Cass. civ. Sez. Unite, (ud. 13-04-2010) 07-05-2010, n. 11087

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso 15165/2009 proposto da:

EQUITALIA GERIT S.P.A. – AGENTE DELLA RISCOSSIONE DELLA PROVINCIA DI LATINA ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 18, presso EQUITALIA GERIT S.P.A., rappresentata e difesa dall’avvocato CASSONI SANDRA, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

P.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1853/2008 del GIUDICE DI PACE di LATINA, depositata il 22/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito l’Avvocato Paolo PANNELLA per delega dell’avvocato Sandra Cassoni;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso (A.G.O.).

Svolgimento del processo
Il sig. P.L. ha proposto opposizione, dinanzi al giudice di pace, avverso un preavviso di fermo amministrativo predisposto a carico di una sua autovettura, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86.

Il giudice adito, rigettando in parte l’eccezione di (totale) difetto di giurisdizione, sollevata dalla Equitalia Gertt spa – Agente della Riscossione, si è pronunciato sulla legittimità del provvedimento impugnato, soltanto nei limiti in cui il fermo serva a garantire crediti extratributari (per i quali non è competente il giudice tributario), annullando, entro tali limiti, il preavviso di fermo, ritenuto illegittimo “in caso di riscossione di crediti relativi a sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada”.

L’Equitalia ricorre per la cassazione della decisione del giudice di pace, meglio indicata in epigrafe, sulla base di tre motivi.

Nessuna attività difensiva ha svolto la parte intimata.

Motivi della decisione
Il ricorso non può trovare accoglimento.

Con il primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, la società ricorrente prospetta alla Corte il seguente quesito di diritto: “se, nel caso di impugnazione di un semplice preavviso di fermo, debba ravvisarsi la competenza del giudice tributario o la diversa competenza del giudice ordinario”. Il quesito è inammissibile per la sua genericità ed astrattezza, mancando il riferimento alla fattispecie concreta. Non viene precisato, infatti, se nella specie, secondo la parte ricorrente, si discuta o meno soltanto di debiti tributari o anche di debiti di altro tipo. Il quesito non scalfisce la ratio decidendi della sentenza impugnata, peraltro assolutamente corretta, secondo la quale al giudice tributario appartiene la cognizione delle obbligazioni di natura fiscale, mentre il giudice ordinario giudica delle altre materia nella specie obbligazioni dovute a titolo di sanzioni amministrative pecuniarie dovute per violazioni al codice della strada). In altri termini, il giudice di merito ha tenuto discinte le obbligazioni tributarie da quelle extratributarie, limitando la portata del suo decisum soltanto a queste ultime.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c., la società ricorrente prospetta il seguente quesito di diritto “se il preavviso assume il valore di comunicazione di iscrizione di fermo amministrativo che, quale atto preordinato all’espropriazione forzata e, comunque, alla realizzazione di un credito è atto impugnabile”. L’Equitalia prospetta, sostanzialmente la tesi della non impugnabilità di un atto considerato meramente preparatorio,, in relazione al quale il destinatario non avrebbe alcun interesse ad impugnare. In realtà, l’atto impugnato (il cui esame è consentito in relazione al giudizio di ammissibilità del ricorso introduttivo) contiene (oltre all’invito al pagamento da effettuarsi entro venti giorni dalla notifica) la comunicazione ultima che decorso inutilmente il termine per pagare si provvedere alla iscrizione del “fermo presso il Pubblico Registro Automobilistico senza ulteriore comunicazione”. Quindi, l’atto impugnato vale come comunicazione ultima della iscrizione del fermo entro i successivi venti giorni (salvo pagamento). Di qui l’interesse ad impugnare. Peraltro, a seguire la tesi opposta, il contribuente dovrebbe attendere il decorso dei venti giorni per impugnare direttamente l’iscrizione del fermo, direttamente in sede di esecuzione, con aggravio di spese e perdita di tempo assolutamente priva di senso. E’ noto che il disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, comma 2, in forza del quale il concessionario deve dare comunicazione del provvedimento di fermo al soggetto nei cui confronti si procede, decorsi sessanta giorni dalla notificazione della cartella esattoriale (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50), è stato superato dalla prassi di invitare ulteriormente l’obbligato ad effettuare il pagamento, comunicando contestualmente che alla scadenza dell’ulteriore termine si procede all’iscrizione del fermo (si tratta di prassi notorie che traggono origine da istruzioni dell’Agenzia delle Entrate alle società di riscossione, altrettante notorie, fornite con nota 57413 del 9 aprile 2003 e ribadite con risoluzione del 9 gennaio 2006, n. 2). Quanto alla specifica e diretta impugnabilità del preavviso del fermo, non ignora il Collegio che taluni arresti, anche recenti (Cass. Sez. 2^, 20301/2008, 8890/2009) hanno escluso la impugnabilità del provvedimento per carenza di interesse, ma tale indirizzo deve ritenersi superato dall’intervento di queste SS. UU. secondo il quale “Il preavviso di fermo amministrativo D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 86, che riguardi una pretesa creditoria dell’ente pubblico di natura tributaria è impugnabile innanzi al giudice tributario, in quanto atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria, rispetto alla quale sorge ex art. 100 c.p.c., l’interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva, a nulla rilevando che detto preavviso non compaia esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, in quanto tale elencazione va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448” (Cass. 10672/2009). Analoghe considerazioni valgono, mutatis mutandis, allorquando il preavviso riguardi obbligazioni extratributarie.

Ne deriva che la tesi della non impugnabilità del preavviso, prospettata con il secondo motivo, non può trovare accoglimento.

Infine, con il terzo motivo vengono denunciati vizi di motivazione (omissione, insufficienza e contraddittorietà) e viene prospettato alla Corte il seguente quesito di diritto: ” se il preavviso è l’unico provvedimento contro il quale il debitore può opporsi, oppure se il destinatario del preavviso di fermo debba invece attendere che il fermo venga effettivamente iscritto”. A parte i profili di inammissibilità del motivo con il quale viene contraddittoriamente prospettata la omissione (carenza) della motivazione e, contemporaneamente, la sua contraddittorietà (sovrabbondanza); a parte che a fronte di una censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non viene indicato il fatto controverso e decisivo per il giudizio, ma viene invece prospettato un quesito di diritto (altro profilo di inammissibilità), il motivo è infondato. Infatti, come già è stato detto, il destinatario del preavviso ha un interesse specifico e diretto alla controllo della legittimità sostanziale della pretesa che è alla base del preannunciato provvedimento cautelare.

Conseguentemente, il ricorso va rigettato, senza la liquidazione delle spese, non avendo la parte intimata svolto alcuna attività processuale.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010


Notifica a mezzo del servizio postale – Illeggibilità sottoscrizione

La Corte Suprema di Cassazione – Sezioni Unite ha modificato l’orientamento delle Sezioni che, con ordinanza 14528/2009, avevano affermato il seguente principio di diritto: «se dall’avviso di ricevimento della notificazione effettuata ex art. 149 c.p.c. a mezzo del servizio postale non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dall’art. 7, comma 2, della legge n. 890 del 1982, deve ritenersi che la sottoscrizione illeggibile apposta nello spazio riservato alla firma del ricevente sia stata vergata dallo stesso destinatario, la notificazione è valida, non risultando integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all’art. 160 c.p.c.». La Corte Suprema di Cassazione ha ricordato che “Prevede l’art. 4, della l. 20 novembre 1982, n. 890 (in tema di notificazioni di atti a mezzo posta), da un lato, che l’avviso di ricevimento del piego raccomandato, completato in ogni sua parte e munito del bollo dell’ufficio postale recante la data dello stesso giorno di consegna, è spedito in raccomandazione all’indirizzo già predisposto dall’ufficiale giudiziario (comma 1), dall’altro, che l’avviso di ricevimento costituisce prova della eseguita notificazione (comma 3). Dispone, ancora, l’art. 7, della stessa legge, da un lato, che l’agente postale consegna il piego nelle mani proprie del destinatario, anche se dichiarato fallito (comma 1), dall’altro, che l’avviso di ricevimento ed il registro di consegna debbono essere sottoscritti dalla persona alla quale è consegnato il piego e, quando la consegna sia effettuata a persona diversa dal destinatario, la firma deve essere seguita, su entrambi i documenti summenzionati, dalla specificazione seguita, su entrambi i documenti summenzionati, dalla specificazione della qualità rivestita dal consegnatario, con l’aggiunta, se trattasi di familiare, dell’indicazione di convivente anche se temporaneo (comma 4)”.

