Nuove Tariffe Postali 2018

… dal sito di Poste Italiane

A partire dal 3 luglio 2018, nel rispetto dei limiti e delle prescrizioni disposte dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, varieranno le condizioni economiche di alcuni servizi universali di corrispondenza e pacchi così come di seguito indicato:

  • Le tariffe della Posta 4 (Retail) saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, ad eccezione delle tariffe del sesto scaglione (350-1000 gr) del formato Medio Standard e del settimo scaglione (1000-2000 gr) Extra Formato che resteranno invariate, mentre le tariffe del terzo scaglione (50-100 gr) del formato Medio Standard e del quinto scaglione (250-350 gr) Extra Formato saranno ridotte. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 0,95 euro a 1,10 euro.
  • Le tariffe della Postamail Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici ed online). In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 1,00 euro a 1,15 euro.
  • Le tariffe della Posta Raccomandata (Retail) saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 5,00 euro a 5,40 euro. Analogamente saranno incrementate anche le tariffe delle comunicazioni connesse alle notifiche degli Atti Giudiziari (Comunicazioni ex legge 890/1982 e Raccomandate Giudiziarie).
  • Le tariffe della Posta Raccomandata Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici ed online). In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 6,60 euro a 7,10 euro.
  • Le tariffe della Posta Raccomandata Pro saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da 3,40 euro a 3,60 euro. Tale incremento sarà applicato, per la componente di recapito, alle tariffe di Posta Raccomandata Online nazionale.
  • Le tariffe della Posta Assicurata saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutti i valori assicurati previsti. In particolare, la tariffa per gli invii di valore fino a 50,00 euro e di peso fino a 20 grammi varierà da 5,80 euro a 6,20 euro.
  • Le tariffe della Posta Assicurata Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso, per tutti i valori assicurati previsti e per tutte le zone tariffarie di destinazione. In particolare, la tariffa per gli invii di valore fino a 50,00 euro e di peso fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da 7,80 euro a 8,30 euro.
  • La struttura degli scaglioni di peso del Pacco Ordinario Nazionale passerà dagli attuali due (0-10 kg; 10-20 Kg) a tre (0-5 kg; 5-10 Kg; 10-20 Kg). Le tariffe saranno rimodulate nella seguente modalità: 0-5 Kg = 9,00 euro;  5-10 Kg = 11,00 euro; 10-20 Kg = 15,00 euro
  • La tariffa del servizio accessorio Avviso di Ricevimento (singolo) nazionale varierà da 0,95 euro a 1,10 euro mentre la tariffa dell’Avviso di Ricevimento per l’Estero varierà da 1,00 euro a 1,15 euro.

Gli altri servizi universali di recapito non subiranno, in questa occasione, variazioni tariffarie.

Parallelamente, per quel che concerne i Servizi Integrati Notifiche, i corrispettivi dovuti per le attività di postalizzazione e notifica verranno adeguati secondo quanto indicato per le comunicazioni connesse alle notifiche.

Precisiamo che le modifiche tariffarie oggetto della presente comunicazione non tengono conto della revisione della legge 890/1982, le cui disposizioni entreranno in vigore con l’emanazione dell’apposito disciplinare da parte del Ministero dello Sviluppo Economico sulle licenze per le notifiche a mezzo posta.

Le informazioni di dettaglio relative alle variazioni introdotte sono disponibili dal 30 maggio 2018 presso gli uffici postali e negli altri centri di accettazione.


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 28-02-2018) 28-05-2018, n. 13270

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27302-2016 proposto da:

PAM PANORAMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso lo studio dell’avvocato FABIO PULSONI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SILVIA MARESCA giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. GALILEI 45, presso lo studio dell’avvocato PIETRO UGO LITTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO ERMINI giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2752/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/09/2016 R.G.N. 2819/2013.

Svolgimento del processo
CHE:

La Corte d’Appello di Roma con sentenza resa pubblica in data 5/9/2016, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato dalla PAM Panorama s.p.a. nei confronti di M.G. in data 12/10/2009.

Gli addebiti ascritti alla lavoratrice consistevano nell’aver svolto in periodo di astensione dal lavoro per malattia e per infortunio (a causa di tendinopatia bilaterale sovra spinoso spalla destra e sinistra, distrazione spalla destra e contusione ginocchio sinistro), attività lavorativa di vendita ed incasso, in concorrenza con quella svolta presso la datrice di lavoro, per conto e nell’interesse dell’attività di bar pasticceria intestata al coniuge, oltre ad attività fisica accessoria incompatibile con lo stato di malattia in cui versava.

In estrema sintesi, a fondamento del decisum la Corte distrettuale argomentava che dall’articolato quadro istruttorio definito in prime cure era emerso che la ricorrente durante il periodo di astensione dal lavoro aveva lavorato presso il bar complessivamente solo per poche ore, deducendo che, in tale contesto probatorio ed in assenza di divieto di legge, non era configurabile alcuna necessità di riposo assoluto per la lavoratrice. Non riteneva, pertanto, fosse emersa alcuna fraudolenta simulazione dello stato di malattia e dell’infortunio, nè che la lavoratrice avesse assunto un rischio di aggravamento delle proprie condizioni di salute.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la P.A.M. S.p.a. affidato a sei motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
CHE 1. Con i primi cinque motivi, denunciando omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente si duole che il giudice del gravame abbia tralasciato di considerare una serie di episodi oggetto di contestazione (il 27 e il 28/9/09, il 30/9/09, il 3-8-912/10/09) nel corso dei quali, oltre a servire clienti presso l’esercizio bar pasticceria del coniuge, aveva camminato con scarpe dal tacco alto e trasportato pesi, ponendo in essere una condotta incompatibile con il proprio stato di salute.

2. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, presentano profili di inammissibilità.

Non può sottacersi che i rilievi formulati dalla ricorrente sono volti essenzialmente a sindacare un accertamento fattuale condotto dal giudice del merito, che ha portato lo stesso a ritenere dimostrata, alla stregua delle circostanze riferite dai testimoni escussi e dai dati documentali acquisiti agli atti, la effettività dello stato patologico in cui versava la lavoratrice – verificata anche alla stregua della visita di controllo svolta dal medico fiscale e delle certificazioni mediche rilasciate da strutture sanitarie pubbliche – e l’insussistenza di elementi dai quali desumere la necessità di riposo assoluto.

I dati istruttori acquisiti deponevano altresì nel senso della partecipazione meramente sporadica della M. allo svolgimento della attività commerciale presso il bar gestito dal coniuge, che non comportava pregiudizievoli ricadute, stante l’occasionalità delle prestazioni, sul proprio stato di salute, sicchè non comprometteva l’interesse della parte datoriale al conseguimento della prestazione lavorativa.

Premesso che la quaestio facti rilevante in causa è stata trattata in conformità ai criteri valutativi di riferimento, va rimarcato che a tale ricostruzione il ricorrente ne contrappone una difforme, non censurando puntualmente quella svolta in sentenza, ma proponendo una diversa valorizzazione degli elementi probatori raccolti, secondo modalità non compatibili con i dettami di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Deve al riguardo considerarsi che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile nella fattispecie, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La parte ricorrente deve dunque indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7/4/2014 n. 8053). Nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è dunque scomparso ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.

In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.

Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”,, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.

L’iter motivazionale che pervade l’impugnata sentenza, per quanto sinora detto e fatto cenno nello storico di lite, non risponde ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità; onde la pronuncia resiste alle censure all’esame.

3. Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., in relazione alla censura di inammissibilità del gravame, delibata dalla Corte di merito con motivazione solo apparente.

4. La censura presenta evidenti profili di inammissibilità.

E’, invero, principio affermato da questa Corte e che va qui ribadito, quello secondo cui quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza la relativa censura deve essere proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, e oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (vedi, per tutte: Cass. SU 22/5/2012, n. 8077).

L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone infatti che la pa7te, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (nei descritti termini, fra le altre, vedi Cass. 30/9/2015, n. 19410). Nello specifico, il motivo presenta innegabili carenze, avendo la ricorrente omesso del tutto di riportare il tenore dell’atto introduttivo del giudizio di appello onde consentire a questa Corte, di verificare ex actis la fondatezza della censura.

5. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto. Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza, liquidate come da dispositivo.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 28 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2018


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 21-03-2018) 23-05-2018, n. 12753

In caso di assenza temporanea del contribuente, la notifica degli atti impositivi mediante deposito presso la Casa comunale è valida solo se la relativa informativa, spedita a mezzo raccomandata a/r dall’ente impositore, sia effettivamente ricevuta dal destinatario. Né l’impugnazione dell’atto successivo può sanarne il vizio.

