Giornata di Studio Zola Predosa (BO) – 11.10.2016

Locandina Zola 2016LA NOTIFICA ON LINE

Martedì 11 ottobre 2016

Comune di Zola Predosa (BO)

Sala Corsi
Municipio

Piazza della Repubblica 1

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Zola Predosa (BO)

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2015 con rinnovo anno 2016 già pagato al 31.12.2015. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2017 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


 Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2017 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio).


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Zola 2016 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), né è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Asirelli Corrado

Coord. Uff. Notifiche Comune di Cesena (FC)

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: 

Attività di formazione anno 2016

Attività di formazione anno 2017

Scarica: Depliant Giornata di Studio Zola 2016

Vedi: Immagini della Giornata di Studio

Vedi: Video della Giornata di Studio

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Zola Predosa 2016  Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2016

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 04/05/2016) 06/09/2016, n. 17637

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11863/2014 proposto da:

N.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 1, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FUNARI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE (OMISSIS) già, AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE (OMISSIS) C.F. (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO MEDA 35, presso lo studio dell’avvocato BARBARA BENTIVOGLIO, (AVVOCATURA AZIENDALE) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIA CRISTINA TANDOI, GABRIELLA MAZZOLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9935/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/12/2013, R.G. N. 2875/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GALLINARO per delega ANTONIO FUNARI;

udito l’avvocato BARBARA BENTIVOGLIO e GABRIELLA MAZZOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale di Roma, rigettava l’impugnazione dei provvedimenti di sospensione dal servizio e di licenziamento adottati dall’Azienda Unità Sanitaria Locale (OMISSIS) nei confronti di N.G. per essersi lo stesso assentato dal servizio pur avendo fatto risultare la sua presenza mediante timbratura, in entrata ed in uscita, del cartellino marcatempo.

A base del decisum la Corte del merito poneva innanzitutto il rilievo secondo il quale l’allegata non volontarietà del comportamento a causa di malattia costituiva un fatto non dedotto nel ricorso di primo grado e come tale era da considerarsi inammissibile con conseguente non necessità di sospendere il processo sino alla definizione del procedimento penale nel quale era sta disposta perizia per accertare la capacità d’intendere e volere del N. al momento del fatto. Riteneva, poi, la predetta Corte, corretto il comportamento dell’ASL (OMISSIS) che aveva fatto decorrere gli effetti della sospensione e del licenziamento dalla data del rientro dalla malattia. Assumeva, inoltre, la Corte distrettuale l’irrilevanza delle addotte ragioni giustificative del comportamento addebitato non avendo il N. richiesto autorizzazioni per assentarsi dal servizio per prestare assistenza ai genitori ed essendosi allontanato dal luogo di lavoro dopo avere falsamente attestato la sua presenza attraverso la timbratura del cartellino marcatempo in entrata ed in uscita, comportamento questo integrante la previsione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 ter, trattandosi di falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolenta.

Avverso questa sentenza il N. ricorre in cassazione in ragione di quattro censure, illustrate da memoria, cui resiste con controricorso l’Azienda intimata.

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente,deduce vizio di motivazione e sostiene che la Corte del merito non ha ben valutato tutti i fatti dedotti nel giudizio relativi al suo stato d’incapacità ed in particolare alla relazione del dott. I..

Con la seconda censura il ricorrente, denuncia ex art. 360, n. 3, la “indebita reiezione dell’istanza di sospensione del presente giudizio per pregiudizialità rispetto a quello penale in violazione dell’art. 295 c.p.c., e art. 211 disp. att. c.p.p..

Le due censure che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico giuridico vanno trattate unitariamente, non possono trovare accoglimento.

Preliminarmente va rilevato che alla stregua dell’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U. 7 aprile 2014 n. 8053).

Tanto comporta che la censura in esame con la quale si denuncia sostanzialmente un’ “incompletezza, incongruità e contraddittorietà” della motivazione non è scrutinabile in questa sede di legittimità non senza considerare che la sentenza impugnata sotto il profilo in esame non presenta alcuna anomalia motivazionale nei sensi sopra indicati.

A tanto aggiungasi che tutte le deduzioni in ordine alle quali parte ricorrente denuncia una insufficiente motivazione attengono ad allegazioni avvenute in grado di appello e che come tali sono irrilevanti ai fini, appunto,della ritenuta novità della questione afferente la non volontarietà del comportamento per malattia mentale.

Nè il mero richiamo alla relazione del dott. I. vale a superare la non tempestiva deduzione del fatto di cui trattasi quale ragione integrante uno specifico profilo d’impugnazione del licenziamento ritenuto dalla Corte del merito non denunciabile per la prima volta in appello.

Conseguentemente non potendo trovare ingresso, come asserito dalla Corte del merito senza alcuna censura sul punto, in grado di appello il profilo in parola in quanto diverso da quelli specifici posti a base, nel ricorso introduttivo del giudizio, delle impugnazioni dei provvedimenti disciplinari, correttamente detta Corte ha escluso la necessità della invocata sospensione del processo civile sino alla definizione del procedimento penale nel quale era stata disposta perizia per accertare la capacità d’intendere e volere del N. al momento del fatto.

Con la terza critica il N. assume “l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione e di licenziamento benchè con efficacia prorogata al momento del rientro in servizio del dott. N. e mancata applicazione delle norme poste dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 41, comma 2, lett. e ter”.

Sostanzialmente il ricorrente prospetta che l’ASL alla scadenza del periodo di congedo avrebbe dovuto sottoporre il dott. N. a visita medica d’idoneità specifica ai sensi del denunciato D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 41, comma 2, lett. e) ter.

La critica è inammissibile.

La questione infatti è da considerarsi nuova e, quindi, inammissibile, posto che non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed il ricorrente, in violazione del principio di specificità del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 6, e art. 369 c.p.c., n. 4, non ha indicato in quale atto del giudizio precedente ha dedotto siffatta questione ed in quali termini (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

Nè può sottacersi che l’eventuale violazione da parte dell’ASL della denunciata norma non può certo incidere sulla validità dei provvedimenti disciplinari adottati la cui legittimità non è condizionata, nella specie, dalla eventuale violazione della richiamata normativa.

Con l’ultimo motivo il ricorrente deduce violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, e dell’art. 8, comma 11, lett. a) e f) del CCNL del personale della dirigenza medica e veterinaria del 6 maggio 2010.

Prospetta il ricorrente che nessuna delle ipotesi contemplate dal richiamato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, a differenza di quanto affermato dalla Corte di Appello, è configurabile nella fattispecie e la denunciata normativa contrattuale presuppone l’intenzionalità del comportamento.

La censura è infondata.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, per quello che interessa in questa sede, dispone che:

1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione; omissis.

Al riguardo va rilevato che, per quanto riguarda la timbratura del cartellino marcatempo, correttamente la Corte del merito ha ritenuto ricorrente nella specie l’ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente, considerato che la timbratura del cartellino marcatempo in entrata ed in uscita non corrispondente alla reale situazione di fatto costituisce certamente una modalità fraudolenta giacchè la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza costituisce condotta fraudolenta oggettivamente idonea ad indurre in errore l’amministrazione datore di lavoro circa la presenza effettiva sul luogo di lavoro e integra il reato di truffa aggravata ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili (Cass. pen. n. 8426 del 2014).

La rilevata estraneità del profilo della intenzionalità del comportamento rende non conferente la critica concernente la violazione della norma contrattuale collettiva.

In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.000,00 per compensi oltre Euro 100,00 per esborsi e spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002D.P.R. 30/05/2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17,si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2016


L’attività formativa dell’Associazione – anno 2017

Notifica on line 2017Il «Progetto per la valorizzazione del Messo Comunale» è una iniziativa dell’Associazione A.N.N.A. che ha come obbiettivo principale quello di riqualificare la figura ed il ruolo del Messo Comunale e tutte le figure che svolgono l’attività di notificazione, attraverso la conoscenza dei principi fondamentali del Procedimento notificatorio.

L’Associazione attraverso tale iniziativa, che si svolge su tutto il territorio nazionale, intende dare il proprio contributo affinché l’applicazione delle norme che regolano il Procedimento notificatorio sia la più uniforme possibile .

L’informatizzazione della pubblica amministrazione è certamente una delle principali sfide che Stato, Regioni ed Enti locali si trovano ad affrontare in questo momento storico. L’impatto della tecnologia sull’amministrazione pubblica ed i servizi ai cittadini è di enorme portata, ma per risultare veramente efficace il processo di informatizzazione necessita di un gran numero di strumenti normativi, tecnici ed organizzativi. Gli effetti dello sviluppo e della diffusione dell’innovazione tecnologica sulla produzione documentaria sono oramai rilevanti (basti pensare a quelli derivanti dall’introduzione della firma elettronica e del servizio di posta elettronica certificata che hanno reso possibile la formazione, la trasmissione e la ricezione di documenti informatici a valenza giuridica e forza probatoria), il che rende necessari l’attivazione di sistemi di gestione elettronica e lo sviluppo di soluzioni di natura archivistica, organizzativa e tecnologica, capaci di garantire la conservazione nel tempo e la fruizione della memoria digitale.

Di fronte a tale situazione, A.N.N.A. si propone di fornire un contributo alla soluzione delle problematiche connesse alla produzione e conservazione dei documenti e degli archivi informatici; problematiche che, se non affrontate correttamente, rischiano di provocare la perdita irreversibile di gran parte del patrimonio archivistico che sarà prodotto in futuro dalle amministrazioni pubbliche e dalle imprese.

Le giornate di studio, di carattere prevalentemente pratico, affrontano la materia delle notifiche attraverso l’analisi, lo sviluppo ed il coordinamento delle norme procedurali. Particolare attenzione viene prestata alla compilazione dei moduli operativi, anche in relazione alle conseguenze derivanti dall’evoluzione giurisprudenziale che spesso sopperisce a lacune legislative ovvero ne determina ulteriori dubbi e difficoltà sull’applicabilità delle norme. Si tratterà, inoltre, in maniera approfondita della Notifica On Line

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (Art. 1, comma 158 e ss.).

I docenti sono operatori di settore che, con una collaudata metodologia didattica, assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

PRIMO SEMESTRE  2017

Data

Luogo

Tipologia

 Venerdì 27 Gennaio  Castelgomberto (VI)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori in house
 Giovedì 2 Febbraio  Montegrotto Terme (PD)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 9 Febbraio  Martinsicuro (TE)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Mercoledì 15 Febbraio  Trezzo sull’Adda (MI)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori in house
 Giovedì 2 Marzo  Udine  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 10 Marzo  Imperia  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Mercoledì 15 Marzo  Montecchio Emilia (RE)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 30 Marzo  Ossona (MI)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 6 Aprile  Fasano (BR)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 4 Maggio  Fara in Sabina (RI)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 26 Maggio  Verdellino (BG)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori in House
 Giovedì 29 Giugno  Iglesias  Giornata di Studio per Agenti Notificatori

 SECONDO SEMESTRE  2017

Data

Luogo

Tipologia

 Giovedì 12 Ottobre  Ricigliano (SA) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Mercoledì 18 Ottobre  Lainate (MI) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 9 Novembre  Ancona Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 10 Novembre  Cesena (FC) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Martedì 21 Novembre  Cento (FE)  Giornata di Studio in house per Agenti Notificatori
 Venerdì 15 Dicembre  UTI Carnia (UD)  Giornata di Studio in house per Agenti Notificatori

Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 04/02/2016) 09/08/2016, n. 16679

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14623/2015 proposto da:

RIVADOSSI RAFFINERIA METALLI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 2, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE CORASANITI, ELISA BONZANI, VICTOR UCKMAR giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7229/2014 della COMM. TRIB. REG. della LOMBARDIA SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 23/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2016 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato CORASANITI che si riporta alle conclusioni contenute nel ricorso e alla memoria;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. In fattispecie di fatturazione e doppia registrazione di operazioni ritenute inesistenti ma regolate e assolte col regime domestico d’inversione contabile per il commercio di rottami, il fisco mediante plurimi atti recupera, tra l’altro, l’IVA detratta dalla cessionaria Rivadossi a fronte di fatture emesse da presunte cartiere, Eurometal e ItalMetal. La decisione d’appello, per quanto qui ancora interessa, è impugnata dalla contribuente con tredici motivi di ricorso riguardanti le sfavorevoli determinazione riguardo all’imposizione sul valore aggiunto. L’amministrazione non spiega attività difensiva.

