La Corte Costituzionale dice stop ai Funzionari della P.A. con incarichi dirigenziali

Corte Costituzionale che, con la Sentenza n. 37 depositata lo scorso 17 marzo 2015, ha messo la parola fine all’uso distorto nell’attribuzione di incarichi dirigenziali a Funzionari direttivi interni alle Pubbliche Amministrazioni. La questione, non nuova, è stata sollevata dal Consiglio di Stato trovatosi a valutare la legittimità del comportamento dell’Agenzia delle Entrate che da anni, in forza di reiterate proroghe, affida mansioni dirigenziali a propri Funzionari direttivi in attesa di coprire i posti dirigenziali con procedure concorsuali.

L’Agenzia delle Entrate, che più volte è stata sanzionata dalla giustizia amministrativa, era pure riuscita a trovare il conforto del legislatore attraverso una norma ad hoc che abilitasse la stessa a perseverare sia nell’attribuzione degli incarichi dirigenziali sia nel prorogarne gli effetti in attesa di espletare le procedure concorsuali. La controversia, dai risvolti originariamente solo amministrativi, si è quindi spostata sui binari della legittimità costituzionale attesa l’esigenza di valutare preventivamente la conformità ai principi costituzionali della sopravvenuta normativa statale. Il Giudice delle leggi, nell’annullare la citata disposizione di legge, ha sancito alcuni importanti principi, alcuni dei quali nuovi.

Il primo, che “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso”.

Il secondo, che “Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall’articolo 52 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, prevede l’affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (…). Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’articolo 20 del Decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto (…).

Il terzo, che “I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione”. La norma censurata si era infatti limitata “…a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati”.

Sentenza 37/2015

Giudizio

GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente CRISCUOLO – Redattore ZANON

Udienza Pubblica del 24/02/2015 Decisione del 25/02/2015

Deposito del 17/03/2015 Pubblicazione in G. U.

Norme impugnate:

Art. 8, c. 24, del decreto legge 02/03/2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, c. 1, della legge 26/04/2012, n. 44.

Atti decisi: ord. 9/2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, promosso dal Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, nei procedimenti riuniti vertenti tra l’Agenzia delle entrate e Dirpubblica − Federazione del Pubblico Impiego (già Dirpubblica − Federazione dei funzionari, delle elevate professionalità, dei professionisti e dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni e delle Agenzie) ed altri, con ordinanza del 26 novembre 2013, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione di Dirpubblica, nonché gli atti di intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi gli avvocati Gino Giuliano per il Codacons, Carmine Medici per Dirpubblica e l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza del 26 novembre 2013 (r.o. n. 9 del 2014), il Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.

La disposizione impugnata, fatti salvi i limiti previsti dalla legislazione vigente per le assunzioni nel pubblico impiego, autorizza l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio ad espletare procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all’art. 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), e all’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248. Tale autorizzazione è posta in relazione «all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione», disposte da altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito.

La disposizione prevede, inoltre, che «[n]elle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso». Dopo aver stabilito che gli incarichi in questione sono attribuiti «con apposita procedura selettiva applicando l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», e che «[a]i funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti», la norma precisa che «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». I periodi finali indicano le modalità attraverso le quali si provvede agli oneri finanziari derivanti dall’attuazione delle misure ricordate.

2.− La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un giudizio riunito avente ad oggetto tre ricorsi in appello, proposti dall’Agenzia delle entrate, per la riforma di altrettante sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Era stata tra l’altro affermata, mediante uno dei provvedimenti impugnati, l’illegittimità della delibera n. 55 del 22 dicembre 2009, assunta dal Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate, di proroga al 31 dicembre 2010 dei termini contenuti nell’art. 24 del regolamento di amministrazione della stessa Agenzia. Quest’ultima disposizione prevede, per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, ed entro un termine più volte prorogato, che le eventuali vacanze sopravvenute nelle posizioni dirigenziali possano essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l’urgenza, con contratti individuali di lavoro a termine stipulati con funzionari interni, ai quali va attribuito lo stesso trattamento economico dei dirigenti.

Il TAR del Lazio, in sintesi, aveva ritenuto che la norma regolamentare attuasse un conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, in palese violazione degli artt. 19 e 52, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Di qui l’annullamento della delibera impugnata.

Nelle more del procedimento d’appello, è entrato in vigore l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, cioè la norma censurata nel presente giudizio, che opera una sorta di trasposizione in legge di quanto previsto nel ricordato art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate.

Il Consiglio di Stato, respinte questioni pregiudiziali di diritto e preliminari di merito, con separata ordinanza del 26 novembre 2013, ha quindi rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del citato art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

3.− Il giudice rimettente, in punto di rilevanza, osserva che la disposizione censurata, ponendosi «quale factum principis sopravvenuto», determinerebbe la declaratoria di improcedibilità dei ricorsi in appello per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione. Consentendo che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, le Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, fatti salvi gli incarichi già affidati, possano attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari privi della corrispondente qualifica, con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso, essa determinerebbe infatti la “salvezza” del provvedimento impugnato nel giudizio a quo, cioè la delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate con la quale è stato modificato l’art. 24 del regolamento di amministrazione.

4.− Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente, in primo luogo, ritiene che la norma censurata contrasti con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso.

Si assume in sintesi, anche mediante richiami alla giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 205 del 2004), che nel concorso pubblico va riconosciuta «la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione». La forma concorsuale esige – secondo il rimettente – che non siano introdotte arbitrarie ed irragionevoli restrizioni nell’ambito dei soggetti legittimati alla partecipazione, ed in particolare che, pur non essendo preclusa la previsione per legge di condizioni di accesso intese a favorire il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate all’interno di un’amministrazione, non sia dato luogo, salvo circostanze eccezionali, a riserva integrale dei posti disponibili in favore del personale interno, né a scivolamenti automatici verso posizioni superiori, senza concorso o comunque senza adeguate verifiche attitudinali. Inoltre, il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporterebbe l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate e sarebbe esso stesso soggetto, pertanto, quale forma di reclutamento, alla regola del pubblico concorso (è citata la sentenza di questa Corte n. 194 del 2002).

A fronte di questi principi, la norma impugnata consentirebbe invece a funzionari privi della relativa qualifica, di essere destinatari, senza aver superato un pubblico concorso, di incarichi dirigenziali, quindi di accedere allo svolgimento di mansioni proprie di un’area e di una qualifica afferente ad un ruolo diverso nell’ambito dell’amministrazione.

