REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente
Dott. COLARUSSO Vincenzo – Consigliere
Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere
Dott. EBNER Vittorio Glauco – Consigliere
Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
N.G., M.A., L.R., elettivamente domiciliati in ROMA VIA BOEZIO 2, presso lo studio dell’avvocato MILANA CARLO, che li difende, giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
N.V., N.S., M.R. vedova N.U., N.A., N.G., N.L., gli ultimi cinque nella qualità di eredi di N.U., elettivamente domiciliati in ROMA VIA G GALILEI 45, presso lo studio dell’avvocato CIAFFI ONOFRIO, che li difende, giusta delega in atti;
– controricorrenti –
e contro
N.B., NI.AM., N.P., N.C., S.D.G.R., D.G. AL., DI.GI.AN., D.G.A.M., D. G.G., L.E.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2315/02 della Corte d’Appello di ROMA, depositata il 13/06/02;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 09/12/05 dal Consigliere Dott. Vincenzo MAZZACANE;
udito l’Avvocato MILANA Carlo, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione dell’aprile 1991 N.U. e N.V. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma G., B., P. e N.C., M. A., R., A., A.M. e D.G.G. chiedendo dichiararsi la nullità del testamento olografo pubblicato il 13.2.1991 di N.E., deceduta il 31.1.1991, con il quale quest’ultima aveva istituito suoi unici eredi il fratello N.G. e la di lui moglie M.A.; al riguardo gli attori assumevano che al momento della redazione del suddetto testamento N.E. era incapace di intendere e di volere, cosicchè essi chiedevano l’attribuzione e la divisione dei beni secondo i criteri della successione legittima.
Si costituivano in giudizio N.G. e M.A. deducendo che la “de cuius” all’atto della stesura del testamento era sana di mente e che solo nell’aprile del 1990 era stata colpita da malattia, e pertanto chiedevano il rigetto della domanda attrice.
Dopo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Emanuele e L.R. e N.S. il Tribunale adito con sentenza del 27.1.1998 dichiarava la nullità del suddetto testamento olografo del 18.1.1990.
A seguito di gravame da parte di N.G., M. A. e L.R. cui resistevano N.V. mentre gli altri appellati restavano contumaci, la Corte di Appello di Roma con sentenza del 13.6.2002 ha rigettato l’impugnazione.
La Corte territoriale preliminarmente ha disatteso il motivo di appello con il quale era stata dedotta la nullità della notificazione dell’atto di citazione (e di tutti gli atti successivi) nei confronti di L.R. in quanto eseguita nel domicilio di via (OMISSIS) in Roma dal quale invece la L. risultava essersi trasferita fin dall’anno 1989 perchè emigrata in altro comune; invero premesso che la notifica suddetta era avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c., il giudice di appello ha escluso l’esistenza di elementi da cui desumere che il notificante conoscesse o avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza il trasferimento di residenza del destinatario della notifica; ha poi aggiunto che la dichiarazione dell’Ufficiale Giudiziario di non aver trovato nessuno all’indicato domicilio idoneo ai sensi di legge a ricevere l’atto postulava un accertamento sulla effettiva ubicazione del destinatario non superabile dall’esistenza di certificazione di segno contrario.
La sentenza impugnata, poi, dopo aver disatteso il motivo di appello concernente la inutilizzabilità della consulenza tecnica d’ufficio espletata anche tra l’altro per la mancanza nel professionista incaricato delle necessarie qualità tecniche, ha evidenziato che dalle cartelle cliniche riguardanti N.E. era emerso un quadro costante contrassegnato da confusione e disorientamento spaziale e temporale con grave deficit della memoria, con conseguente onere degli appellanti, in realtà non assolto, di provare la redazione del testamento in un momento di lucido intervallo. Il giudice di appello ha quindi concluso condividendo pienamente l’analisi degli atti processuali condotta dal giudice di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza N.G., M. A. e L.R. hanno proposto un ricorso articolato in dieci motivi cui M.R., U., A., L., S. e N.G., tutti quali eredi di N. U., e N.V. hanno resistito con controricorso;
B., Am., P., C. e N.S., R., A., A.M. e D.G.G. nonchè L.E. non hanno svolto attività difensiva in questa sede; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.
