Comune notifica in ritardo gli atti del fisco? Deve pagare i danni

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 26118/2008) ha stabilito che deve risarcire il danno la Pubblica Amministrazione che tarda la notifica degli avvisi Iva o di altri atti da notificare nell’interesse dell?Amministrazione finanziaria. Vedi nell’area “Normativa” il commento.


Cass. civ. Sez. V, (ud. 09-10-2008) 05-11-2008, n. 26542

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente

Dott. MERONE Antonio – Consigliere

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.V.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Granisci 14, presso l’avv. GIGLIO Antonella, che lo rappresenta e difende, unitamente all’avv. Maurizio Leone, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende per legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 263/01/04 del 2/7/04;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 9/10/08 dal Relatore Cons. Dott. Paolo D’Alessandro;

Udito l’avv. Maurizio Leone;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
D.V.V. propone ricorso per Cassazione, illustrato da successiva memoria, in base a due motivi, contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che ha rigettato l’appello da lui proposto contro la pronuncia di primo grado che aveva a sua volta respinto i ricorsi proposti dal contribuente contro due cartelle di pagamento, impugnate sul presupposto del vizio di notifica dei rispettivi atti di accertamento.

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.

Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente deduce la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c., dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 360 del 2003, nella parte in cui prevede che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale, hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica.

Il ricorrente in sostanza lamenta l’erroneità della sentenza per avere ritenuto valide le notifiche degli atti di accertamento effettuate, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., nei Comuni di Rapallo e di S. Giorgio a Cremano, in epoche in cui egli risultava, dai certificati anagrafici, residente a (OMISSIS).

1.1.- Il mezzo è fondato.

1.2.- Va premesso che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 2003, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c., nella parte in cui prevede che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale, hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica, è stato espunto dall’ordinamento, con conseguente espansione della regola generale, secondo la quale l’effetto delle variazioni anagrafiche, ai fini delle notifiche, è immediato.

Invero, seppure, nella motivazione della sentenza, si afferma che il legislatore ben può prevedere che l’effetto della variazione, nei confronti dell’amministrazione finanziaria, non sia immediato, purché l’eventuale dilazione sia contenuta in termini ragionevoli, tale indicazione è appunto rivolta al solo legislatore, rimanendo escluso che l’interprete possa, per proprio conto, individuare un termine di dilazione degli effetti della variazione, non previsto dalla legge.

Il nuovo termine dilatorio di trenta giorni, introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 27, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto 2006, n. 248, non può d’altro canto certamente applicarsi riguardo a notificazioni eseguite prima della entrata in vigore del D.L..

1.3.- Ciò, posto, deve osservarsi, nel merito, che, quanto alla cartella n. (OMISSIS), il giudice tributario precisa che i relativi atti di accertamento risultano notificati, ex art. 140 c.p.c., presso la casa comunale di (OMISSIS), in data 21/12/01, pur avendo il contribuente trasferito la propria residenza in (OMISSIS) il 10/12/01. Lo stesso giudice ritiene tuttavia valida la notificazione, pur tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 2003, sul rilievo che il contribuente, nella successiva dichiarazione per l’anno 2001, presentata il 26/7/02, aveva indicato quello di Rapallo come domicilio fiscale al 31/12/01.

La decisione è evidentemente erronea.

Come già ricordato, per effetto della più volte citata sentenza della Corte Costituzionale n. 360 del 2003, ai fini delle notificazioni, le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente hanno effetto dal momento stesso della avvenuta variazione anagrafica e non, come previsto dall’originario testo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, u.c., dal sessantesimo giorno successivo.

Ne consegue pertanto che la notificazione ex art. 140 c.p.c., effettuata, undici giorni dopo la variazione anagrafica, nel comune di precedente residenza ((OMISSIS)) deve ritenersi radicalmente nulla, non rilevando che il contribuente, nel successivo modello unico per l’anno 2001, presentato nel luglio del 2002, abbia indicato, come residenza fiscale al (OMISSIS), il Comune di (OMISSIS), non potendo tale, in ipotesi non veritiera, dichiarazione spiegare alcun effetto rispetto ad una notificazione precedentemente effettuata.

Nemmeno, d’altro canto, assume alcun rilievo la circostanza che il D.V., nella diversa veste di rappresentante legale della A.P.M. s.a.s., di cui era socio al 55%, avesse impugnato i medesimi accertamenti, ritualmente notificati alla società ma non a lui come socio.

1.4.- Parimenti, quanto alla cartella n. (OMISSIS), gli atti di accertamento presupposti risultano notificati, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., in S. Giorgio a Cremano il 29/12/99 e il 10/11/98, laddove deve aversi per pacifico – essendo espressamente ammesso dai controricorrenti (a pag. 5 del controricorso) – che il D.V., in base al certificato anagrafico, è stato residente a (OMISSIS) dal (OMISSIS) al (OMISSIS).

Anche in tal caso, dunque, le notifiche risultano nulle, essendo privo di rilievo il fatto che il contribuente, nel successivo modello unico per l’anno 1999, presentato nel luglio 2000, abbia indicato il comune di S. Giorgio a Cremano come domicilio fiscale per l’anno 1999. 2.- Resta assorbito il secondo motivo, relativo a difetto di motivazione.

3.- La sentenza impugnata va pertanto cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento dei ricorsi introduttivi del contribuente.

La sopravvenienza, dopo il giudizio di primo grado, della sentenza di illegittimità costituzionale giustifica l’integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi del contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 9 ottobre 2008.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2008


Va licenziato chi si fa timbrare il cartellino da un collega. Anche se non c’è danno per l’Ente

Linea dura della Cassazione contro i dipendenti che si fanno timbrare il cartellino dai colleghi. Per i giudici del Palazzaccio, infatti, in casi del genere si perde il posto di lavoro. La Corte (sezione lavoro sentenza 26239/2009) sottolinea che il licenziamento, risulta equo anche se all’azienda non deriva “un danno economico” giacché è sufficiente il fatto che si sia realizzata una “lesione dei doveri di lealtà” nei confronti dell’azienda. E’ stato così confermato il licenziamento di una dipendente che lavorava presso una clinica di Torino che aveva fatto timbrare il cartellino prima di essere entrata a lavoro avvalendosi della collaborazione di una collega. Ne era seguito l’immediato licenziamento disciplinare che veniva convalidato dal Tribunale di Torino e dalla Corte d’Appello. La donna si era rivolta alla Cassazione per chiedere l’applicazione di una sanzione più lieve considerato che la timbratura del cartellino fatta da un’altra collega non aveva comportato un danno economico all’azienda. La Corte ha respinto il ricorso sottolineando che “la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito appare logica e coerente” giacché, i giudici di merito hanno motivato facendo riferimento alla “lesione del vincolo fiduciario a prescindere dal danno patrimoniale subito dalla società”. Risulta dunque “congrua la sanzione irrogata vista la gravita’ dell’addebito contestato”.