Sono queste le principali precisazioni contenute nell’ordinanza n. 12753 del 23 maggio 2018 pronunciata della Corte di cassazione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21648-2013 proposto da:

G.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESARE FEDERICO GLENDI;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA NORD SPA, domiciliato in ROMA presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE rappresentato e difeso dagli Avvocati GIOVANNI CALISI, GAVINO ERSILIO (avviso postale ex art. 135);

– controricorrente – avverso la sentenza n. 75/2012 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA, depositata il 22/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

Svolgimento del processo
1. G.C. impugnava varie intimazioni di pagamento notificategli da Equitalia Sestri s.p.a. assumendo di essere venuto a conoscenza di esse a seguito del pignoramento in quanto la notifica di dette intimazioni non si era perfezionata poichè era stato effettuato il deposito preso la casa comunale senza l’affissione dell’avviso presso la casa di abitazione e senza l’invio di raccomandata, benchè non si trattasse di irreperibilità assoluta del destinatario, ma di irreperibilità relativa. Sosteneva il ricorrente, altresì, che mancava la valida notifica delle cartelle prodromiche. La commissione tributaria provinciale di Savona rigettava il ricorso con sentenza che era confermata dalla CTR della Liguria sul rilievo che le intimazioni di pagamento erano state ritualmente notificate a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, che richiama il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, per il che anche in caso di irreperibilità relativa del destinatario era sufficiente l’affissione nell’albo comunale e l’invio al destinatario di raccomandata. Osservava, poi, la CTR che le cartelle prodromiche risultavano ritualmente notificate in quanto la concessionaria aveva prodotto gli avvisi di ricevimento delle raccomandate da cui si evinceva il numero delle cartelle cui inerivano ed il documento meccanografico da cui si rilevava la corrispondenza del numero e data della raccomandata con il numero di cartella cui si riferiva.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a due motivi illustrati con memoria. Resiste con controricorso Equitalia Nord s.p.a., già Equitalia Sestri s.p.a.. L’Agenzia delle entrate – Riscossione ha depositato memoria.

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 art. 112 c.p.c.. Sostiene che gli avvisi di intimazione non erano stati ritualmente notificati perchè, trattandosi di irreperibilità relativa del destinatario, anche le cartelle e gli avvisi di pagamento dovevano essere notificati a mezzo dell’espletamento delle attività di cui all’art. 140 c.p.c. e non solo a mezzo del deposito presso la casa comunale seguito dall’invio di raccomandata.

4. Con il secondo motivo deduce, in via gradata, violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 26 e 50 e art. 2697 c.c.. Sostiene che, nel caso in cui il primo motivo di ricorso non fosse accolto, la sentenza della CTR dovrebbe essere cassata relativamente al capo con cui è stata dichiarata la legittimità della notifica delle cartelle di pagamento prodromiche.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente rileva la Corte che la memoria depositata dall’Agenzia delle entrate-Riscossione è tardiva in quanto è pervenuta a questo ufficio il 21 marzo 2018.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato. Va premesso che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, prevede che, nelle fattispecie di cui all’art. 140 c.p.c., (irreperibilità c.d. relativa del destinatario o rifiuto di ricevere la copia nei luoghi di residenza, dimora o domicilio, noti ed esattamente individuati, dovendo altrimenti osservarsi il disposto dell’art. 143 c.p.c.), la notifica della cartella di pagamento si effettui con le modalità fissate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 (“lett. e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c. si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione”). La notifica, secondo l’art. 26 citato, “si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune”. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 3 del 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., disposizione richiamata dall’art. 26 citato, nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anzichè con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. A seguito di tale sentenza, pertanto, la notificazione effettuata ai sensi di tale disposizione si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione (Cass. 14316/2011). La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 258/2012, ha dichiarato inoltre l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 3, (corrispondente all’attualmente vigente comma 4), nella parte in cui stabilisce, per l’appunto, che la notificazione della cartella di pagamento “nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c…. si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60”, anzichè “nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario… si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, alinea e lett. e)”.

I giudici della Consulta hanno infatti evidenziato che, nell’ipotesi di irreperibilità meramente “relativa” del destinatario (vale a dire, nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., come recita il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3), la cartella di pagamento andrebbe notificata, secondo la lettera della disposizione, applicando, in realtà, non l’art. 140 c.p.c., ma le formalità previste per la notificazione degli atti di accertamento a destinatari “assolutamente” irreperibili (lettera e) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1) e che pertanto, a differenza di quanto previsto per la notifica dell’avviso di accertamento, per la validità della notificazione della cartella, “nonostante che il domicilio fiscale sia noto ed effettivo”, non sarebbero “necessarie… nè l’affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, nè la comunicazione del deposito mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”, essendo prevista solo l’affissione nell’albo del Comune, secondo modalità improntate ad un criterio legale tipico di conoscenza della cartella (sul modello di quanto previsto dall’art. 143 c.p.c.), con evidente disparità di trattamento di situazioni omologhe e violazione dell’art. 3 Cost.. La Consulta ha quindi ritenuto della cartella (sul modello di quanto previsto dall’art. 143 c.p.c.), con evidente disparità di trattamento di situazioni omologhe e violazione dell’art. 3 Cost.. La Consulta ha quindi ritenuto necessario “restringere” la sfera di applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea e lett. e), “alla sola ipotesi di notificazione di cartelle di pagamento a destinatario “assolutamente” irreperibile e, quindi, escludendone l’applicazione al caso di destinatario “relativamente” irreperibile, previsto dall’art. 140 c.p.c.”, cosicchè, nei casi di “irreperibilità c.d. relativa” (cioè nei casi di cui all’art. 140 c.p.c.), va invece applicato, con riguardo alla notificazione delle cartelle di pagamento, il disposto dello stesso D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., in forza del quale “per quanto non è regolato dal presente articolo, si applicano le disposizioni del predetto D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60” e, quindi, in base all’interpretazione data a tale normativa dal diritto vivente, quelle dell’art. 140 c.p.c., cui anche rinvia l’alinea del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1.

Pertanto, le disposizioni sopra richiamate richiedono effettivamente, per la validità della notificazione della cartella di pagamento, effettuata nei casi di irreperibilità c.d. relativa del destinatario, quali disciplinati dall’art. 140 c.p.c., l’inoltro al destinatario della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale e la sua effettiva ricezione, non essendo, per tale modalità di notificazione degli atti, sufficiente la sola spedizione. Il perfezionamento della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., necessita dunque del compimento di tutti gli adempimenti stabiliti da tale norma, con la conseguenza che, in caso di omissione di uno di essi la notificazione è da considerarsi nulla. La notificazione, è invece inesistente quando essa manchi del tutto ovvero sia stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla legge, come, ad es., nel caso sia avvenuta in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano attinenza alcuna (o che non presentino alcun…. riferimento o collegamento) con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea. Orbene, nella specie non sono stati effettuati tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c., per il perfezionamento del procedimento notificatorio, atteso che la concessionaria, con il controricorso, ha affermato di aver disposto l’affissione dell’avviso alla casa comunale e di aver inviato la raccomandata ma non già che questa è pervenuta nella sfera di conoscenza del destinatario. In definitiva, la notifica delle intimazioni di pagamento è stata effettuata senza il rispetto di tutte le prescrizioni dettate dalla normativa operante nei casi di irreperibilità c.d. relativa del destinatario dell’atto.

Il contribuente ha affermato di aver avuto conoscenza delle intimazioni di pagamento solo nel corso del pignoramento successivamente intrapreso, per il che risulta infondata l’eccezione della controricorrente relativa all’intervenuta sanatoria del vizio di notificazione per effetto dell’impugnazione comunque proposta dal contribuente, posto che non può parlarsi di “raggiungimento dello scopo dell’atto”, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., avendo il contribuente avuto conoscenza dell’esistenza degli atti soltanto a seguito del pignoramento e lo stesso Concessionario aveva, in giudizio, eccepito la tardività dell’impugnazione in quanto proposta oltre i termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21. Invero la Corte di legittimità ha affermato che “la nullità della notificazione dell’atto impositivo è sanata, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per effetto del raggiungimento del suo scopo, il quale, postulando che alla notifica invalida sia comunque seguita la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, può desumersi anche dalla tempestiva impugnazione, ad opera di quest’ultimo, dell’atto invalidamente notificato” Cass. n. 25079 del 26/11/2014; Cass. 1238/2014; Cass. 1088 e 17251/2013; Cass. 15849/2006; Cass. S.U. 19854/2004).

3. Il secondo motivo rimane assorbito.

4. L’impugnata sentenza va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2. Conseguentemente il ricorso originario del contribuente va accolto dichiarandosi nulle le notifiche delle intimazioni di pagamento. Le spese processuali dei giudizi di merito si compensano in considerazione del fatto che i pronunciamenti della Corte Costituzionale sono successivi alla proposizione del ricorso e quelle di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente. Compensa le spese dei giudizi di merito e condanna l’agenzia delle entrate a rifondere al contribuente le spese processuali che liquida in Euro 7.000,00 oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2018


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 14/02/2018) 21/05/2018, n. 12451

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22132-2016 proposto da:

Z.D., R.D., L.S., elettivamente domiciliati in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati ROBERTO ZIBETTI e NICO PARISE, giusta procura in atti;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARGHERITA CAMPIOTTI, giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1092/2016 del TRIBUNALE di VARESE, depositato il 19/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/02/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Nico Parise.