In secondo luogo, il giudice rimettente assume che l’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe un vulnus al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, con conseguente lesione, sotto questo profilo, degli artt. 3 e 97 Cost.: infatti, rappresentando il concorso la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, esso costituisce un meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione e, dunque, attuativo del principio del buon andamento.

In terzo luogo, è prospettata una violazione degli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, la norma censurata consentirebbe la preposizione ad organi amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.

Infine, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost., in quanto consentirebbe l’accesso all’ufficio di dirigente in violazione delle condizioni di uguaglianza tra i cittadini che aspirano ad accedere ai pubblici uffici e in violazione dei requisiti stabiliti dalla legge per il conferimento degli incarichi dirigenziali, posto che l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevederebbe un ben diverso procedimento per il conferimento degli incarichi dirigenziali.

5.− Con atto depositato in data 4 marzo 2014 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Secondo l’Avvocatura generale, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, non legittima le censure prospettate dal rimettente, in quanto norma a carattere assolutamente temporaneo ed eccezionale, introdotta al solo fine di garantire, nelle more dell’espletamento del concorso, il buon andamento degli uffici dell’Agenzia delle entrate. In particolare, la disposizione non consentirebbe uno scivolamento automatico nella qualifica dirigenziale dei funzionari dell’Agenzia inquadrati nella terza area funzionale, ma si limiterebbe ad attribuire a costoro mansioni dirigenziali, per il solo tempo necessario allo svolgimento del concorso. Si ricorda dalla stessa Avvocatura generale come questa Corte, con la sentenza n. 212 del 2012, abbia dichiarato l’infondatezza di una questione di legittimità costituzionale relativa ad una disposizione di legge (regionale) di contenuto asseritamente analogo a quella ora impugnata.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’eccezionalità e la temporaneità della previsione contenuta nella disposizione censurata sarebbero dimostrate anche dal fatto che l’Agenzia delle entrate ha dato effettivamente avvio a procedure concorsuali per il reclutamento di personale dirigente, attualmente in corso.

Quanto alla dedotta diminuzione delle garanzie per i cittadini, in ragione della presunta elusione della regola del concorso, l’Avvocatura generale osserva che la disposizione censurata è semmai volta ad evitare conseguenze pregiudizievoli nei riguardi delle finanze pubbliche e della collettività, che si verificherebbero qualora gli uffici delle Agenzie rimanessero privi di un responsabile.

Infine si rileva come, nelle more del presente giudizio, l’art. 8, comma 24, primo periodo, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, sia stato modificato dall’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, che proroga al 31 dicembre 2014 il termine «per il completamento delle procedure concorsuali» e stabilisce che nelle more possono essere prorogati solo gli incarichi già attribuiti ai sensi del secondo periodo del medesimo comma 24 dell’art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito. Secondo l’Avvocatura generale, la disposizione da ultimo richiamata non farebbe altro che confermare la volontà di garantire, da un lato, l’efficiente organizzazione degli uffici dell’Agenzia, e, dall’altro, la copertura delle vacanze organiche nel rispetto del principio generale del pubblico concorso.

6.− Nel giudizio innanzi alla Corte, con atto depositato il 4 marzo 2014, si è costituita Dirpubblica − Federazione del Pubblico Impiego, parte nel procedimento a quo, chiedendo, in primo luogo, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost. A tal fine, richiamati adesivamente gli argomenti del rimettente, la parte ricorda come la giurisprudenza consideri illegittimo, distinguendolo dalla reggenza, lo svolgimento di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario, al fine di porre in evidenza che la norma censurata avrebbe fatto “salva”, perpetuandola, una prassi contra legem, impedendo la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti attraverso procedure concorsuali.

In secondo luogo, Dirpubblica chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, entrato in vigore nelle more del presente giudizio di costituzionalità, in relazione agli artt. 3, 51 e 97 Cost. Assume, in proposito, che tale disposizione incorrerebbe nelle medesime censure già evidenziate con riguardo all’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, in quanto proroga di un anno il termine per il completamento di procedure concorsuali – per altro, a far data dall’entrata in vigore del richiamato d.l. n. 150 del 2013, non ancora avviate – e, nel frattempo, consente di prorogare o modificare gli incarichi dirigenziali già attribuiti ai sensi dell’art. 8, comma 24, secondo periodo, del d.l. n. 16 del 2012.

In terzo luogo, eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, anche per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., nonché dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), ritenendo che la disposizione sarebbe stata adottata al fine di risolvere ex auctoritate legis una controversia pendente dinnanzi al giudice amministrativo, con ciò pregiudicando il principio di parità delle armi e il diritto di difesa e incidendo sull’esercizio della funzione giurisdizionale.

Infine, chiede che la Corte costituzionale sollevi di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale della legge n. 15 del 2014, nella parte in cui ha modificato l’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, in riferimento agli artt. 64, primo comma, e 81, terzo comma, Cost., allegando che nel procedimento di conversione sarebbero stati violati gli artt. 40, comma 2, e 102-bis, comma 1, del Regolamento del Senato della Repubblica.

7.− Con atto depositato in data 3 marzo 2014, è intervenuto in giudizio il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), chiedendo, in adesione alle argomentazioni del rimettente Consiglio di Stato, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

In ordine all’ammissibilità del proprio intervento, osserva che l’Associazione, per espressa previsione statutaria, «[t]utela il diritto alla trasparenza, alla corretta gestione e al buon andamento delle pubbliche amministrazioni». Rileva, inoltre, di aver spiegato intervento ad opponendum nel giudizio a quo, notificato in data 18 febbraio 2014 e depositato in data 20 febbraio 2014.

8.− Nell’imminenza dell’udienza pubblica, in data 3 febbraio 2015, ha depositato ulteriore memoria l’Avvocatura generale dello Stato. Oltre a ribadire le argomentazioni già illustrate, eccepisce l’inammissibilità delle censure sollevate da Dirpubblica sull’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, in relazione a tutti i parametri non evocati nell’ordinanza di rimessione.

9.− Dirpubblica, in data 3 febbraio 2015, ha depositato a sua volta una memoria in cui, dopo aver illustrato le vicende successive alla proposizione della questione di costituzionalità, ribadisce la richiesta di accoglimento della questione sollevata e di estensione della dichiarazione d’incostituzionalità, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), all’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, sia in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost., già evocati nella memoria depositata in data 4 marzo 2014, sia in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione alla norma interposta di cui all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU.

Chiede, inoltre, che la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale sia estesa, per gli stessi motivi, all’art. 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).

