un corso di formazione con esame di idoneità.
Occorre qui ricordare che queste figure esercitano mansioni (Per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie) che già figurano tra quelle dei Messi comunali.

Pertanto, risulta quantomai NON RISPONDENTE AL VERO quanto affermato da alcune società di formazione che, per fini puramente speculativi, benché legittimi, sostengono la obbligatorietà dei corsi di formazione, ingenerando confusione nelle amministrazioni e una delegittimazione della figura del Messo comunale che, invece, non è stata affatto modificata nel suo ruolo e nelle sue mansioni dalle norme sopra richiamate.
Ferma restando l’importanza che la nostra Associazione attribuisce alla formazione per un corretto svolgimento del ruolo di notificatore e una valorizzazione della figura del Messo comunale, ribadiamo che non esiste alcun obbligo in capo alle Amministrazioni di fare formazione, direttamente o acquistando prodotti offerti sul mercato, se non quello previsto dalle norme contrattuali.
Pubblicheremo a breve le nostre osservazioni nel merito di tali disposizioni che lasciano alquanto perplessi sia sulla loro realizzazione che applicazione.


Cass. civ. Sez. V, (ud. 14-02-2007) 20-04-2007, n. 9393

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RIGGIO Ugo – Presidente

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. MARINUCCI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t. e AGENZIA DELLE ENTRATE,in persona del Direttore p.t., rapp.ti e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale elett.te domiciliano in Roma alla Via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

PASTIFICIO DI MARINI GIULIO & C. S.n.c., in persona del suo legale rapp.te p.t.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria della Toscana n. 64/25/00 pubblicata il 13/5/00;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 14/2/07 dal Consigliere relatore Dott. Giuseppe Napoletano;

Udita l’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CALIENDO Giacomo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
La società indicata in epigrafe impugnava dinanzi alla CTP di Pistoia la cartella di pagamento ILOR per l’anno 1988 per complessive L. 64.060.230, sostenendo che la notifica dell’avviso di accertamento effettuata il 30/12/96 ad essa società doveva considerarsi nulla perchè effettuata non al suo domicilio fiscale, in (OMISSIS) ma a quello, in (OMISSIS), della s.r.l. Pastificio Marini, soggetto diverso.

La CTP accoglieva il ricorso e la sentenza veniva confermata dalla CTR della Toscana sul rilevò fondante, per quello che in questa sede interessa, che dalla società appellata venne fatta comunicazione, il 27/1/89, all’Ufficio del nuovo domicilio fiscale in Via (OMISSIS) con conseguente irrilevanza del domicilio fiscale risultante dall’ultima dichiarazione.

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso per cassazione, sostenuto da un unico motivo con il quale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, premesso che in base alle norme denunciate le società devono comunicare all’Ufficio la variazione dell’indirizzo della loro sede legale o amministrativa e la variazione ai fini delle notificazioni ha effetto dal trentesimo giorno successivo alla comunicazione, sempre che tale variazione non risulti dalla dichiarazione annuale, nel qual caso essa ha effetto immediato, assumevano che essendo pacifico che la società contribuente in data 27/1/89 comunicò la variazione della sede da Via (OMISSIS) e che nella dichiarazione presentata in data 31/5/89 venne dichiarata la sede in Via (OMISSIS) correttamente la notifica dell’accertamento venne effettuata presso quest’ultimo indirizzo anche in considerazione della circostanza che comunque la sede indicata in dichiarazione ben poteva costituire nuova comunicazione e l’eventuale errore addotto dalla società al riguardo, non essendo riconoscibile dall’Amministrazione, non era ad essa opponibile.

Parte intimata non svolgeva attività difensiva,

Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.

Invero a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c., “Le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni,dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica o, per le persone giuridiche e le società ed enti privi di personalità giuridica, dal trentesimo giorno successivo a quello della ricezione da parte dell’ufficio della comunicazione prescritta nell’art. 36, comma 2. Se la comunicazione è stata omessa, la notificazione è eseguita validamente nel comune di domicilio fiscale risultante dall’ultima dichiarazione annuale”.

Dal che consegue, per un verso che la variazione dell’indirizzo può risultare anche dalla dichiarazione annuale, e dall’altro che la comunicazione della variazione di cui al comma 2 del precedente art. 36, il quale impone alla società di dare comunicazione all’ufficio delle imposte della variazione dell’indirizzo della loro sede legale o amministrativa, esplica la sua efficacia sino a quando non interviene una nuova variazione.

Nel caso di specie, invece, la CTR ha dato esclusivo rilievo alla comunicazione, effettuata il 27/1/89, di variazione dell’indirizzo senza valutare se questo, per effetto della successiva dichiarazione annuale, fosse nuovamente variato sì da coincidere con l’indirizzo presso il quale venne eseguita la notifica dell’avviso di accertamento.

Sulla base delle esposte considerazioni pertanto il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra CTR della Toscana,che procederà ad una nuova valutazione dei fatti alla stregua del principio sopra enunciato.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della CTR della Toscana.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2007


Firma digitale: quanto è sicura?

