Notifiche: comunicazione preventiva iscrizione fermo amministrativo

Sull’argomento è possibile reperire diversi pareri anche di segno diametralmente opposto, non ultimo recentissimo articolo apparso sul Sole 24 ore, che intendono dimostrare che il Messo Comunale è competente alla notifica degli atti di preavviso di fermo amministrativo, pareri più strumentali all’attività delle società di riscossione che espressione di rigorosi orientamenti giurisprudenziali. Sull’argomento è possibile trovare tra le circolari di A.N.N.A. uno schema di lettera redatto allo scopo di rispondere ad un ente che inviava ai comuni richiesta di notifica a mezzo dei Messo Comunale comunali avvallando la stessa con la precisazione che tali atti non sarebbero atti propri della esecuzione forzata. Nel testo della lettera è possibile reperire le valutazioni predisposte da A.N.N.A. volte a chiarire perché il Messo Comunale non può notificare questi atti e si invita a leggere e che si può trovare anche al seguente link: https://www.annamessi.it/wordpress/?p=24878

Come ulteriore valutazione a quanto scritto nella lettera citata, si precisa che il procedimento di notifica ha lo scopo di rendere noto l’atto notificato attraverso il rispetto scrupoloso della procedura prevista dal legislatore, così che l’effetto legale della conoscenza dello stesso si ottiene con l’adozione di tali procedure. Quindi, il formalismo del procedimento determina l’effetto legale della conoscenza, indipendentemente dalla effettiva conoscenza che il destinatario possa aver avuto dell’atto. Diversamente, per giustificare il ricorso al Messo Comunale, si ragiona sulla comparazione di atti aventi medesima natura, per i quali però il legislatore ha previsto procedimenti di notifica diversi, pretendendo di coinvolgere il Messo Comunale in ossequio all’art. 10 della legge 265/1999 ma giustificando il suo intervento in base all’art. 26 del DPR 602/1973, nonostante le norme citate dispongano modalità di coinvolgimento del Messo Comunale che si escludono a vicenda. Quindi fino a ulteriori interventi legislativi e giurisprudenziali è bene privilegiare un orientamento più restrittivo, tra l’altro più garantista degli interessi dell’ente che adotta tali atti pur nella consapevolezza che sarebbe condivisibile e auspicabile l’attribuzione al Messo Comunale di una competenza estesa anche agli atti afferenti alle procedure esecutive di cui al RD 639/1910 ivi compresi anche i preavvisi di fermo amministrativo.

Sicuramente da tenere in considerazione, ma si osserva che il professore aggregato mentre da un lato ha assoluta certezza che i Messi Comunali sbagliano a rifiutarsi di notificare i provvedimenti, guarda caso e per inciso un articolo del genere ha ragione di essere esclusivamente pro domo l’interesse dei concessionari, per altro verso banalizza in modo sconcertante i disposti normativi. Insomma se così è, vuol dire che come Messi Comunali siamo non legittimati ma anche tenuti a notificare le cartelle esattoriali, a prescindere da qualsivoglia convenzione. In quanto al richiamo alla sentenza Ss.uu., sentenza 19667/14 secondo cui non può essere definito «un atto dell’esecuzione», bensì «un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria» bisogna ricordare all’esimio professore di citare bene e per intero il contenuto delle sentenze, ad esempio quella citata, così continua:

9.3. Ed è proprio la rilevata alternativa dell’iscrizione ipotecaria rispetto all’espropriazione, la ragione che ne giustifica, come accade per il fermo amministrativo, l’attribuzione alla giurisdizione del giudice tributario senza che sussista alcuna violazione del precetto costituzionale che vieta l’istituzione di giudici speciali (v. Corte cost. n. 37 del 2010, con riferimento all’istituto dei fermo amministrativo di beni mobili registrati).

  1. Se l’iscrizione ipotecaria Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, ex articolo 77 deve essere esclusa, come effettivamente deve esserlo per le ragioni già esposte, dall’ambito specifico dell’espropriazione, non può ritenersi applicabile alla fattispecie la regola prescritta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 50, comma 2. Non lo consente la lettera della espressione normativa la quale chiaramente stabilisce che se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni. Non lo consente nemmeno la lettera della norma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 77 la quale, al comma 2, prevede che, prima di procedere all’esecuzione, il concessionario deve iscrivere ipoteca, e, al comma 1, richiama esclusivamente il primo e non anche l’articolo 50, comma 2 del medesimo decreto (in questo senso v. anche Cass. ord. n. 10234 del 2012)”

Quindi assoluta certezza della competenza del Messo Comunale che, con fastidio del professore, rifiutano di procedere appellandosi all’incompetenza per materia mentre (e si cita), “in fondo, la questione è legata alla retribuzione per tale attività che, se ulteriore, rispetto ad altri compiti di ufficio, andrebbe opportunamente disciplinata”. Quindi basta pagare, ma chi il singolo Messo Comunale?, magari passandogli una “mazzetta in nero”? e la legge si può leggere anche al rovescio, purché questo rovesciamento sia a favore degli interessi dei concessionari.

Vabbè a questo punto facciamo una citazione: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! – Dante Alighieri”


Assemblea Generale Ordinaria – 06.10.2018

Si comunica che ai sensi dell’art. 13 dello Statuto viene convocata la riunione dell’Assemblea Generale Ordinaria sabato 6 ottobre 2018 alle ore 07:30 in prima convocazione ed alle ore 9:30 in seconda convocazione, presso la Sala del Consiglio Comunale del Comune di Cesena (FC) – Piazza del Popolo 10.

Ordine del Giorno:

  1. Approvazione del bilancio consuntivo anno 2017;
  2. Approvazione del bilancio preventivo anno 2018
  3. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;
  4. Elezione dei Componenti il Consiglio Generale;
  5. Attività associative;
  6. Iniziative proselitismo Associazione;
  7. Nuovo sito web annamessi.it
  8. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale Assemblea Generale Ordinaria 2018

Leggi: documentazione inserita nella cartellina dei partecipanti


Circolare del 27/01/2000 n. 16 – Min. Finanze – Dip. Entrate Riscossione Uff. del Dir. Centrale

mef_0381a4Modalità di comunicazione di atti tributari diretti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato.

Si forniscono chiarimenti in merito alla notifica di atti di natura tributaria a soggetti non residenti nel territorio dello Stato italiano.

Testo:

Alle Direzioni Regionali delle Entrate
Agli Uffici delle Entrate
Ai Centri di Servizio delle Imposte Dirette
ed Indirette
Agli Uffici Distrettuali delle Imposte Dirette
Agli Uffici IVA
Agli Uffici del Registro
All’Associazione Nazionale dei Concessionari del
Servizio di Riscossione dei Tributi (Ascotributi)
e, per conoscenza,
Al Dipartimento delle Dogane e delle Imposte Indirette
Al Dipartimento del Territorio
Alle Direzioni Centrali del Dipartimento delle Entrate
Al Servizio Consultivo ed Ispettivo Tributario
————————–

Come è noto, ai sensi dell’art. 60 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, la notifica degli atti tributari relativi alle imposte dirette è eseguita in conformità agli artt. 137 ss. del codice di procedura civile, con alcuni adattamenti resi necessari dalla specificità della materia tributaria.

Tale disciplina, dettata in origine per le sole imposte sui redditi, è stata in seguito estesa anche alle tasse ed alle imposte indirette, le cui norme di settore (ad es., l’art. 52 del Testo Unico DPR 26 aprile 1996, n. 131, per l’imposta di registro, l’art. 56 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, per l’imposta sul valore aggiunto e l’art. 49 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, per l’imposta sulle successioni e donazioni), rinviano al citato art. 60 del DPR n. 600/1973.

In proposito, si ricorda che, per effetto dello stesso art. 60 del DPR n. 600, gli atti tributari, se non consegnati in mani proprie dell’interessato, devono essere notificati nel domicilio fiscale dello stesso, ed è esclusa l’applicabilità degli artt. 142 e 143 del c.p.c., riguardanti la notifica a persona residente all’estero, o di residenza, dimora o domicilio sconosciuti (cfr. art. 60, comma 1, lett. f).

Ciò premesso, si evidenzia che i criteri da seguire per l’individuazione del domicilio fiscale del contribuente sono contenuti nell’art. 58 del citato DPR n. 600/1973, per il quale ogni soggetto passivo d’imposta si intende domiciliato in un comune dello Stato e il comune di domicilio fiscale coincide:

a) per le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, con il comune nella cui anagrafe sono iscritte;

b) per quelle non residenti, con il comune in cui è stato prodotto il reddito o, se il reddito è stato prodotto in più comuni, in quello in cui si è prodotto il reddito più elevato;

c) per i soggetti diversi dalle persone fisiche, con il comune in cui si trova la sede legale, quella amministrativa, ovvero una sede secondaria. In virtù di quanto disposto dal successivo art. 59, l’Amministrazione finanziaria può, comunque, stabilire, anche su istanza dell’interessato, il domicilio fiscale del soggetto in un comune diverso da quello in cui il soggetto medesimo dovrebbe averlo sulla base dei criteri sopra esposti.

Qualora, poi, l’applicazione degli artt. 58 e 59 del DPR n. 600/1973 porti all’identificazione, come domicilio fiscale del debitore, di un comune in cui non vi sia ne’ abitazione, ne’ ufficio o azienda del contribuente, si deve fare riferimento alla lett. e) dell’art. 60, primo comma; in tal caso, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, la notifica si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello dell’affissione all’albo comunale dell’avviso prescritto dall’art. 140 del c.p.c.

Ne consegue che la notifica degli atti tributari a soggetti non residenti in Italia deve essere sempre effettuata all’interno dei confini nazionali e che, nei loro confronti, lo svolgimento degli adempimenti di cui all’art. 60, comma 1, lett. e), del DPR n. 600/1973 garantisce pienamente, sotto il profilo giuridico, il perfezionamento della notifica.

Peraltro da tempo il Dipartimento delle Entrate, allo scopo di assicurare la effettiva conoscenza dei propri atti da parte dei destinatari, anticipando la previsione recata dal disegno di legge concernente lo Statuto del Contribuente tuttora all’esame del Parlamento (A.C. 4818), ha instaurato la prassi di portare a conoscenza dei contribuenti residenti all’estero gli atti di natura fiscale contestualmente alla loro rituale notificazione in Italia (cfr nota prot. 3955 del 10 marzo 1995 della Direzione Centrale per la Riscossione e risoluzione n. 259/E del 30 ottobre 1995 della Direzione Centrale per gli Affari Giuridici e per il Contenzioso Tributario).

Considerata, ora, l’esigenza di assicurare in modo più tempestivo ai soggetti non residenti nel territorio dello Stato una conoscenza effettiva, e non solo legale, degli atti tributari ad essi diretti, si emanano le seguenti disposizioni.

Nei casi in cui destinatario dell’atto (avviso di accertamento, richiesta istruttoria, ecc.) sia un soggetto non residente nel territorio dello Stato, l’ufficio operativo che ha emanato l’atto stesso deve contestualmente darne comunicazione al destinatario medesimo all’indirizzo del paese estero di residenza, con avviso da inoltrare per posta ordinaria.

Ovviamente la comunicazione potrà essere data in quanto l’indirizzo estero del contribuente sia reperibile attraverso l’AIRE o sulla base di altre informazioni in possesso dell’ufficio.

Resta fermo, naturalmente, che tale comunicazione ha soltanto finalità informative ed è, quindi, assolutamente priva degli effetti legali che discendono, invece, esclusivamente dal compimento delle formalità di cui al citato art. 60 del DPR n. 600/1973.

Pertanto, a modifica di quanto stabilito nella nota prot.3955 e nella risoluzione n. 259/E sopra citate, nessuna comunicazione sarà più inviata agli uffici centrali del Dipartimento.

Quanto, infine, alla procedura di notifica delle cartelle di pagamento, essa coincide con quella prevista per gli atti emessi dagli uffici dell’Amministrazione Finanziaria, poiché l’art. 26 del DPR 29 settembre 1973, n. 602, richiama il più volte citato art. 60 del DPR n. 600/1973.

Al riguardo, occorre precisare che l’ambito di applicazione dell’art. 26 del   DPR n. 602 del 1973, dettato in origine per la riscossione delle sole imposte sui redditi, è stato progressivamente allargato e, secondo l’art. 18 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, le disposizioni contenute nel capo II del titolo I dello stesso DPR n. 602 – nel quale rientrano anche quelle relative alla notifica delle cartelle di pagamento – si applicano anche agli altri tributi gestiti dagli uffici del Dipartimento delle Entrate.

Ne deriva che, anche per le cartelle di pagamento, di qualunque natura sia il credito iscritto a ruolo, la notifica a soggetti residenti all’estero va eseguita in Italia presso il domicilio fiscale del contribuente, come individuato dagli artt. 58 e 59 del DPR n. 600/1973.

Relativamente ai soggetti residenti all’estero, perciò, il competente concessionario della riscossione, se conosce l’indirizzo del debitore, provvederà, subito dopo aver eseguito la notifica ai sensi dell’art. 60 del DPR n. 600 del 1973, ad inviargli la relativa comunicazione, con le modalità sopra illustrate a proposito degli atti tributari emanati dagli uffici del Dipartimento.

L’Associazione Nazionale dei Concessionari del Servizio di Riscossione dei Tributi è pregata di informare i Concessionari del servizio nazionale della riscossione delle istruzioni impartite con la presente circolare.


Comune di Padova: Avviso di mobilità per addetto alla notificazione atti

Scadenza: 13 agosto 2018

Descrizione
 Il Comune di Padova intende formare una graduatoria a cui ricorrere per la copertura di 1 posto vacante a tempo pieno ed indeterminato di esecutore amministrativo/addetto alla notificazione atti – categoria B, mediante ricorso all’istituto della mobilità volontaria ai sensi del vigente art. 30 del D.Lgs. 165/2001.

Requisiti

 Per presentare la domanda di mobilità è necessario:
  • essere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso una Pubblica Amministrazione, con inquadramento corrispondente alla categoria B del Comparto Regioni e Autonomie Locali e con profilo professionale di “esecutore amministrativo/addetto alla notificazione” o profilo professionale equivalente, con anzianità di servizio nella medesima categoria e profilo di almeno tre anni alla data di scadenza del presente avviso;

  • l’assolvimento dell’obbligo scolastico e attestato di partecipazione ad un corso di formazione sull’uso del personal computer e sulle applicazioni informatiche più diffuse o, in alternativa, aver frequentato con profitto, per almeno un anno scolastico, corsi di studio statali o riconosciuti in cui tale insegnamento era previsto

  • patente di guida non inferiore alla categoria B

essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • di non essere stato sottoposto a procedimenti disciplinari in ordine ai quali sia stata irrogata una sanzione che preveda la sospensione dal servizio superiore a dieci giorni nell’ultimo biennio antecedente alla data di pubblicazione del presente avviso;

  • assenza di condanne penali che impediscano, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, la prosecuzione del rapporto di impiego con la pubblica amministrazione;

  • essere in possesso dell’idoneità fisica all’espletamento delle mansioni prevista dal profilo di appartenenza;
  • essere in possesso del nulla osta preventivo alla mobilità da parte dell’Amministrazione di appartenenza all’eventuale trasferimento presso il Comune di Padova in caso di esito positivo della procedura di mobilità (senza che ciò comporti alcun impegno al riguardo da parte del Comune di Padova), con l’espressa dichiarazione dell’Amministrazione di appartenenza di essere Ente sottoposto a regime di limitazione per assunzione di personale, ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 1, comma 47, della Legge n. 311/2004.

Presentazione domanda e tempi

 Gli interessati devono presentare, entro il 13 agosto 2018:
  • il modulo di domanda, compilato nelle sue parti e firmato, scaricabile dalla sezione “Documenti” di questa pagina;
  • dettagliato curriculum vitae, debitamente sottoscritto;
  • nulla osta preventivo alla mobilità da parte dell’Amministrazione di appartenenza all’eventuale trasferimento presso il Comune di Padova, con l’espressa dichiarazione dell’Amministrazione di appartenenza di essere Ente sottoposto a regime di limitazione per assunzione di personale, ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 1, comma 47, della Legge n. 311/2004;

  • fotocopia documento di identità in corso di validità.

La domanda può essere:

  • consegnata a mano presso l’Ufficio Protocollo Generale del Comune di Padova (entro le ore 12.30 del giorno 13/08/2018, orario di chiusura dell’ufficio);
  • raccomandata postale con ricevuta di ritorno;
  • Posta elettronica certificata (pec): il candidato potrà inviare dalla propria pec personale a quella del Comune di Padova (protocollo.generale@pec.comune.padova.it) la domanda firmata in formato pdf con tutti gli allegati, sempre in formato pdf;

  • Posta elettronica certificata (pec): il candidato potrà inviare da una pec generica a quella del Comune di Padova (protocollo.generale@pec.comune.padova.it) la domanda e dettagliato curriculum purché firmati digitalmente con allegata, in formato pdf, copia del documento di identità.

E’ escluso qualsiasi altro mezzo di trasmissione della domanda.

Selezione

 La graduatoria sarà predisposta ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. 165/2001, da apposita Commissione esaminatrice, previo processo comparativo delle caratteristiche di ciascun candidato, sulla base dei seguenti elementi:
  • valutazione dei curricula presentati dagli interessati;
  • colloquio con i candidati i cui curricula risultino maggiormente corrispondenti con la figura professionale ricercata.

La data ed il luogo del colloquio saranno comunicati ai candidati prescelti tramite comunicazione all’indirizzo email o pec indicato nella domanda.

Per ulteriori informazioni è disponibile nella sezione “Documenti”, di questa pagina, il testo completo dell’avviso di mobilità.

Riferimenti

ufficio mobilità – Settore Risorse Umane – Comune di Padova

Luogo palazzo Moroni, via del Municipio, 1 – 35122 Padova
Telefono 049 8205461
Responsabile del procedimento Ing. Paola Lovo
Sostituto del responsabile del procedimento dott.ssa Sonia Furlan

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 08-03-2018) 04-07-2018, n. 17514

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2754-2017 proposto da:

N.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’ avvocato MARIANO BRUNO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CLP SVILUPPO INDUSTRIALE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI N.13, presso lo studio dell’avvocato ALDO FERRARI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MUTARELLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2213/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/07/2016 r.g.n. 201/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato FABRIZIO DE MARSI per delega Avvocato BRUNO MARIANO;

udito l’Avvocato MATTEO MARIA MUTARELLI, per delega Avvocato FRANCESCO MUTARELLI.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell’11.7.2016 la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima sede che ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato a N.G., dipendente della società CLP Sviluppo Industriale s.p.a. con mansioni di autista di pullman riservati al noleggio privato, per aver svolto altra attività di lavoro, nella specie direzione delle operazioni di parcheggio (con coordinamento del personale ivi addetto e riscossione dei pagamenti da parte dei clienti) nell’area privata di sosta (OMISSIS), durante i lunghi periodi di assenza per malattia (oltre 100 giorni nel periodo marzo-luglio 2013) e per infortunio in itinere (dal 7.8. al 14.10.2013), per giunta senza l’adozione delle prescrizioni imposte dal medico curante (collare cervicale) e per numerose ore consecutive.

2. La Corte territoriale, ritenuto pacifica l’adibizione del N. al settore del noleggio privato, ha preliminarmente ritenuto il procedimento di intimazione della sanzione rispettoso della procedura dettata dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, non potendosi applicare il R.D. n. 148 del 1931 riservato al settore dei trasporti pubblici, e, nel merito, ha ritenuto sorretto da giusta causa il provvedimento espulsivo, proporzionato alla grave condotta di mala fede e di slealtà tenuta dal lavoratore che aveva adottato – durante il periodo di assenza per malattia e per infortunio – un comportamento incompatibile con lo stato morboso rivelatosi, di fatto, insussistente e, comunque, un comportamento tale da compromettere e ritardare (in considerazione delle circostanze soggettive ed oggettive in cui l’attività si era svolta) il recupero della forma fisica e delle energie necessarie.

3. Il N. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a tre motivi. La società ha depositato controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del R.D. n. 148 del 1931 e della L. n. 1054 del 1960, artt. 1 – 4, (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il R.D. n 148 del 1931, in quanto integrato e modificato dalla L. n. 1054 del 1960, si applica altresì al settore del noleggio privato con conseguente esclusione del potere di licenziare per casi di simulazione di malattia, necessità di preventiva istruttoria ed accesso agli atti nonchè deliberazione del Consiglio di disciplina al fine di irrogare validamente una sanzione. La circostanza, inoltre, dell’adibizione del N. al settore del noleggio privato era citata “velatamente” nel ricorso introduttivo del giudizio proposto dalla società e, pertanto, non poteva ritenersi allegazione specifica tale da richiedere una contestazione da parte del lavoratore.

2. – Con il secondo motivo si lamenta violazione falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5, art. 2119 c.c. nonchè error in procedendo e vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5) non avendo, la Corte, adeguatamente valutato la scarsa gravità della condotta tenuta dal lavoratore che si è limitato a dirigere altri addetti ai lavori (di parcheggio delle autovetture) e ad omettere l’uso del collare cervicale, senza che sia stata acquisita prova medica ed inconfutabile del peggioramento dello stato di salute. La Corte territoriale non ha tenuto conto di tutte le circostanze nelle quali i fatti sono stati commessi e, soprattutto, ha erroneamente valutato il grado e l’intensità dell’elemento intenzionale nonchè la proporzionalità senza giungere ad un accertamento inequivocabile della reale lesione dell’elemento fiduciario.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1455, 2104, 2106 e 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5, L. n. 300 del 1970, art. 7, R.D. n. 148 del 1931 nonchè error in procedendo e vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5) non avendo, la Corte territoriale nonchè il Tribunale in primo grado, effettuato una compiuta analisi della condotta inadempiente con riguardo alle mansioni assegnate al lavoratore. Il N., addetto alla guida di mezzi privati e pubblici, aveva usufruito di giorni di malattia per un diagnosticato “trauma cranico e stato confusionale transitorio, cervicalgia da contraccolpo” riportati a seguito di un incidente stradale e in tali giorni non si è posto nuovamente alla guida di automezzi nè ha esercitato una vera e propria attività lavorativa, limitandosi semplicemente ad impartire direttive ai dipendenti di un parcheggio di auto appartenente all’azienda di famiglia, attività che non richiedeva alcun dispendio di energie nè arrecava repentaglio allo stato di salute (circostanza, in ogni caso, che doveva essere accertata tramite una consulenza medica).

