Giornata di studio L’Aquila – 27.10.2015

Locandina L'Aquila 2015Martedì 27 ottobre 2015

Comune di L’Aquila

Palazzetto dei Nobili

Vicino a Piazza Palazzo

Piazza Santa Margherita 2

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di L’Aquila (AQ)

Quote di partecipazione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2014 con rinnovo anno 2015 già pagato al 31.12.2014. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2016 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).

Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Aquila 2015 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Fontana LazzaroFontana Lazzaro

Resp. Servizio di Notificazione del Comune di Monterosso al Mare (SP)

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2015

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE L’Aquila 2015

Scarica: Documentazione fiscale 2015

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

Cartelle esattoriali notificate via Pec dal 1° giugno 2016

Equitalia potrà decidere, per i privati cittadini, se continuare a usare il canale tradizionale o quello telematico, ma per imprenditori individuali, società e professionisti la posta elettronica certificata sarà obbligatoria.

Si ampliano, così, i termini del «lieve inadempimento»: i contribuenti non decadranno dal beneficio della rateazione se la prima rata viene versata con un ritardo non superiore a sette giorni (e non più cinque). Mentre cambia nuovamente il meccanismo di remunerazione degli agenti della riscossione: dall’attuale aggio dell’8%, che resterà in vigore fino a tutto il 2015, si passerà a un sistema modulare, con pagamenti dall’1% al 6% a carico dei debitori, una compartecipazione degli enti creditori (3% delle somme riscosse entro i 60 giorni) e anche un contributo dell’Agenzia delle entrate da 125 milioni di euro totali fino al 2018.

È quanto prevede la nuova bozza del dlgs di riforma della riscossione, attuativo della delega fiscale, esaminato dal pre consiglio dei ministri alla luce dei rilievi formulati dal parlamento.

Notifiche online

La novità più rilevante inserita nel decreto è l’estensione generalizzata della notifica via Pec delle cartelle esattoriali. L’articolo 26, comma 2 del dpr n. 602/1973 viene rafforzato al punto che per ditte individuali, società e professionisti iscritti in albi o elenchi «la notifica avviene esclusivamente con tali modalità, all’indirizzo risultante dall’indice nazionale Ini-Pec». Nella realtà Equitalia, che gestisce la riscossione, ha già avviato da oltre un anno in via sperimentale le notifiche via Pec, dal momento che l’articolo 26 finora vigente lo consentiva, senza però che queste divenissero obbligatorie.

Il dlgs fornisce regole di maggior dettaglio sul corretto perfezionamento della notifica qualora l’indirizzo Pec risultasse non valido o disattivato: in questi casi la notifica dovrà eseguirsi tramite deposito dell’atto presso gli uffici della camera di commercio competente per territorio, con contestuale pubblicazione del relativo avviso sul sito web della Cciaa, dandone notizia al destinatario tramite raccomandata a/r.

Qualora invece la casella certificata risultasse piena, Equitalia dovrà effettuare un secondo tentativo di invio dopo almeno 15 giorni: laddove l’esito fosse ancora negativo, si procederà come sopra. Per consentire al sistema camerale di adeguare le proprie infrastrutture, le nuove norme avranno efficacia per le notifiche effettuate a partire dal 1° giugno 2016. I privati titolari di un indirizzo Pec potranno comunque chiedere a Equitalia di ricevere gli atti esclusivamente per via telematica.

Aggio

L’altra tematica di maggiore impatto riguarda gli oneri di funzionamento del sistema nazionale di riscossione. Accogliendo i suggerimenti avanzati nei pareri espressi dalle commissioni finanze di Camera e Senato, il governo ha deciso di riscrivere interamente l’articolo 9 del decreto. In primo luogo è previsto che l’attuale meccanismo di remunerazione, con aggio all’8%, resterà operativo fino al 31 dicembre 2015. Dal 2016 l’onere gravante sui debitori iscritti a ruolo si ridurrà: se il contribuente riceve la cartella di pagamento e versa le somme pretese entro 60 giorni dalla data di ricezione dovrà sopportare un onere pari all’1% per la riscossione spontanea ex art. 32 del dlgs n. 46/1999 o al 3% in tutti gli altri casi. Per i pagamenti dal 61° giorno in avanti, si pagherà il 6%. Anche gli enti creditori saranno chiamati a contribuire alla remunerazione di Equitalia, con una quota percentuale del riscosso di competenza.