La firma digitale continua ad essere sicura anche se i matematici cinesi dell’università di Shandong hanno trovato il modo di “rompere” lo Sha-I, ovvero il codice che si usa nella crittografia. Se un documento a firma digitale potesse essere modificato prima di arrivare al destinatario senza che questi se ne accorga le conseguenze sarebbero disastrose, specie se si pensa che, in base all’art. 31 del codice sulla privacy, che fissa obblighi di sicurezza “in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnologico”, le responsabilità soggettive sarebbero anche penali.
Ma le cose non sono così semplici. La firma digitale si compone di due fasi: nella prima il documento digitale da firmare è compresso o dilatato secondo un preciso processo matematico (lo Sha-I appunto) in una sequenza fissa di 160 bit l’ “impronta”. Poi l’impronta è trasformata con un algoritmo (Rsa) in una sequenza di 1.024 bit, la “firma”. L’algoritmo opera con due chiavi differenti per firmatario, una per cifrare e una per decifrare. L’Rsa usa chiavi derivate da una coppia di numeri primi impiegati in modo complementare: per la cifratura la chiave privata è basata sui due numeri primi, mentre per la decifratura la chiave pubblica è basata sul loro prodotto.
La difficoltà per chi volesse violare il documento sta nel fatto che non è così facile scomporre il prodotto nei suoi due fattori, anche perché con le attuali tecniche di firma si usano numeri primi grandissimi, ognuno di 1.024 bit, pari a circa 330 cifre decimali. Non c’è altro modo di scomporre il numero se non per tentativi e il tempo per farlo, anche con i più potenti calcolatori, sarebbe superiore all’età dell’universo.
Il codice Sha-I è un processo che trasforma ogni documento in una sequenza di 160 bit. E’ impossibile risalire al documento che l’ha generato e al massimo, operando per tentativi, si ricaverebbe un documento con la stessa impronta ma che non ha nulla a che vedere con l’originale.
Allora cosa hanno fatto i matematici cinesi? Hanno trovato un metodo più intelligente di quello per tentativi. Ma in ultima analisi non cambia niente, perché continua ad essere impossibile recuperare il documento d’origine. Inoltre, anche se si riuscisse a rompere il codice Sha-I rimarrebbe comunque da decifrare l’Rsa.
Insomma la firma digitale continua ad essere sicura e inviolabile da ormai 10 anni e sembra che continuerà ad esserlo per ancora un bel po’ di tempo.

Fonte: biweb.it


Lavoro: le linee guida del Garante per posta elettronica e internet

Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10 marzo 2007

Registro delle deliberazioni
Del. n. 13 del 1° marzo 2007

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

In data odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vice presidente, del dott. Giuseppe Fortunato e del dott. Mauro Paissan, componenti, e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

Visti i reclami, le segnalazioni e i quesiti pervenuti riguardo ai trattamenti di dati personali effettuati da datori di lavoro riguardo all´uso, da parte di lavoratori, di strumenti informatici e telematici;

Vista la documentazione in atti;

Visti gli artt. 24 e 154, comma 1, lett. b) e c) del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196);

Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell´art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

Relatore il dott. Mauro Paissan;

PREMESSO

1. Utilizzo della posta elettronica e della rete Internet nel rapporto di lavoro

1.1. Premessa
Dall’esame di diversi reclami, segnalazioni e quesiti è emersa l´esigenza di prescrivere ai datori di lavoro alcune misure, necessarie o opportune, per conformare alle disposizioni vigenti il trattamento di dati personali effettuato per verificare il corretto utilizzo nel rapporto di lavoro della posta elettronica e della rete Internet.

Occorre muovere da alcune premesse:

a) compete ai datori di lavoro assicurare la funzionalità e il corretto impiego di tali mezzi da parte dei lavoratori, definendone le modalità d´uso nell´organizzazione dell´attività lavorativa, tenendo conto della disciplina in tema di diritti e relazioni sindacali;
b) spetta ad essi adottare idonee misure di sicurezza per assicurare la disponibilità e l´integrità di sistemi informativi e di dati, anche per prevenire utilizzi indebiti che possono essere fonte di responsabilità (artt. 15, 31 ss., 167 e 169 del Codice);
c) emerge l´esigenza di tutelare i lavoratori interessati anche perché l´utilizzazione dei predetti mezzi, già ampiamente diffusi nel contesto lavorativo, è destinata ad un rapido incremento in numerose attività svolte anche fuori della sede lavorativa;
d) l´utilizzo di Internet da parte dei lavoratori può infatti formare oggetto di analisi, profilazione e integrale ricostruzione mediante elaborazione di log file della navigazione web ottenuti, ad esempio, da un proxy server o da un altro strumento di registrazione delle informazioni. I servizi di posta elettronica sono parimenti suscettibili (anche attraverso la tenuta di log file di traffico e-mail e l´archiviazione di messaggi) di controlli che possono giungere fino alla conoscenza da parte del datore di lavoro (titolare del trattamento) del contenuto della corrispondenza;
e) le informazioni così trattate contengono dati personali anche sensibili riguardanti lavoratori o terzi, identificati o identificabili. (1)

