NOTA DI COMPIACIMENTO PER LAZZARO FONTANA

Lazzaro Fontana – C.te della Polizia Locale dell’Unione Colline Matildiche (RE) – Componente dell’Ufficio di STAFF del Presidente Nazionale ANVU – Componente Giunta Esecutiva e Commissione Normativa di A.N.N.A. e docente formazione A.N.N.A.

ALL’INDOMANI DELL’APPROVAZIONE DELL’ENNESIMO DECRETO LEGGE PER CONTRASTARE LA PANDEMIA DA COVID-19 SONO FIERA DI PUBBLICARE LA NOTA DI COMPIACIMENTO DELL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI DI REGGIO EMILIA NEI CONFRONTI DEL NOSTRO ULTRATRENTENNALE SOCIO ED ESPERTO DOCENTE ANVU LAZZARO FONTANA, COMANDANTE DEL CORPO DI POLIZIA LOCALE DELL’UNIONE COLLINE MATILDICHE (RE) CHE MI ONORO AVERE QUALE COMPONENTE DEL MIO STAFF NAZIONALE.

SONO GRATA AL C.TE LAZZARO FONTANA PER IL PREZIOSISIMO, GRATUITO ED INCESSANTE CONTRIBUTO PROFESSIONALE FORNITO AI DIRIGENTI ANVU (Associazione Professionale Polizia Locale d’Italia) ED, ATTRAVERSO LA NOSTRA ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE E LE SUE STRUTTURE, AI COLLEGHI DI TUTTA L’ITALIA FIN DALL’INIZIO DELLA PANDEMIA.

I SUOI PUNTUALI E COSTANTI AGGIORNAMENTI SONO STATI PER TUTTI NOI UN PREZIOSISSIMO E DETERMINANTE CONTRIBUTO NELL’ AFFRONTARE LE DIFFICILI AZIONI DI PRESIDIO E CONTROLLO DEL TERRITORIO, AL SERVIZIO DELLE COMUNITA’ OVE LAVORIAMO, AZIONI COMPLICATE DA UN SUSSEGUIRSI INCREDIBILE DI NORMATIVE NAZIONALI E REGIONALI CHE LUI DISTRICA.

UN SINCERO GRAZIE AL C.TE LAZZARO FONTANA A NOME MIO, DEL CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE E DI TUTTI I COLLEGHI D’ITALIA.

SARA’ MIA PREMURA ORGANIZZARE UN MOMENTO DI RICONOSCENZA NEI SUOI CONFRONTI IN UNO DEI FUTURI EVENTI FORMATIVI ANVU, PERCHE’ MERITA DI PERCEPIRE TUTTA LA NOSTRA STIMA.

IL PRESIDENTE NAZIONALE ANVU
SILVANA PACI

LEGGI Lettera-ODCEC-Fontana 2020

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La Giunta Esecutiva Nazionale di A.N.N.A. (Associazione Nazionale Notifiche Atti) è orgogliosa che un proprio componente riceva delle note di ringraziamento e di encomio come quelle sopra riportate dall’ANVU Nazionale e dall’ODCEC (Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili) di Reggio Emilia.

Nell’occasione ci pregiamo di segnalare che l’attività formativa dell’Associazione è rigorosamente rispettosa delle normative anti-contagio COVID-19 vigenti e che Lazzaro Fontana, così come gli altri nostri docenti, nei corsi che tiene per i Messi Comunali/Notificatori nei quali è docente, forma gli stessi al fine di fare le notifiche “a mani proprie” con “accorgimenti e metodiche” tali da salvaguardare la salute di questi particolari lavoratori che si muovono sul territorio a “contatto” con tante persone, ma, altresì, anche quella dei destinatari nelle cui abitazioni, teoricamente, dovrebbero entrare, limitando al massimo inutili esposizioni a possibili contagi.

Tacchini Pietro
Presidente Nazionale A.N.N.A.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 12/12/2019) 09/10/2020, n. 21797

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6430/2015 R.G. proposto da:

B.G., C.F. (OMISSIS), res. in (OMISSIS), rapp.to e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. Gian Mario Fattacciu del Foro di Cagliari e dall’avv. Stefania Saraceni del Foro di Roma, presso il cui studio in Roma, Via Ugo Bartolomei n. 23 è elett. dom.to;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, C.F. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna n. 246/04/14, depositata il 14 luglio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre dal Cons. Luigi Nocella.

Svolgimento del processo
Con distinti ricorsi, B.G., titolare di impresa operante nel settore edilizio, impugnava innanzi alla CTP di Cagliari gli avvisi di accertamento NN. (OMISSIS) e (OMISSIS), con i quali l’Agenzia delle Entrate di Cagliari (OMISSIS), sulla scorta dell’elaborazione mediante studi di settore, aveva recuperato a tassazione IVA, IRPEF, addizionali ed IRAP, rispettivamente per gli anni 2003 e 2004, applicando le relative sanzioni, avendo accertato per il primo un maggior ricavo di Euro 20.573,00 e per il secondo un maggior reddito di Euro 55.950,00.

La CTP di Cagliari, riuniti i ricorsi, con sentenza N. 194/01/2011, respingeva il primo e dichiarava inammissibile il secondo, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 omettendo ogni valutazione delle censure di merito.

Su appello del contribuente, che deduceva la nullità della notifica dell’avviso di accertamento e la connessa tempestività del proprio ricorso per ottenere l’esame delle censure di merito contro l’avviso impugnato, la CTR, con la sentenza oggetto del presente giudizio, ha confermato integralmente la statuizione del primo Giudice, in relazione all’annualità 2004, mentre l’annualità 2003 era stata nelle more definita stragiudizialmente tra le parti. In particolare i Giudici d’appello così ricostruivano la vicenda notificatoria oggetto del gravame: “a) l’Ufficio delle Entrate di Cagliari (OMISSIS) aveva notificato al B. in data 7 maggio 2009…invito al contraddittorio con il quale lo informava che i compensi dichiarati per l’anno 2004 risultavano non compatibili con gli appositi studi di settore… omissis…. Si era svolto, quindi, il contraddittorio al termine del quale…le parti non erano addivenute ad un accordo.

b) L’Ufficio in data 21 novembre 2009 aveva notificato a mezzo del servizio postale l’avviso di accertamento n. (OMISSIS);

c) l’ufficio postale aveva certificato con apposita relata…la consegna dell’atto a mani della madre convivente…omissis…l’ufficiale postale notificatore attestava altresì…l’avvenuta trasmissione in data 23 novembre 2009 della raccomandata di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7, u.c.;

d) B.G. in data 10 febbraio 2010 propose ricorso alla CTP di Cagliari mentre il 20 gennaio 2010 aveva presentato una istanza di accertamento per adesione, dopo avere però già ricevuto regolare invito al contraddittorio.

Alla stregua di tale ricostruzione dei fatti, la CTR ha condiviso in toto la pronuncia appellata, poichè l’istanza di accertamento per adesione era inefficace, D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6, comma 2 a sospendere i termini per l’impugnazione, essendo stata preceduta da invito al (e svolgimento del) contraddittorio in fase amministrativa, e quindi ha ritenuto il ricorso prima facie tardivo. Alla luce delle censure dell’appellante che proponevano la questione della validità della notifica dell’avviso per carenza della relata, ha affermato che, pur a voler ritenere l’esistenza di un vizio della notifica (comunque escluso per avere la CTR affermato che detta relata fosse “esattamente individuabile”), si tratterebbe comunque non già di inesistenza, bensì di nullità, essendo ben individuati luogo e persona che aveva ricevuto l’atto, comunque da escludere stante la particolare procedura di notifica a mezzo del servizio postale, per la quale, secondo orientamento costante di legittimità, la relata non è necessaria, essendo sostituita dalle attestazioni dell’ufficiale postale, aventi valore di fede privilegiata fino a querela di falso. Nella specie questi “ha annotato la trasmissione della raccomandata secondo le indicazioni di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 4 con le specificazioni ivi previste”; sicchè “nessuna altra relata di notifica all’infuori di quella costituita dall’avviso di ricevimento può (o deve) essere compilata essa contiene tutte le indicazioni necessarie ed indispensabili prescritte dalla normativa che consentono il collegamento con l’ufficio emittente, mentre il momento di perfezionamento della notificazione viene individuato, per il destinatario, nella data di ricevimento dell’atto attestata dall’avviso…”.

Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di unico motivo.

L’Agenzia intimata si è costituita previa rituale notificazione di controricorso.

Nella camera di consiglio del 12 dicembre 2019 la Corte, udita la relazione del Cons. Nocella, ha deciso la causa.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il B. denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e art. 137 segg. c.p.c., poichè la CTR non avrebbe considerato che, nel caso di notificazione a mezzo del servizio postale, la L. n. 890 del 1982, art. 14 pur consentendo la notifica diretta degli atti tributari direttamente da parte dell’Ufficio che li emette, fa rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 che escluderebbe tale forma di notifica per gli avvisi di accertamento, che necessiterebbe pur sempre dell’intermediazione di un soggetto abilitato alla notifica.

Il motivo è infondato.

Come affermato dal ricorrente, la L. n. 890 del 1982, art. 14 consente in via generale la notifica diretta degli atti dell’Amm.ne Finanziaria mediante ricorso diretto, cioè senza l’intervento di ufficiali giudiziari o messi notificatori, al servizio postale; diversamente invece da quanto sostenuto dal ricorrente, la stessa norma non deroga a tale principio per la notifica degli avvisi di accertamento (cfr. da ultimo Cass. sez.V ord. 19.12.2019 n. 34007), ma “fa salve” le disposizioni del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 nel senso che, ove ritengano opportuno, le medesime Amministrazioni possono avvalersi dell’intermediazione dei soggetti esterni ad esse ed abilitati alla notificazione degli atti giudiziari. Ne consegue che le disposizioni che prescrivono la compilazione della relata di notifica sull’originale e sulla copia dell’atto notificato (L. n. 890 del 1982, art. 3) si applicano esclusivamente nei casi di notifica a mezzo di soggetto notificatore terzo (come del resto esplicitato dalla formulazione letterale del precetto, che si riferisce direttamente agli adempimenti dell’ufficiale giudiziario), non già ai casi di notifica diretta ai sensi dell’art. 14, nei quali si applicano direttamente le norme relative alle modalità di trasmissione dei plichi raccomandati descritte dalle norme disciplinanti il servizio postale, che non prevedono la estensione della relata; ed in tal senso si è già pronunciata questa Corte (cfr. Cass. sez. V 4.07.2014 n. 15315; Cass. sez. V 15.07.2016 n. 14501; Cass. sez. V 14.11.2019 n. 29642).

Riscontrata quindi la legittimità, anche per gli atti impositivi, del ricorso alla notificazione diretta da parte dell’Ufficio Finanziario, ne consegue l’irrilevanza della mancata compilazione della relata, i cui requisiti sono sostituiti dalle attestazioni dell’agente postale sull’avviso di ricevimento circa le attività compiute, tra le quali, anche nel caso di specie, l’invio della comunicazione di avvenuta notifica; sicchè questa deve ritenersi avvenuta in data 21.11.2009, con la consegna alla madre convivente nel domicilio del contribuente, ed il ricorso da questi proposto contro l’avviso soltanto il 10 febbraio 2010 deve ritenersi ampiamente tardivo.

L’infondatezza dell’unico motivo comporta il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al rimborso in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto altresì che sussistono le condizioni processuali per determinare, a carico della ricorrente soccombente, l’obbligo di versamento del contributo unificato in misura doppia rispetto a quella già versata con l’iscrizione a ruolo.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale dello stesso art. 13, ex comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 09/06/2020) 05/10/2020, n. 21328

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12330-2019 proposto da:

S. COSTRUZIONI SNC DI S.V. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato PAOLA VACCARO, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO GARZILLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS);

– intimate –

avverso la sentenza n. 8784/24/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 12/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO CROLLA.

Svolgimento del processo
CHE:

1. La soc. S. Costruzioni snc di S.V. & C. impugnava l’intimazione di pagamento emessa da Equitalia (oggi Agenzia delle Entrate Riscossioni) limitatamente alla cartella di pagamento n. (OMISSIS), asseritamente notificata in data 7.6.2015, concernente tributo Iva relativo all’anno di imposta 2011, assumendo l’inesistenza della notifica avvenuta a mezzo pec. 2. La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli rigettava il ricorso rilevando la regolarità della notifica della cartella a mezzo pec. 3. Sull’impugnazione della contribuente la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello rilevando che non vi era alcun obbligo attestazione di conformità della copia informatica all’originale della cartella atteso che il documento non aveva origine cartacea (o analogica) ma informatico.

4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso la contribuente sulla base di due motivi. Gli intimati non si sono costituiti.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con i due motivi di impugnazione, da esaminarsi congiuntamente stante la loro intima connessione, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 23 e 24, (Codice Amministrazione Digitale) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per non avere la CTR rilevato e dichiarato l’inesistenza della notificazione della cartella di pagamento mancante dell’attestazione di conformità dell’atto analogico a quello digitale notificato, trasmessa alla contribuente in formato pdf, priva di cosiddetta firma digitale.

2. I motivi sono infondati.

2.1 Nella fattispecie la CTR ha accertato che la cartella esattoriale è stata notificata a mezzo del servizio di posta elettronica certificata, modalità di partecipazione dell’atto, consentita ai sensi del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 2, e del richiamato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 comma 7.

2.2 Sostiene la ricorrente l’inesistenza di tale forma di notifica: a) per essere stata compiuta in estensione pdf anzichè p7m, atteso che soltanto quest’ultima estensione garantisce l’integrità e l’immodificabilità del documento informatico e, quanto alla firma digitale, l’identificabilità del suo autore e, conseguentemente, la paternità dell’atto; b) per mancanza di firma digitale sul documento informatico notificato in pdf; c) per assenza della conformità dell’attestazione di conformità dell’atto analogico a quello digitale notificato.

2.3 Il D.P.R. n. 68 del 2005, art. 1, lett. f), definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come “un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati”. L’ art. 1 CAD, lett. i)-ter), – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), poi, definisce “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” come “il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico”, mentre il medesimo art. 1 CAD, lett. i)-quinquies), – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c),- nel definire il “duplicato informatico” parla di “documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”.

2.4 Ciò premesso questa Corte ha recentemente affermato che “la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. copia informatica”), come è avvenuto pacificamente nel caso di specie, dove il concessionario della riscossione ha provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici -, realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta. Va esclusa, allora, la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico”(cfr. Cass. 30948/2019 vedi anche Cass. 6417/2019) ed ha inoltre precisato che ” nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale”.

2.5 Del resto già le Sezioni Unite avevano affermato il principio che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. 28 settembre 2018 n. 23620).