 Secondo la Corte Suprema di Cassazione, con sentenza  n. 9962 del 27-04-2010 (Notifica a mezzo del servizio postale – Illeggibilità sottoscrizione) “Non prescrivendo la norma positiva che l’avviso di ricevimento debba essere sottoscritto, dal consegnatario del piego, con firma leggibile, è palese che il precetto di legge è soddisfatto anche nella eventualità – come nella specie – in cui la sottoscrizione sia illeggibile”.

 In una tale eventualità – inoltre – è irrilevante – contrariamente a quanto si adombra nella ordinanza 14528 del 2009 – che non siano state indicate, dall’agente postale, le esatte generalità della persona a mani della quale è stato consegnato il piego. Certo, infatti – come ricordato sopra – che l’agente postale ai sensi del primo comma dell’art. 7 della legge n. 890 del 1892, è tenuto a consegnare al destinatario la copia dell’atto da notificare e che, ove la copia non venga consegnata personalmente al destinatario, detto agente è tenuto, ai sensi del sopra trascritto art. 7 quarto comma, a specificare nella relata la persona diversa nei cui confronti la notifica fu eseguita, l’eventuale grado di parentela esistente tra il destinatario e tale persona cui la copia dell’atto fu consegnata, l’eventuale indicazione della convivenza sia pure temporanea tra il destinatario e la persona cui la copia dell’atto fu consegnata è palese che la omessa indicazione da parte dell’agente postale del compimento delle formalità previste dal quarto comma del citato art. 7 induce a ritenere, salvo querela di falso, che tale agente abbia consegnata la copia dell’atto da notificare personalmente al destinatario, e che questo ultimo ha sottoscritto l’avviso di ricevimento, a nulla rilevando che manchi nell’avviso di ricevimento stesso l’ulteriore specificazione “personalmente al destinatario” (in questo senso cfr. ad esempio, Cass. 10 marzo 2003, n. 3065, in motivazione)”.

 D’altro canto, proseguono le Sezioni Unite, è “irrilevante, al fine di pervenire a una diversa conclusione e di affermare (come ritenuto dalla sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione e auspicato dall’ordinanza n. 14528 del 2009 di questa Corte) che in una tale eventualità sussiste nullità della notificazione, è la circostanza che il modello dell’avviso di ricevimento predisposto dalla Amministrazione postale prevede ben dieci ipotesi di ricevente con altrettante caselle destinata a essere barrate dall’agente postale che effettua la consegna e che tra tali ipotesi (e tra tali caselle) le prime due concernono proprio il destinatario, persona fisica o giuridica, sicché tutte le volte che il modulo risulti compiutamente compilato dall’agente postale è comunque rivelata la qualità rivestita dal consegnatario, quand’anche egli sia lo stesso destinatario, mentre, nella specie nessuna delle caselle risulta barrata”.

In conclusione, “nessun obbligo sussiste per l’agente postale, allorché consegna il piego al destinatario dello stesso di far risultare (nelle caselle che precedono la sottoscrizione o di seguito a questa) che la consegna è avvenuta a mani proprie dello stesso destinatario”.


Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 09-03-2010) 03-05-2010, n. 2494

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 1111 del 2005, proposto da:

Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia, rappresentato e difeso dall’avv. Ruggero Frascaroli, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, viale Regina Margherita 46;

contro

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del TAR LAZIO – ROMA:Sezione III n. 14064/2004, resa tra le parti, concernente ESCLUSIONE DA CONCORSO A 10 POSTI DI PRIMO DIRIGENTE RUOLO TECNICO.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 marzo 2010 il consigliere Marcella Colombati e uditi per le parti l’avvocato Frascaroli e l’avvocato dello Stato Varone;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ricorso proposto al Tar del Lazio l’Ordine degli architetti di Roma e provincia ha chiesto l’annullamento del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 13.11.1991 avente ad oggetto “corsoconcorso di formazione dirigenziale, concorso speciale per esami e concorso pubblico per titoli ed esami, a complessivi 10 posti di primo dirigente nel ruolo tecnico”, nella parte in cui, all’art. 1, “ammette la partecipazione al corsoconcorso pubblico di cui sopra soltanto di coloro che sono in possesso del diploma di laurea in ingegneria, con esclusione degli architetti”.

L’Ordine ricorrente ha rilevato la discriminazione operata a danno degli architetti, dal momento che il bando riserva praticamente tutti i posti agli ingegneri; difatti l’art. 1, comma 2, lett. 1a, del bando ammette la partecipazione del corsoconcorso di formazione dirigenziale a 4 posti della carriera tecnicodirettiva di tutti gli impiegati appartenenti all’amministrazione dei lavori pubblici, senza distinzione di titolo di laurea posseduto (ingegneri ed architetti), mentre limita tale partecipazione ai soli ingegneri se appartenenti ad altre amministrazioni statali.

Inoltre la stessa discriminazione si ha nel concorso pubblico a 2 posti di primo dirigente, per il quale l’art. 4, lett. 1c del bando consente la partecipazione del personale ministeriale dei lavori pubblici in possesso della sola laurea in ingegneria.

In sostanza mentre gli ingegneri possono partecipare sia al corsoconcorso, sia al concorso speciale, sia al concorso pubblico, gli architetti sono esclusi dal corsoconcorso se appartenenti ad altre amministrazioni dello Stato e dal concorso pubblico anche se appartenenti alla stessa amministrazione dei lavori pubblici.

Il ricorrente ha osservato che, nell’ambito della carriera tecnica direttiva dell’Amministrazione dei lavori pubblici, gli ingegneri e gli architetti sono inquadrati nel medesimo livello funzionale e svolgono mansioni di pari importanza e qualità sotto il profilo tecnicoprofessionale, sicché anche i secondi devono poter concorrere per i posti disponibili di primo dirigente.

Sarebbero così violati gli artt. 3 e 97 Cost. e vi sarebbe eccesso di potere per sviamento, illogicità, contraddittorietà manifesta, disparità di trattamento e difetto assoluto di motivazione.

2. Con la sentenza n. 14064 del 2004, il Tar del Lazio, sede di Roma, ha respinto il ricorso osservando che si tratta di tre distinte procedure concorsuali, con differenti requisiti di partecipazione:

– il corsoconcorso di formazione dirigenziale a 4 posti, riservato agli appartenenti al ruolo della carriera tecnica direttiva dell’amministrazione dei lavori pubblici, in possesso di una determinata anzianità di servizio effettivo nella qualifica (9 anni), ovvero agli omologhi dipendenti di altre amministrazioni in possesso della laurea in ingegneria;

– il concorso speciale per esami a 4 posti, riservato ai dipendenti del Ministero LL.PP. con 9 anni di anzianità di servizio effettivo nella qualifica;

– il concorso pubblico, per titoli ed esami a 2 posti, riservato ai dipendenti statali con l’anzianità di servizio di 5 anni e il possesso della laurea in ingegneria, nonché ai professori universitari di ruolo, assistenti universitari e ricercatori con almeno 2 anni di servizio e la laurea in ingegneria ovvero ai dirigenti e liberi professionisti con la laurea in ingegneria e con almeno 5 anni di servizio.