10.− In data 2 febbraio 2015, ha depositato memoria il Codacons, insistendo sia per la propria legittimazione ad intervenire in giudizio, sia per l’accoglimento della questione.

Considerato in diritto

1.− Il Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.

La disposizione censurata, in relazione alla «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità» delle strutture delle Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, e per «garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione» contenute in altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n.16 del 2012, come convertito, autorizza le Agenzie ricordate ad espletare procedure concorsuali, da completarsi entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, attraverso il richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), e nell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248.

In questo contesto, la disposizione censurata aggiunge una specifica previsione, che costituisce l’effettivo oggetto delle censure del giudice a quo, e che opera in due distinte direzioni: fa salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle Agenzie in parola a propri funzionari, e consente, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali prima richiamate, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Questi incarichi sono attribuiti, afferma la disposizione censurata, con «apposita procedura selettiva», applicandosi l’art. 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Dopo aver precisato che ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti, la disposizione in questione conclude che le Agenzie ricordate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali, secondo le modalità appena descritte e fatto salvo quanto previsto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, dal momento della «assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma».

1.1.− Il giudice a quo è investito, tra l’altro, dell’impugnazione di una sentenza di annullamento della delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate (n. 55 del 22 dicembre 2009), con la quale è stato modificato l’art. 24 del regolamento di amministrazione della stessa Agenzia. Tale ultima norma, regolando la «copertura provvisoria di posizioni dirigenziali», consente la stipulazione di contratti a termine con i funzionari interni, fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque non oltre una scadenza che – al momento dell’impugnativa – era fissata al 31 dicembre 2010. Il giudice rimettente pone in evidenza come la norma censurata – entrata in vigore nelle more del giudizio principale – operi una trasposizione in legge di quanto stabilito nella disposizione regolamentare cui si riferisce l’impugnativa, e condizioni dunque l’esito del giudizio a quo, ponendosi «quale factum principis sopravvenuto», che determinerebbe una declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

1.2.− Ad avviso del giudice a quo, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Viene, a tal proposito, richiamata la giurisprudenza costituzionale che riconosce nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, quale procedura strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione, ciò che, riguardo all’assegnazione di funzioni direttive, priverebbe di legittimazione arbitrarie preclusioni di accesso, riserve integrali di posti o forme di attribuzione automatica in favore del personale interno. La norma censurata, sempre secondo il giudice a quo, consentirebbe invece a funzionari, privi della relativa qualifica, di accedere, senza aver superato un pubblico concorso, ad un «ruolo» diverso nell’ambito della propria amministrazione.

L’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe anche un vulnus al principio del buon andamento, con conseguente ulteriore lesione, sotto questo diverso profilo, degli artt. 3 e 97 Cost. Ancora, la disposizione censurata violerebbe gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, consentirebbe la preposizione ad uffici amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.

Il rimettente prospetta, infine, una violazione degli artt. 3 e 51 Cost., poiché l’accesso a funzioni dirigenziali sarebbe consentito, in deroga al principio di uguaglianza, pur nell’assenza dei requisiti stabiliti dalla legge (e, in particolare, dall’art. 19 del citato d.lgs. n. 165 del 2011).

2.− In via preliminare, va ribadito quanto stabilito nell’ordinanza della quale è stata data lettura in udienza, allegata alla presente sentenza, in ordine all’inammissibilità dell’intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) nel presente giudizio di legittimità costituzionale.

3.− La questione va esaminata entro i limiti del thema decidendum individuato dall’ordinanza di rimessione, dato che non possono essere prese in considerazione le censure svolte dalla parte del giudizio principale, con riferimento a parametri costituzionali ed a profili non evocati dal giudice a quo (ex plurimis, sentenze n. 211 e n. 198 del 2014, n. 275 del 2013, n. 310, n. 227 e n. 50 del 2010).

4.− La questione è fondata.

4.1.− Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso» (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009).

In apparenza, la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto con tali principi. Essa non conferisce in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, bensì consente, in via asseritamente temporanea, l’assunzione di tali incarichi da parte di funzionari, in attesa del completamento delle procedure concorsuali.

Tuttavia, l’aggiramento della regola del concorso pubblico per l’accesso alle posizioni dirigenziali in parola si rivela, sia alla luce delle circostanze di fatto, precedenti e successive alla proposizione della questione di costituzionalità, nelle quali la disposizione impugnata si inserisce, sia all’esito di un più attento esame della fattispecie delineata dall’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012.

4.2.− Per colmare le carenze nell’organico dei propri dirigenti, l’Agenzia delle entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto dall’art. 24 del proprio regolamento di amministrazione. Tale disposizione consente, «[p]er inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia», la copertura provvisoria delle eventuali vacanze verificatesi nelle posizioni dirigenziali, previo interpello e previa specifica valutazione dell’idoneità degli aspiranti, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, «fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza» e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale è stato di volta in volta prorogato, a partire dal 2006, con apposite delibere del Comitato di gestione dell’Agenzia. Al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, esso risultava fissato al 31 dicembre 2010. Successivamente alla proposizione della questione, il termine è stato prorogato altre due volte, da ultimo (con delibera n. 51 del 29 dicembre 2011) «al 31 maggio 2012».

Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede l’affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (sentenza di questa Corte n. 17 del 2014; nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 12 aprile 2006, n. 8529, e 26 marzo 2010, n. 7342).

Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4063, 16 febbraio 2011, n. 3814, 14 maggio 2014, n. 10413). Ebbene, le reiterate proroghe del termine previsto dal regolamento di organizzazione dell’Agenzia delle entrate per l’espletamento del concorso per dirigenti e, conseguentemente, per l’attribuzione di funzioni dirigenziali mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, hanno indotto la giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Roma, seconda sezione, sentenze 30 settembre 2011, n. 7636, e 1° agosto 2011, n. 6884) a ritenere carenti, nella fattispecie prevista dall’art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, i due presupposti ricordati della straordinarietà e della temporaneità, a non configurarla come un’ipotesi di reggenza e quindi a considerarla in contrasto con la disciplina generale di cui agli artt. 19 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.

In questo quadro normativo e giurisprudenziale, e nella relativa vicenda processuale, interviene il legislatore, attraverso la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale.

La norma impugnata esordisce autorizzando le Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane ad espletare procedure concorsuali, da completarsi entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, attraverso il richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1, comma 530, della l. n. 296 del 2006 e nell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito. L’autorizzazione in parola è rafforzata attraverso un riferimento alla «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità» delle strutture delle Agenzie e alla necessità di garantire «una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione» contenute in altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito.