2.6 Nè appare necessario l’attestazione di conformità atteso che, ai sensi dell’art. 22 CAD, comma 3, – come modificato dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 66, comma 1, – “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta”. Pertanto nella vicenda che ci occupa, giammai, la ricorrente avrebbe potuto disconoscere la conformità della copia informatica della cartella di pagamento, allegata alla PEC ricevuta, all’originale in possesso dell’amministrazione in quanto come accertato dalla CTR la cartella di pagamento nasce come documento informatico (“nativo”) e come tale viene trasmessa via pec. 2.7 La correttezza del procedimento notificatorio dell’atto esattivo rende inammissibili le censure reiterate nel ricorso che afferiscono alla decadenza e alla asserita illegittimità della pretesa tributaria in quanto precluse dalla mancata impugnazione della prodromica cartella esattoriale.

3 Il ricorso va quindi rigettato.

4 In mancanza di costituzione degli intimati nulla è da statuire sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte:

– rigetta il ricorso.

– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020


Piattaforma per le notifiche digitali

L’attesa nei confronti della realizzazione della piattaforma per la notificazione digitale è veramente alta, perché rappresenterà un vero punto di svolta per la digitalizzazione di tutta la Pubblica Amministrazione.
Tale piattaforma è quanto da noi auspicato già dal 2005 con il convegno svoltosi ad Ancona con il progetto “Testo unico delle notifiche”
Il funzionamento della piattaforma è stato descritto nel DL Semplificazioni appena convertito con la legge n. 120/2020, l’innovazione era già introdotta con la Legge di Bilancio 2020. La piattaforma ha l’obiettivo di rendere più semplice, efficiente, sicura ed economica la notificazione con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni della pubblica amministrazione, con risparmio per la spesa pubblica e minori oneri per i cittadini.
Piattaforma per le notifiche
La Presidenza del Consiglio dei ministri, tramite la società PagoPA S.p.A., svilupperà la piattaforma digitale per le notifiche, che potrà essere affidata – in tutto o in parte – a Poste Italiane, che si occupa anche della spedizione dell’avviso di avvenuta ricezione e la consegna della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione, e garantisce, su tutto il territorio nazionale, l’accesso universale alla piattaforma e al nuovo servizio di notificazione digitale, sostituendo SOGEI come previsto inizialmente; il progetto è finanziato con la somma di 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, già stanziati con la Legge di Stabilità 2020 (articolo 1, comma 403, della legge 27 dicembre 2019, n. 160), mentre per l’adesione alla piattaforma, le amministrazioni utilizzano le risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (commi 19 e seguenti).
Nel comma 2 dell’art. 26 sono contenute le definizioni a cui fare riferimento:
a) «gestore della piattaforma», cioè la società pagoPA S.p.A.;
b) «piattaforma»,
c) «amministrazioni», le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, compresi anche gli agenti della riscossione e, limitatamente agli atti emessi nell’esercizio dell’attività loro affidata;
d) «destinatari», le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, residenti o aventi sede legale nel territorio italiano ovvero all’estero ove titolari di codice fiscale attribuito
e) «delegati», le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, ivi inclusi i soggetti intermediari (avvocati, commercialisti, associazioni, ecc.), ai quali i destinatari conferiscono il potere di accedere alla piattaforma per reperire, consultare e acquisire, per loro conto, atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni notificati dalle amministrazioni;
f) «delega»,
g) «avviso di avvenuta ricezione», l’atto formato dal gestore della piattaforma, con il quale viene dato avviso al destinatario in ordine alle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione;
h) «identificativo univoco della notificazione (IUN)», il codice univoco attribuito dalla piattaforma ad ogni singola notificazione richiesta dalle amministrazioni;
i) «avviso di mancato recapito», l’atto formato dal gestore della piattaforma con il quale viene dato avviso al destinatario in ordine alle ragioni della mancata consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico e alle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione.
È chiaro che la piattaforma riguarda tutto l’ampio spettro di amministrazioni che si avvalgono ogni giorno della notifica per la consegna di atti con valore giuridico; rimarrebbero escluse solo le notifiche che riguardano (comma 17):
a) agli atti del processo civile, penale, per l’applicazione di misure di prevenzione, amministrativo, tributario e contabile e ai provvedimenti e alle comunicazioni ad essi connessi;
b) agli atti della procedura di espropriazione forzata
c) agli atti dei procedimenti di competenza delle autorità provinciali di pubblica sicurezza.
Stranamente manca una definizione di “notifica”, che è invece l’oggetto principale di cui si occupa la piattaforma: ad oggi, le disposizioni di riferimento sono contenute negli artt. 138 e seguenti del Codice di Procedura civile, oltre a disposizioni specifiche in materia tributaria.
Le figure professionali interessate sono:
• I messi comunali (ex Legge n. 265/1999) notificano atti di carattere amministrativo (ordinanze, verbali, convocazioni, inviti, avvisi, circolari, ed ogni altra forma di atto) per conto dell’amministrazione comunale e su richiesta di altri enti, purché nei limiti del territorio comunale di competenza (il destinatario ha residenza, dimora o domicilio nello stesso comune) ed operano con le norme del Codice di Procedura Civile.
• I messi notificatori (ex Legge n. 296/2006) notificano atti di accertamento e/o riscossione dei tributi locali, procedure esecutive o delle entrate patrimoniali dello stato (generalmente dell’agenzia delle entrate) ed operano secondo le norme del D.P.R. n. 600/1973 e D.P.R. n. 602/1973.
• Oltre agli ufficiali giudiziari (ex Legge 890/82) che però non sono direttamente interessati, vista l’espressa esclusione delle notifiche riguardanti i processi dall’utilizzo della piattaforma in questione.
Incertezze sull’esecuzione delle notifiche
Con l’avvento della PEC su larga scala (ad oggi 3 grandi categorie di soggetti hanno l’obbligo di avere un indirizzi di Posta Certificata, e cioè le PA, le imprese e i professionisti iscritti agli albi) si rileva una grande incertezza sulle corrette modalità per l’esecuzione della notifica del documento informatico, cioè se debba avvenire con le procedure di cui all’art. 149 bis del Codice di Procedura Civile o con un semplice invio tramite il protocollo informatico, secondo quanto previsto dall’art. 48 e 6 bis del CAD. Nel comma 3 si prevede la facoltà di adesione delle amministrazioni, in alternativa alle modalità previste da altre disposizioni di legge: visto il grande impatto di semplificazione e ottimizzazione del processo di notifica, sarebbe più opportuno prevedere un utilizzo obbligatorio da parte di tutte le Amministrazioni, magari anche scaglionato in base a scadenze temporali o altri criteri, come sta avvenendo – ad esempio – per l’utilizzo di Siope +.
Il mancato utilizzo della piattaforma continuerebbe a mantenere inalterata la situazione attuale, con il grande carico di lavoro a carico delle Amministrazioni e soprattutto dei Comuni, che si occupano della gestione diretta delle notifiche per tutte le PA che lo richiedono. Il gestore della piattaforma assicura l’autenticità, l’integrità, l’immodificabilità, la leggibilità e la reperibilità dei documenti informatici resi disponibili dalle amministrazioni e, a sua volta, li rende disponibili ai destinatari, ai quali assicura l’accesso alla piattaforma, personalmente o a mezzo delegati, per il reperimento, la consultazione e l’acquisizione dei documenti informatici oggetto di notificazione; l’accesso avviene tramite SPID o CIE, oltre che con l’app IO (comma 8).
Possono essere utilizzate anche «tecnologie basate su registri distribuiti», definite dall’articolo 8-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, dando così spazio all’utilizzo della blockchain nella PA. Nella parte successiva si fa riferimento all’attestazione di conformità agli originali analogici delle copie informatiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni, con riferimento alle disposizioni contenute nel CAD (artt. 23 e seguenti). Se si assume che tutte le Amministrazioni interessate potranno inserire i propri atti nella piattaforma per il completamento del processo di notifica, non è chiaro perché si continua a parlare di “copie informatiche di originali analogici”, quando invece da tempo tutte le PA dovrebbero produrre gli atti di propria competenza in formato esclusivamente digitale (vedi art. 3 bis del CAD).
L’utilizzo della firma
È importante anche precisare che sembra finalmente risolto il contrasto giurisprudenziale sul tipo di firma da utilizzare per la notifica delle cartelle esattoriali (nel caso di specie): in un primo tempo si riteneva che fosse utilizzabile solo la firma CADES (quindi con formato .p7m), invece ora è stato chiarito che tutti i tipi di firma sono ammissibili (CADES e PADES), in quanto offrono le stesse garanzie e anche tenuto conto delle normative europee (tra tutti, il Regolamento EIDAS). Solo nel caso in cui il destinatario provveda a “stampare” l’atto, dovrà essere presente un sistema che renda la copia cartacea conforme all’originale informatico, disponibile nella piattaforma.
La necessità di chiarezza
Il comma 3 si chiude precisando che “La piattaforma può essere utilizzata anche per la trasmissione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni per i quali non è previsto l’obbligo di notificazione al destinatario “. Non è però chiara l’utilità di questa parte, e che rapporto ci sia con l’invio di un documento da parte dell’amministrazione tramite la propria PEC e il protocollo informatico; si potrebbe trattare di una gestione “ottimizzata” degli atti da recapitare tramite Posta, ma rimane poi da capire come funziona la gestione contabile e amministrativa delle spese, che sarebbero invece a carico delle Amministrazioni.
Inoltre, quando si fa riferimento a standard di processo per l’attestazione di conformità dei documenti, sarebbe importante dare dei punti di riferimento, in modo da evitare difformità di comportamento tra diverse PA: meglio sarebbe invece definire fin da subito degli “standard tecnologici” di upload del documento e di utilizzo della piattaforma, oltre a servizi web per interfacciamento diretto con i SW di gestione documentale utilizzati dalle PA, necessari per ottimizzarne l’utilizzo.
Le comunicazioni
La comunicazione tra il gestore della piattaforma e il destinatario può avvenire in modalità telematica o cartacea (a seconda del recapito associato alla persona/impresa), e consiste nell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, con il quale comunica l’esistenza e l’identificativo univoco della notificazione (IUN), nonché le modalità di accesso alla piattaforma e di acquisizione del documento oggetto di notificazione (comma 4). Se la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi, il gestore della piattaforma effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio.
Se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi oppure se l’indirizzo elettronico del destinatario non risulta valido o attivo, il gestore della piattaforma rende disponibile in apposita area riservata, per ciascun destinatario della notificazione, l’avviso di mancato recapito del messaggio, secondo le modalità previste dal successivo decreto di cui al comma 15. Il gestore della piattaforma inoltre dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico.
Recapiti e avvisi
Risulta quindi quantomai necessario il collegamento della piattaforma con ANPR, che contiene i dati della residenza di ciascun soggetto, oltre ai registri IPA e INIPEC, e quest’ultimo in un prossimo futuro conterrà anche i domicili delle persone fisiche, in base alle Linee Guida AGID (delle quali è terminata da poco la consultazione). Per i destinatari che non sono in possesso di una PEC, il recapito dell’avviso cartaceo avviene a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma, con le modalità previste per la notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari (L. 890/1982). Lo stesso avviso di ricezione sarà reso disponibile anche attraverso l’app IO, e i cittadini potranno comunicare anche un indirizzo e-mail non certificato, un numero di telefono o un altro analogo recapito digitale (comma 7). La notificazione si perfeziona (comma 9):
• per l’amministrazione, nella data in cui il documento informatico è reso disponibile sulla piattaforma;
• per il destinatario: il settimo giorno successivo alla data di consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico, il decimo giorno successivo al perfezionamento della notificazione dell’avviso di avvenuta ricezione in formato cartaceo;
• in ogni caso, se anteriore, nella data in cui il destinatario, o il suo delegato, ha accesso, tramite la piattaforma, al documento informatico oggetto di notificazione.
Inoltre, al comma 10 si prevede che “la messa a disposizione ai fini della notificazione del documento informatico sulla piattaforma impedisce qualsiasi decadenza dell’amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione dell’atto, provvedimento, avviso o comunicazione”. Quindi si può assumere che l’avviso di avvenuta ricezione inviato dalla piattaforma sostituisce la “relata di notifica”, che è fino ad oggi lo strumento con il quale conclude la notifica, regolato dall’art. 148 del Codice di Procedura Civile: “l’agente certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto. La relazione indica la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna, oppure le ricerche, anche anagrafiche, fatte dall’ufficiale giudiziario, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario.”
Inoltre, se la notifica per le Amministrazioni si perfeziona “automaticamente” con l’inserimento del documento nella piattaforma, sarebbe bene un raccordo più esplicito con le norme del CPC: ad esempio occorre capire come risolvere il caso delle persone cancellate dall’anagrafe per irreperibilità, al momento regolato dall’art. 140 CPC, o delle persone con residenza sconosciuta, trattato dall’art. 143 CPC. Il raccordo normativo in questo caso è fondamentale, perché questi sono i casi che nella pratica comportano i più grandi problemi di gestione. Il gestore della piattaforma, forma e rende disponibili sulla piattaforma, alle amministrazioni e ai destinatari, le attestazioni opponibili ai terzi relative:
a) alla data di messa a disposizione dei documenti informatici sulla piattaforma da parte delle amministrazioni;
b) all’indirizzo del destinatario risultante, alla data dell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, da uno degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o eletto ai sensi del comma 5, lettera c);
c) alla data di invio e di consegna al destinatario dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico; e alla data di ricezione del messaggio di mancato recapito alle caselle di posta elettronica certificata o al servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultanti sature, non valide o non attive;
d) alla data in cui il gestore della piattaforma ha reso disponibile l’avviso di mancato recapito del messaggio ai sensi del comma 6;
e) alla data in cui il destinatario ha avuto accesso al documento informatico oggetto di notificazione;
f) al periodo di malfunzionamento della piattaforma ai sensi del comma 13;
g) alla data di ripristino delle funzionalità della piattaforma ai sensi del comma 13.
Oltre alla copia informatica dell’avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari, dei quali attesta la conformità agli originali (comma 11 e 12). Anche in questo caso è necessario il raccordo con i SW gestionali degli enti, per fare in modo che i dati e i documenti di queste attestazioni siano messi a disposizione e comunicati all’Amministrazione che ha attivato la notifica, possibilmente tramite WS dedicati. Le spese di notificazione degli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione tramite piattaforma sono poste a carico del destinatario e sono destinate alle amministrazioni, al fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 e al gestore della piattaforma. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità di determinazione e anticipazione delle spese e i criteri di riparto (comma 14).
Quindi sembrerebbe che al momento della ricezione dell’atto il destinatario debba anche pagare le spese di notifica: se così fosse, la piattaforma dovrebbe permettere il pagamento con pagoPA, che si potrebbe far carico anche del riparto delle somme incassate tra gli enti interessati.
L’avvio della piattaforma
Per l’entrata in esercizio della piattaforma sono previsti dei decreti attuativi (comma 15 e 16), compreso il parere del Garante per la protezione dei dati personali da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del DL Semplificazione, attraverso cui è definita l’infrastruttura tecnologica e il piano dei test e le regole tecniche, oltre alle modalità di adesione delle amministrazioni alla piattaforma. Ultimati i test e le prove tecniche di corretto funzionamento della piattaforma, è fissato il termine a decorrere dal quale le amministrazioni possono aderire alla piattaforma.
Lo scenario futuro
Con le nuove modalità di notifica si prevede un’immediata contrazione delle anticipazioni finanziarie, per un ammontare annuo non inferiore a 50 milioni di euro (spese vive di notifica), nonché una riduzione dei costi connessi al contenzioso, per circa 55 milioni di Euro all’anno; inoltre, potrebbe attendersi una significativa riduzione dei costi netti di notifica e spedizione, attualmente stimati in circa 41 milioni di euro annui (calcolati al netto delle somme recuperate a titolo di rimborso per le spese di notifica e spedizione, ove previsto).
Ma risparmi consistenti li avrebbero anche i Comuni, con ricadute positive sui servizi che potrebbero essere erogati ai cittadini. Il risparmio non è solo in termini di “spese vive”, ma anche di personale dedicato interamente a questa attività, che potrebbe essere dedicato ad altro.