1.2. Tutela del lavoratore
Le informazioni di carattere personale trattate possono riguardare, oltre all´attività lavorativa, la sfera personale e la vita privata di lavoratori e di terzi. La linea di confine tra questi ambiti, come affermato dalla Corte europea dei diritti dell´uomo, può essere tracciata a volte solo con difficoltà. (2)

Il luogo di lavoro è una formazione sociale nella quale va assicurata la tutela dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità degli interessati garantendo che, in una cornice di reciproci diritti e doveri, sia assicurata l´esplicazione della personalità del lavoratore e una ragionevole protezione della sua sfera di riservatezza nelle relazioni personali e professionali (artt. 2 e 41, secondo comma, Cost.; art. 2087 cod. civ.; cfr. altresì l´art. 2, comma 5, Codice dell´amministrazione digitale (d.lg. 7 marzo 2005, n. 82), riguardo al diritto ad ottenere che il trattamento dei dati effettuato mediante l´uso di tecnologie telematiche sia conformato al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell´interessato). (3)

Non a caso, nell’organizzare l´attività lavorativa e gli strumenti utilizzati, diversi datori di lavoro hanno prefigurato modalità d´uso che, tenendo conto del crescente lavoro in rete e di nuove tariffe di traffico forfettarie, assegnano aree di lavoro riservate per appunti strettamente personali, ovvero consentono usi moderati di strumenti per finalità private.

2. Codice in materia di protezione dei dati e discipline di settore

2.1. Principi generali
Nell’impartire le seguenti prescrizioni il Garante tiene conto del diritto alla protezione dei dati personali, della necessità che il trattamento sia disciplinato assicurando un elevato livello di tutela delle persone, nonché dei principi di semplificazione, armonizzazione ed efficacia (artt. 1 e 2 del Codice ). Le prescrizioni potranno essere aggiornate alla luce dell´esperienza e dell´innovazione tecnologica.

2.2. Discipline di settore
Alcune disposizioni di settore, fatte salve dal Codice, prevedono specifici divieti o limiti, come quelli posti dallo Statuto dei lavoratori sul controllo a distanza (artt. 113, 114 e 184, comma 3, del Codice; artt. 4 e 8 l. 20 maggio 1970, n. 300 ).

La disciplina di protezione dei dati va coordinata con regole di settore riguardanti il rapporto di lavoro e il connesso utilizzo di tecnologie, nelle quali è fatta salva o richiamata espressamente (art. 47, comma 3, lett. b) Codice dell´amministrazione digitale). (4)

2.3. Principi del Codice
I trattamenti devono rispettare le garanzie in materia di protezione dei dati e svolgersi nell´osservanza di alcuni cogenti principi:

a) il principio di necessità, secondo cui i sistemi informativi e i programmi informatici devono essere configurati riducendo al minimo l´utilizzazione di dati personali e di dati identificativi in relazione alle finalità perseguite (art. 3 del Codice; par. 5.2 );
b) il principio di correttezza, secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti devono essere rese note ai lavoratori (art. 11, comma 1, lett. a), del Codice). Le tecnologie dell´informazione (in modo più marcato rispetto ad apparecchiature tradizionali) permettono di svolgere trattamenti ulteriori rispetto a quelli connessi ordinariamente all´attività lavorativa. Ciò, all´insaputa o senza la piena consapevolezza dei lavoratori, considerate anche le potenziali applicazioni di regola non adeguatamente conosciute dagli interessati (v. par. 3 );
c) i trattamenti devono essere effettuati per finalità determinate, esplicite e legittime (art. 11, comma 1, lett. b), del Codice: par. 4 e 5), osservando il principio di pertinenza e non eccedenza (par. 6). Il datore di lavoro deve trattare i dati “nella misura meno invasiva possibile”; le attività di monitoraggio devono essere svolte solo da soggetti preposti (par. 8) ed essere “mirate sull´area di rischio, tenendo conto della normativa sulla protezione dei dati e, se pertinente, del principio di segretezza della corrispondenza” (Parere n. 8/2001, cit., punti 5 e 12 ).

3. Controlli e correttezza nel trattamento

3.1. Disciplina interna
In base al richiamato principio di correttezza, l´eventuale trattamento deve essere ispirato ad un canone di trasparenza, come prevede anche la disciplina di settore (art. 4, secondo comma, Statuto dei lavoratori;allegato VII, par. 3 d.lg. n. 626/1994 e successive integrazioni e modificazioni in materia di “uso di attrezzature munite di videoterminali”, il quale esclude la possibilità del controllo informatico “all´insaputa dei lavoratori”). (5)

Grava quindi sul datore di lavoro l´onere di indicare in ogni caso, chiaramente e in modo particolareggiato, quali siano le modalità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione ritenute corrette e se, in che misura e con quali modalità vengano effettuati controlli. Ciò, tenendo conto della pertinente disciplina applicabile in tema di informazione, concertazione e consultazione delle organizzazioni sindacali.