In realtà, del tutto indipendentemente dalla norma impugnata, l’indizione di concorsi per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti è resa possibile da norme già vigenti, che lo stesso art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, si limita a richiamare senza aggiungervi nulla (si veda l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito). Inoltre, considerando le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale − come affermato dalla giurisprudenza tributaria di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’ufficio e sulla sua idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione tributaria civile, sentenze 9 gennaio 2014, n. 220; 10 luglio 2013, n. 17044; 10 agosto 2010, n. 18515; sezione sesta civile − T, 11 ottobre 25012, n. 17400) – la funzionalità delle Agenzie non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata. Sicché l’obbiettivo reale della disposizione in esame è rivelato dal secondo periodo della norma in questione, ove, da un lato, si fanno salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari, dall’altro si consente ulteriormente che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso.

Dopo la proposizione della questione di legittimità costituzionale, il termine originariamente fissato per il «completamento» delle procedure concorsuali viene prorogato due volte. Dapprima, l’art. 1, comma 14, primo periodo, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, lo ha spostato al 31 dicembre 2014, purché le procedure fossero indette entro il 30 giugno 2014, con la precisazione che, nelle more, era possibile prorogare o modificare solo gli incarichi dirigenziali già attribuiti, non invece conferirne di nuovi. Successivamente, l’art. 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), lo ha ulteriormente prorogato al 30 giugno 2015.

Benché il legislatore abbia esplicitamente precisato, in questi interventi di proroga, che non è consentito conferire nuovi incarichi a funzionari interni, è indubbio che gli interventi descritti abbiano aggravato gli aspetti lesivi della disposizione impugnata. In tal modo, infatti, il legislatore apparentemente ha riaffermato, da un lato, la temporaneità della disciplina, fissando nuovi termini per il completamento delle procedure concorsuali, ma, dall’altro, allontanando sempre di nuovo nel tempo la scadenza di questi, ha operato in stridente contraddizione con l’affermata temporaneità.

4.3.− La norma impugnata ha cura di esibire, quale caratteristica essenziale, la propria temporaneità: il ricorso alla descritta modalità di copertura delle posizioni dirigenziali vacanti sarebbe provvisorio, strettamente collegato all’indizione di regolari procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza, da completarsi entro un termine ben identificato, che la disposizione impugnata, in origine, fissava al 31 dicembre 2013.

Tuttavia, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, inserisce in tale costruzione un elemento d’incertezza, nella parte in cui stabilisce che, fatto salvo quanto disposto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, le Agenzie interessate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma». Questo significa che al termine, certo nell’an e nel quando, del completamento delle procedure concorsuali – nelle cui more è possibile attribuire incarichi dirigenziali con le modalità descritte – si affianca un diverso termine, certo nella sola attribuzione del diritto all’assunzione, ma incerto nel quando, perché tra il completamento delle procedure concorsuali (coincidente con l’approvazione delle graduatorie) e l’assunzione dei vincitori, può trascorrere, per i più diversi motivi, anche un notevole lasso di tempo.

È quindi lo stesso tenore testuale della disposizione impugnata a non escludere che, pur essendo concluse le operazioni concorsuali, le Agenzie interessate possano prorogare, per periodi ulteriori, gli incarichi dirigenziali già conferiti a propri funzionari, in caso di ritardata assunzione di uno o più vincitori. In questo senso, in contraddizione con l’affermata temporaneità, il termine finale fissato dalla disposizione impugnata finisce per non essere «certo, preciso e sicuro» (sentenza n. 102 del 2013).

Per questo, non è conferente il richiamo, effettuato dall’Avvocatura generale dello Stato, alla fattispecie normativa scrutinata con la sentenza di questa Corte n. 212 del 2012. In tale sentenza, l’infondatezza della questione derivava dalla circostanza per cui la norma di legge (regionale) impugnata consentiva, in assenza di personale con qualifica dirigenziale, che talune delle suddette funzioni potessero essere attribuite a funzionari della categoria più elevata non dirigenziale, fino all’espletamento dei relativi concorsi e, comunque, per non più di due anni. Come si vede, in quel caso il termine finale della copertura delle vacanze attraverso il conferimento d’incarichi non era ancorato ad un evento incerto nel quando come l’assunzione dei vincitori, ma era fissato perentoriamente.

Anche considerando il tenore letterale della norma impugnata, quindi, il carattere di temporaneità della soluzione da essa prevista, sul quale insiste l’Avvocatura generale dello Stato, tende a scolorire fin quasi ad annullarsi.

4.4.− Si aggiunga, per quanto necessario, che la regola del concorso non è certo soddisfatta dal rinvio che la stessa norma impugnata opera all’art. 19, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui stabilisce che gli incarichi dirigenziali ai funzionari «sono attribuiti con apposita procedura selettiva». In realtà, la norma di rinvio si limita a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati. I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97 Cost. (sentenze n. 217 del 2012, n. 150 e n. 149 del 2010, n. 293 del 2009, n. 453 del 1990).

4.5.− In definitiva, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo, ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Posto che le ricordate proroghe di termini fanno corpo con la norma impugnata, producendo unitamente ad essa effetti lesivi, ed anzi aggravandoli, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa all’art. 1, comma 14, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, come convertito, e all’art. 1, comma 8, del d.l. 31 dicembre 2014, n. 192. E proprio perché tali disposizioni hanno carattere consequenziale e concorrono a integrare la disciplina impugnata, non vi sono ostacoli ad estendere ad esse la dichiarazione d’illegittimità costituzionale, pur trattandosi di disposizioni normative sopravvenute al giudizio a quo. Infatti, «l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali» (sentenza n. 214 del 2010).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;

2) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;

3) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2015.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella Paola MELATTI

Allegato:

Ordinanza letta all’udienza del 24 febbraio 2015

ORDINANZA

Rilevato che nel giudizio promosso dal Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, con ordinanza 26 novembre 2013 (reg. ord. n. 9 del 2014), è intervenuto, con atto depositato il 3 marzo 2014, il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori);