2. Da ultimo, la contribuente deposita memoria invocando i più favorevoli trattamenti fiscali e sanzionatori introdotti in materia d’inversione contabile nelle operazioni inesistenti dallo ius superveniens – D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. f), e art. 31, – destinato ad essere applicato rispetto alle previsioni di matrice sanzionatoria con effetto dal primo gennaio 2016 (L. n. 208 del 2015, art. 32, comma 1, mod. art. 1, comma 133).

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo (pag. 167) la ricorrente contesta la decisione del giudice d’appello in punto di legittimo raddoppio dei termini per il recupero dell’IVA per il 2005 (art. 57, comma 3 D.Iva; art. 2697 c.c.). Il motivo non è fondato perchè il raddoppio dei termini decadenziali per l’esercizio dell’attività di accertamento opera a prescindere dalle vicende delle indagini preliminari e del processo penale, essendo sufficiente un accertamento fiscale che comporti la mera sussistenza dell’obbligo di denuncia (Cass. 22587/2012). Il che prescinde dal fatto che una denuncia penale sia stata materialmente confezionata ex artt. 331, 347 e 333 c.p.p., e che la stessa sia stata effettivamente inoltrata all’autorità giudiziaria, in disparte dall’esito della denuncia stessa.

2. Con il secondo motivo (pag. 169) la ricorrente contesta la decisione del giudice d’appello in punto di notificazione degli atti cd. impo-esattivi per il recupero dell’IVA per il 2006 e il 2007 (D.L. n. 78 del 2010, art. 28; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60; L. n. 890 del 1982, art. 14, comma 1). Il motivo non è fondato perchè è assolutamente pacifico che le notifiche tanto degli avvisi di accertamento (Cass. 15315/2014) quanto degli atti di riscossione (Cass. 6395/2014) possano avvenire direttamente a cura del soggetto legittimato (agenzia fiscale o concessionario) mediante gli agenti postali e secondo le regole ordinarie per le raccomandate, senza che, dunque, sia necessaria la mediazione di uno specifico agente notificatore, quale l’ufficiale giudiziario o altro messo incaricato o pubblico ufficiale assimilato. Il D.L. n. 78 del 2010, art. 28, non deroga affatto alle regole del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 4, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 2, limitandosi soltanto ad estendere la notifica per raccomandata postale agli atti successivi e consequenziali agli atti cd. impo-esattivi. Inoltre l’art. 56 d.Iva richiama ed estende all’imposizione sul valore aggiunto le modalità di notifica previste per la imposte sui redditi (comma 1) con evidente recepimento dell’intero art. 60 cit..

3. Con il terzo motivo (pag. 173) la ricorrente contesta la decisione del giudice d’appello in punto motivazione degli atti impositivi per il recupero dell’IVA per il 2005 e il 2006 (art. 56 d.Iva; art. 7, comma 1 Statuto). Il mezzo non è fondato perchè, sotto le spoglie della pretesa violazione di norme di diritto procedimentali, mira rivisitare il giudizio di merito della C.t.r. sulla idoneità della motivazione degli atti impositivi. A tal fine la ricorrente trascura di considerare che il giudice d’appello a pag. 4, lett. c), della sentenza osserva come la formula utilizzata dall’ufficio relativamente alla contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti vada letta nell’insieme delle argomentazioni sviluppate sia nell’avviso di accertamento, sia nel PVC, ai fini del positivo giudizio sulla sua idoneità argomentativa. Il che non è stato contestato con specifici e autosufficienti riferimenti ai singoli punti degli avvisi e del PVC. 4. Con il quarto motivo (pag. 179) la ricorrente contesta la decisione del giudice d’appello in punto d’integrazione probatoria disposta dalla C.t.p. riguardo al recupero dell’IVA per gli anni d’imposta dal 2005 al 2008 (art. 7, e art. 1, comma 1 proc. trib.; artt. 99, 112, 115, 210 e 213 c.p.c.). Il mezzo è inammissibile perchè la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse della parte alla regolarità dell’attività giudiziaria ma garantisce solo l’eliminazione del concreto pregiudizio subito dal diritto di difesa in conseguenza della violazione medesima. Ne consegue che è inammissibile il motivo che, come nella specie, deduca un’irrituale acquisizione documentale nel corso del giudizio di primo grado ma ometta di precisare l’effettivo e concreto pregiudizio difensivo subito (Cass. 26831/2014). Si aggiunga che l’irrituale produzione documentale nel giudizio di primo grado, volontaria o provocata dal giudice, non assume rilievo preclusivo nella definizione del giudizio d’appello, laddove può essere, comunque, legittimamente utilizzata dalla parte in appello e dalla C.t.r. nella decisione ai sensi dell’art. 58 proc. trib. (Cass. 6914/2011).

5. Con il quinto motivo (pag. 188) la ricorrente contesta la decisione del giudice d’appello in punto d’integrazione probatoria disposta dalla C.t.p. e riguardo al riparto dell’onere della prova sul recupero dell’IVA per gli anni d’imposta dal 2005 al 2008 (art. 2697 c.c.). Il mezzo è correlato ai quarto motivo ed è egualmente inammissibile perchè la contribuente non specifica in che cosa si sostanzi il pregiudizio difensivo subito.

6. Con il sesto motivo (pag. 190) la ricorrente eccepisce la pretesa nullità della sentenza d’appello per carenza assoluta di motivazione specifica relativa alle ragioni per le quali la C.t.r. ha ritenuto del tutto irrilevanti i diversi elementi fattuali che, allegati in giudizio dalla contribuente, sarebbero stati, a suo dire, in grado di escludere la natura di cartiere di Eurometal e ItalMetal, ovvero per asserita apparenza di motivazione, tale da impedire l’individuazione della ratio decidendi della pronuncia (art. 132 c.p.p., comma 1 – n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 3; art. 118 att.; art. 1, comma 2, e art. 36, comma 2 – n. 4 proc. trib.). Il mezzo è inammissibile atteso che esso mira a una valutazione dell’idoneità dimostrativa del ragionamento probatorio del giudice di merito preclusa dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in termini di mera insufficienza argomentativa e non risultando affatto violato il minimo costituzionale della motivazione e risultando, invece, rispettati i limiti formali della motivazione stessa. Infatti il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., applicabile ratione temporis, introduce un vizio specifico, denunciabile innanzi al giudice di legittimità, concernente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo ai fini del decisum. Nella nuova formulazione non vi è alcun riferimento alla motivazione della sentenza impugnata nè sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà argomentativa. La riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, deve, dunque, intendersi finalizzata a ridurre al minimo costituzionale il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza impugnata per cui l’anomalia motivazionale denunciabile per cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante ed attiene all’esistenza della motivazione in sè (conf. da ultimo Cass. 1050/2016 in applicazione di S.U. 8053/2014). Inoltre, l’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione, solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa, e cioè nei casi di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (Cass. 25972/2014). Nella specie è la stessa contribuente, a pag. 191 del ricorso, a individuare la ratio decidendi della sentenza d’appello laddove indi riscontri logico-circostanziali della natura di cartiere delle ditte fornitrici: (a) nell’assenza di vere e proprie sedi operative aziendali, (b) nella mancanza di documentazione contabile relativa ai rapporti delle due ditte con i rispettivi fornitori, (c) nel fatto che un tale L., della ditta Eurometal, era stato fermato con una valigetta contenente denaro contante chiuso in varie buste sigillate e contrassegnate in maniera alfanumerica ed era stato filmato mentre entrava nello stabilimento della contribuente con una busta bianca uscendone privo. Vale ricordare che è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 proc. trib. e dell’art. 118 att. c.p.c., solo la sentenza d’appello che sia completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’impugnante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione regionale a disattenderle sicchè sia impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 28113/2013). Il che certamente non ricorre nella decisione in esame, osservandosi, inoltre, che il giudice di merito ha un discrezionale potere di scelta e di valutazione dei mezzi probatori acquisiti al processo (Cass. 960/2015, 2.1).

7. Con il settimo motivo (pag. 197) la ricorrente censura la sentenza d’appello per avere ritenuto sussistente la prova per presunzioni della natura di cartiere di Eurometal e ItalMetal, (artt. 2729 e 2697 c.c.). Il mezzo è inammissibile perchè pare calibrato più su una lettura comparativa delle allegazioni di fatto, compiuta autonomamente dalla parte ricorrente, che sulla censura del rispetto dei parametri legali dell’art. 2720 c.c., secondo i principi regolativi dettati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 17535/2008 e 9750/2015). Nè risulta in alcun modo impugnata la sentenza d’appello riguardo al rispetto dei peculiari requisiti metodologici stabiliti in materia dalle sezioni unite (sent. 584/2008).

8. Con l’ottavo motivo (pag. 199) la ricorrente eccepisce la pretesa nullità della sentenza d’appello per carenza assoluta di motivazione specifica relativa alle ragioni per le quali la C.t.r. ha ritenuto il coinvolgimento della contribuente nelle attività fraudolente di Eurometal e ItalMetal, ovvero per asserita apparenza di motivazione, tale da impedire l’individuazione della ratio decidendi della pronuncia (art. 132 c.p.c., comma 1 – n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 3; art. 118 att.; art. 1, comma 2, e art. 36, comma 2 – n. 4 proc. trib.).

Il mezzo è inammissibile per le stesse ragioni diritto enunciate sub 6). Inoltre è la stessa contribuente – a pag. 200/201 del ricorso – a individuare la ratio decidendi della sentenza d’appello laddove individua riscontri logico-circostanziali del suo coinvolgimento:(a) nel contenuto e nel tenore delle intercettazioni telefoniche, non episodiche, ma collegate le une con le altre alle operazioni in corso; (b) nella mancanza di documentazione aziendale idonea a dimostrare l’estraneità della contribuente; (c) nei reiterati prelievi in banca di danaro contante da parte delle ditte cartiere immediatamente dopo gli accrediti dei bonifici disposti dalla contribuente; (d) nelle preoccupazioni manifestate dai rappresentanti della contribuente alla notizia dell’indagine intrapresa dalla polizia tributaria.