Per la predetta indicazione il datore ha a disposizione vari mezzi, a seconda del genere e della complessità delle attività svolte, e informando il personale con modalità diverse anche a seconda delle dimensioni della struttura, tenendo conto, ad esempio, di piccole realtà dove vi è una continua condivisione interpersonale di risorse informative.

3.2. Linee guida
In questo quadro, può risultare opportuno adottare un disciplinare interno redatto in modo chiaro e senza formule generiche, da pubblicizzare adeguatamente (verso i singoli lavoratori, nella rete interna, mediante affissioni sui luoghi di lavoro con modalità analoghe a quelle previste dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ecc.) e da sottoporre ad aggiornamento periodico.

A seconda dei casi andrebbe ad esempio specificato:

se determinati comportamenti non sono tollerati rispetto alla “navigazione” in Internet (ad es., il download di software o di file musicali), oppure alla tenuta di file nella rete interna;
in quale misura è consentito utilizzare anche per ragioni personali servizi di posta elettronica o di rete, anche solo da determinate postazioni di lavoro o caselle oppure ricorrendo a sistemi di webmail, indicandone le modalità e l´arco temporale di utilizzo (ad es., fuori dall’orario di lavoro o durante le pause, o consentendone un uso moderato anche nel tempo di lavoro);
quali informazioni sono memorizzate temporaneamente (ad es., le componenti di file di log eventualmente registrati) e chi (anche all’esterno) vi può accedere legittimamente;
se e quali informazioni sono eventualmente conservate per un periodo più lungo, in forma centralizzata o meno (anche per effetto di copie di back up, della gestione tecnica della rete o di file di log );
se, e in quale misura, il datore di lavoro si riserva di effettuare controlli in conformità alla legge, anche saltuari o occasionali, indicando le ragioni legittime –specifiche e non generiche– per cui verrebbero effettuati (anche per verifiche sulla funzionalità e sicurezza del sistema) e le relative modalità (precisando se, in caso di abusi singoli o reiterati, vengono inoltrati preventivi avvisi collettivi o individuali ed effettuati controlli nominativi o su singoli dispositivi e postazioni);
quali conseguenze, anche di tipo disciplinare, il datore di lavoro si riserva di trarre qualora constati che la posta elettronica e la rete Internet sono utilizzate indebitamente;
le soluzioni prefigurate per garantire, con la cooperazione del lavoratore, la continuità dell´attività lavorativa in caso di assenza del lavoratore stesso (specie se programmata), con particolare riferimento all´attivazione di sistemi di risposta automatica ai messaggi di posta elettronica ricevuti;
se sono utilizzabili modalità di uso personale di mezzi con pagamento o fatturazione a carico dell´interessato;
quali misure sono adottate per particolari realtà lavorative nelle quali debba essere rispettato l´eventuale segreto professionale cui siano tenute specifiche figure professionali;
le prescrizioni interne sulla sicurezza dei dati e dei sistemi (art. 34 del Codice, nonché Allegato B), in particolare regole 4, 9, 10 ).

3.3. Informativa (art. 13 del Codice)
All’onere del datore di lavoro di prefigurare e pubblicizzare una policy interna rispetto al corretto uso dei mezzi e agli eventuali controlli, si affianca il dovere di informare comunque gli interessati ai sensi dell´art. 13 del Codice, anche unitamente agli elementi indicati ai punti 3.1. e 3.2..

Rispetto a eventuali controlli gli interessati hanno infatti il diritto di essere informati preventivamente, e in modo chiaro, sui trattamenti di dati che possono riguardarli.

Le finalità da indicare possono essere connesse a specifiche esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro, quando comportano un trattamento lecito di dati (art. 4, secondo comma, l. n. 300/1970 ); possono anche riguardare l´esercizio di un diritto in sede giudiziaria.

Devono essere tra l´altro indicate le principali caratteristiche dei trattamenti, nonché il soggetto o l´unità organizzativa ai quali i lavoratori possono rivolgersi per esercitare i propri diritti.

4. Apparecchiature preordinate al controllo a distanza

Con riguardo al principio secondo cui occorre perseguire finalità determinate, esplicite e legittime (art. 11, comma 1, lett. b), del Codice), il datore di lavoro può riservarsi di controllare (direttamente o attraverso la propria struttura) l´effettivo adempimento della prestazione lavorativa e, se necessario, il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro (cfr. artt. 2086, 2087 e 2104 cod. civ. ).

Nell´esercizio di tale prerogativa occorre rispettare la libertà e la dignità dei lavoratori, in particolare per ciò che attiene al divieto di installare “apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell´attività dei lavoratori” (art. 4, primo comma, l. n. 300/1970), tra cui sono certamente comprese strumentazioni hardware e software mirate al controllo dell´utente di un sistema di comunicazione elettronica.