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, possono partecipare al giudizio in via incidentale di legittimità costituzionale le sole parti del giudizio principale e i terzi portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (tra le tante, ordinanza n. 240 del 2014, sentenza n. 162 del 2014 e relativa ordinanza letta all’udienza dell’8 aprile 2014, ordinanza n. 156 del 2013, ordinanza n. 150 del 2012 e relativa ordinanza letta all’udienza del 22 maggio 2012, sentenza n. 293 del 2011, sentenza n. 118 del 2011, sentenza n. 138 del 2010 e relativa ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010);

che, in questo caso, i rapporti sostanziali dedotti in causa concernono profili attinenti alla posizione dei funzionari e dei dirigenti pubblici, i quali non hanno alcuna incidenza diretta sulla posizione giuridica del Codacons;

che, inoltre, i rapporti sostanziali dedotti in causa solo in via indiretta ed eventuale possono riguardare gli interessi della collettività indistinta dei consumatori, che il Codacons si propone di rappresentare (v. sentenza n. 420 del 1994 e relativa ordinanza letta all’udienza dell’8 novembre 1994);

che, infine, pur avendo il Codacons presentato, in data 20 febbraio 2014, richiesta di intervento nel giudizio principale, è inammissibile, nel giudizio costituzionale in via incidentale, l’intervento del soggetto che, nel giudizio a quo, si sia costituito soltanto dopo la sollevazione della questione di legittimità costituzionale (sentenza n. 223 del 2012, ordinanza n. 295 del 2008, sentenza n. 315 del 1992).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile, nel presente giudizio di costituzionalità, l’intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori).

F.to: Alessandro Criscuolo, Presidente


Modulo per richiesta rimborso spese – anno 2015

Nel rimborso delle spese ricadono i costi degli spostamenti, e quindi di treni, automobili ed aerei, nonché dei mezzi pubblici. Vi sono inoltre i costi di vitto e alloggio, effettuati in strutture di ristorazione ed alberghiere.

E’ importante, al fine di ottenere il dovuto rimborso delle spese di viaggio, di tenere nota accurata di ogni spesa, redigendone una opportuna nota spese, con i seguenti dati:

  • data in cui la spesa è effettuata
  • luogo in cui la spesa è effettuata
  • importo della spesa effettuata
  • documentazione allegata comprovante l’importo (fattura o ricevuta)

Tale nota spese sarà poi consegnata/inviata all’Unità Operativa Vicolo Quasimodo 34 – 35020 Albignasego PD.

I costi chilometrici per utilizzo di mezzi di trasporto di proprietà

Tariffe ACI e trasferte nel comune

Nella realtà è frequente rilevare l’erogazione e la contabilizzazione di rimborsi chilometrici per l’utilizzo da parte di dipendenti e parasubordinati di mezzi di trasporto propri per conto e nell’interesse delle imprese in cui operano.

Il relativo costo viene determinato in base alle percorrenze e prendendo come riferimento le tariffe ACI che sono determinate in base ai seguenti parametri:

• categoria del veicolo utilizzato (autovettura, motociclo, ciclomotore, fuoristrada, autofurgone);

• elenco delle marche automobilistiche;

• tipo di alimentazione (es. benzina, gasolio, ecc.);

• periodo di utilizzo del veicolo.

In linea generale l’utilizzo da parte di dipendenti e parasubordinati di veicoli propri genera in loro favore il diritto al riconoscimento di un’indennità chilometrica a titolo di rimborso spese.

La stessa viene calcolata in base ai seguenti due elementi:

percorrenza effettuata per conto dell’impresa, determinata in chilometri;

costo chilometrico oggettivamente attribuibile al tipo di mezzo utilizzato.

Va preliminarmente precisato che se viene riconosciuto un costo superiore rispetto a quello effettivo per l’impiego di autoveicoli personali del dipendente o parasubordinato, il maggiore importo rispetto alla tariffa ACI genera un fringe benefit che deve venire computato fra gli emolumenti imponibili delle retribuzioni o dei corrispettivi, sia ai fini fiscali che previdenziali. È parimenti considerato fringe benefit il corrispettivo erogato che non risulti analiticamente giustificato in base alla percorrenza effettiva del mezzo per finalità aziendali.

L’utilizzo dell’auto del dipendente o parasubordinato può riguardare trasferte:

• poste in essere nel territorio del comune sede di lavoro;

• relative a tragitti fatti al di fuori del comune sede di lavoro.

Trasferte nel comune

In linea generale l’indennità chilometrica corrisposta per trasferte nel comune sede di lavoro costituisce sempre un emolumento imponibile ai fini IRPEF e per il calcolo dei contributi previdenziali.

Invece l’indennità chilometrica corrisposta per trasferte fatte con utilizzo di autovetture del dipendente e parasubordinato è considerata un rimborso spese e non va assoggettata a ritenute previdenziali e fiscali quando il relativo ammontare non supera il limite determinato dalla Tariffa ACI con riferimento al veicolo usato.

In ogni caso l’indennità in esame deve risultare esposta nel Libro Unico del lavoro, e deve venire documentata con un prospetto analitico predisposto e sottoscritto dal soggetto utilizzatore.

Scarica il modulo: Prospetto rimborso spese 2015


Incontro con l’On. Coppola Paolo

L’incontro svoltosi a Udine il 23 marzo 2015 con l’On. Coppola è stato improntato sulla problematica relativa al procedimento notificatorio che fa seguito al nostro impegno per la definizione normativa del “Testo Unico delle Notifiche”.

All’incontro erano presenti il Presidente Nazionale Pietro Tacchini e il membro della Giunta Esecutiva A.N.N.A. Sig. Durì Francesco.

Si sono analizzati vari problemi che affliggono i Messi Comunali in particolare ribadendo la necessità di una normativa più chiara e un diverso inquadramento del Messo Comunale, oggi l’unico che se sbaglia la redazione di una notifica ne risponde patrimonialmente.

All’On. Coppola è stato dato un promemoria con alcune proposte a cui seguirà una relazione più ampia della semplificazione delle norme che regolano attualmente il procedimento notificatorio.

Promemoria:

Proposta del 23 03 2015

Lettera del 08 04 2015

Proposta del 16 05 2015


È trattamento illecito di dati personali pubblicare on line informazioni non previste dagli obblighi di trasparenza

TAR1Interessante sentenza quella depositata dalla Terza Sezione del TAR Lombardia che ha rigettato per difetto di giurisdizione il ricorso proposto contro la deliberazione del Consiglio di Amministrazione di un Ente Ospedaliero di approvazione dell’aggiornamento annuale 2014 del Programma Triennale per la Trasparenza e L’integrità 2013-2015, nella parte in cui prevede la pubblicazione dei dati relativi ai compensi percepiti per l’attività libero professionale intramuraria, chiedendo la disapplicazione della delibera n. 50 del 2013 della Civit, rubricata “linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016”.