Ma a comporre il compenso degli agenti ci saranno pure le spese correlate all’attivazione di procedure esecutive e cautelari, fissate annualmente con decreto Mef. Fermo restando il rimborso delle spese di notifica della cartella e degli altri atti della riscossione, anche queste determinate con lo stesso dm. Ma non è tutto: tale decreto dovrà indicare anche la somma che dovrà essere pagata dagli enti creditori per tutti i casi di inesigibilità o sgravio del ruolo per cause non imputabili all’agente. Il primo decreto Mef dovrà essere emanato entro il 30 ottobre 2015.

Da ultimo, per preservare l’equilibrio di bilancio del gruppo di riscossione nel passaggio tra vecchio e nuovo regime, viene previsto che l’Agenzia delle entrate provveda a erogare a Equitalia una quota di salvaguardia per il triennio 2016-2018: tale somma viene definita nel suo importo massimo pari a 40 milioni di euro per il primo anno, 45 milioni per il secondo e 40 milioni per il terzo. Questi importi, «saranno corrisposti previa individuazione delle effettive necessità conseguenti all’accertamento di una contrazione dei ricavi, connessa alla riduzione dell’aggio alla luce delle evidenze del bilancio annuale certificato».


Giornata di studio Zola Predosa (BO) – 13.10.2015

Locandina Zola 2015Martedì 13 ottobre 2015

Comune di Zola Predosa

Sala Corsi
Piazza della Repubblica 1
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Zola Predosa (BO)

Quote di partecipazione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2014 con rinnovo anno 2015 già pagato al 31.12.2014. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2016 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).

Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante
  • Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Zola 2015 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Lombardi GiuseppeLombardi Giuseppe

Resp. Messi Comunali del Comune di Alessandria

Membro del Consiglio Generale di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2015

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Zola Predosa 2015

Vedi: Immagini della giornata di studio

Vedi: Video della giornata di studio

Scarica: Documentazione fiscale 2015

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

 


Riunione Giunta Esecutiva del 13.06.2015

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 13 giugno 2015 alle ore 7:30 presso il Comune di Cesena (FC) – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 9:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione elenco iscritti all’Associazione nell’anno 2015;
  2. Approvazione quote d’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016;
  3. Formazione 2015/2016;
  4. Linee strategiche di A.N.N.A. per il triennio 2015-2017 e definizione degli obiettivi generali e le linee di sviluppo che A.N.N.A. vuole darsi per il prossimo futuro;
  5. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale GE 13 06 2015


Infortuni sul lavoro

Il datore di lavoro (nella PA è il dirigente)  e lavoratore sono corresponsabili in caso di infortunio sul lavoro di quest’ultimo, se è accertato che i dispositivi di protezione vengono regolarmente disattivati e il datore non ha predisposto alcun meccanismo di vigilanza atto ad impedire tale prassi.

Nel caso esaminato, dopo che la sua domanda era stata rigettata nei gradi di merito, un lavoratore ha proposto ricorso atteso che la propria mano destra – durante i consueti lavori di pulizia dei macchinari – era rimasta schiacciata sotto un rullo di stampa, mentre tentava di recuperare uno straccio rimasto incastrato.

La Corte Suprema di Cassazione ha confermato le rispettive responsabilità dei due soggetti in maniera concorrente, precisando riguardo all’onere della prova che “compete al lavoratore l’allegazione dell’omissione commessa dal datore di lavoro nel predisporre le misure di sicurezza (…) necessarie ad evitare il danno, non essendo sufficiente la generica deduzione della violazione di ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di fare scadere una responsabilità per colpa di una responsabilità oggettiva”.