Il trattamento dei dati che ne consegue è illecito, a prescindere dall´illiceità dell´installazione stessa. Ciò, anche quando i singoli lavoratori ne siano consapevoli. (6)

In particolare non può ritenersi consentito il trattamento effettuato mediante sistemi hardware e software preordinati al controllo a distanza, grazie ai quali sia possibile ricostruire –a volte anche minuziosamente– l´attività di lavoratori. É il caso, ad esempio:

della lettura e della registrazione sistematica dei messaggi di posta elettronica ovvero dei relativi dati esteriori, al di là di quanto tecnicamente necessario per svolgere il servizio e-mail;
della riproduzione ed eventuale memorizzazione sistematica delle pagine web visualizzate dal lavoratore;
della lettura e della registrazione dei caratteri inseriti tramite la tastiera o analogo dispositivo;
dell´analisi occulta di computer portatili affidati in uso.
Il controllo a distanza vietato dalla legge riguarda l´attività lavorativa in senso stretto e altre condotte personali poste in essere nel luogo di lavoro. (7) A parte eventuali responsabilità civili e penali, i dati trattati illecitamente non sono utilizzabili (art. 11, comma 2, del Codice). (8)

5. Programmi che consentono controlli “indiretti”

5.1. Il datore di lavoro, utilizzando sistemi informativi per esigenze produttive o organizzative (ad es., per rilevare anomalie o per manutenzioni) o, comunque, quando gli stessi si rivelano necessari per la sicurezza sul lavoro, può avvalersi legittimamente, nel rispetto dello Statuto dei lavoratori (art. 4, comma 2), di sistemi che consentono indirettamente un controllo a distanza (c.d. controllo preterintenzionale) e determinano un trattamento di dati personali riferiti o riferibili ai lavoratori. (9) Ciò, anche in presenza di attività di controllo discontinue. (10)

Il trattamento di dati che ne consegue può risultare lecito. Resta ferma la necessità di rispettare le procedure di informazione e di consultazione di lavoratori e sindacati in relazione all´introduzione o alla modifica di sistemi automatizzati per la raccolta e l´utilizzazione dei dati (11), nonché in caso di introduzione o di modificazione di procedimenti tecnici destinati a controllare i movimenti o la produttività dei lavoratori. (12)

5.2. Principio di necessità
In applicazione del menzionato principio di necessità il datore di lavoro è chiamato a promuovere ogni opportuna misura, organizzativa e tecnologica volta a prevenire il rischio di utilizzi impropri (da preferire rispetto all´adozione di misure “repressive”) e, comunque, a “minimizzare” l´uso di dati riferibili ai lavoratori (artt. 3, 11, comma 1, lett. d) e 22, commi 3 e 5, del Codice; aut. gen. al trattamento dei dati sensibili n. 1/2005, punto 4).

Dal punto di vista organizzativo è quindi opportuno che:

si valuti attentamente l´impatto sui diritti dei lavoratori (prima dell´installazione di apparecchiature suscettibili di consentire il controllo a distanza e dell´eventuale trattamento);
si individui preventivamente (anche per tipologie) a quali lavoratori è accordato l´utilizzo della posta elettronica e l´accesso a Internet; (13)
si determini quale ubicazione è riservata alle postazioni di lavoro per ridurre il rischio di un loro impiego abusivo.
Il datore di lavoro ha inoltre l´onere di adottare tutte le misure tecnologiche volte a minimizzare l´uso di dati identificativi (c.d. privacy enhancing technologies–PETs ). Le misure possono essere differenziate a seconda della tecnologia impiegata (ad es., posta elettronica o navigazione in Internet).

a) Internet: la navigazione web
Il datore di lavoro, per ridurre il rischio di usi impropri della “navigazione” in Internet (consistenti in attività non correlate alla prestazione lavorativa quali la visione di siti non pertinenti, l´upload o il download di file, l´uso di servizi di rete con finalità ludiche o estranee all´attività), deve adottare opportune misure che possono, così, prevenire controlli successivi sul lavoratore. Tali controlli, leciti o meno a seconda dei casi, possono determinare il trattamento di informazioni personali, anche non pertinenti o idonei a rivelare convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, lo stato di salute o la vita sessuale (art. 8 l. n. 300/1970; artt. 26 e 113 del Codice; Provv. 2 febbraio 2006, cit. ).