Oggetto di contestazione è la deliberazione dell’ente ospedaliero che attua gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni previsti dal D. Lgs. 14 marzo 2013, n. 33.

In attuazione di tale legge e di quelle precedenti la Delibera n. 50/2013 dell’ANAC, detta le “Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016”, contenenti le principali indicazioni per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e per il suo coordinamento con il Piano di prevenzione della corruzione previsto dalla legge n. 190/2012, per il controllo e il monitoraggio sull’elaborazione e sull’attuazione del Programma.

La legge e le linee guida prevedono, nella parte che ci interessa, la pubblicazione di una serie di dati personali relativi ai lavoratori del settore pubblico, che altrimenti sarebbero sottratti alla conoscenza pubblica.

Tali obblighi di trasparenza svolgono una funzione fondamentale nella prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione e comportano il trattamento dei dati personali dei cittadini.

Ai sensi dell’art. 1 del Dlgs. 196/2003 chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano, chiarendo quindi che il corretto trattamento dei dati personali costituisce oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo.

Sulla base di tali premesse il giudice amministrativo ha ritenuto che la denunciata previsione di pubblicazione di dati personali, nel caso in questione a contenuto economico, al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge, lede un diritto soggettivo in quanto costituisce un illecito trattamento dei dati personali.

Ne consegue, ad avviso del TAR, che nei confronti degli atti impugnati sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.

Infatti la giurisprudenza ha affermato (Cassazione SS. UU., n. 1139 del 19 gennaio 2007) che: “la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione.”


Percorso formativo di base – Comune di Cento (FE) – 25-26 marzo 2015

Locandina Cento 2015PERCORSO FORMATIVO DI BASE

Mercoledì 25 marzo 2015

Giovedì 26 marzo 2015

Comune di Cento

Sede Municipale

 Via Provenzali 15

Orario:  9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

9:00 – 13:00

Percorso formativo di base in house richiesto dal Comune di Cento (FE)

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Asirelli Corrado 4Asirelli Corrado

  • Resp. Messi Comunali del Comune di Cesena (FC)
  • Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy
  • · Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Vedi: Attività di formazione anno 2015


Comunicazioni a mezzo PEC – TAR Toscana – legittimità utilizzo della PEC

Il Tribunale amministrativo della Toscana ha recentemente ribadito la legittimità dell’esclusivo utilizzo della Pec nelle comunicazioni ufficiali da parte degli enti pubblici. È questo quanto affermato dai giudici amministrativi con la sentenza n. 272 del 16 febbraio 2015.

I fatti

Nel caso specifico, a essere coinvolto era il Comune di Firenze che aveva comunicato al ricorrente – esclusivamente tramite posta elettronica certificata, e non anche per posta o consegna a mano – l’avvio del procedimento riguardante la decadenza di alcune concessioni di cui quest’ultimo era titolare.

L’imprenditore ricorrente, il quale ammetteva di avere una scarsa dimestichezza con lo strumento della Pec (circostanza che avrebbe cagionato il ritardo nell’apprendere la notizia comunicata dal Comune), sosteneva che agendo in questo modo l’amministrazione non avrebbe ottemperato ai principi di buon andamento, trasparenza e leale collaborazione, perpetrando inoltre una disparità di trattamento rispetto ad altri casi nei quali l’avvio del procedimento era stato comunicato nelle forme “tradizionali”. Secondo il tribunale toscano, invece, la comunicazione via Pec effettuata dal Comune di Firenze è perfettamente in linea con quanto disposto dagli articoli 5-bis e 48 del Codice dell’amministrazione digitale, dal Dpcm 22 luglio 2011 nonché dall’articolo 5 del decreto legge n. 179 del 2012.

Le osservazioni del giudice amministrativo

In particolare, in base all’articolo 5-bis la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, lo scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici tra imprese e pubbliche amministrazioni, nonché l’adozione e la comunicazione di atti e provvedimenti amministrativi da parte delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese devono seguire esclusivamente le modalità offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Secondo quanto disposto dall’articolo 48 del Codice dell’amministrazione digitale, invece, le comunicazioni per le quali è necessaria una ricevuta d’invio e una di consegna vengono trasmesse tramite posta elettronica certificata e tale trasmissione equivale alla notificazione per mezzo posta, salvo diverse disposizioni di legge.

L’amministrazione, quindi, può, ma non ha il dovere di inviare le comunicazioni anche per le vie tradizionali, a maggior ragione nel caso in cui gli imprenditori abbiano comunicato ufficialmente il loro indirizzo Pec, e quindi il vizio di disparità di trattamento ravvisato dal ricorrente secondo il Tar non sussiste.

Il tribunale amministrativo regionale, inoltre, ha fatto riferimento anche all’articolo 6, comma 3, del Dpr 11 febbraio 2005, n. 68, secondo il quale il mittente della Pec riceve prova del recepimento del messaggio di posta elettronica certificata inviato mediante la ricevuta di avvenuta consegna, e non è quindi tenuto a preoccuparsi di diffondere diversamente la comunicazione, ma è al contrario dovere del titolare di una casella Pec verificare con solerzia la posta ricevuta.


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 27/01/2015) 11/03/2015, n. 4862

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4884/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 30/2009 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI, depositata il 27/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/01/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Alla signora C.C. veniva notificata dall’Ufficio di Aversa dell’Agenzia delle Entrate una cartella di pagamento, con la quale l’Ufficio recuperava a tassazione, per l’anno 2003, la maggiore l’IVA dovuta a seguito del controllo automatizzato della relativa dichiarazione, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54 bis.

2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Caserta, che accoglieva il ricorso.

3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva disatteso dalla CTR della Campania con sentenza n. 30/15/2009, depositata il 27.1.2009, con la quale il giudice di seconde cure riteneva improponibile l’appello dell’Ufficio, per non essere stato il medesimo parte del giudizio di prime cure.

4. Per la cassazione della sentenza n. 30/15/2009 ha proposto, quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato ad un solo motivo.

l’intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, e art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si duole l’Amministrazione ricorrente del fatto cha la CTR abbia dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Ufficio, per non essere stato il medesimo parte nel processo di prime cure, non essendosi costituito dinanzi alla Commissione Tributaria di prima istanza.

1.2. Il motivo è fondato.

1.2.1. Ed invero, il fatto che la sentenza di primo grado sia stata resa nei confronti dell’Ufficio di Caserta dell’Agenzia delle Entrate e che l’appello sia stato proposto dall’Ufficio di Aversa, non comporta l’inammissibilità dell’appello. E ciò, sia per il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia per la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte all’organo (e non alle singole articolazioni organizzative) che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato (Cass. 29465/2008;

15718/2009; 3727/2010).