Visite fiscali INPS, nuovo servizio per cambiare l’indirizzo di reperibilità

Visite fiscali INPS, arriva il servizio online per cambiare l’indirizzo di reperibilità. Le novità sono contenute nella  Circolare numero 106 del 23-09-2020, che fornisce le istruzioni per i dipendenti pubblici e privati.
I lavoratori dipendenti pubblici e privati potranno modificare online l’indirizzo di reperibilità per le visite mediche INPS in caso di malattia comune.
Il nuovo strumento rende più immediate nonché tracciabili le modifiche, che potranno essere effettuate direttamente dal lavoratore e senza ulteriori adempimenti da parte dell’INPS.
Il servizio di modifica dell’indirizzo di reperibilità per le visite fiscali sostituisce le modalità ad uso sino ad oggi, che prevedevano la comunicazione tramite e-mail al medico legale dell’INPS o al Contact Center, e che resteranno utilizzabili esclusivamente in caso di indisponibilità del servizio telematico.
Si chiama “Sportello al cittadino per le VMC” il nuovo servizio predisposto dall’INPS per modificare l’indirizzo di reperibilità. La novità è illustrata dalla Circolare numero 106 del 23-09-2020.
Il lavoratore dipendente pubblico o privato, previa autenticazione sul sito INPS, potrà accedervi tramite la sezione dedicata ai Servizi Online.
Sarà possibile comunicare e gestire, in caso di malattia ed assenza dal lavoro, una diversa reperibilità rispetto a quella comunicata precedentemente con il certificato di malattia in corso di prognosi o anche con altra comunicazione.
La funzione “Indirizzo reperibilità ai fini delle visite mediche di controllo” permette quindi la comunicazione di un nuovo indirizzo di reperibilità per un’eventuale visita fiscale di controllo domiciliare da parte dei medici INPS.
Per uno stesso certificato di malattia il cittadino può comunicare più reperibilità successive.
Come specificato dalla circolare INPS n. 106 del 23 settembre 2020:
• ogni nuova reperibilità comunicata, nell’ambito dello stesso certificato di malattia in corso di validità, implica l’annullamento automatico dell’eventuale precedente reperibilità limitatamente al periodo di sovrapposizione tra i periodi delle due variazioni comunicate;
• ogni reperibilità è storicizzata, onde evitare che si perda traccia degli indirizzi che possono essere stati utilizzati per eventuali visite mediche di controllo.
Il nuovo servizio predisposto dall’INPS per semplificare la procedura di gestione delle visite fiscali è disponibile per tutti i lavoratori dei settori privato e pubblico ma, specifica la circolare n. 106, non sostituisce gli obblighi contrattuali di comunicazione da parte dei medesimi lavoratori nei confronti dei propri datori di lavoro.
Per quanto riguarda i lavoratori privati che, in caso di malattia, hanno diritto ad essere indennizzati, resta l’onere di comunicare in maniera tempestiva eventuali variazioni dell’indirizzo di reperibilità, per evitare l’applicazione delle sanzioni previste in caso di impossibilità per i medici INPS di effettuare la visita fiscale.
Oltre a dover comunicare correttamente l’indirizzo, il lavoratore dovrà fornire tutti gli elementi utili per consentire ai medici dell’INPS di reperire l’abitazione del lavoratore.
Il compito di verificare che l’indirizzo sia corretto spetta al lavoratore. Nel caso di errori riscontrati nel certificato medico trasmesso all’INPS, bisognerà modificare in maniera tempestiva l’indirizzo di reperibilità al fine di consentire il regolare svolgimento delle visite fiscali.
Per i dipendenti pubblici, invece, la normativa vigente prevede che il dipendente comunichi preventivamente alla sua Amministrazione di appartenenza l’eventuale variazione dell’indirizzo di reperibilità, durante il periodo di prognosi.
L’Amministrazione è tenuta a fornire quindi il dato all’INPS per l’effettuazione delle visite fiscali. La disponibilità all’utilizzo del nuovo servizio anche per il lavoratore pubblico ha lo scopo di ottimizzare il flusso comunicativo e offrire maggiori garanzie per l’effettuazione delle visite fiscali.
Il servizio non deve, invece, essere utilizzato dai lavoratori pubblici per gli adempimenti relativi alla comunicazione del solo allontanamento temporaneo dal proprio domicilio di reperibilità, per terapie, visite mediche, accertamenti sanitari o per gli altri giustificati motivi.
Il datore di lavoro viene messo al corrente del diverso indirizzo di reperibilità comunicato dal lavoratore:
• in fase di richiesta di una VMC, se la comunicazione è stata effettuata prima della richiesta di visita;
• al momento della consultazione degli esiti, qualora il lavoratore abbia comunicato una variazione di reperibilità dopo la richiesta di VMC e il datore di lavoro abbia acconsentito – spuntando l’apposito campo – ad inviare la visita al diverso indirizzo fornito dal lavoratore.
In ogni caso, il nuovo servizio dell’INPS non esonera il lavoratore dall’effettuare le comunicazioni previste al proprio datore di lavoro, sulla base del contratto di riferimento.


Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 04-02-2020) 24-09-2020, n. 20039

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13386/2015 proposto da:

Fallimento della (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore avv. P.A.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Foster n. 166, presso lo studio dell’avvocato Michele D’Agostino, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Napolitano, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.P.A., A.M.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Savoia n. 33, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Vescuso, rappresentati e difesi dall’avvocato Ermanno di Nuzzo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

Pa.Ma.Ro.; R.L.; Tuareg S.r.l.

– intimati –

avverso la sentenza n. 4657/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/02/2020 dal Cons. Dott. Paola Vella.

Svolgimento del processo
che:

1. Il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. ha impugnato, con ricorso per cassazione affidato a due motivi, la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 25/11/2014 che, in accoglimento dell’appello proposto dai coniugi D.P.A. e A.A.M. contro la sentenza di primo grado, ed in parziale riforma della stessa, ha dichiarato non opponibile alla D.P. – acquirente da Tuareg s.r.l. di un’unità abitativa (successivamente costituita in fondo patrimoniale col marito) da questa costruita su terreno già di proprietà di (OMISSIS) – la simulazione assoluta dell’atto del 21/12/1994, con il quale la società poi fallita aveva ceduto alla costruttrice il terreno in questione.

2. D.P.A. e A.A.M. hanno resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per tardività della relativa notificazione.

2.1. Le altre parti del giudizio, cui il ricorso è stato notificato ai fini della litis denuntiatio (siccome destinatarie di domande connesse, avanzate dal Fallimento con l’unico atto di citazione, in ordine alle quali la pronuncia di primo grado è passata in giudicato), non hanno svolto difese.

2.2. I controricorrenti hanno depositato memoria datata 21/01/2020, in cui si insiste per la declaratoria di inammissibilità del ricorso (e in subordine per il suo rigetto), con condanna dei ricorrenti alle spese e al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., comma 3, allegando anche uno stralcio del registro Inipec attestante l’indirizzo pec del legale del difensore costituito per il Fallimento.

2.3. Il Fallimento ricorrente ha a sua volta depositato memoria datata 23/01/2020 nella quale ha eccepito la “nullità della notificazione della sentenza”, con conseguente “insussistenza dell’eccepita inammissibilità del ricorso”, nonchè la “nullità della notifica del controricorso” (in uno ad ulteriori “eccezioni relative alla “fotocopia di passaggio in giudicato””), insistendo per l’accoglimento del ricorso e chiedendo comunque il rigetto della domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..

Motivi della decisione
che:

3. Preliminarmente all’esame dei due motivi – così rubricati: I.) “violazione e falsa applicazione di legge, in relazione al collegamento negoziale ed alla consolidata giurisprudenza di cassazione sul punto, ricorribile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; II.) “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto per aver violato in tema di procedimento e di diritto ai sensi del combinato disposto degli artt. 1343 c.c. e segg. e artt. 1418 e 1421 c.c., incorrendo così non solo in vizi omissivo ma anche di violazione di legge e in procedendo, ricorribile ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3-4, perchè pur riconoscendo l’illiceità della causa distrattiva del contratto non ne dichiara la nullità del contratto stesso che invece doveva rilevarsi d’uffici in ogni stato e grado” – va rilevata l’inammissibilità del ricorso in ragione della tardività della sua notifica, avvenuta in data 21/05/2015, stante la validità della notifica della sentenza d’appello eseguita in data 27/11/2014 a mezzo PEC, con conseguente superamento del termine breve di sessanta giorni ex art. 325 c.p.c..

4. A sostegno della corrispondente eccezione, i controricorrenti hanno allegato (v. doc. 3): copia analogica della sentenza d’appello n. 4657/14, corredata da attestazione di conformità (ex “D.L. n. 90 del 2014, art. 52 – L. n. 114 del 2014”) all’originale digitale “estratto dal fascicolo informatico n. 883/12 R.G. della Corte di appello di Napoli – I sezione civile”; relata di notifica “in via telematica, ai sensi del D.M. Giustizia3 aprile 2013, n. 48” della predetta sentenza, trasmessa a mezzo PEC all’indirizzo di posta elettronica del difensore costituito del Fallimento (OMISSIS) s.r.l., avv. Antonio Napolitano (antonio.napolitano56.avvocatiavellinopec.it); copia analogica delle ricevute di notifica, accettazione e consegna telematica del messaggio e relativi allegati (sentenza e relata telematica in formato pdf.p7m); attestazione di conformità “ai sensi e per gli effetti del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9, convertito nella L. n. 221 del 2012, come introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, convertito nella L. n. 114 del 2014, nonchè del D.L. n. 132 del 2014, convertito nella L. n. 162 del 2014” delle predette ricevute cartacee di accettazione e consegna – attestanti l’intervenuta notificazione della sentenza d’appello, in data 27/11/2014, all’indirizzo PEC dell’avv. Antonio Napolitano “ricavato dal pubblico registro INIPEC” – “ai files. eml emessi contestualmente dal sistema di posta elettronica certificata (c/o Aruba Sign) ed estratti direttamente dal dichiarante”.

4.1. L’intervenuta notificazione della sentenza d’appello trova riscontro nell’istanza del 18/12/2014 allegata allo stesso ricorso, recante come oggetto “parere sull’avvenuta notifica sentenza Corte Appello di Napoli n. 4657/14”, in cui il curatore del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. fa riferimento “alla comunicazione dell’Avvocato Napolitano, costituito per la Curatela, ed alla notifica della sentenza di Appello che richiede una decisione sul prosieguo, urgente perchè consenta nel termine di 60 giorni dal 28 novembre 2014, una decisione circa la proposizione di un ricorso per Cassazione”.

5. Al riguardo il ricorrente, dopo aver perentoriamente affermato nel frontespizio del ricorso che la sentenza d’appello impugnata non era stata “mai notificata”, a fronte dell’eccezione sollevata dai controricorrenti ha aggiunto, nella memoria del 23 gennaio 2020, di aver “ricevuto la notificazione della sentenza n. 4657/2014, da parte della Cancelleria della Corte d’Appello, I sezione civile, inviata ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, che, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, però, non produce gli effetti ex art. 325 c.p.c.” ed ha altresì ammesso che la sentenza gli era stata notificata a mezzo PEC anche dagli odierni controricorrenti, sollevando però una serie di contestazioni sulla regolarità di detta notificazione, in parte estese anche alla regolarità della notifica del controricorso.

5.1. In particolare, dopo aver osservato che la relata di notifica è “presente solo nel messaggio PEC e non anche nel documento separato in formato pdf prescritto dalla L. n. 53 del 1994, art. 3-bis e dall’art. 19-bis del Provv. DGSIA 16/4/2014”, il ricorrente ha eccepito che nell’oggetto del messaggio pec datato 27 novembre 2014 manca la specifica dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” (essendovi indicato solo “notifica telematica”) e che la relata di notifica presenta i seguenti “gravi vizi e/o omissioni”: i) “manca l’attestazione di conformità in quanto non si comprende se sia stata notificata una copia informatica di documento informatico della sentenza, estratta perciò ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 9-bis, ovvero una copia informatica della copia analogica rilasciata dalla cancelleria, essendo stato omesso ogni riferimento al riguardo nella relata di notifica, che dovrebbe contenere le indicazioni previste dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-undecises, comma 3, nel primo caso, e l’attestazione L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, comma 2, nel secondo caso. Il tutto conformemente al disposto di cui all’art. 19-ter Provv. DGSIA 16/4/2014 recante le regole tecniche relative alle modalità di attestazione di conformità su documento separato”, con la conseguenza che non vi è prova che sia stata notificata copia autentica della sentenza; ii) “manca l’indicazione dell’elenco pubblico, tra quelli previsti dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-ter, dal quale è stato estratto l’indirizzo PEC del destinatario”; iii) “non si ha contezza (…) che l’indirizzo PEC dell’avvocato notificante risultasse iscritto in uno dei pubblici elenchi previsti dal D.L. n. 179 del 2012, citato art. 16-ter, secondo la previsione della prima parte della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 12, secondo cui “La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi””; iv) “viene riportato erroneamente il nome A.M.” (in luogo di A.M.A., come indicato nella sentenza di appello); v) “manca l’indicazione del codice fiscale delle parti che hanno conferito la procura alle liti, indicazione prescritta dalla L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 5, lett. c)”; vi) manca “l’indicazione della sezione della Corte d’Appello che pronunciò il provvedimento oggetto di notificazione”, in violazione dell’art. 3-bis cit., successivo comma 6; vii) “non vi è traccia” della procura alle liti al notificante; viii) non è stata “correttamente formata l’attestazione di conformità della copia analogica della notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis, datata 25/06/2015 (dopo la notifica del ricorso per cassazione avvenuta in data 21/05/2015)”, poichè il riferimento fatto dal difensore dei controricorrenti “all’art. 16-bis comma 9 (bis, n.d.e.) D.L. n. 179 del 2012, lascerebbe intendere che il notificante abbia estratto le ricevute delle notificazioni dal fascicolo informatico di cancelleria, laddove la L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1 bis, prescrive, invece, che la prova analogica della notifica eseguita telematicamente dall’avvocato debba essere data attraverso l’estrazione di “copia su supporto analogico (a) del messaggio di posta elettronica certificata, (b) dei suoi allegati, (c) della ricevuta di accettazione e (d) di avvenuta consegna e (e) ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1″ con estrazione di tali copie analogiche, quindi, dal proprio archivio informatico e non di certo dai registri informatici del Tribunale”; ix) “la copia analogica prodotta ex adverso, in violazione della norma richiamata, comprende solo la stampa del messaggio (nel cui corpo del testo è contenuta l’imperfetta relazione di notifica, che non è in PDF e non può pertanto esser stata firmata digitalmente) e le ricevute di accettazione e consegna, senza la stampa dell’atto oggetto di notifica e della relata in formato pdf (“e dei suoi allegati”), sicchè “la prova analogica della notificazione telematica non è stata, correttamente data ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis”.

