Notifiche in busta chiusa

Dalla Newsletter del Garante 21.11.2006

Ogni atto, documento, comunicazione o avviso va notificato in busta chiusa e sigillata. Lo ha ribadito l’Autorità all’esito della valutazione preliminare di un reclamo di un dipendente pubblico destinatario di una lettera con la quale la sua amministrazione gli contestava alcuni addebiti, notificata aperta al padre.

Le modalità della comunicazione, secondo il dipendente, non avevano rispettato le norme in materia di protezione dei dati personali. La lettera, infatti, pur portando la dicitura “Riservata Amministrativa”, era stata recapitata senza alcuna busta e il vigile urbano che aveva provveduto alla notifica, al momento della consegna al padre, avrebbe espresso considerazioni personali sul contenuto del messaggio. L’Autorità ha subito segnalato la violazione al Comando di Polizia del Comune d’appartenenza dell’interessato, invitandolo ad uniformarsi al Codice della privacy, che dal 2004 ha modificato la normativa in materia di notificazione, e ad utilizzare in futuro modalità più idonee per assicurare il rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità della persona. Il Comando di polizia municipale ha quindi predisposto tre nuovi modelli per la notifica: un primo modello per la notifica urgente; un secondo con il quale il delegato, al momento della consegna, dichiara di averne ricevuto la notifica in busta chiusa; un terzo modello adesivo, utilizzato per sigillare il contenuto o l’atto da notificare. Va ricordato che se il dipendente ritenga di aver subito un danno, anche non patrimoniale, derivante dal trattamento di dati personali effettuato per procedere alla notifica, può rivolgersi all’autorità giudiziaria per un eventuale risarcimento.


Cass. civ. Sez. II, (ud. 04-05-2006) 21-11-2006, n. 24673

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORONA Rafaele – Presidente

Dott. EBNER Vittorio Glauco – Consigliere

Dott. SCHERILLO Giovanna – Consigliere

Dott. TROMBETTA Francesca – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA RISORGIMENTO 59, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO VIOLA, difeso dall’avvocato RICCIUTI BRUNO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CHIETI, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 244/01 del Giudice di pace di CHIETI, depositata il 30/05/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/05/06 dal Consigliere Dott. Ippolisto PARZIALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso e il rigetto del resto.

Svolgimento del processo
M.A. ricorre, articolando tre motivi, avverso la sentenza del giudice di pace di Chieti, pubblicata il 30 maggio 2002, che ha respinto la sua opposizione avverso la cartella esattoriale numero (OMISSIS) del 2001 ((OMISSIS)), notificata il primo ottobre 2001, relativa a sanzione amministrativa conseguente a violazione del codice della strada.

Il giudice di pace ha respinto la sua opposizione ritenendola tardiva, non avendo il ricorrente proposto opposizione al verbale di accertamento della violazione, ritenuto tempestivamente e regolarmente notificato a mezzo posta all’indirizzo del predetto risultante dall’archivio nazionale dei veicoli presso la direzione generale della motorizzazione civile, così come prescritto dall’art. 201 C.d.S.. Il giudice di pace osservava in particolare che “la responsabilità della tempestiva trascrizione dei dati, pur trasmessi dal ricorrente, non è imputabile alla polizia municipale di Chieti”.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese in questa sede.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la “violazione e falsa applicazione di norme procedurali”. Deduce il ricorrente la nullità della costituzione del comune resistente in primo grado, ex articoli 311 e 83 c.p.c. per non avere il comandante dei vigili urbani alcuna rappresentanza legale dell’ente territoriale, potendo stare in giudizio per il Comune soltanto il sindaco.

Il motivo è infondato e va respinto. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, dall’esame degli atti, consentito in questa sede in relazione all’errore denunciato, risulta la delega conferita dal Comune al Comandante dei Vigili Urbani, sufficiente per fini del giudizio avanti al giudice di pace. Ed infatti la L. 4 novembre 1981, n. 689, art. 23 consente alla autorità, la quale abbia emesso ordinanza-ingiunzione per la comminazione di sanzioni amministrative, di stare personalmente nel relativo giudizio di opposizione, avvalendosi anche di propri funzionari appositamente delegati. Tale norma comporta soltanto, ai fini della regolarità di tale delega che la stessa provenga dall’organo dotato della rappresentanza esterna dell’ente e, quindi, ove si tratti di un Comune, dal Sindaco (Cass. 1249 del 1991).

Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione di norme diritto. Osserva il ricorrente che l’unico atto da lui ricevuto regolarmente era costituito dalla cartella esattoriale, impugnata nei termini di legge. Erroneamente il giudicante aveva ritenuto regolarmente effettuata la notifica dell’avviso di accertamento, spedito a mezzo posta con plico raccomandato con avviso di ricevimento ad un indirizzo presso il quale il ricorrente non aveva più la sua abitazione e residenza sin dal 25 febbraio 1997. Sicché la compiuta giacenza al 19 aprile 1999, effettuata per la notifica in tale indirizzo, non poteva avere alcuna validità nè di fatto nè giuridica. Tale circostanza egli aveva documentato con la produzione del certificato di residenza del comune di Chieti del 6/11/2001 e con la documentazione rilasciata dall’ufficio provinciale di Chieti del PRA del 28 ottobre 2001.

Il motivo è fondato e va accolto.

Il giudice di pace ha ritenuto, infatti, valida la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione effettuata “presso l’indirizzo del M. risultante dall’archivio nazionale dei veicoli presso la Direzione generale della MCTC, così come prescritto dall’art. 201 C.d.S.; pertanto la responsabilità della tempestiva trascrizione dei dati, pur trasmessi dal ricorrente, non sono imputabili alla Polizia Municipale di Chieti il cui atto sanzionatorio viene confermato.” Il giudice ha, quindi, deciso sulla base dei seguenti elementi: 1) la notifica dell’ordinanza ingiunzione fu effettuata all’indirizzo di residenza del M. non ancora aggiornato dopo il trasferimento della residenza avvenuto in epoca anteriore alla notifica; 2) il M. aveva provveduto alla tempestiva comunicazione della variazione dell’indirizzo di residenza.