A prescindere dalla circostanza che il datore di lavoro, non avrebbe, ad esempio, adibito specifico personale alla sorveglianza dei locali, è tuttavia innegabile che, agendo sui meccanismi  di  sicurezza  –  disattivandoli  –  il  lavoratore  si  è  posto  egli  stesso  nella condizione di pericolo conseguenza poi dell’infortunio.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-05-2015, n. 10465

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20151/2013 proposto da:

N.M. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati SALE Giuseppe, LUIGI MARCIALIS, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

GRAFICHE GHIANI S.R.L. P.I. (OMISSIS);

– intimata –

nonché da:

GRAFICHE GHIANI S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 23, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA SARACENI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO MARCHESE, ELIGIO PINNA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

N.M. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE SALE, LUIGI MARCIALIS, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 59/2013 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 06/03/2013 R.G.N. 259/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2015 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato MARCIALIS LUIGI;

udito l’Avvocato SARACENI STEFANIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 9199 del 7 giugno 2012 questa Corte riformava la pronuncia emessa dalla Corte d’appello di Cagliari con cui erano state respinte le domande proposte da N.M. nei confronti della s.r.l. Grafiche Ghiani, intese a conseguire il risarcimento del danno derivato dall’infortunio sul lavoro occorsogli in data (OMISSIS), all’esito del quale aveva riportato gravi danni alla mano destra, rimasta schiacciata nei rulli dei cilindri di stampa, alla cui pulizia era intento.

Sul rilievo della carenza motivazionale della decisione laddove aveva escluso ogni responsabilità della parte datoriale in relazione all’obbligo di sorveglianza sulla stessa gravante, ed aveva affermato il carattere di abnormità ed imprevedibilità del comportamento posto in essere dal N., rinviava alla Corte d’appello di Cagliari sezione distaccata di Sassari in diversa composizione affinché procedesse ad una rinnovata valutazione dei fatti sulla scorta dei rilievi formulati.

Con sentenza in data 6 marzo 2013 la Corte di merito dichiarava il concorso di colpa del lavoratore nella determinazione dell’infortunio nella misura del 40%, e condannava la società al risarcimento del danno biologico e da invalidità temporanea, con esclusione del danno morale in quanto non richiesto tempestivamente con il ricorso introduttivo.

La Corte territoriale, per quanto in questa sede rileva, perveniva a tali conclusioni sulla scorta delle seguenti considerazioni: a) l’incidente si era verificato mentre il N. era impegnato nella pulizia dei rulli, compiuta a macchina accesa, con una delle grate aperta; b) l’impianto di sicurezza era efficiente, ed era stato disattivato dal N. il quale, nel tentativo di recuperare uno straccio rimasto impigliato nel macchinario, disattendendo le comuni regole di prudenza, le direttive datoriali e le norme di sicurezza relative al macchinario, si era dedicato allo svolgimento delle mansioni di pulizia dei rulli mentre erano in funzione; c) non era configurabile una abnormità del comportamento assunto dal lavoratore idoneo ad interrompere il nesso eziologico con l’evento dannoso, giacché al momento del sinistro, era presente l’addetto alla vigilanza ed alla osservanza delle misure di prevenzione infortuni, il quale non aveva interrotto il lavoro né avvisato la direzione aziendale, neanche risultando predisposti sistemi di sicurezza tali da determinare lo spegnimento della macchina in connessione con il movimento della grata di protezione.

Avverso tale decisione interpone tempestivo ricorso per Cassazione N.M. affidato a quattro motivi cui resiste con contro ricorso la s.r.l. Grafiche Ghiani che spiega a propria volta ricorso incidentale sostenuto da due motivi ai quali replica il N..

Motivi della decisione

1.1 ricorsi devono, preliminarmente, essere riuniti ex art. 335 c.p.c., giacché spiegati avverso la medesima decisione.

1.1 Con il primo motivo il ricorrente in via principale denunzia violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice di rinvio proceduto ad una rinnovata considerazione dei fatti di causa, disattendendo le indicazioni “fattuali” rese dalla pronuncia rescindente in ordine alle premesse logico-giuridiche che avrebbero dovuto sorreggere la decisione, in violazione dei dettami sanciti dall’art. 384 c.p.c..