Cass. civ. Sez. I, (ud. 19-09-2008) 30-10-2008, n. 26118

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere

Dott. GIULIANI Paolo – Consigliere

Dott. PANZANI Luciano – Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI PORTO MANTOVANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso l’avvocato ROMANELLI GUSTAVO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARRI A. CLAUDIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 662/2003 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 22/08/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/09/2008 dal Consigliere Dott. GIANCOLA MARIA CRISTINA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, per delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Patrone Ignazio, per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 12 – 20.04.2000, il Tribunale di Brescia respingeva le domande proposte nel 1994, dal Ministero delle Finanze nei confronti del Comune di Porto Mantovano, volte al risarcimento dei danni derivati dalla erronea e tardiva notificazione di un avviso di rettifica per IVA in danno di un contribuente, dall’amministrazione statale demandata ai messi comunali, in base al disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60. Il Tribunale riteneva che con riferimento alle notificazioni di atti nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria, il Comune non fosse tenuto a rispondere dei danni arrecati dal messo comunale, ancorchè dipendente dell’ente locale.

Con sentenza del 2.04 – 22.08.2003, la Corte di appello di Brescia accoglieva l’impugnazione proposta dal Ministero delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate e conclusivamente condannava l’ente locale al risarcimento dei danni in favore dell’Agenzia delle Entrate, subentrata nel rapporto controverso, liquidandoli all’attualità in complessivi Euro 56.612,54, oltre agli interessi legali ex art. 1282 c.c.. La Corte distrettuale riteneva in sintesi:

che non potesse essere condiviso il presupposto della decisione impugnata, aderente ad un risalente arresto giurisprudenziale della Corte dei Conti, secondo cui la richiesta dell’amministrazione finanziaria di notifica di un atto d’imposizione fiscale determinasse l’inquadramento del messo comunale nell’organizzazione della stessa richiedente che, invece, in aderenza al principio affermato da questa Suprema Corte e pregevolmente argomentato, il Comune avrebbe dovuto rispondere del danno, in ragione della violazione del rapporto di preposizione gestoria intercorrente con l’Amministrazione finanziaria e qualificabile in termini di mandato ex lege, non essendo ravvisabile l’instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra la medesima Amministrazione finanziaria ed i messi comunali, operanti alle esclusive dipendenze dell’ente locale che la richiesta dell’Amministrazione finanziaria di notificazione di un avviso di rettifica tributaria al contribuente, pervenuta al Comune di Porto Mantovano, il 22 dicembre 1989, avrebbe dovuto essere attuata secondo le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, che, invece, non solo erano rimaste inosservate ma, inoltre, si erano concluse con l’inoltro di una lettera raccomandata, il 12 gennaio 1990, dopo la scadenza del termine decadenziale del 30.12.1989, che in particolare la procedura concretamente seguita dal messo incaricato della notificazione, concretatasi tra l’altro nella affissione all’Albo pretorio, “preceduta” dalla reiterata apposizione di avvisi alla porta dell’abitazione del destinatario, dell’intero atto da notificare in luogo del prescritto avviso dell’avvenuto deposito di esso nella casa comunale, fosse o meno riconducibile all’art. 140 c.p.c., in ogni caso non era stata compiuta nel rispetto delle previste formalità nè esaurita in un solo giorno, come sarebbe stato possibile che con decisione del 1990, confermata dalla Commissione di secondo grado, il giudice tributario aveva accolto il ricorso del contribuente, riconoscendo fondata l’eccezione dallo stesso proposta di tardività della notificazione e di conseguente decadenza dell’Amministrazione finanziaria dalla pretesa fiscale che quanto alla determinazione del risarcimento, l’Amministrazione finanziaria poteva giovarsi della presunzione di corrispondenza del danno all’ammontare delle imposte e degli accessori al cui recupero l’avviso di rettifica era volto, a ciò aggiungendosi che nel ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria il contribuente si era limitato ad eccepire la tardità della notificazione dell’avviso, senza sollevare alcuna eccezione di merito avverso la pretesa impositiva che sul punto il Comune aveva opposto una generica contestazione, omettendo di dedurre e provare l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’obbligazione tributaria, ed anzi addossando alla controparte l’onere di provare la fondatezza della pretesa fiscale che il fallimento del contribuente era sopravvenuto dopo quattro anni dai fatti controversi, ragione per cui non poteva nemmeno ritenersi che il recupero del credito tributario non avrebbe potuto essere attuato prima dell’apertura della procedura concorsuale, nell’ambito della quale, del resto, il credito in questione avrebbe assunto collocazione privilegiata che sino alla data della pronuncia giudiziale, all’amministrazione statale competeva anche la rivalutazione del credito e, con decorrenza dal 31.12.1989, il ristoro del danno da lucro cessante per il ritardo nel pagamento, oltre agli interessi legali sulla somma finale, ai sensi dell’art. 1282 c.c., e con decorrenza dalla data dell’attuata liquidazione.

Avverso questa sentenza il Comune di Porto Mantovano ha proposto ricorso per Cassazione notificato il 16.04.2004, fondato su due motivi ed illustrato da memoria. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno resistito con controricorso notificato il 26.05.2004.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il Comune di Porto Mantovano denunzia:

“Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 137 c.p.c. e ss., (in specie art. 140) e ai rapporti inter organici tra amministrazioni diverse nonchè art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo dell’illogica, errata e contraddittoria motivazione e valutazione dei fatti”.

Contesta conclusivamente l’applicabilità del principio secondo cui il Comune deve rispondere dell’operato del messo comunale anche quando la notificazione sia avvenuta ad istanza di diverso ente pubblico e segnatamente dell’Amministrazione finanziaria. Sostiene, inoltre, che la notificazione doveva aversi per rituale, essendo avvenuta in ossequio alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e che comunque è mancata la precisazione delle modalità in concreto seguite dal messo municipale, cui ancorare la valutazione d’inosservanza delle prescrizioni legali.