In particolare, il datore di lavoro può adottare una o più delle seguenti misure opportune, tenendo conto delle peculiarità proprie di ciascuna organizzazione produttiva e dei diversi profili professionali:

individuazione di categorie di siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa;
configurazione di sistemi o utilizzo di filtri che prevengano determinate operazioni –reputate inconferenti con l´attività lavorativa– quali l´upload o l´accesso a determinati siti (inseriti in una sorta di black list) e/o il download di file o software aventi particolari caratteristiche (dimensionali o di tipologia di dato);
trattamento di dati in forma anonima o tale da precludere l´immediata identificazione di utenti mediante loro opportune aggregazioni (ad es., con riguardo ai file di log riferiti al traffico web, su base collettiva o per gruppi sufficientemente ampi di lavoratori);
eventuale conservazione nel tempo dei dati strettamente limitata al perseguimento di finalità organizzative, produttive e di sicurezza.
b) Posta elettronica
Il contenuto dei messaggi di posta elettronica –come pure i dati esteriori delle comunicazioni e i file allegati– riguardano forme di corrispondenza assistite da garanzie di segretezza tutelate anche costituzionalmente, la cui ratio risiede nel proteggere il nucleo essenziale della dignità umana e il pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali; un´ulteriore protezione deriva dalle norme penali a tutela dell´inviolabilità dei segreti (artt. 2 e 15 Cost.; Corte cost. 17 luglio 1998, n. 281 e 11 marzo 1993, n. 81; art. 616, quarto comma, c.p.; art. 49 Codice dell´amministrazione digitale). (14)

Tuttavia, con specifico riferimento all´impiego della posta elettronica nel contesto lavorativo e in ragione della veste esteriore attribuita all´indirizzo di posta elettronica nei singoli casi, può risultare dubbio se il lavoratore, in qualità di destinatario o mittente, utilizzi la posta elettronica operando quale espressione dell´organizzazione datoriale o ne faccia un uso personale pur operando in una struttura lavorativa.

La mancata esplicitazione di una policy al riguardo può determinare anche una legittima aspettativa del lavoratore, o di terzi, di confidenzialità rispetto ad alcune forme di comunicazione.

Tali incertezze si riverberano sulla qualificazione, in termini di liceità, del comportamento del datore di lavoro che intenda apprendere il contenuto di messaggi inviati all´indirizzo di posta elettronica usato dal lavoratore (posta “in entrata”) o di quelli inviati da quest´ultimo (posta “in uscita”).

É quindi particolarmente opportuno che si adottino accorgimenti anche per prevenire eventuali trattamenti in violazione dei principi di pertinenza e non eccedenza. Si tratta di soluzioni che possono risultare utili per contemperare le esigenze di ordinato svolgimento dell´attività lavorativa con la prevenzione di inutili intrusioni nella sfera personale dei lavoratori, nonché violazioni della disciplina sull´eventuale segretezza della corrispondenza.

In questo quadro è opportuno che:

il datore di lavoro renda disponibili indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori (ad esempio, info@ente.it, ufficiovendite@ente.it, ufficioreclami@società.com, urp@ente.it, etc.), eventualmente affiancandoli a quelli individuali (ad esempio, m.rossi@ente.it, rossi@società.com, mario.rossi@società.it);
il datore di lavoro valuti la possibilità di attribuire al lavoratore un diverso indirizzo destinato ad uso privato del lavoratore; (15)
il datore di lavoro metta a disposizione di ciascun lavoratore apposite funzionalità di sistema, di agevole utilizzo, che consentano di inviare automaticamente, in caso di assenze (ad es., per ferie o attività di lavoro fuori sede), messaggi di risposta contenenti le “coordinate” (anche elettroniche o telefoniche) di un altro soggetto o altre utili modalità di contatto della struttura. É parimenti opportuno prescrivere ai lavoratori di avvalersi di tali modalità, prevenendo così l´apertura della posta elettronica. (16) In caso di eventuali assenze non programmate (ad es., per malattia), qualora il lavoratore non possa attivare la procedura descritta (anche avvalendosi di servizi webmail), il titolare del trattamento, perdurando l´assenza oltre un determinato limite temporale, potrebbe disporre lecitamente, sempre che sia necessario e mediante personale appositamente incaricato (ad es., l´amministratore di sistema oppure, se presente, un incaricato aziendale per la protezione dei dati), l´attivazione di un analogo accorgimento, avvertendo gli interessati;
in previsione della possibilità che, in caso di assenza improvvisa o prolungata e per improrogabili necessità legate all´attività lavorativa, si debba conoscere il contenuto dei messaggi di posta elettronica, l´interessato sia messo in grado di delegare un altro lavoratore (fiduciario) a verificare il contenuto di messaggi e a inoltrare al titolare del trattamento quelli ritenuti rilevanti per lo svolgimento dell´attività lavorativa. A cura del titolare del trattamento, di tale attività dovrebbe essere redatto apposito verbale e informato il lavoratore interessato alla prima occasione utile;
i messaggi di posta elettronica contengano un avvertimento ai destinatari nel quale sia dichiarata l´eventuale natura non personale dei messaggi stessi, precisando se le risposte potranno essere conosciute nell´organizzazione di appartenenza del mittente e con eventuale rinvio alla predetta policy datoriale.

6. Pertinenza e non eccedenza

6.1. Graduazione dei controlli
Nell´effettuare controlli sull´uso degli strumenti elettronici deve essere evitata un´interferenza ingiustificata sui diritti e sulle libertà fondamentali di lavoratori, come pure di soggetti esterni che ricevono o inviano comunicazioni elettroniche di natura personale o privata.

L´eventuale controllo è lecito solo se sono rispettati i principi di pertinenza e non eccedenza.