Svolgimento del processo
Gli odierni ricorrenti propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, avverso il decreto n.1092/16 con cui il Tribunale di Varese respinse, per estinzione completa ed irreversibile dell’intero apparato produttivo aziendale, la loro opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS). s.r.l., segnatamente laddove escluse il loro diritto al risarcimento del danno da illegittimo licenziamento.

Resiste il Fallimento con controricorso.

Motivi della decisione
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.

1.- Deve pregiudizialmente rilevarsi che l’eccezione di inammissibilità del presente ricorso, sollevata dal Fallimento in questa sede, è fondata. Quest’ultimo in particolare ha dedotto e documentato (doc. 2 allegato al controricorso) che il deposito del decreto oggi impugnato del Tribunale di Varese venne comunicato agli attuali ricorrenti il 19.8.16 tramite p.e.c. in quanto, pur essendo pervenuto alla Cancelleria del Tribunale un messaggio di mancata comunicazione in quanto la casella p.e.c. del difensore dei ricorrenti risultava piena, tale comunicazione doveva ritenersi comunque valida con conseguente inammissibilità dell’odierno ricorso, notificato solo in data 20 settembre 2016.

L’eccezione è fondata.

Premesso infatti che il termine per impugnare il detto decreto è di giorni 30 ai sensi dell’art. 99 L. Fall., deve valutarsi se la comunicazione dell’avvenuto deposito del decreto, avvenuto tramite p.e.c. all’indirizzo indicato nello stesso attuale ricorso (nico.parise.busto.pecavvocati.it), e conclusosi con messaggio di mancata comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica, sia da considerare parimenti effettuata ed efficace.

Al quesito il Collegio intende dare risposta affermativa in base ai tenore del D.L. n. 172 del 2012, art. 16, comma 6, convertito in L. n. 221 del 2012, e della giurisprudenza di questa Corte in argomento.

Il D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, convertito in L. n. 221 del 2012, stabilisce: “Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”, sicchè la comunicazione deve aversi per notificata allorquando la mancata consegna dipenda da cause imputabili al destinatario, come nel caso in cui, per mancata diligenza di questi, la casella risulti piena per prolungata (e dunque colpevole) assenza di lettura della posta elettronica.

In materia questa Corte si è già pronunciata, affermando che il titolare dell’”account” di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della propria casella postale e di utilizzare dispositivi di vigilanza e di controllo, dotati di misure anti intrusione, oltre che di controllare prudentemente la posta in arrivo, ivi compresa quella considerata dal programma gestionale utilizzato come “posta indesiderata” (Cass. n. 13917/16, Cass. n.31/2017).

Con particolare riferimento a fattispecie analoga a quella in esame questa Corte ha affermato che: “l’avviso di fissazione della udienza di discussione è stato comunicato dalla cancelleria alla casella di posta elettronica…. ed è stato rifiutato dal sistema con il messaggio “5.2.2 Aruba Pec s.p.a – casella piena”. La comunicazione deve ritenersi regolarmente avvenuta giacchè, una volta ottenuta dall’ufficio giudiziario l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l’onere, non solo di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dalla cancelleria a tale indirizzo ma anche di attivarsi affinchè i messaggi possano essere regolarmente recapitati” (Cass. n. 23650/16).

1.2- Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, nulla peraltro avendo dedotto i ricorrenti in ordine all’eccezione sollevata.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228L. 24/12/2012, n. 228, la Corte d’atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2018


Lettera di richiesta del Rimborso spese di notifica

Ai sensi dell’art. 10 della L. 265/1999:

ART. 10. (Notificazioni degli atti delle pubbliche amministrazioni).
l. Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge.
2. Al comune che vi provvede spetta da parte dell’amministrazione richiedente, per ogni singolo atto notificato, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, una somma determinata con decreto dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’interno e delle finanze.
3. L’ente locale richiede, con cadenza semestrale, alle singole Amministrazioni dello Stato la liquidazione e il pagamento delle somme spettanti per tutte le notificazioni effettuate per conto delle stesse Amministrazioni, allegando la documentazione giustificativa. Alla liquidazione e al pagamento delle somme dovute per tutte le notificazioni effettuate per conto della stessa Amministrazione dello Stato provvede, con cadenza semestrale, il dipendente ufficio periferico avente sede nella provincia di appartenenza dell’ente locale interessato. Le entrate di cui al presente comma sono interamente acquisite al bilancio comunale e concorrono al finanziamento delle spese correnti.
4. Sono a carico dei comuni le spese per le notificazioni relative alla tenuta e revisione delle liste elettorali. Le spese per le notificazioni relative alle consultazioni elettorali e referendarie effettuate per conto dello Stato, della regione e della provincia, sono a carico degli enti per i quali si tengono le elezioni e i referendum. Ai conseguenti oneri si provvede a carico del finanziamento previsto dal decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica di cui al comma 8 dell’articolo 55 della legge 27 dicembre 1997, n.449.
5. Il primo comma dell’articolo 12 della legge 20 novembre 1982, n.890, e’ sostituito dal seguente: “Le norme sulla notificazione degli atti giudiziari a mezzo della posta sono applicabili alla notificazione degli atti adottati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, da parte dell’ufficio che adotta l’atto stesso”.
6. Dopo il quinto comma dell’articolo 18 della legge 24 novembre 1981, n.689, e’ inserito il seguente: “La notificazione dell’ordinanza-ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio che adotta l’atto, secondo le modalità di cui alla legge 20 novembre 1982, n.890”. 7. Ciascuna Amministrazione dello Stato individua l’unita’ previsionale di base alla quale imputare gli oneri derivanti dall’attuazione del presente articolo entro i limiti delle relative dotazioni di bilancio.
Scarica la lettera: Richiesta Rimborso spese di notifica
Leggi: DM 3 10 2006 aggiornamento spese di notifica

Il GDPR – General Data Protection Regulation – Regolamento generale sulla protezione dei dati personali

Il GDPR – General Data Protection Regulation – Regolamento generale sulla protezione dei dati sarà operativo dal 25 maggio 2018 anche in Italia

Il Garante italiano ha differito di sei mesi i controlli, e quindi le sanzioni derivanti dagli stessi, sull’applicazione del GDPR.

Citiamo testualmente:

“Il Garante italiano si pone nella stessa scia del CNIL, l’Autorità garante francese, che ha dichiarato l’istituzione di un grace period durante il quale non sanzionerà le aziende che, a seguito di ispezioni, dovessero risultare inadempienti rispetto ai nuovi obblighi introdotti dal Regolamento europeo 2016/679 (purché i titolari siano in buona fede, dimostrino di avere avviato un processo di adeguamento e uno spirito di collaborazione con l’Autorità); resteranno sanzionabili le condotte che violano regole già consolidate da tempo nella normativa nazionale e confermati dal GDPR. Resta ovviamente inteso che le suddette Autorità non hanno – né avrebbero potuto farlo – prorogato la piena operatività del GDPR, che rimane il 25 maggio 2018.”

ATTENZIONE: questo non significa che non si debba adeguare  a quanto previsto dal GDPR, ma che i possibili controlli non partiranno immediatamente.


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 21-03-2018) 11-05-2018, n. 11504

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21689-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.A., EQUITALIA NORD SPA;

– intimati –

Nonché da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA LARGO LUIGI ANTONELLI 2, presso lo studio dell’avvocato PAOLO SPATARO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale – contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, EQUITALIA NORD SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 95/2013 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 06/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

Svolgimento del processo
1. F.A. impugnava la cartella di pagamento notificata da Equitalia Nord S.p.A. sostenendo la mancata notifica dell’avviso di accertamento e dell’atto di contestazione delle sanzioni che costituivano gli atti prodromici. La commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso con sentenza che era confermata dalla CTR della Lombardia sul rilievo che gli atti prodromici all’emissione della cartella impugnata non risultavano ritualmente notificati in quanto il contribuente aveva trasferito la residenza nel comune di (OMISSIS) in data 11 ottobre 2010 mentre l’avviso di accertamento e l’atto di contestazione delle sanzioni erano stati notificati il 3 dicembre 2010 presso il precedente indirizzo di (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato ad un motivo. Il contribuente si è costituito in giudizio con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo. Equitalia Nord S.p.A. non si è costituita in giudizio.

3. Con l’unico motivo l’agenzia delle entrate deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60. Sostiene che, avendo il contribuente trasferito la propria residenza in un altro Comune, la variazione del domicilio fiscale avrebbe avuto effetto decorsi 60 giorni dal trasferimento, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, di talchè la notifica che era stata effettuata a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e, era rituale.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato il contribuente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 57. Sostiene che nel giudizio di appello l’agenzia delle entrate aveva introdotto inammissibilmente una domanda nuova poichè solo in tale giudizio aveva affermato la legittimità della notifica richiamando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58.

Motivi della decisione
1. Osserva la Corte che l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso svolta dal controricorrente per non aver l’agenzia delle entrate trascritto nel ricorso il contenuto della cartella impugnata è infondata. Invero il ricorso verte sulla corretta applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 ed i fatti sono stati esposti in modo da rendere chiaramente intellegibili le ragioni della censura ed i punti della sentenza oggetto di doglianza, per il che appare assolto l’onere della specificità.