Il motivo in tutti i suoi profili non ha pregio, sostanziandosi essenzialmente in critiche o generiche ed apodittiche o contrarie in linea meramente enunciativa, avulsa da concreti riferimenti a decisive risultanze istruttorie inficianti gli accertamenti in fatto compiuti dai Giudici di merito. In primo luogo, anche attenendosi all’orientamento ormai costante di questa Corte di legittimità – non smentito dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale relativa al diverso tema del riparto di giurisdizione tra AGO e Giudice contabile relativamente ai giudizi di responsabilità amministrativa nei confronti dei messi notificatori dei Comuni (in tema, tra le altre, Cass. S.U. 200319662) – i Giudici di merito hanno ineccepibilmente qualificato come mandato ex lege il conferimento – attuato ratione temporis in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. a), (preceduto dal D.P.R. n. 645 del 1958, art. 38) – da parte dell’Amministrazione finanziaria al Comune di Porto Mantovano (R.D. n. 383 del 1934, art. 273, comma 4), del compito di procedere tramite i messi municipali alla notificazione dell’avviso tributario di rettifica nonchè escluso che tale iniziativa potesse sostanziarsi in un rapporto diretto tra l’amministrazione pubblica e i messi comunali, per essere questi dipendenti dell’ente locale e, quindi, per avere agito, anche nell’esecuzione del compito in questione, in adempimento degli obblighi derivanti dal loro rapporto di impiego con il Comune (Cass. SU 199002083; 199710929; 199805987; 199900360, 20020711, in tema cfr anche Cass. SU 200506409).

Ampio e logico conto, dunque, è stato dato delle ragioni sottese alla decisione (e così pure chiarito il discostamento da quelle di cui al richiamato, diverso e peraltro risalente arresto della Corte dei Conti), espressamente ricondotte, in aderenza al dettato normativo, al rapporto di dipendenza che astringe i messi municipali al Comune, nell’ambito della cui struttura organizzativa sono stabilmente e gerarchicamente inseriti, con conseguente sia assoggettamento al potere dell’ente di controllo e verifica dell’esatto adempimento degli obblighi inerenti al loro servizio e sia configurabilità delle connesse responsabilità.

In secondo luogo la Corte distrettuale, verificata anche la tempestività della richiesta della P.A. di notificazione dell’avviso rispetto al tempo occorrente per il relativo adempimento, ha del pari irreprensibilmente escluso che le modalità che in concreto il messo comunale aveva seguito fossero aderenti alle formalità imposte dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 comma 1, per la notificazione degli atti al contribuenti; ciò sia in rapporto a quanto prescritto dall’ivi richiamato art. 140 c.p.c., che in rapporto a quanto invece previsto in via residuale dalla lett. e) del cit. comma (in tema, cfr. tra le altre Cass. 199704587), rilevando in sintesi che in ogni caso era anche mancato il deposito dell’atto presso la casa comunale, l’avviso al contribuente di tale deposito, secondo le diverse forme imposte dai due tipi alternativi di notifica, e, quanto alla prima anche l’invio (e non la ricezione) della prescritta raccomandata con avviso di ricevimento in data anteriore alla scadenza del termine imposto a pena di decadenza per l’esperibilità della pretesa fiscale.

D’altra parte inammissibili perchè nuovi e comunque inconferenti si palesano i rilievi del Comune inerenti alla conoscenza che il contribuente aveva di fatto potuto avere dell’avviso fiscale o all’errore scusabile in cui era incorso il messo comunale, inidonei per un verso ad elidere il danno subito dalla Amministrazione per effetto della mancata tempestiva conoscenza legale dell’atto da parte del contribuente, acclarata dal Giudice tributario, e per altro verso la responsabilità contrattuale del Comune verso l’amministrazione statale, connessa al negligente svolgimento del demandatogli mandato ex lege.

Con il secondo motivo di ricorso il Comune deduce “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: errata valutazione del danno sotto il profilo della motivazione e dell’onere probatorio e in relazione agli artt. 1277 e 1244 c.c., in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 137 c.p.c. e ss., (in specie art. 140) e ai rapporti inter organici tra amministrazioni diverse nonchè art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo dell’illogica, errata e contraddittoria motivazione e valutazione dei fatti”, essenzialmente riferendosi alla prova del pregiudizio ed ai criteri applicati per la relativa liquidazione.

Anche tale motivo in tutte le sue articolazioni non è fondato.

Premesso che si verte in tema di responsabilità contrattuale (in tema cfr, Cass. SU 200200711; Cass. 200303397; 200411469), irreprensibilmente la Corte territoriale appare avere ritenuto non solo il Comune inadempiente all’incarico ricevuto e, quindi, tenuto a risarcire il danno subito dall’Amministrazione finanziaria, ma anche che quest’ultima tramite presunzioni aveva fornito, come era suo onere, la prova dell’esistenza e dell’entità del pregiudizio sofferto.

Come noto, infatti, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta, pertanto, al Giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.

Nella specie, il ragionamento decisorio seguito dalla Corte distrettuale non appare affetto da alcuna illogicità o contraddittorietà laddove, anche in linea con i principi già ripetutamente affermati in questa sede (Cass. Su 198400878; Cass. 19960327, 199805263; 199805987; 200309370; 200411469), ha ritenuto dall’amministrazione finanziaria provati in via presuntiva l’esistenza e l’ammontare del danno in questione, correlandosi sia all’entità della pretesa fiscale dalla quale l’amministrazione era stata dichiarata decaduta dal giudice tributario e sia al tenore dell’impugnativa svolta dal contribuente in sede tributaria, muta in ordine a profili di merito della pretesa azionata in sede tributaria.

D’altra parte i Giudici di merito nell’esaminare le tesi difensive avverse, hanno rilevato l’assenza in punto di esistenza del danno di qualsiasi deduzione o prova contraria da parte del Comune, rilievo che rende meramente accademica e, quindi, inammissibile per difetto di interesse, la censura del medesimo ente locale inerente alla eccessiva gravosità dell’onere probatorio a suo carico teoricamente configurato dalla medesima Corte.