9. Con il nono motivo (pag. 203) la ricorrente censura la sentenza d’appello per avere ritenuto sussistente la prova per presunzioni del coinvolgimento della contribuente nelle attività fraudolente di Eurometal e ItalMetal (artt. 2729 e 2697 c.c.). Il mezzo è inammissibile perchè pare calibrato più su una lettura comparativa delle allegazioni di fatto, compiuta autonomamente dalla parte ricorrente, che sulla censura del rispetto dei parametri legali dell’art. 2720 c.c., secondo i principi regolativi dettati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 17535/2008 e 9750/2015). Nè risulta in alcun modo impugnata la sentenza d’appello riguardo al rispetto dei peculiari requisiti metodologici stabiliti in materia dalle sezioni unite (sent. 584/2008; vedi sub 7).

10. Con il decimo motivo (pag. 205) la ricorrente eccepisce la pretesa nullità della sentenza d’appello per carenza assoluta di motivazione specifica relativamente alle ragioni per le quali la C.t.r. ha ritenuto la mancanza di ulteriori elementi di riscontro alle dichiarazioni di terzi prodotte a discari dalla contribuente, ovvero per asserita apparenza di motivazione, sì da impedire l’individuazione della ratio decidendi della pronuncia (art. 132 c.p.c., comma 1 – n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 3; art. 118 att.; art. 1, comma 2, e art. 36, comma 2 – n. 4 proc. trib.). Il mezzo è inammissibile per le stesse ragioni diritto enunciate sub 6) e le medesime considerazioni svolte infra sub 11).

11. Con l’undicesimo motivo (pag. 208) la ricorrente censura la sentenza d’appello per avere ritenuto sussistente la prova per presunzioni del coinvolgimento della contribuente nelle attività fraudolente di Eurometal e ItalMetal (artt. 2729 e 2697 c.c.). Il mezzo è inammissibile perchè a pag. 5/6 la C.t.r. non nega affatto rilevanza probatoria alle dichiarazioni dei terzi a discarico ma dà atto che la C.t.p. aveva “esposto una chiara disamina delle dichiarazioni rese dai suddetti terzi con relativa confutazione”. Sul punto non v’è specifica impugnazione in ricorso; mentre, se è vero che la prova per presunzioni può essere fondata anche su un solo indizio dichiarativo, è pur vero la C.t.r. nega per relationem la globale efficacia dimostrativa di dichiarazioni che restano confinate nell’apprezzamento di fatto precluso in sede di legittimità e devoluto al monopolio del giudice di merito. Dunque, ancora una volta, il mezzo pare calibrato più su una lettura comparativa delle allegazioni di fatto, compiuta autonomamente dalla parte ricorrente, che sulla censura del rispetto dei parametri legali dell’art. 2720 c.c., secondo i principi regolativi dettati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 17535/2008 e 9750/2015). Nè risulta in alcun modo impugnata la sentenza d’appello riguardo al rispetto dei peculiari requisiti metodologici stabiliti in materia dalle sezioni unite (sent. 584/2008; vedi sub 7).

12. Con il dodicesimo motivo (pag. 211) la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto sostanziali (art. 21, comma 7, e art. 74, commi 7 e 8 d.Iva) laddove la C.t.r. non considera che, trattandosi di operazioni regolate in regime domestico d’inversione contabile, esse erano di per sè stesse neutrali e le relative irregolarità non potevano comportare perdita di gettito fiscale recuperabile con gli avvisi di accertamento.

13. Con il correlato tredicesimo motivo (pag. 221) la ricorrente denuncia violazione di norme di diritto sostanziali (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, e art. 10, comma 3 dello Statuto) laddove la C.t.r. non considera che, anche alla luce del principio di proporzionalità delle sanzioni sancito dalla giurisprudenza comunitaria e tenuto conto anche della natura di sanzione indiretta rivestita dal recupero dell’intera imposta in materia regolata in regime d’inversione contabile interna, nessun’altra sanzione poteva essere applicata.

14. Infine, con memoria, la contribuente invoca i più favorevoli trattamenti fiscali e sanzionatori introdotti in materia d’inversione contabile nelle operazioni inesistenti dallo ius superveniens – art. 15, comma 1, lett. f), e dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 31 – destinato ad essere applicato rispetto a tutte le previsioni di matrice sanzionatoria con effetto dal primo gennaio 2016 (art. 32, comma 1, mod. L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 133).

15. Tanto premesso, si osserva che, secondo la giurisprudenza comunitaria il regime dell’inversione contabile costituisce strumento che consente, in particolare, di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale constatate in taluni tipi di operazioni (Equoland p.42 e Veleclair p.34). A tal fine, la disciplina nazionale per il commercio dei rottami, che qui interessa, prevede che la fattura sia emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni dei cui all’art. 21 e segg. d.Iva e con l’indicazione di cui all’art. 74, che si tratta di operazione con IVA non addebitata in via di rivalsa. Indi, la fattura è integrata dal cessionario, che diviene soggetto passivo d’imposta, con l’indicazione dell’aliquota e della imposta stessa. La fattura, così integrata, è registrata nel registro delle vendite dal cessionario, che in tal modo assolve l’obbligo di pagamento del tributo, detratto con la parallela annotazione nel registro degli acquisti. Inoltre, trattandosi di operazione imponibile (D.L. n. 269 del 2003, art. 35, comma 1, lett. a)), il cedente conserva il diritto all’ordinaria detrazione dell’imposta relativa agli acquisti inerenti. Nella specie è pacifico che la contribuente cessionaria abbia regolarmente effettuato l’inversione contabile a suo carico e reso neutrali operazioni ritenute inesistenti dal fisco e, in particolare, soggettivamente inesistenti dalla C.t.r..

16. Relativamente al regime d’inversione contabile questa Corte ha affermato (ord. 22532/2012, in operazione intra) che il disposto dell’art. 21, comma 7, d.Iva per un verso incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio comunitario di cui all’art. 28 octies, par. 1, lett. d), dir. 1977/388/CE ora (art. 203 dir. 2006/112/CE). Per un altro verso incide indirettamente, in combinato disposto con l’art. 19, comma 1, e l’art. 26, comma 3, d.Iva, pure sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta in carenza del suo presupposto (v. Cass. 12353/2005, 2823/2008, 24231/2011). Nel caso di operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’IVA integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui all’art. 28 octies, anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide – per il combinato disposto dell’art. 21, comma 7, art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3 cit. – sul destinatario della fattura medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza anche soggettiva dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata (v. Cass. 13803/2014). Infatti “la presentazione di false fatture (…), alla pari di qualsiasi altra alterazione di prove, è (…) atta a compromettere il funzionamento del sistema comune dell’IVA” e “il diritto dell’Unione non impedisce agli Stati membri di considerare l’emissione di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l’esenzione in una siffatta ipotesi” (C. giust. 7.12.2010, C-285/09, 48 e 49). La frode opera, dunque, come limite generale al principio fondamentale di neutralità dell’IVA (implicitamente C. giust., Ecotrade 70, e Cass. 5072/2015 D.6), ossia al principio secondo cui la detrazione dell’imposta è accordata se i requisiti sostanziali dell’operazione sono comunque soddisfatti (Idexx, p.38; Ecotrade pp.63-66), intendendosi per tali che gli “acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili” (Idexx p.43). Consequenzialmente trattandosi nella specie dell’IVA detratta dalla cessionaria Rivadossi col regime domestico d’inversione contabile però a fronte di frode con fatture emesse da cartiere per operazioni soggettivamente inesistenti, non può trovare applicazione il più generale principio secondo cui il diritto alla detrazione non può essere negato nei casi in cui l’operatore nazionale non ha applicato – o non ha applicato correttamente – la procedura dell’inversione contabile senza violazione dei requisiti sostanziali (Cass. 5072/2015, D.3, e 7576/2015, p.8).

17. Il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, n. 3, introdotto dal decreto di riforma del sistema sanzionatorio tributario (D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15), prima stabilisce: “Se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2”. Poi aggiunge: “La disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 Euro”. Il che significa che devono essere espunti sia il debito computato che la detrazione operata nelle liquidazioni dell’imposta anche nei casi di operazioni inesistenti che siano astrattamente “esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta e che siano regolate dal cessionario coll’inversione contabile interna”. Per l’insidiosità che verosimilmente si ritiene che tale fattispecie rivesta, trova solo in tale ultimo caso applicazione la sanzione amministrativa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile (con un minimo di mille Euro). Dunque, i più favorevoli trattamenti fiscali e sanzionatori introdotti dal comma 9 bis, n. 3, non trovano applicazione nel caso di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti ancorchè regolate in regime domestico d’inversione contabile. La diversa conclusione, che potrebbe essere desunta dal non chiaro tenore della relazione illustrativa laddove si parla di “procedura”, non rileva poichè ogni testo normativo deve essere interpretato secondo il suo contenuto obiettivo mentre i lavori preparatori non costituiscono elemento decisivo per la sua interpretazione (Cass. 1654/1962).

18. Non rileva neppure la recentissima modifica dell’art. 21, comma 7, D.Iva: “Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”. Si tratta di disposizione che, introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 31, è applicabile dal primo gennaio 2016 sempre ai sensi dell’art. 32, comma 1 (mod. L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 133). La relazione illustrativa afferma che la modifica opera “al fine di rendere chiaro che la relativa prescrizione non riguarda le ipotesi di operazioni soggette a reverse charge”. Ciò tocca, però, unicamente la posizione del cedente verso il fisco e non quella del cessionario il quale per le operazioni inesistenti, anche se solo soggettivamente, ma pur sempre imponibili perde comunque il diritto di detrazione per effetto del combinato disposto dell’art. 19, comma 1, e dell’art. 26, comma 3 D.Iva.

19. Quanto alla misura della risposta punitiva, la Corte di giustizia osserva, da tempo, che l’importo della sanzione deve sempre essere graduabile e non può eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione dell’imposizione sul valore aggiunto (Equoland, p.44 e Redlihs, p.45 e da 50 a 52; cfr. EMS-Bulgaria Transport p.75). In relazione a tali parametri e tenuto conto della perdita del diritto di detrazione, per essere le operazioni imponibili e soggettivamente inesistenti, si esclude l’applicazione delle esimenti di diritto interno previste per le violazioni meramente formali, ovverosia più in dettaglio per quelle sole violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sul tributo (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, e art. 10, comma 3 dello Statuto). Tuttavia il decreto di riforma ha quasi completamente ridisegnato e fortemente ridimensionato il sistema sanzionatorio tributario. Vale, dunque, il dettato del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, che ha esteso il principio del favor rei anche al settore fiscale, sancendo l’applicazione retroattiva delle più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute, che devono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo. Pertanto, se è in contestazione l’an della violazione tributaria, sussiste ancora controversia sulla debenza delle sanzioni e s’impone l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto (Cass. 8243/2008). Ciò è compito devoluto al giudice di merito che dovrà;(a) traguardare la fattispecie concretamente accertata dal giudice d’appello attraverso il nuovo assetto punitivo introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015; (b) individuare le ipotesi sanzionatorie confacenti in continuità precettiva con l’originaria contestazione del fisco (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, art. 6, comma 6, art. 9, commi 1 e 3); (c) graduarne la portata nei limiti comunitari di quanto strettamente necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione dell’imposizione sul valore aggiunto, operando se del caso parziale disapplicazione del diritto interno.