Il giudice ha rilevato che non sussiste la dedotta disparità di trattamento fondata sul mancato riconoscimento della equiparazione tra le due lauree, perché deve ritenersi ancora persistente la ripartizione di competenze professionali tra ingegneri ed architetti, sancita dagli artt. 51 e 52 del r.d. n. 2537 del 1925; l’equiparazione tra le due lauree è stata introdotta dal d. lgs. n. 129 del 1992 solo ai fini della libera circolazione di tali professionisti nell’area comunitaria e del mutuo riconoscimento dei titoli da parte degli ordinamenti degli Stati membri in attuazione della direttiva 85/384/CEE, ed il medesimo decreto legislativo n. 129 fa salve le disposizioni che regolano in Italia le attività riconducibili alle due professioni.

3. La sentenza è appellata dall’Ordine degli architetti, il quale rileva che le competenze riconosciute alle due professioni sono promiscue e che solo in via di eccezione vi sono attribuzioni riservate all’una o all’altra professione “quando una tale privativa risulti espressamente regolata dalla legge”; che la direttiva comunitaria, in quanto dettagliata, è self executing ed è in grado di attribuire “veri e propri diritti soggettivi in capo ai cittadini dei singoli Stati membri, indipendentemente dal fatto che lo Stato abbia emanato o meno una specifica normativa”; che la circolare del Ministero dell’Istruzione e dell’università n. 2126 del 28.5.2002 ha definitivamente chiarito che i laureati in architettura e in ingegneria edile possono partecipare all’esame di Stato di ingegnere per il settore civile ed ambientale.

Con successiva memoria l’appellante ha ribadito le proprie tesi difensive, rilevando che con l’avvento del nuovo ordinamento universitario (d.m. n. 509 del 1999, sostituito dal d.m. n. 274 del 2004) i corsi di laurea del vecchio ordinamento in architettura e in ingegneria sono stati accorpati nell’unica classe di laurea specialistica quinquennale denominata “Architettura e Ingegneria edile – classe 4/S); che il d.p.r. n. 328 del 2001 ha previsto all’art. 2 l’istituzione due sezioni degli albi professionali (A e B), cui si accede previo esame di Stato rispettivamente con la laurea specialistica quinquennale o con la laurea triennale; che di conseguenza lo studente che consegue la laurea quinquennale in architettura e ingegneria edile ha titolo a sostenere l’esame di Stato per l’iscrizione nelle pertinenti sezioni dei relativi albi professionali, sia per l’esercizio della professione di ingegnere che per quella dell’architetto; che infine il d.m. 5.5.2004 ha sancito l’equiparazione “ai fini dei pubblici concorsi” della precedente laurea in architettura con la nuova laurea specialistica.

4. Si è costituito in giudizio il Ministero intimato, opponendosi genericamente all’appello.

All’udienza del 9.3.2010 la causa è passata in decisione.

5. 1. L’appello è infondato e va respinto.

5. 2. In primo luogo, nella specie si tratta di concorsi pubblici che sono stati banditi nel 1991 e non dello svolgimento di libere professioni.

La invocata direttiva comunitaria n. 384 del 1985 non prevede nessuna equiparazione fra le lauree in architettura e in ingegneria, ma anzi all’art. 11 distingue proprio i due diplomi come rilasciati in Italia; quello che le norme comunitarie intendono perseguire è soltanto il mutuo riconoscimento dei titoli ai fini della libera circolazione dei professionisti nell’ambito comunitario.

Anche la Corte di giustizia CE, con ordinanza in data 5 aprile 2004, ha affermato che la direttiva in esame “non si propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto, né di definire la natura delle attività svolte da chi esercita tale professione”.

Né l’appellante dimostra che la direttiva in questione abbia carattere self executing in relazione alla pretesa avanzata (parificazione di titoli di studio ai fini dell’ammissione al pubblico impiego).

La pure invocata disciplina dettata dal d. lgs. n. 129 del 1992, di attuazione della predetta direttiva comunitaria, ha ad oggetto il riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli rilasciati a cittadini comunitari dagli Stati membri per l’esercizio di attività nel settore dell’architettura, per assicurare l’effettivo esercizio del diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi nello stesso settore.

Restano esplicitamente salve le norme interne che attengono all’individuazione delle rispettive competenze di ingegneri e architetti.

Ma soprattutto la suesposta disciplina, successiva all’indizione dei concorsi presso l’allora Ministero dei lavori pubblici, non può esplicare su di essi nessuna influenza.

5. 3. L’asserito identico svolgimento di funzioni da parte di ingegneri e architetti nell’amministrazione pubblica, in quanto inquadrati nella stessa qualifica professionale (VII), non è di per sé idoneo a disconoscere che in una medesima qualifica ben possono essere inquadrati dipendenti con profili differenti e con mansioni diverse e la scelta organizzativa correlata alle competenze professionali ritenute dalla p.a. utili al migliore esercizio delle attività cui la stessa è preposta, unitamente alla individuazione dei profili professionali richiesti ai propri dirigenti, rientrano nell’ambito di un’ampia discrezionalità sindacabile in sede di legittimità solo se palesemente illogica e contraria ai principi della buona amministrazione degli uffici; il che nella specie non ricorre.

5. 4. La giurisprudenza amministrativa ha affermato che, quando un bando “richieda il possesso di un determinato titolo di studio per l’ammissione ad un pubblico concorso, senza prevedere il rilievo del titolo equipollente, non è consentita la valutazione di un titolo diverso, salvo che l’equipollenza non sia stabilita da una norma di legge. Il principio poggia sul dovuto riconoscimento in capo all’Amministrazione che indice la procedura selettiva…di un potere discrezionale nella individuazione della tipologia del titolo stesso, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire” (Cons. di Stato, VI, n. 4994 del 2009).

Nella specie, la asserita equiparazione delle due lauree è comunque successiva alla data di indizione del concorso. Infatti, l’art. 9, comma 6, della legge n. 341 del 1990 rimette ad apposito decreto del presidente della Repubblica, all’esito di un articolato procedimento, la individuazione delle equipollenze tra i diplomi di laurea ai fini dell’ammissione ai pubblici concorsi; ma il primo di detti provvedimenti attuativi, nel quale effettivamente sono a tali fini equiparate le lauree in architettura e in ingegneria edile (classe 4/S), è stato emanato con d.m. 5.5.2004, che ratione temporis non si applica alla fattispecie.

6. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese processuali.

P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sesta sezione, respinge l’appello in epigrafe; spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2010 con l’intervento dei Signori:

Claudio Varrone, Presidente

Paolo Buonvino, Consigliere

Domenico Cafini, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Marcella Colombati, Consigliere, Estensore


E’ valida la consegna della notifica al convivente del contribuente.

La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che la notifica fatta al familiare del contribuente è valida.

La Corte accogliendo il ricorso del fisco ha stabilito che “la notifica mediante consegna a persona di famiglia non postula necessariamente l’ulteriore requisito della convivenza”  non espressamente menzionato dall’art. 139 c.p.c. è risultato sufficiente l’esistenza di un vincolo (di parentela o di affinità) tale da giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario.

Corte Suprema di Cassazione, Ordinanza n. 9590 depositata il 22 aprile 2010


Riunione Consiglio Generale del 24.04.2010

Ai sensi dell’Art. 13 dello Statuto, è stata convocata la riunione del Consiglio Generale che si è svolta sabato 24 aprile 2010 alle ore 07:00 presso il Comune di Parma – Palazzo Eridania – Viale Barilla 29, in prima convocazione, e alle ore 9:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1 – Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;

2 – Quale futuro per il Messo Comunale? La posizione dell’Associazione;

3 – Varie ed eventuali.

Leggi Verbale CG 24 04 2010


1° Maggio 2010 – Rimini

I Messi Comunali di tutta Italia si incontrano il 1° Maggio a Rimini (RN) per una valutazione complessiva sulla prospettiva del Messo Comunale nel futuro della P.A.. Tale iniziativa è promossa dai colleghi Calamo Salvatore (Comune di Fasano [BR]) e Vito De Bellis (Comune di Valenzano [BA]).