Quanto alla liquidazione del risarcimento, in primo luogo la Corte distrettuale appare avere adeguatamente e logicamente argomentato la svalutazione della tesi sostenuta dal Comune della compromissione totale o parziale delle possibilità della amministrazione finanziaria di recupero del credito in ragione del sopravvenuto fallimento del contribuente, riferendosi alla pluriennale distanza di tempo intercorsa tra la vicenda controversa e la successiva apertura della procedura concorsuale, in cui, comunque al credito fiscale sarebbe spettata collocazione privilegiata. In secondo luogo ineccepibile risulta pure la qualificazione del risarcimento dovuto dall’ente locale come debito non di valuta ma di valore (tra le numerose altre, Cass. 200209517), soggetto, dunque, anche al cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi, trattandosi di debito d’indole risarcitoria da inadempimento di un’obbligazione non pecuniaria (ma ex mandato) e non per legge direttamente rapportato all’entità della pretesa fiscale pregiudicata, ma a questa solo commisurato per equivalente pecuniario.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del Comune soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, in favore delle parti intimate e controricorrenti.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di Porto Mantovano a rimborsare al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.000,00, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-09-2008) 27-10-2008, n. 25860

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLARUSSO Vincenzo – Presidente

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere

Dott. SCHERILLO Giovanna – Consigliere

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.L. – rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a mancata integrazione margine del ricorso dagli avv.ti Ruotolo Domenico e Daniela del foro di Verona ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via A. Bertoloni, n. 26, presso l’avv. Rulli M. Grazia;

– ricorrente –

contro

D.M. – rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al controricorso dall’avv. Mignone Roberto, presso il quale è elettivamente domiciliato in Salerno, alla via SS. Martiri Salernitani, n. 66;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno n. 2 del 12 gennaio 2004 – notificata il 10 febbraio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 settembre 2008 dal Consigliere Dott. Oddo Massimo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lo Voi Francesco, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con atto notificato il 7 aprile 1993, B.L. convenne D.M. davanti al Tribunale di Salerno e, esponendo di essere figlia ed unica erede del padre B.G., deceduto il (OMISSIS), e che il convenuto, profittando della degenerazione delle facoltà cognitive e critiche del defunto, aveva da questo acquistato il 22 maggio 1989 al prezzo di L. 270 milioni, un locale commerciale in Salerno, il cui valore all’epoca del trasferimento era di L. 600 milioni, domandò la declaratoria della nullità o l’annullamento della compravendita stipulata dal suo dante causa perché compiuto in pregiudizio di un soggetto in stato d’incapacità naturale.

Si costituì il D. e, contestandone la fondatezza, chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno per avergli la trascrizione della domanda dell’attrice impedito l’accensione di un mutuo.

Integrato il contraddittorio nei confronti di B.W., poi estromessa dal giudizio, nonché di L.G., B. A. e V., S. e G.M., rimasti contumaci, il Tribunale con sentenza del 31 agosto 2001 rigettò sia la domanda dell’attrice che quella riconvenzionale del convenuto.

La B. propose gravame avverso la decisione e la Corte di appello di Salerno il 12 gennaio 2004 dichiarò inammissibile l’impugnazione perchè, “anche al di là della notifica alle altre parti oltre il termine, perentorio, assegnato dal Giudice”, l’atto di integrazione del contraddittorio, disposto nella prima udienza dal consigliere istruttore, non era “stato affatto notificato ai signori G.A. S. e G., risultati trasferiti”.

La B. è ricorsa con due motivi per la cassazione della sentenza, l’intimato D. ha resistito con controricorso notificato il 14 maggio 2004 ed entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione sull’omessa notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, avendo il Giudice dichiarato l’inammissibilità dello appello senza verificare se l’omissione fosse dipesa da fatto imputabile unicamente alla negligenza dell’ufficiale giudiziario, pur non avendo egli certificato l’attività svolta per verificare l’avvenuto trasferimento dei destinatati della notifica appreso da “alcuni vicini” e l’appellante avesse fatto istanza di offrire una prova orale e documentale della correttezza dell’indirizzo indicato nell’atto. Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., giacché, costituendo l’eventuale trasferimento dei destinatali della notifica una causa di omessa notificazione non addebitabile alla parte onerata, il Giudice doveva escludere la decadenza dell’appellante dal termine per integrare il contraddittorio e, secondo una interpretazione estensiva dell’art. 184 bis c.p.c., conforme al principio costituzionale dell’effettività del contraddittorio, doveva fissare un nuovo termine per l’integrazione.

Il primo motivo è inammissibile.

Nel caso in cui l’ufficiale giudiziario attesti il mancato rinvenimento del destinatario della notifica di un atto nel luogo (di residenza, dimora o domicilio) indicato dal richiedente e la notizia appresa dai vicini del suo trasferimento altrove, la prima attestazione ed il contenuto estrinseco della seconda sono assistite da fede fino a querela di falso, attenendo a circostanze frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale, mentre la notizia appresa dai terzi è assistita da una presunzione di veridicità iuris tantum (cfr.: Cass. civ., sez. 3^, sent. 11 aprile, 2000, n. 4590), che non consente al Giudice di disconoscere, in assenza di prova contraria risultante dagli atti del procedimento o fornita dalle parti, la regolarità dell’attività svolta dall’ufficiale giudiziario e gli effetti che ad essa ricollega l’ordinamento nel caso in cui si risolva nell’omessa notifica di un atto nel termine perentorio fissato dalla legge o stabilito dal Giudice.

La parte che in sede di legittimità si dolga dell’attendibilità attribuita dal Giudice all’attestazione dell’ufficiale giudiziario dell’impossibilità di effettuare la notificazione di un atto per non avere egli rinvenuto il suo destinatario nell’indirizzo indicato ed avere appreso dai vicini il suo trasferimento altrove è quindi onerata dal principio di autosufficienza del ricorso alla specificazione degli atti non esaminati od inadeguatamente valutati dal Giudice dai quali emerge il fondamento della sua doglianza e/o i mezzi richiesti nel giudizio a riprova di essa, elencandoli ed indicandone esattamente il tenore onde consentire una verifica della loro ammissibilità e decisività. A tanto non ha soddisfatto la ricorrente, atteso che la sua sola affermazione della legittimità della propria istanza di offrire valida prova orale e documentale”(nei termini che solo il prosieguo del gravame avrebbe potuto consentire)” dell’effettiva abitazione dei notificandi nell’indirizzo da lei indicato negli atti di integrazione del contraddittorio non consente di apprezzare la correttezza del contrario assunto della sentenza che l’appellante aveva omesso di dedurre e provare di non avere potuto provvedere alla notifica per fatti ad essa non imputabili.