2. Il motivo di ricorso principale è fondato. Ciò in quanto la Corte di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui la disciplina delle notificazioni degli atti tributari si fonda sul criterio del domicilio fiscale e sull’onere preventivo del contribuente di indicare all’ufficio tributario il proprio domicilio fiscale e di tenere detto ufficio costantemente informato delle eventuali variazioni, di guisa che il mancato adempimento, originario o successivo, di tale onere di comunicazione legittima l’ufficio procedente ad eseguire le notifiche comunque nel domicilio fiscale per ultimo noto, eventualmente nella forma semplificata di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, lett. e), non potendosi addossare all’Amministrazione l’onere di ricercare il contribuente fuori del domicilio stesso (Cass. n. 25272 del 28/11/2014; Cass. n. 1206 de120 gennaio 2011). Ciò posto, considerato che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58 prevede che le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte (comma 2) e che le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate (comma 5), la notifica degli atti prodromici, nel caso di specie, è stata legittimamente effettuata, in mancanza di comunicazione della variazione da parte del contribuente, presso l’indirizzo pregresso di (OMISSIS), posto che dalla sentenza impugnata si evince che la notifica ha auto luogo il 3.12.2000 (sul punto il contribuente non ha svolto ricorso incidentale) e che il trasferimento di residenza nel Comune di (OMISSIS) ha avuto luogo in data 11.10.2010.

3. Il motivo di ricorso incidentale condizionato è infondato in quanto non costituisce domanda nuova, inammissibile ove proposta per la prima volta nel giudizio di appello, la prospettazione di una qualificazione giuridica della fattispecie diversa, in quanto disciplinata da norme in precedenza non invocate, ove la ricostruzione si fondi sui medesimi fatti.

4. Il ricorso principale va, dunque, accolto, il ricorso incidentale va rigettato. L’impugnata decisione va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2018


La firma CAdES e la firma PAdES sono equivalenti?

La questione è stata sollevata a seguito di eccezione circa la ritualità della notifica di un controricorso, avvenuta con allegazione al messaggio di PEC di tre files con estensione <*.pdf> e non <*.p7m>, e, quindi, da ritenersi privi di firma digitale.

Con ordinanza interlocutoria (Cass., 31/08/2017, n. 20672), la sez. 6-3 ha investito le Sezioni Unite della quaestio juris relativa alla scelta tra l’alternativa PAdES, opzionata da uno dei controricorrenti, o CAdES della modalità strutturale dell’atto del processo in forma di documento informatico e firmato da notificare direttamente dall’avvocato, circa la configurabilità o meno, al riguardo, ed in particolare, quando l’atto da notificare comprende anche la procura speciale indispensabile per la ritualità del ricorso o del controricorso in sede di legittimità, di una prescrizione sulla forma dell’atto indispensabile al raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156, secondo comma, cod. proc. civ., posta a pena di nullità, nonché, nella stessa fattispecie, sull’applicabilità del principio di sanatoria dell’atto nullo in caso di raggiungimento dello scopo.

L’ordinanza di rimessione

Il formato dell’atto del processo quale documento informatico è regolato dal provvedimento ministeriale del 28/12/2015, art. 12. La struttura del documento firmato è PAdES o CAdES e, nel caso del formato CAdES, il file generato si presenta con un’unica estensione <*.p7m>.

Secondo il collegio rimettente sarebbe sempre indispensabile l’estensione <*.p7m> a garanzia unica dell’autenticità del file, cioè dell’apposizione della firma digitale al file in cui il documento informatico originale è stato formato, solo per il caso in cui il documento informatico originale è creato in formato diverso da quello <*.pdf>.

Ciò sarebbe confermato dal rilievo che la notifica insieme all’atto del processo in forma di documento informatico di un allegato è consentita se questo è in formato <*.pdf>, ma, se il secondo è firmato digitalmente, dovrebbe quest’ultimo appunto recare sempre l’estensione <*.p7m>, a garanzia della sua autenticità (art. 12, comma 2 e art. 13, lett. a), provv. 28/12/2015).

Secondo il collegio rimettente, pertanto,

parrebbe dirsi che con l’imposizione dell’elaborazione del file in documento informatico con estensione <*.p7m> il normatore tecnico abbia inteso offrire la massima garanzia possibile, allo stato, di conformità del documento, non creato ab origine in formato informatico ma articolato anche su di una parte o componente istituzionalmente non informatica, quale la procura a firma analogica su supporto tradizionale, al suo originale composito, incorporando appunto i due documenti in modo inscindibile e, per quel che rileva ai fini processuali e soprattutto-se non altro con riferimento alla presente fattispecie – della regolare costituzione nel giudizio di legittimità (per la quale è da sempre stata considerata quale presupposto indispensabile la ritualità della procura speciale), con assicurazione di genuinità ed autenticità di entrambi in quanto costituenti un unicum”.

In tale prospettiva, per il collegio non dovrebbero poter giovare i precedenti delle sezioni unite e delle sezioni semplici, riferiti al documento nativo analogico, notificato in via telematica con estensione <*.doc> anziché <*.pdf>, ovvero ad un atto trasmesso mediante file con estensione <*.p7m> dedotto come illeggibile ma comunque decifrato, ovvero riguardanti il principio generale dell’insussistenza di un diritto all’astratta regolarità del processo,

visto che l’intrinseca esistenza dell’atto e della procura attiene ad elementi talmente coessenziali dell’uno e dell’altro ai fini di una valida instaurazione del rapporto processuale dinanzi al giudice di legittimità da suggerirne come indispensabile la verifica ufficiosa”.

La normativa italiana

Il processo telematico non è stato ancora esteso dal legislatore al giudizio di cassazione, che resta, ad oggi, un processo essenzialmente analogico.

Fanno eccezione solo le comunicazioni e le notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili, secondo quanto previsto dal d.m. 19 gennaio 2016, emesso ai sensi del d.I., 18/10/2012, art. 16, comma 10.

Per tale ragione, si rende necessario estrarre copie analogiche (cioè cartacee) degli atti digitali, secondo il combinato disposto degli artt. 3, 3-bis, 6 e 9 legge, 21/01/1994 n.53 e dell’art. 23, comma 1, cod. amm. Digitale, secondo cui l’avvocato, in qualità di pubblico ufficiale, ha il potere di attestare la conformità agli originali digitali delle copie del messaggio di posta elettronica certificata inviato all’avvocato di controparte, delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna, nonché degli atti allegati, compresivi dalla relazione di notificazione.

La normativa europea

Nella sentenza in esame, la Suprema Corte richiama la Decisione di esecuzione (UE) 2015/1506 della Commissione dell’8 settembre 2015, che stabilisce le specifiche relative ai formati delle firme elettroniche avanzate e dei sigilli avanzati che gli organismi del settore pubblico devono riconoscere, di cui all’art. 27, § 5, e all’art. 37, § 5, del Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno.

L’art. 1 stabilisce che

Gli Stati membri che richiedono una firma elettronica avanzata o una firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato, […], riconoscono la firma elettronica avanzata XML, CMS o PDF […]”.

L’allegato alla decisione, nel fissare l’elenco delle specifiche tecniche, stabilisce che

Le firme elettroniche avanzate di cui all’articolo 1 della decisione devono rispettare una delle seguenti specifiche tecniche ETSI, […]: Profilo di base XAdES […]. Profilo di base CAdES […]. Profilo di base PAdES […]”.

Il considerando della medesima decisione chiarisce che il Regolamento (UE) n. 910/2014 obbliga gli Stati membri, che richiedono una firma elettronica avanzata, a riconoscere le firme elettroniche avanzate, aventi formati convalidati conformemente a specifici metodi di riferimento, atteso che, in base al considerando,

Le firme elettroniche avanzate e i sigilli elettronici avanzati sono simili dal punto di vista tecnico”, laddove, in base al considerando, “La definizione di formati di riferimento è intesa a facilitare la convalida transfrontaliera delle firme elettroniche e a migliorare l’interoperabilità transfrontaliera delle procedure elettroniche”.

Pertanto, osservano le Sezioni Unite, che, secondo il diritto dell’Unione,

le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS (Cryptographic Message Syntax) Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF (Portable Document Format) Advanced Electronic Signature, che qui interessano, sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna”.

Invero,

al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell’UE, sono stati adottati degli standards europei mediante il cd. regolamento eIDAS (electronic IDentification, Authentication and trust Services, ovverosia il Reg. UE, n. 910/2014, cit.) e la consequenziale decisione esecutiva (Comm. UE, 2015/1506, cit.), che impongono agli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standards tra i quali figurano sia quello CAdES sia quello PAdES (Cons. Stato, Sez. 3, 27/11/2017, n. 5504)”.

La nozione di firma digitale e le differenze tra PAdES e CAdES

Secondo l’Agenzia per l’Italia Digitale, la firma digitale è il risultato di una procedura informatica – detta validazione – che garantisce l’autenticità e l’integrità di documenti informatici.