Motivi della decisione
Con il primo ed il secondo motivo di ricorso i ricorrenti, denunciando rispettivamente violazione degli articoli 102 – 140 c.p.c. – art. 44 c.c. – art. 31 disp. att. c.c. – D.P.R. n. 136 del 1958, art. 16 e D.P.R. n. 223 del 1989, art. 18 e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto valida la notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti di L.R. avvenuta nel primo grado di giudizio ex art. 140 c.p.c. avendo così omesso l’esame dei documenti anagrafici ritualmente prodotti che attestavano il trasferimento di L.R. dal Comune di Roma a quello di Marino a decorrere dall’11.9.1989;
pertanto da tale data la L. risultava risiedere in (OMISSIS), Piazza (OMISSIS).
I ricorrenti quindi rilevano che il trasferimento della L. da Roma a (OMISSIS) a decorrere dall’11.9.1989 emergente dai certificati anagrafici provenienti dai suddetti Comuni avrebbe potuto e dovuto essere conosciuto dagli attori con l’ordinaria diligenza allorchè nell’anno 1991 precedettero alla integrazione del contraddittorio nei confronti della suddetta parte; pertanto nella fattispecie era stato erroneo il ricorso alla notifica ex art. 140 c.p.c., posto che tale modalità di notificazione non richiede l’effettiva irreperibilità del destinatario, bensì soltanto l’occasionale mancato rinvenimento di quest’ultimo nella sua residenza.
I ricorrenti quindi censurano l’affermazione della Corte territoriale secondo cui non risultavano dedotti in giudizio elementi da cui desumere che il notificante conoscesse o avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza l’avvenuto trasferimento di residenza del destinatario della notifica. Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto strettamente connesse, sono fondate.
Dall’esame diretto degli atti (consentito a questa Corte dalla natura procedurale del vizio denunciato) risulta che gli appellanti avevano ritualmente prodotto nel giudizio di secondo grado un certificato del Comune di Roma del 27.1.1999 che attestava che L.R. dall’11.9.1989 era emigrata a (OMISSIS) ed un certificato del Comune di Marino del 24.5.1999 da cui emergeva che la L. dalla medesima data dell’11.9.1989 risiedeva a Marino, via della Repubblica 2;
sempre dall’esame diretto degli atti risulta che l’integrazione del contraddittorio nei confronti di L.R. nel giudizio di primo grado fu eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. e che il piego relativo alla raccomandata spedita con avviso di ricevimento recante la notizia dell’avvenuto compimento delle formalità previste dalla suddetta disposizione è stato restituito al mittente per compiuta giacenza. Orbene alla luce degli elementi ora evidenziati deve ritenersi la nullità della notifica in questione.
Invero gli appellanti avevano provato l’avvenuta cancellazione di L.R. dall’anagrafe del Comune di precedente iscrizione e la sua iscrizione nell’anagrafe del Comune di nuova residenza con la stessa decorrenza (ovvero l’11.9.1989), cosicchè sussistevano i requisiti di legge, ai sensi degli articoli 44 c.c., comma 1 e art. 31 disp. att. c.c., ovvero la doppia dichiarazione fatta al Comune che si abbandona ed a quello di nuova residenza – per poter opporre il trasferimento della residenza ai terzi di buona fede (vedi al riguardo Cass. 2.3.1996 n. 164 8); e d’altra parte la notifica ex art. 140 c.p.c. non esclude, ma anzi postula che sia stato esattamente individuato il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario, e che la copia da notificare non sia stata consegnata per mere difficoltà di ordine materiale, quali la momentanea assenza, l’incapacità o il rifiuto delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c. (Cass. 11.8.2000 n. 10629; Cass. 20.9.2002 n. 13755).