Il secondo motivo è infondato.

In seguito alle decisioni della Corte costituzionale n. 477 del 2000, nn. 28 e 97 del 2004 e n. 154 del 2005, nel caso, in cui il Giudice dell’impugnazione abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio, è sufficiente e necessario al fine del rispetto del termine assegnato per la notifica dell’atto alle parti pretermesse che entro detto termine l’atto sia consegnato all’ufficiale giudiziario e, conseguentemente, la parte notificante non incorre nella decadenza correlata alla sua inosservanza ove, in caso di iniziale esito negativo della notifica per causa alla stessa non imputabile, provveda senza ingiustificata soluzione di continuità allo svolgimento di tutte le ulteriori attività occorrenti al perfezionamento del procedimento notificatorio di cui è onerata, anche se questo avvenga oltre la data stabilita dal Giudice (cfr.: Cass. civ., sez. 5^, sent. 12 marzo 2008, n. 6547; Cass. civ., sez. 2^, sent. 19 marzo 2007, n. 6360).

Nel caso di esito negativo della notifica per causa alla stessa imputabile o di ingiustificata soluzione di continuità delle ulteriori attività occorrenti alla notifica, la parte onerata non si sottrae, quindi, alla decadenza dal termine assegnatole ed all’inammissibilità dell’impugnazione che ne deriva a norma dell’art. 331 c.p.c., giacchè la fissazione di un nuovo termine per l’integrazione del contraddittorio equivarrebbe alla concessione di una proroga di un termine perentorio, espressamente vietata espressamente dall’art. 153 c.p.c.. E’ vero che a tale divieto è stato ritenuto possibile derogare, peraltro non in ragione dell’applicabilità anche alla fase di proposizione delle impugnazioni dell’istituto della rimessione in termini, che l’art. 184 bis c.p.c., limita alla fase istruttoria, bensì della rilevanza da riconoscere, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 331 c.p.c., ad una situazione di forza maggiore certa ed obiettiva, che abbia impedito alla parte l’osservanza del termine stesso, dovendo escludersi che la sanzione di inammissibilità dell’impugnazione prevista per la sua inosservanza, in quanto rivolta a colpire l’incuria e la negligenza della parte, possa tradursi in danno il soggetto che provi di non essere stata in grado di rispettare il termine fissato dal Giudice per fatti ad essa non imputabili.

A tale fine, tuttavia, deve tenersi conto che il termine per l’integrazione del contraddittorio viene concesso non soltanto per il conferimento dell’incarico all’ufficiale giudiziario, ma anche per lo svolgimento di tutte le attività ad esso prodromiche, quali le indagini di stato civile ed anagrafiche eventualmente necessarie per individuare i soggetti destinatari della notifica ed il luogo ove questa deve essere eseguita, ed è normalmente stabilito dal Giudice in misura di tale ampiezza da permettere alla parte anche di rimediare eventuali errori nei quali sia incorsa nella notificazione dell’atto (Cass. civ., sez. 1^, sent. 14 ottobre 2005, n. 20000).

Di tal che, se la notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio sia mancata per avere la parte onerata richiesto la notifica all’ufficiale giudiziario, come in specie, due giorni prima della scadenza del termine fissato per l’adempimento senza alcun preventivo accertamento della residenza, del domicilio o della dimora dei notificandi, facendo affidamento sull’avvenuta notifica di altro atto del procedimento in epoca remota, e la parte si sia successivamente astenuta da qualsiasi altra attività diretta al perfezionamento di essa senza prospettare nessun ostacolo al loro compimento, non è ravvisabile alcuna situazione di forza maggiore che abbia impedito alla parte l’osservanza dell’onere del quale era gravata.

Al contrario nel suo comportamento è ravvisabile una colpevole negligenza sia perché si è posta in condizione di verificare l’esito della notifica soltanto all’atto o dopo la scadenza del termine stabilito dal Giudice, nonostante l’incognita di una variazione nel lungo periodo dell’abitazione dei destinatari e l’agevole possibile riscontro dell’attuale loro residenza anagrafica e sia perché si è disinteressata della negatività di tale esito facendo ingiustificatamente incorrere il processo in una stasi che proprio la fissazione del termine perentorio per l’integrazione era diretta ad evitare.

All’inammissibilità od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2.800,00, di cui Euro 100,00, per spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2008


Dipendenti pubblici hanno idee politiche diverse dai vertici? Non possono essere emarginati

I funzionari pubblici che emarginano i dipendenti per le loro idee politiche, possono essere puniti per il reato di abuso d’ufficio. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione che, con la Sent. n. 37354/2008, rigettando il ricorso presentato da alcuni funzionari di una Pubblica Amministrazione, nel caso di specie, ha chiarito che “quanto al merito della vicenda, deve rilevarsi che la sentenza impugnata fa buon governo della legge penale e della normativa di riferimento, chiarendo che gli imputati, nel rispettivo ruolo ricoperto, posero in essere, nel disporre l’assegnazione della dott.ssa […] all’istituendo Ufficio Studi e la successiva istituzione dello stesso presso il […] una serie di violazioni di legge, con l’unico intento, concretamente conseguito, di emarginare la detta funzionaria che, per il suo spirito di indipendenza da qualsiasi pressione politica, non era gradita all’Organo esecutivo del […]”.


Agenzia delle Entrate: inviti, comunicazioni, questionari e altro: corretta notificazione

Tra gli atti che giungono dall’Agenzia delle Entrate, inerenti l’attività di controllo affidatagli, vi sono non solo avvisi di accertamento e di liquidazione, ma anche inviti al contribuente a presentarsi per acquisizione di informazioni o richieste di documenti o invii di questionari, al fine di definire l’esatta imposizione fiscale cui gli stessi devono essere sottoposti.

Di tutte queste attività proprie dell’Agenzia delle Entrate si fa riferimento nel DPR 600/1973 artt. 32 e 33, cioè gli articoli che trattano dei poteri degli uffici delle imposte e in particolare delle attività inerenti la loro applicazione.

Come per le imposte sui redditi, anche per l’IVA sono previste attività similari di controllo, negli articoli 51 e 52 del DPR 633/1972, che sembrano ricalcare in linea di massima le disposizioni dei sopra citati artt. 32 e 33.