Essa conferisce al documento informatico le peculiari caratteristiche di:

  1. a) autenticità (perché garantisce l’identità digitale del sottoscrittore del documento);
  2. b) integrità (perché assicura che il documento non sia stato modificato dopo la sottoscrizione);
  3. c) non ripudio (perché attribuisce validità legale al documento).

Osservano i Giudici che

la stessa Agenzia precisa che la firma digitale in formato CAdES dà luogo ad un file con estensione finale <*.p7m> e può essere apposta a qualsiasi tipo di file, ma per visualizzare il documento oggetto della sottoscrizione è necessario utilizzare un’applicazione specifica. Invece, la firma digitale in formato PAdES, più nota come «firma PDF», è un file con normale estensione <*.pdf>, leggibile con i comuni readers disponibili per questo formato; inoltre prevede diverse modalità per l’apposizione della firma, a seconda che il documento sia stato predisposto o meno ad accogliere le firme previste ed eventuali ulteriori informazioni, il che rende sì il documento più facilmente fruibile, ma consente di firmare solo documenti di tipo PDF. Dunque, anche l’Agenzia certifica la piena equivalenza, riconosciuta a livello europeo, delle firme digitali nei formati CAdES e PAdES”.

In realtà, precisano le Sezioni Unite,

sin dal 2006 il CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica amministrazione), organismo all’epoca competente, e la società titolare del marchio (Adobe Systems) fu sottoscritto un protocollo, che riconobbe il formato PDF valido per la firma digitale, così come definita dal Codice dell’amministrazione digitale e in conformità alla Delib. CNIPA/4/2005”.

La firma nel processo civile

L’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014 (contenente le Specifiche tecniche previste dall’art. 34 d.m. 21 febbraio 2011 n. 44), stabilisce, al primo comma, che

L’atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti:

a) è in formato PDF;

b) è privo di elementi attivi;

c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini;

d) è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna secondo la struttura riportata ai commi seguenti;

e) è corredato da un file in formato XML, che contiene le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo, e che rispetta gli XSD riportati nell’Allegato 5; esso è denominato DatiAtto.xml ed è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata”.

Al secondo comma, precisa:

La struttura del documento firmato è PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdES-BES; il certificato di firma è inserito nella busta crittografica; è fatto divieto di inserire nella busta crittografica le informazioni di revoca riguardanti il certificato del firmatario. La modalità di apposizione della firma digitale o della firma elettronica qualificata è del tipo «firme multiple indipendenti» o «parallele», e prevede che uno o più soggetti firmino, ognuno con la propria chiave privata, lo stesso documento (o contenuto della busta). L’ordine di apposizione delle firme dei firmatari non è significativo e un’alterazione dell’ordinamento delle firme non pregiudica la validità della busta crittografica; nel caso del formato CAdES il file generato si presenta con un’unica estensione p7m. Il meccanismo qui descritto è valido sia per l’apposizione di una firma singola che per l’apposizione di firme multiple”.

Concludono i Giudici

Dunque, secondo la normativa nazionale, la struttura del documento firmato può essere indifferentemente PAdES o CAdES. Il certificato di firma è inserito nella busta crittografica, che è pacificamente presente in entrambi gli standards abilitati (www.agid.gov.it/sites/default/files/linee guida/firme multiple.pdf) a mente dell’art. 1, lett. y) – z), del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014. Solo nel caso del formato CAdES l’art. 12 è, ovviamente, tenuto a precisare che il file generato si presenta denominato coll’estensione finale <*.p7m>, detta anche suffisso, ovverosia <nomefile.pdf.p7m>. Nel caso del formato PAdES, invece, l’art. 12 non dà alcuna indicazione, perché tecnicamente il file sottoscritto digitalmente secondo tale standard mantiene il comune aspetto, che è solo apparentemente indistinguibile, poiché la busta crittografica generata con la firma PAdES contiene sempre il documento, le evidenze informatiche e i prescritti certificati. Il che offre tutte le garanzie e verifiche del caso, anche secondo il diritto euro-unitario (http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture- architetture/firme-elettroniche/software-verifica)”.

Venendo alle conclusioni, secondo gli ermellini

si deve escludere che le disposizioni tecniche tuttora vigenti (pure a livello di diritto dell’UE) comportino in via esclusiva l’uso della firma digitale in formato CAdES, rispetto alla firma digitale in formato PAdES. Né sono ravvisabili elementi obiettivi, in dottrina e prassi, per poter ritenere che solo la firma in formato CAdES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa interna certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>. Addirittura, nel processo amministrativo telematico, per ragioni legate alla piattaforma interna, è stato adottato il solo standard PAdES (artt. 1, 5, 6, specifiche tecniche p.a.t., d.P.R. 16/02/2016, n. 40), mentre la giurisprudenza amministrativa riconosce la validità degli standards dell’UE tra i quali figurano, come già detto, sia quello CAdES, sia quello PAdES (Cons. Stato, n. 5504/2017, cit.)”.

Leggi: Cass. Sez. Unite 10266-2018 Equiparazione firma CADES e PADES


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 21/12/2017) 04/05/2018, n. 10776

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 322/2017 proposto da:

COMUNE GAIBA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21, presso lo studio dell’avvocato LORENZO SCIUBBA, rappresentato e difeso dall’avvocato RUGGERO MOLLO;

– ricorrente –

contro

P.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 702/1/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di VENEZIA, depositata il 26/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/12/2017 dal Consigliere Don. LUCA SOLAINI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso in Cassazione affidato a tre motivi, nei cui confronti la parte contribuente non ha spiegato difese scritte, l’ente impositore impugnava la sentenza della CTR del Veneto, relativa ad alcuni avvisi di accertamento Tarsu/Tia per il periodo 2007-2011 riferiti a una maggiore superficie catastale degli immobili oggetto d’imposizione.

Il ricorrente comune denuncia, con un primo motivo, la nullità del procedimento, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 17 e degli artt. 291 e 350 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, erroneamente, la CTR aveva ritenuto valida la notifica dell’appello eseguita con consegna all’addetto dell’ufficio protocollo del comune, piuttosto che presso lo studio del difensore nominato in primo grado dove l’ente aveva eletto domicilio.

Con un secondo motivo, il ricorrente comune deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 324 c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, i giudici d’appello, avevano annullato gli atti impugnati per una violazione di quanto stabilito dal D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 9, senza che l’appellante avesse proposto la relativa censura.

Con un terzo motivo, proposto in via subordinata, il ricorrente comune deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 70 e 73, D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 9, convertito con L. n. 2014 del 2011, in relazione all’art. 360, comma 1 (senza indicazione del numero), in quanto, le norme di cui alla rubrica riguardano la Tares e sono entrate in vigore a decorrere dal 1 gennaio 2013, mentre, gli avvisi d’accertamento opposti riguardavano la Tarsu per le annualità 2007-2011. Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.

E’ fondato il primo motivo, con assorbimento dei restanti, in quanto, la notifica dell’appello del contribuente, effettuata mediante notifica a mezzo posta ordinaria solo presso la Casa municipale (v. p. 2 del ricorso) è nulla per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, in quanto doveva essere effettuata presso il domicilio eletto in primo grado (vedi procura a margine delle controdeduzioni in primo grado, allegate, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ai fini dell’autosufficienza) mentre, l’ipotesi della consegna “a mani proprie” poteva realizzarsi solo con la consegna a mani del legale rappresentate. D’altra parte, la notifica non è inesistente ma nulla (Cass. sez. un. n. 14916/16) e dovrà essere rinnovata, ex art. 291 c.p.c.. Va, conseguentemente, accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Commissione tributaria regionale del Veneto, affinchè, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione.

Motivazione semplificata.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2018


Mobilità volontaria: Comune di Gorgonzola (MI)

Il Comune di Gorgonzola (Città metropolitana di Milano) ha la necessità di procedere all’assunzione URGENTE (da: prima possibile) di un  collaboratore amministrativo – messo comunale, categoria B3, a tempo pieno e indeterminato.

Si  chiede pertanto di conoscere l’interesse alla mobilità volontaria presso il predetto Ente di personale appartenente a tale categoria professionale, si chiede altresì l’esistenza di eventuali graduatorie concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato in corso di validità, per la predetta categoria e profilo professionale, da cui poter  attingere previa sottoscrizione di apposita convenzione.