Sulla base di tali fatti accertati il giudice di pace ha ritenuto che il mancato aggiornamento dei dati non poteva considerarsi imputabile alla Polizia Municipale di Chieti (affermazione questa condivisibile, non essendo quest’ultima responsabile della tenuta dei dati) ed ha concluso che la notifica effettuata al precedente indirizzo di residenza dell’odierno ricorrente doveva considerarsi come correttamente eseguita. E ciò pur risultando dagli atti che la notifica era stata effettuata a mezzo posta, che il destinatario risultava assente e che il plico era stato restituito per compiuta giacenza. L’interessato, quindi, non aveva avuto alcuna notizia della notifica ed aveva diligentemente e tempestivamente provveduto anche a quanto di sua competenza per la necessaria variazione non solo ai fini anagrafici, ma anche ai fini previsti dal codice della strada.

In tale situazione il ricorrente ha avuto cognizione dell’ordinanza- ingiunzione soltanto con la notifica della cartella esattoriale, correttamente eseguita al suo effettivo indirizzo di residenza. Ha poi tempestivamente proposto ricorso deducendo il precedente vizio di notifica, di cui ha fornito la prova.

Il giudicante ha quindi compiuto un errore di interpretazione della norma di cui all’articolo 201 C.d.S., che è del seguente tenore (per la parte che interessa in questa sede e nel testo all’epoca vigente):

“… le noti fiche si intendono validamente eseguite quando siano fatte alla residenza, domicilio o sede del soggetto risultante dalla carte di circolazione o dall’archivio nazionale dei veicoli istituito presso la Direzione generale della M. T.C T. …”.

La ratio di tale norma non può che essere quella di semplificare le attività che debbono svolgere gli enti accertatori per la notifica delle violazioni al codice della strada, evitando così molteplici indagini. Di conseguenza, sul cittadino, proprietario del veicolo, grava l’onere di comunicare tempestivamente le variazioni anagrafiche, se non vuole subire gli effetti (negativi) di una notifica effettuata al precedente indirizzo di residenza. Peraltro tali effetti negativi non possono ricadere sul cittadino che abbia diligentemente ottemperato a tale onere, e ciò anche nel caso in cui si verifichi un ritardo nell’aggiornamento dei relativi archivi per l’inefficienza della pubblica amministrazione, come accaduto nel caso in questione.

Con il terzo motivo di ricorso, come lo stesso ricorrente afferma, viene contestato il contenuto dell’infrazione.

Il motivo è inammissibile perché relativo al merito della contestazione.

In conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice di pace di Chieti il quale si atterrà al seguente principio il diritto: “la notifica effettuata a mezzo posta all’indirizzo di residenza del contravventore risultante dagli archivi non aggiornati, non può ritenersi correttamente eseguita, ove il destinatario risulti assente e il plico restituito al mittente per compiuta giacenza, quando l’interessato abbia provveduto alla tempestiva comunicazione della relativa variazione anagrafica”.

P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso, cassa con rinvio ad altro giudice di pace di Chieti che provvedere anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 maggio 2006.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2006


Cass. civ., Sez. II, Sent., (data ud. 09/12/2005) 16/11/2006, n. 24416

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente

Dott. COLARUSSO Vincenzo – Consigliere

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere

Dott. EBNER Vittorio Glauco – Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.G., M.A., L.R., elettivamente domiciliati in ROMA VIA BOEZIO 2, presso lo studio dell’avvocato MILANA CARLO, che li difende, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

N.V., N.S., M.R. vedova N.U., N.A., N.G., N.L., gli ultimi cinque nella qualità di eredi di N.U., elettivamente domiciliati in ROMA VIA G GALILEI 45, presso lo studio dell’avvocato CIAFFI ONOFRIO, che li difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

N.B., NI.AM., N.P., N.C., S.D.G.R., D.G. AL., DI.GI.AN., D.G.A.M., D. G.G., L.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2315/02 della Corte d’Appello di ROMA, depositata il 13/06/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 09/12/05 dal Consigliere Dott. Vincenzo MAZZACANE;

udito l’Avvocato MILANA Carlo, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Svolgimento del processo
Con atto di citazione dell’aprile 1991 N.U. e N.V. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma G., B., P. e N.C., M. A., R., A., A.M. e D.G.G. chiedendo dichiararsi la nullità del testamento olografo pubblicato il 13.2.1991 di N.E., deceduta il 31.1.1991, con il quale quest’ultima aveva istituito suoi unici eredi il fratello N.G. e la di lui moglie M.A.; al riguardo gli attori assumevano che al momento della redazione del suddetto testamento N.E. era incapace di intendere e di volere, cosicchè essi chiedevano l’attribuzione e la divisione dei beni secondo i criteri della successione legittima.

Si costituivano in giudizio N.G. e M.A. deducendo che la “de cuius” all’atto della stesura del testamento era sana di mente e che solo nell’aprile del 1990 era stata colpita da malattia, e pertanto chiedevano il rigetto della domanda attrice.

Dopo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Emanuele e L.R. e N.S. il Tribunale adito con sentenza del 27.1.1998 dichiarava la nullità del suddetto testamento olografo del 18.1.1990.

A seguito di gravame da parte di N.G., M. A. e L.R. cui resistevano N.V. mentre gli altri appellati restavano contumaci, la Corte di Appello di Roma con sentenza del 13.6.2002 ha rigettato l’impugnazione.

La Corte territoriale preliminarmente ha disatteso il motivo di appello con il quale era stata dedotta la nullità della notificazione dell’atto di citazione (e di tutti gli atti successivi) nei confronti di L.R. in quanto eseguita nel domicilio di via (OMISSIS) in Roma dal quale invece la L. risultava essersi trasferita fin dall’anno 1989 perchè emigrata in altro comune; invero premesso che la notifica suddetta era avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c., il giudice di appello ha escluso l’esistenza di elementi da cui desumere che il notificante conoscesse o avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza il trasferimento di residenza del destinatario della notifica; ha poi aggiunto che la dichiarazione dell’Ufficiale Giudiziario di non aver trovato nessuno all’indicato domicilio idoneo ai sensi di legge a ricevere l’atto postulava un accertamento sulla effettiva ubicazione del destinatario non superabile dall’esistenza di certificazione di segno contrario.