6. Le minuziose contestazioni sulla regolarità del procedimento di notifica telematica cd. “in proprio”, ai sensi della L. n. 53 del 1994 (e successive modifiche), non appaiono fondate, alla luce dell’orientamento assunto da questa Corte in subiecta materia, in base al fondamentale principio per cui “la L. n. 53 del 1994, art. 11, là dove commina la nullità della notificazione eseguita personalmente dall’avvocato “se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti”, non intende affatto sanzionare con l’inefficacia anche le più innocue irregolarità” – in relazione alle quali “non viene in rilievo la lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione finale, bensì, al più, una mera irregolarità sanabile in virtù del principio di raggiungimento dello scopo” – laddove “la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale”, per avere la parte ricevuto la notifica e compreso il contenuto dell’atto (Cass. Sez. U., 23620/2018, 7665/2016; Cass. 14042/2018, 30927/2018, 20625/2017, 6079/2017, 19814/2016, 26831/2014).

6.1. In particolare, sulla scorta del richiamato principio di raggiungimento dello scopo, questa Corte ha più volte respinto l’eccezione di nullità della notifica telematica priva della indicazione, nell’oggetto del messaggio PEC, della dicitura “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” (Sez. U., 23620/2018; Cass. 30927/2018), rispetto alla quale la dicitura “notifica telematica”, presente nella notifica in esame, appare più che sufficiente.

6.2. Parimenti inconferente è la mera incompletezza del nome di una delle parti nel cui interesse è stata effettuata la notifica ( A.M., in luogo di A.M.A.), avendo questa Corte escluso la nullità della notifica addirittura in un caso di indicazione di un’amministrazione diversa da quella nei cui confronti si era svolto il giudizio, poichè dalla lettura complessiva dell’atto emergeva chiaramente la riferibilità alla parte interessata e lo stesso aveva comunque raggiunto il suo scopo, consentendo alla controparte di difendersi adeguatamente (Cass. 26489/2018).

Le stesse argomentazioni valgono per l’eccezione di “mancata indicazione del codice fiscale delle parti che hanno conferito la procura alle liti, prescritta dalla L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 5, lett. c)” (Cass. Sez. U, 23620/2018), trattandosi di dati chiaramente indicati nell’intestazione della sentenza oggetto di notifica, al pari della “esistenza di procura alle liti in capo al notificante (avv. Di Nuzzo)”.

Del resto, lo scopo essenziale della relazione di notificazione è rendere “percepibile dal destinatario la funzione cui l’invio dell’atto assolve, contenendo i dati che consentono di individuarne la collocazione processuale e la conformità all’originale, nonchè la legittimazione del mittente” (Cass. 11593/2017, che ha perciò reputato inidonea a far decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c., una notifica della sentenza che si presentava del tutto priva della relazione di notificazione, del codice fiscale dell’avvocato notificante, del nome, cognome, ragione sociale o codice fiscale della parte conferente il mandato, nonchè dell’attestazione di conformità all’atto cartaceo da cui l’atto notificato era stato tratto).

6.3. Analoga conclusione va tratta per la mancata indicazione, nella relata di notifica, della sezione della Corte d’Appello che ha pronunciato la sentenza impugnata – invece specificamente indicata nella “attestazione di conformità” della copia analogica all’originale digitale – avendo questa Corte affermato che, nell’ipotesi di notifica dell’atto in corso di procedimento, l’onere di indicazione della sezione (oltre che del numero e dell’anno di ruolo della causa) “assolve al fine di consentire l’univoca individuazione del processo al quale si riferisce la notificazione”, sicchè, “ove l’atto contenga elementi altrettanto univoci”, come “gli estremi della sentenza impugnata, la notificazione non potrà essere dichiarata nulla, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, avendo comunque raggiunto il suo scopo” (Cass. 17022/2018).

6.4. Sempre in forza del principio del raggiungimento dello scopo va esclusa l’efficacia invalidante della mancata indicazione, nella relata di notifica, dell’elenco pubblico – tra quelli previsti dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-ter – da cui è stato estratto l’indirizzo di posta elettronica del destinatario (Cass. Sez. U, 7665/2016; Cass. 6079/2017, 30927/2018), tanto più che nel caso di specie il notificante ha espressamente dichiarato, nell’attestazione di conformità relativa alle ricevute cartacee di accettazione e consegna, che l’indirizzo PEC del destinatario è stato “ricavato dal pubblico registro INIPEC”, come poi comprovato dal documento allegato alla memoria dei controricorrenti.

Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, valorizzando l’introduzione del cd. “domicilio digitale”, hanno ritenuto valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6-bis, atteso che, proprio in virtù di tale disposizione, il difensore è obbligato a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è a sua volta obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGIndE, che sono, per l’appunto, pubblici elenchi (Cass. Sez. U., 23620/2018).

Numerose pronunce hanno poi ribadito la piena legittimità di notifiche eseguite presso l’indirizzo PEC risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC) istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico, espressamente incluso fra i pubblici elenchi del D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16-ter (ex multis Cass. 9893/2019), ribadendo espressamente “il principio, enunciato dalle S.U. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. dalla L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv. con modif. dalla L. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia”” (Cass. 29749/2019).

6.5. Le superiori considerazioni valgono anche con riguardo all’analoga contestazione riferita all’indirizzo PEC dell’avvocato notificante (avvermannodinuzzo.pec.ordineforense.salerno.it); del resto, la disposizione normativa invocata dal ricorrente (L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 12, prima parte) si limita a prescrivere che “la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”, e tale requisito risulta pacificamente integrato.

6.6. Quanto alle perplessità sollevate sul rispetto delle regole tecniche dettate dall’art. 19-ter del Provv. DGSIA 16 aprile 2014 per l’attestazione di conformità della sentenza notificata (nel senso che difetterebbe la prova che si tratti di copia autentica della sentenza impugnata), si rileva che nell’attestazione di conformità datata 14/5/2015 è scritto espressamente che l’atto notificato “è copia analogica del corrispondente provvedimento in formato digitale estratto dal fascicolo informatico” (doc. 3 allegato al controricorso).

D’altronde, circa i requisiti dell’autentica questa Corte ha chiarito che l’attestazione di conformità del difensore è sufficiente se riferita al contenuto testuale del documento che ne è oggetto, e che la regolarità del documento attestato si presume sino a specifica contestazione della parte controinteressata, onerata di allegare l’esistenza di precisi vizi, tali da determinare la lesione del diritto di difesa o un pregiudizio per la decisione; di conseguenza, è stata ritenuta idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione anche una notificazione telematica di copia della sentenza mancante dell’attestazione di conformità all’originale, gravando sul destinatario l’onere di dimostrare che tale irregolarità abbia arrecato un pregiudizio alla conoscenza dell’atto e al concreto esercizio del diritto di difesa (Cass. 20747/2018).

6.7. Analoga sorte spetta alle perplessità sollevate con riguardo all’attestazione di conformità della copia analogica delle ricevute di accettazione e consegna, datata 25/06/2015, poichè essa appare testualmente riferita a files informatici (formato.eml) estratti dall’archivio informatico del dichiarante (segnatamente dal “sistema di posta elettronica certificata c/o Aruba Sign”), al di là del riferimento al D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis (come introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52).

6.8. Non è meritevole di accoglimento il rilievo per cui non sarebbe stata “correttamente” data la “prova analogica della notificazione telematica ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis” – per essere stati stampati solo il messaggio contenente la relazione di notifica e le ricevute di accettazione e consegna, non anche l’atto oggetto di notifica e la relata in formato pdf – in quanto al messaggio risultano “allegati” la sentenza d’appello n. 4657/14 e la relata telematica, in formato pdf.p7m (cfr. Cass. 6417/2019).

Al riguardo questa Corte ha più volte evidenziato l’idoneità della copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna (RAC), completa di attestazione di conformità, a certificare il recapito non solo del messaggio, ma anche degli eventuali allegati alla stessa, salva prova contraria – di cui è onerata la parte che eccepisca la nullità costituita da errori tecnici riferibili al sistema informatizzato (Cass. 9897/2019; cfr. Cass. 4789/2018, 29732/2018); ciò perchè, “nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della pec e di consegna della stessa nella casella del destinatario, si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema di dichiarazioni negoziali, dall’art. 1335 c.c.. Spetta quindi al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole (…) della difficoltà nella presa visione degli allegati trasmessi via pec, onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente” (Cass. 25819/2017, 21560/2019).

6.9. Del tutto irrilevante è infine la contestazione della mancanza di prova della notifica della sentenza alle altre parti del giudizio d’appello, che peraltro non sono litisconsorti necessari nella causa instaurata dal Fallimento contro i signori D.P. e A..

7. Per le medesime ragioni sopra illustrate, risultano infondate anche le analoghe eccezioni di nullità della notifica del controricorso, nella quale peraltro, contrariamene a quanto dedotto, l’oggetto del messaggio di notifica contiene regolarmente la dizione “notifica telematica ex L. n. 53 del 1994”; inoltre, risultano allegate sia la “attestazione di conformità”, sia la prova dell’avvenuta notificazione telematica mediante stampa degli atti.

7.1. In ogni caso, va richiamato l’orientamento di questa Corte per cui, “in tema di rito camerale di legittimità ex art. 380-bis.1 c.p.c., relativamente ai ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 e per i quali venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà può presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente, trovando in tali casi applicazione l’art. 1 del Protocollo di intesa sulla trattazione dei ricorsi presso le Sezioni civili della Corte di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016 tra il Consiglio Nazionale Forense, l’Avvocatura generale dello Stato e la Corte di cassazione” (Cass. 12803/2019, 5508/2020).

8. Alla rilevata tardività del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo. La farraginosità della normativa in materia di notifiche telematiche esclude la ricorrenza dei presupposti (dolo, colpa grave o errore grossolano) della condanna invocata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, ovvero per lite temeraria ai sensi dell’abrogato art. 385 c.p.c., comma 4, applicabile ratione temporis (Cass. 17814/2019; v. Cass. Sez. U, 22405/2018; Cass. 14035/2019, 29462/2018, 2040/2018, 3003/2014, 21805/2012).

9. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U., n. 23535/2019 e n. 4315/2020).

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge. Rigetta la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020


Mansioni superiori: differenze retributive

Il Tribunale di Treviso riconosce sotto il profilo economico le mansioni superiori all’impiegata dell’Agenzia delle Entrate a cui è stata adibita non avendo né titolo di studio né profilo professionale
Nel pubblico impiego, il dipendente assegnato allo svolgimento, al di fuori dei casi consentiti, di mansioni corrispondenti a una qualifica superiore rispetto a quella posseduta, avrà diritto anche in relazione a tali compiti a una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 della Costituzione.
Ciò a condizione che le mansioni superiori siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate ad esse.
Lo ha rammentato il Tribunale del Lavoro di Treviso nella sentenza n. 136-2020 in materia di riconoscimento delle mansioni superiori, sotto il profilo economico, di dipendente dell’Agenzia delle Entrate.
La ricorrente, assistente tributaria di II area funzionale, lamenta di aver continuativamente svolto mansioni superiori rispetto all’inquadramento posseduto, avendo nel tempo svolto in autonomia tutta una serie di attività tra cui quelle di accertamento e contestazione nei confronti di soggetti sospettati di evasione fiscale, provvedendo anche alla predisposizione degli avvisi di accertamento e delle denunce penali in presenza dei relativi presupposti di legge, assumendo il ruolo di responsabile del procedimento nell’ambito delle segnalazioni inoltrate all’Autorità giudiziaria.
Il Tribunale rileva come la giurisprudenza di legittimità, nelle controversie tese ad ottenere il riconoscimento di qualifica superiore o comunque volte a dimostrare lo svolgimento di mansioni superiori (per rivendicare le relative differenze retributive), abbia più volte affermato che il procedimento logico giuridico alla base dell’indagine diretta alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore non può prescindere da tre fasi successive.
Devono, in pratica, accertarsi in fatto le attività lavorative in concreto svolte nonché individuarsi le qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria. Andrà poi effettuato un raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.
All’esito di tale procedimento, e ai fini dell’applicazione della tutela apprestata dall’art. 2103 c.c., la condizione da verificare è che l’assegnazione alle mansioni superiori sia stata piena, nel senso che abbia comportato l’assunzione della responsabilità e l’esercizio dell’autonomia proprie della corrispondente qualifica superiore.
Nello specifico settore del pubblico impiego, prosegue la sentenza, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “in materia di pubblico impiego contrattualizzato (…) l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (fra le altre sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989: n. 236 del 1992: n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.”
Tale retribuzione deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere, pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano siate svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri e assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni ( Cass. SS.UU. n. 25837/2007 e Cass. n. 27887/2009).
Nel caso di specie, le emergenze istruttorie conducono il giudice ad affermare che le mansioni svolte dalla ricorrente siano senz’altro da ricondurre a quelle riconducibili alla terza area funzionale e, per l’effetto, l’Agenzia delle Entrate viene condannata, ex art. 52 d.lgs. 165/01, al pagamento in suo favore delle differenze retributive tra quanto avrebbe percepito con un inquadramento nella III area funzionale, livello retributivo F1, e quanto ha effettivamente percepito, oltre la maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo.
Tuttavia, per il Tribunale è fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla resistente Agenzia delle Entrate: essendo rivendicate differenze retributive, spiega il Tribunale, devono intendersi in ogni caso prescritte le somme riferibili al periodo anteriore al quinquennio calcolato a ritroso dalla data di notifica del ricorso.