Per info rivolgersi ai succitati Colleghi


PEC Day, posta (certificata)

E’ partito il servizio Posta Certificat@, la casella di posta elettronica sicura che garantisce valore legale alle comunicazioni via e-mail tra cittadini e Pubblica amministrazione. “Il servizio innovativo, voluto dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e realizzato da Poste Italiane, Telecom Italia e Postecom – si legge sul sito del Ministero per la P.A. e l’Innovazione – renderà sempre più veloce e comodo il dialogo con le istituzioni e semplificherà le procedure, permettendo ai cittadini di inviare e ricevere on line messaggi di testo e allegati che hanno il medesimo valore legale di una raccomandata con ricevuta di ritorno senza l’obbligo di recarsi personalmente agli sportelli della P.A. centrale o locale. Una svolta storica che ridurrà gradualmente il ricorso alla comunicazione cartacea e diminuirà i costi e i tempi di procedura.
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Insieme al servizio di posta elettronica certificata, i cittadini possono accedere gratuitamente, a partire da oggi, anche a una serie di servizi correlati come il servizio di notifica, tramite e-mail tradizionale, della presenza di messaggi sulla casella PostaCertificat@; il fascicolo elettronico personale per la memorizzazione dei documenti; gli indirizzari delle caselle PostaCertificat@ della P.A. Nei prossimi mesi saranno inoltre disponibili altri servizi accessori, a pagamento, come la firma digitale tramite smart card; la notifica, via sms, telefono o posta cartacea, della presenza di messaggi nella casella di posta; il calendario degli eventi della P.A. e il servizio di fascicolo elettronico personale del cittadino con dimensioni personalizzate.

Il Raggruppamento Temporaneo di Impresa costituito da Poste Italiane in qualità di mandataria, Telecom Italia e Postecom, si è aggiudicato la gara per il servizio di Comunicazione Elettronica Certificata tra Pubblica Amministrazione e cittadino – indetta dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione – per la durata di quattro anni. Il servizio è stato realizzato in linea con le normative vigenti e con gli standard tecnologici attualmente in uso per questa tipologia di servizio.


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 13-04-2010) 27-04-2010, n. 9962

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente

Dott. MERONE Antonio – Consigliere

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso 30949/2005 proposto da:

V.A. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato TRALICCI GINA, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

HDI ASSICURAZIONI S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio dell’avvocato ARDITI DI CASTELVETERE MICHELE, che la rappresenta e difende, per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.A., N.M., SARA ASSICURAZIONI S.P.A., C.A., C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4714/2005 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 25/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo.

Svolgimento del processo
V.A., passeggera sull’autovettura Alfa 75 condotta da C.A. e di proprietà di C.M., assicurata presso la HDI Assicurazioni s.p.a. a seguito della collisione di tale veicolo con altra auto di proprietà di S.A., condotta da N.M. e assicurata presso la Sara s.p.a., ha convenuto in giudizio innanzi al giudice di pace di Roma il N., il S. e la Sara Assicurazioni (nelle rispettive qualità di conducente, proprietario ed assicuratrice dell’auto Lancia Prisma con la quale si era scontrata la Alfa 75 sulla quale essa attrice era trasportata), chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni alla persona riportati a seguito dello scontro tra le due autovetture, scontro che ha affermato essersi verificato a (OMISSIS) per colpa esclusiva del conducente dell’auto Lancia Prisma.

Nel giudizio di primo grado, nella dichiarata contumacia del S., sono stati chiamati in causa i C. e la HDI Assicurazioni (nelle rispettive qualità di proprietario e conducente, nonchè assicuratore del veicolo sul quale era trasportata l’attrice) nei cui confronti la V. ha esteso la domanda.

Svoltasi la istruttoria del caso con sentenza n. 23810 del 2001, il giudice di pace ha condannato i convenuti N., S. e Sara s.p.a. in solido al risarcimento del 50% dei danni riportati dall’attrice.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la V. chiedendo – in via principale – fosse affermata, quanto al verificarsi del sinistro oggetto di controversia, la esclusiva responsabilità del N. e che questi fosse condannato al risarcimento del danno nella sua integrità.

In subordine, la V. ha chiesto che – accertato il concorso di colpa tra il N. ed il C. – venisse condannato anche questo ultimo al risarcimento dei danni subiti da essa appellante.

Costituitisi in giudizio il S., il N. e la HDI Assicurazioni s.p.a., mentre gli appellati S. e N. hanno eccepito la nullità della notificazione dell’atto introduttivo di primo grado, la HDI Assicurazioni s.p.a. ha invocato la improcedibilità dell’appello nei propri confronti.

Il tribunale di Roma, nella contumacia della SARA s.p.a., di C.A. e di C.M., con sentenza 4 – 25 febbraio 2005 ha definito tale giudizio dichiarando la V. decaduta dal diritto di proporre appello nei confronti della HDI Ass.ni s.p.a. e disposto la rimessione della causa innanzi al giudice di Roma per la rinnovazione della citazione introduttiva del giudizio di primo grado nei confronti di S.A..

Per la cassazione di tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso la V., con atto 30 novembre 2005 affidato a due motivi, nei confronti di S.A., N.M., HDI Assicurazioni s.p.a., Sara Assicurazioni s.p.a., C.A. e C.M..

Resiste con controricorso la HDI Assicurazioni s.p.a..

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

La causa, inizialmente assegnata alla terza sezione civile è stata rimessa a queste Sezioni Unite a seguito della ordinanza 22 giugno 2009, n. 14528, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza in margine al primo motivo di ricorso e, in particolare, quanto alla ritualità della notifica qualora questa ultima sia fatta al destinatario al suo indirizzo a mezzo del servizio postale e consegnata al ricevente che abbia sottoscritto per esteso, ancorchè con grafia illeggibile, nello spazio riservato alla “firma del destinatario o di persona delegata” senza che tuttavia sia stata barrata la casella relativa al destinatario e che vi sia indicazione relativa alla coincidenza del ricevente con il destinatario.

Motivi della decisione
1. In limine la controricorrente HDI Assicurazioni s.p.a. ha eccepito la l’inammissibilità del ricorso avversario, atteso che il testo della procura speciale rilasciata al difensore – riportato sulla copia notificata del ricorso – non è, in tale copia, sottoscritto dalla parte che la ha rilasciata, sicchè non sarebbe possibile verificare l’effettiva anteriorità della procura rispetto al momento di proposizione del ricorso.

2. L’eccezione – come già anticipato dall’ordinanza 22 giugno 2009, n. 13528 – è manifestamente infondata.

Deve ribadirsi – infatti – in conformità a una giurisprudenza decisamente maggioritaria di questa Corte regolatrice, che ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, pur essendo necessario che il mandato al difensore sia stato rilasciato in data anteriore o coeva alla notificazione del ricorso all’intimato, non occorre che la procura sia integralmente trascritta nella copia notificata all’altra parte, ben potendosi pervenire d’ufficio, attraverso altri elementi, purchè specifici ed univoci, alla certezza che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell’atto (Cass. 2 luglio 2007, n. 14967, che ha ritenuto ammissibile il ricorso, considerando sufficiente, ai fini della prova dell’anteriorità della procura, l’apposizione della stessa a margine dell’originale dell’atto. Analogamente, per il rilievo che la mancanza della procura ad litem sulla copia notificata del ricorso per cassazione non determina l’inammissibilità del ricorso, ove risulti che l’atto provenga da difensore già munito di mandato speciale, Cass. 16 settembre 2009, n. 19971, specie in motivazione).

Anche a prescindere dai rilievi che precedono si osserva che la controcorrente sembra ipotizzare che colui che rilascia la procura debba apporre, in calce alla stessa, due sottoscrizioni: una sull’originale ed una sulla copia notificata del ricorso.