20. In conclusione, accolto il tredicesimo motivo nei sensi di cui al p.19 e rigettato il ricorso nel resto, si deve cassare la sentenza d’appello nei limiti dell’accoglimento e rinviare la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla C.t.r. della Lombardia, sez. Brescia, in diversa composizione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il tredicesimo motivo nei sensi di cui in motivazione, rigetta il ricorso nel resto, cassa la sentenza d’appello nei limiti dell’accoglimento e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla C.t.r. della Lombardia, sez. Brescia, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016


Schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale

Si riporta lo SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE MODIFICHE E INTEGRAZIONI AL CODICE DELL’AMMINISTRAZIONE DIGITALE di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, approvato, di modifica del CAD. Da leggere con estrema attenzione perché sarà, la base di costruzione di nuove regole in un ambito estremamente vario della nostra attività di notificazione degli atti, dal concetto di titolare dei dati, ai criteri di interoperabilità che trascinano la necessità di ristabilire l’utilizzo di formati, per non parlare del concetto di domicilio digitale che, viene esplicitamente evidenziato, riguarderà “comunicazioni e notifiche”.

Ovviamente ora si aspetta che le modifiche vengano ricomprese nel CAD unitamente a quelle che dovranno essere trascinate a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento europeo EIDAS in materia di firma digitale, marca temporale etc.


Riforma Madia, l’addio della pubblica amministrazione alla carta slitta da agosto a dicembre 2016

L’addio alla carta slitta di quattro mesi. L’ultima versione del decreto legislativo sul Codice dell’amministrazione digitale (Cad), esaminata dal consiglio dei ministri il 10 agosto, posticipa dal 12 agosto al 12 dicembre il termine ultimo entro cui la pubblica amministrazione dovrà adeguare i propri sistemi per gestire tutti i documenti in modalità digitale. L’obbligo è stato sospeso perché molti enti non sono pronti. Per le amministrazione già pronte, però, rimane la facoltà di passare dalla carta al digitale già ora.

Il nuovo Cad prevede poi l’introduzione del cosiddetto domicilio digitale (Spid), l’identificativo con cui ogni cittadino potrà entrare in contatto con la p.a., e la possibilità di effettuare micropagamenti via sms fino 50 euro per bollette, certificati o multe. Nel testo sono inserite anche clausole volte a incentivare lo smartworking ed è prevista l’istituzione di un commissario ufficiale all’Agenzia digitale per tre anni. L’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) potrà irrogare sanzioni maggiori rispetto a quelle attuali, che si fermano a un massimo di 20 mila euro. Le società partecipate quotate saranno escluse dall’applicazione del nuovo Cad.


Per gli enti pubblici documenti digitali dal 12 agosto 2016

digitalizzazione_documenti_12_agostoIl 12 agosto segnerà un cambiamento epocale per le pubblica amministrazione. A partire da tale data, infatti, tutti gli enti pubblici saranno obbligati a gestire le pratiche utilizzando esclusivamente il formato digitale. Non sarà più ammessa la produzione e l’utilizzo di documenti cartacei.

I vecchi documenti potranno essere acquisiti in digitale ed eventualmente essere sottoposti a riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) per facilitare operazioni di ricerca e copia&incolla.

Per rendere pienamente valide le copie digitali di vecchi documenti cartacei o di documenti prodotti ex novo, le amministrazioni pubbliche saranno sempre tenute ad apporre una firma digitale o altra firma elettronica qualificata (i dipendenti dovranno in ogni caso ottenere specifica delega dal funzionario).

L’obiettivo è evidentemente quello di assicurare ai cittadini e agli utenti in generale tutti i requisiti di legge: i documenti digitali, cioè, dovranno avere caratteristiche di autenticità, immodificabilità e leggibilità.

Sebbene il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri non preveda alcuna sanzione per le amministrazioni pubbliche inadempienti, tutti i sistemi informativi degli enti dovranno essere adeguati in modo tale da poter lavorare esclusivamente con documenti in formato digitale, opportunamente firmati. La PA aveva 18 mesi di tempo e il 12 agosto scade il periodo concesso per l’adeguamento che, soprattutto nel caso dei piccoli comuni, ha subìto non pochi rallentamenti.

D’ora in avanti, tra l’altro, non sarà più necessario produrre un documento in più copie perché sarà sufficiente l’unico esemplare digitale – peraltro riproducibile “all’infinito” – dotato di firma elettronica.

Maggiori informazioni sulle nuove modalità di conservazione dei documenti informatici sono consultabili a questo indirizzo.


Bilancio 2015

Copertina bilancio 2015aAtti relativi al Bilancio dell’Associazione dell’anno 2015 approvato dalla Giunta Esecutiva del 23.01.2016 e su delega dell’Assemblea Generale dal Consiglio Generale del 23.01.2016

Bilancio 2015


Blilancio 2014

Immagine bilancio consuntivo 2014Atti relativi al Bilancio dell’Associazione dell’anno 2014 approvato dalla Giunta Esecutiva del 31.01.2015 e su delega dell’Assemblea Generale dal Consiglio Generale del 28.03.2015

Bilancio 2014


Pubblico impiego: posto fisso addio?

La cancellazione del posto fisso è prevista a pagina 72 del decreto del governo. Si tratta della norma attuativa più attesa tra quelle collegate alla riforma Madia della PA, già approvata un anno fa.

Secondo quanto riportato dal decreto tutte le PA devono comunicare annualmente al ministero le “eccedenze di personale” rispetto alle “esigenze funzionali o alla situazione finanziaria”, in sostanza per liberarsi dei dipendenti che la contingenza di bilancio non permette di tenere a carico.

Il documento, precisa, tuttavia, che tali “eccedenze” possano essere spostate immediatamente presso un altro ufficio, nel raggio di 50 km da quello di partenza mediante la mobilità obbligatoria. Viceversa i dipendenti “eccedenti” sono messi in “disponibilità”, ossia non lavorano e incassano l’80% dello stipendio con i conseguenti contributi ai fini pensionistici.

Attenzione, però, perché se entro 2 anni gli stessi non trovano un altro posto, anche con inquadramento più basso o stipendio minore, il rispettivo “rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto”.

Dipendenti pubblici: licenziati quando?

Un meccanismo in parte similare a quello illustrato sopra, previsto dalla bozza del nuovo testo unico sul pubblico impiego, a livello teorico esiste già. Tuttavia, ad oggi, gli uffici che mancano di comunicare le eccedenze non rischiano nulla, per cui nessuno le precisa. Grazie alle nuove disposizioni, invece, dovrebbe scattare lo stop alle assunzioni con conseguente procedimento disciplinare per il dirigente.

Scatti di anzianità: cancellati per sempre?

Nonostante gli scatti di anzianità siano già stati congelati per lungo tempo, con le regole del nuovo testo unico vengono, però, eliminati per sempre. Tutti i dipendenti pubblici, infatti, saranno valutati annualmente dai rispettivi dirigenti per il lavoro svolto.

Saranno, poi, queste stesse valutazioni ad incidere sull’assegnazione o meno di un aumento retributivo, variabile a seconda delle risorse a disposizione, che potrà andare a non più del 20% dei dipendenti per ciascuna amministrazione.

Entro febbraio le nuove riforme?

In base alla riforma della PA questa parte delle delega potrà essere esercitata già entro febbraio 2017, e non più entro settembre come più volte annunciato dallo stesso governo.

Le altre novità

La bozza, tra le altre misure inserite, prevede anche:

  • l’obbligo della conoscenza dell’inglese come requisito per i concorsi pubblici
  • l’automatica visita fiscale per le assenze fatte al venerdì e nei giorni prefestivi
  • un procedimento disciplinare velocizzato
  • la cancellazione dell’indennità di trasferta
  • il buono pasto reso uguale per tutti (7 euro al giorno)

Equitalia: A suo carico la prova di regolare notifica della cartella esattoriale

Per dimostrare la regolare notifica, è Equitalia che deve produrre in giudizio sia gli avvisi di ricevimento sia le copie delle cartelle esattoriali cui fanno riferimento.

Se il contribuente, nell’eccepire la mancata notifica della cartella esattoriale o altro atto della riscossione, agisce in giudizio contro Equitalia, spetta a quest’ultima fornire prova di regolare notifica tramite la produzione sia degli avvisi di ricevimento e delle relate (o dell’estratto di ruolo) sia delle singole cartelle o degli atti notificati.

Nel caso in cui il contribuente contestasse la corrispondenza tra l’avviso di ricevimento/relata e la cartella, infatti, è dovere di Equitalia tenere a deposito la copia di quest’ultima in modo da dimostrarne la correlazione con la ricevuta di notifica.

L’opinione della Commissione Tributaria di Salerno e della Cassazione

Questo è ciò che ha affermato la Commissione Tributaria Provinciale di Salerno in una sentenza recente.

 In caso di contestazione sulla notifica delle cartelle, sostengono i giudici, la dimostrazione di aver svolto la notifica secondo le norme di legge è l’onere probatorio più rilevante in capo ad Equitalia. L’allegazione degli estratti di ruolo e delle relate di notifica non è sufficiente a tal fine e bisogna, infatti, esibire la copia integrale della cartella che si assume essere stata notificata.  In precedenza, anche la Cassazione ha avuto modo di precisare che, nel caso in cui la cartella fosse stata notificata tramite raccomandata, “le ricevute di ritorno esibite provano solo il fatto che il contribuente abbia ricevuto un plico ma ‘non assolutamente’ il suo contenuto”.

Un obbligo per legge

D’altro canto, l’esibizione della cartella è un obbligo richiesto espressamente dalla legge, che sostiene come la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notifica debba essere conservata per cinque anni dal concessionario. Quest’ultimo ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione.

In assenza della documentazione probatoria, precisano I giudici salernitani, Equitalia avrebbe dovuto allegare. Comunque va accertato l’avvenuto decorso del termine di prescrizione decorrente dalle date ipotizzate come notifica avvenuta.

Pertanto, nel calcolo dell’eventuale termine di prescrizione, nel caso in cui Equitalia non avesse depositato le copie delle cartelle notificate insieme agli avvisi ricevimento/relate, sono le date ipotizzate di avvenuta notifica cui occorre fare riferimento.

Le cartelle esattoriali di Equitalia, come quelle di tutti gli altri agenti della riscossione, vanno in prescrizione dopo un certo periodo di tempo. La cancellazione del debito e la sua rimozione dall’estratto di ruolo del contribuente può presentare però alcune difficoltà che è bene conoscere. In primo luogo, bisogna imparare ad accorgersi quando una cartella esattoriale è andata in prescrizione.

Decadenza e prescrizione delle cartelle di pagamento

Non è facile accorgersi con tempestività che una cartella esattoriale è scaduta innanzitutto perché ci sono diversi tipi di scadenze per diverse forme di tributo e di sanzione. Vediamo allora in via preliminare quali sono i termini di decadenza e prescrizione dei più frequenti tipi di cartelle di pagamento.
Per quanto riguarda l’IVAi termini di prescrizione dell’imposta sono di 10 anni. Passato questo periodo di tempo, dunque, l’eventuale pignoramento ai danni del contribuente non può più avvenire. L’IVA va invece in decadenza, per le dichiarazioni dei redditi presentate fino al 2015, il 31 dicembre del 4° anno successivo in caso di dichiarazione infedele e il 31 dicembre del 5° anno in caso di dichiarazione omessa. A partire dal 2016 i termini di decadenza cambiano rispettivamente al 31 dicembre del 5° e 7° anno successivi alla presentazione. Discorso molto simile per l’IRPEF e l’IRAP: i termini di prescrizione sono di 10 anni, e la decadenza fino al 2015 scatta il 31 dicembre del 4° anno successivo in caso di dichiarazione infedele e il 31 dicembre del 5° anno in caso di dichiarazione omessa. Per le dichiarazioni presentate a partire dal 2016, valgono le stesse modifiche previste per l’IVA.