La sentenza impugnata, poi, dopo aver disatteso il motivo di appello concernente la inutilizzabilità della consulenza tecnica d’ufficio espletata anche tra l’altro per la mancanza nel professionista incaricato delle necessarie qualità tecniche, ha evidenziato che dalle cartelle cliniche riguardanti N.E. era emerso un quadro costante contrassegnato da confusione e disorientamento spaziale e temporale con grave deficit della memoria, con conseguente onere degli appellanti, in realtà non assolto, di provare la redazione del testamento in un momento di lucido intervallo. Il giudice di appello ha quindi concluso condividendo pienamente l’analisi degli atti processuali condotta dal giudice di primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza N.G., M. A. e L.R. hanno proposto un ricorso articolato in dieci motivi cui M.R., U., A., L., S. e N.G., tutti quali eredi di N. U., e N.V. hanno resistito con controricorso;

B., Am., P., C. e N.S., R., A., A.M. e D.G.G. nonchè L.E. non hanno svolto attività difensiva in questa sede; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione
Con il primo ed il secondo motivo di ricorso i ricorrenti, denunciando rispettivamente violazione degli articoli 102 – 140 c.p.c. – art. 44 c.c. – art. 31 disp. att. c.c. – D.P.R. n. 136 del 1958, art. 16 e D.P.R. n. 223 del 1989, art. 18 e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto valida la notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti di L.R. avvenuta nel primo grado di giudizio ex art. 140 c.p.c. avendo così omesso l’esame dei documenti anagrafici ritualmente prodotti che attestavano il trasferimento di L.R. dal Comune di Roma a quello di Marino a decorrere dall’11.9.1989;

pertanto da tale data la L. risultava risiedere in (OMISSIS), Piazza (OMISSIS).

I ricorrenti quindi rilevano che il trasferimento della L. da Roma a (OMISSIS) a decorrere dall’11.9.1989 emergente dai certificati anagrafici provenienti dai suddetti Comuni avrebbe potuto e dovuto essere conosciuto dagli attori con l’ordinaria diligenza allorchè nell’anno 1991 precedettero alla integrazione del contraddittorio nei confronti della suddetta parte; pertanto nella fattispecie era stato erroneo il ricorso alla notifica ex art. 140 c.p.c., posto che tale modalità di notificazione non richiede l’effettiva irreperibilità del destinatario, bensì soltanto l’occasionale mancato rinvenimento di quest’ultimo nella sua residenza.

I ricorrenti quindi censurano l’affermazione della Corte territoriale secondo cui non risultavano dedotti in giudizio elementi da cui desumere che il notificante conoscesse o avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza l’avvenuto trasferimento di residenza del destinatario della notifica. Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto strettamente connesse, sono fondate.

Dall’esame diretto degli atti (consentito a questa Corte dalla natura procedurale del vizio denunciato) risulta che gli appellanti avevano ritualmente prodotto nel giudizio di secondo grado un certificato del Comune di Roma del 27.1.1999 che attestava che L.R. dall’11.9.1989 era emigrata a (OMISSIS) ed un certificato del Comune di Marino del 24.5.1999 da cui emergeva che la L. dalla medesima data dell’11.9.1989 risiedeva a Marino, via della Repubblica 2;

sempre dall’esame diretto degli atti risulta che l’integrazione del contraddittorio nei confronti di L.R. nel giudizio di primo grado fu eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. e che il piego relativo alla raccomandata spedita con avviso di ricevimento recante la notizia dell’avvenuto compimento delle formalità previste dalla suddetta disposizione è stato restituito al mittente per compiuta giacenza. Orbene alla luce degli elementi ora evidenziati deve ritenersi la nullità della notifica in questione.

Invero gli appellanti avevano provato l’avvenuta cancellazione di L.R. dall’anagrafe del Comune di precedente iscrizione e la sua iscrizione nell’anagrafe del Comune di nuova residenza con la stessa decorrenza (ovvero l’11.9.1989), cosicchè sussistevano i requisiti di legge, ai sensi degli articoli 44 c.c., comma 1 e art. 31 disp. att. c.c., ovvero la doppia dichiarazione fatta al Comune che si abbandona ed a quello di nuova residenza – per poter opporre il trasferimento della residenza ai terzi di buona fede (vedi al riguardo Cass. 2.3.1996 n. 164 8); e d’altra parte la notifica ex art. 140 c.p.c. non esclude, ma anzi postula che sia stato esattamente individuato il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario, e che la copia da notificare non sia stata consegnata per mere difficoltà di ordine materiale, quali la momentanea assenza, l’incapacità o il rifiuto delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c. (Cass. 11.8.2000 n. 10629; Cass. 20.9.2002 n. 13755).

Pertanto nella fattispecie non può essere condiviso il generico assunto del giudice di appello – che invero non ha operato alcun riferimento specifico alla documentazione sopra richiamata – secondo cui non erano stati dedotti in giudizio elementi da cui desumere che il notificante conoscesse, o avrebbe potuto conoscere con l’ordinaria diligenza, il trasferimento di residenza della L.; infatti una normale ricerca anagrafica avrebbe consentito di accertare che all’epoca della notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti della L. (luglio del 1991) quest’ultima da molto tempo, ovvero dall’11.9.1989, aveva trasferito la propria residenza dal Comune di Roma a quello di Marino;

conseguentemente la notifica di tale atto nella precedente residenza anagrafica di Roma, via (OMISSIS) non era più giustificata da alcun elemento oggettivo, ed era quindi nulla.

A tal proposito non possono essere condivisi nè il rilievo in senso contrario attribuito dal giudice di appello alla dichiarazione dell’ufficiale giudiziario di non aver trovato nessuno all’indicato domicilio idoneo, ai sensi di legge, alla consegna dell’atto nè la considerazione che tale dichiarazione postulava un accertamento sulla effettiva ubicazione del destinatario non superabile dall’esistenza di contraria certificazione: infatti nel caso in cui la notifica venga effettuata nelle forme previste dall’art. 140 c.p.c. nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, costituisce mera presunzione, superabile con qualsiasi mezzo (e senza necessità di impugnare con querela, di falso la relazione dell’ufficiale giudiziario) che in quel luogo si trovi la residenza effettiva (o la dimora o il domicilio) del destinatario dell’atto, sicchè compete al giudice di merito, in caso di contestazione, compiere tale accertamento in base all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti (Cass. 26.8.1997 n. 8011).

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per non aver preso in esame i motivi di appello relativi alla asserita inutilizzabilità della consulenza tecnica d’ufficio anche per difetto di adeguati requisiti di professionalità sul consulente tecnico nominato.

Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando vizio della motivazione, assumono che il giudice di appello non ha minimamente esaminato le censure degli appellanti relative alla contraddittorietà ed alla illogicità della consulenza tecnica d’ufficio. Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver affermato che gravava sugli appellanti l’onere, in realtà non assolto, di provare che il testamento in questione fosse stato redatto da N. E. in un momento di lucido intervallo; in realtà era onere delle controparti provare che la redazione del suddetto testamento fosse avvenuta in un periodo di grave malattia mentale della N..