1.2 Il motivo è privo di pregio.

La Corte di merito ha infatti proceduto ad una esauriente ed analitica ricostruzione delle vicende fattuali prodromiche al verificarsi dell’evento dannoso, sorretta da motivazione ampia ed assolutamente congrua sotto il profilo logico oltre che corretta sul versante giuridico, ricostruendo le modalità dell’evento infortunistico occorso al ricorrente, nel rispetto dei rilievi formulati da questa Corte in sede rescindente, con riferimento specifico alla accertata esistenza di una prassi anomala seguita dai dipendenti, di intervenire sui meccanismi di sicurezza delle macchine allo scopo di rendere più celeri le operazioni di pulizia, ed alla omessa adozione da parte della direzione aziendale, delle opportune misure di vigilanza atte a prevenire il compimento di tali operazioni pericolose.

Per tal motivo, non può ritenersi integrata nella materia scrutinata, una violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità da parte del giudice del rinvio, che ben può esercitare, nel riesame della controversia demandatagli per vizio della motivazione, i suoi poteri discrezionali rivalutando globalmente tutti gli elementi di prova anche attraverso un nuovo esame dei fatti di causa.

1.3 In tale contesto il giudice di rinvio può dunque liberamente prendere in esame anche le emergenze istruttorie trascurate in sede rescindente potendo queste assumere un rilievo, seppure meramente orientativo nella nuova ricostruzione delle risultanze istruttorie, rimanendo in tal modo egli libero nella valutazione delle suddette risultanze in forza dei medesimi poteri del giudice di merito che ha pronunciato la sentenza cassata, con l’unica limitazione consistente nell’evitare di fondare la nuova decisione sugli elementi del provvedimento annullato ritenuti illogici e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati nella precedente decisione.

Diversamente opinando, si finirebbe con l’ammettere un apprezzamento dei fatti precluso al giudice di legittimità, ed il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 5, si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (vedi in tali sensi, Cass. n. 5316 del 5 marzo 2009).

1.4 La Corte distrettuale, per quel che in questa sede interessa, si è quindi mossa nell’alveo dei principi che regolano il giudizio di rinvio, invalsi in dottrina e nella costante giurisprudenza di legittimità in base ai quali diversamente dall’ipotesi sancita dall’art. 360, n. 3, che impone al giudice di rinvio l’applicazione della norma come interpretata dalla Corte di Cassazione in una sorta di “legge del caso concreto” – nei casi disciplinati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, il vincolo imposto al giudice di merito si sostanzia nel divieto di ripercorrere l’errore logico della sentenza cassata, che può aprire la strada ad un riesame dei fatti ai fini di una valutazione complessiva, nel quale il giudice del rinvio non è vincolato da ipotesi interpretative eventualmente prospettate in sede di giudizio rescindente (cfr. Cass. 1 dicembre 2009 n. 25267 1 dicembre 2009).

  1. Con il secondo mezzo di impugnazione, si denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4, 48 e 82 ed art. 2087 c.c.), nonché assenza o contraddittorietà della motivazione. Si lamenta che la Corte distrettuale abbia trascurato i precetti sanciti dalle disposizioni in tema di sicurezza per le operazioni di pulizia dei macchinari, o comunque non abbia adeguatamente motivato sul punto, laddove ha escluso la piena responsabilità della parte datoriale in ordine all’evento infortunistico occorso al dipendente, in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità che configurano nell’ipotesi considerata, una fattispecie di responsabilità oggettiva.
  2. Con il terzo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di legge (D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 82 ed art. 2697 c.c.), nonché assenza o contraddittorietà della motivazione. Ci si duole del governo dei principi in tema di ripartizione dell’onere probatorio, sul rilievo che, pur ove non sia ravvisabile un’ipotesi di responsabilità oggettiva della parte datoriale per mancata osservanza di norme di cautela, in caso di incertezza in ordine all’esatto verificarsi della dinamica dell’incidente, il relativo onus probandi ricade comunque a carico della stessa.
  3. I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, stante la connessione che li connota, sono privi di fondamento.