L’assunto non può seguirsi.

La legge (art. 137 c.p.c., comma 2) – infatti – impone la notificazione di una “copia” dell’atto (esso solo da sottoscrivere anche dal difensore ex art. 125 c.p.c., comma 1), sicchè l’eccezione è infondata alla stregua del principio sopra esposto, in linea con la regola generale che ormai decisamente connota le decisioni di questa Corte in materia processuale secondo la quale le norme di rito debbono essere interpretate in modo razionale in correlazione con il principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.), in guisa da rapportare gli oneri di ogni parte alla tutela degli interessi della controparte, dovendosi escludere che l’ordinamento imponga nullità non ricollegabili con la tutela di alcun ragionevole interesse processuale delle stesse (art. 156 c.p.c., comma 3) (cfr. Cass. 24 ottobre 2008, n. 25727).

3. Come accennato in parte espositiva, il tribunale, sulla scorta delle deduzioni del S. – che si è costituito in appello allo scopo – ha dichiarato la nullità della notificazione dell’atto introduttivo di primo grado nei confronti del convenuto S., pur dichiarato contumace, in quanto l’atto di citazione risultava inviato a mezzo del servizio postale presso il domicilio del destinatario (nello stesso luogo dove peraltro l’appello era stato pure in seguito notificato), senza tuttavia che nell’avviso di ricevimento risultasse alcuna indicazione circa la persona alla quale il plico era stato consegnato (e, per l’effetto, ha rimesso la causa dinanzi al giudice di pace di Roma per la rinnovazione della citazione introduttiva nei confronti del S.).

4. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte de qua, lamentando “violazione e falsa applicazione degli artt. 139 e 160 c.p.c., e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

L’atto di citazione al S. – evidenzia la ricorrente – è stato notificato a mezzo del servizio postale e l’avviso di ricevimento, regolarmente depositato, indica che la copia dell’atto è stata consegnata al ricevente che ha sottoscritto per esteso, ancorchè con grafia illeggibile (ha infatti sottoscritto nello spazio riservato al “destinatario o persona delegata”).

Tale attestazione – prosegue la ricorrente – fa prova fino a querela di falso e non può essere confutata dal mero diniego della ricezione dell’atto.

5. Con specifico riferimento a tale motivo di ricorso, la terza sezione civile con ordinanza 22 giugno 2009, n. 14528 ha evidenziato che in una fattispecie identica alla presente – in cui la notifica era stata fatta al destinatario al suo indirizzo a mezzo del servizio postale e consegnata al ricevente che aveva sottoscritto per esteso, ancorchè con grafia illeggibile – Cass., sez. un., 17 novembre 2004, n. 21712 ha ritenuto valida una tale notificazione atteso che indicando “l’avviso di ricevimento, depositato in atti, che la copia dell’atto è stata consegnata al ricevente che ha sottoscritto per esteso, ancorchè con grafia illeggibile, ciò comporta l’attestazione, facente prova fino a querela di falso, che l’atto è stato consegnato a persona coincidente con il destinatario della notificazione… e tale attestazione non può essere superata dal mero diniego della ricezione dell’atto”.

Corollario di tale affermazione – evidenzia ancora la ricordata ordinanza n. 14528 del 2009 – è l’enunciazione, nel caso di specie, del seguente principio di diritto: “se dall’avviso di ricevimento della notificazione effettuata ex art. 149 c.p.c., a mezzo del servizio postale non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dalla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 2, deve ritenersi che la sottoscrizione illeggibile apposta nello spazio riservato alla firma del ricevente sia stata vergata dallo stesso destinatario, la notificazione è valida, non risultando integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all’art. 160 c.p.c.”.

Peraltro, si osserva sempre nella ricordata ordinanza, che a fondare una tale conclusione non è sufficiente il rilievo che la L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, comma 4, preveda che “quando la consegna sia effettuata a persona diversa dal destinatario, la firma deve essere seguita… dalla qualità rivestita dal consegnatario” e che, dunque, possa ritenersi a contrario che l’indicazione della qualità non è necessaria quando il ricevente sia il destinatario medesimo, con la conseguenza che, se nulla sia scritto di seguito alla firma, deve aversi per certo che ricevente e destinatario coincidano, appunto fino a querela di falso.

Si sottolinea – infatti – che il modello dell’avviso di ricevimento (che nel caso non consta essere stato predisposto dall’amministrazione in difformità dalla normativa che lo contempla), prevede ben 10 ipotesi di ricevente, con altrettante caselle destinate ad essere barrate da chi effettua la consegna e tra tali caselle le prime due concernono proprio il destinatario (persona fisica o giuridica), sicchè tutte le volte che il modulo risulti compiutamente compilato dall’agente postale è comunque rilevata la qualità rivestita dal consegnatario,. quand’anche egli sia lo stesso destinatario.

Diversamente – conclude l’ordinanza – nel caso di specie nessuna casella risulta esser stata sbarrata.

6. Ritengono queste Sezioni Unite che il sopra riferito iter argomentativo non possa essere seguito, con conseguente conferma della precedente pronunzia di queste Sezioni Unite e accoglimento del primo motivo del ricorso.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

6.1. Prevede la L. 20 novembre 1982, n. 390, art. 4, (in tema di notificazioni di atti a mezzo posta), da un lato, che l’avviso di ricevimento del piego raccomandato, completato in ogni sua parte e munito del bollo dell’ufficio postale recante la data dello stesso giorno di consegna, è spedito in raccomandazione all’indirizzo già predisposto dall’ufficiale giudiziario (comma 1), dall’altro, che l’avviso di ricevimento costituisce prova della eseguita notificazione (comma 3).

Dispone, ancora, l’art. 7, della stessa legge, da un lato, che l’agente postale consegna il piego nelle mani proprie del destinatario, anche se dichiarato fallito (comma 1), dall’altro, che l’avviso di ricevimento ed il registro di consegna debbono essere sottoscritti dalla persona alla quale è consegnato il piego e, quando la consegna sia effettuata a persona diversa dal destinatario, la firma deve essere seguita, su entrambi i documenti summenzionati, dalla specificazione seguita, su entrambi i documenti summenzionati, dalla specificazione della qualità rivestita dal consegnatario, con l’aggiunta, se trattasi di familiare, dell’indicazione di convivente anche se temporaneo (comma 4).

6.2. Non prescrivendo la norma positiva che l’avviso di ricevimento debba essere sottoscritto, dal consegnatario del piego, con firma leggibile, è palese che il precetto di legge è soddisfatto anche nella eventualità – come nella specie – in cui la sottoscrizione sia illeggibile.

In una tale eventualità – inoltre – è irrilevante – contrariamente a quanto si adombra nella ordinanza 14528 del 2009 – che non siano state indicate, dall’agente postale, le esatte generalità della persona a mani della quale è stato consegnato il piego.

Certo, infatti – come ricordato sopra – che l’agente postale ai sensi della L. n. 890 del 1892, art. 7, comma 1, è tenuto a consegnare al destinatario la copia dell’atto da notificare e che, ove la copia non venga consegnata personalmente al destinatario, detto agente è tenuto, ai sensi del sopra trascritto art. 7 comma 4, a specificare nella relata la persona diversa nei cui confronti la notifica fu eseguita, l’eventuale grado di parentela esistente tra il destinatario e tale persona cui la copia dell’atto fu consegnata, l’eventuale indicazione della convivenza sia pure temporanea tra il destinatario e la persona cui la copia dell’atto fu consegnata è palese che la omessa indicazione da parte dell’agente postale del compimento delle formalità previste dal citato art. 7, comma 4, induce a ritenere, salvo querela di falso, che tale agente abbia consegnata la copia dell’atto da notificare personalmente al destinatario, e che questo ultimo ha sottoscritto l’avviso di ricevimento, a nulla rilevando che manchi nell’avviso di ricevimento stesso l’ulteriore specificazione “personalmente al destinatario” (in questo senso cfr. ad esempio, Cass. 1 marzo 2003, n. 3065, in motivazione).