Con il sesto motivo i ricorrenti, deducendo vizio di motivazione, sostengono che l’affermazione del giudice di appello secondo cui il grave stato confusionale riscontrato in N.E. risaliva a circa sei mesi prima del suo ricovero contrastava con la documentazione acquisita in atti. Con il settimo motivo i ricorrenti, denunciando vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per non aver esaminato la richiesta degli appellanti di effettuare una perizia psicografologica sulla scheda testamentaria onde accertare le condizioni psichiche della testatrice al momento della redazione del testamento. Con l’ottavo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli articoli 246 e 257 c.p.c., comma 2 e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per non aver specificatamente esaminato i motivi di appello relativi alla nullità parziale della prova testimoniale di parte attrice, alla errata valutazione della prova espletata ed alla omessa ammissione di un teste indotto dagli esponenti.

Con il nono motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c..

Con il decimo motivo i ricorrenti deducono vizio di motivazione.

Con tali connesse censure i ricorrenti assumono di essere stati condannati al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio liquidate complessivamente nella elevatissima somma di Euro 21.200,00 in violazione dei limiti massimi delle tariffe e senza alcuna motivazione; aggiungono che comunque la compensazione delle spese sarebbe stata più logica all’esito del giudizio.

Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti in seguito all’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma ultimo, al Tribunale di Roma quale giudice di primo grado.

Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.

P.Q.M.
LA CORTE Accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Roma quale giudice di primo grado; compensa interamente tra le parti le spese di tutti i gradi del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2005.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2006


MISURE IN MATERIA DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Il Consiglio dei Ministri nella riunione del 10 novembre 2006 scorso ha approvato un decreto legge in materia di previdenza complementare.
Fra le misure previste, l’anticipo al 1° gennaio 2007 dell’entrata in vigore della riforma del trattamento di fine rapporto (TFR). Nel provvedimento d’urgenza sono state introdotte norme procedurali che riguardano l’adeguamento dei fondi pensione ai meccanismi di trasferimento del TFR. In particolare, il decreto legge stabilisce che entro il 31 dicembre 2006, tutti i fondi pensione devono aggiornare i propri statuti e regolamenti, mentre le forme pensionistiche attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita devono prevedere la costituzione del patrimonio autonomo e separato entro il 31 marzo 2007. I fondi, per poter operare e ricevere nuove adesioni, dovranno inviare una comunicazione alla Commissione di vigilanza sulle forme pensionistiche (Covip). La Covip rilascerà un’autorizzazione o un’approvazione entro il 30 giugno 2007. Qualora la forma pensionistica complementare non abbia ricevuto la predetta autorizzazione, all’aderente è consentito trasferire l’intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica complementare.


DM 3 ottobre 2006(1). Aggiornamento del compenso spettante per la notifica degli atti delle pubbliche amministrazioni da parte dei messi comunali (2).

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 31 ottobre 2006, n. 254.
(2) Emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze

IL MINISTRO DELL’ECONOMIA

E DELLE FINANZE

di concerto con

IL MINISTRO DELL’INTERNO

 

Visto il decreto interministeriale 6 agosto 2003, emanato ai sensi dell’art. 10, comma 2, della legge 3 agosto 1999, n. 265, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 250 in data 27 ottobre 2003 che fissa in € 5,56 l’importo spettante ai comuni per la notifica degli atti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a mezzo dei messi comunali;

Considerato che, ex art. 1, comma 2, del cennato decreto interministeriale, la somma spettante per ogni singolo atto notificato è aggiornata ogni tre anni in relazione all’andamento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati accertato dall’ISTAT con decreto interministeriale del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro dell’interno;

Decreta:

1. 1. Le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, qualora non sia possibile eseguirle utilmente mediante il servizio postale o le altre forme previste dalla legge, dei messi comunali.

2. Al comune che vi provvede spetta, a decorrere dal 1° aprile 2006, per ogni singolo atto notificato, la somma di € 5,88, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento secondo le tariffe vigenti, nelle ipotesi previste dall’art. 140 del codice di procedura civile. La suddetta somma è aggiornata ogni tre anni, in relazione all’andamento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertato dall’ISTAT, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro dell’interno.

3. L’ente locale richiede, con cadenza trimestrale, alle singole amministrazioni la liquidazione ed il pagamento delle somme spettanti per tutte le notificazioni effettuate per conto delle stesse amministrazioni, allegando la documentazione giustificativa. Alla liquidazione ed al pagamento delle somme dovute per tutte le notificazioni effettuate per conto della stessa amministrazione dello Stato, provvede, con cadenza semestrale, il dipendente dell’ufficio periferico avente sede nella provincia di appartenenza dell’ente locale interessato.

4. Le relative spese sono poste a carico della pertinente unità previsionale di base all’uopo individuata da ciascuna amministrazione.

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TESSERAMENTO 2007

La Giunta Esecutiva, nella seduta del 27.10.2006, ha deliberato le nuove quote per il tesseramento 2007:
1. Tipo A – Messi Comunali: € 60,00
2. Tipo B – Messi del Giudice di Pace e di Conciliazione: € 60,00;
3. Tipo C – Ufficiali Giudiziari: € 60,00;
4. Tipo D – Messi Provinciali: € 60,00;
5. Tipo E – Comuni fino a 10.000 abitanti: € 100,00;
6. Tipo F – Comuni con popolazione da 10.001 a 100.000 abitanti: € 150,00;
7. Tipo G – Comuni con popolazione oltre i 100.001 abitanti: € 200,00;
8. Tipo H – Altri Enti: € 250,00;
9. Tipo I – Soggetti privati: € 250,00.


2° Convegno Nazionale: Il Messo Comunale e la Pubblica Amministrazione. Roma 27.10.2006

2° Convegno Nazionale

Il «Progetto per la valorizzazione del Messo comunale» è un’iniziativa dell’Associazione A.N.N.A. che ha come obbiettivo principale quello di riqualificare la figura ed il ruolo del Messo comunale attraverso, e non solo, la conoscenza dei principi fondamentali del Procedimento notificatorio.

L’Associazione attraverso l’iniziativa, che si svolgerà su tutto il territorio nazionale, intende dare il proprio contributo affinché l’applicazione delle norme che regolano il Procedimento notificatorio sia la più uniforme possibile.