Per informazioni:

Dott.ssa Rosamarina Facchinetti

Responsabile dei servizi di Amministrazione generale e Gestione delle Risorse Umane

Città di Gorgonzola

Via Italia 62 – 20064 Gorgonzola MI

(Ingresso Piazzetta C. Ripamonti – 20064 Gorgonzola MI)

marina.facchinetti@comune.gorgonzola.mi.it

Tel. 02 95701 260 – Fax. 02 9511 176


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 19/12/2017) 06/04/2018, n. 8472

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22955/2014 proposto da:

EQUITALIA SUD SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ADOLFO GANDIGLIO 27, presso lo studio dell’avvocato EMIDDIO PERRECA, rappresentato e difeso dall’avvocato GENNARO DI MAGGIO;

– ricorrente –

contro

GARAGE MARIA DI P.B. & C. SAS, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE FEDERICI 2, presso lo studio dell’avvocato MARIA CONCETTA ALESSANDRINI, rappresentato e difeso dagli avvocati MARIO DI TUORO, MAURIZIO SPIRITO, NUNZIA VISCONTI;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI NAPOLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1549/2014 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 14/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

Svolgimento del processo
che:

Equitalia Sud S.p.A. ricorre, svolgendo un solo motivo di censura, per la cassazione della sentenza n. 1549/45/14 della CTR Campania, la quale, in controversia riguardante l’impugnazione di una intimazione di pagamento, promossa dalla società contribuente Garage Maria di P.B. & C. S.a.S., rigettava l’appello proposto dalla concessionaria, sul presupposto della irregolare notifica della cartella di pagamento presupposta emessa per TARSU, annullando l’atto impugnato. Si è costituito con controricorso la società Garage Maria s.a.s. di B.P. e C.. La società di riscossione ha depositato memorie.

Motivi della decisione
che:

1. Con l’unico motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, artt. 138, 139 e 141 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), atteso che la CTR non avrebbe correttamente interpretato le norme riguardanti la notifica degli atti, effettuata a mezzo posta ad una società in accomandita semplice, presso la sede di tale società ed a persona qualificatasi come familiare convivente. Nella specie, le attestazioni dell’ufficiale notificante in ordine al rapporto tra il soggetto che riceva in consegna l’atto e il destinatario dello stesso fanno fede fino a querela di falso.

1.1. Il motivo è infondato.

Invero, qualora la notifica di una cartella di pagamento nei confronti di una società sia eseguita direttamente dal concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, seconda parte, per il relativo perfezionamento è sufficiente che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale, se non di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la propria firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente, dovendosi escludere, stante l’alternatività di tale disciplina speciale rispetto a quella dettata dalla L. n. 890 del 1982 e dal codice di rito, l’applicabilità delle disposizioni in tema di notifica degli atti giudiziari e, in specie, dell’art. 145 c.p.c. (Cass. n. 23511 del 2016).

Nella specie, la notificazione della cartella di pagamento, eseguita presso la sede della società, a mani di persona qualificatasi “familiare convivente”, non risulta effettuata in modo giuridicamente corretto, dovendosi rilevare la peculiarità della notificazione eseguita non a persona fisicatma presso la sede della società.

E’ noto al Collegio 1″indirizzo di questa Corte secondo cui:

“Ove la consegna del piego raccomandato sia avvenuta a mani di un familiare convivente con il destinatario, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, deve presumersi che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, restando irrilevante (anche) ogni indagine sulla riconducibilità del luogo di detta consegna fra quelli indicati dall’art. 139 c.p.c., in quanto il problema della identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con la conseguente irrilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario ha l’onere di fornire” (Cass. n. 6345 del 2013; Cass. n. 599 del 1998), ma tale forma di notifica non può ritenersi rituale, se eseguita presso la sede legale della società.

Va, invero, rilevata una distinzione tra l’ipotesi in cui la notifica venga eseguita nel luogo di residenza del legale rappresentante della società, ed il caso in cui la notifica venga eseguita presso la sede della società.

E’ incontroverso che la notifica della cartella di pagamento presupposta all’intimazione venne effettuata in data 11.2.2002 presso la sede della società Garage Maria di P.B. & C. S.a.s.. L’art. 145 c.p.c., nel testo applicabile “ratione temporis”, prima della riforma operata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, in vigore dal 1.3.2006, dispone al primo comma che la notificazione alle persone giuridiche, ed a società non aventi personalità giuridica, si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa.

Ne consegue che tale specificazione rileva ai fini della ritualità della notifica presso la sede legale della società, atteso che dalla lettura dell’art. 145 c.p.c., appare evidente che i limiti posti dal legislatore si riferiscono ai soggetti cui il notificante può legittimamente consegnare l’atto da notificare, ossia al “rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”, tra i quali non è compreso il “familiare convivente”.

La sentenza della CTR, pertanto, non merita censura, con la conseguenza che il ricorso va rigettato e la parte soccombente condannata al rimborso delle spese di lite, liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del soccombente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2300,00 oltre spese forfetarie ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del soccombente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2018


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 05/12/2017) 05/04/2018, n. 8410

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10600-2016 proposto da:

C.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE MARRA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 1602/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/02/2016 r.g.n. 4493/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MICHELE MARDEGAN per delega verbale Avvocato MICHELE MARRA;

udito l’Avvocato PAOLA DE NUNTIS.

Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Napoli ha respinto il reclamo proposto da C.A. avverso la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Santa Maria C.V. che, respingendo l’opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, aveva confermato l’ordinanza di rigetto del ricorso avente ad oggetto il licenziamento intimato al C. dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in esito a procedimento disciplinare.

2. La Corte territoriale ha osservato, in sintesi, quanto segue:

– contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il primo giudice non si era limitato a recepire l’accertamento di colpevolezza contenuto nella sentenza penale di condanna, ma aveva valutato in piena autonomia le risultanze del procedimento penale, acquisite nel contraddittorio delle parti, pur in mancanza di dibattimento, che nella specie non si era tenuto a causa della scelta del rito abbreviato da parte del C.;

– gli elementi acquisiti al processo penale avevano evidenziato che il dipendente si era reso responsabile del reato di concussione continuata in quanto, in qualità di assistente amministrativo presso l’Ispettorato del lavoro, abusando dei propri poteri e della propria qualità, si era fatto consegnare somme di denaro dai gestori di due esercizi commerciali prospettando loro la possibilità di evitare i controlli riguardanti la regolarità della posizione lavorativa del personale dipendente; tali risultanze probatorie non risultavano validamente contraddette dalle generiche difese svolte dall’imputato, non suffragate da alcun riscontro;

– la mancata ammissione delle prove testimoniali in primo grado era del tutto condivisibile, stante la genericità delle circostanze dedotte e l’indicazione, quali testi, delle parti offese, che avevano già riferito i fatti in maniera estremamente circostanziata, mentre le giustificazioni relative a presunte difficoltà familiari non avrebbero potuto sminuire la gravità della condotta, riferibile a fatti di rilevanza penale;

– non ricorreva una situazione di complessità dei fatti che giustificasse la necessità di attendere il passaggio in giudicato la sentenza penale prima di irrogare il licenziamento;

– era infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter, atteso che tale norma sancisce l’autonomia dell’illecito disciplinare da quello penale e prevede la possibilità della sospensione del procedimento disciplinare nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente.

3. Per la cassazione di tale sentenza il C. propone ricorso affidato a due motivi. Resiste con controricorso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la cui costituzione ha sanato la nullità della notifica del ricorso eseguita presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato anzichè presso l’Avvocatura Generale.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter per non avere l’Amministrazione datrice di lavoro sospeso il procedimento disciplinare in attesa dell’esito di quello penale, in presenza di una situazione ancora non definitivamente accertata con sentenza passata in giudicato, e per avere la Corte territoriale omesso di considerare, a tal fine, la L. n. 97 del 2001, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis e il CCNL di comparto del 12 giugno 2003.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte di appello richiamato, a fondamento del decisum, la denuncia delle parti lese, che non aveva mai fatto parte del fascicolo civile, ma era stata menzionata solo nella sentenza penale, la quale costituiva l’unica fonte di prova.

3. Il ricorso è infondato.

4. Il primo motivo sostanzialmente verte su un presunto obbligo della Pubblica Amministrazione di sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell’esito definitivo di quello penale. Tale tesi non trova alcun riscontro nella disciplina che regola la fattispecie in esame. Il procedimento disciplinare, avviato il 10 marzo 2011, è regolato dall’art. 55-ter D.Lgs., introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009 (c.d. riforma Brunetta); tale è la norma applicabile, che – com’è noto – ha inciso sul sistema delle fonti che regolano il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, operando la riaffermazione del primato della fonte legislativa rispetto al ruolo prima prevalente della contrattazione collettiva. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 1, u.p. prevede infatti che “nelle materie relative alle sanzioni disciplinari,…la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”; inoltre, l’art. 55, comma 1 medesimo D.Lgs. attribuisce carattere di “norme imperative” alle “disposizioni del presente articolo di quelli seguenti”, con sostituzione automatica delle clausole contrattuali difformi rispetto, e previsioni legislative, in base agli artt. 1339 e 1419 c.c. testualmente richiamati.

4.1. Tanto premesso, l’art. 55-ter introdotto dalla riforma del 2009, nel testo allora vigente (ora oggetto del D.Lgs. n. 25 maggio 2017, n. 75, art. 14), dispone, al primo comma, che “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all’art. 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all’art. 55-bis, comma 1, secondo periodo, l’ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente”.

5. La regola generale così introdotta è quella della autonomia dei due procedimenti (quello disciplinare e quello penale); la norma contempla la possibilità della sospensione (dunque facoltativa e non obbligatoria) come eccezione, nei casi di maggiore gravità (ossia per fatti sanzionabili con misure superiori alla sospensione fino a 10 gg.) e nei limiti in cui ricorrano casi di particolare complessità e qualora l’istruttoria disciplinare non abbia consentito di acquisire elementi sufficienti alla contestazione.