Nel caso in cui un evento dannoso o una situazione di pericolo non sia stato impedito con preventivi accorgimenti tecnici, il datore di lavoro può adottare eventuali misure che consentano la verifica di comportamenti anomali.

Deve essere per quanto possibile preferito un controllo preliminare su dati aggregati, riferiti all´intera struttura lavorativa o a sue aree.

Il controllo anonimo può concludersi con un avviso generalizzato relativo ad un rilevato utilizzo anomalo degli strumenti aziendali e con l´invito ad attenersi scrupolosamente a compiti assegnati e istruzioni impartite. L´avviso può essere circoscritto a dipendenti afferenti all´area o settore in cui è stata rilevata l´anomalia. In assenza di successive anomalie non è di regola giustificato effettuare controlli su base individuale.

Va esclusa l´ammissibilità di controlli prolungati, costanti o indiscriminati.

6.2. Conservazione
I sistemi software devono essere programmati e configurati in modo da cancellare periodicamente ed automaticamente (attraverso procedure di sovraregistrazione come, ad esempio, la cd. rotazione dei log file ) i dati personali relativi agli accessi ad Internet e al traffico telematico, la cui conservazione non sia necessaria.
In assenza di particolari esigenze tecniche o di sicurezza, la conservazione temporanea dei dati relativi all´uso degli strumenti elettronici deve essere giustificata da una finalità specifica e comprovata e limitata al tempo necessario –e predeterminato– a raggiungerla (v. art. 11, comma 1, lett. e), del Codice ).

Un eventuale prolungamento dei tempi di conservazione va valutato come eccezionale e può aver luogo solo in relazione:

ad esigenze tecniche o di sicurezza del tutto particolari;
all´indispensabilità del dato rispetto all´esercizio o alla difesa di un diritto in sede giudiziaria;
all´obbligo di custodire o consegnare i dati per ottemperare ad una specifica richiesta dell´autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria.
In questi casi, il trattamento dei dati personali (tenendo conto, con riguardo ai dati sensibili, delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni generali nn. 1/2005 e 5/2005 adottate dal Garante) deve essere limitato alle sole informazioni indispensabili per perseguire finalità preventivamente determinate ed essere effettuato con logiche e forme di organizzazione strettamente correlate agli obblighi, compiti e finalità già esplicitati.

7. Presupposti di liceità del trattamento: bilanciamento di interessi

7.1. Datori di lavoro privati
I datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici, se ricorrono i presupposti sopra indicati (v., in particolare, art. 4, secondo comma, dello Statuto ), possono effettuare lecitamente il trattamento dei dati personali diversi da quelli sensibili.

Ciò, può avvenire:

a) se ricorrono gli estremi del legittimo esercizio di un diritto in sede giudiziaria (art. 24, comma 1, lett. f) del Codice );
b) in caso di valida manifestazione di un libero consenso;
c) anche in assenza del consenso, ma per effetto del presente provvedimento che individua un legittimo interesse al trattamento in applicazione della disciplina sul c.d. bilanciamento di interessi (art. 24, comma 1, lett. g), del Codice ).

Per tale bilanciamento si è tenuto conto delle garanzie che lo Statuto prevede per il controllo “indiretto” a distanza presupponendo non il consenso degli interessati, ma un accordo con le rappresentanze sindacali (o, in difetto, l´autorizzazione di un organo periferico dell´amministrazione del lavoro).

L´eventuale trattamento di dati sensibili è consentito con il consenso degli interessati o, senza il consenso, nei casi previsti dal Codice (in particolare, esercizio di un diritto in sede giudiziaria, salvaguardia della vita o incolumità fisica; specifici obblighi di legge anche in caso di indagine giudiziaria: art. 26).

7.2. Datori di lavoro pubblici
Per quanto riguarda i soggetti pubblici restano fermi i differenti presupposti previsti dal Codice a seconda della natura dei dati, sensibili o meno (artt. 18-22 e 112).

In tutti i casi predetti resta impregiudicata la facoltà del lavoratore di opporsi al trattamento per motivi legittimi (art. 7, comma 4, lett. a), del Codice ).

8. Individuazione dei soggetti preposti

Il datore di lavoro può ritenere utile la designazione (facoltativa), specie in strutture articolate, di uno o più responsabili del trattamento cui impartire precise istruzioni sul tipo di controlli ammessi e sulle relative modalità (art. 29 del Codice ).

Nel caso di eventuali interventi per esigenze di manutenzione del sistema, va posta opportuna cura nel prevenire l´accesso a dati personali presenti in cartelle o spazi di memoria assegnati a dipendenti.

Resta fermo l´obbligo dei soggetti preposti al connesso trattamento dei dati (in particolare, gli incaricati della manutenzione) di svolgere solo operazioni strettamente necessarie al perseguimento delle relative finalità, senza realizzare attività di controllo a distanza, anche di propria iniziativa.