Documenti informatici: le nuove regole

Pubblicate sul sito dell’Agid le nuove Linee Guida per la formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici
L’Agenzia per l’Italia Digitale il 10 settembre 2020 ha inserito sul suo sito ufficiale le “Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici”. Un vero e proprio manuale in cui si forniscono importanti indicazioni sui principali step che caratterizzano la vita del documento informatico, dalla formazione alla conservazione.
Le Linee guida, al fine di consentire la rapida visione degli argomenti trattati da parte degli addetti ai lavori, è strutturata in 4 capitoli.
Il primo capitolo definisce l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione, lo scopo, i principi generali in materia di gestione documentale, chiarendone la natura vincolante.
Il secondo capitolo si occupa della formazione dei documenti informatici e di quelli amministrativi informatici.
Il terzo capitolo è dedicato alla gestione documentale, ossia registrazione, aggregazione, archiviazione dei documenti, sistema di conservazione e misure di sicurezza.
Il quarto infine tratta della conservazione dei documenti. In questa parte viene descritto il processo di conservazione dei documenti, le modalità di esibizione degli stesso e vengono definiti i ruoli e le responsabilità degli addetti.
Le linee guida si pongono il duplice scopo di aggiornare le regole tecniche del Codice dell’Amministrazione digitale e di riunire in una guida unica le regole tecniche e le circolari in materia. In questo modo è possibile avere un quadro d’insieme sulla gestione del documento informatico, attraverso il raggruppamento di materie disciplinate separatamente.
L’opera di aggiornamento ha reso necessaria l’abrogazione dell’intero DPCM del 13 novembre 2014 e della maggior parte delle norme del DPCM del 3 dicembre 2013. Abrogata anche la circolare n. 60 del 23 gennaio 2013 dell’Agid, sostituita dall’allegato 6 delle presenti Linee Guida.
Le Linee guida hanno carattere vincolante e valenza erga omnes. Nella gerarchia delle fonti esso è un atto di regolamentazione, per cui, se quanto prescritto viene violato è possibile ricorrere al giudice amministrativo, se invece le violazioni vengono commesse dai soggetti di cui al comma 2 art. 2 Codice Amministrazione Digitale, tra cui compaiono le pubbliche amministrazioni statali, gli enti locali e le Camere di Commercio, è previsto il ricorso al Difensore Civico presso l’Agid, il quale, ricevuta la segnalazione, se la ritiene fondata, invita il responsabile a porvi rimedio entro il termine massimo di 30 giorni.
Le linee guida entrano in “vigore il giorno successivo a quello della loro pubblicazione sul sito istituzionale di AGID, di cui si darà notizia sulla Gazzetta Ufficiale. Esse si applicano 270 giorni successivi alla loro entrata in vigore. A partire da questo termine i soggetti di cui all’ art. 2 commi 2 e 3 del CAD formano i loro documenti esclusivamente in conformità alle presenti Linee Guida.”
Linee Guida sul documento informatico
Data emissione: 09-09-2020
Le Linee guida sono articolate in un documento principale e in sei Allegati che ne costituiscono parte integrante.
Gli allegati sono i seguenti:
Allegato 1 Glossario dei termini e degli acronimi
Allegato 2 Formati di File e Riversamento
Allegato 3 Certificazione di processo
Allegato 4 Standard e specifiche tecniche
Allegato 5 metadati
Allegato 6 Comunicazione tra AOO di Documenti Amministrativi Protocollati


Non basta la parola del portiere per considerare la società irreperibile

Risulta nulla la notifica dell’atto tributario che viene eseguita senza lo svolgimento di autonome ricerche presso gli uffici anagrafici comunali. È questo l’importante principio sancito dalla Corte di Cassazione.

La notifica dell’atto tributario eseguita con le modalità previste per i casi di irreperibilità assoluta è nulla se il destinatario è risultato assente al momento della consegna e il messo notificatore si è basato solo sulle dichiarazioni del portiere dello stabile, che ha affermato di non conoscere il contribuente.
Perché si verifichi l’irreperibilità assoluta, infatti, il messo Comunale/notificatore non può fare riferimento soltanto a dichiarazioni di terzi. Deve svolgere autonome ricerche presso gli uffici anagrafici per verificare che il destinatario dell’atto non abbia più abitazione, ufficio o azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale.
A precisarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27035 del 24 ottobre 2018.
La sentenza della Corte di Cassazione ribadisce alcuni importanti principi normativi in tema di corretta modalità di consegna e notifica degli avvisi e degli atti di carattere tributario.
I fatti – La controversia nasce a seguito dell’impugnazione di un avviso di intimazione di pagamento notificato dall’agente della riscossione ad una società per omessa notifica della prodromica cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo dell’IVA dovuta a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione.
La società si doleva del fatto di non aver mai ricevuto la raccomandata informativa prevista dall’articolo 140 del codice di procedura civile, a cui rimanda l’articolo 60 del DPR 600/1973 in tema di notifica, in caso di assenza del destinatario al momento della consegna dell’atto tributario.
Il ricorso della società è stato respinto dalla CTP e la medesima sorte è toccata in sede di appello. I giudici della CTR hanno ritenuto regolare la notifica della cartella di pagamento effettuata dall’agente della riscossione, in quanto l’articolo 60 d.P.R. n. 600 del 1973 non prevede l’invio della raccomandata informativa in una ipotesi “di irreperibilità assoluta del destinatario.”
Avverso la decisione di secondo grado la società ha proposto ricorso in Cassazione che, ritenendone fondati i relativi motivi, ha deciso nel merito di accogliere l’originario ricorso della società contribuente annullando l’avviso di intimazione e condannando l’agente della riscossione al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore del ricorrente.
La decisione – La notificazione degli avvisi e gli altri atti tributari (che per legge devono essere notificati al contribuente) è espressamente disciplinata dall’articolo 60 del D.Lgs. 600/1973 che, facendo espresso rinvio alle norme stabilite in materia dal codice di procedura civile (artt. 137 e seguenti), prevede che la notifica sia eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’ufficio dell’Agenzia delle entrate.
Per quanto attiene le corrette modalità di consegna dell’atto, i giudici della Suprema Corte distinguono due diverse ipotesi, ognuna con peculiarità proprie:
• l’irreperibilità temporanea;
• l’irreperibilità assoluta.
Modalità di consegna degli avvisi di accertamento e degli atti tributari in genere: l’ipotesi della temporanea irreperibilità
La prima ipotesi riguarda il caso in cui la residenza e l’indirizzo del destinatario sono conosciuti, ma la consegna non è andata a buon fine perché il destinatario (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto per temporanea irreperibilità.
In questo caso la notifica si intende effettuata con il deposito della copia dell’atto nella casa comunale dove la notificazione deve eseguirsi, con l’affissione dell’avviso di deposito, in busta chiusa e sigillata, alla porta dell’abitazione (o dell’ufficio o dell’azienda) del destinatario, al quale deve essere obbligatoriamente data notizia per raccomandata con avviso di ricevimento (secondo quanto previsto dall’articolo 140 codice di procedura civile).
Modalità di consegna degli avvisi di accertamento e degli atti tributari in genere: l’ipotesi della irreperibilità assoluta
La seconda ipotesi riguarda invece il caso in cui la residenza e l’indirizzo del destinatario non sono conosciuti perché questi risulta trasferito in luogo sconosciuto e il messo notificatore, che ha tentato di effettuare la consegna all’ultimo indirizzo conosciuto, non rinviene il destinatario.
L’accertamento di tale irreperibilità assoluta deve essere dichiarata dallo stesso messo notificatore solo dopo aver eseguito autonome ricerche nell’anagrafe comunale del luogo dove è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune.
In questo caso l’avviso di deposito, in busta chiusa e sigillata, deve essere affisso nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione, senza necessità di inviare la raccomandata informativa (secondo quanto previsto dall’articolo 60, comma 1, lettera e) del DPR 600/1973).
In altri termini, il primo caso ravvisa una ipotesi di assenza relativa perché il destinatario è effettivamente residente nell’indirizzo indicato nel certificato anagrafico del comune ma al momento della notifica dell’atto tributario è momentaneamente assente (cd. “semplice assenza”).
Il secondo caso, invece, riguarda una ipotesi di irreperibilità assoluta il destinatario non è residente all’indirizzo conosciuto e non è possibile individuare o ricercare la sua residenza (cd. “irreperibilità assoluta”).
I giudici di legittimità hanno affermato, ribadendo quanto già sancito dalla sentenza n. 24260 del 2014, che è illegittima la notifica di una cartella di pagamento effettuata con le modalità previste nei casi di irreperibilità assoluta, se il messo abbia attestato l’irreperibilità del destinatario nel comune dove era situato il domicilio fiscale del contribuente, senza però aver indicato le ulteriori ricerche compiute per verificare che il trasferimento non fosse un mero mutamento di indirizzo all’interno dello stesso comune. Le modalità corrette, infatti, sono quelle previste per i casi di assenza momentanea, che comprendono l’invio da parte dell’agente della riscossione della raccomandata informativa.
Il summenzionato principio è stato ulteriormente confermato dalla sentenza n. 2877/2018, in cui è stato sancito che “in tema di notificazione degli atti impositivi, prima di effettuare la notifica secondo le modalità previste dall’art. 60, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 600 del 1973, in luogo di quella ex art. 140 c.p.c., il messo notificatore o l’ufficiale giudiziario devono svolgere ricerche volte a verificare l’irreperibilità assoluta del contribuente, ossia che quest’ultimo non abbia più né l’abitazione né l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale.”
Nella controversia in esame la CTR ha sostenuto che, trattandosi di un caso di ipotesi di “irreperibilità assoluta”, non era necessario l’invio da parte dell’agente della riscossione della raccomandata informativa. A tale conclusione i giudici erano giunti basandosi solo sulle dichiarazioni del portiere dello stabile dove era domiciliata la società contribuente, che aveva affermato di non conoscere la società.
Diversamente, i giudici di legittimità hanno ravvisato una ipotesi di irreperibilità relativa, “non avendo il messo notificatore svolto ricerche dirette a verificare l’irreperibilità assoluta della società contribuente, ossia che quest’ultima non avesse più né l’abitazione né l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale, non potendosi ritenere sufficiente a quel fine la generica dichiarazione da quello acquisita dal portiere dello stabile.”
Così facendo i giudici d’appello non si sono attenuti ai summenzionati principi perché hanno ritenuto idonee a giustificare il ricorso alla notifica a soggetto assolutamente irreperibile, una mera dichiarazione di un soggetto terzo (il portiere) omettendo ulteriori verifiche. Tuttavia, proprio tale circostanza avrebbe dovuto indurre il messo notificatore a compiere i controlli necessari ad accertare “se l’indicazione del domicilio della società destinataria dell’atto era corretta o se lo stesso non fosse mutato”.


Assenteismo in Comune Reggio Calabria, condannati in 26

REGGIO CALABRIA, 17 SET – Con la condanna di 26 dei 32 imputati si è concluso il processo “Torno Subito 2” nato da un’inchiesta della polizia di stato sull’assenteismo nel Comune di Reggio Calabria.

Il giudice monocratico Andreina Mazzariello ha accolto in buona parte le richieste della Procura della Repubblica rappresentata dal Procuratore della Repubblica, Giovanni Bombardieri, e dall’aggiunto Gerardo Dominijanni.

Ai 26 dipendenti del Comune condannati sono state inflitte pene varianti tra un anno e mezzo ed 8 mesi di reclusione.

Per due degli imputati assolti, Pasquale Bonocore e Antonino Branca, é stata usata la formula “perché il fatto non sussiste”. Gli altri quattro, invece, sono stati assolti “per la particolare tenuità del fatto”. Si tratta di Antonino Pino, Maurizio Delfino, Sebastiano Gullì e Pasqualina Scuncia.

Le indagini della Procura hanno rivelato che molti impiegati del Comune erano soliti attestare la propria presenza sul luogo di lavoro dal quale poi si allontanavano senza un giustificato motivo, procurandosi così un ingiusto profitto. (ANSA).


Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 16-07-2020) 17-09-2020, n. 19328

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28107/2015 proposto da:

Inps, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Cesare Beccaria 29 presso gli avvocati Gaetano De Ruvo, Elisabetta Lanzetta, Paola Massafra che lo rappresentano e difendono in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.P.L., elettivamente domiciliata in Roma Via Tacito 23 presso lo studio dell’avvocato Cristoforo Parisi e rappresentata e difesa dall’avvocato Alfredo Soldera, in forza di procura speciale allegata al controricorso;

– controricorrente –

e contro

Garante per la Protezione dei Dati Personali, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente incidentale –

e contro

M.P.L., elettivamente domiciliata in Roma Via Tacito 23 presso lo studio dell’avvocato Cristoforo Parisi e rappresentata e difesa dall’avvocato Alfredo Soldera, in forza della predetta procura speciale allegata al controricorso – controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1792/2015 del TRIBUNALE di LATINA, depositata il 09/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/07/2020 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Svolgimento del processo
1. Con ricorso D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152 M.P.L. ha impugnato dinanzi al Tribunale di Latina il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali (di seguito: semplicemente Garante) n. 296 del 18/10/2012 con cui era stato respinto il reclamo da essa proposto per lamentare l’illecito trattamento di propri dati personali e sensibili commesso ai suoi danni dalla Dirigente della sede INPDAP, ora INPS, ex gestione INPDAP, di Latina nel maggio-giugno del 2011.

Secondo la ricorrente, la predetta Dirigente aveva trattato dati personali riservati in modo illecito, disponendo che la comunicazione degli addebiti professionali mossi nei suoi confronti e contenuti nelle note dirigenziali n. 132 del 23/5/2011 e n. 149 del 3/6/2011, preliminari alla revoca della sua posizione di “capo area pensioni”, avvenisse brevi manu e a vista, a mezzo di addetto alla segreteria non preposto al trattamento di dati personali, senza alcuna precauzione o cautela, come l’inserimento in un plico o in una busta, in violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11 del punto 5.3. delle “Linee guida in materia di trattamento dei dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico” del 14/6/2007 e delle norme INPDAP, Protocollo relazioni sindacali, punto B.3.

Inoltre la ricorrente aveva lamentato il fatto che la Dirigente, in occasione di un incontro sindacale del 31/5/2011 per la discussione della bozza di un ordine di servizio per la riorganizzazione della sede, aveva dichiarato a verbale che l’ordine di servizio era stato preparato consultando alcuni soggetti coinvolti nella stesura del provvedimento, che erano quindi venuti a conoscenza di suoi dati personali e sensibili e di pesanti addebiti relativi alla sua professionalità.

Tanto premesso, la ricorrente ha dedotto la nullità e l’ingiustizia del provvedimento del Garante, chiedendone l’annullamento, l’accertamento dell’illegittimità del trattamento dei propri dati personali e la condanna dell’INPS e dello stesso Garante per la protezione dei dati personali al risarcimento dei danni.

Si è costituito in giudizio l’INPS, eccependo preliminarmente la tardività del ricorso e l’incompetenza del giudice adito, dovendosi ritenere competente il Tribunale di Roma, in relazione alla sede legale dell’Istituto titolare del trattamento e chiedendo nel merito il rigetto del ricorso.

Si è costituito altresì il Garante per la protezione dei dati personali, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso nei propri confronti.

All’esito di istruttoria documentale e testimoniale, con sentenza del 9/9/2015, previa lettura del dispositivo all’udienza del 30/6/2015, il Tribunale di Latina ha annullato il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali n. 296 del 18/10/2012, ha accolto parzialmente la domanda risarcitoria, condannando l’INPS a pagare a M.P.L. la somma di Euro 10.000,00, ha respinto la domanda risarcitoria nei confronti del Garante e ha condannato l’INPS a rifondere le spese di lite alla ricorrente, compensando le spese fra di essa e il Garante.

2. Avverso la predetta sentenza, notificata in data 24/9/2015, con atto notificato con affidamento al servizio postale il 20/11/2015 ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, svolgendo quattro motivi.