4. Il primo motivo di ricorso è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.

Inammissibile ove, rilevando la generica allegazione – da parte della società – delle mansioni disimpegnate dal N., viola il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto (o un estratto significativo) del ricorso introduttivo del giudizio proposto dalla società stessa, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726). La carenza si evince vieppiù chiaramente a fronte del tenore testuale della sentenza impugnata che ha rilevato come “nonostante l’eccezione formulata specificamente sul punto (adibizione del N. al settore del noleggio privato piuttosto che al servizio di trasporto pubblico) dalla CLP già in primo grado, nulla la difesa dell’appellante ha articolato o provato sul punto” (pag. 4 della sentenza).

Il ricorso è, inoltre, infondato posto che la L. 22 settembre 1960, n. 1054 – come tutte le altre novelle normative successive al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata – ha esteso la disciplina dettata dal R.D. n. 148 del 1931 al personale adibito a pubblici servizi di linea (esercitati direttamente da enti pubblici, ovvero dati in concessione), nel caso di specie di linea extraurbana, come si evince chiaramente dal tenore testuale e dalla lettura sistematica degli strumenti normativi in oggetto. La disciplina richiamata dal ricorrente si pone, anzi, nel segno contrario rispetto a quello prospettato dal ricorrente avendo previsto per le aziende di modeste dimensioni al di sotto dei 26 dipendenti, l’operatività, in materia disciplinare degli autoferrotranvieri, del regime privatistico, dimostrando chiaramente la tendenza, sempre più accentuata con gli interventi legislativi successivi a quello evocato dal ricorrente, di avvicinare la regolamentazione degli autoferrotranvieri al regime privatistico, tendenza che questa Corte, con autorevoli interventi, non ha mancato di sottolineare ed avallare ove si sia riscontrata la necessità di integrare o sostituire i singoli istituti dettati dal Regio decreto in quanto incompatibili con il sistema in generale, “tenuto conto del progressivo avvicinamento del sistema dei trasporti pubblici e del relativo rapporto di lavoro al regime privatistico, della contrattualizzazione del pubblico impiego e, soprattutto, dell’immanenza nel nostro ordinamento giuridico, con riferimento al rapporto di lavoro, di principi fondamentali anche di livello comunitario che devono presiedere nell’esegesi delle norme disciplinanti qualsiasi rapporto di lavoro” (Cass. Sez. U. n. 15540 del 2016).

5. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, attenendo tutti al processo di sussunzione della fattispecie concreta nella nozione legale di giusta causa, possono essere trattati congiuntamente, e sono infondati.

In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (cfr. Cass. 13.2.2012 n. 2013 e, precedentemente, in senso analogo, tra le tante, Cass. 21.6.2011 n. 13574; Cass. 7.4.2011 n. 7948; Cass. 2.3.2011 n. 5095; Cass. 18.2.2011 n. 4060). In particolare, la giusta causa di licenziamento è nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo onde lo stesso può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e, per altro verso, può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (cfr. Cass 4060/2011 cit.).

Come questa Corte ha più volte affermato e va qui ribadito, “in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice del merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente L. n. 604 del 1966, ex art. 5, deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria – durante il periodo di preavviso – del rapporto” (v. Cass. 14.1.2003 n. 444, Cass. 25.2.2005 n. 3994, Cass. 16.5.2006 n. 11430, Cass. 24.7.2006 n. 16864, Cass. 10.12.2007 n. 25743, Cass. 22.3.2010 n. 6848, Cass. 21.6.2011 n. 13574).

Nella fattispecie, la Corte di merito ha rilevato che: doveva ritenersi (a seguito di applicazione del principio di non contestazione, oltre che dal copioso materiale probatorio e fotografico fornito dal datore di lavoro) provata “l’attività di gestione attiva del parcheggio del lido (OMISSIS) da parte del lavoratore che è stato osservato intento nell’attività per numerose ore consecutive nei giorni indicati in contestazione (100 giorni nel periodo marzo-luglio 2013 nonchè assenza continuativa dal 7.8 al 14.10.2013) e che è stato poi fotografato in pose di evidente attività, orientata all’indicazione dei luoghi e delle modalità di parcheggio ai clienti” (pag. 7 della sentenza impugnata); “la frequenza settimanale delle osservazioni (da parte dell’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro) e la costante presenza dell’appellante inducono a ritenere che si trattasse di attività svolta con regolarità praticamente quotidiana.. con posture certamente non riposanti anche perchè mantenute per ore e sotto il calore del sole pieno” (pag. 8); le azioni compiute dal N. “apparivano ictu oculi incompatibili con la denunziata infermità o comunque sicuramente idonei a ritardare se non a compromettere il recupero della forma fisica e delle energie necessarie. Il lavoratore è stato osservato per ore gestire le attività di parcheggio dei clienti, rilasciare scontrini, restare in piedi sotto il sole a dare indicazioni sia presso il lido che presso il parcheggio; in un’occasione era stato anche fotografato mentre armeggiava con la realizzazione di un manufatto di legno; in un’occasione, in data 1.9.2013, era stato visto e fotografato intento nelle solite attività, senza avere indosso il prescritto collare protettivo; l’insieme di tali condotte denotava una buona efficienza fisica, con particolare riferimento all’apparato osteoarticolare e risultavano del poco compatibili con la effettiva sussistenza dell’affezione che aveva dato luogo alla sua prolungata assenza” (pag. 10 della sentenza impugnata).

Tale motivazione, incentrata su tutti gli elementi oggettivi e soggettivi emersi, risulta conforme ai principi sopra richiamati, nonchè congrua e priva di vizi logici e resiste alle censure del ricorrente.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2018


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 22-05-2018) 04-07-2018, n. 17533

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 279/2015 proposto da:

V.C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BLUMENSTHILL 55, presso lo studio dell’avvocato CATERINA BINDOCCI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO BRAGAGNI;

– ricorrente –

contro

PAT COSTRUZIONI DI P.V. & CO S.A.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1684/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 4/11/2013;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/2018 dal Consigliere LUCIA TRIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale RENATO FINOCCHI GHERSI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Arnaldo Tutti per delega dell’avvocato Alfredo Bragagni.

Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Grosseto, su istanza di V.C.A., emetteva il decreto ingiuntivo n. 93/2005 nei confronti della PAT Costruzioni di P.V. & Co. s.a.s. per l’importo di Euro 40.000,00, come penale prevista nel contratto di appalto stipulato tra le parti per il ritardo nella consegna delle opere di ristrutturazione di un fabbricato, oggetto del suddetto contratto.

L’atto di opposizione al decreto ingiuntivo della società PAT Costruzioni era notificato dall’Ufficiale giudiziario assegnato all’UNEP presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere anzichè da quello dell’UNEP presso il Tribunale di Grosseto nel cui circondario risiedeva la destinataria della notifica.

Nella contumacia di quest’ultima – originaria ricorrente – il Tribunale di Grosseto accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo per ragioni attinenti al merito della controversia.

2. La V. appellava la sentenza, mentre la PAT Costruzioni ne chiedeva la conferma.

3. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 4 novembre 2013, ha rigettato il gravame.

4. Per quanto riguarda il motivo di appello con il quale si prospettava la nullità della notificazione della citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto eseguita da un ufficiale giudiziario diverso da quello territorialmente competente ex lege, la Corte d’appello ha precisato quanto segue:

a) la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che sia affetta da nullità relativa – sanabile per effetto della costituzione in giudizio del destinatario – la notificazione eseguita dall’ufficiale giudiziario extra districtum;

b) invece, la giurisprudenza amministrativa configura tale ipotesi come una mera irregolarità della notificazione;

c) andando in contrario avviso rispetto alla suddetta consolidata giurisprudenza di legittimità deve rilevarsi che: 1) le cause di nullità processuali sono soltanto quelle previste dalla legge (art. 156 c.p.c.); 2) l’art. 160 c.p.c. non annovera fra le cause di nullità della notifica quella in oggetto; 3) per la violazione D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 106 e 107 che disciplinano il riparto territoriale dell’attività degli ufficiali giudiziari non è prevista la nullità della notificazione; 4) tali disposizioni, infatti, sono dettate per organizzare il funzionamento degli uffici, sicchè la loro violazione potrebbe al più comportare conseguenze disciplinari o di responsabilità civile per il notificante, ma non conseguenze sul processo;5) nel caso di specie, comunque, essendosi la notificazione realizzata a mezzo posta, è stato l’agente postale a certificare la consegna del plico, con atto che potrebbe ben essere considerato valido a prescindere da quello, meramente preparatorio, dell’ufficiale giudiziario territorialmente incompetente che ne ha solo richiesto l’invio; 6) comunque, anche a voler ritenere l’incompetenza dell’ufficiale giudiziario produttiva, per derivazione, della nullità della notificazione, la sanatoria per raggiungimento dello scopo si dovrebbe considerare avvenuta per effetto della consegna (seguita indifferentemente dalla costituzione in giudizio o dalla contumacia) e non per effetto della sola costituzione in giudizio (come invece ritenuto dalla suddetta giurisprudenza di legittimità consolidata) e, nella specie, la V. pur se rimasta contumace in primo grado non ha mai contestato di aver ricevuto l’atto di opposizione.

5. Nel merito la Corte d’appello ha confermato la decisione del primo giudice secondo cui il mancato completamento dei lavori da parte dell’appaltatore era dipeso dall’inadempimento della committente all’obbligo di corrispondere il prezzo secondo i previsti stati di avanzamento, non essendo stata la prova documentale fornita dalla V. in appello ritenuta idonea a scalfire tale statuizione, in quanto dai documenti prodotti sono risultati come effettuati pagamenti per un importo complessivo inferiore di circa settantamila euro rispetto a quello che la committente stessa ha indicato come corrispettivo che si era impegnata a pagare per le opere effettivamente eseguite dalla società appaltatrice.

6. Il ricorso di V.C.A. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; la PAT Costruzioni di P.V. & Co. s.a.s. resta intimata.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e nullità della sentenza, in ordine alla ritenuta validità della notificazione dell’atto di citazione in opposizione quantunque effettuata dall’ufficiale giudiziario assegnato presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, anzichè da quello presso il Tribunale di Grosseto nel cui circondario risiedeva la parte destinataria, aggiungendo che pertanto la notifica avrebbe dovuto essere considerata affetta da nullità sanabile solo per effetto della propria costituzione in giudizio o della relativa rinnovazione disposta dal giudice di primo grado. Poichè, nella specie, nessuna di tali due evenienze si è verificata, tale nullità non sarebbe stata sanata, con conseguente nullità della sentenza d’appello per omesso rilievo del suddetto vizio della notifica e invalidità derivata dell’intero giudizio di opposizione.

7. In vista dell’adunanza camerale fissata per la definizione del ricorso dinanzi alla Seconda Sezione Civile l’Avvocato Generale, nelle sue conclusioni scritte, dopo aver rilevato l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo di ricorso perchè riguardanti questioni di fatto, ha sottolineato la “plausibilità” degli argomenti consapevolmente innovativi rispetto ai consolidati approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità – prospettati dalla Corte d’appello di Firenze in riferimento alla questione proposta con il primo motivo ed ha chiesto che venisse disposta la trasmissione degli atti al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2.

8. La V., in prossimità della suddetta adunanza camerale, ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nella quale, con riguardo al primo motivo, ha dichiarato di essere “remissiva sulle richieste del Procuratore Generale” e quindi di rimettersi sul punto al giudizio della Corte, mentre ha insistito per l’accoglimento degli altri due motivi.

9. La Seconda Sezione Civile, accogliendo le conclusioni dell’Avvocato Generale, con ordinanza interlocutoria 8 gennaio 2018, n. 179, ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, sulle questioni – in parte evidenziate dalla Corte d’appello di Firenze che si pongono con riguardo alla determinazione delle conseguenze del mancato rispetto da parte dell’Ufficiale giudiziario nella notificazione degli atti in materia civile delle norme che definiscono, anche con riferimento alle notifiche a mezzo posta, i criteri di ripartizione territoriale per l’esecuzione delle suddette notifiche tra i vari uffici cui sono addetti gli ufficiali giudiziari.

Le suindicate questioni nell’ordinanza di rimessione sono state qualificate come “di massima di particolare importanza”, sia per l’impatto rilevante sul contenzioso civile di qualsiasi tipo, sia in considerazione del coordinamento della relativa soluzione con la recente sentenza di queste Sezioni Unite 20 luglio 2016, n. 14916.

10. Il ricorso è stato quindi assegnato dal Primo Presidente a queste Sezioni Unite ed è stata acquisita la relazione dell’Ufficio del Massimario.

Motivi della decisione
I – Sintesi delle censure.

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, – violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., commi 1 e 3, e art. 159 c.p.c. nonchè del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, artt. 106 e 107, contestando la statuizione della Corte d’appello con la quale – in deliberato contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità – è stato respinto il proprio motivo di gravame volto ad ottenere la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado, per essere stata la notificazione dell’atto di citazione in opposizione effettuata da un ufficiale giudiziario “territorialmente incompetente” ad eseguirla – cioè dal’ufficiale giudiziario assegnato all’UNEP presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere anzichè da quello dell’UNEP presso il Tribunale di Grosseto nel cui circondario risiedeva la parte destinataria – senza che tale nullità sia stata, nella specie, sanata visto che la V. nel giudizio di primo grado non si è costituita (ma è rimasta contumace) e neppure il Tribunale ha disposto la rinnovazione della notifica stessa. Pertanto, ad avviso della ricorrente, la corretta applicazione delle norme invocate dovrebbe portare alla nullità della sentenza d’appello per omesso rilievo del suddetto vizio della notifica, con invalidità derivata dell’intero giudizio di opposizione.

1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 cod. civ., sostenendo che la sentenza impugnata sarebbe stata emessa in violazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, secondo cui laddove si discute di contratti a prestazioni corrispettive il giudice del merito, a fronte di dedotte inadempienze reciproche delle parti, deve effettuare una comparazione del comportamento dei due contraenti onde stabilire quale sia la parte che, con il proprio comportamento, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e quindi debba considerarsi l’unica cui vada addebitato l’inadempimento. Si afferma che, nella specie, tale comparazione non sarebbe stata fatta, avendo la Corte d’appello dato rilievo alla mancata correttezza della V. nel pagamento del corrispettivo pattuito per gli stati di avanzamento dei lavori, senza verificare se la PAT Costruzioni aveva realizzato tutte le opere previste nel contratto e se le aveva consegnate entro la data stabilita.

1.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame di una serie di documenti prodotti in giudizio che la Corte d’appello non avrebbe esaminato e che avrebbero dimostrato l’inadempimento della PAT Costruzioni rispetto agli obblighi contrattuali riguardanti il completamento delle opere appaltate e la riconsegna del cantiere. Si aggiunge che, in mancanza della prova delle opere realizzate e della loro puntuale consegna, la Corte territoriale non avrebbe neppure potuto affermare la sussistenza dell’inadempimento della V..

II – Esame delle censure.

4. L’esame delle censure porta al rigetto del primo motivo e alla dichiarazione di inammissibilità degli altri due motivi, per le ragioni di seguito esposte.

5. Secondo quanto rilevato dalla Seconda Sezione Civile nell’ordinanza interlocutoria 8 gennaio 2018 n. 179, lo scrutinio del primo motivo di ricorso comporta la soluzione di alcune questioni di massima di particolare importanza concernenti la determinazione degli effetti della notificazione eseguita – nella specie: a mezzo posta – dall’ufficiale giudiziario senza rispettare i criteri di riparto territoriale stabiliti dal D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 106 e 107.

In particolare, la Seconda Sezione ha chiesto di stabilire, anche tenendo conto della recente sentenza di queste Sezioni Unite 20 luglio 2016, n. 14916: a) se una simile notifica possa dare luogo ad una semplice irregolarità come affermato da tempo dalla giurisprudenza amministrativa; b) se, comunque, anche a voler considerare l’incompetenza dell’ufficiale giudiziario produttiva, per derivazione, di nullità della notificazione, la sanatoria per raggiungimento dello scopo si possa considerare avvenuta per effetto della consegna dell’atto cui segua indifferentemente la costituzione in giudizio o la contumacia – e non per effetto della sola costituzione in giudizio.

6. Per una migliore comprensione della soluzione data a tali questioni si ritiene opportuno effettuare una sintetica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in materia.

7. Gli ufficiali giudiziari (al pari degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti) sono assegnati agli Uffici notificazioni, esecuzioni e protesti (UNEP), istituiti presso ciascuna Corte d’appello e presso ogni Tribunale che non sia sede di Corte d’appello (vedi R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 3, nel testo vigente e D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 101, comma 1).

8. In base allo stesso D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 106, comma 1, (Ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari): “l’ufficiale giudiziario compie con attribuzione esclusiva gli atti del proprio ministero nell’ambito del mandamento ove ha sede l’ufficio al quale è addetto, salvo quanto disposto dal comma 2 dell’articolo seguente”.

Il successivo art. 107 – dopo avere, al comma 1, stabilito che per la notificazione degli atti in materia civile ed amministrativa da eseguire fuori del Comune ove ha sede l’ufficio, l’ufficiale giudiziario deve avvalersi del servizio postale, a meno che la parte chieda che la notificazione sia eseguita di persona – al secondo comma prescrive che: “tutti gli ufficiali giudiziari possono eseguire, a mezzo del servizio postale, senza limitazioni territoriali, la notificazione degli atti relativi ad affari di competenza delle autorità giudiziarie della sede alla quale sono addetti”, oltre che del verbale di cui all’art. 492-bis c.p.c. (sulla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare) e degli atti stragiudiziali.

D’altra parte, l’art. 156 c.p.c. sancisce il principio generale di tassatività delle nullità degli atti del processo, stabilendo che esse devono essere previste dalla legge e aggiungendo che tale principio è derogabile (nel senso che la nullità può essere in ogni caso pronunciata) soltanto nell’ipotesi in cui l’atto sia privo dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, mentre reciprocamente la nullità non può essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.

Per il successivo art. 160 c.p.c. la notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia oppure se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione del citato art. 156, oltre che dell’art. 157 (che qui non interessa).

9. Le questioni evidenziate dall’ordinanza di rimessione sono scaturite principalmente dall’interpretazione del combinato disposto delle suindicate norme che ha dato luogo a orientamenti differenti rispettivamente della giurisprudenza di questa Corte e di quella del Consiglio di Stato – circa gli effetti della notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario al di fuori dall’ambito territoriale di pertinenza dell’UNEP al quale è assegnato.

9.1. In particolare, la Corte di cassazione in un risalente orientamento configurò la suddetta fattispecie come mera irregolarità della notificazione, sanabile con la comparizione in giudizio del destinatario (vedi, per tutte: Cass. 5 gennaio 1945, n. 2), considerando la competenza dell’ufficiale giudiziario come di tipo amministrativo e non giurisdizionale.

Tale orientamento venne criticato da autorevole dottrina che sostenne che tra le nullità della notificazione di cui all’art. 160 c.p.c. e l’inesistenza della notificazione avrebbe dovuto essere contemplata la suddetta ipotesi da considerare come una vera e propria nullità – dimenticata dal legislatore – attinente ad un presupposto essenziale dell’atto di notificazione e che quindi determina un vizio logicamente precedente rispetto a quelli previsti nell’art. 160 cit., come tale riconducibile alla disciplina dettata dall’art. 156 c.p.c. ma sanabile dalla comparizione in giudizio del destinatario.

9.1.1. Nel corso del tempo nella giurisprudenza di legittimità si è quindi consolidato un indirizzo sostanzialmente conforme a tale dottrina in base al quale la notificazione effettuata da un ufficiale giudiziario extra districtum non si considera affetta da nullità assoluta, ma soltanto da nullità relativa sanabile, con effetto ex tunc, qualora l’atto abbia raggiunto il suo scopo, rappresentato dalla costituzione del destinatario in giudizio (e non dalla mera consegna dell’atto), dovendo in caso contrario il giudice disporre la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (ex plurimis: Cass. 24 luglio 1964, n. 2000; Cass. 12 agosto 1982, n. 9569; Cass. 11 febbraio 1995, n. 1544 e di recente Cass. 6 luglio 2006, n. 15372; Cass. 6 giugno 2013, n. 14355; Cass. 21 agosto 2013, n. 19352; Cass. 19 settembre 2014, n. 19834; Cass. 29 ottobre 2014, n. 22995), con l’ulteriore precisazione che la sanatoria ex tunc per effetto della costituzione dell’intimato si produce anche quando la parte dichiari che tale costituzione è avvenuta al solo fine di denunciare l’invalidità della notificazione (ex plurimis, Cass. 15 gennaio 2003, n. 477; Cass. 23 agosto 2004, n. 16591).