Tuttavia mentre per le attività di controllo sulle imposte dei redditi, sono espressamente previste le notificazioni dei relativi atti, ai sensi dell’art. 60, non altrettanto è previsto per le comunicazioni inviate al contribuente ai fini della corretta esazione dell’IVA. Infatti in questo caso, gli inviti, comunicazioni o questionari in genere sono effettuati mediante lettera raccomandata A.R., tranne alcuni casi, per i quali la mancanza di risposta, comporta una reiterazione nell’invio al contribuente, questa volta tramite notificazione, ai sensi dell’art. 60 del DPR 600/1973.

In linea generale, dunque, sarà necessario provvedere a queste notificazioni con le modalità di notifica degli atti finanziari, poiché l’individuazione del caso specifico, di non facile soluzione a seconda dell’imposta e della situazione, crea inutili rischi all’attività del Messo Comunale.


Notificazione alla società: valida anche se eseguita a un non addetto alla ricezione

Si presume valida la notifica alla società eseguita dall’Ufficiale Giudiziario nelle mani di un soggetto che si trovava nei locali della sede sociale, anche se questi non è legato alla società da un rapporto di dipendenza.

Cassazione civile Sentenza 03/10/2008, n. 24622


TESSERAMENTO 2009

TESSERAMENTO 2009
L’Assemblea Generale, nella seduta del 12.09.2008, ha deliberato le quote per il tesseramento 2008 che rimangono invariate:
1. Tipo A – Messi Comunali: € 60,00
2. Tipo B – Messi del Giudice di Pace e di Conciliazione: € 60,00;
3. Tipo C – Ufficiali Giudiziari: € 60,00;
4. Tipo D – Messi Provinciali: € 60,00;
5. Tipo E – Comuni fino a 10.000 abitanti: € 100,00;
6. Tipo F – Comuni con popolazione da 10.001 a 100.000 abitanti: € 150,00;
7. Tipo G – Comuni con popolazione oltre i 100.001 abitanti: € 200,00;
8. Tipo H – Altri Enti: € 250,00;
9. Tipo I – Soggetti privati: € 250,00.


Decreto-legge 31 dicembre 2007, n 248 (Legge milleproroghe)

Approvato in via definitiva il ddl di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante “proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria” (cosiddetto “milleproroghe“).

Il capo I in particolare, reca proroghe di termini in diversi settori: difesa, beni culturali e turismo, lavoro e previdenza, salute, università, giustizia, infrastrutture e trasporti, personale delle pubbliche amministrazioni, agricoltura, sviluppo economico, ambiente e interno.

Una seconda parte del provvedimento contiene disposizioni di carattere finanziario che intervengono nei settori dei tributi, della borsa, dell’accisa sul gas metano, dei servizi radiotelevisivi, del dissesto finanziario degli enti locali, dell’inadempimento di alcuni concessionari per la riscossione e del conto disponibilità del Tesoro per il servizio di tesoreria della Banca d’Italia.

Altri articoli concernono il trattamento del Fondo per il trattamento di fine rapporto e norme relative alla violazione dell’obbligo delle comunicazioni nei confronti dell’ISTAT.

La terza parte prevede incentivi e contributi a favore di di associazioni sportive dilettantistiche e di soggetti disabili per i quali, in particolare, si dispongono alcuni finanziamenti.

Sono previsti anche contributi statali per il finanziamento di interventi in materia di tutela dell’ambiente e dei beni culturali e per la salvaguardia del patrimonio culturale ebraico in Italia.

Vi sono norme concernenti le sanzioni amministrative erogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato e disposizioni riguardanti la partecipazione dell’Italia alla ricostituzione delle risorse per i fondi delle banche internazionali.


Legge Finanziaria 2008

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ( legge finanziaria 2008 )
Legge n. 244 del 24 Dicembre 2007, G.U. n. 300 del 28 Dicembre 2007 (suppl.ord.)
Testo ripubblicato nella G.U. n. 10 del 12 Gennaio 2008 (suppl.ord.)


Cass. civ. Sez. V, (ud. 09-07-2008) 03-10-2008, n. 24622

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente

Dott. CICALA Mario – Consigliere

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE ed AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 sono elettivamente domiciliati;

– ricorrenti –

contro

C.C.A. – COOPERATIVA CUSTODI AUTOMOBILI S.C.A.R.L., con sede in (OMISSIS), in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 04 della Commissione Tributaria Regionale di Genova – Sezione n. 17, in data 25/01/2005, depositata il 24/02/2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09 luglio 2008 dal Relatore Cons. Dott. Antonino Di Blasi;

Vista la richiesta scritta del Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
La società contribuente, impugnava in sede giurisdizionale la cartella esattoriale, portante carico tributario, derivante da avviso di rettifica IVA, – relativo all’anno 1994 -, in precedenza notificato e non impugnato.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Genova, accoglieva il ricorso, con decisione che veniva confermata in appello dalla CTR. In particolare, quest’ultima, riteneva di dover confermare l’operato dei Giudici di primo grado, – che avevano annullato la cartella esattoriale -, anzitutto, in accoglimento della preliminare eccezione, secondo cui il presupposto avviso di accertamento non era stato regolarmente notificato a mani delle persone, abilitate alla ricezione ex art. 145 c.p.c., di poi, anche per le ragioni di merito, esplicitate nell’appellata decisione.

Con ricorso notificato l’11-15 aprile 2006, il Ministero e l’Agenzia hanno chiesto la cassazione dell’impugnata decisione.

L’intimata, non ha svolto difese in questa sede.

Con istanza 30.01.2007, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso, per manifesta fondatezza, ex art. 375 c.p.c..