In questo contesto si inserisce questo 2° convegno nazionale « Il Messo comunale e la pubblica Amministrazione» che l’Associazione organizza con il preciso scopo di dare voce ad una categoria che troppo spesso è dimenticata o lasciata in balia di se stessa, in una giungla normativa, contraddittoria ed a volte anacronistica.

In uno stato di diritto, grande importanza riveste la comunicazione tra P.A. e cittadino, qualunque sia il rapporto instaurato o da instaurarsi, sia esso di natura tributaria, amministrativa, processuale o sostanziale.

La dimostrazione dell’importanza giunge anche dalle ultime novità normative in materia di notificazioni (modifiche al C.P.C., decreto Bersani, modifiche alla legge sul procedimento amministrativo).

Il Messo comunale rappresenta una delle figure che in Italia, dai tempi della formazione dello Stato italiano, garantiscono un’efficace e corretta comunicazione; basti pensare al Regio Decreto n. 642/1907.

Ancora oggi grazie all’impegno profuso dai Messi comunali nello sviluppo della professionalità, detta figura rappresenta il principale soggetto intermediario per la materia amministrativa; eppure si respira una prospettiva di outsourcing.

Perché cambiare e non valorizzare?

Partecipa e fai partecipare al 2° Convegno Nazionale (la prenotazione è obbligatoria in considerazione dei posti limitati della sala) e fai conoscere l’Associazione, la quale potrà meglio di altri, garantire un lavoro sereno con aggiornamenti in tempo reale sulle modifiche normative.

Relazioni:

Relazione Tacchini Pietro – Presidente Nazionale .AN.N.A.

Relazione Dr. Manna Bartolomeo – Magistrato della Corte dei Conti

Immagini del Convegno


Riunione Giunta Esecutiva del 27.10.2006

Atti della riunione della Giunta Esecutiva del 27 ottobre 2006 svoltasi a Roma

Vedi: Verbale GE 27 10 2006


MINISTRO GIUSTIZIA: decreto indennità di trasferta spettante agli ufficiali giudiziari

A norma del Decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002 n. 115, (Testo Unico delle discipline legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) sono state adeguate con Decreto del Ministro della Giustizia le indennità di trasferta degli ufficiali giudiziari, in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, accertata dall’ISTAT.

Decorrenza applicazione 1 ottobre 2006

(Ministro della Giustizia, Decreto 15 settembre 2006: Variazione della misura dell’indennità di trasferta spettante agli ufficiali giudiziari, in applicazione dell’articolo 20, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 settembre 2006, n.223).


Aggiornamento rimborso spese di notifica 2006

Decreto interministeriale del 3 ottobre 2006 -G.U. n. 254 del 31.10.2006

Aggiornamento del compenso spettante per la notifica degli atti delle pubbliche amministrazioni da parte dei Messi comunali. Anno 2006, con decorrenza 01 aprile 2006.

Leggi: DM 3 ottobre 2006. Aggiornamento del compenso spettante per la notifica degli atti delle pubbliche amministrazioni da parte dei messi comunali


Cons. Stato Sez. V, (ud. 21-04-2006) 02-10-2006, n. 5718

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE

Sezione Quinta

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 10337 del 2005, proposto dal sig. C.M., rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Mascolo, elettivamente domiciliato presso il medesimo in Roma, via P. Frisi 18

contro

l’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Perugia, rappresentato e difeso dall’avv. Goffedo Gobbi e dall’avv. Claudio Marcello Leonelli, elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, via Maria Cristina 8

e nei confronti

della signora F.M., non costituita in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, 29 luglio 2005 n. 383, resa tra le parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurgi e Odontoiatri di Perugia;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 21 aprile il consigliere Marzio Branca, e uditi gli avv.ti Mascolo, L. Gobbi per delegadi G. Gobbi;

Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dal sig. C.M. per l’annullamento della nota 25 febbraio 2005 n. 602 con la quale l’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Perugia ha negato l’accesso dell’istante al verbale relativo alla audizione della dr. F.M., medico psichiatra, sentita dall’Ordine predetto a seguito di esposto inoltrato dal medesimo sig. M., ai fini dell’apertura di un procedimento disciplinare.

Il TAR ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per accogliere la richiesta in ragione della natura riservata dell’atto e della sostanziale irrilevanza del medesimo in funzione della tutela di posizioni giuridiche qualificate.

Il sig. M. ha proposto appello assumendo l’erroneità della sentenza e chiedendone la riforma, con contestuale accertamento del diritto all’accesso al documento.

L’Ordine intimato si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

Entrambe le parti hanno depositato memoria per ostenere le rispettive ragioni.

Alla pubblica udienza del 21 aprile 2006 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione
La vicenda in esame si inserisce nel contenzioso che contrappone l’odierno appellante alla suocera, medico psichiatra, a carico della quale pende un procedimento penale per sottrazione di minore, e che in data 31 marzo 2004 ha inviato una nota al Tribunale dei minorenni di Perugia attribuendo al ricorrente precedenti penali ed una forma di patologia mentale ossessiva.

Il ricorrente, oltre a sporgere denuncia per diffamazione, e domanda di risarcimento del danno, ha inviato un esposto all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Perugia, accusando la suocera di violare il codice deontologico, avendo usato per fini personali le proprie competenze professionali.

L’Ordine ha proceduto all’audizione dell’interessata ed ha disposto la archiviazione del procedimento.

E’ appunto al verbale di tale audizione che l’appellante ha domandato l’accesso ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990, allegando l’esigenza di tutelare la propria onorabilità dalle accuse che, verosimilmente, la suocera avrebbe reiterato in quella sede nei suoi confronti.

Il giudizio di primo grado, instaurato per contestare il diniego opposto dall’Ordine, è stato definito con sentenza di rigetto, considerando che l’obbligo della trasparenza dell’azione amministrativa, imposto dalla legge n. 241 del 1990, incontra un limite nell’esigenza della tutela della riservatezza dei terzi, ma tale limite può essere superato quando “il soggetto che richiede l’accesso è destinatario o comunque risente, nella sua sfera giuridica, degli effetti di una attività amministrativa che abbia, quali diretti destinatari, altri soggetti.”.

Con la conseguenza che, in difetto di una attività amministrativa che in qualche modo coinvolga il soggetto richiedente, il problema di verificare l’imparzialità dell’Amministrazione neppure si pone, e ciò accade quando, come nella specie, la domanda di acceso si riferisce a controversie tra privati che non coinvolgono l’organo pubblico o l’esercizio delle competenze ad esso spettanti.