9.1.2. Nella medesima ottica – e quindi sempre riaffermando anche il suddetto regime di sanabilità della nullità – per effetto di alcuni interventi di queste Sezioni Unite, si è anche precisato che:

a) la nullità della notificazione della sentenza eseguita da ufficiale giudiziario territorialmente incompetente preclude il decorso del termine breve di impugnazione (Cass. SU 12 febbraio 1999, n. 51), dovendosi escludere la sua sanatoria per raggiungimento dello scopo derivante dall’impugnazione della sentenza, la quale ha carattere autonomo rispetto alla notificazione della sentenza stessa, senza presupporla necessariamente come avvenuta in una data precisa e, quindi, senza realizzare lo scopo dell’utile decorrenza del termine per impugnare (ex multis: Cass. 18 dicembre 2003, n. 17430);

b) la legge 20 novembre 1982, n. 890 ha attribuito all’ufficiale giudiziario la facoltà di utilizzare, in linea generale, la notificazione degli atti a mezzo posta, senza nulla immutare quanto alla sua competenza territoriale. Conseguentemente l’ufficiale giudiziario, a norma del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 106 e 107, anche in ipotesi di utilizzazione del servizio postale, può notificare atti del proprio ministero a persone residenti, dimoranti o domiciliate all’interno dell’ambito territoriale dell’ufficio al quale è addetto, mentre può eseguire notificazioni al di fuori di tale ambito soltanto se concernono atti relativi a procedimenti che siano o possano essere di competenza dell’autorità giudiziaria della sede di appartenenza (Cass. SU 23 marzo 2005, n. 6271 e fra le tante: Cass. 11 febbraio 1995, n. 1544; Cass. 11 novembre 1997, n. 11210; Cass. 6 giugno 2013, n. 14355);

c) la notificazione del ricorso per cassazione costituisce, a norma del D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 107, un atto di competenza promiscua, perchè la stessa riguarda non solo la città di Roma dove il processo deve essere trattato, ma anche il luogo nel quale la sentenza impugnata è stata pronunciata e il ricorso deve essere notificato; ne consegue che l’incombenza può essere svolta anche dall’ufficiale giudiziario del luogo dove la sentenza impugnata è stata emessa (Cass. SU 4 ottobre 1996, n. 8683; Cass. SU 9 agosto 2001, n. 10969 e fra le molte conformi: Cass. 15 gennaio 2013, n. 812). E la stessa regola si applica anche alla notifica del controricorso e dell’eventuale ricorso incidentale (tra le tante: Cass. 15 febbraio 2007, n. 3455.

9.1.3. Sono stati anche affermati i seguenti principi:

a) l’incompetenza dell’ufficiale giudiziario notificante è causa di una nullità, non dell’atto, ma della sua notificazione che è suscettibile di sanatoria esclusivamente per effetto della costituzione del destinatario, in quanto questo è l’atto del processo cui la notificazione stessa è strumentale e non trova, quindi, equipollenti nella semplice certezza dell’avvenuta ricezione che è, di per sè, circostanza estranea al processo medesimo (Cass. 29 marzo 1994, n. 3039; Cass. 17 settembre 1992, n. 10647; Cass. 11 dicembre 1987, n. 9165);

b) per il combinato disposto del D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 106 e art. 107, comma 2, la potestà notificatoria è attribuita sia all’ufficiale giudiziario del luogo in cui essa deve essere eseguita sia a quello addetto all’autorità giudiziaria competente a conoscere della causa cui attiene la notificazione, il quale ultimo può operare anche fuori dalla circoscrizione territoriale, ma solo a mezzo del servizio postale. Pertanto, è nulla la notificazione effettuata dall’ufficiale giudiziario fuori dalla circoscrizione territoriale personalmente e non a mezzo del servizio postale (Cass. 26 agosto 1985, n. 4549), mentre è valida la notificazione di un ricorso per cassazione eseguita dagli ufficiali giudiziari addetti agli uffici giudiziari dei domicili eletti dagli intimati presso i loro difensori (Cass. 4 febbraio 1983, n. 940 e di recente: Cass. 9 febbraio 2016, n. 2574);

c) i messi del giudice di pace (già messi di conciliazione), pur se sono in rapporto di servizio con l’ente locale, tuttavia sono inseriti nell’ufficio giudiziario per effetto di nomina da parte del presidente del tribunale e partecipano con gli ufficiali giudiziari e con i relativi aiutanti alla funzione di notificazione degli atti processuali (L. n. 374 del 1991, artt. 12 e 13, come modificati sia dal D.L. n. 571 del 1994, convertito dalla L. n. 673 del 1994 sia dalla L. n. 479 del 1999). Pertanto è nulla – non giuridicamente inesistente – la notificazione eseguita dal messo del giudice di pace in violazione delle regole sulla distribuzione delle competenze con gli ufficiali giudiziari e i relativi aiutanti oppure sui previsti limiti territoriali o anche laddove non ricorra alcuna delle deroghe alla competenza generale dell’ufficiale giudiziario previste al D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 34, perchè si tratta di un atto posto in essere da un organo pur sempre partecipe della complessiva funzione di notificazione degli atti processuali (Cass. 28 febbraio 1996, n. 1586; Cass. 3 maggio 1999, n. 4396; Cass. 23 agosto 2004, n. 16591);

d) i messi del giudice di pace esplicano esclusivamente le loro funzioni per gli affari di competenza del giudice stesso nel territorio della sua giurisdizione e il D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 34 ove manchino o siano impediti l’ufficiale giudiziario e l’aiutante ufficiale giudiziario e ricorrano motivi di urgenza – consente al capo dell’ufficio di disporre che le notificazioni siano eseguite dal messo di conciliazione (oggi del giudice di pace), ma deve trattarsi del messo del luogo in cui l’atto deve essere notificato in quanto in caso contrario la notificazione è nulla e tale nullità – relativa e sanabile con la costituzione della parte intimata o con la rinnovazione dell’atto disposta d’ufficio dal giudice ex art. 291 c.p.c. – si verifica anche se la notifica è effettuata a mezzo del servizio postale, in quanto è applicabile solo nei confronti degli ufficiali giudiziari il D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 107, che prevede la possibilità di eseguire per posta, senza limitazioni territoriali, la notificazione di atti relativi ad affari di competenza dell’autorità giudiziaria della sede di assegnazione (tra le altre: Cass. 20 luglio 1999, n. 7782);

e) anche la nullità della notificazione della sentenza eseguita da messo di conciliazione (oggi messo notificatore del giudice di pace, n.d.r.) incompetente preclude il decorso del termine breve d’impugnazione, al pari di quella eseguita dall’ufficiale giudiziario incompetente (Cass. 1 giugno 2000, n. 7277).

9.1.3. Quanto alle modalità di sanatoria solo in ipotesi del tutto marginali si è affermata, nel caso di notificazione a mezzo posta, la sanabilità del vizio da “incompetenza territoriale” dell’ufficiale giudiziario notificante per effetto della sottoscrizione da parte del destinatario della ricevuta di ritorno, sottolineandosi che tale atto attesta l’avvenuta attuazione della recezione, la quale “costituisce lo scopo della notifica stessa” (Cass. 8 luglio 1981, n. 4474; Cass. 5 maggio 1978, n. 2116).

Peraltro il suddetto indirizzo minoritario è stato seguito in alcuni casi con riguardo alla notifica effettuata dal messo di conciliazione (oggi del giudice di pace) in difetto dell’autorizzazione del capo dell’ufficio giudiziario affermandosi che la relativa nullità è sanabile non solo a seguito della costituzione della parte, ma anche in ogni altro caso in cui sia raggiunta la prova della avvenuta comunicazione dell’atto al notificato, data l’equiparazione funzionale tra l’ufficiale giudiziario ed il messo di conciliazione contenuta nella L. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 34, come modificata dalla L. 11 giugno 1962, n. 546 (Cass. 28 gennaio 1999, n. 770; Cass. 6 maggio 2004, n. 8625; Cass. 24 novembre 2005, n. 24812; Cass. 16 maggio 2008, n. 12456; Cass. 29 gennaio 2014, n. 1990).

A quest’ultima giurisprudenza ha fatto riferimento, di recente, Cass. 21 novembre 2017, n. 27571 per affermare – in una ipotesi di notificazione dell’atto di appello a mezzo del servizio postale effettuata da un ufficiale giudiziario asseritamente incompetente territorialmente, ma perfezionatasi con la consegna dell’atto stesso al procuratore dei ricorrenti costituito in primo grado – il principio secondo cui non può essere dichiarata la nullità della notificazione eseguita da ufficiale giudiziario territorialmente incompetente, laddove questa anche in mancanza di costituzione della parte in giudizio abbia comunque raggiunto il suo scopo, in virtù dell’avvenuta consegna dell’atto al destinatario – o comunque della circostanza che l’atto in questione sia pervenuto nella sfera di conoscenza o di conoscibilità di questi – a seguito del regolare adempimento delle disposizioni normative disciplinanti la sua consegna.

Tale conclusione è stata espressamente finalizzata a restringere l’area di operatività della nullità della notificazione eseguita da ufficiale giudiziario territorialmente incompetente, in conformità l’art. 160 c.p.c..

Nella medesima ottica è stata anche esclusa la nullità della notificazione eseguita personalmente dall’ufficiale giudiziario extra districtum, senza la preventiva richiesta scritta del notificante, precisandosi che il requisito della richiesta scritta ha rilievo soltanto nel rapporto tra il notificante e l’ufficiale giudiziario e non incide, invece, sulla validità della notifica effettuata dall’ufficiale giudiziario fuori dal Comune sede dell’ufficio cui è assegnato perchè non può dubitarsi che il soggetto notificando non vede menomata la sua posizione per il fatto che la notifica sia stata eseguita dall’ufficiale giudiziario di persona invece che con il servizio postale, nè ciò riduce le garanzie da cui deve essere assistita la notifica (Cass. 9 aprile 2001, n. 5262).

9.1.4. La stessa finalità è stata perseguita, mutatis mutandis, anche da Cass. 28 luglio 2017, n. 18759 che – in continuità con un consolidato indirizzo della giurisprudenza di nomofilachia (risalente, quale sua prima espressione, a Cass. 21 giugno 1949, n. 1557) e superando il diverso orientamento della nullità della notifica del precetto eseguita da un ufficiale giudiziario territorialmente incompetente, sanabile per effetto della proposizione dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. – ha affermato che, ai sensi del D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 107, comma 2, il precetto può essere notificato, a richiesta di parte ed a mezzo del servizio postale, ad opera di qualunque ufficiale giudiziario, senza limitazioni territoriali, in quanto non costituisce atto del processo esecutivo, ma è un presupposto estrinseco ad esso, ossia un atto preliminare stragiudiziale.

9.1.5. Anche per quanto riguarda l’inesistenza giuridica della notificazione – pure prima di Cass. SU 20 luglio 2016, n. 14916, ma comunque in sintonia con i principi ivi affermati – la notificazione è stata considerata giuridicamente inesistente (e insuscettibile di sanatoria) solo in caso di completa esorbitanza dallo schema legale degli atti di notificazione, ossia quando difettino gli elementi caratteristici del modello delineato dalla legge, dovendo invece considerarsi nulla nel caso in cui sussistano violazioni di tassative prescrizioni del procedimento di notificazione.

Di conseguenza, è stato precisato che la legittimazione di chi provvede alla notificazione è da considerare condizione essenziale perchè la notificazione esplichi, almeno in parte, gli effetti che le sono propri (vedi, per tutte: Cass. 9 settembre 1997, n. 8804). Pertanto, ad esempio, è stata considerata inesistente: 1) la notificazione del ricorso per cassazione eseguita anzichè dall’ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 137 c.p.c., da persona qualificatasi come “responsabile ufficio personale” (Cass. 13 febbraio 1999, n. 1195); 2) la notificazione eseguita per mezzo di ufficiale di P.G., che è assolutamente incompetente a compiere notifiche di atti processuali civili (Cass. 7 marzo 2004, n. 5392); 3) la notificazione del ricorso per cassazione al difensore dell’intimato a mezzo di un Commissariato di P.S. (Cass. 5 ottobre 2004, n. 19921).

Inoltre, in alcuni casi, anche la notificazione di atti giudiziali da parte di messi comunali – diversamente da quella eseguita dai messi di conciliazione (ora messi del giudice di pace) – è stata reputata giuridicamente inesistente, non nulla, in quanto è effettuata da organi carenti di qualsiasi attribuzione in materia. Infatti, anche i messi comunali notificatori, come organi amministrativi, svolgono la funzione di notificazione, sulla base della L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 10, comma 1, secondo cui le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, “possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge” (Cass. 30 agosto 2017, n. 20582). Tuttavia vi è una totale disomogeneità tra la categoria dei messi comunali, legati all’ente locale sia da rapporto di servizio che da rapporto organico, e quella dei messi notificatori del giudice di pace, il cui il rapporto di servizio intercorre con il comune ma sono incardinati sul piano del rapporto organico nell’ufficio giudiziario in virtù dell’atto di nomina del presidente del Tribunale e sono investiti della funzione di notificare gli atti relativi ai procedimenti di competenza del giudice di pace ai sensi del D.P.R. n. 1229 del 1959 (Cass. 23 agosto 2004, n. 16591).

Cass. 21 marzo 2005, n. 6095 – richiamata nell’ordinanza di rimessione in oggetto – ha ritenuto inesistente e non meramente nulla la notificazione eseguita a cura del “messo del giudice di pace” dalla cui relata emergeva la mera indicazione del Comune senza alcun riferimento (anche) all’ufficio di tale luogo ove la notificazione doveva essere eseguita, ritenendo che in tale situazione la notifica difettasse degli elementi caratteristici suoi propri, esorbitando anzi completamente dallo schema legale degli atti di notificazione. Ma si tratta di un orientamento isolato, difforme da quello su riportato, benchè nella sentenza si richiamino, senza motivazione espressa, sia Cass. 20 luglio 1999, n. 7782 sia Cass. 13 febbraio 1999, n. 1195, dianzi citate.

9.1.6. In sintesi, può dirsi che la giurisprudenza fin qui sinteticamente illustrata – a parte il regime della sanatoria, sul quale comunque si registrano importanti aperture – si è sviluppata in modo del tutto conforme al principio affermato da Cass. SU 20 luglio 2016, n. 14916, secondo cui un elemento costitutivo essenziale idoneo a rendere un atto qualificabile come notificazione – la cui mancanza determina l’inesistenza della notifica – è rappresentato dallo svolgimento dell’attività di notificazione da parte di un soggetto qualificato dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato.

Infatti, la notifica effettuata dall’ufficiale giudiziario senza rispettare le norme che definiscono, anche con riferimento alle notifiche a mezzo posta, i criteri di ripartizione territoriale per l’esecuzione delle notifiche tra i vari uffici cui sono addetti gli ufficiali giudiziari in genere è stata considerata nulla perchè eseguita in violazione delle norme relative alla “competenza territoriale” o “funzionale” dell’organo notificante, rientranti tra le tassative prescrizioni del procedimento di notificazione, visto che in casi minoritari si è parlato al riguardo di “carenza di potere” ma sempre in termini di nullità e non di inesistenza della notifica (Cass. 7 giugno 2013, n. 14495).

10. Da questa argomentazione nasce la diversa posizione assunta dalla giurisprudenza amministrativa da molto tempo (vedi: Cons. Stato. Ad. Plen. 26 marzo 1982, n. 4 e giurisprudenza successiva conforme), la quale muove dalla premessa che il D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 106 e 107 non regolano la “competenza” territoriale degli ufficiali giudiziari, ma la ripartizione delle relative attribuzioni, in ragione, tra l’altro, della circostanza che all’epoca gli ufficiali giudiziari erano retribuiti in funzione del numero di atti compiuti.

10.1. L’improprietà del riferimento al concetto di competenza e alla sanzione della nullità (sia pure relativa) viene desunta da molteplici elementi:

a) nel codice di rito mentre si detta la disciplina delle modalità con le quali la notifica va eseguita nulla si dice in merito alla “competenza” dell’ufficiale giudiziario e, d’altra parte, a differenza di quanto avveniva nel passato, oggi gli ufficiali giudiziari non sono più “addetti” agli uffici giudiziari ma ad appositi e autonomi UNEP;

b) i citati gli artt. 106 e 107 non prevedono alcuna nullità per le ipotesi di loro violazione nè delineano per gli ufficiali giudiziari una competenza inderogabile la cui violazione possa determinare la nullità;

c) le norme che disciplinano la materia e anche le due suddette disposizioni utilizzano, infatti, il termine “competenza” soltanto per indicare l’oggetto di cognizione del giudice (vedi art. 107, comma 2, cit.);

d) neppure le norme processuali prevedono una simile nullità e neanche potrebbe sostenersi che la “competenza” territoriale dell’ufficiale giudiziario rappresenti un requisito necessario perchè la notificazione raggiunga il suo scopo, visto che la relativa violazione non incide sulla garanzia della consegna al destinatario dell’atto con modalità idonee ad assicurarne la conoscibilità, tanto più nel caso di notifica a mezzo posta nella quale l’ufficiale giudiziario è solo mittente del plico raccomandato mentre la notifica viene completata dall’ufficiale postale del luogo di residenza dell’intimato.

10.2. Di qui la conclusione che, nell’ipotesi di cui si tratta, non è configurabile una nullità attinente al processo – come sostenuto da autorevole dottrina – anche se questo non vuol dire che non si producano conseguenze, solo che non si tratta di conseguenze processuali: in caso di richiesta delle parti di notificare atti che esulano dalle sue attribuzioni l’ufficiale giudiziario può motivatamente ricusare il suo ministero (D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 108) e se ciò non avviene è ipotizzabile l’irrogazione di sanzioni disciplinari, o di altro tipo, a carico dell’ufficiale giudiziario.

La successiva giurisprudenza amministrativa ha precisato che la violazione delle norme di cui al D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 106 e 107 non costituisce causa di nullità della notificazione, ma semplice irregolarità della stessa, non rilevante ai fini processuali (Cons. Stato Sez. 4, 13 ottobre 1983, n. 714; Cons. Stato, Sez. 4, 14 dicembre 2004, n. 8072 seguite dall’assolutamente prevalente giurisprudenza amministrativa, anche se non mancano alcune voci dissonanti, che peraltro richiamano la giurisprudenza di questa Corte; vedi per tutte: TAR Sicilia Palermo Sez. 3, 19 giugno 2013, n. 1339; TAR Sicilia Catania Sez. 4 Sent., 3 maggio 2008, n. 726).

11. Alla luce delle suddette osservazioni il Collegio ritiene che il suindicato indirizzo – che considera affetta da nullità la notifica eseguita da ufficiale giudiziario eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni territoriali – vada approfondito nelle sue premesse e nei suoi effetti e vada quindi superato, anche alla luce degli sviluppi della giurisprudenza di legittimità più recente, nella quale viene data ampia applicazione ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, a partire da Cass. SU 20 luglio 2016, n. 14916.

12. Quanto alle premesse come si è già detto e come risulta anche da Cons. Stato. Ad. Plen. 26 marzo 1982, n. 4 la tesi della nullità della notifica eseguita da ufficiale giudiziario eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni territoriali ha la sua radice in una risalente dottrina, secondo la quale il legislatore si era “dimenticato” di inserire tale ipotesi tra le nullità e che essa era da configurare come effettuazione di un atto in difetto di “competenza funzionale” dell’ufficiale giudiziario, antecedente rispetto a quelli contemplati nell’art. 160 c.p.c., ma da disciplinare ai sensi dell’art. 156 c.p.c..

In tutta la copiosa giurisprudenza di questa Corte successiva non si rinviene alcun approfondimento specifico al riguardo, nè nel corso degli anni si registrano modifiche derivanti dalle molteplici innovazioni in materia di notifiche e di disciplina del rapporto di lavoro del personale addetto agli UNEP ivi compreso il relativo trattamento retributivo.

13. Ebbene, a distanza di tanti anni dall’emanazione del D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 106 e 107 risulta oggi del tutto evidente l’errore di prospettiva della suindicata dottrina oltre che, a questo punto, la contrarietà dei relativi effetti ai principi del giusto processo.

L’errore di prospettiva è fondato su diversi elementi:

a) se, come sostenuto dalla suddetta dottrina, l’ipotizzata nullità è un vizio “logicamente precedente” rispetto a quelli previsti nell’art. 160 c.p.c. difficilmente esso può essere configurato come vizio “processuale”, in quanto esso, anche nell’indicata prospettiva, più che incidere sul processo – ai cui fini è sufficiente che sia garantita la consegna al destinatario con modalità idonee ad assicurarne la conoscibilità dell’atto – riguarderebbe la “competenza” dell’ufficiale giudiziario nell’ambito del procedimento notificatorio;

b) ma, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, nè gli artt. 106 e 107 cit. nè altre norme della materia fanno riferimento, al riguardo, al concetto di “competenza” dell’ufficiale giudiziario, in quanto si limitano a parlare di ripartizione delle attribuzioni tra ufficiali giudiziari e quindi dei relativi compiti, la cui mancata consapevole violazione è considerata valutabile dal punto di vista disciplinare (vedi D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 63, lett. h, nonchè D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55);

c) infatti, è significativo che il D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 106 e 107 non prevedano alcuna nullità per la notifica effettuata senza il rispetto della suddetta ripartizione;

d) ne consegue che appare improprio fare riferimento alla categoria della “competenza” funzionale o territoriale degli ufficiali giudiziari quando la rispettiva normativa non lo fa e soprattutto al fine di desumerne la produzione di effetti sul processo;

e) a tale ultimo riguardo va sottolineato che, poichè non si può mettere in dubbio che la notifica effettuata dall’ufficiale giudiziario extra districtum è del tutto idonea a raggiungere il suo scopo, la configurazione di una nullità di tipo processuale (sia pure sanabile) al di fuori delle ipotesi contemplate dall’art. 160 c.p.c. non può neppure rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 156 c.p.c., nel silenzio sia delle norme del codice che disciplinano le modalità di effettuazione delle notifiche sia del D.P.R. n. 1229 del 1959 e della normativa ad esso collegata;

f) sicuramente più esatto è fare riferimento ai “limiti territoriali delle attribuzioni” degli ufficiali giudiziari e questo consente di andare più agevolmente alla ratio di tali limiti che è da rinvenire nella necessità di distribuire il lavoro tra i vari uffici con la finalità di un’equa ripartizione degli introiti che, all’epoca, formavano la retribuzione, prettamente proventistica, degli ufficiali giudiziari;

g) tale ragione oggi è anche venuta meno perchè con la privatizzazione del pubblico impiego la disciplina del rapporto di lavoro e della responsabilità disciplinare gli ufficiali giudiziari e assimilati – quali impiegati dello Stato inseriti nel Comparto Ministeri ai fini della contrattazione collettiva – non è più compresa nella normativa “particolare”, prevista dal D.P.R. n. 1229 del 1959, essendo dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001 e dalla contrattazione collettiva di settore – a partire dal primo CCNL Comparto Ministeri, entrato in vigore il 16 maggio 1995, – con applicazione di un complesso metodo retributivo che può ritenersi assimilabile al trattamento stipendiale degli impiegati statali e che non è più legato ai proventi riscossi per le notifiche come lo era un tempo (Cass. SU 25 luglio 2006, n. 16895; Cass. 28 settembre 2006, n. 21032).