1.2.2. Nè può dubitarsi del fatto che la parte contumace nel processo tributario di primo grado possa legittimamente proporre appello, come si evince dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, e art. 327 c.p.c. (Cass. 11991/2006).

1.3. Il mezzo va, di conseguenza, accolto.

2. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Campania, che dovrà procedere all’esame del merito della controversia, attenendosi ai seguenti principi di diritto: “l’appello proposto da un Ufficio dell’Agenzia delle Entrate diverso da quello nei cui confronti è stata emessa la sentenza di primo grado è ammissibile, sia per il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale che impone di ridurre ai massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia per la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte all’organo (e non alle singole articolazioni organizzative) che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato “; “la parte contumace nel processo tributano di primo grado può legittimamente proporre appello, come si evince dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, e art. 327 c.p.c.”.

3. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 27 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2015


Cass. civ. Sez. VI – 2, Sent., (ud. 10-07-2014) 03-03-2015, n. 4270

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24180/2013 proposto da:

C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato PELLICANO’ Antonino, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto nel procedimento R.G. 1098/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO del 14.12.2012, depositato il 02/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito per la ricorrente l’Avvocato Antonino Pellicano che si riporta agli atti.

Svolgimento del processo
1. – C.C., con ricorso depositato l’11 luglio 2012, chiese alla Corte d’appello di Catanzaro l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in relazione alla eccessiva durata della procedura esecutiva promossa nel 2003 nei confronti dell’INPS, per ottenere il pagamento di un credito di Euro 7.004,48 dovuto in forza di una sentenza del Tribunale del lavoro di Reggio Calabria, giudizio definito in primo grado con sentenza del 27 maggio 2005, in appello con sentenza depositata il 13 ottobre 2011, con istanza di assegnazione somme del 25 maggio 2012.

2. – L’adita Corte di merito, con decreto depositato il 2 aprile 2013, ritenuto che il periodo di durata del processo presupposto eccedente quello ragionevole fosse pari a circa tre anni, ha liquidato, a titolo di indennizzo, l’importo di 750,00 Euro per ogni anno di ritardo, condannando il Ministero della Giustizia al pagamento di Euro 2250,00 in favore della ricorrente, compensando per la metà le spese del giudizio, in considerazione della mancata opposizione dell’Avvocatura dello Stato, e condannando il Ministero della Giustizia alla rifusione del residuo cinquanta per cento.

3. – Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo la C., che ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione
1. – Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione in forma semplificata.

2. – Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nonchè vizio di motivazione. La Corte di merito – si osserva nel ricorso – ha disposto la compensazione per metà delle spese del giudizio in considerazione della mancata opposizione del Ministero della Giustizia. Secondo la ricorrente, la mancata costituzione del resistente non può determinare automaticamente la compensazione parziale delle spese del giudizio, poichè è da una colpa organizzativa dell’Amministrazione della giustizia che dipende la necessità per il privato di ricorrere al giudice.

3. – La censura è fondata.

Non si può ritenere che il comportamento processuale del Ministero convenuto, che non si opponga alla liquidazione del danno da irragionevole durata del processo, integri le “gravi ed eccezionali ragioni” che possono giustificare la decisione di compensare parzialmente o integralmente le spese di lite, a fronte di soccombenza totale di una parte, poichè comunque l’istante è stato costretto ad adire il giudice per ottenere il riconoscimento del diritto (v., ex multis, Cass., sent. n. 23632 del 2013).

4. – Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto. Il decreto impugnato deve essere cassato limitatamente alla statuizione sulla compensazione parziale delle spese del giudizio, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, elidendo dal predetto decreto, fermo nel resto, la statuizione relativa alla compensazione per metà tra le parti delle spese del giudizio e condannando il Ministero della Giustizia alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di merito, da distrarre in favore dell’avv. Antonino Pellicanò, dichiaratosi antistatario. In applicazione del principio della soccombenza, il Ministero deve altresì essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, da distrarre parimenti in favore dell’avv. Prellicanò, antistatario.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato limitatamente alla statuizione sulla compensazione parziale delle spese, fermo nel resto, e, decidendo nel merito, elide dal decreto detta statuizione, ponendo interamente a carico del Ministero della Giustizia le spese del giudizio di merito, da distrarre in favore dell’avv. Antonino Pellicanò, dichiaratosi antistatario. Condanna altresì il predetto Ministero al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 500,00 per compensi ed Euro 100,00 per esborsi, da distrarsi in favore dell’avv. Antonino Pellicano, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 10 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2015


Cass. civ., Sez. VI – 5, Sent., (data ud. 21/01/2015) 02/03/2015, n. 4222

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23329-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

FIERA DI FORLI’ SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA DUSE 35, presso lo studio dell’avvocato GOMMELUNI ALBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO TARGHINI giusta procura alle liti in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 55/16/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA dell’11/06/2012, depositata il 12/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI;

udito l’Avvocato Bacosi Giulio (Avvocatura) difensore della ricorrente che si riporta agli scritti ed eccepisce al tardività del controricorso;

udito l’Avvocato Gommellini Alberto difensore della controricorrente che si riporta agli scritti.

Svolgimento del processo
Il giudizio nasce da una variazione di categoria operata dall’Agenzia del Territorio di Forlì con passaggio dalla Cat. E/9 alla Cat D/8 relativamente al complesso immobiliare destinato a padiglione fieristico di proprietà della società Fiera di Forlì spa.

Il riclassamento, secondo l’Agenzia, trovava giustificazione in base alla legislazione vigente, D.L. n. 262 del 2006, art. 2 comma 40 conv. nella L. n. 286 del 2006 e della circolare dell’Agenzia del Territorio n. 4/2007, non avendo efficacia le nuove categorie catastali previste dal D.P.R. n. 138 del 1998.

Il giudice di primo grado al quale si è rivolta la società Fiera di Forlì SPA ha annullato l’avviso di accertamento.

La CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza n. 55/16/12, depositata il 12.7.2012, ha respinto l’appello dell’Agenzia.

Il giudice di appello, a prescindere dal rilievo che il D.P.R. n. 138 del 1998, anche se non attuato in alcune sue disposizioni, ha forza di legge e che nello stesso è prevista l’inclusione delle unità immobiliari stabili destinate alle fiere nell’ambito del gruppo catastale comprendente immobili speciali per funzioni pubbliche o di interesse collettivo, riteneva decisiva la disposizione normativa di cui al ricordato D.L. n. 286 del 2006, art. 2, comma 40. Nel caso di specie l’Ufficio aveva considerato l’intero compendio immobiliare “a destinazione commerciale”, ignorando la destinazione effettiva dei vari locali ad esclusivo uso fieristico.