Motivi della decisione
La Corte;

Visto il ricorso, come sopra proposto e notificato, con cui l’impugnata decisione viene censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 145 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e per omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, nonchè per motivazione apparente ed illogica, violazione dell’art. 100 c.p.c., D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ed omessa motivazione su punto decisivo della controversia;

Vista la richiesta del Sostituto Procuratore Generale;

Considerato che l’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze è a ritenersi inammissibile, in quanto non è stato parte nel giudizio di appello – cui ha partecipato solo l’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) – ed il ricorso risulta notificato l’11-15 aprile 2006, quindi, dopo la data dell’1 gennaio 2001, a decorrere dalla quale l’Agenzia delle Entrate è subentrata all’Amministrazione delle Finanze nei rapporti giuridici già facenti capo a quest’ultima;

Ritenuto che i Giudici di appello hanno confermato la decisione di primo grado, con argomentazione non coerente con il consolidato orientamento giurisprudenziale e sulla base di generiche espressioni di condivisione della decisione di primo grado;

Considerato, infatti, sotto il primo profilo, che l’affermazione della CTR – secondo la quale la notifica della cartella era a ritenersi nulla, per essere stata effettuata a mani di un socio e non già di alcuno dei soggetti contemplati nell’art. 145 c.p.c., si pone in contrasto con il principio secondo cui “La disposizione dell’art. 46 c.c., secondo cui, qualora la sede legale della persona giuridica sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima, vale anche in tema di notificazione, con conseguente applicabilità dell’art. 145 c.p.c.; ne consegue che, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica presso la sede legale o quella effettiva, è sufficiente che il consegnatario sia legato alla persona giuridica stessa da un particolare rapporto che, non dovendo necessariamente essere di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, eventualmente provvisorio o precario, di ricevere la corrispondenza – sicché, qualora dalla relazione dell’Ufficiale Giudiziario o postale risulti in alcuna delle predette sedi la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede stessa, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere alle sue dipendenze, non era addetta neppure alla ricezione di atti, per non averne mai ricevuto incarico alcuno” (Cass. n. 12754/2005, n. 11804/2002);

Considerato, altresì, per l’altro aspetto, che la mera espressione di condivisione della decisione di primo grado nel merito, non assolve all’obbligo motivazionale, non risultando indicati i concreti elementi utilizzati, al fine di riconoscere la legittimità e fondatezza delle doglianze della contribuente;

Considerato, in proposito, che costituisce principio consolidato e condiviso, sia quello secondo cui “la motivazione di una sentenza per relationem ad altra sentenza, è legittima quando il giudice, riportando il contenuto della decisione evocata, non si limiti a richiamarla genericamente ma la faccia propria con autonoma e critica valutazione” (Cass. n. 1539/2003; n. 6233/2003; n. 2196/2003; n. 11677/2002), sia pure quell’altro secondo cui è configurabile l’omessa motivazione, “quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logico- giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (Cass. n. 890/2006, n. 1756/2006, n. 2067/1998);

Considerato, in buona sostanza, che le espressioni adoperate dalla C.T.R. non solo appaiono inadeguate sotto il profilo giuridico e della coerenza logico formale, rivelando un sintomo d’ingiustizia nella soluzione della questione di fatto, ma pure rivelano decisive pretermissioni di elementi, che ove esaminate e valutate, avrebbero, ragionevolmente, potuto indurre ad un diverso decisum;

Considerato, conclusivamente, che il ricorso va, per tali ragioni, accolto, con assorbimento di ogni altro profilo di doglianza, e, per l’effetto cassata l’impugnata sentenza, la causa va rinviata ad altra sezione della C.T.R. della Liguria, la quale, procederà al riesame e, attenendosi ai richiamati principi, pronuncerà, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, motivando congruamente.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio, ad altra sezione della C.T.R. della Liguria.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2008.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2008


Cass. pen. Sez. VI, (ud. 17-06-2008) 01-10-2008, n. 37354

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGINIO Adolfo – Presidente

Dott. OLIVA Bruno – Consigliere

Dott. SERPICO Francesco – Consigliere

Dott. MILO Nicola – rel. Consigliere

Dott. COLLA Giorgio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) E.A., nato (OMISSIS);

2) F.M., nato (OMISSIS);

3) D.R., nato (OMISSIS);

4) FI.Ma., nato (OMISSIS);

avverso la sentenza 25/10/2007 della Corte d’Appello di Torino;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e i ricorsi;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Nicola Milo;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DELEHAYE E., che ha concluso per il rigetto dei ricorsi di E. e F. e l’annullamento senza rinvio per D. e Fi. per non avere commesso il fatto;

udito il difensore di p.c. avv. R. Borasio, che ha concluso per il rigetto o l’inammissibilità dei ricorsi;

uditi i difensori dei ricorrenti avv. MUSSA C. (per E. e F.), avv. C. Rossa e avv. M. Pellerino (per D. e Fi.), che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con riferimento al solo aspetto che è oggetto della sollecitata verifica di legittimità, va rilevato, in punto di fatto, che, a seguito di gravame del P.M., la Corte d’Appello di Torino, con sentenza 25/10/2007, in riforma – tra l’altro – della decisione assolutoria con formula di merito (fatto non costituisce reato) emessa – il 7/4/2006 – dal locale Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti di E.A., F.M., D.R. e Fi.Ma. in ordine al reato di abuso d’ufficio rubricato originariamente sotto il capo a), perchè estinto per prescrizione.

L’addebito mosso agli imputati è di avere, l’ E. quale sindaco di (OMISSIS), il F. quale segretario generale, il D. e il Fi. quali componenti della Giunta comunale, adottato, tra il 1995 e il 1999, una serie di atti, in palese violazione di legge, finalizzati a danneggiare la dirigente del detto Comune, Dr.ssa B.M., invisa ai detti amministratori, la quale venne esonerata dalle funzioni esercitate (vice segretario, collaborazione esterna con l’Associazione dei Comuni) e assegnata – il 5/10/1999 -all’Ufficio Studi, istituito con decreto sindacale del successivo 3 novembre, a cui faceva seguito la Delib. Giunta 1 dicembre 1999, Ufficio rimasto assolutamente inoperativo, tanto che, nel 2001, a seguito del commissariamento del Comune, la B. venne destinata a sovrintendere anche la ripartizione commercio.

Il Giudice distrettuale, all’esito di un’approfondita analisi dei vari atti amministrativi adottati e sulla base delle testimonianze acquisite agli atti, evidenziava che “l’affrettata scelta di assegnare la B. all’Ufficio Studi non ancora costituito, quindi l’istituzione ex novo di detta struttura organizzativa in via d’urgenza, da parte del sindaco e poi da parte della Giunta… nascondeva di fatto la volontà di allontanare anche fisicamente dal palazzo comunale la funzionaria, senza con ciò mirare al raggiungimento… di un fine di pubblico interesse, essendo stato conseguito con tale scelta l’esatto contrario in termini di pubblica utilità”.

Hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, gli imputati. Il D. e il Fi. hanno denunciato la violazione della legge processuale, con riferimento all’art. 521 c.p.p., comma 2 e art. 522 c.p.p., avendo la sentenza ricostruito la vicenda relativa all’istituzione dell’Ufficio Studi in maniera difforme da quella oggetto di contestazione. Tutti, poi, hanno dedotto la violazione della legge penale e di altre norme di cui si deve tenere conto nell’applicazione della stessa, sostenendo, con argomentazioni varie e articolate, che nella loro condotta sarebbe difettato il requisito della “violazione di legge o di regolamento” e, quindi, uno degli elementi strutturali del reato contestato, e hanno lamentato, inoltre, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

I ricorsi non sono fondati.

La doglianza di natura processuale del D. e del Fi. è priva di pregio.

Osserva, invero, la Corte che per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 c.p.p., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa. Conseguentemente l’indagine volta ad accertare la violazione del principio richiamato non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza, ma deve tenersi conto della concreta possibilità avuta dall’imputato, attraverso l’iter del processo, di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione, circostanza quest’ultima verificatasi nella specie nel corso della lunga e approfondita istruttoria dibattimentale, con l’effetto che la denunciata violazione della regola processuale deve ritenersi del tutto insussistente.

Quanto al merito della vicenda, deve rilevarsi che la sentenza impugnata fa buon governo della legge penale e della normativa di riferimento, chiarendo che gli imputati, nel rispettivo ruolo ricoperto, posero in essere, nel disporre l’assegnazione della dr.ssa B. all’istituendo Ufficio Studi e la successiva istituzione dello stesso presso il Comune di Carmagnola, una serie di violazioni di legge, con l’unico intento, concretamente conseguito, di emarginare la detta funzionaria che, per il suo spirito di indipendenza da qualsiasi pressione politica, non era gradita all’Organo esecutivo del Comune e al segretario generale F., che affiancava ed ispirava l’azione del primo. Non manca la sentenza, inoltre, di motivare sotto il profilo fattuale, in maniera adeguata e logica, la conclusione alla quale perviene in relazione al ritenuto abuso d’ufficio posto in essere dagli imputati, illecito – però – dichiarato estinto per prescrizione. I corrispondenti motivi di ricorso non tolgono valenza agli argomenti in fatto e diritto su cui riposa la sentenza di merito.

Quanto alla deduzione difensiva, fatta anche nel corso dell’odierna discussione orale, del D. e del Fi. circa la loro asserita buona fede e l’errore scusabile sulla legge extrapenale, essendosi essi limitati a prendere parte all’atto deliberativo della Giunta, ritenendolo perfettamente regolare, e circa il connesso vizio di motivazione su tali specifici punti della sentenza di merito, va osservato che, stante la causa estintiva del reato, non è rilevabile in questa sede il denunciato vizio della sentenza impugnata, perché, pur a volerlo ritenere meritevole di una qualche considerazione, ciò comporterebbe l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito, il che è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p., comma 1, per intervenuta estinzione del reato.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali. Non essendo stata mai pronunciata, nei precedenti gradi di merito, la condanna degli imputati per il reato loro ascritto, non possono porsi a loro carico, almeno allo stato, le spese sostenute dalla costituita parte civile, spese che dovranno essere liquidate, in base al relativo esito, nell’eventuale giudizio civile che potrà instaurarsi tra le parti contrapposte.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2008


Elezione di domicilio presso l’Ambasciate o il Consolato straniero

Non è valida l’elezione di domicilio effettuata presso un’ambasciata o un consolato straniero. Secondo la Cassazione, è invalida ed inidonea agli scopi di legge l’elezione di domicilio presso un’ambasciata o un consolato straniero, non essendo consentito procedere a notificazione in detti luoghi caratterizzati da extraterritorialità.

Cassazione penale Sentenza, Sez. Fer., 01/09/2008, n. 34503.


Garante privacy: provvedimento sicurezza e accessi all’anagrafe tributaria

Il Garante ha illustrato i tratti salienti del Provvedimento del 18 settembre 2008 con il quale ha esaminato nel dettaglio la natura ed il funzionamento dell’anagrafe tributaria, la banca dati dell’amministrazione finanziaria contenente milioni di dati dei contribuenti italiani alla quale ha accesso – attraverso diversi strumenti telematici (applicativi Siatel, Puntofisco, Entratel, servizi web etc.) – un numero enorme di utenti, tra i quali comuni, regioni, province, università, asl, tribunali, camere di commercio, enti previdenziali, gestori telefonici, forze di polizia, con migliaia e migliaia di punti di accesso.

In sintesi, il Garante ha riscontrato alcuni principali elementi critici: mancata conoscenza del numero complessivo degli utenti che accedono al sistema informativo e della loro effettiva identità; scarsa capacità di monitoraggio su eventuali accessi anomali o utilizzi impropri di password e credenziali; inadeguate misure tecnologiche a protezione dei dati contenuti nel data base. Il Garante ha pertanto imposto all’Agenzia delle entrate di adottare una serie di misure, sia tecnologiche che organizzative, dirette ad innalzare i livelli di sicurezza degli accessi all’anagrafe da parte degli enti esterni e a rendere il trattamento dei dati effettuato conforme alle norme sulla protezione dei dati.

In particolare, il Garante ha prescritto, in tempi certi, quanto segue:

  • dovrà essere effettuata una ricognizione periodica degli enti che accedono all’anagrafe tributaria e una verifica delle effettiva necessità di mantenere attivi gli accessi concessi, anche riguardo al numero delle utenze;
  • dovrà essere predisposto un censimento aggiornato di tutti i flussi di trasferimento dei dati da e verso l’anagrafe tributaria, di tutti gli accessi di tipo interattivo nonché delle postazioni dei terminali dai quali si ha accesso ai dati, in modo da realizzare procedure di autenticazione più sicure a seconda degli incaricati o dei profili di autorizzazione assegnati.
  • dovranno essere adottati sistemi di allarme per eventuali comportamenti anomali o a rischio, e controlli periodici sugli accessi degli enti esterni e sull’attività svolta da Sogei Spa.

Il Garante ha comunque già programmato per i prossimi mesi un’ulteriore attività di controllo sul sistema informativo della fiscalità, con particolare riguardo alla struttura degli archivi, alla tipologia delle informazioni raccolte, alle modalità con le quali i dati confluiscono nel data base e alle modalità con le quali vengono trattati all’interno.