Discorso diverso per TASI e IMU: in questo caso i termini di prescrizione sono di soli 5 anni. Per quanto riguarda la decadenza, essa scatta il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato. I contributi INPS e INAIL vanno similmente in prescrizione dopo 5 anni, ma decadono generalmente il 31 dicembre dell’anno successivo al termino fissato per il versamento. Canone Rai, imposta ipocatastale e imposta di registro, infine, vanno in prescrizione dopo 10 anni, mentre le contravvenzioni al Codice della Strada scadono dopo 5 anni e il bollo auto dopo 3 anni.

Cartella esattoriale prescritta: cosa fare?

Se è vero che raramente Equitalia avanza erroneamente un pignoramento sulla basa di una cartella scaduta, è anche vero che non è semplice farsi riconoscere la cancellazione del debito anche nei casi in cui ci si renda conto perfettamente della situazione. Non si può, infatti, ricorrere a un giudice, perché il diritto a impugnare un atto di Equitalia in tribunale scade solitamente a 60 giorni dalla notifica della cartella. La strada migliore è allora quella di attendere una successiva notifica dell’agente di riscossione, come un’intimazione di pagamento o l’avvio di un pignoramento, e impugnare quest’ultimo atto in tribunale prima della scadenza.


I giudici europei rilevano diritto alle ferie un principio importante del diritto sociale UE

Un lavoratore ha diritto a un’indennità finanziaria se non ha potuto usufruire di una parte o della totalità delle ferie annuali retribuite – anche se sia egli stesso a porre fine al proprio rapporto di lavoro.

Questo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea nella sua sentenza sul contendere tra l’azienda del personale del comune della città di Vienna e un suo dipendente, Hans Maschek.

Il caso

Dipendente pubblico della città di Vienna, il sig. Maschek è stato collocato a riposo su sua richiesta, dal 1° luglio 2012. Nel periodo compreso tra il 15 novembre 2010 e il 30 giugno 2012, aveva continuato a percepire lo stipendio pur non presentandosi sul posto di lavoro: inizialmente, grazie a un periodo di congedo, poi tramite una convenzione con il proprio datore di lavoro.

Dopo la sua entrata in pensione, il sig. Maschek ha chiesto al proprio datore di lavoro di pagare un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute perché, a suo dire, si era nuovamente ammalato poco prima del pensionamento.

Per tutta risposta, il datore di lavoro ha respinto la sua domanda ai sensi della normativa riguardante la retribuzione dei dipendenti pubblici della città di Vienna. Quest’ultima stabilisce che un lavoratore che ponga fine al rapporto di lavoro di propria iniziativa non abbia diritto a tale indennità – in particolar modo quando chiede di essere collocato a riposo.

A seguito del ricorso proposto dal sig. Maschek, contrario tale rigetto, il tribunale amministrativo di Vienna, il Verwaltungsgericht Wien, ha chiesto alla Corte di giustizia Europea di pronunciarsi sulla compatibilità o meno di una normativa di tal genere con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la direttiva 2003/88.

La sentenza della Corte UE e la direttiva 2003/88

Pronunciandosi sul caso, la Corte ha indicato come la direttiva 2003/88 preveda, per quanto riguarda certi aspetti dell’orario di lavoro, che ogni lavoratore debba beneficiare di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane.

Tale diritto rappresenta un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’unione, hanno rilevato i giudici europei, che hanno aggiunto come questo vada riconosciuto a ogni lavoratore a prescindere dal suo stato di salute.

Nel momento in cui si pone fine al rapporto di lavoro, non è più possibile avvalersi delle ferie annuali retribuite.  La direttiva prevede perciò che il lavoratore abbia diritto a un’indennità finanziaria al fine di evitare che, a causa di tale impossibilità, non riesca in alcun modo a beneficiare di tale diritto, neppure in forma pecuniaria.

La Corte ha considerato irrilevante il motivo per cui il rapporto di lavoro è cessato e ha sostenuto quindi che il fatto che un lavoratore abbia posto fine di sua iniziativa al rapporto di lavoro non condiziona in nessun modo il suo diritto di percepire all’eventuale indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite di cui non ha potuto usufruire prima della cessazione del rapporto di lavoro.


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 15-12-2015) 20-07-2016, n. 14916

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. CICALA Mario – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1451/2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

WORLD ARROW TOURS & CHARTERS;

– intimata –

sul ricorso 4758/2008 proposto da:

WORLD ARROW TOURS & CHARTERS INC, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 1348, presso lo studio dell’avvocato GIAMPAOLO RUGGIERO, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 360/34/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 02/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2015 dal Consigliere Dott. BIAGIO VIRGILIO;

uditi gli avvocati Gianna Maria DE SOCIO dell’Avvocatura Generale dello Stato, Giampaolo RUGGIERO;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per la dichiarazione di ammissibilita’ del ricorso.

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in epigrafe, con la quale e’ stato rigettato l’appello dell’Ufficio e confermata l’illegittimità di cinque avvisi di accertamento emessi ai fini IVA per gli anni dal 1999 al 2003 nei confronti della società statunitense World Arrow Tours & Charters Inc.: con essi l’Ufficio aveva recuperato a tassazione l’imposta (precedentemente rimborsata) ritenuta illegittimamente detratta ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 ter, comma 3, in quanto la società aveva svolto attività di tour operator, e non solo di autonoleggio, con conseguente indetraibilità dell’IVA relativa ai costi sostenuti per le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da terzi a diretto vantaggio dei viaggiatori.

Il giudice d’appello ha ritenuto inadeguate le prove fornite dall’Ufficio (sito web, procura rilasciata dalla società al proprio rappresentante in Italia) al fine di dimostrare con ragionevole certezza che la contribuente, negli anni in contestazione, svolgesse effettivamente attività di tour operator e non soltanto di autonoleggio.

2. La World Arrow Tours & Charters Inc. ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo; ha anche depositato memoria.

In via pregiudiziale, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 330 cod. proc. civ., perché notificato presso il difensore domiciliatario per il giudizio di primo grado, anziché presso il difensore costituito nel giudizio di appello e presso il quale essa aveva eletto domicilio per tale grado del processo.

3. La quinta sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 15946 del 2014, resa all’esito dell’udienza del 9 giugno 2014 e depositata l’11 luglio 2014, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite, avendo rilevato contrasti nella giurisprudenza della Corte sulle seguenti questioni: a) se alla proposizione del ricorso per cassazione avverso sentenze delle commissioni tributarie regionali debba applicarsi la disciplina dettata dall’art. 330 cod. proc. civ., oppure quella speciale prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2, relativo al processo tributario; b) ove si accolga la prima tesi, se sia affetta da inesistenza giuridica oppure da nullità, sanabile secondo le norme del codice di rito, la notificazione eseguita presso il procuratore domiciliatario della controparte in primo grado, nel caso in cui questa b1) sia rimasta contumace in appello, o allorché’ b2) abbia revocato il mandato a detto difensore e lo abbia sostituito con un nuovo difensore presso il quale abbia anche eletto domicilio.

4. I ricorsi sono stati quindi fissati per l’odierna udienza.

5. L’Agenzia delle entrate ha depositato memoria.

Motivi della decisione
1.1. La prima questione che le sezioni unite sono chiamate a dirimere concerne l’individuazione della disciplina da applicare in ordine al luogo di notificazione del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di una commissione tributaria regionale.

Si tratta di stabilire, a fronte di orientamenti non univoci, qual e’ il rapporto tra il regime dettato dall’art. 330 cod. proc. civ. e quello previsto, per il processo tributario, dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17: in particolare, il quesito è se al ricorso per cassazione si applichi in via esclusiva la disciplina del codice di rito ordinario, oppure possa, e in quali limiti, trovare applicazione la normativa speciale dettata, in materia, dal citato art. 17 del decreto sul processo tributario.

1.2. Per quanto qui interessa, l’art. 330 cit. (rubricato “Luogo di notificazione della impugnazione”) dispone, al primo comma, che “se nell’atto di notificazione della sentenza la pane ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, l’impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica, ai sensi dell’art. 170, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio” (le parole “ai sensi dell’art. 170” sono state inserite dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 10, ed hanno effetto per i giudizi iniziati, in primo grado, dopo il 4 luglio 2009).

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 (articolo rubricato “Luogo delle comunicazioni e notificazioni”), dopo aver stabilito, al comma 1, che “le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio”, prevede, al comma 2, il quale in particolare rileva in questa sede, che “l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo”.

Va aggiunto che: a) ai sensi dell’art. 1, comma 2, del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”; b) in senso sostanzialmente conforme, l’art. 49 dispone che “alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo 3, capo 1, del libro 2 del codice di procedura civile, e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto” (le parole “escluso l’art. 337” sono state soppresse dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. u, entrato in vigore, in pane qua, l’1 gennaio 2016); c) l’art. 62, in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, stabilisce, infine, al comma 2, che “al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto” (ora il citato D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. z, ha introdotto la possibilità, sull’accordo delle parti, del ricorso per saltum avverso le sentenze delle commissioni tributarie provinciali, unicamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

1.3. Queste sezioni unite, con sentenza n. 29290 del 2008, hanno affermato che la previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 costituisce eccezione alla sola disposizione di cui all’art. 170 cod. proc. civ. per le notificazioni endoprocessuali, con la conseguenza che, mancando, per la notifica degli atti di impugnazione, una disposizione specifica, deve trovare applicazione quella prevista dall’art. 330 cod. proc. civ. (si e’ ritenuta, quindi, nella fattispecie, validamente eseguita la notificazione del ricorso in appello effettuata presso il procuratore costituito – non domiciliatario – della parte nel giudizio di primo grado).

Con la recente sentenza n. 8053 del 2014, poi, le sezioni unite, occupandosi in particolare della questione dell’applicabilità al ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie delle disposizioni di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (convertito dalla L. n. 134 del 2012), hanno ribadito la “significativa contrapposizione” tra le disposizioni di rinvio contenute nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 49, relative al processo e alle impugnazioni in generale, e la disposizione di rinvio contenuta nel successivo art. 62, relativa al giudizio di cassazione: gli artt. 1 e 49 istituiscono un’autentica specialità del rito tributario, sancendo la prevalenza della norma processuale tributaria, ove esistente, sulla norma processuale ordinaria, la quale ultima si applica, quindi, in via del tutto sussidiaria, oltre che nei limiti della compatibilità; l’art. 62, viceversa, per il giudizio di cassazione, fa espressamente riferimento all’applicabilità delle norme del codice di procedura civile, così attribuendo, per questa sola ipotesi, la prevalenza alle norme processuali ordinarie ed escludendo l’esistenza di un “giudizio tributario di legittimità”, cioè di un giudizio di cassazione speciale in materia tributaria.