L’appellante ha criticato la detta motivazione facendo leva sull’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990, del testo sostituito dall’art. 16 della legge 11 febbraio 2005 n. 15, a norma del quale “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.”.

Osserva il Collegio che la norma invocata dall’appellante costituisce lo sviluppo logico della statuizione di cui all’art. 22, comma 1, lett. b) della medesima legge, nel testo novellato, ma non sostanzialmente innovativo, dove si stabilisce che può esercitare il diritto di acceso chi abbia “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso;”.

Entrambe le disposizioni pongono l’accento sulla strumentalità del diritto di acceso rispetto alla tutela di una posizione soggettiva qualificata dall’ordinamento, e da ciò la giurisprudenza consolidata fa discendere il potere del giudice di verificare la effettività e la concretezza del collegamento dell’acceso al documento con la dichiarata esigenza di tutela (Cons. St., Sz. V, 13 dicembre 1999 n. 2109; Ad. Plen., 28 aprile 1999 n. 6; Sez. V, 8 luglio 2003 n. 4049). Tale verifica, poi, non può che essere più rigorosa allorché si tratti di un documento che raccolga, come nella specie, dichiarazioni di terzi su profili attinenti alla propria attività professionale, poiché in tal caso il diritto all’accesso entra in conflitto con il diritto alla riservatezza, cui pure la legge accoda particolare tutela (art. 22, comma 6, lett. d) della legge n. 241 del testo novellato).

Alla stregua dei detti principi, il Collegio ritiene che la domanda di accesso dell’appellante non sia sorretta da quella plausibile esigenza di difesa dei propri interessi cui la legge subordina la sussistenza del diritto.

L’istanza, infatti, è fondata sul sospetto che il verbale della audizione resa dalla congiunta dinanzi all’Ordine professionale, per difendersi dalla accusa di abuso delle proprio titolo, contenga affermazioni lesive della persona dell’appellante, dello stesso tenore di quelle già esternate a carico del medesimo con nota al Tribunale per i minorenni di Perugina, e per le quali già pendono procedimenti penali e civili ad iniziativa dell’interessato.

Ne consegue che, mentre l’appellante, pur essendo l’autore di un apposito esposto, non ha titolo per replicare alle tesi difensive della sua avversaria con riguardo alla ipotetica responsabilità disciplinare della stessa (Cons. St., Sez. I, parere 19 novembre 2003 n. 2764/2002 e giurisprudenza ivi citata), nessuna utilità potrebbe ricavare dalla conoscenza della presunta reiterazione dei medesimi addebiti negativi a suo carico, nei cui confronti ha già esperito i mezzi di tutela giudiziaria ritenuti opportuni.

In tale situazione, la dedotta esigenza di conoscere un documento necessario alla difesa di una posizione soggettiva minacciata, degrada ad interesse meramente speculativo, legittimo in sé, ma non idoneo a prevalere sulla naturale riservatezza che deve proteggere le dichiarazioni rese da un terzo nello svolgimento di una attività difensiva della propria figura professionale, nel corso di un procedimento cui l’appellante è totalmente estraneo.

L’appello deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello in epigrafe;

condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore dell’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi Odontoiatri di Perugia, e ne liquida l’importo in Euro 3.000,00=;

ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 aprile 2006 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Iannotta Presidente

Raffaele Carboni Consigliere

Giuseppe Farina Consigliere

Paolo Buonvino Consigliere

Marzio Branca Consigliere est.


NULLE LE MULTE NOTIFICATE DA SOCIETÀ PRIVATE

Nell’ambito giurisprudenziale, si registra una nuova sentenza legata al’esternalizzazione o meno del servizio di notificazione.
La Corte di Cassazione – Prima Sez. Civile, con sentenza n. 20440 del 21.09.2006, ha dichiarato la nullità delle contravvenzioni al C.d.S., che sono state notificate da attraverso società cui il Comune affida il servizio di notificazione. La pronuncia della Cassazione prende in esame la sentenza di un Giudice di Pace di Catania, nel 2001, con la quale affermava la regolarità della notifica di una multa effettuata da un’agenzia alla quale il comune aveva dato la qualifica di “Messo notificatore”. Gli Enti Locali che affidano all’esterno il servizio di notificazione, mettono in mani di soggetti che, secondo la Corte, non forniscono idonee garanzie.
La Legge (art. 14, L. 689/81) esige un particolare rigore formale per la contestazione differita messa in atto con la notificazione degli estremi della violazione al destinatario dell’infrazione. In questa ottica indica tassativamente i soggetti abilitati alla processo di notificazione e ne disciplina le modalità di esecuzione, prevedendo che si possa notificare attraverso il servizio postale.
L’uso del servizio postale viene ammesso esplicitamente anche dall’art. 201, comma 3, del Codice della Strada, ritenendo però che l’Amministrazione alla quale appartiene il funzionario o l’agente che ha accertato l’infrazione osservi necessariamente le modalità previste dalle procedure notificatorie degli atti giudiziari.
La stessa legge sulla notifica degli atti attraverso il servizio postale (L. 890/1982), stabilisce una complessa serie di formalità che tende ad ottenere la certezza del procedimento costituendo un’attribuzione esclusiva alle Poste Italiane. Tale esclusiva impedisce qualsiasi possibilità di delega ad agenzie private “Con la conseguenza necessitata – ribadisce la Corte – che la notificazione degli estremi della violazione affidata (dall’ufficio cui appartiene l’agente accertatore) all’agenzia privata concessionaria (:::) si deve considerare giuridicamente inesistente e, come a omessa notificazione, ad essa consegue l’effetto dell’estinzione dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione”.


Cass. civ. Sez. I, (ud. 28-06-2006) 21-09-2006, n. 20440

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente

Dott. MORELLI Mario Rosario – Consigliere

Dott. GILARDI Gianfranco – Consigliere

Dott. DEL CORE Sergio – rel. Consigliere

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GREGORIO VII 396, presso l’avvocato GIUFFRIDA ANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CATANIA, MONTEPASCHI SERIT S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1419/01 del Giudice di pace di CATANIA, depositata il 24/09/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/06/2006 dal Consigliere Dott. Sergio DEL CORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
Con ricorso al Giudice di pace di Catania, B.C. impugnò la cartella esattoriale notificatagli dal concessionario dal servizio riscossione tributi (Montepaschi Serit s.p.a.) il 10 maggio 2001 e relativa a sanzione pecuniaria di L. 192.730 emessa a suo carico per violazione del codice della strada accertata con sommario processo verbale il 28 agosto 1997 dalla polizia municipale di quella città.