6.3. Irrilevante, al fine di pervenire a una diversa conclusione e di affermare (come ritenuto dalla sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione e auspicato dall’ordinanza n. 14528 del 2009 di questa Corte) che in una tale eventualità sussiste nullità della notificazione, è la circostanza che il modello dell’avviso di ricevimento predisposto dalla Amministrazione postale prevede ben dieci ipotesi di ricevente con altrettante caselle destinata a essere barrate dall’agente postale che effettua la consegna e che tra tali ipotesi (e tra tali caselle) le prime due concernono proprio il destinatario, persona fisica o giuridica, sicchè tutte le volte che il modulo risulti compiutamente compilato dall’agente postale è comunque rivelata la qualità rivestita dal consegnatario, quand’anche egli sia lo stesso destinatario, mentre, nella specie nessuna delle case risulta barrata.

In particolare è la stessa legge – come osservato sopra – che prevede, in termini non equivoci, che l’avviso di ricevimento deve essere sottoscritto dalla persona alle quale è consegnato il piego e quando la consegna sia effettuata a persona diversa dal destinatario la firma deve essere seguita., dalla specificazione della qualità rivestita dal destinatario Ciò – giusta la previsione testuale di cui all’art. 12 preleggi – non può che significare, a prescindere dalle modalità con cui è stato predisposto il modello di avviso di ricevimento da parte delle Poste Italiane – che nessun obbligo sussiste per l’agente postale, allorchè consegna il piego al destinatario dello stesso di far risultare (nelle caselle che precedono la sottoscrizione o di seguito a questa) che la consegna è avvenuta a mani proprie dello stesso destinatario.

Non essendosi il giudice di appello attenuto ai principi di cui sopra è evidente, come anticipato, che il primo motivo del ricorso meriti integrale accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impu-gnata nella parte in cui ha dichiarato la nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio in primo grado con conseguente rimessione della causa innanzi al giudice di pace di Roma.

7. Benchè la HDI si fosse costituita in primo grado eleggendo domicilio presso il proprio difensore – ha fatto presente il tribunale – l’atto di appello le era stato notificato presso la sede legale della società, con conseguente nullità della notifica, nullità non sanata dalla costituzione oltre il termine della HDI (essendo tale costituzione effettuata al solo scopo di eccepire il vizio e l’improcedibilità dell’appello a seguito del passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti).

8. Con il secondo motivo la ricorrente denunziando “violazione e falsa applicazione degli artt. 330 e 331 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, censura la sentenza impugnata nella parte de qua (in cui, da un lato, ha dichiarato la decadenza di essa concludente dalla facoltà di proporre appello avverso la HDI Ass.ni s.p.a., per essere stato l’atto di appello notificato alla sede legale della stessa HDI Ass.ni piuttosto che al domiciliatario indicato, dall’altro, ritenuto la inammissibilità dell’appello nei confronti della stessa, nonostante l’inscindibilità del relativo rapporto rispetto a quello degli altri litisconsorzi).

9. La controricorrente HDI Assicurazioni resiste a tale deduzione facendone presente la infondatezza.

Nel corso del giudizio di primo grado – espone; al riguardo la contro ricorrente – la V. non aveva proposto alcuna domanda nei confronti di essa concludente (e del proprio assicurato) avendo chiesto il risarcimento dei darmi patiti esclusivamente nei confronti del conducente del proprietario e della società assicuratrice della, vettura antagonista a quella sulla quale era trasportata, si che – a prescindere darla ritualità, o meno, della notifica dell’atto di appello nei confronti di essa concludente il giudice ài appello non poteva, comunque, non rilevare la inammissibilità di una domanda nuova, inammissibilmente introdotta per la prima volta in grado di appello dalla V..

10. Tale ultimo rilievo non coglie nei segno. Si osserva, infatti, che il giudice ai appello ha ritenuto la decadenza della V. dall’appello nei confronti della HDI Assicurazioni per inesistenza della notifica dell’atto di appello (e non la inammissibilità dello stesso, perchè contenente domanda nuova preclusa in appello) si che le difese svolte dalla HDI assicurazioni s.p.a. non sono in alcun modo pertinenti, rispetto ai motivo di ricorso per cassazione in esame.

11. Premesso quanto sopra e evidenziano che la questione specifica (circa l’eventuale inammissibilità dell’appello per novità della domanda della V. ancorchè l’HDI Assicurazioni s.p.a. e il proprietario nonchè il conducente del veicolo dalla stessa assicurata siano stati già chiamati in causa nel giudizio di primo grado e sia stata, in quella sede, accertata la concorrente responsabilità del conducente di tale vetture in ordine al verificarsi del sinistro denunciato dall’attrice potrà e dovrà essere sottoposta all’esame del giudice del rinvio, osserva la Corte che anche il secondo motivo di ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.

In termini opposti a quanto affermato dalla sentenza impugnata e in conformità a una giurisprudenza da lustri consolidata di questa Corte regolatrice, infatti, si osserva che la notifica dell’appello (o del ricorso per Cassazione) al domicilio reale della parte costituita nel precedente grado di giudizio non determina la inesistenza giuridica dell’impugnazione bensì la sua nullità, sanata con effetto ex tunc dalla tempestiva costituzione della controparte (Cass. 29 novembre 2006, n. 25364; Cass. 11 maggio 2004, n. 8893; Cass. 27 giugno 2002, n. 9362; Cass. 23 giugno 1997, n. 5576, tra le tantissime).

E’ palese, di conseguenza, che nella specie il tribunale non poteva dichiarare – come ha dichiarato – la decadenza della V. dall’appello nei confronti della HDI Assicurazioni s.p.a. ma esaminare questo nel merito.

12. La sentenza impugnata, in conclusione, deve essere cassata e la causa va rimessa, per nuovo esame, allo stesso tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per nuovo esame, allo stesso tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2010


Corte Suprema di Cassazione n. 9897 del 26.04.2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SO.IM. s.r.l., in persona dell’amministratore unico, legale rappresentante, sig. S.D., rappresentata e difesa dall’avv. Cavaliere Raffaele, presso il cui studio in Roma, Piazza Gentile da Fabriano n. 3, è elett.te dom.ta;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 9820/05 del Giudice di pace di Roma, depositata il 1^ marzo 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 dicembre 2009 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

La s.r.l. SO.IM. proponeva davanti al Giudice di pace di Roma opposizione alla cartella di pagamento n. (OMISSIS), notificatale dal concessionario della riscossione in relazione a sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada. Sosteneva di non aver mai ricevuto notifica dei verbali di accertamento, elevati dalla Polizia Municipale, su cui la cartella era basata.

Radicatosi il contraddittorio con il Comune di Roma, l’opponente eccepiva la nullità delle notifiche dei verbali – le cui relate il convenuto aveva nel frattempo depositato in giudizio – perché eseguite a mani del portiere dello stabile in cui era situata la sede della società, modalità non consentita dall’art. 145 c.p.c., per la notifica alle persone giuridiche.

Il Giudice di pace, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’opposizione osservando che la notifica era stata correttamente eseguita ai sensi dell’art. 139 c.p.c., cui rinvia il terzo comma dell’art. 145 cit., per il caso in cui non sia stato possibile eseguire la notifica ai sensi dei commi precedenti, prevedendo in tal modo “un criterio sussidiario di notificazione, mediante la consegna dell’atto a mani del portiere dello stabile ove ha sede la società, in assenza di altre persone capaci di riceverlo”. Inoltre, secondo il giudice, era applicabile la sanatoria per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., ult. co., onde sarebbe stato necessario che la società avesse dimostrato di non essere mai venuta a conoscenza degli atti consegnati al portiere.