Con atto notificato il 30/12/2015 ha proposto controricorso M.P.L., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Con atto notificato il 30/12/2015 ha proposto controricorso anche il Garante per la protezione dei dati personali, proponendo altresì ricorso incidentale per la cassazione della sentenza impugnata sulla base di cinque motivi.

Con atto notificato il 4/2/2016 la controricorrente M.P.L. ha proposto controricorso anche nei confronti del ricorso incidentale del Garante per la protezione dei dati personali, chiedendone la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto.

Il ricorrente INPS e la controricorrente M. hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 2, l’Istituto ricorrente denuncia violazione delle norme sulla competenza e in particolare del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 nonchè dell’art. 46 c.c. e art. 19 c.p.c., dei principi di cui all’art. 111 Cost. e del suo comma 2, in tema di relazione fra giusto processo e regole sulla competenza, in lettura integrata con l’art. 6 CEDU. 1.1. Il Tribunale di Latina ha ritenuto la propria competenza quale giudice del luogo di sede decentrata provinciale, dotata di direttore munito di poteri rappresentativi ex art. 19 c.p.c., comma 2.

Secondo l’INPS, la competenza attribuita al Tribunale del luogo ove risiede il titolare del trattamento dei dati ha invece natura funzionale e inderogabile e non era possibile invocare il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 16, lett. f), privo di attitudine a modificare il criterio di determinazione dell’organo legittimato a rappresentare legalmente l’amministrazione.

Inoltre la ravvisata esigenza di avvicinare il giudice al luogo del trattamento dei dati si scontrava con il termine “residenza” contenuto nella norma, di carattere soggettivo e utilizzato in senso proprio.

1.2. La censura è infondata e il Tribunale di Latina ha ben giudicato ravvisando la propria competenza territoriale.

Infatti, secondo il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 10, comma 2, richiamato dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152 per le controversie in materia di applicazione delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali è competente il tribunale del luogo in cui ha la sua “residenza” il titolare del trattamento dei dati, come definito dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 4.

Il predetto, art. 4, alla lett. f), nel testo pro tempore applicabile prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, definisce “titolare” la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza.

Inoltre il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 28 precisa che quando il trattamento è effettuato da una persona giuridica, da una pubblica amministrazione o da un qualsiasi altro ente, associazione od organismo, titolare del trattamento è l’entità nel suo complesso o l’unità od organismo periferico che esercita un potere decisionale del tutto autonomo sulle finalità e sulle modalità del trattamento, ivi compreso il profilo della sicurezza.

1.3. Come correttamente osservato dal Tribunale latinense, il riferimento della legge al luogo di “residenza” del titolare del trattamento è evidentemente applicabile, in modo diretto e giuridicamente proprio, alla sola persona fisica.

Quando il titolare del trattamento è una persona giuridica o una pubblica amministrazione si rende quindi necessaria l’interpretazione correttiva e integrativa, peraltro agevole, adottata nella sentenza impugnata, avuto riguardo al foro generale delle persone giuridiche, pubbliche e private, previsto dall’art. 19 c.p.c., secondo il quale, salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha sede, nonchè il giudice del luogo dove essa ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda.

Inoltre, ai sensi dell’art. 46 c.c. quando la legge fa dipendere determinati effetti dalla residenza o dal domicilio, per le persone giuridiche si ha riguardo al luogo in cui è stabilita la loro sede e nei casi in cui la sede stabilita ai sensi dell’art. 16 c.c. o la sede risultante dal registro sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche questa ultima.

Per sede effettiva la giurisprudenza costante intende il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente ed ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti, ossia il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentramento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente (Sez. L, n. 6021 del 12/03/2009).

1.4. Sulla base di queste complessive considerazioni e nella logica di individuare la regola di competenza in modo rispondente alle esigenze di tutela cui è finalizzato il Codice dei dati personali, deve quindi ritenersi che il luogo ove risiede il titolare del trattamento alluda a una nozione collegata ad una localizzazione “dinamica” e non “statica” del titolare, espressa quindi dal suo agire rilevante secondo il Codice.

Il luogo in cui risiede il titolare del trattamento si identifica pertanto in quello in cui il trattamento ha luogo in modo autonomo e quindi si manifesta in concreto.

Questa Corte, allorchè ha escluso come manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 24 Cost., del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, comma 2, ha ritenuto che la scelta di individuare il luogo di residenza del titolare del trattamento come foro territoriale esclusivo per le controversie in materia di protezione dei dati personali di cui al comma 1 rispondesse alla scelta di privilegiare l’esigenza di vicinanza del giudice al luogo di trattamento e diffusione dei dati, mediante non irragionevole esercizio della discrezionalità legislativa (Sez. 3, n. 12980 del 31/05/2006, Rv. 589931 – 01).

Inoltre, diversamente opinando, si perverrebbe al singolare risultato che una disciplina complessa come quella del D.Lgs. n. 196 del 2003, dettata in funzione dell’esigenza di tutela del soggetto come tale, sotto il profilo del luogo di svolgimento del processo e, quindi, della tutela giurisdizionale, avrebbe assunto come regola di radicazione della competenza un criterio diretto a tutelare precipuamente l’interesse del titolare del trattamento; infatti, è evidente che costringere il soggetto i cui dati sono trattati a litigare non già nel luogo in cui gli effetti del trattamento si evidenziano e, quindi rivelano la loro capacità lesiva, bensì nel luogo in cui risiede il titolare (magari lontanissimo dal luogo di emersione del trattamento) implicherebbe una grave ed irragionevole contraddizione con la ratio di protezione del soggetto leso.

1.5. Il Tribunale, con diversa e concorrente linea argomentativa, non ha mancato di precisare agli effetti di cui all’art. 19 c.p.c., comma 1, seconda parte, che secondo la giurisprudenza di legittimità l’estensione ad opera della L. 8 marzo 1985, n. 72 ai dirigenti degli uffici centrali e periferici degli enti pubblici economici della normativa di cui al D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 sullo stato giuridico dei dirigenti statali comporta l’applicazione ai primi della disposizione di cui al D.P.R. n. 748 del 1972, art. 2, comma 2 circa il potere di rappresentanza giuridica dell’amministrazione nei confronti dei terzi, con la conseguente legittimazione dei dirigenti provinciali degli enti previdenziali a promuovere e resistere alle liti, senza necessità di preventiva delega da parte del Presidente dell’Istituto (Sez. U, n. 11050 del 22/12/1994, Rv. 489357 – 01; Sez. L, n. 12262 del 20/08/2003, Rv. 566085 – 01; Sez. L, n. 12870 del 12/07/2004, Rv. 574471 – 01).

Conclusione questa non scalfita dal nuovo contesto normativo (in seguito all’abrogazione dell’art. 2 e alle disposizioni del Capo 1 del D.P.R. n. 748 cit., e al D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 3 e 16 da parte del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 43 e successive modificazioni), atteso che il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 4, comma 2, ha ribadito che ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno e il successivo art. 16, lett. f), ha confermato il potere dei medesimi dirigenti di promuovere e resistere alle liti, conciliare e transigere (Sez. L, n. 955 del 24/01/2012, Rv. 621250 – 01).

Al riguardo l’Istituto ricorrente si limita a prospettare un diverso indirizzo giurisprudenziale (Sez. lav. 13/04/2012 n. 5885), che non appare pertinente poichè in quell’occasione era stata cassata la sentenza di merito che aveva escluso il potere di rappresentanza generale del rettore di una Università degli studi, attribuendo il potere di rappresentanza in giudizio al dirigente amministrativo dell’Ente.

1.6. E’ infine il caso di ricordare che questa Corte, nel ritenere che in caso di dati personali nella disponibilità di un ufficio giudiziario (nella specie, relativi ad un procedimento disciplinare disposto nei confronti di un dipendente dell’ufficio), giudice territorialmente competente per l’azione di risarcimento per la loro indebita diffusione sia il tribunale del luogo di residenza del capo dell’ufficio giudiziario, che riveste la qualità di titolare del trattamento dei dati, ha avuto cura di precisare che tale luogo deve essere inteso in senso funzionale ed oggettivo, quale luogo di stanzialità e di stabile ubicazione e cioè quale luogo della sede dell’ufficio (Sez. 6 – 3, n. 22526 del 23/10/2014, Rv. 634404 – 01).

Da ultimo e per completezza, anche del Regolamento UE 27/04/2016 n. 679, art. 79, il comma 2 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali (regolamento generale sulla protezione dei dati – GDPR) comunque inapplicabile ratione temporis, a differenza della previgente Direttiva 24/10/1995 n. 46 1995/46/CE, prevede espressamente che le azioni nei confronti del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento debbono essere promosse dinanzi alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento ha uno stabilimento. In alternativa, tali azioni possono essere promosse dinanzi alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui l’interessato risiede abitualmente, salvo che il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento sia un’autorità pubblica di uno Stato membro nell’esercizio dei pubblici poteri. Il considerando 22 precisa che lo stabilimento implica l’effettivo e reale svolgimento di attività nel quadro di un’organizzazione stabile. A tale riguardo, non è determinante la forma giuridica assunta, sia essa una succursale o una filiale dotata di personalità giuridica.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, l’Istituto ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11, 18, 28, 30, 35 e 112 nonchè dei principi dell’art. 111 Cost., con riferimento in particolare al comma 7 in tema di controllo delle parti sulla corretta applicazione della legge ex art. 6 CEDU. 2.1. L’INPS critica in tal modo la decisione impugnata anche con riferimento alla ritenuta violazione della disciplina del trattamento dei dati personali da parte dell’Ente pubblico datore di lavoro della Dott.ssa M., che sarebbe stata consumata per effetto, da un lato, delle modalità di comunicazione dell’ordine di servizio n. 2 del 2011, riguardante la revoca della sua posizione organizzativa di capo area pensioni, dall’altro, del coinvolgimento di soggetti chiamati alla gestione del documento.

Secondo il ricorrente, la gestione dei dati relativi alla sig.ra M. (con particolare riferimento al mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’Ente), era avvenuta nel rispetto del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11 e 18 per scopi determinati e nello svolgimento delle funzioni istituzionali.

L’affermazione che la materiale gestione dei documenti contenenti i dati personali sia stata affidata a soggetti non legittimati e privi di ruolo di responsabile e incaricato del trattamento è stata fondata su di un presupposto errato, ossia che presso la sede di Latina non fosse stata istituita la figura dell’incaricato e che tale carenza non fosse surrogabile dall’ordine di servizio n. 2/2009 che avrebbe semplicemente delineato i compiti amministrativi del personale di segreteria.

Come risultava invece da apposito elenco, trascritto nel ricorso “ai fini di completezza e autosufficienza”, al punto 64 figurava il nome di Stefanile Anna, ossia dell’addetta alla segreteria del dirigente che aveva provveduto materialmente alla consegna della nota come emergeva dalle dichiarazioni rese dal Direttore della Sede di Latina il 7/5/2012 in sede di ispezione della Guardia di Finanza. Inoltre dall’ordine di servizio n. 2 del 2009, depositato con il documento 13 dalla ricorrente, risultava che la predetta S.A. era preposta ad occuparsi della notifica e della conservazione di tutti gli atti della segreteria del personale e del dirigente ed era addetta all’archivio fascicoli del personale.

2.2. E’ opportuno premettere che il motivo, al pari di quelli successivi, dedotti per violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, contiene una clausola finale, rivolta a lamentare anche violazione dei principi dell’art. 111 Cost., con riferimento in particolare al comma 7 in tema di controllo delle parti sulla corretta applicazione della legge ex art. 6 CEDU. Si tratta peraltro di una sorta di formulazione di stile volta a rafforzare le censure svolte, ma priva di un autonomo contenuto, del resto neppur sviluppato nel ricorso sotto il profilo argomentativo.

2.3. Il ricorrente fonda la propria censura su alcuni documenti ossia l’elenco degli incaricati al trattamento dei dati trasmesso con missiva di posta elettronica dalla Direzione di Latina alla Direzione Centrale Affari Generali e Legislativi, Ufficio 4 dell’INPS del 18/9/2008 (doc. 6 del fascicolo di primo grado INPS), il verbale delle dichiarazioni rese dal Direttore della Sede di Latina in data 7/5/2012 alla Guardia di Finanza (doc. 3 del fascicolo di primo grado prodotto dall’INPS con la memoria di costituzione) e infine l’ordine di servizio n. 2/2009 del 1/6/2009 relativo ai compiti assegnati al personale (allegato sub 13 al ricorso introduttivo).

Il ricorso quindi contiene, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la specifica indicazione dei documenti sui quali si fondano le sue censure, documenti del resto depositati ex art. 372 c.p.c..

2.4. Il ricorso contiene non solo la sintesi dei passaggi rilevanti e l’integrale trascrizione dei documenti invocati, ma addirittura la loro incorporazione grafica nel testo: tecnica questa sovrabbondante e non raccomandabile, eppur priva di conseguenze sul piano dell’ammissibilità delle censure svolte.

Secondo questa Corte, qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Sez. 5, n. 13625 del 21/05/2019, Rv. 653996 – 01).

Sono infatti inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora: (a) il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso; ovvero (b) li abbia riprodotti ma senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame; ovvero ancora (c) non ne abbia precisato la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità. (Sez. U, n. 34469 del 27/12/2019, Rv. 656488 – 01).

Pertanto in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso (Sez. 1, n. 5478 del 07/03/2018, Rv. 647747 – 01).

Non appare pertinente il tentativo della controricorrente di rinvenire una ragione di inammissibilità del ricorso dell’INPS nell’utilizzo della predetta tecnica con riferimento alla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3 in ordine all’esposizione dei fatti rilevanti di causa mediante tecnica di cosiddetto “assemblaggio” (Sez. U, n. 5698 del 11/04/2012, Rv. 621813 – 01), dal momento che nella fattispecie l’INPS ha impiegato tale metodo di incorporazione grafica solo per produrre i documenti non adeguatamente valutati, dando tuttavia conto delle ragioni per cui ne invocava l’esame e non già per assolvere all’obbligo di sintetica esposizione dei fatti di causa.

2.4. Il predetto secondo motivo del ricorrente INPS è stato dedotto ex art. 360, n. 3 per violazione e/o falsa applicazione di legge.

A rigore, almeno quanto all’elenco dei soggetti abilitati al trattamento dati e forse anche quanto alle mansioni attribuite alla collaboratrice, non si evidenzia un errore nell’applicazione della legge e nemmeno nella sussunzione nella norma della fattispecie concreta, perchè la critica (come si dirà, fondatamente) l’accertamento del fatto a cui sono state applicate le norme: e cioè, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale, quanto alla sussistenza di un elenco dei soggetti autorizzati al trattamento dati e al fatto che la collaboratrice amministrativa incaricata della consegna della missiva aveva compiti precisi che implicavano la possibilità di conoscenza della contenuto della lettera.

In realtà, a ben vedere, l’Istituto ricorrente lamenta, anche e soprattutto, un vizio di omesso esame di fatti decisivi, indica i documenti che li comprovavano, dice quando sono stati prodotti, ne trascrive integralmente il contenuto: quindi, almeno in parte, il motivo, pur non invocando l’art. 360, n. 5, deduce nella sostanza quel tipo di vizio.