14. Tutte le anzidette osservazioni non possono che portare all’accoglimento della soluzione secondo cui la violazione delle norme di cui al D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 106 e 107 costituisce una semplice irregolarità del comportamento del notificante (eventualmente sanzionabile disciplinarmente o ad altro titolo, se ne ricorrono i presupposti) la quale non solo è di per sè del tutto ininfluente sulla validità del procedimento notificatorio (visto che per la ripartizione delle attribuzioni tra gli ufficiali giudiziari la relativa disciplina non fa riferimento alla nozione di “competenza” territoriale) ma non produce alcun effetto ai fini processuali e quindi non può essere configurata come causa di nullità della notificazione.

15. Tale soluzione è conforme non solo al principio di tassatività delle nullità processuali (art. 156 c.p.c.), ma anche ai principi del giusto processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. che, in coerenza con l’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, comporta l’attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo – costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito – che impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o che, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo (vedi, fra le tante, Corte EDU: sentenze Beles e altri c. Repubblica ceca, 12 novembre 2002 – p. 62; Viard c. Francia, 9 gennaio 2014 – p. 38; Kemp e altri c. Lussemburgo, 24 aprile 2008 – p. 53; Trevisanato c. Italia, 15 settembre 2016 – p. 45).

16. Dal punto di vista sistematico la suindicata soluzione, oltre ad avere il pregio di essere uguale a quella applicata dalla prevalente giurisprudenza amministrativa – con conseguente semplificazione del sistema complessivo – è anche in linea con le profonde evoluzioni che si sono avute in materia di notificazioni, contraddistinte dalla perdita di rilievo del “requisito territoriale” del notificante, come evidenziato anche nella presente ordinanza di rimessione.

Ciò si verifica, infatti, sia nel ricorso alle piattaforme telematiche collegate ad anagrafe elettronica obbligatoria (che è in espansione), sia nella crescente diffusione delle notifiche a mezzo posta (L. n. 890 del 1982) e di quelle eseguite in proprio dagli avvocati (L. n. 53 del 1994), ora anche mediante PEC (Posta Elettronica Certificata).

Lo stesso accade anche in ambito UE sia con riguardo al titolo esecutivo europeo (Cass. 22 maggio 2015, n. 10543) sia per quel che si riferisce al riconoscimento, ai sensi del regolamento 13 novembre 2007, n. 1393/2007/CE, di una competenza generalizzata agli organi mittenti (per l’Italia: gli UNEP costituiti presso le Corti d’appello o presso i Tribunali che non siano sede di Corti d’appello) in relazione a tutti gli atti da notificare negli Stati membri dell’Unione, senza limiti territoriali.

17. Per tutte le anzidette ragioni il primo motivo di ricorso deve essere respinto e per la soluzione delle questioni di massima di particolare importanza prospettate nell’ordinanza interlocutoria va affermato il seguente principio di diritto:

“in tema di notificazione, la violazione delle norme di cui al D.P.R. n. 1229 del 1959, artt. 106 e 107 costituisce una semplice irregolarità del comportamento del notificante la quale non produce alcun effetto ai fini processuali e quindi non può essere configurata come causa di nullità della notificazione. In particolare, la suddetta irregolarità, nascendo dalla violazione di norme di organizzazione del servizio svolto dagli ufficiali giudiziari non incide sull’idoneità della notificazione a rispondere alla propria funzione nell’ambito del processo e può, eventualmente, rilevare soltanto ai fini della responsabilità disciplinare o di altro tipo del singolo ufficiale giudiziario che ha eseguito la notificazione”.

18. Restano da esaminare il secondo e il terzo motivo di ricorso, che come si è detto vanno dichiarati inammissibili.

19. Per il secondo motivo a tale conclusione si perviene perchè, come ha osservato l’Avvocato generale nelle proprie conclusioni, con esso si deduce solo apparentemente una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (orientamento consolidato; di recente: Cass. 4 aprile 2017, n. 8758) ponendo così in discussione l’attività di “governo delle prove” che spetta al giudice del merito. Tale attività va svolta in base al principio del libero convincimento del giudice ed è regolata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., la cui eventuale violazione è apprezzabile nel giudizio di cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile “ratione temporis”, che nella specie è quello successivo alla sostituzione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Ciò è reso evidente dal fatto che non si denuncia l’avvenuta attribuzione, da parte della Corte d’appello, dell’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risultava gravata secondo le regole dettate dal’art. 2697 cod. civ., ma si sostiene l’erroneità delle modalità di valutazione delle prove – derivante dalla mancata effettuazione della prospettata “comparazione” del comportamento dei due contraenti – da cui sarebbe derivata una errata ricostruzione dei fatti. Ma l’unico profilo di censura denunciabile – e quindi ammissibile – nel ricorso per cassazione come violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è solo quello del mancato rispetto delle regole sull’attribuzione dell’onere probatorio, che qui non viene prospettato (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).

20. Con il terzo motivo si denuncia l’erroneità dell’attività di valutazione delle prove svolta dalla Corte territoriale, ma le censure risultano formulate in modo da esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dalla Corte d’appello, che come tale è di per sè inammissibile. A ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo qui applicabile ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano.

III – Conclusioni.

In sintesi, il primo motivo di ricorso deve essere respinto e gli altri due vanno dichiarati inammissibili, sicchè il ricorso nel suo complesso va rigettato.

La complessità delle questioni trattate e la sostanziale novità della soluzione accolta impone l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Compensa, fra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2018


L’attività formativa dell’Associazione – anno 2019

Formazione10Il «Progetto per la valorizzazione del Messo Comunale» è una iniziativa dell’Associazione A.N.N.A. che ha come obbiettivo principale quello di riqualificare la figura ed il ruolo del Messo Comunale e tutte le figure che svolgono l’attività  di notificazione, attraverso la conoscenza dei principi fondamentali del Procedimento notificatorio.

L’Associazione attraverso tale iniziativa, che si svolge su tutto il territorio nazionale, intende dare il proprio contributo affinché l’applicazione delle norme che regolano il Procedimento notificatorio sia la più uniforme possibile .

L’informatizzazione della pubblica amministrazione è certamente una delle principali sfide che Stato, Regioni ed Enti locali si trovano ad affrontare in questo momento storico. L’impatto della tecnologia sull’amministrazione pubblica ed i servizi ai cittadini è di enorme portata, ma per risultare veramente efficace il processo di informatizzazione necessita di un gran numero di strumenti normativi, tecnici ed organizzativi. Gli effetti dello sviluppo e della diffusione dell’innovazione tecnologica sulla produzione documentaria sono oramai rilevanti (basti pensare a quelli derivanti dall’introduzione della firma elettronica e del servizio di posta elettronica certificata che hanno reso possibile la formazione, la trasmissione e la ricezione di documenti informatici a valenza giuridica e forza probatoria), il che rende necessari l’attivazione di sistemi di gestione elettronica e lo sviluppo di soluzioni di natura archivistica, organizzativa e tecnologica, capaci di garantire la conservazione nel tempo e la fruizione della memoria digitale.

Di fronte a tale situazione, A.N.N.A. si propone di fornire un contributo alla soluzione delle problematiche connesse alla produzione e conservazione dei documenti e degli archivi informatici; problematiche che, se non affrontate correttamente, rischiano di provocare la perdita irreversibile di gran parte del patrimonio archivistico che sarà  prodotto in futuro dalle amministrazioni pubbliche e dalle imprese.

Le giornate di studio, di carattere prevalentemente pratico, affrontano la materia delle notifiche attraverso l’analisi, lo sviluppo ed il coordinamento delle norme procedurali. Particolare attenzione viene prestata alla compilazione dei moduli operativi, anche in relazione alle conseguenze derivanti dall’evoluzione giurisprudenziale che spesso sopperisce a lacune legislative ovvero ne determina ulteriori dubbi e difficoltà  sull’applicabilità  delle norme. Si tratterrà , inoltre, in maniera approfondita della Notifica On Line

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà  ad effettuare l’esame di idoneità  per le persone che verranno indicate al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (Art. 1, comma 158 e ss.).

I docenti sono operatori di settore che, con una collaudata metodologia didattica, assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

PRIMO SEMESTRE  2019

Data Luogo Tipologia
 Venerdì 1 Febbraio  Lendinara (RO) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Mercoledì 13 Febbraio  Montecchio Emilia (RE) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 21 Febbraio  Udine Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Martedì 5 Marzo  Almenno San Bartolomeo (BG)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 15 Marzo  Lainate (MI) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Martedì 19 Marzo  Acuto (FR) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
(In house)
 Martedì 26 Marzo  Zola Predosa (BO) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 29 Marzo  Imperia Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 5 Aprile  Unione Montana Valbrenta (VI) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 11 Aprile  Fara in Sabina (RI) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 18 Aprile  Pescara Giornata di Studio per Agenti Notificatori
(In house)
 Venerdì 31 Maggio  Caldiero (VR) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
(In house)
 Venerdì 28 Giugno  Iglesias (CI) Giornata di Studio per Agenti Notificatori

SECONDO SEMESTRE  2019

Data Luogo Tipologia
 Venerdì 6 Settembre  Crotone Giornata di Studio per Agenti Notificatori
(In house)
 Martedì 1 Ottobre  Asciano (SI) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 7 Novembre  Ancona  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 8 Novembre  Cesena (FC)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori

Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 24-05-2018) 02-07-2018, n. 17235

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4488-2017 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MICCICHE’, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO MAGGIOLO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

nonchè contro

EQUITALIA NORD SPA, (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 887/31/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di VENEZIA, depositata il 07/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/05/2018 dal Consigliere Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
P.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza della CTR Veneto indicata in epigrafe, con la quale è stato respinto l’appello del contribuente e confermata la legittimità del preavviso di fermo in relazione alla rituale notifica dell’atto propedeutico, effettuato con raccomandata consegnata alla moglie del contribuente pur senza l’inoltro di raccomandata informativa al destinatario.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

Il primo motivo di ricorso, con il quale si prospetta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b) bis e dell’art. 19 c.p.c., è manifestamente fondato.

Ed invero, questa Corte ha di recente ricordato che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nel caso la notifica venga eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte, il messo deve fare sottoscrivere dal consegnatario l’atto o l’avviso) ovvero deve indicare i motivi per i quali il consegnatario non ha sottoscritto prevedendo ancora alla lett. b) bis che, nel caso il consegnatario non sia il destinatario dell’atto o dell’avviso il messo consegni o depositi la copia dell’atto da notificare in busta sigillata, su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto stesso – cfr. Cass. n. 2868/2017. Nella medesima circostanza si è aggiunto che il consegnatario deve sottoscrivere una ricevuta e il messo deve dare notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata, poi espressamente ritenendo che “… Il tenore letterale della disposizione configura la raccomandata informativa come un adempimento essenziale del procedimento di notifica: tale è l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte che, tenuto conto delle pronunce della Corte Costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012 relativa al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3 (ora 4) e n. 3 del 2010 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anzichè con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione – ha deciso che nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto D.P.R. n. 600 del 1973, citato art. 26, u.c. e art. 60, comma 1, alinea, sicchè è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione. Sez. 5, Sentenza n. 25079 del 26/11/2014′- cfr. Cass. n. 2868/2017.

A tale principio non si è conformato il giudice di merito che ha, per converso, escluso la necessità della raccomandata informativa in caso di consegna della raccomandata a familiare del destinatario dell’atto.

Pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Veneto anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Veneto anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2018


Consiglio di Stato, sent. n. 3309-2018

La possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell’ultimo giorno).

Leggi: Consiglio di Stato, sent. n. 3309-2018


Deposito telematico: fino alle ore 24 dell’ultimo giorno

La possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell’ultimo giorno).

Ciò non contrasta con la disposizione, secondo cui, il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo: tale effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa solo che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.

Lo ha chiarito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3309/2018 che ha fornito precisazioni sul punto pronunciandosi sulla presunta tardività della memoria depositata da una delle parti in causa.

Gli appellanti avevano eccepito la tardività di tale deposito ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione del c.p.a. poiché intervenuto telematicamente oltre le ore 12 della stessa giornata, precisamente alle ore 17:57 del 5 febbraio 2018, ultimo giorno per il deposito della memoria prima dell’udienza di merito.

Deposito telematico atti fino alle 24 dell’ultimo giorno

In realtà, spiegano i giudici, la possibilità di depositare gli atti in forma telematica è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito dal citato art. 4, comma 4, e tale soluzione non contrasta con quanto indicato dell’ultimo periodo della stessa disposizione, secondo cui il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo.

Questo effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa unicamente che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.

Deve dunque ritenersi che, ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo (così come modificato dall’art. 7 del d.l. 31 agosto 2016, n. 168), la possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell’ultimo giorno).

Il deposito telematico si considera quindi perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno senza rilevanza preclusiva con riguardo all’ora.


La rinnovazione della notificazione

La rinnovazione della notificazione: la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente cha ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio

“La notificazione che non abbia raggiunto il proprio scopo ossia che non abbia portato il destinatario a conoscenza dell’atto notificato è una notificazione nulla.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, hanno esaminato tutti i vizi della notificazione, distinguendo tra quelli cui consegue l’inesistenza e quelli cui consegue la nullità e relativamente all’inesatta individuazione del luogo di destinazione hanno statuito: “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione (ma la statuizione vale per tutti gli atti notificati, n.d.s.) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.)”.

È confermato, dunque, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, che l’inesatta individuazione del luogo in cui la notificazione deve essere eseguita (che, ai sensi dell’art. 145 Cod. proc. civ., per le persone giuridiche va fatta nella loro sede) comporta la nullità della notificazione, con conseguente applicazione, per il giudizio amministrativo, dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm. per il quale: “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla”.

La disposizione delinea una fase processuale ad attivazione officiosa in caso di notificazione eseguita cui non sia seguita, però, la costituzione del destinatario e impone al giudice di accertare se l’esito negativo, ovvero la nullità, dipenda da causa non imputabile al notificante e, in quel caso, fissare un termine perentorio per la sua rinnovazione.

Nel giudizio di primo grado tale fase non ha avuto luogo avendo il giudice solo differito l’udienza camerale “al fine di consentire all’avvocato del ricorrente di procedere alla rinotifica del ricorso” (così nel verbale dell’udienza del 9 maggio 2017). Nessuna verifica sulle ragioni della nullità della notificazione è stata effettuata dal giudice prima di disporre il differimento dell’udienza, non è stata ordinata la rinnovazione della notifica in un termine perentorio che, dunque, può dirsi spontaneamente avvenuta.

La rinnovazione è stata eseguita dalla ricorrente; il procedimento di notificazione è andato a buon fine; il giudice, tuttavia, in sentenza ha ritenuto tardiva la notifica effettuata al controinteressato e irricevibile il ricorso.

Ritiene il Collegio che la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente cha ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio: ove conclusa con esito positivo sana la nullità della notificazione con effetti retroattivi (l’equiparazione tra spontanea rinnovazione e rinnovazione per ordine del giudice è comune nelle sentenze che affrontano la questione della sanabilità della nullità della notificazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6008; sez. V, 13 settembre 2013, n. 4530; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5263; sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).

Nel caso in cui, però, la seconda notifica sia effettuata a termine decorso, come normalmente avviene, è necessario comunque accertare l’imputabilità alla parte della nullità della prima notificazione.

A distinguere la spontanea rinnovazione e la rinnovazione per ordine del giudice, allora, è il momento in cui avviene siffatta verifica dell’imputabilità: nel primo caso quando la notifica è già (ri)attivata e, di solito, perfezionatasi, nel secondo, prima della concessione del termine per la rinnovazione della notifica.

La ricorrente, dunque, che prima dell’udienza ha avuto conoscenza della nullità della notificazione, ha facoltà di procedere alla riattivazione del procedimento notificatorio, senza attendere la concessione di un termine dal giudice; spetterà, poi, comunque, al giudice valutare l’imputabilità della nullità (della prima notifica) alla parte e, se il giudizio dà esito negativo, dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività…”

Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2018) 18-06-2018, n. 3732

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero di registro generale 9148 del 2017, proposto da

P.L. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Federico Liccardo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lucrezia Riccio in Roma, p.zza dei Martiri Belfiore, 4;

contro

Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Califano in Roma, piazza dei Consoli, 11;

nei confronti

  1. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Marrama, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Roberto Gerosa in Roma, via Virgilio, 18;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 05406/2017, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vico Equense e di E. s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 aprile 2018 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Federico Liccardo, Ferola in dichiarata delega dell’avvocato Erik Furno;

Svolgimento del processo

  1. Con determinazione dirigenziale 23 gennaio 2017 n. 144 il Comune di Vico Equense aggiudicava alla P.L. s.r.l. il contratto avente ad oggetto il “servizio di gestione delle aree di sosta a pagamento ubicate sulle strade di proprietà comunale mediante appalto di pubblico servizio”.
  2. L’aggiudicazione era impugnata dalla seconda graduata, T.M. s.r.l., al Tribunale amministrativo regionale per la Campania con unico motivo di ricorso con il quale era contestata l’ammissione alla procedura della P.L. s.r.l. per omessa dichiarazione di due gravi errori professionali rilevanti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) 12 aprile 2006, n. 163.

2.1. Più esattamente, riferiva la ricorrente, gli errori professionali erano imputabili al Consorzio U. che aveva ceduto l’azienda alla U.M. s.p.a., e proprio a quest’ultima, poi denominata T.C.M. s.r.l., dalla quale la P.L. s.r.l. aveva acquisito in locazione l’azienda medesima con contratto datato 30 marzo 2016. Assumeva la ricorrente che gli errori professionali, commessi dalle società indicate negli appalti gestiti per il Comune di Ravello e per quello di Latina, dovevano essere dichiarati nella domanda di partecipazione alla procedura di gara della P.L. s.r.l.

2.3. Con ordinanza cautelare 21 febbraio 2017 il Tribunale amministrativo sospendeva l’aggiudicazione alla P.L. s.r.l..

  1. Con determinazione dirigenziale 10 marzo 2017, n. 314, il Comune di Vico Equense disponeva in via di autotutela la revoca dell’aggiudicazione del contratto a P.L. s.r.l. e aggiudicava definitivamente la gara a T.M. s.r.l., che, dunque, nel giudizio pendente, dichiarava la propria sopravvenuta carenza di interesse per aver ottenuto all’aggiudicazione sperata.
  2. Il provvedimento di revoca era impugnato con autonomo ricorso da P.L. s.r.l. con unico motivo di ricorso con il quale contestava l’esistenza di un onere dichiarativo riferito ad errori commessi non dall’operatore economico concorrente, ma dalla società locatrice dell’azienda o anche dalla precedente proprietaria della stessa.
  3. Il ricorso era notificato il 28 marzo 2017 alla controinteressata T.M. s.r.l. presso la sede legale come risultante dal registro delle imprese a mezzo servizio postale. La notificazione non andava, però, a buon fine per irreperibilità assoluta della società con conseguente restituzione del plico al notificante.

5.1. All’udienza del 9 maggio 2017 il difensore di P.L. s.r.l. domandava il differimento dell’udienza per poter provvedere alla rinotifica del ricorso alla controinteressata; concesso il differimento, la notifica, eseguita a mezzo PEC, andava a buon fine.

5.2. Nel giudizio si costituivano, pertanto, il Comune di Vico Equense e la T.M. s.r.l., la quale, preliminarmente eccepiva l’inammissibilità del ricorso per tardività poiché, a suo dire, la ricorrente avrebbe dovuto chiedere un termine perentorio per effettuare la rinotifica e non solamente il differimento dell’udienza.

5.3. Il Tribunale amministrativo, con sentenza sezione settima, 15 novembre 2017, n. 5406, dichiarava irricevibile il ricorso, che, pure nel merito, riteneva non fondato, con condanna della ricorrente a rifondere al Comune di Vico e alla controinteressata le spese di lite.

  1. Propone appello la P.L. s.r.l.; resistono il Comune di Vico Equense e la E. s.r.l., in proprio e quale cessionaria dell’azienda già di T.M. s.r.l.; il Comune di Vico Equense e la P.L. s.r.l. hanno presentato memorie in vista dell’udienza pubblica. All’udienza del 26 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

  1. La sentenza impugnata ha dichiarato il ricorso di P.L. s.r.l. irricevibile per tardività e, tuttavia, in motivazione, ha esaminato il motivo proposto dalla ricorrente, ritenuto infondato.

1.1. La ragione dell’irricevibilità è indicata dal giudice nella tardività della notifica del ricorso alla controinteressata perfezionatasi solo il 9 maggio 2017, quando era già maturata la decadenza prevista dall’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm. Qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato ed almeno ad uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge….

  1. Il primo motivo di appello è rivolto al capo di sentenza sull’irricevibilità che P.L. s.r.l. censura per “Error in iudicando: violazione dell’art. 44 C.P.A. degli artt. 145 e 160 C.P.C. e dell’art. 8 della L. n. 890 del 1982; presupposto erroneo travisamento dei fatti motivazione omessa e contraddittoria”.

2.1. Per l’appellante il giudice di primo grado avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., che presuppone la nullità della notificazione, ad un caso in cui la notificazione del ricorso non era affetta da nulla.