Peraltro, nei locali della Fiera non veniva svolta, al di fuori dei giorni di svolgimento delle manifestazioni fieristiche, alcuna stabile attività ad eccezione che per alcuni locali ad uso ufficio.

Aggiungeva che a sostegno dell’assunto della società alcune pronunce di merito avevano rigettato gli accatastamenti in categoria D/8, ritenendo che gli immobili erano destinati all’assolvimento di esigenze di pubblico interesse e come tali dovevano essere collocati nella Cat. E. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale ha resistito la società contribuente con controricorso eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, in quanto notificato oltre il termine di 60 giorni-dalla notifica della sentenza. La causa veniva posta in decisione all’udienza del 21 gennaio 2015.

Motivi della decisione
La preliminare eccezione di tardività del ricorso per cassazione è fondata. Nel caso di specie la parte controricorrente ha documentato di avere proceduto alla notifica mediante consegna diretta della sentenza della CTR qui impugnata all’Agenzia delle entrate in data 17 settembre 2012 – v. nota allegata al fascicolo recante la ricezione con Prot.7101 del 18.9.2012 – in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2 come modificato dal D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 1 conv. nella L. n. 73 del 2010. Ed è la stessa parte ricorrente ad indicare in ricorso (pag.l)che la sentenza impugnata era stata notificata alla stessa. Orbene, giova rammentare che la disposizione testè indicata ha previsto che “al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 2, le parole: “a norma degli artt. 137 e segg. c.p.c.” sono sostituite dalle seguenti: “a norma dell’articolo 16” e, dopo le parole: “dell’originale notificato”, sono inserite le seguenti: “ovvero copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata mezzo del servizio postale unitamente all’avviso di ricevimento”. La modifica normativa appena ricordata ha consentito alle parti private di procedere alla notificazione della sentenza con consegna diretta ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16 “…Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tributaria consegnato alle parti, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’avviso.” Ora, pare evidente la tardività del ricorso per cassazione spedito per la notifica alla parte contribuente il – e consegnato in data 14 ottobre 2013, quando era ampiamente scaduto il termine breve ex art. 325 c.p.c. per l’impugnazione della sentenza di appello, consegnata all’Agenzia in data 17 settembre 2012 a mani proprie.

A nulla poi rileva, quanto meno per quel che riguarda gli effetti correlati al decorso del termine breve di impugnazione, il mancato deposito della ricevuta di consegna diretta all’Agenzia pure previsto dal ricordato art. 38, comma 2 cit., non risultando dalla lettera della legge alcuna sanzione correlata all’inadempimento di siffatto onere – per come evidenziato dalla dottrina unanime – nè potendo l’omesso deposito produrre effetti ai fini della conoscenza della sentenza una volta che la notifica a mani proprie della stessa è stata, come detto, ritualmente eseguita.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da dispositivo in favore della parte controricorrente.

P.Q.M.
LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della controricorrente in Euro 2000,00 per compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori come per legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 21 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2015


Riunione Giunta Esecutiva del 28.03.2015

Oggetto: Convocazione Giunta Esecutiva
Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 28 marzo 2015 alle ore 7:00 presso il Comune di Ancona – Via Frediani 5, in prima convocazione, e alle ore 9:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1. Proposte di modifica allo Statuto;
2. Varie ed eventuali.


Riunione Consiglio Generale del 28.03.2015

Oggetto: Convocazione Consiglio Generale
ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione del Consiglio Generale che si svolgerà sabato 28 marzo 2015 alle ore 7:00 presso il Comune di Ancona – Via Frediani 5, in prima convocazione, e alle ore 9:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2014;
2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2015;
3. Approvazione Bilancio Consuntivo 2014;
4. Approvazione Bilancio Preventivo 2015;
5. Proposte di modifica allo Statuto;
6. Varie ed eventuali.


Assemblea Generale Straordinaria – 28.03.2015

Oggetto: Assemblea Generale Straordinaria

Con la presente si comunica che ai sensi dell’art. 13 dello Statuto viene convocata la riunione dell’Assemblea Generale Straordinaria sabato 28 marzo 2015 alle ore 8:00 in prima convocazione ed alle ore 10:00 in seconda convocazione, presso la Sala Comunale del Comune di Ancona – Via Frediani 5
Ordine del Giorno:
1. Modifiche allo Statuto dell’Associazione
2. Varie ed eventuali.

Leggi: AGS 28 03 2015 Verbale


Assemblea Generale Ordinaria – 28.03.2015

OGGETTO: ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA

Con la presente si comunica che ai sensi dell’art. 13 dello Statuto viene convocata la riunione dell’Assemblea Generale Ordinaria sabato 28 marzo 2015 alle ore 07:30 in prima convocazione ed alle ore 9:30 in seconda convocazione, presso la Sala Comunale del Comune di Ancona – Via Frediani 5.
Ordine del Giorno:
1. Revoca Delega al Consiglio Generale per l’approvazione del bilancio consuntivo anno 2014 come da attribuzione delega A.G. del 11.05.2013;
2. Approvazione del bilancio consuntivo anno 2014;
3. Approvazione del bilancio preventivo anno 2015
4. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;
5. Delega al Consiglio Generale per l’approvazione dei bilanci preventivi anni 2016, 2017, e consuntivo anno 2015, 2016 ai sensi dell’art. 16 dello Statuto;
6. Attività associative;
7. Iniziative proselitismo Associazione;
8. Varie ed eventuali.

Leggi: AGO 28 03 2015 Verbale


T.A.R. Toscana sentenza n. 272 del 16 febbraio 2015

TAR-Toscana-sentenza n. 272 del 16 febbraio 2015


Sostituzione dei dispositivi di firma digitale remota

Differito il termine che consente di utilizzare la firma digitale remota su dispositivi non certificati.

Con DPCM a firma dei Ministri Madia, Guidi e Padoan, è stato differito al 1 settembre 2015 il termine che consente di utilizzare la firma digitale remota su dispositivi non certificati, inizialmente previsto fino al 9 febbraio 2015.

Il differimento – si legge sul sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale – consentirà di ultimare la sostituzione dei dispositivi di firma senza provocare disservizi agli utenti. Copia integrale del decreto sarà resa disponibile a breve.

Fonte: AGID