L’adito giudice respinse l’opposizione osservando, a confutazione dei relativi motivi, che, il processo verbale era stato notificato, nei termini di cui all’art. 201 C.d.S., nelle mani della madre del B., la quale, in data 4 novembre 1997, in nome e per conto del figlio, sottoscrisse la ricevuta, ritirando il piego presso gli uffici dell’agenzia recapiti Ventura; per provvedimento del sindaco di Catania del 3 ottobre 1999, detta agenzia aveva assunto la qualifica di messo notificatore; in tale veste, esercitava le funzioni di ufficiale giudiziario e aveva valido titolo a compiere tutti gli adempimenti del procedimento di notificazione previsti per l’amministrazione postale dalla L. n. 890 del 1982; l’avviso di ricevimento del piego raccomandato, munito del bollo dell’ufficio recante la data del giorno della consegna e la firma del delegato al ritiro da parte del destinatario, costituiva prova dell’avvenuta notificazione; la Montepaschi Serit s.p.a. difettava di legittimazione passiva dacché non partecipa alla formazione del ruolo, di competenza dell’ente impositore.

Di tale sentenza il B. chiede la cassazione per tre motivi con ricorso proposto nei confronti del Comune di Catania e della Montepaschi Serit s.p.a..

Nessuno degli intimati svolge difese in questa sede.

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denunzia letteralmente la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 4 e u.c., art. 149 c.p.c., art. 201 C.d.S., comma 3, L. n. 890 del 1982, art. 12”. Il giudice di pace – lamenta – ha ritenuto valida la notifica del sommario processo verbale benchè eseguita due anni prima del presunto atto amministrativo del 3 ottobre 1999 con cui si era attribuita alla agenzia recapiti Ventura la qualifica di messo notificatore, consentendole di esercitare appieno le funzioni di ufficiale giudiziario. La notificazione era quindi inesistente, non essendo avvenuta pel tramite dell’amministrazione postale come prescritto dalle richiamate disposizioni di legge. E, in mancanza di valida notificazione nei termini, si è verificata l’estinzione della obbligazione del pagamento della sanzione amministrativa. Peraltro, il giudice di pace, violando il principio del contraddittorio e procedendo arbitrariamente ex officio, ha basato la decisione su un provvedimento amministrativo da nessuno dedotto nè tampoco prodotto in corso di giudizio. Quand’anche equiparata a un messo notificatore, l’agenzia avrebbe potuto effettuare la notifica ai sensi degli artt. 137 ss. c.p.c., avvalendosi del servizio postale, come i messi notificatori agli ufficiali giudiziari, ma non certamente trasformarsi in un ufficio postale e compierne, come avvenuto nella specie, le specifiche attività.

Con il secondo motivo il ricorrente, ribadendo le argomentazioni di cui al precedente motivo, denunzia come “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4” la “nullità del procedimento”, conseguita anche dalla violazione del principio dispositivo e del contraddittorio da parte del giudice di pace.

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5”. Riproponendo, ancora una volta, quanto detto in precedenza, segnala la contraddittorietà e illogicità della motivazione adottata dal giudice di pace nel valorizzare, ex officio, il provvedimento sindacale intervenuto dopo la contestata notificazione e nel ritenere comunque valida l’attività notificatoria avvenuta a mezzo posta, ma con recapito a cura di una agenzia privata, tributaria di servizi postali.

A parte l’erronea indicazione, tra le norme violate, dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – che è ovviamente norma strumentale in base alla quale gli errori, in iudicando e/o in procedendo, possano essere denunciati – il primo motivo si appalesa fondato nel suo nucleo essenziale incentrata sulla invalidità della eseguita notificazione del verbale di accertamento della infrazione al codice della strada.

Come già rilevato da questa Corte con le sentenze nn. 563/1994, 8079/1996, 2889/2002, 12533/2003, la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14 impronta a rigore formale l’atto della contestazione differita attuata con la notificazione degli “estremi della violazione” all’interessato, indicando tassativamente i soggetti abilitati a provvedere alla notificazione stessa e prevedendo le modalità esecutive secondo le disposizioni dettate dalle leggi vigenti e dal codice di procedura civile, essendo al riguardo annesso – in difetto di un espresso divieto – anche l’impiego del servizio postale. Da parte sua, l’art. 201 nuovo C.d.S., comma 3, prevede invece espressamente la notificazione della violazione a mezzo posta.

Il rigore formale dell’atto di notificazione ben si spiega anche avuto riguardo agli effetti che la legge (art. 14, u.c.) riconduce alla omissione della notificazione nel previsto termine, cui consegue l’estinzione della obbligazione di pagare la somma dovuta dal trasgressore per la violazione. Ebbene, quando l’Amministrazione alla quale appartiene il funzionario o l’agente che ha accertato la violazione si avvalga del servizio postale per la notificazione degli estremi della violazione, è tenuta ad osservare le norme sulla notificazione degli atti giudiziari a mezzo della posta come dettate dalla L. 20 novembre 1982, n. 890 e dal complesso di tale minuziosa disciplina si deve con certezza desumere che i relativi adempimenti non possono formare oggetto della concessione a privati come prevista per taluni servizi postali dal D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 29 (cd. codice postale) e dagli artt. da 121 a 148 reg. esec. approvato con D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655. La L. n. 890 del 1982 riserva, infatti, all’amministrazione postale tutti gli adempimenti del procedimento di notificazione, dalla accettazione (art. 3), al recapito (artt. 7 e 8), alla spedizione, infine, dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato che, “munito del bollo dell’ufficio postale recante la data dello stesso giorno della consegna”, “costituisce prova della eseguita notificazione”. Non può dunque dubitarsi che le complesse formalità previste dalla legge n. 890/1982, finalizzate insieme a garantire il risultato del ricevimento dell’atto da parte del destinatario e ad attribuire certezza all’esito in ogni caso del procedimento di notificazione, costituiscano una attribuzione esclusiva degli uffici postali e degli “agenti” e “impiegati” addetti, con connotati di specialità essenzialmente estranei a quei “servizi postali” di “accettazione” e “recapito” “per espresso” di corrispondenza che il direttore provinciale delle poste ha facoltà di dare in concessione secondo la previsione del D.P.R. n. 156 del 1973 citato, art. 29 ad agenzie private alle quali gli artt. 129 e 138 del relativo regolamento attribuiscono le denominazioni rispettivamente di “Agenzia privata autorizzata alla accettazione e al recapito degli espressi in loco” e “Agenzia per il recapito degli espressi postali”. Con la conseguenza necessitata che la notificazione degli estremi della violazione affidata (dall’ufficio cui appartiene l’agente accertatore) all’agenzia privata concessionaria a norma dell’art. 29 codice postale ed eseguita dai dipendenti della stessa agenzia (“suoi fattorini”, cosi definiti dall’art. 131 del regolamento) si deve considerare giuridicamente inesistente e, come a omessa notificazione, ad essa consegue l’effetto della estinzione della obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione, secondo la previsione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c..