In applicazione del principio jura novit curia secondo cui “narra mihi factum, dabo tibi jus” compete a questa Corte la riqualificazione della la censura con il corretto nomen juris, avuto riguardo al suo contenuto sostanziale, come ritenuto da consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Sez. 6 – 5, n. 26310 del 07/11/2017, Rv. 64419 01; Sez. 6 – 5, n. 25557 del 27/10/2017, Rv. 646414 – 01; Sez. 6 – 3, n. 4036 del 20/02/2014, Rv. 630239 – 01; nonchè Sez. U, n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268 – 01).

2.5. La censura appare fondata.

Il Tribunale ha dapprima, correttamente, qualificato le informazioni relative alla revoca della sig.ra M. dalla posizione di responsabile dell’Area Pensioni presso la sede di Latina dell’INPS – Gestione ex INPDAP, come “dati personali” D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 4 applicabile ratione temporis, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2016/679.

Quindi nel p. 3.2.3. (pag.17-18 della sentenza impugnata) il Tribunale ha ritenuto illegittima la trasmissione della missiva effettuata a mani da una persona addetta alla segreteria mediante consegna del documento privo di busta, in contrasto con quanto previsto dal punto 5.3. delle “Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico” del 14/6/2007 che, in tema di modalità di comunicazione impone l’adozione di opportune cautele volte a prevenire l’ingiustificata conoscibilità di dati personali da parte di soggetti diversi dal destinatario.

Tanto premesso, secondo il Tribunale, la persona che aveva trasmesso l’atto alla sig.ra M. non rivestiva la posizione di incaricato al trattamento dei dati D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 30 visto che tale figura non era stata istituita presso la Sede INPS di Latina; nè tale carenza poteva essere surrogata dall’ordine di servizio 2/2009, che delineava solamente i compiti amministrativi demandati ai vari addetti alla segreteria e non abilitava gli addetti alla notifica dei provvedimenti del Dirigente anche al trattamento dei dati.

2.6. Tali affermazioni contengono vari errori, puntualmente stigmatizzati dall’Istituto ricorrente.

In primo luogo, dal documento n. 6 del fascicolo di primo grado INPS risulta l’esistenza – negata dal Tribunale – di un elenco di soggetti incaricati al trattamento dei dati, trasmesso con missiva di posta elettronica dalla Direzione di Latina alla Direzione Centrale Affari Generali e Legislativi, Ufficio 4 dell’INPS del 18/9/2008, in cui figura al n. 64 il nome di S.A., addetto di supporto Al.

Dal verbale delle dichiarazioni rese dal Direttore della Sede di Latina in data 7/5/2012 alla Guardia di Finanza (doc. 3 del fascicolo di primo grado prodotto dall’INPS con la memoria di costituzione) risulta che la persona che consegnò la missiva senza busta alla Dott.ssa M. era proprio la predetta S.A..

Infine, l’ordine di servizio n. 2/2009 del 1/6/2009 relativo ai compiti assegnati al personale (allegato sub 13 al ricorso introduttivo) attribuisce alla predetta S.A. non solo il compito di provvedere alla spedizione e curare la notifica della corrispondenza della segreteria del personale e del Dirigente, ma anche le mansioni di provvedere alla conservazione di atti e corrispondenza e di curare l’archivio dei fascicoli del personale, incarichi questi che implicano necessariamente l’accesso cognitivo al contenuto degli atti conservati e archiviati.

2.7. Per ravvisare l’illecito lamentato dalla ricorrente sig.ra M. il Tribunale avrebbe dovuto accertare che la lettera contenente i dati personali in questione fosse stata incautamente resa accessibile ad un soggetto diverso da quello abilitato al trattamento dei dati, alla sua notificazione, conservazione e archiviazione: accertamento doveroso, non compiuto dalla sentenza impugnata.

2.8. Non persuadono poi le obiezioni, invero molto generiche, svolte dalla controricorrente circa il mancato aggiornamento dell’elenco, risalente al 2008, tre anni prima dei fatti di causa, sia perchè la controricorrente non offre riscontro di tale contestazione nel giudizio di merito, sia perchè non risulta che tale elenco sia stato modificato, sia perchè, quand’anche alcuni dipendenti fossero stati trasferiti, non lo era la predetta sig.ra S.A. (unica circostanza rilevante).

Nè, infine, assume rilievo l’obiezione che l’elenco non riguarderebbe il trattamento di dati personali sensibili, non essendo stati ritenuti tali quelli oggetto di controversia, qualificati invece come meri dati personali.

2.9. Solo con la memoria ex art. 380 bis-1 c.p.c. del 30/6/2020 la controricorrente ha articolato ulteriori difese in ordine al contenuto dell’elenco del personale abilitato e dell’ordine di servizio 2/2009, volte a predicarne, sotto diversi profili, la genericità o la non conformità alle prescrizioni normative, che attengono tuttavia evidentemente al merito della valutazione che il Tribunale dovrà rinnovare in sede di rinvio, senza omettere l’esame delle circostanze di fatto oggetto dei documenti sopra citati.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, l’Istituto ricorrente denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dei principi dell’art. 111 Cost. e in particolare del comma 2 e del nucleo di garanzie irrinunciabili e coessenziali a un processo giusto in riferimento ai quali vanno ricondotti gli errori in procedendo, in lettura integrata con l’art. 6 CEDU. 3.1. Secondo l’INPS, il Tribunale era incorso in palese violazione di regole processuali nella valutazione delle prove in ordine alla ravvisata indebita divulgazione di dati personali relativi alla rimozione di M.P.L. dalla sua posizione di capo area pensioni nel corso della riunione sindacale del 31/5/2011 in cui erano state discusse le modifiche organizzative apportate con l’ordine di servizio n. 2 del 2011.

Secondo l’Istituto, non era stata infatti esaminata la prova documentale rappresentata dal verbale della riunione, allegata al ricorso introduttivo (doc. 7 ricorrente), la cui lettura dimostrava in modo lampante che esso non conteneva alcun riferimento ai risultati conseguiti dalla sig.ra M. e alle ragioni della sua revoca dalla posizione organizzativa; di conseguenza, il contenuto della prova era stato travisato in modo incontrovertibile, cosa che smentiva in modo evidente l’assunto del Tribunale secondo cui, come confermato dal teste B. all’udienza del 10/4/2014 la diffusione dei dati personali era avvenuta nell’ambito della predetta riunione sindacale.

3.2. La controricorrente M. ritiene violato l’art. 372 c.p.c. perchè il documento in questione (che non era stato prodotto dall’INPS, ma da lei nel giudizio di merito) richiamato, allegato e riprodotto nel testo del ricorso ha un contenuto parzialmente diverso da quello effettivamente prodotto dalla sig.ra M., allora ricorrente: in particolare il documento in questione manca di due pagine rispetto a quello prodotto e contiene invece diciture relative alla sua trasmissione via fax da Latina a Milano nel 2012, assenti nel documento prodotto.

La Corte può agevolmente superare tali obiezioni, di cui per vero non è ben chiara la rilevanza perchè volte a dimostrare differenze formali nel contenuto dei documenti, prive però di indicazioni circa la loro rilevanza ai fini di causa, in omaggio al principio della “ragion più liquida” ispirato al principio di economia processuale.

3.3. Il motivo deve infatti ritenersi inammissibile in quanto privo di specificità e pertinenza rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

A pag. 17 il Tribunale ha infatti affermato che “In definitiva, la diffusione della notizia della rimozione di M.P.L. dalle funzioni cui era stata preposta, avvenuta, come confermato dal teste B. sentito all’udienza del 10/4/2014, sicuramente nell’ambito della riunione sindacale del 31/5/2011, integra una condotta contraria alle norme precauzionali…”.

In tal modo l’accertamento del fatto lesivo avvenuto nel corso dell’incontro sindacale, ossia la divulgazione indebita della notizia della rimozione della signora M. dal suo incarico nell’ambito di una riunione sindacale è stato fondato dal Giudice di prima cura non già sul verbale della riunione, che, redatto in forma sintetica, ben può non riportare l’integrale contenuto di tutte le comunicazioni verbali intercorse in quell’occasione fra i soggetti coinvolti, ma sulle dichiarazioni del teste B., e quindi sul risultato di una prova testimoniale.

Il motivo pertanto non coglie il segno, trascurando di dar conto e affrontare criticamente la principale ragione sulla base della quale il Tribunale di Latina ha ritenuto che fosse stata realmente effettuata in quella circostanza di tempo e di luogo l’indebita diffusione di dati personali della sig.ra M..

4. Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 e dell’art. 2050 c.c. nonchè dei principi dell’art. 111 Cost., con riferimento in particolare al comma 7 in tema di controllo delle parti sulla corretta applicazione della legge ex art. 6 CEDU. 4.1. L’INPS sostiene che per potersi apprezzare una lesione ingiustificabile in tema di dati personali, suscettibile di risarcimento del danno non patrimoniale D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 15 non è sufficiente la mera violazione ma occorre una violazione sensibilmente offensiva, in difetto di dimostrazione di un pregiudizio significativo sofferto in conseguenza.

Nella fattispecie mancava in concreto la prova della gravità della lesione e della serietà del danno.

4.2. Il quarto motivo (erroneamente classificato quinto nel controricorso della sig.ra M.) riguarda la risarcibilità del danno non patrimoniale da illecito trattamento dei dati personali ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15.

L’orientamento giurisprudenziale più recente, condiviso anche dal Tribunale di Latina e conforme agli indirizzi di questa Corte (da ultimo Sez. 1, n. 207 del 8/1/2019), riconduce l’illecito trattamento di dati personali ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, anche alla luce dell’esplicito rinvio compiuto dalla legge (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 applicabile pro tempore) all’art. 2050 c.c..

Pertanto, il danneggiato che lamenti la lesione dell’interesse non patrimoniale può limitarsi a dimostrare l’esistenza del danno e del nesso di causalità rispetto al trattamento illecito, mentre spetta al danneggiante titolare del trattamento, eventualmente in solido col responsabile, dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee per evitare il danno. Questo schema è parzialmente confermato anche nel nuovo GDPR (art. 82.3 GDPR) che, sulla base del principio di responsabilizzazione (accountability) addossa al titolare del trattamento dei dati – eventualmente in solido con il responsabile il rischio tipico di impresa (art. 2050 c.c.).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di onere della prova, in caso di illecito trattamento dei dati personali, il pregiudizio non patrimoniale non è in re ipsa, ma deve essere allegato e provato da parte dell’attore, a pena di uno snaturamento delle funzioni della responsabilità aquiliana. La posizione attorea è tuttavia agevolata dal regime più favorevole dell’onere della prova, descritto all’art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonchè dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità (Sez. 1, 08/01/2019, n. 207; Sez. 1, 25/1/2017 n. 1931; Sez. 1, n. 10638 del 23/05/2016).

Per altro verso, il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 15 pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del danno (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato) alla stregua dei parametri generali scolpiti dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite n. 26972-26975 dell’11/11/2008; infatti anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui la regola di tolleranza della lesione minima costituisce intrinseco precipitato, sicchè determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva. Il relativo accertamento di fatto è tuttavia rimesso al giudice di merito e resta ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale (Sez. 3, n. 16133 del 15/07/2014, Rv. 632536 – 01; Sez. 3, n. 20615 del 13/10/2016, Rv. 642913 – 02; Sez.1, 8/1/2019 n. 227).

Il titolare del trattamento, per non incorrere in responsabilità deve dimostrare che l’evento dannoso non gli è in alcun modo imputabile e non può limitarsi alla prova negativa di non aver violato le norme (e quindi di essersi conformato ai precetti), ma occorre la prova positiva di aver valutato autonomamente il rischio di impresa, purchè tipico, cioè prevedibile, e attuato le misure organizzative e di sicurezza tali da eliminare o ridurre il rischio connesso alla sua attività. In ogni caso, come lo stesso Istituto ricorrente riconosce, l’accertamento del danno non patrimoniale è un accertamento di fatto, “rimesso al giudice di merito e resta ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale” (cfr. sent.16133/2014, citata).

4.3. La pronuncia impugnata non si è sottratta alla corretta applicazione dei principi illustrati, richiedendo l’allegazione e la prova da parte della parte danneggiata del danno-conseguenza, e ribadendo che il danno risarcibile non si identificava con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le sue conseguenze causali.

Ciò ha condotto il Tribunale ad escludere un danno biologico per lesione dell’integrità psico-fisica ma a ravvisare un danno non patrimoniale da sofferenza morale, pure dedotto da parte attrice e ritenuto dimostrato sulla base di un ragionamento presuntivo fondato su regole di esperienza.

Se è pur vero che il Tribunale sembra aver ritenuto operante una presunzione di sussistenza della sofferenza morale in caso di indebito trattamento dei dati personali, in apparente contraddizione con i principi generali in tema di riparto dell’onere probatorio dapprima richiamati, il Giudice latinense non si è comunque sottratto a una valutazione in concreto, allorchè, a pagina 34, ha fatto leva sulla massima di esperienza secondo cui dalla diffusione di valutazioni negative relative al proprio operato professionale normalmente scaturisce sofferenza morale dell’interessato, salvo poi circoscriverne l’entità in concreto sotto il profilo quantitativo considerando, da un lato, l’assenza di prova di elementi di personalizzazione specifici del pregiudizio e, dall’altro, il carattere limitato dell’ambito soggettivo di divulgazione ristretto all’ufficio ove la Dott.ssa M. prestava servizio.

Con la stessa valutazione, non sindacabile in sede di legittimità, il Tribunale ha escluso, implicitamente ma inequivocabilmente, con l’apprezzamento di un pregiudizio di media entità, che si fosse in presenza di una lesione minima e bagatellare dei diritti della personalità dell’interessata e di un pregiudizio irrisorio, e pertanto da ritenersi tollerabile alla luce del principio di solidarietà sociale.

4.4. Naturalmente anche l’entità del pregiudizio dovrà essere rivista alla luce dell’accoglimento del secondo motivo e del possibile ridimensionamento oggettivo dell’illecito in sede di giudizio di rinvio.

5. Anche il Garante per la protezione dei dati personali ha proposto ricorso incidentale contro la sentenza del Tribunale di Latina notificatagli in data 5/10/2015, con il controricorso recante ricorso incidentale, notificato il 30/12/2015, fondato su cinque motivi.

5.1. Con il primo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 2, il Garante lamenta violazione e falsa applicazione delle norme sulla competenza, e in particolare del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 1 e dell’art. 46 c.c. e art. 19 c.p.c..

5.2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Garante lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 30 e del punto 5.3. delle “Linee guida per il trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico del 14/6/2007”.

5.3. Con il terzo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Garante lamenta violazione e falsa applicazione del del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11.

5.4. Con il quarto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il Garante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

5.5. Con il quinto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il Garante lamenta travisamento di prova e omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, con riferimento al contenuto del verbale di incontro sindacale del 31/5/2011.