4.1 Al di là di ogni considerazione in ordine ai profili di inammissibilità del ricorso che appare violare le regole di chiarezza poste dall’art. 366 bis c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso sostanziale e processuale e dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano) non essendo consentito confondere i profili del vizio logico della motivazione e dell’errore di diritto (vedi fra le tante, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394 cui adde Cass. 8 giugno 2012 9341, Cass. 20 settembre 2013 n. 21611), non può prescindersi dal rilievo che nella specie, rinviene applicazione, ratione temporis, la novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è ammesso il ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

4.2 Nella interpretazione resa dalle sezioni unite di questa Corte alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi (vedi Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, di guisa che è stato ritenuto denunciabile in cassazione, solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esaurendosi nelle ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile fra motivazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

4.3 Nello specifico il tessuto motivazionale dell’impugnata sentenza, come riportato nello storico di lite, si presenta assolutamente esaustivo, privo di carenze che possano validamente essere ascritte ad alcuna delle categorie di vizio della motivazione enucleate dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al novellato testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, e non resta, pertanto, scalfito dalle censure formulate sul punto.

Lo scrutinio delle questioni di diritto dibattute in relazione all”onus probandi relativo alla ricostruzione della dinamica dell’evento infortunistico ed alla ripartizione delle responsabilità in ordine al determinismo dell’evento medesimo, sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, non consente, poi, di prescindere dal richiamo al principio più volte enunciato da questa Corte in tema di onere di allegazione, e che va qui ribadito, in base al quale la parte che subisce l’inadempimento, pur non dovendo dimostrare la colpa dell’altra – atteso che ai sensi dell’art. 1218 c.c., è il datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte, derivano da causa a lui non imputabile – è tuttavia soggetta all’onere, da esercitare ritualmente ex art. 414 c.p.c., di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (vedi in tali sensi, fra le altre, Cass. 11 aprile 2013 n. 8855).

4.4 Compete, infatti, al lavoratore l’allegazione dell’omissione commessa dal datore di lavoro nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno, non essendo sufficiente la generica deduzione della violazione di ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di fare scadere una responsabilità per colpa in una responsabilità oggettiva. Ciò in quanto l’art. 2087 c.c., non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, atteso che la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v. ex plurimis, Cass. 29 gennaio 2013 n. 2038).

4.5 Nel solco degli enunciati principi, la Corte distrettuale ha proceduto ad una ricostruzione dell’evento condotta sulla scorta degli articolati dati istruttori acquisiti, dai quali era dato desumere che i meccanismi di sicurezza del macchinario erano perfettamente efficienti; che ciò nonostante, il lavoratore li aveva disattivati preferendo lavorare con la grata aperta; che la mano era stata attinta dai rulli in movimento, nel tentativo del lavoratore di recuperare uno straccio caduto nel macchinario in funzione e non di spegnere la macchina – come riferito – dato che il pulsante di arresto si trovava da tutt’altra parte.

Peraltro, con apprezzamento del tutto congruo e coerente con i principi affermati da questa Corte, i giudici del gravame sono pervenuti alla configurazione di una quota di responsabilità a carico della parte datoriale nella misura del 40%, sul duplice rilievo: a) dell’omissione di controllo da parte della società, mediante personale addetto alla vigilanza (peraltro presente al momento del verificarsi dell’evento infortunistico), in ordine al funzionamento del meccanismo di blocco delle grate, che per prassi, veniva disattivato dai lavoratori; b) della mancata predisposizione di dispositivi di spegnimento della macchina ad ogni movimento della grata.

  1. In tal senso, si impone l’evidenza della infondatezza delle censure formulate dalla società Grafiche Ghiani in sede di ricorso incidentale con cui si denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4, 48 e 82, artt. 2087, 2697 e 1227 c.c.), nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti.

5.1 L’incedere argomentativo che connota il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale, in equilibrio fra i complessi dati emersi dalla espletata istruttoria, è rispettoso dei principi innanzi enunciati, non configura alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva a carico della parte datoriale, esclusa dal fermo orientamento di questo giudice di legittimità con riferimento alla esegesi dell’art. 2087 c.c. e risulta sorretto da un impianto che, per essere congruo e completo, si sottrae alle doglianze formulate con riferimento al novellato dettato di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

  1. Privo di pregio è infine, il quarto motivo del ricorso principale con il quale si stigmatizza la pronuncia impugnata sotto il profilo di violazione di plurime disposizioni di legge, nonché di difetto di motivazione, per diniego di riconoscimento del danno morale, assumendo di avere ritualmente proposto la domanda con l’atto introduttivo del giudizio.