1.4. Alla stregua del sopra delineato quadro normativo, nonché dei principi che ne ha tratto la sentenza n. 8053 del 2014, deve ritenersi che, quanto all’individuazione del luogo in cui va effettuata la notificazione delle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie, occorre tenere distinta la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 per il processo tributario, cioè per quello che si svolge dinanzi alle commissioni tributarie, da quella prevista dal codice di rito ordinario in tema di ricorso per cassazione.

In particolare, per un verso non esistono ragioni normative che impongano di affermare che l’art. 17 cit. si riferisce esclusivamente alle notificazioni endoprocessuali, laddove, anzi, proprio la previsione secondo cui “l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo” (comma 2), nonché esigenze di coerenza sistematica, inducono alla conclusione che la norma è applicabile, con carattere di specialità e quindi di prevalenza, anche alla notificazione del ricorso in appello.

Per altro verso, alla notificazione del ricorso per cassazione si applica, ai sensi del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, la disciplina di cui all’art. 330 cod. proc. civ. (che non può certo essere esclusa per il fatto che nel processo tributario ben può accadere che esista un difensore che non sia anche procuratore ad litem, ciò incidendo soltanto sull’ambito applicativo della norma in relazione alla concreta fattispecie).

Va però fatta, al riguardo, la seguente importante precisazione.

La previsione di ultrattività dell’indicazione della residenza (o della sede) e dell’elezione di domicilio non può non riflettersi sull’individuazione del luogo di notificazione del ricorso per cassazione: ne consegue che, in deroga alla regola ordinaria, il ricorso è validamente notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi, anche nel caso in cui il soggetto destinatario della notificazione non si sia costituito nel giudizio di appello (oppure, pur costituitosi, non abbia effettuato alcuna indicazione) (Cass. nn. 10055 del 2000, 2882 e 15523 del 2009, 20200 del 2010, 1972 del 2015).

Non si tratta di estendere al ricorso per cassazione la disciplina del processo tributario, bensì di riconoscere alla norma in esame un effetto esterno che indubbiamente si riverbera sul disposto dell’art. 330 cod. proc. civ., rendendolo, dunque, in parte qua pienamente applicabile.

1.5. Deve essere, in conclusione, enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della notificazione, la disciplina dettata dall’art. 330 cod. proc. civ.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione di domicilio effettuate in primo grado, stabilito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17, comma 2, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi, nel caso in cui la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione”.

1.6. Nella fattispecie, non sussistono le condizioni per ritenere valida la notificazione, poiché, come risulta dagli atti ed è evidenziato nell’ordinanza di rimessione, il ricorso e’ stato notificato presso il difensore domiciliatario della parte contribuente per il giudizio di primo grado, anziché presso il nuovo procuratore costituito nel giudizio di appello e presso il quale la parte stessa aveva eletto domicilio per tale grado del processo.

2.1. Vengono, quindi, in rilievo le ulteriori questioni esposte nell’ordinanza interlocutoria, concernenti le conseguenze derivanti dalla violazione della menzionata disposizione del codice di rito, in ordine alle quali si riscontrano orientamenti difformi nella giurisprudenza di questa Corte, espressi anche da pronunce delle sezioni unite.

In particolare, e in sintesi, il Collegio rimettente rileva quanto segue.

A) Notificazione del ricorso per cassazione eseguita presso il procuratore della controparte costituito in primo grado e contumacia della stessa nel giudizio di appello: a1) un primo orientamento, muovendo dal presupposto secondo cui l’elezione di domicilio presso il procuratore spiega effetto limitatamente al grado del giudizio per il quale la procura è stata conferita, salvo espressa contraria previsione, ritiene che siffatta notificazione del ricorso è affetta da giuridica inesistenza, non da mera nullità, in quanto eseguita in luogo e presso persona non aventi più alcun riferimento con il destinatario, con conseguente inammissibilità del ricorso, senza alcuna possibilità di sanatoria mediante costituzione della parte intimata o rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. (tra altre, Cass., sez. un., nn. 6248 del 1982 e 9539 del 1996, nonché Cass. mi. 1100 del 2001 e 5025 del 2002); a2) altro indirizzo, muovendo dal medesimo presupposto, perviene alla opposta conclusione secondo cui la notificazione, essendo eseguita in luogo diverso da quello prescritto dall’art. 330 c.p.c., comma 1, ma non privo di un qualche collegamento con il destinatario della notifica, deve considerarsi nulla e non inesistente (e, quindi, sanabile mediante rinnovazione o costituzione della parte intimata), in quanto l’atto, pur se viziato, poiché eseguito al di fuori delle previsioni di legge, può essere riconosciuto come appartenente alla categoria delle notificazioni, anche se non è idoneo a produrre in modo definitivo gli effetti propri del tipo di atto in questione (tra altre, Cass., sez. un., n. 10817 del 2008 e Cass. nn. 6947 del 1995, 7818 e 16952 del 2006).

B) Notificazione del ricorso per cassazione effettuata presso il procuratore della controparte costituito in primo grado e revoca del mandato a tale difensore con nomina di uno diverso per il grado di appello: B1) anche in questo caso, ed analogamente, secondo un primo indirizzo la notificazione è affetta da giuridica inesistenza e non da mera nullità (con esclusione, pertanto, di ogni possibilità di sanatoria o rinnovazione), dal momento che, una volta intervenuta la sostituzione del difensore revocato, si interrompe ogni rapporto tra la parte ed il procuratore cessato e questi non è più gravato da alcun obbligo, non operando, in tale ipotesi, la proroga disposta dall’art. 85 cod. proc. civ. per il solo caso della semplice revoca del mandato, non accompagnata dalla nomina di un nuovo difensore (tra altre, Cass., sez. un., n. 3947 del 1987 e Cass. nn. 9147 del 2007, 3338 del 2009, 13477 del 2012); b2) altro orientamento ritiene, invece, che una tale notifica, essendo eseguita in un luogo diverso da quello prescritto, ma non privo di un astratto collegamento con il destinatario, è affetta da nullità e non da giuridica inesistenza, con l’effetto che la rituale presentazione del controricorso contenente la difesa nel merito, dimostrando ex post che la notificazione ha raggiunto lo scopo cui era preordinata, impedisce di ritenerla inesistente poiché non riferibile al luogo ed alla parte destinataria, con conseguente ammissibilità del ricorso (ex aliis, Cass. n. 22293 del 2004, 13667 del 2007 e 13451 del 2013).

2.2. Anche se nella fattispecie l’ipotesi ricorrente, come detto sopra, e’ quella indicata nel paragrafo precedente sul) B), ritengono le sezioni unite che le questioni sollevate necessitano di un esame e di una soluzione unitari, poiché investono, in radice, un unico problema di fondo – di notevolissimo rilievo teorico e pratico (in quanto ha dato luogo da decenni, e continua a dar luogo, a persistenti oscillazioni giurisprudenziali) -, che consiste nell’individuare un criterio distintivo il più possibile chiaro, univoco e sicuro tra le tradizionali nozioni di inesistenza e di nullità della notificazione (specificamente, del ricorso per cassazione) e che, in definitiva, tocca la stessa validità concettuale (e concreta utilità) della distinzione tra le due nozioni, cioè, in sostanza, la configurabilità della inesistenza come “vizio” dell’atto, autonomo e più grave della nullità, con le conseguenze che ne derivano.

2.3. L’unica norma del codice di procedura civile che si occupa dell’invalidità della notificazione è l’art. 160, il quale, sotto la rubrica “Nullità della notificazione”, dispone che “La notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione degli artt. 156 e 157”.

Ai fini che qui interessano assume centrale rilievo l’art. 156 (“Rilevanza della nullità”), il quale prevede che: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge” (comma 1); “Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo” (comma 2); “La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato” (comma 3).

Una prima osservazione può essere già formulata: in tema di notificazione, come in generale di atti processuali, il codice non contempla la categoria della “inesistenza”, nemmeno con riguardo alla sentenza priva della sottoscrizione del giudice, qualificata come affetta da nullità per la quale è tuttavia esclusa, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 2, l’applicazione del principio dell’assorbimento nei mezzi di gravame -sul tema cfr. ora Cass., sez. un., n. 11021 del 2014 -; nullità, quindi, assolutamente insanabile (in relazione alla quale viene evocata, da una gran parte della dottrina e della giurisprudenza, la figura della inesistenza).

Tale constatazione, tuttavia, per un verso non e’ appagante: il legislatore non ha motivo di disciplinare gli effetti di ciò che non esiste, non solo, com’è ovvio, dal punto di vista storico-naturalistico, ma anche sotto il profilo giuridico; per altro verso, induce a ritenere che la nozione di inesistenza della notificazione debba essere definita in termini assolutamente rigorosi, cioè confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione (già da tempo la giurisprudenza ha sottolineato l’esigenza di assegnare carattere residuale alla categoria dell’inesistenza della notificazione: Cass., sez. un., n. 22641 del 2007 e n. 10817 del 2008; Cass. n. 6183 del 2009 e n. 12478 del 2013).

In definitiva, deve affermarsi che l’inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto.

L’inesistenza non è, dunque, in senso stretto, un vizio dell’atto più grave della nullità, poiché la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto.

2.4. Rilievo fondamentale va attribuito in materia al citato art. 156 cod. proc. civ. (richiamato dall’art. 160), nel quale trova diretta espressione unitamente all’art. 121 (“Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”) e 131, comma 1 (secondo il quale, quando la legge non prescrive che il giudice pronunci sentenza, ordinanza o decreto, “i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo”) – il principio di strumentalità delle forme degli atti processuali, che permea l’intero codice di procedura civile ed al quale, quindi, l’interprete deve costantemente ispirarsi.

Le forme degli atti, cioè, sono prescritte al fine esclusivo di conseguire un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto e’ destinato ad assolvere nell’ambito del processo, e così, in definitiva, con lo scopo ultimo del processo, consistente nella pronuncia sul merito della situazione giuridica controversa: che il principio del “giusto processo”, di cui all’art. 111 Cost. ed all’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, comprenda, tra i valori che intende tutelare (oltre alla durata ragionevole del processo, all’imparzialità del giudice, alla tutela del contraddittorio, ecc.), il diritto di ogni persona ad un “giudice” che emetta una decisione sul merito della domanda ed imponga, pertanto, all’interprete di preferire scelte ermeneutiche tendenti a garantire tale finalità, costituisce affermazione acquisita nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., sez. un., nn. 15144 del 2011, 17931 del 2013, 5700 del 2014, nonché Cass. nn. 3362 del 2009, 14627 del 2010, 17698 del 2014, 1483 del 2015), anche alla luce di quella della Corte EDU, la quale ammette limitazioni all’accesso ad un giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra altre, Omar c. Francia, 29 luglio 1998; Beller c. Francia, 4 dicembre 1995), ponendo in rilievo la esigenza che tali limitazioni siano stabilite in modo chiaro e prevedibile (v., ad es., Faltejsek c. Rep. Ceca, 15 agosto 2008).

2.5. In particolare, riveste importanza decisiva il comma 3 art. 156 cit., il quale, dopo che nel comma precedente è previsto che la nullità può essere pronunciata – anche al di là dell’espressa comminatoria di legge “quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”, stabilisce, con formula perentoria e di chiusura, che la nullità “non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.