2.2. I fatti esposti dall’appellante e non contestati sono i seguenti: la notifica del ricorso era stata avviata il 28 marzo 2017 – e, dunque, entro il termine di legge per la notifica al controinteressato in caso di azione di annullamento – a mezzo servizio postale presso la sede legale della società, in C. alla via D. M. n, 193, indirizzo risultante dalla visura camerale effettuata prima di attivare la notifica; l’ufficiale postale ha accertato l’irreperibilità assoluta del destinatario, ovvero che all’indirizzo indicato dal mittente non corrispondeva la sede legale della società e, per questo motivo, ha restituito il plico al mittente.

2.3. Non ricorre, conclude l’appellante, un caso di nullità della notificazione ma solamente un caso di mancato perfezionamento della stessa; non trova applicazione, pertanto, l’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., con la richiesta al giudice di un termine per la rinnovazione della notifica, da concedere previa verifica della non imputabilità al notificante della nullità, ma la diversa regola, enunciata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione per la quale è facoltà ed onere del notificante, in caso di notifica non correttamente conclusasi, riattivare quanto prima il procedimento di notificazione effettuando una nuova notifica che, ove regolarmente conclusasi, avrà effetto dal primo atto di notificazione.

  1. Il motivo è fondato e va accolto con le precisazioni che seguono.

3.1. La notificazione che non abbia raggiunto il proprio scopo ossia che non abbia portato il destinatario a conoscenza dell’atto notificato è una notificazione nulla.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, hanno esaminato tutti i vizi della notificazione, distinguendo tra quelli cui consegue l’inesistenza e quelli cui consegue la nullità e relativamente all’inesatta individuazione del luogo di destinazione hanno statuito: “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione (ma la statuizione vale per tutti gli atti notificati, n.d.s.) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.)”.

3.2. È confermato, dunque, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, che l’inesatta individuazione del luogo in cui la notificazione deve essere eseguita (che, ai sensi dell’art. 145 Cod. proc. civ., per le persone giuridiche va fatta nella loro sede) comporta la nullità della notificazione, con conseguente applicazione, per il giudizio amministrativo, dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm. per il quale: “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla”.

3.3. La disposizione delinea una fase processuale ad attivazione officiosa in caso di notificazione eseguita cui non sia seguita, però, la costituzione del destinatario e impone al giudice di accertare se l’esito negativo, ovvero la nullità, dipenda da causa non imputabile al notificante e, in quel caso, fissare un termine perentorio per la sua rinnovazione.

3.4. Nel giudizio di primo grado tale fase non ha avuto luogo avendo il giudice solo differito l’udienza camerale “al fine di consentire all’avvocato del ricorrente di procedere alla rinotifica del ricorso” (così nel verbale dell’udienza del 9 maggio 2017). Nessuna verifica sulle ragioni della nullità della notificazione è stata effettuata dal giudice prima di disporre il differimento dell’udienza, non è stata ordinata la rinnovazione della notifica in un termine perentorio che, dunque, può dirsi spontaneamente avvenuta.

La rinnovazione è stata eseguita dalla ricorrente; il procedimento di notificazione è andato a buon fine; il giudice, tuttavia, in sentenza ha ritenuto tardiva la notifica effettuata al controinteressato e irricevibile il ricorso.

3.5. Ritiene il Collegio che la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente che ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio: ove conclusa con esito positivo sana la nullità della notificazione con effetti retroattivi (l’equiparazione tra spontanea rinnovazione e rinnovazione per ordine del giudice è comune nelle sentenze che affrontano la questione della sanabilità della nullità della notificazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6008; sez. V, 13 settembre 2013, n. 4530; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5263; sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).

Nel caso in cui, però, la seconda notifica sia effettuata a termine decorso, come normalmente avviene, è necessario comunque accertare l’imputabilità alla parte della nullità della prima notificazione.

A distinguere la spontanea rinnovazione e la rinnovazione per ordine del giudice, allora, è il momento in cui avviene siffatta verifica dell’imputabilità: nel primo caso quando la notifica è già (ri)attivata e, di solito, perfezionatasi, nel secondo, prima della concessione del termine per la rinnovazione della notifica.

3.6. La ricorrente, dunque, che prima dell’udienza ha avuto conoscenza della nullità della notificazione, ha facoltà di procedere alla riattivazione del procedimento notificatorio, senza attendere la concessione di un termine dal giudice; spetterà, poi, comunque, al giudice valutare l’imputabilità della nullità (della prima notifica alla parte e, se il giudizio dà esito negativo, dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività.

3.7. La peculiarità dell’odierna vicenda – il fatto cioè che la riattivazione è stata spontanea ma non immediata bensì solo successiva alla prima udienza all’uopo differita – non vale a modificare la conclusione raggiunta: il giudice, alla nuova udienza, avrebbe dovuto comunque valutare le ragioni della nullità della prima notifica e solamente ove imputabili al ricorrente dichiarare irricevibile il ricorso perché tardivamente proposto.

Tale verifica non è stata, invece, effettuata e la sentenza ha ingiustamente sanzionato la ricorrente per non aver richiesto la concessione del termine per la rinnovazione della notifica ; termine che, però, il giudice era tenuto d’ufficio ad assegnare o negare, ma solo dopo aver valutato l’imputabilità della nullità.

  1. In forza dell’effetto devolutivo dell’appello, spetta a questo giudice verificare l’imputabilità della nullità della prima notificazione alla parte ricorrente.

4.1. Precisato che la controinteressata ha riconosciuto la non imputabilità a P.L. s.r.l. della nullità della prima notificazione, è documentato in atti che alla data della prima notificazione (28 marzo 2017) la sede sociale della T.M. s.r.l., quale risultante dal registro delle imprese, era in C. alla via D. M., n. 193 presso cui è stato indirizzato il ricorso. L’esito negativo del procedimento di notificazione non è, dunque, imputabile alla ricorrente.

  1. Resta un ultimo profilo da esaminare. Il Comune di Vico Equense, nella propria memoria, ha rilevato che, anche a voler ritenere ammissibile la nuova notifica spontaneamente eseguita (id est: in mancanza di ordine del giudice), questa sarebbe avvenuta a distanza di tempo dalla prima notifica, e dovrebbe, per questo, essere comunque ritenuta inammissibile (con conseguente conferma della irricevibilità per tardività del ricorso).

5.1. Effettivamente, la giurisprudenza civile, correttamente richiamato dall’appellata, onera la parte notificante di riattivare spontaneamente il procedimento notificatorio non conclusosi positivamente entro un congruo termine.

5.2. Il Collegio ritiene condivisibile il principio; nel caso di specie, però, può dirsi che P.L. s.r.l. abbia riattivato il procedimento notificatorio in un congruo termine: non risulta dagli atti di causa la data in cui il plico è stato restituito al mittente e, tuttavia, è immaginabile che ciò sia avvenuto in circa dieci giorni dalla notificazione e, quindi, intorno al 10 aprile. La nuova notifica, avvenuta via PEC, il 9 maggio è dunque stata effettuata in un termine che può reputarsi congruo.

  1. Alla declaratoria di irricevibilità del ricorso per tardività il giudice di primo grado avrebbe dovuto arrestare la sua pronuncia. Come preannunciato, però, la sentenza impugnata riporta, in motivazione, anche un capo di merito nel quale è giudicato infondato il motivo di ricorso proposto da P.L. s.r.l.

6.1. La Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si sia spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia (e lo stesso vale per le declinatorie di giurisdizione o di competenza), abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito della causa, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle, di talchè l’impugnazione, mentre è ammissibile nella parte in cui sia rivolta contro la statuizione pregiudiziale, è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata” (Cass. civ., Sezioni Unite, 30 ottobre 2013, n. 24469 e Cass. civ. Sezioni Unite, 20 febbraio 2007, n. 3840).

6.2. Il principio va adeguato al giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato, con la precisazione che il motivo di appello proposto avverso la parte di merito di una sentenza che abbia, con statuizione pregiudiziale, dichiarato irricevibile o inammissibile il ricorso proposto, vale come riproposizione del motivo assorbito ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.

  1. Il secondo motivo di appello (rubricato: “Error in iudicando: inesistenza dell’onere dichiarativo ed intrasmissibilità di un requisito soggettivo; motivazione errata ed omessa”) censura la sentenza di primo grado per aver confermato la legittimità del provvedimento di esclusione di P.L. s.r.l. dalla procedura di gara per omessa dichiarazione dei gravi errori professionali ex art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 commessi nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto da U.M. s.p.a. (nel Comune di Ravello) e Consorzio U.V. la città (nel Comune di Latina), dai quali, attraverso due successivi passaggi, la P.L. s.r.l. aveva ottenuto la disponibilità dell’azienda.

7.1. Sostiene l’appellante che l’aver commesso errori professionali nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto costituisce un requisito soggettivo intrasmissibile nei successivi passaggi di titolarità dell’azienda; esso, dunque, rimane in capo all’imprenditore (concetto diverso da azienda, sottolinea la parte) che li ha commessi e non è trasferito ai successivi titolari dell’azienda che, dunque, non sono tenuti a darne atto nelle loro dichiarazioni.

Peraltro, specifica ancora la parte, il trasferimento d’azienda, invero già riconosciuto come a scopo elusivo dal Consiglio di Stato, nella sentenza 7 giugno 2017 n. 2733, quanto alla cessione intervenuta tra Consorzio U. e U.M. s.p.a., di certo non è tale nell’affitto intervenuto tra T.C.M. s.r.l. (nuova denominazione di U.M. s.p.a.) e P.L. s.r.l., non essendo ravvisabile alcuna forma di collegamento tra le due imprese.

  1. Il motivo è infondato e va respinto.

8.1. L’azienda nella disponibilità di P.L. s.r.l. ha subito i seguenti passaggi di mano: è stata ceduta dal Consorzio U. a U.M. s.p.a. con contratto di cessione d’azienda 7 febbraio 2012 e successivamente affittata da U.M. s.p.a., nella nuova denominazione di T.C.M. s.r.l. all’odierna appellante P.L. s.r.l. con contratto del 30 marzo 2016.

8.2. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 4 maggio 2012 n. 10 ha interpretato l’art. 38, comma 2, D.Lgs. 12 aprile 2006 nel senso che ai “soggetti cessati dalla carica di amministratore e direttore tecnico, n.d.s. nell’anno antecedente alla data di pubblicazione del bando” – dei quali il concorrente è tenuto ad attestare il possesso dei requisiti generali di partecipazione – vanno equiparati anche gli amministratori e i direttori tecnici delle aziende che il concorrente abbia acquisito mediante cessione di azienda nell’anno precedente. L’operatore economico è tenuto, pertanto, ad attestare i requisiti di moralità anche degli amministratori e dei direttori tecnici della società che gestiva l’azienda nell’anno precedente alla pubblicazione del bando.

La giurisprudenza successiva ha equiparato alla cessione d’azienda il contratto di affitto di azienda (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3607; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045; sez. V, 3 febbraio 2016, n. 412 in cui si afferma chiaramente: “La fattispecie di “cessione di azienda”, cui si riferiscono le citate pronunce (in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen. 4 maggio 2012, n. 10), è sicuramente rappresentata dal trasferimento dell’azienda, riferibile ad una vicenda traslativa, ma è estensibile, per identità di ratio, anche all’affitto d’azienda. Infatti, pur se nel Codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o affitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente (atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara), tuttavia si deve ritenere che il citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (così A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie specifica della cessione d’azienda)”) ed ha precisato che l’obbligo di dichiarazione riguarda tutti i requisiti di partecipazione a procedure di affidamento e, dunque, non solo l’assenza di precedenti condanne penali (lett. c) dell’art. 38 cit.), ma anche l’assenza di grave errore professionale nell’esecuzione di precedenti contratti (lett. f) dell’art. 38 cit.) (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2017, n. 2733).

8.3. La P.L. s.r.l. era, dunque, tenuta ad attestare il possesso dei requisiti generali di partecipazione degli amministratori e direttori tecnici della società locatrice dell’azienda, la U.M. s.p.a..

8.4. L’estensione dell’obbligo di attestazione dei requisiti di moralità agli amministratori cessati dalla carica (nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando: art. 38 cit.) nonché agli amministratori cedenti l’azienda (o la cui azienda sia stata fusa per incorporazione: Adunanza plenaria nn. 10 e 21 del 2012) è per evitare la partecipazione alla procedura di gara di una società già utilizzata per commettere illeciti e “ripulita” mediante il ricambio degli amministratori ovvero attraverso un successivo passaggio di mano.

Ciò in ragione di una presunzione di continuità tra la vecchia e nuova gestione imprenditoriale – tale che le vicende circolatorie sottendono, in realtà, l’unicità dell’imprenditore – che, pure, può essere superata dando la prova della cesura tra l’una e l’altra (cfr. Adunanza plenaria n. 12 del 2010: “Ad ogni modo, proprio nella logica del cennato fenomeno della dissociazione, al cessionario va riconosciuta la possibilità di comprovare che la cessione si è svolta secondo una linea di discontinuità rispetto alla precedente gestione, tale da escludere alcuna influenza dei comportamenti degli amministratori e direttori tecnici della cedente”).

8.5. Questa sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 7 giugno 2017, n. 2733, ha già dichiarato la continuità aziendale nei rapporti tra il Consorzio U. e U. M. s.r.l. (poi divenuta T.C.M. s.r.l.) in giudizio instaurato dall’odierna controinteressata avverso il provvedimento di aggiudicazione adottato dal Comune di San Giorgio a Cremano, ritenendo mai avvenuta la cesura tra vecchia e nuova gestione.

8.6. La continuità aziendale non può dirsi venuta meno neppure nel passaggio, avvenuto mediante l’affitto dell’azienda, tra la T.C.M. s.r.l. e l’odierna appellante P.L. s.r.l.

L’appellante ha solo dichiarato l’inesistenza di legami tra le due società, senza darne compiutamente prova. La visura camerale della T.C.M. s.r.l., versata in atti dalla controinteressata, dimostra, invece, la coincidenza (sia pur parziale) nella proprietà delle due società, essendo il capitale di T.C.M. s.r.l. detenuto in gran parte da I.G. H. s.r.l. che è socia con il 45% delle quote anche di P.L. s.r.l..

D’altronde, l’appellante non ha fornito la visura camerale attestante la compagine sociale dell’altra società (la A.G. s.r.l.) che detiene la quota maggioritaria del suo capitale sociale.

I documenti in atti, più che indirizzare nel senso dell’estraneità delle società parti del contratto di affitto, conducono, ancora una volta, a ritenere la presenza dell’unicità imprenditoriale, sia pur variamente interpolata mediante diverse strutture societarie.

  1. Con un ultimo motivo di appello P.L. s.r.l. censura la sentenza di primo grado per “Error in iudicando: violazione degli art. 38 e 46 del D.Lgs. n. 163 del 2006”. Ritiene l’appellante (rivolgendo la sua critica alla sentenza di primo grado, ma di fatto contestando il provvedimento di esclusione) che nel caso di specie non potesse farsi applicazione del principio giurisprudenziale per il quale l’omessa dichiarazione dei requisiti è essa stessa causa di esclusione, quale che sia la rilevanza del fatto taciuto. Ciò per essere stati gli errori professionali non dichiarati commessi dai precedenti titolari dell’azienda e non conosciuti se non dopo la stipulazione del contratto di affitto (mediante il ricorso di cui si è già detto dal quale è scaturita la citata sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2733 del 2017).
  2. Il motivo è infondato e va respinto.

Sull’ignoranza dei precedenti errori professionali che avevano condotto al provvedimento di risoluzione contrattuale del Comune di Ravello e al documento di non regolare esecuzione rilasciato dal Comune di Latina è dato dubitare per le ragioni esposte in precedenza sull’unicità dell’assetto imprenditoriale delle società contraenti l’affitto d’azienda; ad ogni modo, a parere del Collegio, la vicenda in esame, proprio per tutte le considerazioni finora svolte, non giustifica la deroga all’orientamento consolidato per il quale l’esclusione dalla procedura consegue per il solo fatto dell’omessa dichiarazione dei requisiti di cui all’art. 38, comma 1, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (ex multis: Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5707; sez. V, 27 settembre 2017, n. 4527, che, in relazione ai gravi errori professionali ha escluso anche l’utilizzabilità dell’istituto del soccorso istruttorio; sez. V, 10 agosto 2017, n. 3980; sez. V, 25 luglio 2016, n. 3402).

  1. In conclusione, i motivi di ricorso proposti dalla P.L. s.r.l. avverso il provvedimento impugnato devono essere respinti.
  2. L’accoglimento del primo motivo di appello giustifica la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania n. 5406/2017, decidendo nel merito, respinge il ricorso proposto da P.L. s.r.l.

Compensa le spese del giudizio tra tutte le parti in causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Valerio Perotti, Consigliere

Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore


Atti giudiziari e raccomandate: i nuovi moduli di Poste Italiane

Con una nota dello scorso 13 giugno 2018 (sotto allegata) il Ministero della Giustizia ha trasmesso agli interessati la comunicazione di Poste italiane S.p.A. riguardante la nuova modulistica predisposta per l’invio degli atti giudiziari e delle raccomandate giudiziarie.

La trasmissione è avvenuta nei confronti del Presidente e del Procuratore generale della Cassazione, dei Presidenti e Procuratori generali delle Corti d’appello, del Presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, nonché, per conoscenza, al Consiglio Nazionale Forense con preghiera di assicurarne, per quanto di rispettiva competenza, idonea diffusione presso le cancellerie e le segreterie giudiziarie.

Poste Italiane, infatti, ha evidenziato la necessità che, a partire da lunedì 4 giugno 2018, sia utilizzata la nuova modulistica predisposta per l’invio di Atti Giudiziari e Raccomandate Giudiziarie, precisando che, qualora il mittente non utilizzi i nuovi modelli, sarà invitato al riallestimento degli invii.

Nuovi modelli: la richiesta agli indirizzi e-mail di Poste

Poste ha chiarito che i nuovi modelli saranno forniti, ai sensi della Convenzione attualmente vigente con il Ministero della Giustizia, mediante invio della richiesta agli indirizzi e-mail contenuti nell’allegato 1, riportato in calce alla comunicazione.

Nella richiesta dovrà essere indicato come oggetto della comunicazione “Richiesta modulistica AG e RAG“, in funzione del centro di appartenenza.

Per quanto riguarda ogni ulteriore e differente modulo per i servizi postali, viene fornito dalla comunicazione un apposito link alla pagina di modulistica a cui sarà possibile fare riferimento.

Leggi: Comunicazione Ministero Giustizia modulistica AG e RAG 2018

Leggi: Raccomandata giudiziaria-scheda-tecnica 2018


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 13-02-2018) 22-06-2018, n. 16528

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;

– ricorrente –

contro

R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti ARGENTA Enrico Sereno e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. CONTALDI Gianluca in Roma, via P. G. da Palestrina, n. 63;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 76/26/2009 della Commissione Tributaria regionale del Piemonte depositata il 24/11/2009;

e sul ricorso iscritto al n. 8403/2011 R.G. proposto da:

R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti SORGENTE Elena e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, N. 63;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 5/15/10 depositata il 11/2/2010;

e sul ricorso iscritto al n. 14657/12 R.G. proposto da:

R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti SORGENTE Elena e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, N. 63;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 101/22/11 depositata il 16/12/2011;

e sul ricorso iscritto al n. 11680/2013 R.G. proposto da:

R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti SORGENTE Elena e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, N. 63;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA NORD S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE, N. 161, presso lo studio dell’avv. RICCI Sante, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. CIMETTI Maurizio;

– controricorrente –

e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 103/36/12 depositata il 29/10/12;

e sul ricorso iscritto al n. 15361/13 R.G. proposto da:

R.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti SORGENTE Elena e CONTALDI Gianluca, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, N. 63;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA NORD S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti CIMETTI Maurizio e PARENTE Giuseppe, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. RICCI Sante in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE, N. 161;

– resistente –

e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 95/28/12 depositata il 10/12/12;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/2/2018 dal Consigliere Dott.ssa CONDELLO Pasqualina Anna Piera;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso chiedendo, in relazione al ricorso iscritto al n. 27505/10 R.G., l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale; in relazione al ricorso iscritto al n. 8403/11 R.G., il rigetto del ricorso; in relazione al ricorso iscritto al n. 14657/12 R.G., l’accoglimento dell’ottavo e del decimo motivo e rigetto dei restanti motivi; in relazione al ricorso iscritto al n. 11680/13 R.G., l’accoglimento dell’ottavo motivo ed il rigetto dei restanti motivi; in relazione al ricorso iscritto al n. 15361/13 R.G., l’accoglimento del primo motivo ed il rigetto dei restanti motivi;

uditi i difensori di R.S., Avv.ti CONTALDI Gianluca e SORGENTE Elena anche per delega dell’avv. ARGENTA Enrico Sereno;

udito il difensore di Equitalia Nord s.p.a., Avv. CHIRICOTTO Simona per delega dell’avv. CIMETTI Maurizio.

Svolgimento del processo
La Agenzia delle Entrate in data 21.7.06 notificava a R.S., titolare di ditta individuale esercente la attività di commercio di autoveicoli, avviso di accertamento relativo all’anno 2003 ai fini del recupero a tassazione di Irpef, Irap e contributi previdenziali, avverso il quale il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, eccependo, tra l’altro, la nullità dell’avviso, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c..

Deduceva, in particolare, che per lo stesso anno d’imposta aveva ricevuto un primo avviso del 1.7.05, con il quale era stata recuperata a tassazione l’Iva detratta ed erano stati esaminati i dati dichiarati ai fini delle imposte dirette, ed un secondo avviso del 21.7.06, con il quale era stato accertato un maggior imponibile ai fini Irpef, e faceva rilevare che l’art. 43 citato consentiva un nuovo avviso solo ove fossero sopravvenuti nuovi elementi.

La Commissione tributaria provinciale, ritenendo fondata la eccezione di nullità del secondo avviso di accertamento sollevata dal contribuente, annullava l’accertamento.