6.1 Premesso che il danno non patrimoniale, secondo i principi invalsi nella giurisprudenza di questa Corte, non può mai ritenersi “in re ipsa”, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca (vedi ex plurimis, Cass. 10 febbraio 2014 n. 2886, Cass. 24 settembre 2013 n. 21865, Cass. 14 maggio 2012 n. 7471), deve ritenersi che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza che governa il ricorso per cassazione, sia venuto meno all’onere di riportare analiticamente il tenore del ricorso introduttivo onde consentire a questa Corte di verificare, ex actis, la formulazione del petitum e della causa petendi.

Peraltro, la pronuncia impugnata si sottrae ad ogni doglianza formulata sul versante motivazionale, avendo la Corte distrettuale specificamente argomentato in ordine alla carenza di ogni domanda risarcitoria per il titolo descritto in sede di ricorso introduttivo del giudizio.

  1. In definitiva, entrambi i ricorsi, in quanto infondati, devono essere respinti.

La situazione di reciproca soccombenza giustifica, infine, l’integrale compensazione fra le parti delle spese inerenti al presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.

Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2015


Cass. civ. Sez. VI – 5, Sent., (ud. 07-05-2015) 21-07-2015, n. 15258

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25836/2014 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato MISIANI CLAUDIO, che lo rappresenta e difende unitamente a se stesso, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5111/21/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA dell’8/07/2014, depositata il 04/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/05/2015 dal Presidente Relatore Dott. MARIO CICALA;

udito l’Avvocato Claudio Misiani difensore del ricorrente che si riporta agli scritti.

Svolgimento del processo
Il signor S.L. ricorre contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato il ricorso con cui il contribuente aveva dedotto la nullità della notifica di un avviso di accertamento effettuata in Roma, a mezzo posta, in un indirizzo (via (OMISSIS)) diverso da quello della residenza anagrafica del contribuente (via (OMISSIS)).

Nella sentenza gravata si legge: “attraverso la produzione delle dichiarazioni dei redditi relativi agli esercizi d’imposta del 2009 e del 2010, laddove giustappunto la residenza anagrafica del S. figura indicata in (OMISSIS), l’Agenzia appellante ha dato conto del proprio assunto, ovvero che il contribuente avesse eletto colà il proprio domicilio fiscale”. Da tale affermazione, la Commissione Tributaria Regionale trae la conclusione della validità della notificazione dell’avviso impugnato, “giustappunto effettuata in quello che figurava il domicilio fiscale del contribuente”.

Il ricorso del contribuente si articola su sei motivi:

– con il primo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in cui il giudice territoriale sarebbe incorso fondando la propria decisione su un fatto (l’avere il contribuente effettuato un’elezione di domicilio) prospettato dall’Ufficio solo nell’atto di appello;

– con il secondo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 47 c.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. d), in cui il giudice territoriale sarebbe incorso affermando che l’indicazione di residenza anagrafica in un indirizzo dimostrerebbe l’intervenuta elezione di domicilio fiscale a tale indirizzo; con il terzo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione degli artt. 2702 e 2721 c.c., e del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 1, commi 3 e 6, e art. 3, comma 10, in cui il giudice territoriale sarebbe incorso perchè, a fronte del disconoscimento della conformità delle copie prodotte dall’Agenzia delle dichiarazioni fiscali del contribuente con il file teletrasmesso dall’intermediario ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, non ha addossato all’Ufficio l’onere di provare detta conformità;

– con il quarto, riferito tanto al n. 5 quanto al n. 4 (con riguardo all’art. 115 c.p.c.) dell’art. 360 c.p.c., si denuncia l’omesso esame della circostanza di fatto, decisiva e non contestata dall’Ufficio in sede di merito, che il contribuente non aveva indicato nè residenza nè domicilio nelle dichiarazioni dei redditi teletrasmesse dal suo intermediario per gli anni 2009 e 2010, come documentato dalle “attestazione di avvenuto ricevimento”, rilasciate dall’Agenzia ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 3, comma 10, e corredate dalla “visualizzazione dei dati relativi alle dichiarazioni contenute nel file”;