La società soccombente ha quindi proposto ricorso per Cassazione articolando due motivi di censura, cui non ha resistito l’amministrazione comunale intimata.

La causa è stata rimessa alla pubblica udienza, con ordinanza collegiale, dopo l’iniziale assegnazione alla camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 145 e 139 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, si censura l’affermazione della ritualità della notifica eseguita a mani del portiere dello stabile, osservando che ciò non è consentito per le notifiche a persone giuridiche, disciplinate dall’art. 145 c.p.c., il cui comma 3 rinvia alle forme di cui all’art. 139 c.p.c., per il solo caso, pacificamente qui non ricorrente, che dall’atto risulti il nome della persona fisica che rappresenta l’ente.

1.1. – Il motivo è fondato.

A norma del combinato disposto degli art. 145 c.p.c., (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263) e art. 139 c.p.c. la notificazione alla persona giuridica non può essere effettuata, in mancanza delle persone menzionate dalla prima parte di dette norme, in mani del portiere dello stabile in cui essa ha sede ed il richiamo all’art. 139 c.p.c., cit., opera soltanto per l’eventualità che l’atto da notificare faccia menzione della persona fisica che rappresenta l’ente, sicchè, verificandosi la mancanza suddetta e divenendo conseguentemente effettuabile la notificazione a tale rappresentante, la consegna può essere eseguita al portiere dello stabile ove il rappresentante (non l’ente) ha la sua residenza, quando non sia stato possibile provvedervi in alcuno degli altri modi previsti per la notificazione alle persone fisiche (cfr., per tutte, Cass. 5918/1981); diversamente – e in particolare nel caso, qui ricorrente, di consegna al portiere dello stabile in cui è situata la sede dell’ente – la notifica è nulla (cfr., tra le altre, Cass. 1461/1994, 7949/1999).

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 156 c.p.c. e vizio di motivazione, si contesta l’affermazione dell’avvenuta sanatoria della nullità, fatta dal giudice in difetto di qualsiasi elemento implicante il raggiungimento dello scopo delle notifiche nulle.

2.1. – Anche questo motivo è fondato, chiaro essendo che il Giudice di pace ha ritenuto di applicare l’istituto di cui all’art. 156 c.p.c., pur in mancanza del necessario presupposto costituito, appunto, dal riscontrato raggiungimento dello scopo delle notifiche nulle, ossia dalla conoscenza, da parte della società, degli atti invalidamente notificati prima della loro produzione in giudizio da parte del Comune.

3. – La. sentenza impugnata va pertanto cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 1, ult. parte, con l’accoglimento dell’opposizione e l’annullamento della cartella impugnata.

Le spese dell’intero giudizio, sia di merito che di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione ed annulla la cartella di pagamento opposta; condanna l’amministrazione intimata alle spese dell’intero giudizio, liquidate in Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per diritti e onorari, quanto al giudizio di merito, e in Euro 600,00, di cui Euro 400,00 per onorari, quanto al giudizio di legittimità, oltre spese generali ed accessori di legge.


Trasmissione telematica dei certificati di malattia all’Inps

L’Inps fornisce le prime istruzioni per la trasmissione telematica delle certificazioni di malattia all’Inps.

E’ previsto un periodo transitorio di tre mesi durante il quale il medico potrà ancora procedere al rilascio dei certificati cartacei di malattia, secondo le consuete modalità. Come si legge nella circolare, la trasmissione del certificato di malattia telematico comprende obbligatoriamente l’inserimento da parte del medico curante dei seguenti dati: “codice fiscale del lavoratore; residenza o domicilio abituale; eventuale domicilio di reperibilità durante la malattia; codice di diagnosi, mediante l’utilizzo del codice nosologico ICD9-CM, che sostituisce o si aggiunge alle note di diagnosi; data di dichiarato inizio malattia, data di rilascio del certificato, data di presunta fine malattia nonché, nei casi di accertamento successivo al primo, di prosecuzione o ricaduta della malattia; modalità ambulatoriale o domiciliare della visita eseguita.


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 17-03-2010) 22-04-2010, n. 9590

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Presidente

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

D.B.V.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 145/28/07 del 15/10/07.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall’art. 380 bis, nei termini che di seguito si trascrivono:

“L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto il ricorso del contribuente contro una cartella di pagamento per difetto di notifica dell’accertamento presupposto.

L’intimato non si è costituito.

Il ricorso contiene un motivo. Può essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., n. 5) ed accolto, per manifesta fondatezza, alla stregua delle considerazioni che seguono:

L’Agenzia, sotto il profilo della violazione dell’art. 139 c.p.c., censura la sentenza impugnata, che ha ritenuto irrituale la notifica effettuata a mani di un congiunto, poi risultato non convivente con il destinatario.

Il mezzo è manifestamente fondato.

Questa Corte ha infatti affermato che la notificazione mediante consegna a persona di famiglia non postula necessariamente l’ulteriore requisito della convivenza – non espressamente menzionato dall’art. 139 c.p.c. -, risultando sufficiente l’esistenza di un vincolo (di parentela o affinità) tale da giustificare la presunzione che la “persona di famiglia” consegnerà l’atto al destinatario (Cass. 1550/07)”;

che le parti non hanno presentato memorie;

che il collegio condivide la proposta del relatore;

che pertanto, accolto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2010


PEC, il countdown è scattato

Da lunedì 26 aprile la casella di posta certificata sarà attivata per 50 milioni di italiani.
La casella di posta elettronica che ha lo stesso valore di una raccomandata con avviso di ricevimento sarà attiva per 50 milioni di italiani, tutti i maggiorenni che possiedono il codice fiscale. I comuni pronti, che hanno cioè pubblicato la Pec, sono finora 1.745 su 8 mila, circa il 22%, la maggior parte concentrata al Nord, ma l’obiettivo è quello di arrivare entro lunedì a coinvolgere circa l’80-90% delle amministrazioni. In tutto, a oggi, sono 12 mila le Pec attivate dalle pubbliche amministrazioni centrali (7.315) e locali (4.685), 80 mila le caselle richieste dai cittadini, oltre un milione i professionisti che hanno adempiuto all’obbligo di dotarsene (scattato a novembre scorso) e oltre 110 mila le imprese che hanno già attivato un indirizzo Pec. I numeri sono stati forniti nel corso di una conferenza stampa dal ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta. Il quale ha anche diffuso alle amministrazioni pubbliche interessate la circolare n. 2/2010 con la quale vengono fornite informazioni per la gestione della posta certificata. “Penso che il 2010 sia l’anno della convergenza, ci sono tutte le condizioni perché nella pubblica amministrazione sia eliminata la carta” ha osservato il ministro precisando che l’obiettivo e’ di arrivare entro l’anno “a 10 milioni” di utenti Pec. “Per lunedì” prossimo – ha aggiunto Brunetta – contiamo che tutti i comuni capoluogo siano dotati di Pec”. Il titolare della Funzione Pubblica ha ricordato che finora sono già 60 su 107 i comuni capoluogo in regola, mentre sono già pronte al 100% le camere di Commercio e le Regioni, la copertura è dell’85% per i ministeri, all’80% per le province e al 50% per le Università.

Come attivare il servizio
La Pec al cittadino, spiega una nota del dicastero, è lo strumento che consente di inviare e ricevere messaggi di testo ed allegati con lo stesso valore legale di una raccomandata con avviso di ricevimento. In questo modo si può dialogare con tutti gli uffici della PA direttamente via e-mail senza dover più produrre copie di documentazione cartacea ma soprattutto senza doversi presentare personalmente agli sportelli. Per richiedere l’attivazione del servizio di Posta Certificata al cittadino, a partire come detto da lunedì 26 aprile, sarà sufficiente collegarsi al portale www.postacertificata.gov.it e seguire la procedura guidata che consente di inserire la richiesta in maniera semplice e veloce. Trascorse 24 ore dalla registrazione online (ed entro 3 mesi) ci si potrà quindi recare presso uno degli Uffici postali abilitati per l’identificazione e la conseguente firma sul modulo di adesione. Il richiedente dovrà portar con sè un documento di riconoscimento personale e uno comprovante il codice fiscale (codice fiscale in originale o tessera sanitaria). Bisogna inoltre portare anche una fotocopia di entrambi i documenti che dovranno essere consegnate all’ufficio postale. Ad oggi sono oltre 80 mila le Pec richieste dai cittadini, grazie alla sperimentazione avviata a fine settembre 2009 da Aci e Inps. Pur essendo una casella di posta elettronica come le altre, ricorda il ministero, la Pec al cittadino è l’unica dedicata esclusivamente ai rapporti con la pubblica amministrazione.