La Commissione tributaria regionale respingeva sia l’appello principale proposto dall’Ufficio che l’appello incidentale del contribuente, confermando la fondatezza della eccezione di nullità dell’avviso di accertamento e ritenendo che il giudice di primo grado avesse correttamente disposto la compensazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ..

Per la cassazione della suddetta decisione ricorre la Agenzia delle Entrate, con due motivi (ricorso iscritto al n. 27505/10 R.G.), mentre il contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Con autonomo avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione, nei confronti di R.S., per l’anno d’imposta 2003, le detrazioni Iva ed i costi relativi ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, connesse all’acquisto di autovetture di provenienza comunitaria da società considerate fittiziamente interposte.

Il ricorso proposto dal contribuente avverso tale atto impositivo veniva rigettato dall’adita Commissione tributaria provinciale e la decisione veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale che respingeva l’appello del contribuente, ritenendo legittimo l’atto impositivo.

Avverso tale decisione R.S. propone ricorso per cassazione (iscritto al n. 8403/11 R.G.), affidato a dieci motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione.

Con altro avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate procedeva, nei confronti di R.S., al recupero a tassazione, ai fini Irpef ed Iva per l’anno di imposta 2004, in relazione all’attività di acquisto di autoveicoli di provenienza estera e successiva rivendita, le cui modalità, secondo la ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria, realizzavano un meccanismo contabile di fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti nel quadro di una “frode carosello”.

Il ricorso proposto dal contribuente, il quale contestava il suo coinvolgimento nella frode, veniva respinto dalla Commissione tributaria provinciale e la decisione veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale, la quale motivava che si verteva in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti e che l’acquisto di merce con fatture soggettivamente inesistenti non comportava la detrazione dei costi in assenza di buona fede dell’acquirente.

Per la cassazione della sentenza insorge R.S. (con ricorso iscritto al n. 14657/12 R.G.), con undici motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

In relazione all’accertamento per l’anno di imposta 2004, il Concessionario della Riscossione Equitalia Nord s.p.a. notificava a R.S. cartella di pagamento n. (OMISSIS), avverso la quale ricorreva il contribuente, eccependo l’inesistenza della notifica, il difetto di sottoscrizione del ruolo e della cartella ed il difetto di motivazione.

Con sentenza n. 103/36/12 depositata il 29.10.12, la Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto da R.S. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia Nord s.p.a. avverso la sentenza n. 78/1/2011 della Commissione Tributaria provinciale di Asti, che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente avverso la suddetta cartella di pagamento.

Avverso la sentenza di appello propone ricorso per cassazione R.S. (iscritto al n. 11680/13 R.G.), affidato ad otto motivi, cui resiste con controricorso Equitalia Nord s.p.a..

L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

A seguito di notifica di cartella di pagamento relativa ad Irpef, Irap ed addizionali regionali e comunali per l’annualità 2003, R.S. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che lo respingeva.

Con sentenza n. 95/28/12 del 10.12.2012 la Commissione Tributaria regionale confermava la sentenza di primo grado.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso (iscritto al n. 15631/13 R.G.) R.S., affidato ad otto motivi.

Equitalia Nord s.p.a. si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione ex art. 370 cod. proc. civ..

Motivi della decisione
1. In via preliminare deve disporsi la riunione al ricorso iscritto al n. 27505/10 R.G. di quelli recanti nn. 8403/11 R.G. e 14657/12 R.G., per evidente connessione soggettiva ed oggettiva, trattandosi di impugnazioni proposte avverso avvisi di accertamento emessi nei confronti dello stesso contribuente in relazione agli anni di imposta 2003 e 2004.

2. Va, altresì, disposta la riunione al presente ricorso, previa sostituzione del relatore, dei ricorsi recanti nn. 11680/13 R.G. e 15631/13 R.G., avendo questi ad oggetto impugnazioni proposte avverso le cartelle di riscossione provvisoria degli avvisi di accertamento oggetto dei giudizi precedenti.

3. Ricorso n. 27505/10 R.G. Con la sentenza impugnata n. 76/26/09 la Commissione tributaria regionale del Piemonte, aderendo alla decisione di primo grado, ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, rilevando che l’Amministrazione, con il primo avviso di accertamento, oltre ad esaminare la dichiarazione presentata dal contribuente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ha pure valutato i dati dallo stesso dichiarati ai fini delle imposte dirette, con la conseguenza che l’atto impositivo oggetto di impugnazione integra un secondo accertamento sulle imposte dirette.

Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e dei principi generali in tema di accertamento tributario, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, deducendo che con l’avviso datato 1.7.05 e notificato il 13.7.05 non ha formulato rilievi in materia di imposte dirette e di Irap, ma ha preso in considerazione la posizione del contribuente esclusivamente sotto il profilo dell’imposta sul valore aggiunto, con la conseguenza che la Commissione Tributaria provinciale, affermando che l’avviso datato 1.7.05 comprendeva anche un accertamento relativo alle imposte dirette, non aveva fatto corretta applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c..

Precisa, inoltre, che un atto tributario, con il quale si evidenzia che quanto dichiarato dal contribuente – ai fini di una certa imposta – non dà luogo a rilievi o contestazioni, non costituisce “atto di accertamento” per quell’imposta, sicchè resta ferma la possibilità di formulare, nei termini di decadenza, i rilievi originariamente non ipotizzati a seguito di successiva e nuova valutazione degli elementi raccolti.

3.1. Il motivo è fondato.

3.2. La Commissione tributaria regionale, partendo dal presupposto di fatto che con il primo avviso di accertamento l’Ufficio, “oltre ad esaminare le risultanze Iva, aveva anche esaminato i dati dichiarati dal contribuente ai fini II.DD. poichè i relativi dati non solo sono stati riportati nell’atto suddetto, ma sono anche stati ritenuti congrui dall’Ufficio come attesta il quadro RF concernente la determinazione del reddito di impresa dichiarato in Euro 32.170,00 ed accertato nello stesso importo”, ha accolto la eccezione di nullità del secondo avviso di accertamento, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c., ritenendo che l’avviso impugnato costituisca un secondo accertamento sulle imposte dirette emesso in assenza di indicazione di nuovi elementi, atti o fatti, richiesti ai fini della validità di un accertamento integrativo.

3.3. Come è noto, il citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c., è preordinato alla ripresa a tassazione di altri elementi reddituali incrementativi del reddito complessivo definito in precedenza e non noti al momento dell’esercizio della precedente attività accertatrice.

La sopravvenienza di “nuovi elementi” richiesti dalla norma per l’emissione dell’accertamento integrativo non può essere restrittivamente interpretata quale sopravvenienza di “nuovi elementi reddituali”, poichè l’emersione di nuovi cespiti imponibili legittima senz’altro la adozione di un autonomo avviso di accertamento. La ampia dizione utilizzata nella disposizione di legge giustifica il ricorso all’avviso di accertamento integrativo qualora l’Ufficio, successivamente all’accertamento originario, venga a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, sconosciuti al momento della emissione dell’avviso originario.

Come chiarito da questa Corte, il contenuto preclusivo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c., deve essere limitato al divieto, rebus sic stantibus, di emettere un avviso di accertamento integrativo sulla base della semplice rivalutazione o maggiore approfondimento di dati probatori già interamente noti all’Ufficio al momento della emissione dell’avviso originario (Cass. n. 11421 del 3/6/2015; n. 8029 del 3/4/13; n. 576 del 15/1/16).

3.4. Nel caso in esame, con l’avviso di accertamento originario la Agenzia delle Entrate si è limitata ad esaminare il contenuto della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente ed a formulare rilievi ai soli fini dell’imposta sul valore aggiunto, senza muovere contestazioni con riguardo alle imposte dirette, sicchè l’avviso emesso in data 1.7.05, non contenendo l’accertamento di una obbligazione tributaria in materia di Irpef ed Irap per l’anno di imposta 2003, non può essere considerato “avviso di accertamento” ai fini delle imposte dirette e non può, conseguentemente, escludere la adozione, da parte della Amministrazione finanziaria ed a carico del contribuente, di un successivo ed autonomo accertamento in materia di imposte dirette, che, non costituendo atto integrativo di quello emesso ai soli fini della imposta sul valore aggiunto, non esige la sussistenza di nuovi elementi sopravvenuti.

4. Con il secondo motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per “motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, lamentando che la motivazione resa dalla Commissione Tributaria regionale risulta insufficiente, in quanto fondata su un argomento che non consente di trarre la conseguenza che l’avviso datato 1.7.05 sia atto di accertamento anche ai fini delle altre imposte.

4.1. L’accoglimento del primo motivo fa ritenere assorbito il secondo motivo.

5. Con il primo motivo del ricorso incidentale R.S. censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, e dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la sentenza indicato i “giusti motivi” che consentivano la compensazione delle spese di lite.

6. Con il secondo motivo del ricorso incidentale deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la Commissione Tributaria regionale non si è pronunciata in relazione agli altri motivi di censura sollevati con il ricorso incidentale di appello.

6.1. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione ai motivi accolti.

7. Ricorso n. 8403/11 R.G. Con la sentenza n. 5/15/10 depositata in data 11 febbraio 2010 la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha confermato la sentenza di primo grado, respingendo tutti i motivi di appello proposti dal contribuente e ritenendo infondata la eccezione di inesistenza dell’avviso di accertamento per mancanza di valida relata di notificazione e fittizie, perchè soggettivamente inesistenti, le operazioni poste in essere dal contribuente.

Con il primo motivo di ricorso – rubricato: contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – R.S. sostiene che, sebbene abbia sin dal primo grado del giudizio eccepito la inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento, inviato a mezzo posta, in quanto sulla copia dell’atto a lui recapitata la relata di notifica non risultava nè compilata, nè firmata, nè esisteva alcuna indicazione delle modalità di notifica, la Commissione Tributaria regionale, con motivazione priva di adeguato supporto argomentativo, ha affermato che la proposizione del ricorso ha sanato eventuali vizi di notifica, pur vertendosi in ipotesi di inesistenza e non di nullità della notifica.

8. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, degli artt. 137, 148, 149, 156, 160 cod. proc. civ. e della L. n. 890 del 1982, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il contribuente lamenta che la sentenza si pone in contrasto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e con l’art. 137 cod. proc. civ., atteso che l’agente postale non è indicato tra i soggetti titolati a compiere attività notificatoria, nonchè con l’art. 148 cod. proc. civ., che considera necessaria la relata di notifica, posta a tutela del destinatario della notifica, il quale, in assenza di certificazione della attività notificatoria, non è in grado di conoscere gli elementi necessari a computare con certezza i termini perentori per l’esercizio di eventuali diritti allo stesso attribuiti.

9. Con il terzo motivo il contribuente deduce “nullità della sentenza, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, degli artt. 137, 148, 149, 156, 160 cod. proc. civ. e della L. n. 890 del 1982, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, ribadendo che la mancanza di relata produce la inesistenza insanabile della notifica dell’atto, con la conseguenza che la Commissione Tributaria regionale è incorsa in un error in procedendo quando ha affermato che la notifica è avvenuta regolarmente e che il vizio di notifica denunciato sarebbe in ogni caso sanato, ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ..

10. Con il quarto motivo si deduce “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la Commissione Tributaria regionale omesso di pronunciarsi sul motivo di appello concernente la dedotta illegittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio a fronte della istanza di concordato preventivo presentata dalla ditta contribuente.

Il ricorrente ha spiegato che avendo effettuato, per l’annualità in contestazione, il concordato preventivo disciplinato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 33, comma 8, convertito con modifiche dalla L. n. 326 del 2003 ed integrato dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 10, gli unici poteri di accertamento che residuavano nei suoi confronti erano quelli afferenti ad accertamenti analitici o induttivi motivati dalla mancata esibizione di libri e/o registri obbligatori, mentre erano inibiti all’Ufficio gli accertamenti previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, secondo periodo e dall’art. 55 del medesimo decreto.

Poichè, secondo la prospettazione del contribuente, l’accertamento operato dall’Ufficio, fondandosi su presunzioni, non rientra tra quelli previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, primo periodo, come ritenuto dal giudice di primo grado, l’attività svolta dall’Amministrazione finanziaria sarebbe illegittima.

11. Con il quinto motivo il contribuente deduce “violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 33, comma 8, convertito con modifiche dalla L. n. 326 del 2003 ed integrato dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la sentenza impugnata fatto corretta applicazione della norma richiamata.

12. Con il sesto motivo il contribuente deduce “nullità della sentenza per violazione degli artt. 24, 111 Cost., degli artt. 112, 115 cod. proc. civ., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 58, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Evidenzia, al riguardo, che la Commissione Tributaria regionale alla udienza di discussione del 8.10.08 ha emesso ordinanza con la quale ha invitato l’Agenzia delle Entrate a produrre copiosa documentazione, e precisamente le fatture emesse dalla società Coces s.n.c. nei confronti del R., le fatture ricevute dalla Coces s.r.l. e provenienti da fornitori esteri, le richieste di rinvio a giudizio o di archiviazione avanzate dalla Procura della Repubblica di Asti nei confronti del contribuente, sentenze di patteggiamento, comunicazioni di notizie di reato o annotazioni di polizia riguardanti i rapporti tra la Coces s.r.l., R.S., R.G., Punto Auto ed altre società, violando il principio del contraddittorio e del diritto di difesa; sostiene pure che la attività istruttoria svolta dalla Commissione Tributaria regionale ha consentito all’Ufficio di depositare documentazione che non era stata allegata all’avviso di accertamento (in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42) e che è stata irritualmente posta dal giudice a fondamento della decisione, senza tener conto delle deduzioni difensive esposte nella memoria depositata in data 27.4.09 (ritrascritta nel ricorso per cassazione).

13. Con il settimo motivo il contribuente denuncia “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi in ordine alla censura concernente la inadeguata motivazione dell’avviso di accertamento.

14. Con l’ottavo motivo di ricorso il contribuente censura la sentenza per “contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, deducendo che la motivazione è contraddittoria perchè, pur facendo riferimento ad operazioni soggettivamente inesistenti ed alla “simulazione soggettiva”, e dunque ad operazioni realmente avvenute sotto il profilo oggettivo, ma che non hanno trovato svolgimento ed esecuzione fra le parti che sono indicate in fattura, ma tra altri soggetti, non individua il terzo soggetto interposto che avrebbe partecipato alla operazione.

15. Con il nono motivo censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, deducendo che la detraibilità dell’Iva non può essere esclusa senza precisi riscontri sullo stato soggettivo del cessionario in merito all’altruità della fatturazione.

16. Con il decimo motivo censura la sentenza per “insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, per avere il giudice di appello escluso la buona fede del contribuente in assenza di elementi di fatto idonei a supportare tale assunto, considerato che erano stati prodotti in appello i listini Eurotax, dai quali emergeva che i prezzi di acquisto e di vendita praticati erano in linea con i prezzi di mercato, e tenuto conto che l’esiguo margine di guadagno conseguito dalla ditta contribuente, che si collocava tra l’1% ed il 2%, non poteva costituire indice di carenza di buona fede.

17. Logicamente prioritario si presenta l’esame del quarto motivo, che è fondato.

17.1. La Commissione Tributaria regionale, pur essendo pacifico che la ditta contribuente aveva richiesto il concordato preventivo nell’anno di imposta oggetto di accertamento, ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello fatto valere avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto infondata la eccezione di illegittimità dell’accertamento sollevata dal contribuente.

17.2. L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonchè, specificamente, dell’atto di appello (Cass. n. 22759 del 27/10/2014, Rv. 633205 – 01, Cass. n. 16/3/17 n. 6835).

La omessa pronuncia determina nullità, in parte qua, della decisione.

18. Anche il sesto motivo è fondato.

18.1. A seguito dell’abrogazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, al giudice di appello non è più consentito ordinare il deposito di documenti nella materiale disponibilità di una delle parti, non potendo il giudice sopperire con la propria iniziativa officiosa all’inerzia delle parti (Cass. n. 25464 del 18/12/2015; n. 13152 del 11/6/2014).

In tema di contenzioso tributario, d’altro canto, ancora sotto la vigenza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, questa Corte aveva rilevato come il potere istruttorio officioso riservato alle Commissioni tributarie incontrava il limite di non dover sopperire al mancato assolvimento, ad opera della parte, del relativo onere probatorio (Cass. n. 25769 del 5/12/2014; n. 4617 del 22/2/2008).

Non possono dunque considerarsi “indispensabili”, secondo la formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 1, quelle prove che non sono state ritualmente prodotte in giudizio per inadempienza delle parti, non potendo tale lacuna essere colmata dall’esercizio dell’indicato potere giudiziale.

18.2. Nel caso di specie, il giudice di appello, esorbitando dai poteri allo stesso attribuiti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, e sostituendosi alla Amministrazione finanziaria, ha svolto una attività istruttoria integrativa volta alla acquisizione di documentazione che la Agenzia delle Entrate avrebbe già dovuto produrre in primo grado a supporto della pretesa tributaria ed ha poi utilizzato detta documentazione ai fini della decisione, avendo dato atto nella motivazione che la sentenza si fonda non solo sulle risultanze delle operazioni di accesso compiute dai verificatori e sulla contabilità, ma anche su “quanto risulta in atti”, e quindi anche sugli elementi di prova ricavati dalla documentazione acquisita per effetto della ordinanza istruttoria del 8.10.08.

Da ciò la nullità della sentenza per violazione del disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58.

19. L’accoglimento del quarto e del sesto motivo di ricorso comporta l’assorbimento di tutti gli altri motivi.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione alle censure accolte.

20. Ricorso n. 14657/12 R.G. Con la sentenza n. 101/22/11 depositata il 16 dicembre 2011, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, oltre a respingere le eccezioni di inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento e di difetto di sottoscrizione, sollevate dal R., ha ritenuto fondata la contestata inesistenza soggettiva delle operazioni commerciali e non provata la buona fede del contribuente.

Il R., con il primo motivo, censura la sentenza impugnata per “contraddittoria, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la Commissione Tributaria regionale ha ritenuto soggettivamente inesistenti le operazioni di compravendita di autovetture, in difetto di prova, non fornita dalla Agenzia delle Entrate, della interposizione fittizia o della simulazione soggettiva ed in assenza della indicazione del soggetto estero interposto.

Ha, in particolare, osservato che: a) aveva eccepito sia in primo che in secondo grado che le operazioni definite “soggettivamente inesistenti” erano state descritte dalla stessa Agenzia delle Entrate come effettivamente avvenute senza indicazione o individuazione di un diverso cedente delle autovetture, con la conseguenza che doveva ritenersi che tutte le operazioni erano effettivamente avvenute b) la Agenzia delle Entrate non aveva fornito prova degli assunti richiamati nell’avviso di accertamento c) le affermazioni contenute nella sentenza e poste a fondamento della decisione erano state tratte dall’avviso di accertamento, sicchè la motivazione era apparente, e non teneva conto della documentazione prodotta nel giudizio di appello, ed in particolare dei listini del settore e della relazione tecnica redatta da ingegnere esperto nel settore degli autoveicoli comprovante che i prezzi di acquisto delle autovetture oggetto di contestazione erano coerenti con i prezzi di mercato del settore di riferimento d) la società fornitrice Autochallenge s.r.l. era titolare di partita Iva ed operava nel settore degli autoveicoli, circostanza questa che faceva escludere che fosse un soggetto “finto” e) la circostanza che la società Coces s.r.l. non riversasse l’Iva all’Erario non era indice di falsità del fornitore f) il fatto che la Point Car avesse acquistato da Autocommerciale Verbania (che non era fornitore del R.) restava fatto sconosciuto al contribuente ed inidoneo a dimostrare che la Point Car fosse soggetto “finto”.

21. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la sentenza ritenuto, in contrasto con le regole di riparto dell’onere della prova, che nel caso di contestazione di utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti spettava al contribuente dimostrare la propria estraneità ai fatti, sebbene l’Ufficio non avesse fornito alcuna prova concreta, neppure di tipo indiziario, idonea a dimostrare gli elementi di fatto della frode affermati nell’avviso di accertamento, nonchè la ritenuta connivenza nella frode del cessionario.

Ha ribadito di avere intrattenuto rapporti commerciali con le società indicate nell’avviso, tutte operanti nel settore della compravendita di auto, ignorando che i propri fornitori non riversassero l’Iva all’Erario, e che l’Ufficio non aveva offerto prova che i prezzi di acquisto fossero “più favorevoli”, nè che la contribuente avesse usufruito degli effetti favorevoli della frode; ha fatto pure presente che in sede penale era stata dichiarata la sua estraneità ad ogni fatto contestatogli.

22. Con il terzo mezzo ha dedotto “omessa, insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in merito alla ritenuta consapevolezza del contribuente di partecipare, tramite gli acquisti degli autoveicoli, ad eventuali frodi.

Sul punto il ricorrente ha evidenziato che la Commissione Tributaria regionale si è limitata ad affermare “il contribuente avendo avuto contatti commerciali con le imprese su citate, non poteva non sapere che le stesse, dopo avere svolto l’operazione, sparivano, chiudevano e non versavano Iva”, senza tuttavia indicare gli elementi di prova da cui aveva tratto il proprio convincimento, considerato che l’avere avuto contatti con le imprese indicate nell’avviso di accertamento non era di per sè elemento probante della presunta consapevolezza.

23. Con il quarto motivo il ricorrente censura la sentenza per “violazione o falsa applicazione dell’art. 17, p. 2, lett. B) della Direttiva n. 77/388/Cee, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Rileva che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’esigenza di assicurare la riscossione dell’imposta e di evitare le frodi non può essere attuata in modo da pregiudicare il legittimo affidamento del cittadino e che, pertanto, incombe sulla Amministrazione l’onere di fornire elementi di prova atti a giustificare la pretesa fittizietà dell’interposizione e la consapevole partecipazione del contribuente alla frode e, solo a fronte dell’assolvimento di tale onere, spetta al contribuente fornire la prova contraria.