Da tale norma discendono, per quanto concerne la notificazione, le seguenti conseguenze:

a) occorre che un “atto”, riconoscibile come “notificazione”, esista, nei ristretti termini sopra indicati, e che verranno di seguito precisati;

b) se così è, qualunque vizio dell’atto ricade nell’ambito della nullità, senza che possa distinguersi, al fine di individuare ulteriori ipotesi di inesistenza attraverso la negazione del raggiungimento dello scopo, tra valutazione ex ante e constatazione ex post, poiché il legislatore ha chiaramente inteso dare prevalenza a quest’ultima – in piena attuazione del principio della strumentalità delle forme -, cioè ai dati dell’esperienza concreta, sia pure dovuta ad accadimenti del tutto accidentali, rispetto agli elementi di astratta potenzialità e prevedibilità.

2.6. Scopo della notificazione è quello di provocare la presa di conoscenza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilità, con gli effetti che ne conseguono (in termini – per quanto qui interessa – di instaurazione del contraddittorio).

In presenza di una notificazione nulla, così come opera la sanatoria per raggiungimento dello scopo, attraverso la costituzione in giudizio della parte intimata, correlativamente, in mancanza di tale costituzione, il giudice, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., deve dispone la rinnovazione della notificazione (fissando a tal fine un termine perentorio), a meno che la parte stessa non abbia a ciò già spontaneamente provveduto.

Entrambi i rimedi, che sono previsti a fronte del verificarsi del medesimo presupposto della nullità della notificazione – con l’unica peculiarità che l’attivazione spontanea della parte (con la costituzione o la rinnovazione) rende superfluo l’intervento del giudice -, operano con efficacia ex tunc, cioè sanano con effetto retroattivo il vizio della notificazione (quella originaria, nel caso di rinnovazione): ciò è previsto espressamente nel citato art. 291 (“la rinnovazione impedisce ogni decadenza”), si configura come una normale qualità del concetto di sanatoria e costituisce un’ulteriore espressione del principio di strumentalità delle forme.

Va ribadito, per completezza, che il detto effetto sanante ex tunc prodotto dalla costituzione del convenuto – la quale non è mai tardiva, poiché la nullità della notificazione impedisce la decorrenza del termine (per tutte, Cass., sez. un., n. 14539 del 2001) – opera anche nel caso in cui la costituzione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullità (tra altre, Cass., sez. un., n. 5785 del 1994; Cass. nn. 10119 del 2006, 13667 del 2007, 6470 del 2011).

2.7. La notificazione è solitamente definita come una sequenza di atti, un procedimento, articolato in fasi e finalizzato allo scopo indicato nel paragrafo precedente.

Gli elementi costitutivi imprescindibili di tale procedimento vanno individuati, quanto al ricorso per cassazione: a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtu’ dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita: restano, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

La presenza di detti requisiti, che possono definirsi strutturali, va ritenuta idonea ai fini della riconoscibilità dell’atto come notificazione: essi, cioè, sono sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione, rendendo qualificabile l’attività svolta come atto appartenente al tipo previsto dalla legge.

In conclusione, deve essere superata la tesi che include in tale modello legale, facendone derivare, in sua mancanza, la inesistenza della notificazione, il requisito del “collegamento” (o del “riferimento”) tra il luogo della notificazione e il destinatario: si tratta, infatti, di un elemento che si colloca fuori del perimetro strutturale della notificazione e la cui assenza (come nelle fattispecie indicate nell’ordinanza di rimessione) ricade, in base all’insieme delle considerazioni fin qui svolte, nell’ambito della nullità, sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione dell’intimato o la rinnovazione dell’atto, spontanea o su ordine del giudice.

2.8. Vanno, pertanto, enunciati i seguenti principi di diritto:

– “L’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtu’ dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”;

– “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.”.

3. Alla luce degli esposti principi, nella fattispecie la notificazione del ricorso principale, eseguita presso il difensore domiciliatario della controparte per il giudizio di primo grado, anziché presso il difensore costituito nel giudizio di appello e presso il quale essa aveva eletto domicilio per tale grado del processo, è affetta da nullità per violazione dell’art. 330 cod. proc. civ., sanata dall’avvenuta costituzione della parte medesima.

4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato ammissibile, con rimessione degli atti alla quinta sezione civile per l’ulteriore esame.

P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, dichiara ammissibile il ricorso principale e rimette gli atti alla quinta sezione civile.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2016


Furbetti del cartellino: entrano in vigore le nuove norme

Vita dura per i “furbetti del cartellino”. Entra in vigore, infatti, il decreto legislativo n. 116/2016 pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 giugno scorso (qui sotto riportato), emanato in attuazione della riforma Madia e avente il fine di mettere alle strette gli assenteisti della Pubblica Amministrazione, con un contrasto più forte che passa da un procedimento “accelerato” con sospensioni veloci e licenziamenti rapidi per chi è colto in flagranza ad attestare falsamente la presenza al lavoro, ma anche super sanzioni a carico di chi deve vigilare.

Lo scopo è quello di mettere un freno a un fenomeno che colpisce la credibilità dell’intera amministrazione pubblica, accelerato dal dibattito avviato dopo il recente episodio del comune di Sanremo (con quasi 200 indagati su poco più di 500 dipendenti) che di fatto ha scoperchiato un “vaso di Pandora” rivelando una questione nazionale che riguarda indifferentemente Nord e Sud, da Belluno alla provincia di Reggio Calabria e da ultimo a quella di Napoli, con oltre 200 episodi di assenteismo e 23 dipendenti “beccati” in flagranza, due dei quali mentre timbravano con la testa coperta da una scatola di cartone.

Saranno operative le diverse novità introdotte dal decreto che ha modificato l’art. 55 quater del Testo unico del pubblico impiego (Dlgs 165/2001).

La falsa attestazione della presenza

In base alle nuove norme, costituisce falsa attestazione della presenza in servizio, “qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso”.

La sospensione senza stipendio

Se la falsa attestazione della presenza in servizio, viene “accertata in flagranza, in altre parole mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze”, l’amministrazione deve disporre l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, “fatto salvo solamente il diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato”.

La sospensione deve essere disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque “entro quarantotto ore” dalla conoscenza del fatto.

Nel caso di violazione di tale termine, in ogni caso non si determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile.

Il licenziamento

Con il medesimo provvedimento di sospensione, si avvia il procedimento disciplinare, procedendo anche alla contestuale contestazione scritta dell’addebito e alla convocazione del dipendente per il contraddittorio a sua difesa.

Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno 15 giorni, potendo farsi assistere da un procuratore o da un rappresentante del sindacato cui aderisce o conferisce mandato.

Fino all’audizione, il dipendente può inviare memoria scritta o in caso di “grave, oggettivo e assoluto impedimento”, chiedere rinvio (motivato) del termine per l’esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a 5 giorni. Il differimento può essere disposto soltanto una volta nel corso del procedimento.

L’ufficio deve concludere il procedimento “entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito”. Anche in tal caso, la violazione dei termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare ne’ l’invalidità della sanzione irrogata, “purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’articolo 55-bis, comma 4”.

Al termine della procedura, se le giustificazioni addotte non sono considerate sufficienti, il lavoratore può essere licenziato.

Il danno all’immagine

Il dipendente beccato ad attestare falsamente la propria presenza al lavoro rischia anche di risarcire il danno all’immagine prodotto alla P.A.

La denuncia dei fatti al Pubblico Ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei Conti va fatta dal responsabile della struttura che ha sospeso il dipendente entro 15 giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. Entro tre mesi dal licenziamento, se ritiene ricorrenti i presupposti, la procura della Corte dei Conti, emette nei confronti del dipendente “invito a dedurre” per il danno d’immagine. L’azione va esercitata entro 120 giorni successivi alla denuncia e senza possibilità di proroga. Quanto all’ammontare del danno risarcibile, questo è rimesso alla valutazione equitativa del giudice, tenendo conto anche della “rilevanza del fatto per i mezzi di informazione”. In ogni caso, l’eventuale condanna non può essere inferiore a 6 mesi di stipendio, oltre agli interessi e alle spese di giustizia.

Puniti anche colleghi e dirigenti

Della violazione perpetrata dal lavoratore sulla falsa attestazione in servizio, rispondono anche i colleghi e comunque “chi agevola con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”.

La legge punisce anche i dirigenti e i responsabili di servizio competenti che, avendo acquisito conoscenza del fatto, non si siano attivati ad avviare il procedimento disciplinare e abbiano omesso l’adozione del provvedimento di sospensione cautelare, salvo che non abbiano avuto “giustificato motivo”.

Tali condotte costituiscono “illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell’ufficio competente per il procedimento disciplinare, all’autorità giudiziaria ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali reati”.

Disposizioni transitorie

Le disposizioni dettate dal nuovo decreto si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso, e cioè a partire dal 28 giugno.

DECRETO LEGISLATIVO 20 giugno 2016, n. 116 (1).

Modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare.

(1)Pubblicato nella Gazz. Uff. 28 giugno 2016, n. 149.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76, 87 e 97 della Costituzione;

Vista la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, e, in particolare, l’articolo 17, comma 1, lettera s), recante delega al Governo per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche;

Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e, in particolare gli articoli 55, 55-bis, 55-ter, 55-quater, 55-quinquies, 55-sexies come successivamente modificati dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 20 gennaio 2016;

Sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nella riunione del 4 febbraio 2016;

Acquisito il parere della Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso nella seduta del 3 marzo 2016;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 16 marzo 2016;

Acquisito il parere della Commissione parlamentare per la semplificazione e delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 15 giugno 2016;

Sulla proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

EMANA

il seguente decreto legislativo:

Art. 1. Modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165

  1. All’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni:
  2. a) dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.»;
  3. b) dopo il comma 3, sono inseriti i seguenti: «3-bis. Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all’assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato. La sospensione è disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione di tale termine non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile.

3-ter. Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare di cui al comma 3-bis si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’Ufficio di cui all’articolo 55-bis, comma 4. Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno quindici giorni e può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato. Fino alla data dell’audizione, il dipendente convocato può inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l’esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni. Il differimento del termine a difesa del dipendente può essere disposto solo una volta nel corso del procedimento. L’Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito. La violazione dei suddetti termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’articolo 55-bis, comma 4.

3-quater. Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L’azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all’articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.

3-quinquies. Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l’omessa attivazione del procedimento disciplinare e l’omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell’ufficio competente per il procedimento disciplinare, all’Autorità giudiziaria ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali reati.».

Art. 2. Clausola di invarianza finanziaria

  1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 3. Disposizione transitoria

  1. Le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 05-04-2016) 15-07-2016, n. 14594

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20550/2014 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che la rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso (ammesso al G.P. in data 9/9/2014);

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., società con socio unico, in persona dell’Amministratore Delegato pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 923/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 20/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/04/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

uditi gli avvocati Sergio GALLEANO e Luigi FIORILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. P.S. chiede la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna, pubblicata il 20 agosto 2013, emessa nella causa proposta nei confronti di Poste italiane spa.