Resta parimenti ferma la necessità che, nell´individuare regole di condotta dei soggetti che operano quali amministratori di sistema o figure analoghe cui siano rimesse operazioni connesse al regolare funzionamento dei sistemi, sia svolta un´attività formativa sui profili tecnico-gestionali e di sicurezza delle reti, sui principi di protezione dei dati personali e sul segreto nelle comunicazioni (cfr. Allegato B) al Codice, regola n. 19.6; Parere n. 8/2001 cit., punto 9).

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

1) prescrive ai datori di lavoro privati e pubblici, ai sensi dell´art. 154, comma 1, lett. c), del Codice, di adottare la misura necessaria a garanzia degli interessati, nei termini di cui in motivazione, riguardante l´onere di specificare le modalità di utilizzo della posta elettronica e della rete Internet da parte dei lavoratori (punto 3.1.), indicando chiaramente le modalità di uso degli strumenti messi a disposizione e se, in che misura e con quali modalità vengano effettuati controlli;

2) indica inoltre, ai medesimi datori di lavoro, le seguenti linee guida a garanzia degli interessati, nei termini di cui in motivazione, per ciò che riguarda:

a) l´adozione e la pubblicizzazione di un disciplinare interno (punto 3.2.);

b) l´adozione di misure di tipo organizzativo (punto 5.2.) affinché, segnatamente:

si proceda ad un´attenta valutazione dell´impatto sui diritti dei lavoratori;
si individui preventivamente (anche per tipologie) a quali lavoratori è accordato l´utilizzo della posta elettronica e dell´accesso a Internet;
si individui quale ubicazione è riservata alle postazioni di lavoro per ridurre il rischio di impieghi abusivi;
c) l´adozione di misure di tipo tecnologico, e segnatamente:

I. rispetto alla “navigazione” in Internet (punto 5.2., a):

l´individuazione di categorie di siti considerati correlati o non correlati con la prestazione lavorativa;
la configurazione di sistemi o l´utilizzo di filtri che prevengano determinate operazioni;
il trattamento di dati in forma anonima o tale da precludere l´immediata identificazione degli utenti mediante opportune aggregazioni;
l´eventuale conservazione di dati per il tempo strettamente limitato al perseguimento di finalità organizzative, produttive e di sicurezza;
la graduazione dei controlli (punto 6.1.);
II. rispetto all´utilizzo della posta elettronica (punto 5.2., b):

la messa a disposizione di indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori, eventualmente affiancandoli a quelli individuali;
l´eventuale attribuzione al lavoratore di un diverso indirizzo destinato ad uso privato;
la messa a disposizione di ciascun lavoratore, con modalità di agevole esecuzione, di apposite funzionalità di sistema che consentano di inviare automaticamente, in caso di assenze programmate, messaggi di risposta che contengano le “coordinate” di altro soggetto o altre utili modalità di contatto dell´istituzione presso la quale opera il lavoratore assente;
consentire che, qualora si debba conoscere il contenuto dei messaggi di posta elettronica in caso di assenza improvvisa o prolungata e per improrogabili necessità legate all´attività lavorativa, l´interessato sia messo in grado di delegare un altro lavoratore (fiduciario) a verificare il contenuto di messaggi e a inoltrare al titolare del trattamento quelli ritenuti rilevanti per lo svolgimento dell´attività lavorativa. Di tale attività dovrebbe essere redatto apposito verbale e informato il lavoratore interessato alla prima occasione utile;
l´inserzione nei messaggi di un avvertimento ai destinatari nel quale sia dichiarata l´eventuale natura non personale del messaggio e sia specificato se le risposte potranno essere conosciute nell´organizzazione di appartenenza del mittente;
la graduazione dei controlli (punto 6.1.);

3) vieta ai datori di lavoro privati e pubblici, ai sensi dell´art. 154, comma 1, lett. d), del Codice, di effettuare trattamenti di dati personali mediante sistemi hardware e software che mirano al controllo a distanza di lavoratori (punto 4), svolti in particolare mediante:

a) la lettura e la registrazione sistematica dei messaggi di posta elettronica ovvero dei relativi dati esteriori, al di là di quanto tecnicamente necessario per svolgere il servizio e-mail;

b) la riproduzione e l´eventuale memorizzazione sistematica delle pagine web visualizzate dal lavoratore;

c) la lettura e la registrazione dei caratteri inseriti tramite la tastiera o analogo dispositivo;

d) l´analisi occulta di computer portatili affidati in uso;

4) individua, ai sensi dell´art. 24, comma 1, lett. g), del Codice, nei termini di cui in motivazione (punto 7), i casi nei quali il trattamento dei dati personali di natura non sensibile possono essere effettuati per perseguire un legittimo interesse del datore di lavoro anche senza il consenso degli interessati;

5) dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Ministero della giustizia-Ufficio pubblicazione leggi e decreti, per la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ai sensi dell´art. 143, comma 2, del Codice.

Roma, 1° marzo 2007

IL PRESIDENTE
Pizzetti

IL RELATORE
Paissan

IL SEGRETARIO GENERALE
Buttarelli