24. Con il quinto motivo deduce “nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello concernente la nullità dell’avviso di accertamento per violazione del disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, u.c., e L. n. 212 del 2000, art. 7, in quanto non riproducente gli atti richiamati.

25. Con il sesto motivo censura la sentenza per “contraddittoria, insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la sentenza considera motivato l’accertamento e provata la pretesa, sebbene l’avviso di accertamento non indichi la norma in base alla quale è stato eseguito e faccia riferimento ad atti e verbalizzazioni redatti nei confronti di terzi, non allegati e, quindi, non conosciuti.

26. Con il settimo motivo si deduce “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, come modificato dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il contribuente, in particolare, sottolinea che l’accertamento analitico-induttivo deve essere sorretto da presunzioni gravi, precise e concordanti, come prevede il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e che tali elementi nel caso di specie mancano.

27. Con l’ottavo motivo si deduce, nuovamente, “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, laddove la sentenza afferma “Col terzo motivo il ricorrente impugna la sentenza dei giudici provinciali riguardo la inesistenza della relata di notifica “.

Il contribuente ha posto in rilievo che già nel giudizio di primo grado aveva eccepito la inesistenza o nullità della notifica dell’avviso di accertamento e la conseguente decadenza della Amministrazione dal potere accertativo per l’annualità 2004, ormai maturato con lo spirare del termine del 31.12.09, questione sulla quale la C.T.R. avrebbe reso una motivazione apparente, dato che nella sentenza si assume che “l’atto sia stato notificato a mezzo del servizio postale in data 9.9.2005”, mentre l’atto di accertamento è stato emesso in data 2/11/2009.

28. Con il nono motivo il contribuente deduce “contraddittoria, insufficiente motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, nella parte in cui la sentenza esamina la questione del difetto di sottoscrizione dell’atto di accertamento, facendo rilevare che la doglianza si riferisce alla mancata sottoscrizione degli atti prodromici all’atto di accertamento da parte di soggetti non titolari del potere accertativo.

29. Con il decimo motivo deduce “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per non avere la C.T.R. pronunciato sui motivi di appello concernenti 1) disconoscimento dei costi di impresa 2) omessa indicazione nell’avviso di accertamento delle aliquote di imposta applicate e del calcolo degli interessi 3) omessa indicazione delle ragioni giuridiche del trattamento sanzionatorio applicato.

30. Con l’undicesimo motivo si deduce “omessa motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, nella parte in cui la sentenza afferma “vengono assorbite le altre eccezioni poste, considerato il grado di importanza che rivestono”, trattandosi di mera affermazione di stile, non idonea a rendere conto della decisione assunta.

31. Il primo, il secondo, ed il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la evidente connessione, sono infondati, mentre il terzo motivo è parzialmente fondato nei limiti che di seguito si espongono.

31.1. La questione della detraibilità dell’Iva, nel caso di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti o comunque inerenti ad operazioni iscritte in un meccanismo negoziale finalizzato a frodare il fisco (cd. “frodi carosello”), è stata oggetto di numerose pronunce di questa Corte, le quali hanno chiarito, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, i criteri di ripartizione dell’onere della prova fra fisco e contribuente (Cass. n. 24490 del 2/12/2015; n. 20059 del 24/9/2014; n. 24426 del 30/10/2013; n. 23074 del 14/12/2012).

Va, in primo luogo, ribadito che una fattura che presenti i requisiti di forma e di contenuto richiesti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 fa presumere la veridicità di quanto in essa rappresentato e costituisce, di conseguenza, valido titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva, ricadendo in tal caso sulla Agenzia delle Entrate l’onere di provare il difetto delle condizioni per la detrazione.

In caso di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza soggettiva, la Amministrazione non può limitarsi a contestare la fattura, ossia la prestazione in essa rappresentata ed il costo indicato, dovendo essa provare che la operazione non è mai stata posta in essere o che è in realtà intervenuta tra soggetti diversi.

Tale prova può essere data dalla Amministrazione fornendo elementi, alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e art. 40 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, che possono assumere anche la consistenza di indizi attendibili (presunzione semplice ex art. 2727 cod. civ.), idonei a far affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni fittizie o fornendo elementi probatori che dimostrino in modo certo la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione; qualora gli elementi forniti dall’Ufficio siano dotati dei caratteri di gravità precisione e concordanza, passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass. 23/4/2010 n. 9784).

Con specifico riferimento alla fattispecie riconducibile alle cd. “frodi carosello”, che sono caratterizzate dal fatto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione Iva proviene in realtà da soggetto diverso da quello fittiziamente interposto che ha emesso la fattura, incassando l’Iva in rivalsa ed omettendo poi di versarla all’Erario, questa Corte ha stabilito che incombe sulla Amministrazione finanziaria l’onere di fornire sia la prova della interposizione fittizia nella operazione commerciale effettivamente posta in essere dal cessionario, prova che può essere data anche attraverso indizi che rivelino la natura di società “cartiera” dell’apparente soggetto cedente che ha emesso la falsa fattura, sia la prova della connivenza nella frode da parte del cessionario o la prova che il contribuente disponeva di indizi idonei ad indurre un normale operatore, mediamente esperto, a sospettare della inesistenza del contraente e della irregolarità della operazione (Cass. n. 10414 del 12/5/2011, Cass. n. 23560 del 20/12/12; Corte Giustizia in C-284/11, Bonik; Corte di Giustizia in C277/14, Ppuh); una volta fornita la prova degli elementi di fatto della frode e della connivenza nella frode da parte del cessionario, spetta al contribuente (cessionario/committente) che ha portato in detrazione l’Iva fornire la prova contraria che l’apparente cedente non è un mero soggetto fittiziamente interposto e che l’operazione è stata realmente conclusa con esso.

A tale fine non è sufficiente, tuttavia, la regolarità della documentazione contabile eseguita e la dimostrazione che la merce è stata effettivamente consegnata e che è stato regolarmente corrisposto il corrispettivo, poichè si tratta di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perchè relativa ad un dato di fatto inidoneo, di per sè, a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass. 12802 del 10/6/2011; n. 5912 del 11/3/10).

Poichè, comunque, non può negarsi al contribuente “in buona fede” l’esercizio alla detrazione Iva versata in rivalsa, si è pure specificato che il soggetto cessionario, qualora non sia in grado di dimostrare, con riferimento al cedente, che la operazione fatturata è “reale” e non fittizia, può fornire prova contraria dimostrando che, sulla base degli elementi conoscitivi acquisiti o rilevabili nel corso delle trattative e della operazione intrattenuta con il soggetto cedente, non sono emerse circostanze che potessero far sorgere il sospetto sulla irregolarità fiscale della operazione.

In tale ipotesi, infatti, anche in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, si pone una esigenza di tutela della buona fede del contribuente in ordine ad eventuali accordi fraudolenti volti alla evasione dell’Iva intercorsi tra il soggetto cedente, che ha emesso la fattura, ed i soggetti intervenuti nelle precedenti operazioni, sulla quale viene ad essere imperniato il principio della neutralità fiscale che caratterizza il sistema comune dell’Iva, in base al quale deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione Iva a tutti i soggetti passivi che effettuino operazioni di cessione di beni o di prestazioni di servizi nell’esercizio di una attività economica (cfr. Corte di Giustizia 6.9.12 causa C.324/11, Gabor Toth, Corte giustizia 21.6.12 cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft e David).

Come è stato precisato dal Giudice comunitario, “gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte della frode… devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di perdere il proprio diritto alla detrazione dell’Iva pagata a monte” (Corte giustizia 11.5.06 in causa C- 384/04, Federation of Technological Industries; Corte Giustizia 6.7.06, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling srl).

Tali principi sono stati affermati anche nella sentenza della Corte di Giustizia del 21.6.12 (C-80/11 e C-142/11, punti 45-49), in cui viene ribadito che il soggetto passivo che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad una operazione che si iscriveva in una evasione dell’Iva deve essere considerato ai fini della direttiva 2006/12, partecipante di tale evasione”, non essendo “compatibile con il regime del diritto alla detrazione previsto dalla suddetta direttiva sanzionare col diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa con il fornitore” (Corte di Giustizia 6.12.2012, in C-285/11; C-642/11, punto 48).

31.2. Nel caso di operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare, che è quella contestata dalla Amministrazione finanziaria nel caso in esame, caratterizzata dalla interposizione di un soggetto italiano, fittizio, nell’acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente), questa Corte ha evidenziato che l’onere gravante sulla Amministrazione “può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (ossia è una cartiera), poichè questo costituisce, da solo, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poichè l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta” (Cass. n. 24426 del 30/10/13).

31.3. La C.T.R., uniformandosi ai principi comunitari ed a quelli enunciati da questa Corte sopra richiamati, ha escluso nel caso in esame la detraibilità della imposta, ritenendo la fittizietà della interposizione e la assenza di buona fede del contraente.

Quanto alla individuazione degli elementi indiziari rilevanti ai fini della decisione, ha posto in rilievo, sulla base dell’atto di accertamento, che a) la ditta fornitrice Auto Challenge s.r.l. “non svolge una reale attività di impresa”, poichè non possiede requisiti di struttura e di organizzazione b) la società Coges s.r.l. non ha assolto gli obblighi tributari, avendo omesso di versare l’Iva e trattenuto la medesima ripartendola con il cliente tramite vendita sottocosto c) la società cedente, Point Car s.r.l., “ha posto in essere fatture soggettivamente inesistenti provenienti dalla società Auto Commerciale Verbania s.r.l., operatore fittizio, all’uopo costituito e che non disponeva di normali strutture organizzative e commerciali”; tali circostanze, complessivamente valutate, sono sicuramente idonee a far ritenere provata, da parte dell’Amministrazione fiscale, la natura di “cartiere” delle società interposte.

Sotto il profilo della conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente, la C.T.R. ha ritenuto che la immediatezza dei rapporti intercorsi tra i soggetti coinvolti inducesse ragionevolmente ad escludere la ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta ed ha negato che gli elementi probatori offerti dalla ditta contribuente fossero idonei a superare gli elementi presuntivi esposti dall’Ufficio, considerato che la regolarità della documentazione contabile, la effettiva consegna dei veicoli previo versamento del corrispettivo e la congruità dei prezzi praticati – che il ricorrente assumeva di avere dimostrato mediante la produzione in appello dei listini di settore e di consulenza tecnica redatta da un ingegnere esperto nel settore – non costituivano circostanze concludenti (Cass. n. 428 del 14/1/2015), trattandosi di dati facilmente falsificabili.

La sentenza, pertanto, con riferimento alla detraibilità dell’Iva, è esente dalle censure ad essa rivolte, in quanto ha fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova, e la motivazione, che risulta esaustiva ed immune da vizi logici, consente di individuare il percorso logico-giuridico che ha condotto il giudice ad adottare quella decisione.

31.4. Un discorso distinto occorre invece svolgere per quanto concerne la deducibilità dei costi per operazioni inesistenti ai fini delle imposte dirette.

Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata anche nella parte in cui la C.T.R. afferma che “…anche sotto il profilo dell’imposizione diretta, l’acquisto di merce con fatture soggettivamente inesistenti non comporta la detrazione dei costi ove non emerga chiaramente la buona fede dell’acquirente”.

31.5. Deve, al riguardo, rilevarsi che il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, (convertito in L. 26 aprile 2012, n. 44) ha sostituito la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis nei seguenti termini: “Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 425 c.p.p. ovvero la sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p…..”.

Tale disposizione normativa ha diretta rilevanza nel presente giudizio, operando quale “ius superveniens”, che trova applicazione d’ufficio anche in sede di legittimità, in quanto il rapporto tributario controverso non è ancora esaurito.

Infatti, il comma 3 dello stesso art. 8 ha stabilito che le disposizioni di cui al citato comma 1 “si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore” dello stesso comma 1, ” ove più favorevoli, tenuto conto degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi”.

Questa Corte ha già rilevato, sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 16 del 2012, che la nuova normativa comporta che, poichè nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati – di regola – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perchè non siano deducibili, ai fini delle imposte dirette, i costi relativi a dette operazioni; ferma, restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. 24426 del 30/10/2013; n. 13803 del 18/6/2014, n. 10167 del 20/6/12, n. 12503 del 22/5/13; n. 25249 del 7/12/2016).

Ne consegue che ai soggetti coinvolti nelle “frodi carosello” non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti.

Poichè nel caso in esame non è in contestazione la oggettività delle operazioni commerciali poste in essere dalla ditta R., risulta del tutto irrilevante l’accertamento della consapevolezza o meno della frode da parte della ditta cessionaria, anche se rimangono fermi i criteri ordinari, previsti dall’art. 109 del Testo Unico delle imposte dirette, che impongono la verifica della sussistenza dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità dei componenti negativi che possono essere portati in deduzione dal reddito imponibile.

32. Il quinto motivo è infondato.

32.1. La C.T.R., seppure con motivazione sintetica, ha respinto il motivo di appello affermando che l’Ufficio ha eseguito l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e che, sebbene l’accertamento sia scaturito da precedenti controlli effettuati nei confronti di altri soggetti, il contribuente è stato posto in condizione di difendersi, tanto che è stato invitato a produrre documentazione probatoria.

Non è, quindi, ravvisabile vizio di omessa pronuncia, che ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308 del 27/11/2017; n. 7653 del 16/5/2012).

33. Il sesto motivo è inammissibile.

Infatti, è inammissibile, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.p., comma 1, n. 5, avverso la sentenza che abbia ritenuto correttamente motivato l’atto impositivo, qualora non sia trascritta la motivazione di quest’ultimo, precludendo, pertanto, al giudice di legittimità ogni valutazione (Cass. n. 2928 del 13/02/2015; n. 16147 del 28/6/2017).

Nel caso di specie il ricorrente ha omesso la trascrizione dell’atto impugnato.

34. Il settimo motivo è inammissibile.

34.1. Il ricorrente, sebbene lamenti la violazione o falsa applicazione di legge, prospetta in realtà un vizio di motivazione, assumendo che la disamina di tutte le censure mosse in primo ed in secondo grado avrebbero dovuto condurre il giudice di appello ad una diversa decisione e si limita a richiamare fatti che, secondo l’assunto difensivo, non sarebbero stati esaminati (esborsi sostenuti per l’acquisto dei veicoli acquistati, mancata indicazione dei fornitori comunitari, assoluzione in sede penale), che sono, di per sè, non idonei ad escludere la inesistenza soggettiva delle operazioni e la partecipazione alla frode.

35. L’ottavo motivo è inammissibile.

35.1. Con riferimento alla eccepita inesistenza della relata di notifica ed alla decadenza della Amministrazione dal potere accertativo, la C.T.R. ha motivato che l’atto è stato notificato a mezzo servizio postale in data 9.9.2005 e che, conseguentemente, il contribuente ha avuto possibilità di spiegare il diritto di difesa; ha inoltre richiamato giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la eccezione di inesistenza o inefficacia della notifica dell’avviso di accertamento può essere fatta valere solo al fine di eccepire la decadenza dal potere accertativo o al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione.

Tale statuizione è conforme al principio espresso dalla Corte, secondo il quale anche in tema di notifica di un atto tributario l’inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle ipotesi in cui venga posta in essere una attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, sanabile con efficacia “ex tunc” o per raggiungimento dello scopo (Cass. n. 21865 del 28/10/2016).

35.2. Nel caso di specie la notifica ha raggiunto il suo scopo con effetto sanante, posto che il contribuente ha tempestivamente esercitato il suo diritto di difesa proponendo il ricorso, mentre la doglianza relativa alla decadenza della Amministrazione dal potere accertativo è generica, in ragione della mancata indicazione, da parte del contribuente, della data in cui è avvenuta la notifica e dovendo ritenersi che quella indicata nella sentenza impugnata sia dipesa da un mero errore materiale.

36. Il nono motivo è infondato. La C.T.R. ha rilevato che l’atto impugnato reca la firma del soggetto addetto all’Ufficio, in conformità a quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e, pertanto, non è ravvisabile il dedotto vizio di motivazione per il fatto che il Giudice di appello non si è pronunciato in merito alla mancanza di sottoscrizione di atti prodromici all’atto di accertamento (atti non autonomamente impugnabili) da parte di soggetti non titolari del potere accertativo, trattandosi di doglianza che non investe l’atto oggetto di impugnazione.

37. Il decimo motivo è fondato.

37.1. La C.T.R., come dedotto dal contribuente e come si desume dall’esame dei motivi di appello ritrascritti nel ricorso, non ha esaminato e deciso le doglianze formulate in ordine alla mancata indicazione nell’avviso di accertamento delle aliquote di imposta applicate, dei criteri di calcolo degli interessi di mora e delle sanzioni, pur trattandosi di contestazioni dedotte con il ricorso di primo grado e reiterate in sede di appello.

Costituisce una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 27/10/2014; n. 16/3/17 n. 6835).

38. L’undicesimo motivo è inammissibile, in quanto il contribuente, pur deducendo un vizio di motivazione della sentenza, laddove la C.T.R. ha affermato “vengono assorbite le altre eccezioni poste, considerato il grado di importanza che rivestono”, omette di indicare le eccezioni decisive e rilevanti non esaminate dal giudice di appello.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione alle censure accolte.

39. Alla stregua delle considerazioni che precedono, i ricorsi iscritti ai nn. 27505/10 R.G., 8403/11 R.G. e 14657/12 R.G. vanno accolti in relazione ai motivi ritenuti sopra fondati, con conseguente cassazione delle decisioni impugnate e rinvio delle cause alla Commissione Tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, per il riesame e per la liquidazione delle spese dei giudizi di legittimità.

40. Ricorso n. 11680/13 R.G. Il ricorso concerne la impugnazione di cartella di riscossione provvisoria di avviso di accertamento oggetto dei ricorsi precedenti nei termini sopra indicati.

La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza impugnata n. 103/36/12 depositata il 29/10/12, ha respinto l’appello del contribuente, ritenendo infondati tutti i motivi di gravame proposti concernenti la inesistenza della notifica, il difetto di sottoscrizione del ruolo e della cartella, nonchè il difetto di motivazione della cartella di pagamento.

R.S. denuncia, con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10, 12 e 25 e D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, lamentando che la C.T.R. ha escluso la necessità della sottoscrizione del responsabile del procedimento sul ruolo.

40.1. Il motivo è infondato, perchè, come correttamente rilevato dalla C.T.R. nella sentenza impugnata, non è richiesta, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la sottoscrizione del ruolo da parte del titolare dell’Ufficio, trattandosi di atto privo di un autonomo rilievo esterno.

Al riguardo, questa Corte ha chiarito che in tema di riscossione delle imposte sui redditi, ai sensi del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5-ter, conv., con modif., dalla L. n. 156 del 2005, norma di interpretazione autentica del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, i ruoli sono formati e resi esecutivi anche mediante la cd. validazione informatica dei dati in essi contenuti, eseguita in via centralizzata dal sistema informativo dell’Amministrazione creditrice, che deve considerarsi equipollente alla sottoscrizione del ruolo stesso (Cass. n. 1449 del 20/01/2017; n. 23550 del 18/11/2015).

41. Con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma, n. 4, vizio di difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., poichè nella sentenza impugnata era stato precisato che “l’unico vincolo previsto consiste nell’obbligo di indicare in cartella la data di esecutorietà”, mentre l’oggetto delle censure riguardava la mancanza di esecutorietà del ruolo per mancanza di sottoscrizione.

41.1. Il motivo è infondato. La C.T.R. si è pronunciata sulla questione sollevata, affermando che sulla cartella risulta indicata la data in cui il ruolo è divenuto esecutivo e che, non prevedendo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 la “apposizione della firma del responsabile del ruolo sull’atto”, la Agenzia aveva correttamente operato; così motivando il giudice di appello si è pronunciato escludendo il vizio denunciato.

42. Con il terzo motivo denuncia, “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, art. 2697 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., nonchè insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia”, lamentando la errata statuizione della C.T.R. in merito ai vizi di notifica della cartella impugnata, effettuata a mezzo posta, concernenti la assenza di relata e la mancanza di prova della consegna al destinatario.

42.1. Il motivo è infondato.

42.2. In primo luogo la Corte ha già chiarito che “in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, comma penultimo, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (Cass. n. 16919 del 10/8/2016; ord. 6395 del 19/3/2014; n. 4567 del 6/3/2015).

Quanto, poi, all’eccepito difetto di prova della consegna al destinatario, la C.T.R. ha affermato che la prova si desume dalla documentazione allegata da Equitalia Nord s.p.a. e, di conseguenza, l’accertamento in fatto svolto dal giudice di appello non è censurabile in sede di legittimità.

42.3. La censura è inoltre inammissibile nella parte in cui si contesta la mancata corrispondenza tra la relata prodotta da Equitalia Nord s.p.a. nei gradi di merito e la cartella impugnata; l’omessa trascrizione della relata di notifica priva, invero, il ricorso di autosufficienza, in quanto qualora oggetto del motivo di ricorso per cassazione sia una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale della relata stessa (Cass. n. 5185 del 28/2/2017; n. 17424 del 2/9/2015).

43. Con il quarto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, artt. 2697 e 2713 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., nonchè insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia, lamentando la errata statuizione della C.T.R. in merito all’eccepito difetto di completezza dell’atto impugnato.

44. Con il quinto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, artt. 2697 e 2713 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., nonchè insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia, lamentando che la C.T.R. avrebbe dato rilievo alla circostanza che il contribuente non si sarebbe attivato “al fine di ottenere una copia completa della cartella (incluse cioè le pagine mancanti)”.

44.1. Sono infondati anche il quarto ed il quinto motivo di ricorso.

44.2. Sul tema si registrano, invero, due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, ma questo Collegio intende aderire all’orientamento che risulta prevalente, in base al quale, ove il Concessionario si avvalga della facoltà, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1913, n. 602, art. 26, di provvedere alla notifica della cartella esattoriale mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai fini del perfezionamento della notificazione è sufficiente – anche alla luce della disciplina dettata dal D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 – che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento a carico dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; ai predetti fini non si ritiene invece necessario che l’agente della riscossione dia la prova anche del contenuto del plico spedito con lettera raccomandata, dal momento che l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se lo stesso destinatario dia prova di essersi incolpevolmente trovato nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 5397 del 18/3/2016; n. 15315 del 4/7/2014; n. 9111 del 6/6/12; n. 20027 del 30/9/2011).