Le particolarità della notifica a mezzo posta sono state, non a caso, confermate dal D.Lgs. n. 261 del 1999 che, pur liberalizzando i servizi postali in attuazione della direttiva 97/67/CE (concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio), all’art. 4, comma 5, ha continuato a riservare in via esclusiva “al fornitore del servizio universale”, ovverosia all’organismo che fornisce l’Intero servizio postale universale su butto il territorio nazionale (id est all’Ente Poste), “gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie”.

Detto intervento legislativo ha, in un certo senso, avallato l’orientamento giurisprudenziale inaugurato in subiecta materia da questa Corte in epoca antecedente.

Non è controverso, nella specie, che i vigili urbani di Catania affidarono la notificazione degli estremi della violazione alla agenzia privata concessionaria per quel Comune del servizio recapito espressi. L’affermazione del giudice a quo circa la validità della notifica così eseguita integra violazione delle norme che disciplinano la notificazione dagli atti giudiziari a mezzo del servizio postale.

L’accoglimento del primo e pregiudiziale motivo comporta l’assorbimento degli altri.

Cassata perciò la sentenza impugnata, poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto (in ordine ai modi non controversi della eseguita notificazione), a norma dell’art. 384 c.p.c., la causa deve essere decisa nel merito con l’accoglimento della opposizione da B.C. proposta avverso la cartella esattoriale e la consequenziale dichiarazione di estinzione dell’obbligazione sanzionatoria, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c..

Il Comune va, infine, condannato al rimborso delle spese del giudizio, di merito e di cassazione, a favore del B..

Il ricorso e, invece, inammissibile nei confronti della Montepaschi Serit s.p.a.. Il giudice di pace ha rigettato l’opposizione nei confronti del predetto esattore per difetto di legittimazione passiva in quanto estraneo alla formazione del ruolo, di competenza dell’ente impositore. Tale decisione non è stata censurata con alcuno dei motivi in cui si articola il ricorso ed e pertanto divenuta regiudicata.

Non vi è luogo a statuizione sulle spese relativamente al predetto intimato, astenutosi da qualsivoglia difesa in questa sede.

P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso proposto nei confronti del Comune di Catania, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione e condanna il Comune di Catania alle spese del giudizio a favore del ricorrente, liquidate in complessivi Euro 300,00, di cui Euro 180,00 per onorari di avvocato e Euro 80,00 per diritti di procuratore, quanto al giudizio davanti al Giudice di pace, e in Euro 400,00, di cui Euro 300,00, per onorari di avvocato, quanto al giudizio di cassazione, oltre spese generali e accessori di legge.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti della Montepaschi Serit s.p.a..

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2006


Password interna

La corte di Cassazione ha stabilito, con la sentenza n. 19554 del 13 settembre 2006, che diffondere la password della rete informatica dell’azienda presso cui si lavora, può essere giusta causa di licenziamento.


Cassazione: licenziamento per comunicazione password per accesso alla rete aziendale

La Corte Suprema di Cassazione ha confermato la pronuncia della Corte d’appello che a sua volta aveva invece riformato quella del Tribunale, che in un primo momento aveva accolto l’impugnazione del licenziamento del dipendente per l’utilizzo di password aziendali e di comunicazione a terzi.

Nel caso di specie i fatti risultati accertati erano i seguenti: le connessioni dall’esterno utilizzando la password del ricorrente erano iniziate subito dopo il licenziamento del collega di lavoro e provenivano da un’utenza appartenente al distretto telefonico di Milano ed intestata alla moglie di quest’ultimo, come da rapporto P.S.. Non solo: il ricorrente provvedeva alla modifica della propria password su richiesta del sistema informatico, ma, successivamente ad una telefonata con l’ex collega di lavoro, riprendevano le connessioni dall’utenza telefonica di cui sopra con la nuova password.

Il giudice del Tribunale era giunto alla conclusione che non si potesse escludere che l’ex dipendente fosse venuto a conoscenza della password del proprio collega poi licenziato non da quest’ultimo ma per altre vie, quali in particolare: da altri colleghi, dall’amministratore del sistema informatico, ovvero a seguito di tentativi casuali. La Corte d’appello aveva tuttavia giudicato tali eventualità impossibili a verificarsi o molto poco verosimili.

La Corte di Cassazione ha ripercorso l’iter logico – giuridico della Corte d’Appello, rilevando ad esempio, in relazione alla ipotesi della comunicazione della password da parte dell’amministratore di sistema, che: “al primo accesso l’utente è obbligato dal sistema a modificare la propria password, con la conseguenze che l’amministratore del sistema non è più in grado di conoscerla …, una volta memorizzata la password, il sistema la trasforma automaticamente ed immediatamente, attraverso un algoritmo matematico, in una stringa che successivamente il sistema stesso sarà in grado di riconoscere; una simile operazione è irreversibile e non è quindi possibile risalire alla password partendo dalla stringa …, se è vero che i sistemisti possono annullare la password di un dipendente ed inserirne una nuova, è anche vero che il dipendente interessato verrebbe immediatamente a conoscenza di una simile operazione, visto che la sua vecchia password sarebbe ormai da lui inutilizzabile e si vedrebbe, quindi, negato l’accesso al sistema”.

Circa la gravità dell’illecito compiuto dal lavoratore, la Cassazione non ha fatto altro che giudicare congrua la sanzione del licenziamento sulla base della valutazione compiuta dalla Corte d’appello: “Invero il comportamento del lavoratore si è concretato nella diffusione all’esterno di dati (le password personali) idonei a consentire a terzi di accedere ad una grande massa di informazioni attinenti l’attività aziendale e destinate a restare riservate. Il ricorrente non contesta che si trattasse di dati comunque riservati. La valutazione della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della mancanza del lavoratore si risolve in un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione adeguata e logica (ex plurimis Cassazione 16628/04; 12083/03; 12001/03). La sottrazione di dati aziendali è stata ritenuta idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento (Cassazione 2560/93)”.