5.1. La sentenza impugnata muove, dunque, da una corretta interpretazione della normativa che regola la fattispecie, atteso che non è rinvenibile nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter, che disciplina i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, alcun obbligo di sospensione del primo in attesa della definizione del secondo.

6. Neppure esiste una disposizione che imponga alla Pubblica Amministrazione di procedere ad un’autonoma istruttoria ai fini della contestazione disciplinare. La Pubblica Amministrazione è, infatti, libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente e ben può avvalersi dei medesimi atti, in sede d’impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti (Cass. n.5284 del 2017, Cass. n.19183 del 2016).

7. Quanto all’apprezzamento delle prove acquisite in sede penale, va premesso che tali risultanze, pure ove il relativo procedimento si sia concluso con sentenza di patteggiamento o in sede di giudizio abbreviato, sono validamente utilizzabili dal giudice civile che, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale, e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Cass. n. 2168 del 2013; v. pure Cass. n. 5317 del 2017, n. 8603 del 2017).

8. Il ricorrente sembra dolersi altresì del mero recepimento, da parte del giudice civile, delle risultanze istruttorie acquisite nel diverso procedimento, in quanto mediate dalla sentenza penale.

8.1. Anche in relazione a tale censura il ricorso è infondato, in quanto la Corte di appello, nel condividere e confermare le valutazioni già espresse dal primo giudice, ha dato conto del fatto che queste erano state espresse sulla base di un vaglio critico delle prove penali, sulle quali giudice civile ha così espresso un proprio autonomo apprezzamento.

8.2. A ciò va poi aggiunto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. tra le più recenti, Cass. n. 11985 del 2016), la motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione del rinvio, diviene parte integrante dell’atto rinviante (Cass. n. 979/2009). Così è stata ritenuta ammissibile la motivazione per relationem della sentenza emessa in materia disciplinare attraverso il rinvio ad altri provvedimenti amministrativi o giurisdizionali, purchè la fonte richiamata sia identificabile ed accessibile alle parti (Cass. S.U. 16277 del 2010), come pure è stato ritenuto che non incorre nella violazione dell’art. 111 Cost., artt. 113 e 132 c.p.c. la motivazione della sentenza che, rinviando a principi di diritto sanciti dalla Corte di cassazione, rende detti principi parte integrante dell’atto rinviante, consentendo, in tal modo, il controllo di completezza e logicità della motivazione (Cass. n. 23223 del 2010).

9. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

10. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2018


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 08/03/2018) 04/04/2018, n. 8293

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28389-2012 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 12, presso lo studio dell’avvocato FIAMMETTA FIAMMERI, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA III AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 648/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 19/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione, in subordine rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIAMMERI che si riporta agli atti.

Svolgimento del processo
1. F.G. impugnava la cartella di pagamento notificata il 2 aprile 2009 relativa ad Invim per l’anno 1998 e diritti camerali per l’anno 2005 derivante da avviso di liquidazione resosi definitivo per mancata impugnazione. Il contribuente sosteneva che mancava la notifica dell’avviso di accertamento prodromico e che l’Ufficio era incorso in decadenza.

La commissione tributaria provinciale di Roma rigettava il ricorso con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria regionale del Lazio sul rilievo che il giudice di primo grado aveva verificato che il prodromico avviso di accertamento era stato notificato al portiere dello stabile sicchè l’atto si era reso definitivo per mancata impugnazione e la cartella avrebbe potuto essere impugnata solo per vizi propri. L’ufficio, poi, non era incorso in decadenza in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, i crediti dell’amministrazione finanziaria si prescrivono in 10 anni.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il contribuente formulando tre motivi. L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c..

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che nel giudizio di primo grado l’agenzia delle entrate ha depositato tardivamente il documento da cui si evinceva la notifica dell’avviso di accertamento. Ciò in quanto l’udienza davanti alla commissione tributaria provinciale era fissata per il 21 giugno 2010 e l’Ufficio si è costituito l’11 giugno 2010, per il che vi era stata violazione della norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32 che prevede che le parti possono depositare documenti fino a 20 giorni prima della data di trattazione.

4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 139 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene che la CTR ha omesso di accertare se il notificatore, prima di consegnare il plico al portiere avesse attestato la mancanza del destinatario ovvero di una persona di famiglia addetta alla casa. Ciò in quanto la notifica effettuata a mani del portiere dello stabile, quando la relazione dell’ufficiale postale non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale, è nulla.

5. Con il terzo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 139 c.p.c. e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la CTR ha omesso di accertare se il notificatore avesse informato il destinatario dell’avvenuta consegna a mani del portiere a mezzo di invio di lettera raccomandata, posto che dal mancato invio di tale raccomandata deriva la nullità della notifica.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato D.Lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio) che adempie (Cass. n. 655 del 15/01/2014). Tuttavia, tale norma va interpretata in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, che prevede, la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello che, tuttavia, può essere esercitata anche al di fuori degli stretti limiti fissati dall’art. 345 c.p.c., ma pur sempre, atteso il richiamo operato dal D.Lgs. n. 546, art. 61 alle norme del giudizio tributario di primo grado, entro il termine perentorio sancito dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto (Cass. n. 20109 del 16/11/2012). Pertanto i documenti tardivamente depositati nel giudizio di primo grado vanno esaminati nel giudizio di appello, ove acquisiti al fascicolo processuale, dovendosi ritenere comunque prodotti in grado di appello ed esaminabili da tale giudice in quanto prodotti entro il termine perentorio sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, applicabile anche al giudizio di appello (Cass. n. 3661 del 24/02/2015).

2. Il secondo ed il terzo motivo debbono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono a questioni strettamente connesse. L’art. 139 c.p.c. prevede, ai suoi commi 3 e 4, che “in mancanza delle persone indicate nel comma precedente” – e cioè del destinatario di persona, oppure di una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda (purchè non minore di quattordici anni o non palesemente incapace) -, “la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda…”: nel qual caso, “il portiere… deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”.

La Corte di legittimità ha più volte affermato che, in caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che dell’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto; ed il relativo accertamento, sebbene non debba necessariamente tradursi in forme sacramentali, deve, nondimeno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dall’art. 139 c.p.c., comma 2, secondo la successione preferenziale da detta norma tassativamente stabilita. Ne discende che deve ritenersi nulla la notificazione nelle mani del portiere, allorquando la relazione dell’ufficiale giudiziario non contenga – come nel caso di specie – l’attestazione del mancato rinvenimento delle persone indicate nella norma succitata (Cass. Sez. U, n. 8214 del 20/04/2005; Cass. n. 4627 del 16/12/2013 dep. il 26/02/2014 2014; Cass. n. 22151 del 27/09/2013). La Corte di legittimità ha, poi, affermato che l’omissione dell’avviso a mezzo di invio di lettera raccomandata non è una mera irregolarità ma è causa di nullità della notificazione per vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario notificante, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale stesso, secondo un principio esteso pure alla notifica a mezzo posta. Ciò attesa la funzione dell’avviso nella struttura complessiva di una notificazione che si perfeziona a persona non legata da quei particolari vincoli evidenziati nell’art. 139 c.p.c., comma 2, ma pur sempre da altri di peculiare intensità: l’atto entra a far parte della sfera di effettiva conoscibilità del destinatario, ma in una sua porzione connotata da un grado minore di possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto, rispetto a quelle altre fattispecie indicate dal secondo comma per la natura assai stretta del vincolo che lega al destinatario il consegnatario dell’atto; ed un tale minor grado di conoscibilità, se non la degrada al punto di rendere necessario lo spostamento ulteriore del momento di perfezionamento della notifica come accade appunto per l’ipotesi contemplata dall’art. 140 c.p.c., esige però almeno di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post e appunto non incidente sul precedente tempo in cui l’attività notificatoria si è svolta e compiuta (Cass., Sez. U, n. 18992 del 31/07/2017Cass. n. 1366 del 25/01/2010; Cass. n. 19366 del 21/08/2013).

Infine la Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di atti impositivi, deve ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento, effettuata mediante consegna al portiere dello stabile, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, senza che nella relazione di notificazione vi sia l’attestazione del tentativo di consegna alle altre persone preferenzialmente indicate, qualora sia provata la ricezione della raccomandata contenente la notizia dell’avvenuta notificazione, la quale non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazioni a mezzo posta, ma solo al regolamento postale, sicchè, ai fini della sua validità, è sufficiente che il plico sia consegnato al domicilio del destinatario e che il relativo avviso di ricevimento sia sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale, non essendo necessario che da esso risulti anche la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario (Cass. n. 19795 del 09/08/2017).