Pertanto nella fattispecie non può essere condiviso il generico assunto del giudice di appello – che invero non ha operato alcun riferimento specifico alla documentazione sopra richiamata – secondo cui non erano stati dedotti in giudizio elementi da cui desumere che il notificante conoscesse, o avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza, il trasferimento di residenza della L.; infatti una normale ricerca anagrafica avrebbe consentito di accertare che all’epoca della notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti della L. (luglio del 1991) quest’ultima da molto tempo, ovvero dall’11.9.1989, aveva trasferito la propria residenza dal Comune di Roma a quello di Marino;
conseguentemente la notifica di tale atto nella precedente residenza anagrafica di Roma, via (OMISSIS) non era più giustificata da alcun elemento oggettivo, ed era quindi nulla.
A tal proposito non possono essere condivisi nè il rilievo in senso contrario attribuito dal giudice di appello alla dichiarazione dell’ufficiale giudiziario di non aver trovato nessuno all’indicato domicilio idoneo, ai sensi di legge, alla consegna dell’atto nè la considerazione che tale dichiarazione postulava un accertamento sulla effettiva ubicazione del destinatario non superabile dall’esistenza di contraria certificazione: infatti nel caso in cui la notifica venga effettuata nelle forme previste dall’art. 140 c.p.c. nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, costituisce mera presunzione, superabile con qualsiasi mezzo (e senza necessità di impugnare con querela, di falso la relazione dell’ufficiale giudiziario) che in quel luogo si trovi la residenza effettiva (o la dimora o il domicilio) del destinatario dell’atto, sicchè compete al giudice di merito, in caso di contestazione, compiere tale accertamento in base all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti (Cass. 26.8.1997 n. 8011).
Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per non aver preso in esame i motivi di appello relativi alla asserita inutilizzabilità della consulenza tecnica d’ufficio anche per difetto di adeguati requisiti di professionalità sul consulente tecnico nominato.
Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando vizio della motivazione, assumono che il giudice di appello non ha minimamente esaminato le censure degli appellanti relative alla contraddittorietà ed alla illogicità della consulenza tecnica d’ufficio. Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver affermato che gravava sugli appellanti l’onere, in realtà non assolto, di provare che il testamento in questione fosse stato redatto da N. E. in un momento di lucido intervallo; in realtà era onere delle controparti provare che la redazione del suddetto testamento fosse avvenuta in un periodo di grave malattia mentale della N..
Con il sesto motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, sostengono che l’affermazione del giudice di appello secondo cui il grave stato confusionale riscontrato in N.E. risaliva a circa sei mesi prima del suo ricovero contrastava con la documentazione acquisita in atti. Con il settimo motivo i ricorrenti, denunciando vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per non aver esaminato la richiesta degli appellanti di effettuare una perizia psicografologica sulla scheda testamentaria onde accertare le condizioni psichiche della testatrice al momento della redazione del testamento. Con l’ottavo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli articoli 246 e 257 c.p.c., comma 2 e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per non aver specificatamente esaminato i motivi di appello relativi alla nullità parziale della prova testimoniale di parte attrice, alla errata valutazione della prova espletata ed alla omessa ammissione di un teste indotto dagli esponenti.
Con il nono motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c..
Con il decimo motivo i ricorrenti deducono vizio di motivazione.
Con tali connesse censure i ricorrenti assumono di essere stati condannati al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio liquidate complessivamente nella elevatissima somma di Euro 21.200,00 in violazione dei limiti massimi delle tariffe e senza alcuna motivazione; aggiungono che comunque la compensazione delle spese sarebbe stata più logica all’esito del giudizio.
Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti in seguito all’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.
In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma ultimo, al Tribunale di Roma quale giudice di primo grado.
Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Roma quale giudice di primo grado; compensa interamente tra le parti le spese di tutti i gradi del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2006