2. La ricorrente espone di aver convenuto la società dinanzi al Tribunale di Bologna chiedendo che venisse accertata la illegittimità dell’apposizione del termine di tre contratti di lavoro subordinato, stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, (introdotto dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266):

3. Il Tribunale respinse il suo ricorso e la Corte d’appello di Bologna respinse il suo appello. Contro tale decisione la ricorrente propone un ricorso per cassazione articolato in due motivi.

4. La società si è difesa con controricorso, eccependo, preliminarmente inammissibilità del ricorso per tardività della notifica.

5. La questione di fondo è stata rimessa dalla Sezione lavoro al Primo Presidente, il quale ha disposto che la Corte pronunci a Sezioni unite (le problematiche rimesse alle Sezioni unite sono state decise, in causa analoga, con sentenza 31 maggio 2016, n. 11374).

Motivi della decisione
6. L’eccezione di inammissibilità per tardività della notifica del ricorso è fondata.

7. La sentenza della Corte d’appello di Bologna, oggetto dell’impugnazione, fu pubblicata il 20 agosto 2013. Quasi un anno dopo, il 12 agosto 2014, la ricorrente richiese la notifica del ricorso per cassazione presso gli avvocati Luigi Fiorillo e Varoutsickou Cristina, via Panzacchi 19 Bologna (indirizzo dello studio dell’avv. Cristina Varoutsickou, indicata come domiciliataria nella sentenza impugnata).

8. Il difensore della ricorrente per cassazione depositò nella cancelleria della Corte di cassazione un atto datato 15 ottobre 2014, definito “Istanza di concessione termine per notifica”, con il quale espose che la notifica del ricorso richiesta il 12 agosto 2014 con riferimento al domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Cristina Varoutsickou, sito in Bologna, viale Panzacchi n. 19, non era andata a buon fine, in quanto, come si evinceva dalla ricevuta di ritorno, l’avvocato domiciliatario risultava trasferito presso una nuova sede in via della Zecca, 1, Bologna.

Chiese, pertanto, l’assegnazione di un termine per provvedere alla notifica del ricorso al procuratore costituito nel nuovo domicilio eletto.

9. Con provvedimento del 22 ottobre 2014 il coordinatore della Sesta sezione-lavoro, esaminata la richiesta, invitò l’istante a procedere a nuova notifica, precisando che sarebbe stato poi il collegio giudicante a valutare l’idoneità delle giustificazioni e l’ammissibilità del ricorso.

10.11 procuratore della ricorrente richiese in data 12 novembre 2014 una nuova notifica all’avv. Cristina Varoutsickou, in via della Zecca n. 1, Bologna, che è stata effettuata mediante spedizione a mezzo del servizio postale il 13 novembre 2014 (l’atto è stato ricevuto dalla controparte il 19 novembre 2014).

11. Nella sua memoria la società intimata, a sostegno della eccezione di tardività, ha precisato che il trasferimento dell’avvocato domiciliatario era avvenuto sin dal 1 ottobre 2012.

12. Si pongono due problemi, in successione logica tra loro.

13. Il primo è quello della imputabilità dell’errore sul domicilio.

Le Sezioni unite, distinguono a tal fine due ipotesi, a seconda che il procuratore eserciti o meno la sua attività professionale, nel circondario del Tribunale in cui si svolge la controversia.

14. “Nel caso di difensore che svolga le sue funzioni nello stesso circondario del Tribunale a cui egli sia professionalmente assegnato, è onere della parte interessata ad eseguire la notifica accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale, quale sia l’effettivo domicilio professionale del difensore, con la conseguenza che non può ritenersi giustificata l’indicazione nella richiesta di notificazione di un indirizzo diverso, ancorchè eventualmente corrispondente a indicazione fornita dal medesimo difensore nel giudizio non seguita da comunicazione nell’ambito del giudizio del successivo mutamento” (sez. un., 24 luglio 2009, n. 17352, richiamando sez. un., 18 febbraio 2009, n. 3818).

15. Le medesime sentenze delle Sezioni unite indicano una soluzione diversa per il caso (come quello in esame) in cui il difensore svolga le sue funzioni in un altro circondario ed abbia proceduto all’elezione di domicilio ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82. Tali pronunce ricostruiscono il sistema nel senso che solo in caso di svolgimento di attività al di fuori della circoscrizione di assegnazione si delinea un obbligo di comunicare i mutamenti di domicilio, che invece non sussiste quando il procuratore operi nel suo circondario (così, in particolare, sez. un., 3818/2009, cit., cui si rinvia per una più completa ricostruzione della normativa del 1934 e della ratio dell’art. 82).

16. In questo tipo di situazione “la notifica dell’impugnazione al procuratore che, esercente fuori della circoscrizione, abbia eletto domicilio ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, presso un altro procuratore, assegnato alla circoscrizione dell’ufficio giudiziario adito, va effettuata nel luogo indicato come domicilio eletto in forza degli artt. 330 e 141 c.p.c., senza che al notificante sia fatto onere di riscontrare previamente la correttezza di quell’indirizzo presso il locale albo professionale, perchè è onere della parte che ha eletto domicilio comunicare alla controparte gli eventuali mutamenti”.

17. In tal senso si esprimono le sentenze delle sezioni unite prima richiamate, nonchè la successiva giurisprudenza delle sezioni semplici, compresa quella della sesta sezione civile (cfr., da ultima, Cass., 6-3, ord., 18 novembre 2014, n. 24539).

18. Quindi, nel caso in esame, la ricorrente non aveva l’onere di controllare che l’indirizzo dello studio del procuratore domiciliatario della società intimata fosse mutato rispetto a quello dichiarato nel corso del giudizio e riportato nell’intestazione della sentenza impugnata e non ha errato nel richiedere la notificazione presso lo studio del procuratore domiciliatario indicato in sentenza.

19. L’esclusione dell’imputabilità di un errore a carico della ricorrente permette di passare all’esame di un secondo problema, consistente nello stabilire quale comportamento deve tenere la parte dopo aver preso atto del fatto che, a causa del trasferimento dello studio, la notifica richiesta non è andata a buon fine.

20. La giurisprudenza delle Sezioni unite è giunta sul punto ad una posizione precisa, costantemente seguita dalla successive decisioni delle sezioni semplici.

21. Cass., sez. un., 24 luglio 2009, n. 17352, ha fissato il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quest’ultimo, ove se ne presenti la possibilità, ha la facoltà e l’onere di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio, e la conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, avrà effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie”.

Quindi, se la mancata notifica non è imputabile alla parte che l’ha richiesta, il processo notificatorio continua a ritenersi iniziato nel momento in cui è stata richiesta la notifica. Questa continuità, però, sussiste solo in presenza di alcune condizioni.

22. La prima riguarda l’iniziativa. E’ la parte istante che, preso atto della non riuscita della notifica a causa della modifica del domicilio, deve attivarsi per individuare il nuovo domicilio e completare il processo notificatorio. E deve fare ciò in piena autonomia.

23. Nell’ampia motivazione della sentenza 17352/2009 le Sezioni unite hanno spiegato, correggendo una precedente decisione, che la ripresa del processo notificatorio è rimessa alla parte istante e che deve escludersi la possibilità di chiedere una preventiva autorizzazione del giudice, vuoi perchè questa sub-procedura allungherebbe ulteriormente i tempi processuali, vuoi perchè non sarebbe “neanche utile al fine di avere una previa valutazione certa circa la sussistenza delle condizioni per la ripresa del procedimento di notificazione, in quanto si tratterebbe solo di una valutazione preliminare effettuata non in sede decisoria e per di più in assenza del contraddittorio con la controparte interessata” (sez. un., 17352/2009, cit.; il principio è stato ribadito dalle sezioni semplici: Cass., 11 settembre 2013, n. 20830 e Cass., 25 settembre 2015, n. 19060).

24. L’attività della parte interessata a completare la notificazione deve essere attivata con “immediatezza” appena appresa la notizia dell’esito negativo della notificazione e deve svolgersi con “tempestività” (ancora, sez.. un., 17352/2009, cit.).

25. La giurisprudenza delle sezioni semplici successiva ha applicato costantemente questi principi.

26. Cass., 25 settembre 2015, n. 19060 ha precisato che l’onere di indicare e provare il momento in cui ha appreso dell’esito negativo della notifica grava sull’istante (in tale sentenza la Corte, applicando questo principio, ha ritenuto tardivo un ricorso per il fatto che la parte non aveva fornito una prova adeguata della sua affermazione, in quanto non aveva prodotto la cartolina di ritorno della prima notifica, a mezzo posta, non andata a buon fine).

27. Cass., 30 settembre 2011, n. 19986, ha precisato che l’istante deve provvedere con “sollecita diligenza” ed ha escluso la tardività della notifica del ricorso per cassazione perchè la rinnovazione della notificazione nel caso al suo esame era stata effettuata dopo sette giorni dalla prima tentata notifica e a distanza di quattro giorni dallo scadere del termine.

28. La sesta sezione, che sovraintende alla nomofilachia dell’inammissibilità, applicando i criteri dell’immediatezza dell’iniziativa e della sollecita diligenza nello svolgimento delle conseguenti attività, ha escluso la tardività una nuova notificazione di un ricorso per cassazione richiesta il 22 luglio 2013 a seguito della comunicazione di avvenuto trasferimento dello studio in sede di relazione negativa di una prima notifica richiesta il 16 luglio 2013 (Cass., 6-3, ord. 19 novembre 2014, n. 24641).

29. Più in generale, può affermarsi che, fermo l’onere dell’istante di provare il rispetto dei su indicati criteri, dal sistema sia anche desumibile un limite massimo del tempo necessario per riprendere e completare il processo notificatorio relativo alle impugnazioni, una volta avuta notizia dell’esito negativo della prima richiesta. Tale termine può essere fissato in misura pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall’art. 325 c.p.c..

30. Se questi termini sono ritenuti congrui dal legislatore per svolgere un ben più complesso e impegnativo insieme di attività necessario per concepire, redigere e notificare un atto di impugnazione a decorrere dal momento in cui si è stato pubblicato il provvedimento da impugnare, può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo alla soluzione dei soli problemi derivanti da difficoltà nella notifica, non possa andare oltre la metà degli stessi, salvo una rigorosa prova in senso contrario (ad esempio, relativa a difficoltà del tutto particolari nel reperire l’indirizzo del nuovo studio).

31. Principio di diritto: “La parte che ha richiesto la notifica, nell’ipotesi in cui non sia andata a buon fine per ragioni e lei non imputabili, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve attivarsi con immediatezza per riprendere il processo notificatorio e deve svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento. Questi requisiti di immediatezza e tempestività non possono ritenersi sussistenti qualora sia stato superato il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data rigorosa prova”:

32. Nel caso in esame, i requisiti mancano con tutta evidenza, perchè la notifica fu richiesta il 12 agosto 2014, a fronte di un termine che scadeva il 20 agosto 2014; il plico fu restituito al mittente per mancata notifica nel medesimo mese di agosto 2014; il rinnovo della notifica, poi andato a buon fine, è stato richiesto il 12 novembre 2014. Il ricorso di conseguenza è inammissibile per tardività della notifica.

33. L’inammissibilità comporta la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Non è invece dovuto il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, poichè la ricorrente ha documentato di essere stato ammessa al patrocinio a spese dello Stato (cfr., ampie, Cass., 2 settembre 2014, n. 18523).

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in 3.000,00 Euro per compensi professionali, 200,00 Euro per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori. Non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2016