Contratti pubblico impiego: avviata presso l’Aran la trattativa per i nuovi comparti

Si è avviata in data 19.04.2010 all’ARAN la trattativa per la definizione dei nuovi comparti e aree di contrattazione. L’accordo è l’atto di apertura per la nuova stagione contrattuale 2010-2012. I comparti, così come previsto dalla Riforma Brunetta della PA (decreto legislativo n. 150/200), non potranno superare il numero di quattro e ogni comparto dovrà avere una specifica area dirigenziale.

Durante l’incontro tutti i sindacati hanno espresso la loro contrarietà all’accorpamento in un unico comparto dei dipendenti delle Regioni e del Servizio Sanitario Nazionale. Tale accorpamento, voluto dalle Regioni stesse, prevede una forte discontinuità con l’attuale assetto contrattuale che prevede invece comparti separati per il servizio sanitario nazionale e per i dipendenti delle Regioni e delle Autonomie Locali. In sintesi, l’atto di indirizzo del Ministro Renato Brunetta, concordato con le Regioni e gli Enti locali, prevede:

  • quattro Comparti;
  • quattro separate Aree della dirigenza;
  • la distinzione tra dipendenti di amministrazioni statali e centrali, ivi compresi gli enti pubblici non economici dal personale dipendente da autonomie locali e regioni;
  • un comparto e un’area di contrattazione collettiva comprendente i dipendenti degli enti locali, delle camere di commercio ed i segretari comunali e provinciali;
  • un comparto ed un’area di contrattazione collettiva relativamente al personale delle Regioni, relativi enti dipendenti e amministrazioni del SSN;
  • l’osservanza delle peculiarità sotto il profilo ordinamentale del personale della Scuola nonché la rilevanza del medesimo in termini numerici (circa 1.200.000 unità) rispetto al restante personale delle amministrazioni.

Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 25-02-2010) 15-04-2010, n. 8996

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI in persona del Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

COMUNE DI CAROVIGNO, REGIONE PUGLIA, E.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 988/2009 del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 29/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA. E’ presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO.

Svolgimento del processo
Quanto segue:

p. 1. Il Tribunale di Lecce, investito dell’appello proposto dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali avverso la sentenza resa in primo grado dal Giudice di pace di San Vito dei Normanni nella controversia fra esso appellante, E.G., la Regione Puglia ed il Comune di Carovigno, ha dichiarato – con sentenza del 29 aprile 2009 – la propria incompetenza territoriale sull’appello e la competenza del Tribunale di Brindisi, reputando che la norma del R.D. n. 1611 del 1933, art. 7, non fosse idonea a giustificare la propria investitura come tribunale del luogo sede dell’Avvocatura dello Stato in seno al distretto in cui era stata pronunciata la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza il Ministero ha proposto istanza di regolamento di competenza adducendo l’erroneità della declaratoria di competenza sull’appello.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. p. 2. Il ricorso è soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del d.lgs. (tale D.Lgs., art. 27, comma 2). p. 3. Essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 3&0-bis c.p.c, è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alla difesa della parte ricorrente e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
Quanto segue:

p. 1. Nella relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si è osservato quanto segue:

” (…) 3. – L’istanza di regolamento di competenza è tempestiva, in quanto è stata consegnata per la notificazione nei trenta giorni dalla sua pronuncia avvenuta a seguito di discussione orale. Parte ricorrente dovrà, tuttavia, documentare il perfezionamento della notificazione per i destinatari.

L’istanza prospetta il seguente quesito di diritto: “Dica codesta S.C. se l’applicabilità della regola del cosiddetto foro erariale ai giudizi di appello, ricavabile dal combinato disposto degli articoli 25 del codice di rito e R.D. n. 1611 del 1933, art. 7, comma 2,trovi o meno applicazione anche nei giudizi di impugnazione delle sentenze dei giudici di pace, ancorché non espressamente contemplati al predetto comma 2 in virtù della natura speciale dell’art. 25”.

Alla questione posta dall’istanza e prospettata con il quesito, questa Corte aveva già dato risposta positiva con la sentenza n. 17759 del 2007. Successivamente, proprio in relazione a decisioni rese dal Tribunale di Lecce su controversie similari a quella di cui al ricorso, la Corte si è espressa nel medesimo senso con le ordd. n. 15020 del 2008 e n. 19781 del 2008, nonché con numerosi altri provvedimenti, fra cui le ordd. n. 11242 e 11243 del 2009. Il Tribunale ha ignorato tali precedenti, che doveva conoscere, per essere essi – tranne gli ultimi due – antecedenti la sua decisione e lo ha fatto, del resto, con una motivazione che, pur considerando proprio un precedente di questa Corte – Cass. (ord.) n. 747 del 2008 – appartenente allo stesso ormai consolidato orientamento e relativo proprio ad impugnazione di una decisione dello stesso Tribunale di Lecce, appare del tutto dispregiativa del valore del precedente e della funzione di nomofilachia della Corte di cassazione, cioè che nel caso di specie si sarebbe in presenza di sentenza di giudice di pace resa in altro “territorio”, il che integra proprio il presupposto di fatto dello spostamento della “competenza” per causa erariale.

Andrà, dunque, dichiarata la competenza territoriale sull’appello del Tribunale di Lecce sulla base del seguente principio di diritto:

“Sussiste la competenza del foro erariale, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 7, comma 2, per le cause di appello avverso le sentenze emesse dal giudice di pace, pur essendo rimasta immutata la originaria formulazione letterale di detta norma di legge a seguito delle riforme ordinamentali e processuali comportanti l’introduzione dell’ufficio del giudice di pace. Tale conclusione è giustificata dall’interpretazione evolutiva della norma, coerente alla sua “ratio legis”, consistente nel recupero, in grado di appello, per evidenti esigenze organizzative di concentrazione delle attività dell’Avvocatura dello Stato, della speciale competenza del foro erariale di cui al predetto R.D., art. 6.”. p. 2. Il Collegio preliminarmente da atto che parte ricorrente, come enuncia nella sua memoria, ha depositato gli avvisi di ricevimento relativi alle notificazioni agli intimati.

Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali nulla è necessario aggiungere. p. 3. E’, pertanto, dichiarata la competenza del Tribunale di Lecce, davanti al quale le parti vanno rimesse, con termine per la riassunzione di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente.

Il giudice di merito provvederà sulle spese dell’istanza di regolamento di competenza.

P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Lecce, davanti al quale rimette le parti, anche per le spese del giudizio di regolamento di competenza, con termine di sei mesi dalla comunicazione del deposito della presente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010


AGENZIA DELLE ENTRATE: Approvazione del nuovo modello di cartella di pagamento

E’ stato approvato, con disposizione dell’Agenzia delle Entrate del 20 marzo 2010, il modello di cartella di pagamento che sostituisce integralmente il modello approvato con decreto del Direttore Generale del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze del 28 giugno 1999 e successive modificazioni.

L’adozione del nuovo modello è obbligatoria per le cartelle di pagamento relative ai ruoli consegnati agli Agenti della Riscossione successivamente al 30 settembre 2010.

Leggi il testo integrale della circolare  Cartelle di Pagamento 2010 (Equitalia)