Diverse considerazioni si impongono nel caso in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente. Quando il predetto ufficio si avvale di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982, con la conseguenza che, in caso di notifica al portiere, essa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto, senza che si renda necessario l’invio di raccomandata (Cass. n. 12083 del 2016; n.17598/2010; n.911/2012; n. 14146/2014; n.19771/2013; n. 16949/2014) Dalla sentenza impugnata non è dato evincere se la notifica sia avvenuta a mezzo di ufficiale giudiziario o con invio diretto a mezzo posta. Ne primo caso, il riscontro della regolarità della notifica dell’avviso di accertamento dovrebbe avere ad oggetto anche l’invio della raccomandata poichè, se essa fosse stata inviata, ciò sanerebbe la nullità derivante dalla mancata menzione nella relata delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto. Diversamente, in caso di mancato invio della raccomandata, la notifica dell’avviso di accertamento, prodromico all’emissione della cartella impugnata, sarebbe nulla.

Nel secondo caso la notifica si sarebbe perfezionata con la ricezione della raccomandata da parte del portiere.

3. L’impugnata decisione va, dunque, cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 marzo 2018

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2018


Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 21-09-2017) 04-04-2018, n. 8174

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7554/2016 proposto da:

H.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 36-B, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO SCARDIGLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO PETROCCHI;

– ricorrente –

COMUNE di FIRENZE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA SANSONI, DEBORA PACINI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3241/2015 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata l’01/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/09/2017 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il Giudice di pace di Firenze accoglieva l’opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22, proposta da H.A., cittadino tedesco residente in (OMISSIS), avverso un verbale di contravvenzione al C.d.S., deducendo tra l’altro l’inesistenza della notifica del suddetto atto effettuata a mezzo posta e non con le modalità previste dalle convenzioni internazionali per le notifiche all’estero.

Successivamente il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 3241/2015, accoglieva l’appello proposto dal Comune di Firenze, ed, in riforma dell’appellata sentenza del Giudice di Pace, rigettava l’opposizione formulata dall’appellato H..

A sostegno della decisione il Tribunale rilevava, per quanto qui di interesse, che in generale per la notifica in (OMISSIS) degli atti amministrativi, qual era il verbale di contravvenzione al C.D.S. emesso dalla polizia municipale, dovesse trovare applicazione la disciplina contenuta nella Convenzione di Strasburgo del 24.11.1977. Tuttavia nel caso di specie l’art. 201 C.d.S., consentiva “…la notifica a mezzo del servizio postale come alternativa paritaria rispetto a quella effettuata secondo il codice di rito e che l’art. 201 C.d.S., trovava applicazione preferenziale rispetto all’art. 142 c.p.c., ratione temporis”. In ogni caso quand’anche si fosse voluto affermare che la notifica a mezzo del servizio postale non poteva essere effettuata, ciò non avrebbe dato luogo ad un’ipotesi di inesistenza della notifica, ma solo a nullità della stessa, sanata ai sensi dell’art. 156 c.p.c., avendo raggiunto il suo scopo.

Inoltre il Tribunale con riguardo alla censura relativa al fatto che il verbale di contravvenzione fosse stato notificato in lingua tedesca, perfettamente comprensibile all’appellante, riteneva che si trattasse di un mero vizio formale, che non impediva al destinatario di svolgere il suo atto di opposizione, per cui non era ravvisabile alcuna nullità.

Avverso la suddetta decisione H.A. propone ricorso per cassazione, formulando tre distinti motivi. Resiste il Comune di Firenze con apposito controricorso, contenente anche ricorso incidentale affidato ad un’unica censura.

Ritenuto che il ricorso principale potesse essere rigettato, assorbito l’incidentale condizionato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato anche memoria illustrativa.

Atteso che:

con il primo motivo di ricorso l’ H. denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 10 Cost., art. 142 c.p.c., art. 201 C.d.S., commi 1 e 3, lamentando che il giudice di appello, pur individuando correttamente la disciplina applicabile per la notifica in (OMISSIS), ossia quella prevista dalla Convenzione di Strasburgo del 24.11.1977, ha poi inopinatamente ritenuto che l’art. 201 C.d.S., consentisse di effettuare, in deroga a quanto previsto dalla Convenzione citata, la notifica a mezzo posta direttamente al destinatario residente in (OMISSIS);

con il secondo motivo di ricorso è denunciata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3: in particolare, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della norma citata, giacche quand’anche si fosse voluto affermare che la notifica a mezzo del servizio postale non poteva essere effettuata, il giudice del gravame ha ritenuto che il vizio non dava luogo ad un’ipotesi di inesistenza della stessa, ma solo a nullità della notifica a H., sanata ai sensi dell’art. 156 c.p.c., avendo essa raggiunto il suo scopo, in palese violazione del divieto posto dall’ordinamento tedesco;

con il terzo mezzo, con cui è denunciata ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione del R.D.L. n. 1796 del 1925, art. 1, nonché dell’art. 7 della Convenzione di Strasburgo del 24/11/1977, per essere stato il verbale di contestazione notificato solo nella sua traduzione in lingua tedesca;

con l’unico motivo del ricorso incidentale il Comune di Firenze lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, l’inesistenza della procura speciale alle liti rilasciata su foglio a parte in primo grado da H.A., deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. e l’omessa pronuncia su un punto decisivo per il giudizio da parte del giudice di appello;

ragioni di ordine logico giuridico impongono di esaminare in primo luogo l’unico motivo del ricorso incidentale, essendo evidente che l’eventuale giudizio positivo circa la validità della procura alle liti sarebbe assorbente rispetto alle altre doglianze. Essa è fondata.

Il Tribunale pur dando atto che il Comune di Firenze aveva eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’appello per nullità/inesistenza della procura alle liti rilasciata da H., non offre però alcuna motivazione in ordine a tale eccezione.

Occorre muovere dalla considerazione che, in base al disposto della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 12, a tenore del quale il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana, la procura alle liti utilizzata in un giudizio celebrato nel nostro Stato, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, tuttavia, nella parte in cui consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci. A tal fine occorre però che il diritto straniero conosca, quantomeno, i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che lo caratterizzano nell’ordinamento italiano e che consistono, quanto alla scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore (Cass. Sez. Un. 13 febbraio 2008 n. 3410; Cass. 14 novembre 2008 n. 27282).

Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che, benchè l’art. 122 c.p.c., comma 1, prescrivendo l’uso della lingua italiana, si riferisce ai soli atti endoprocessuali e non anche agli atti prodromici al processo, come la procura, per questi ultimi vige pur sempre il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (cfr. Cass. Sez. Un. 2 dicembre 2013 n. 26937; Cass. 29 dicembre 2011 n. 30035; Cass. 14 novembre 2008 n. 27282). Venendo al caso di specie, la procura, rilasciata da H., in (OMISSIS), era esente, in conformità alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, ratificata dall’Italia con L. 20 dicembre 1966, n. 1253, nonchè alla Convenzione bilaterale tra l’Italia e la (OMISSIS) conclusa in Roma il 7 giugno 1969, sia dalla legalizzazione da parte dell’autorità consolare italiana, sia dalla c.d. apostille, e cioè dal rilascio, da parte dell’organo designato dallo Stato di formazione dell’atto, di un attestato idoneo a che l’atto venga riconosciuto ed accettato come autentico.

Tanto non esclude, tuttavia, che andava allegata non solo la traduzione della procura speciale, ma anche quella dell’attività certificativa svolta dal notaio, e cioè l’attestazione che la firma era stata apposta in sua presenza, da persona di cui egli aveva accertato l’identità. Il mancato espletamento di tale adempimento comporta la nullità della procura (v. in termini, Cass. 29 maggio 2015 n. 11165).

Il Collegio rileva, altresì, che ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2 (nel testo applicabile “ratione temporis”, successivo alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, trattandosi di procura rilasciata in data 21 febbraio 2011), il giudice ogni qualvolta rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere interpretato nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali.

Non può dubitarsi dell’applicabilità di tale principio anche al vizio inerente alla procura alle liti, come affermato di recente, sia pure con riferimento alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, all’art. 182 c.p.c., dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. 22 dicembre 2011 n. 28337).

L’accoglimento del ricorso incidentale nei termini testè precisati, assorbiti i motivi del ricorso principale, comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Firenze, in persona di diverso magistrato, che applicherà il principio sopra indicato, provvedendo, altresì, il merito al regolamento delle spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale, assorbito quello principale;

cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Firenze, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 21 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2018


Banca Mediolanum: convenzione

Caro/a Associato/a come avrai notato da quest’anno abbiamo chiuso il conto corrente postale in quanto troppo oneroso e poco operativo. Abbiamo pertanto aperto il conto corrente con Banca Mediolanum che garantisce maggiore efficienza ed operatività 365 giorni su 365 giorni.

Constatato che effettuare il versamento tramite bonifico della quota di iscrizione, in molti casi, la commissione bancaria che sostenete è molto onerosa, si è provveduto a sottoscrivere una convenzione con banca Mediolanum per l’apertura di un conto corrente a ZERO SPESE.

Leggi: Testo della Convenzione ANNA 2018

Leggi: Depliant convenzione Mediolanum

LA CONVENZIONE NON E’ PIU’ ATTIVA DAL 31.12.2019