44.3. In altri termini, la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l’atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. ord. n. 9533 del 12/5/2015; n. 2625/2015; n. 18252 del 30/7/2013; n. 24031 del 10/11/2006; n. 3562 del 22/2/2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti già citati, Cass. sez. 1^, 22 maggio 2015, n. 10630; conf. Cass. n. 24322 del 14/11/2014; n. 15315 del 4/7/2014; n. 23920 del 22/10/13; n. 16155 del 8/7/2010; n. 17417 del 8/8/2007; n. 20144 del 18/10/2005; n. 15802 del 28/7/2005; n. 22133 del 24/11/2004; n. 771 del 20/1/2004; n. 11528 del 25/7/2003; n. 4878/1992; 4083/1978; cfr. Cass. ord. n. 20786 del 2/10/2014, per la quale tale presunzione non opererebbe – con inversione dell’onere della prova – ove il mittente affermasse di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contestasse tale circostanza).

44.4. L’orientamento prevalente risulta peraltro conforme al principio generale di c.d. vicinanza della prova, poichè la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato), in ipotesi anche avvalendosi di testimoni, che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto.

44.5. Merita dunque di essere confermato il principio per cui, in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 (così come, più in generale, in caso di spedizione di plico a mezzo raccomandata), la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione è assolta dal notificante mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, poichè, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, la cartella esattoriale deve ritenersi a lui ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod. civ., fondata sulle univoche e concludenti circostanze (integranti i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.) della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, e superabile solo ove il destinatario medesimo dimostri di essersi trovato, senza colpa, nell’impossibilità di prenderne cognizione, come nel caso in cui sia fornita la prova che il plico in realtà non conteneva alcun atto al suo interno (ovvero conteneva un atto diverso da quello che si assume spedito).

44.6. Ne consegue che, nel caso di specie, non avendo il contribuente fornito la prova dell’asserita assenza, all’interno della busta notificatagli, di parte dei fogli che componevano la cartella di pagamento impugnata, detta notifica deve ritenersi validamente perfezionata.

45. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 212 del 2000, art. 7 e L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, lamentando la errata statuizione del giudice di appello in merito all’eccepito difetto di motivazione della cartella impugnata.

46. Con il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 212 del 2000, art. 7, L. n. 241 del 1990, art. 3, nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. ed insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi per la controversia, lamentando che la C.T.R. avrebbe dato rilievo alla circostanza che il contribuente avrebbe potuto “chiedere chiarimenti (anche in fase dell’attuale giudizio) e contestare specifici errori di calcolo”.

46.1. Il sesto e settimo motivo sono inammissibili.

46.2. In tema di contenzioso tributario, è inammissibile, infatti, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia ritenuto legittima una cartella di pagamento ove sia stata omessa la trascrizione del contenuto dell’atto impugnato, restando preclusa al Giudice di legittimità la verifica della corrispondenza tra contenuto del provvedimento impugnato e quanto asserito dal contribuente (cfr. Cass. n. 17321 del 13/7/2017; n. 16010 del 29/7/2015).

Nella specie, il ricorrente ha omesso la trascrizione, nonostante la dettagliata censura, dianzi illustrata, circa la motivazione della cartella.

47. Ricorso n. 15361/13 R.G. Anche quest’ultimo ricorso ha per oggetto la impugnazione proposta avverso cartella di riscossione provvisoria degli avvisi di accertamento oggetto dei giudizi precedenti.

Con la sentenza n. 95/28/12 del 10/12/2012, la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha rigettato l’appello proposto dal contribuente, respingendo tutte le doglianze fatte valere concernenti vizi propri della cartella e del ruolo.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10, 25, D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, nonchè nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando errata statuizione della C.T.R. in merito all’eccepito difetto di sottoscrizione del ruolo.

48. Con il terzo motivo (erroneamente indicato come quarto in ricorso) denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 10, artt. 112, e 115 c.p.c., “nullità della sentenza o del procedimento”, nonchè “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio” e lamenta che la C.T.R. ha omesso di rispondere sulla specifica eccezione di mancanza di sottoscrizione del ruolo.

49. Con il quarto motivo (erroneamente indicato come quinto in ricorso) il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 10, 12 e 25, D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, nonchè omessa o contraddittoria motivazione, ribadendo che la sottoscrizione è un elemento essenziale affinchè il ruolo acquisti efficacia esecutiva e che la C.T.R. ha affermato che non era in dubbio la provenienza di tale documento dalla Amministrazione e che tale circostanza fosse di per sè sufficiente a superare la mancanza di prova della sottoscrizione.

49.1. Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso sono infondati per le ragioni già esposte ai paragrafi 40 e 40.1. con riguardo ad analoghe censure fatte valere dal R. con il ricorso iscritto al n. 11680/13 R.G. e non sono pertanto ravvisabili nè le denunciate violazioni di legge, nè i vizi di omessa pronuncia o di insufficiente o contraddittoria motivazione, considerato che il giudice di appello, pronunciandosi espressamente sulla questione, ha posto in rilievo che i ruoli formati direttamente dall’ente creditore sono redatti, firmati e consegnati, mediante trasmissione telematica, ai competenti concessionari del servizio nazionale della riscossione e che la eventuale mancanza di sottoscrizione della cartella non comporta nè nullità, nè annullabilità dell’atto.

49.2. Nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, u.c., manca, infatti, qualsiasi espressa previsione della sanzione legale della nullità del ruolo per omessa sottoscrizione, costituendo ius receptum il principio che, in mancanza di una sanzione espressa, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, così come la giurisprudenza di legittimità ha chiarito nei più vari contesti, quali ad esempio la cartella esattoriale (cfr. Cass. n. 13461 del 2012), il diniego di condono (Cass. n. 11458 del 2012), l’avviso di mora (cfr. Cass. n. 4283 del 2010), l’attribuzione di rendita (cfr. Cass. n. 8248 del 2006), l’ordinanza-ingiunzione (cfr. Cass. n. 13375 del 2009) e diversamente da quel che accade per l’avviso di accertamento che, se non sottoscritto, è nullo per tassativa previsione di legge (cfr. Cass. n. 18758 del 2014; cfr. D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56).

49.3. In assenza dell’espressa previsione di elementi formali a pena di nullità, rileva, dunque, unicamente che l’atto sia riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, a meno che non si dimostri, con onere della prova a carico di colui che l’allega, l’insussistenza del potere o della provenienza, ipotesi che non ricorre nel caso in esame.

50. Con il quinto motivo (erroneamente indicato come sesto in ricorso) ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e L. n. 212 del 2000, art. 7, artt. 24 e 111 Cost., art. 2697 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, lamentando che la cartella non è stata redatta in conformità al modello ministeriale all’epoca in vigore.

51. Con il sesto motivo (erroneamente indicato come settimo in ricorso) ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, L. n. 212 del 2000, art. 7, art. 2697 cod. civ., artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ. ed “omessa o comunque insufficiente e contraddittoria pronunzia sopra punti decisivi della controversia”, nonchè nullità della sentenza o del procedimento, evidenziando che, a fronte dell’eccepito difetto di motivazione della cartella esattoriale, la C.T.R. ha erroneamente ritenuto “sufficiente una motivazione inesistente”.

52. Con il settimo motivo (erroneamente indicato come ottavo in ricorso) ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20, L. n. 212 del 2000, art. 7, artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ. ed “omessa o comunque insufficiente e contraddittoria pronunzia sopra punti decisivi della controversia”, sottolineando che, in riferimento alle contestazioni concernenti il calcolo degli interessi, dell’aggio e delle spese di notifica riportato nelle cartelle impugnate, la C.T.R. si è limitata ad affermare che, risultando indicata la data di esecutività dei ruoli, il contribuente fosse in grado di calcolare gli interessi.

53. Con l’ottavo motivo (erroneamente indicato come nono in ricorso) ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17, e D.M. 4 agosto 2000, nonchè “omessa o comunque insufficiente e contraddittoria pronunzia sopra punti decisivi della controversia”, lamentando che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto insussistente la carenza di motivazione per mancata indicazione del calcolo dei compensi del concessionario e delle spese di notifica riportati nelle cartelle impugnate.

53.1. Il quinto, il sesto, il settimo ed ottavo motivo di ricorso sono inammissibili per le ragioni già evidenziate al paragrafo 46.2. con riguardo alle censure svolte con il ricorso iscritto al n. 11680/13 R.G. 54. Con l’ottavo motivo dedotto con il ricorso iscritto al n. 11680/13 R.G. e con il primo motivo dedotto con il ricorso iscritto al n. 15361/13 R.G., il R. lamenta “violazione e falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito in L. n. 44 del 2012, nonchè motivazione insufficiente, contraddittoria o illogica su punti decisivi per la controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Si duole, in particolare, del fatto che la C.T.R., sebbene diverse voci delle cartelle impugnate si riferiscano alle imposte dirette, non abbia tenuto conto della disposizione normativa sopravvenuta, richiamata in rubrica, che esplica efficacia in relazione ad accertamenti non ancora definitivi.

54.1. In relazione al tema della applicabilità dello ius superveniens di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito in L. n. 44 del 2012, alle cartelle di riscossione in esame, operano gli stessi principi già sopra richiamati per gli avvisi di accertamento (v. paragrafi 31.4 e 31.5), attesa la dipendenza delle cartelle di pagamento dagli atti impositivi oggetto dei precedenti giudizi, trattandosi, come già detto, di cartelle frazionate dei suddetti avvisi di accertamento.

56. Alla luce di tali argomentazioni, respinte tutte le altre censure, in accoglimento dell’ottavo motivo dedotto con il ricorso n. 11680/13 R.G., la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria del Piemonte, in diversa composizione, per il riesame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità; in accoglimento del primo motivo dedotto con il ricorso n. 15361/13 R.G., rigettate le altre censure, la sentenza va cassata in relazione alla denegata applicazione dello ius superveniens di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito in L. n. 44 del 2012, con rinvio della causa alla Commissione Tributaria del Piemonte, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.
riuniti al presente ricorso n. 27505/10 R.G. i ricorsi nn. 8403/11 R.G., 14657/12 R.G., 11680/13 R.G. e 15361/13 R.G., la Corte accoglie, quanto al ricorso n. 27505/10 R.G., il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo ed il ricorso incidentale; quanto al ricorso n. 8403/11 R.G., accoglie il quarto ed il sesto motivo, assorbiti tutti gli altri; quanto al ricorso n. 14657/12 R.G., accoglie il terzo motivo nei limiti indicati in motivazione ed integralmente il decimo, rigettati tutti gli altri; quanto al ricorso n. 11680/13 R.G., accoglie l’ottavo motivo, respinti gli altri e corrispondentemente cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti; decidendo sul ricorso n. 15361/13 R.G., cassa altresì la sentenza impugnata in relazione alla denegata applicazione dello ius superveniens di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, convertito in L. n. 44 del 2012; rinvia alla Commissione tributaria del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese relative a tutti i riuniti giudizi di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2018


Notifica senza rispettare i criteri di riparto territoriale, nullità o irregolarità?

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n.17533 del 22 maggio 2018, è giunta a risolvere la questione riguardante gli effetti prodotti dalla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario al di fuori dall’ambito territoriale di pertinenza dell’UNEP al quale è stato assegnato.

La soluzione delle Sezioni Unite è scaturita principalmente a seguito dell’interpretazione del combinato disposto delle norme relative alla nullità, artt. 156, primo e terzo comma, e 159 del codice di procedura civile, nonché dei criteri di riparto territoriale, di cui agli artt. 106 e 107 del decreto 15 dicembre 1959, n. 1229 relativo all’ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari.

La questione merita particolare attenzione, posto che, sul punto nel corso del tempo, si è assistito all’evolversi di orientamenti giurisprudenziali differenti.

Gli ufficiali giudiziari (al pari degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti) sono assegnati agli Uffici notificazioni, esecuzioni e protesti (UNEP), istituiti presso ciascuna Corte d’appello e presso ogni Tribunale che non sia sede di Corte d’appello (art. 3 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, nel testo vigente e art. 101, comma 1, del d.P.R. n. 1229 del 1959).

In base all’art. 106, primo comma, del sopracitato d.P.R. dicembre 1959, n. 1229: “l’ufficiale giudiziario compie con attribuzione esclusiva gli atti del proprio ministero nell’ambito del mandamento ove ha sede l’ufficio al quale è addetto”; il successivo art. 107 – dopo avere, al primo comma, stabilito che “per la notificazione degli atti in materia civile ed amministrativa da eseguire fuori del Comune ove ha sede l’ufficio, l’ufficiale giudiziario deve avvalersi del servizio postale, a meno che la parte chieda che la notificazione sia eseguita di persona” – al secondo comma prescrive che: “tutti gli ufficiali giudiziari possono eseguire, a mezzo del servizio postale, senza limitazioni territoriali, la notificazione degli atti relativi ad affari di competenza delle autorità giudiziarie della sede alla quale sono addetti”.

Rilevanza della nullità
L’art. 156 del codice di procedura civile sancisce il principio generale di tassatività delle nullità degli atti del processo, stabilendo che esse devono essere previste dalla legge e aggiungendo che tale principio è derogabile (nel senso che la nullità può essere in ogni caso pronunciata) soltanto nell’ipotesi in cui l’atto sia privo dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, mentre reciprocamente la nullità non può essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.

Per il successivo art. 160 cod. proc. civ. la notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia oppure se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data.

Contrasto giurisprudenziale
La Corte di Cassazione in un risalente orientamento configurò la suddetta fattispecie come mera irregolarità della notificazione, sanabile con la comparizione in giudizio del destinatario considerando la competenza dell’ufficiale giudiziario come di tipo amministrativo e non giurisdizionale (Cass. 5 gennaio 1945, n. 2).

Tale orientamento venne criticato da autorevole dottrina che sostenne che tra le nullità della notificazione di cui all’art. 160 del codice procedura civile e l’inesistenza della notificazione avrebbe dovuto essere contemplata l’ipotesi di considerare come una vera e propria nullità, quella attinente ad un presupposto essenziale dell’atto di notificazione e quindi determinante un vizio logicamente precedente rispetto a quelli previsti nell’art. 160 c.p.c., come tale riconducibile alla disciplina dettata dall’art. 156 cod. proc. civ. ma sanabile dalla comparizione in giudizio del destinatario.

Nel corso del tempo nella giurisprudenza di legittimità si è dunque consolidato un indirizzo sostanzialmente conforme a tale dottrina in base al quale la notificazione effettuata da un ufficiale giudiziario extra districtum non si considera affetta da nullità assoluta, ma soltanto da nullità relativa sanabile, con effetto ex tunc, qualora l’atto abbia raggiunto il suo scopo, rappresentato dalla costituzione del destinatario in giudizio, dovendo in caso contrario il giudice disporre la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. (ex multis: Cass. 11 febbraio 1995, n. 1544 e di recente Cass. 19 settembre 2014, n. 19834).

Superamento dell’indirizzo precedente
La Corte di Cassazione, attraverso questa sentenza, ha ritenuto di superare, l’orientamento ormai diffuso che considera affetta da nullità la notifica eseguita da ufficiale giudiziario eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni territoriali.

Ciò alla luce, non solo delle argomentazioni svolte dalla giurisprudenza amministrativa, la quale, muovendo dalla premessa per cui gli artt. 106 e 107 del d.P.R, n. 1229 del 1959 non regolano la “competenza” territoriale degli ufficiali giudiziari, bensì la ripartizione delle relative attribuzioni, ha precisato che la violazione delle norme di cui agli artt. 106 e 107 d. P.R. n. 1229 del 1959 non costituisce causa di nullità della notificazione, ma semplice irregolarità della stessa, non rilevante ai fini processuali (Cons. Stato Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 714; Cons. Stato, Sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 8072), ma anche a seguito degli sviluppi della giurisprudenza di legittimità più recente, nella quale viene data ampia applicazione ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo (Cass. SU 20 luglio 2016, n. 14916),

Principi a cui si sono ispirate le Sezioni Unite
Tale soluzione è conforme non solo al principio di tassatività delle nullità processuali (art. 156 cod. proc. civ.), ma anche ai principi del giusto processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. che, in coerenza con l’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, comporta una maggiore rilevanza allo scopo del processo, costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito, che impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o che, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo ( ex multis, Corte EDU: sentenze Běleš e altri c. Repubblica ceca, 12 novembre 2002-§ 62; Trevisanato c. Italia, 15 settembre 2016- § 45).

Dal punto di vista sistematico, questa soluzione, oltre ad avere il pregio di essere uguale a quella applicata dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, con conseguente semplificazione del sistema complessivo, è anche in linea con le profonde evoluzioni che si sono avute in materia di notificazione contraddistinte dalla perdita di rilievo del requisito territoriale del notificante.

Ma vi è di più, tale soluzione è anche in linea con il progressivo evolversi della tecnologia, si pensi alla crescente diffusione delle notifiche a mezzo posta e di quelle eseguite in proprio dagli avvocati, ora anche mediante PEC ( Posta Elettronica Certificata).

Lo stesso accade anche in ambito UE sia con riguardo al titolo esecutivo europeo (Cass. 22 maggio 2015, n. 10543) sia per quel che si riferisce al riconoscimento, ai sensi del regolamento 13 novembre 2007, n. 1393/2007/CE, di una competenza generalizzata agli organi mittenti (per l’Italia: gli UNEP costituiti le Corti d’appello o presso i Tribunali che non siano sede di Corti d’appello) in relazione a tutti gli atti da notificare negli Stati membri dell’Unione, senza limiti territoriali.

Principio di diritto pronunciato dalle Sezioni Unite
“In tema di notificazione, la violazione delle norme di cui agli artt. 106 e 107 d.P.R. n. 1229 del 1959 costituisce una semplice irregolarità del comportamento del notificante la quale non produce alcun effetto ai fini processuali e quindi non può essere configurata come causa di nullità della notificazione.
In particolare, la suddetta irregolarità, nascendo dalla violazione di norme di organizzazione del servizio svolto dagli ufficiali giudiziari non incide sull’idoneità della notificazione a rispondere alla propria funzione nell’ambito del processo e può, eventualmente, rilevare soltanto ai fini della responsabilità disciplinare o di altro tipo del singolo ufficiale giudiziario che ha eseguito la notificazione”.


Nuove Tariffe Postali 2018

… dal sito di Poste Italiane

A partire dal 3 luglio 2018, nel rispetto dei limiti e delle prescrizioni disposte dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, varieranno le condizioni economiche di alcuni servizi universali di corrispondenza e pacchi così come di seguito indicato:

  • Le tariffe della Posta 4 (Retail) saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, ad eccezione delle tariffe del sesto scaglione (350-1000 gr) del formato Medio Standard e del settimo scaglione (1000-2000 gr) Extra Formato che resteranno invariate, mentre le tariffe del terzo scaglione (50-100 gr) del formato Medio Standard e del quinto scaglione (250-350 gr) Extra Formato saranno ridotte. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 0,95 euro a 1,10 euro.
  • Le tariffe della Postamail Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici ed online). In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 1,00 euro a 1,15 euro.
  • Le tariffe della Posta Raccomandata (Retail) saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 5,00 euro a 5,40 euro. Analogamente saranno incrementate anche le tariffe delle comunicazioni connesse alle notifiche degli Atti Giudiziari (Comunicazioni ex legge 890/1982 e Raccomandate Giudiziarie).
  • Le tariffe della Posta Raccomandata Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici ed online). In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 6,60 euro a 7,10 euro.
  • Le tariffe della Posta Raccomandata Pro saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 3,40 euro a 3,60 euro. Tale incremento sarà applicato, per la componente di recapito, alle tariffe di Posta Raccomandata Online nazionale.
  • Le tariffe della Posta Assicurata saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutti i valori assicurati previsti. In particolare, la tariffa per gli invii di valore fino a 50,00 euro e di peso fino a 20 grammi varierà da 5,80 euro a 6,20 euro.
  • Le tariffe della Posta Assicurata Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, per tutti i valori assicurati previsti e per tutte le zone tariffarie di destinazione. In particolare, la tariffa per gli invii di valore fino a 50,00 euro e di peso fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 7,80 euro a 8,30 euro.
  • La struttura degli scaglioni di peso del Pacco Ordinario Nazionale passerà dagli attuali due (0-10 kg; 10-20 Kg) a tre (0-5 kg; 5-10 Kg; 10-20 Kg). Le tariffe saranno rimodulate nella seguente modalità: 0-5 Kg = 9,00 euro;  5-10 Kg = 11,00 euro; 10-20 Kg = 15,00 euro
  • La tariffa del servizio accessorio Avviso di Ricevimento (singolo) nazionale varierà da 0,95 euro a 1,10 euro mentre la tariffa dell’Avviso di Ricevimento per l’Estero varierà da 1,00 euro a 1,15 euro.

Gli altri servizi universali di recapito non subiranno, in questa occasione, variazioni tariffarie.

Parallelamente, per quel che concerne i Servizi Integrati Notifiche, i corrispettivi dovuti per le attività di postalizzazione e notifica verranno adeguati secondo quanto indicato per le comunicazioni connesse alle notifiche.

Precisiamo che le modifiche tariffarie oggetto della presente comunicazione non tengono conto della revisione della legge 890/1982, le cui disposizioni entreranno in vigore con l’emanazione dell’apposito disciplinare da parte del Ministero dello Sviluppo Economico sulle licenze per le notifiche a mezzo posta.

Le informazioni di dettaglio relative alle variazioni introdotte sono disponibili dal 30 maggio 2018 presso gli uffici postali e negli altri centri di accettazione.