5.6. L’impugnazione incidentale tardiva, da qualunque parte provenga, deve essere dichiarata inammissibile laddove l’interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto dell’impugnazione principale (Sez. 3, n. 27616 del 29/10/2019, Rv. 655641 – 01; Sez. L, n. 6156 del 14/03/2018, Rv. 647499 – 01; Sez. 3, n. 19188 del 19/07/2018, Rv. 649738 – 01; Sez. 3, n. 15220 del 12/06/2018, Rv. 649306 – 01).

Nella specie, anche volendo ravvisare un interesse del Garante all’impugnazione della sentenza del Tribunale di Latina e la sua soccombenza, nonostante il rigetto della domanda risarcitoria nei suoi confronti e il mancato addebito delle spese processuali, in ragione dell’annullamento del provvedimento da lui emesso e comunque dell’accoglimento delle tesi della ricorrente circa l’illecito trattamento dei suoi dati personali, da lui avversata in sede amministrativa e giurisdizionale, appare assorbente il rilievo che tali circostanze preesistevano inequivocabilmente all’impugnazione dispiegata dall’INPS che in nessun modo poteva risultargli pregiudizievole.

La tardività del ricorso rispetto al termine di sessanta giorni imposto dalla notifica ricevuta il 5/10/2015 comporta l’inammissibilità del ricorso del Garante e la considerazione del suo contenuto come mera difesa adesiva a supporto del ricorso principale.

6. In accoglimento quindi del secondo motivo di ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Latina in diversa composizione.

7. La Corte ritiene necessario disporre che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso principale, respinto il primo, inammissibile il terzo, respinto il quarto nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Latina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020


Notifica con esito negativo

E’ possibile superare la decadenza di legge tramite la rinnovazione della notifica a patto che sussistano due condizioni:
1. l’errore sul domicilio del destinatario non deve essere imputabile al notificante;
2. il procedimento notificatorio deve essere riattivato entro un “termine ragionevole” (è ragionevole un termine non superiore alla metà di quello stabilito per la decadenza della notifica).
Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 28269 pubblicata il 4 novembre 2019. Nella pronuncia la Suprema Corte torna sulla questione della notifica non andata a buon fine per delineare quando sia possibile effettuare una nuova notifica anche dopo la scadenza dei termini di legge.
La vicenda giudiziale che ha portato la Cassazione ad esprimersi sulla rinotificazione tardiva era nata per la definizione di un rapporto di mediazione intrapreso tra Caio e le società Beta e Gamma, dove Caio aveva aiutato le due società a concludere un accordo per una compravendita immobiliare. Caio non avendo ricevuto il pagamento dovuto citava in giudizio le due società per vedersi accogliere la sua richiesta di pagamento. Il giudizio di primo grado si concludeva con la soccombenza di Caio, ma nel ricorso in Appello Caio riusciva a far valere le proprie ragioni ed ottenere la riforma della sentenza con la liquidazione delle sue spettanze per l’attività svolta.
Beta soccombente nel giudizio di Appello impugnava la sentenza davanti alla Suprema Corte di Cassazione, a base delle proprie doglianze la società ricorrente deduceva la completa inconsapevolezza del ruolo svolto da Caio all’interno delle trattative, e quindi, eccepiva la forma contrattuale attribuibile al caso di specie, ovvero rilevava che non si trattava di un rapporto di mediazione vero e proprio, ma di un semplice mandato conferitogli dalla sola società Gamma, e che per l’effetto, solo la mandante era tenuta a versare il compenso richiesto da Caio.
La Suprema Corte ha accolto le argomentazioni esposte dalla società Beta, ed ha sottolineato che il rapporto tra le parti non poteva neanche essere considerato alla stregua della c.d. mediazione atipica (che ricorre nel caso in cui il mediatore abbia ricevuto l’incarico, da uno dei contraenti, di svolgere un’attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione di uno specifico affare, a determinate e prestabilite condizioni) poiché anche in questa ipotesi il rapporto tra le parti doveva assumere una forma contrattuale. La forma contrattuale secondo la Corte poteva configurarsi anche mediante fatti concludenti che implicavano la volontà dei contraenti di avvalersi dell’opera del mediatore o tramite la semplice accettazione dell’opera. Richiamando un’altra sentenza della Corte sul tema (Cass. 4107/2019), l’intermediario deve operare in modo palese, rendendo nota la qualità rivestita, inoltre, in caso di controversia l’onere della prova è a carico della parte che pretende di essere remunerata. Considerato che nel caso di specie Beta aveva fin dall’inizio espresso la sua ignoranza sull’identità professionale di Caio e che quest’ultimo non aveva provato di aver reso note le sue qualità e il motivo per cui agiva, la Corte accoglieva le doglianze della società Beta.
La Corte ha deciso anche sulla tardività della notifica del controricorso effettuata da Caio nei confronti della società Gamma. La notifica alla società Gamma non era andata a buon fine in quanto il difensore della società Gamma aveva trasferito il suo studio professionale in altra sede. Caio accertato l’errore chiedeva di essere rimesso in termini, ma la Corte non riteneva accoglibile la richiesta in quanto la notifica andava effettuata al domicilio reale, ovvero quello dichiarato nei pubblici registri. L’errore di Caio non era neanche scusabile poiché il legale di Gamma aveva trasferito la propria sede, con relativa comunicazione all’albo professionale di appartenenza oltre un anno prima della notifica del controricorso.
Secondo la Corte la possibilità di superare la decadenza di legge era subordinata a due condizioni che nel caso di specie non sussistevano:
1) l’errore sul domicilio del destinatario non deve essere attribuibile al soggetto notificante;
2) la nuova notifica deve essere effettuata in un termine non superiore alla metà di quello stabilito a pena di decadenza.
Oltre alla pronuncia in esame la Suprema Corte è stata chiamata a decidere diverse volte in tema di rinnovazione della notificazione, come nella sentenza n. 3552 del 14.02.2014, dove ha posto a base della decisione la distinzione tra la notifica nulla da quella giuridicamente inesistente. Nei casi di notifica nulla la Corte ha affermato la possibilità di rinnovare la notifica anche dopo la scadenza del termine di legge, fattispecie preclusa in tutti quei casi di notifica inesistente.
In una recente ordinanza (n. 4538 del 15.02.2019) gli Ermellini hanno anche chiarito come distinguere una notifica nulla da quella affetta da inesistenza, ovvero secondo il “criterio di collegamento tra il luogo della notifica e il destinatario dell’atto”. Nell’ipotesi in cui nel luogo della notifica errata non vi è nessun collegamento con il destinatario la notifica è da ritenersi inesistente, mentre nell’ipotesi in cui il luogo di notifica è collegato con il destinatario la notifica è affetta dalla sola nullità. Un esempio di scuola di notifica nulla è quella della notifica effettuata al precedente domicilio del destinatario dove vivono i genitori dello stesso. In questo caso i genitori rappresentano un vero e proprio collegamento tra l’effettivo destinatario e il luogo della notifica errata.


Notifiche via pec tempestive fino alla mezzanotte dell’ultimo giorno

La Cassazione torna a pronunciarsi sulle notifiche telematiche. Tempestiva l’impugnazione entro la mezzanotte dell’ultimo giorno utile orologio che segna quasi mezzanotte
L’appello proposto entro la mezzanotte dell’ultimo giorno utile deve ritenersi tempestiva e dunque pienamente valida. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con la sentenza n. 18235/2020
La Suprema Corte ha così accolto un ricorso contro la decisione del giudice d’appello che aveva, invece, ritenuto tardiva l’impugnazione perché notificata a mezzo PEC oltre le ore 23:00 dell’ultimo giorno utile e, per questo, ritenuta perfezionatasi ex art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, alle ore 7:00 del giorno successivo, quando il termine per proporre appello era decorso.
Nel dichiarare fondato il ricorso, gli Ermellini richiamano espressamente quanto stabilito sul punto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 75/2019, depositata in data 9 aprile 2019.
In tale occasione, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 16-septies del D.L. n. 179/2012 (conv. in L. n. 221/2012) “nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta”.
I giudici costituzionali hanno rilevato un irragionevole “vulnus” recato dalla norma menzionata al pieno esercizio del diritto di difesa, in particolare per quanto riguarda la “fruizione completa dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio, anche nella sua essenziale declinazione di diritto ad impugnare, che è contenuto indefettibile di una tutela giurisdizionale effettiva”.
La succitata sentenza rammenta come il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 risulti introdotto, attraverso il richiamo dell’art. 147 c.p.c. nella prima parte del censurato art. 16-septies allo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne, cioè, il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe stato, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica
Ciò giustifica la fictio iuris, contenuta nella seconda parte della norma, per cui il perfezionamento della notifica, effettuabile dal mittente fino alle ore 24, è differito, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo. Ciò, invece, non giustifica una corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente: a questi, infatti, verrebbe impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa, che l’art. 155 c.p.c. computa “a giorni” e che, nel caso di impugnazione, scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno.
Nel caso di specie, dunque, l’applicazione del principio espresso dalla Consulta ha l’effetto di far ritenere tempestivo l’appello del ricorrente in quanto notificato entro le ore 24:00 dell’ultimo giorno utile.
Per completezza di esame, la sesta sezione civile richiama anche il principio secondo cui “l’efficacia retroattiva delle pronunce di accoglimento emesse dalla Corte costituzionale incontra un limite nelle situazioni consolidate per effetto di intervenute decadenze: tale limite, tuttavia, non opera quando la dichiarazione di illegittimità costituzionale investe proprio la norma che avrebbe dovuto rendere operante la decadenza” (Cass. n. 1644/2019; n. 5240/2000)
Vedi anche: Corte Costituzionale: valide le notifiche via p.e.c. dopo le 21


Sottoscrizione dell’avviso di accertamento: la delega è valida anche senza il nome del delegato

Sottoscrizione dell’avviso di accertamento: serve una delega di firma e non di funzione, per la validità non è necessaria l’indicazione del nome del delegato e della durata della stessa. 
Con la sentenza n. 18675 del 9 settembre 2020, la Corte di Cassazione ha ribadito che la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento, essendo una delega di firma e non di funzioni, non necessita dell’obbligatoria indicazione del nome del delegato e della durata di validità della stessa, perché tali informazioni possono essere legittimamente riportate nell’ordine di servizio che individui l’impiegato legittimato alla firma attraverso l’indicazione della qualifica rivestita.
La sentenza – Il procedimento vede contrapposte l’Agenzia delle entrate ed un contribuente a cui era stato notificato un avviso di accertamento ai fini Irpef, Iva e Irap.
Il ricorso proposto dal contribuente è stato accolto sia dalla CTP che dalla CTR, che ha ritenuto nulla la sottoscrizione dell’accertamento dopo aver rinvenuto negli atti del procedimento “un mero richiamo ad una asserita delega n. 30 del 2013 non prodotta in giudizio a seguito della contestazione del contribuente”.
L’Amministrazione finanziaria ha impugnato la sentenza d’appello, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, avendo la CTR ritenuto che la delega conferita al sottoscrittore dell’atto non contenesse l’indicazione nominativa del delegato e la durata di validità della delega, trattandosi di delega di firma e non di funzioni, riservate al delegante.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso dell’Ufficio e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
L’art 42 cit. prevede al comma 1 che gli accertamenti, in rettifica o d’ufficio, sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.
Sul punto i giudici di cassazione hanno confermato il principio, già esposto nelle precedenti sentenze nn. 8814/2019 e 18383/2019, secondo cui la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento, attribuita dal dirigente ai sensi dell’art. 42, “è una delega di firma e non di funzioni”.
Ne consegue, pertanto, che l’indicazione del nominativo del soggetto delegato e della durata della delega non costituiscono elementi necessari ai fini della validità dell’atto impositivo, ben potendo essere indicati negli ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, “idonea a consentire, ex post, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto”.
Nella controversia i giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione di tale principio, arrivando a negare validità alla delega perché priva del nominativo del soggetto delegato.
Infatti, dagli atti del procedimento è emerso che l’Ufficio avesse regolarmente depositato la delega n. 30 del 2013, recante proroga delle deleghe di firma, confermativa delle deleghe, precedentemente conferite con la disposizione di servizio n. 17 del 2012, dal direttore provinciale dell’Ufficio al funzionario firmatario dell’avviso di accertamento impugnato dalla parte.
Da qui l’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, con conseguente rinvio alla CTR in diversa composizione, anche per la decisione delle spese del giudizio di legittimità.


“Furbetti del cartellino” a Gioia Tauro, tre vigili urbani agli arresti domiciliari

Tre persone agli arresti domiciliari, divieto di dimora per altre sei. E’ il risultato di una operazione della Guardia di Finanza del comando provinciale di Reggio Calabria nei confronti di alcuni dipendenti del Comune di Gioia Tauro, accusati, a vario titolo, di assenteismo e peculato d’uso. Sette dipendenti appartengono alla Polizia municipale (gli arrestati, ai domiciliari, sono infatti tre vigili), due al servizio bibliotecario.
Le indagini, coordinate dalla procura della Repubblica di Palmi (con il procuratore Ottavio Sferlazza ed il sostituto Davide Lucisano), riferite al periodo settembre-dicembre dello scorso anno, hanno preso il via da una denuncia presentata dall’allora comandante della Polizia locale, che qualche mese dopo si era dimesso dall’incarico, in relazione ad una serie di ipotesi di assenteismo da parte di alcuni suoi collaboratori.
In particolare è stato accertato che gli indagati, pur attestando regolarmente la loro presenza in servizio, spesso si assentavano dal posto di lavoro in maniera del tutto ingiustificata con uso improprio di autovetture di servizio con sistematicità, per dedicarsi alle più disparate esigenze di carattere personale e familiare, non garantendo servizi essenziali per la collettività, ivi compreso il comandante pro-tempore anche egli destinatario di una misura cautelare.
In un episodio, è stato riscontrato, inoltre, che una vigilessa, oltre a recarsi ingiustificatamente con l’auto del corpo fuori dal territorio di competenza aveva portato con sé l’arma di servizio. Analoghe condotte di assenteismo, sono state, infine, accertate nei confronti anche di due bibliotecari i quali, dopo aver attestato regolarmente la presenza in servizio, avevano abbandonato il posto di lavoro non consentendo la fruibilità della biblioteca alla collettività.
“Le ordinanze del gip di Palmi – ha commentato il sindaco di Gioia Tauro, Aldo Alessio – hanno di fatto azzerato il corpo di Polizia locale del Comune. Le condotte ascritte individuano violazioni dei doveri professionali, di correttezza e lealtà nei confronti del Comune di Gioia Tauro – datore di lavoro nonché pubblica amministrazione che si aspetta dai suoi impiegati un ruolo di integrità morale per il rispetto della città e dei cittadini. Provvederemo alle misure che la legge ci impone – immediata sospensione dal servizio e contestazione degli addebiti – in relazione alle contestazioni mosse dalla procura della Repubblica e in rispetto delle decisioni del gip. Preannunciamo la costituzione del Comune di Gioia Tauro quale parte civile – ha concluso – a tutela degli interessi patrimoniali, morali e di immagine del Comune”.
Fonte AGI