– con il quinto, riferito tanto al n. 3 (con riguardo al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 3, e alla L. n. 212 del 2000, art. 6) quanto all’art. 360 c.p.c., n. 5, si denuncia la violazione del principio, che il ricorrente desume dalle norme richiamate, per il quale l’Amministrazione finanziaria avrebbe l’onere di verificare presso i registri anagrafici la residenza del contribuente a cui intende notificare un atto; nonchè l’omesso esame del fatto (rilevante ai fini del giudizio di validità della notifica effettuata all’indirizzo di via (OMISSIS) sotto il profilo del rispetto, da parte dell’Ufficio, del disposto della L. n. 212 del 2000, art. 6, laddove prescrive che la comunicazione degli atti dell’Amministrazione “nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione”) che, pochi mesi prima della notifica dell’impugnato avviso di accertamento nell’erroneo indirizzo di via (OMISSIS) (avvenuta in data 31/12/10) e precisamente in data 19/10/10, l’Amministrazione aveva notificato altro avviso di accertamento (pur esso relativo al medesimo modello Unico 2006) al corretto indirizzo di via (OMISSIS), dove l’atto era stato consegnato a mani della moglie del contribuente.

– con il sesto, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, si denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per inesistenza della motivazione, assumendo che la sentenza gravata non rispetterebbe il minimo costituzionale dell’obbligo di motivazione sia sotto il profilo dell’assoluta omissione di considerazione di fatti di decisiva rilevanza prospettati in giudizio dal contribuente, sia sotto il profilo della confusione tra indicazione di residenza ed elezione di domicilio.

La difesa erariale sì è costituita in questa sede al solo scopo di partecipare all’udienza, alla quale, peraltro, non ha poi presenziato.

La causa è stata discussa all’udienza pubblica del 7/5/15, in cui è intervenuto il difensore del ricorrente che aveva peraltro depositato anche memoria.

Motivi della decisione
Il primo mezzo di ricorso va disatteso, giacché la deduzione che il contribuente aveva effettuato una elezione di domicilio nell’indirizzo di via (OMISSIS) non costituiva un’eccezione in senso tecnico, ma una mera difesa volta paralizzare l’eccezione di nullità della notifica dell’atto impositivo sollevata dal contribuente nel ricorso introduttivo. E’ fermo indirizzo di questa Corte, infatti, che il divieto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, concerne esclusivamente le sole eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono sempre deducibili (da ultimo, Cass. 25756/14).

Il secondo mezzo è inammissibile, perché non pertinente alla ratio decidendi della sentenza gravata, la cui argomentazione risulta travisata dal ricorrente. E’ vero infatti che, come chiarito da questa Corte (cfr. sent. 11081/06), in tema di notificazione degli atti di accertamento tributario, la facoltà del contribuente di “eleggere” domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, lett. “d”) si differenzia dalla semplice “dichiarazione” di domicilio, consistente nell’indicazione di un luogo, compreso nel comune d’iscrizione anagrafica (art. 58, comma 2, D.P.R. cit.), in cui è possibile eseguire le notifiche; ma l’argomentazione della sentenza gravata non fa mai riferimento all’elezione di domicilio in senso tecnico, non parla mai della nomina di un domiciliatario, non cita mai il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. “d”. Il senso complessivo della sentenza gravata, quale risultante dallo stralcio sopra trascritto (e nonostante l’improprietà lessicale dell’affermazione che il contribuente avrebbe “eletto colà il proprio domicilio fiscale”), è dunque palesemente quello di attribuire all’indicazione della residenza anagrafica contenuta nelle dichiarazioni dei redditi relative agli esercizi 2009 e 2010 il valore di una “dichiarazione di domicilio” – vale a dire l’indicazione di un luogo, compreso nel comune d’iscrizione anagrafica, in cui è possibile eseguire le notifiche – e non quello di una vera e propria “elezione di domicilio”, vale a dire la nomina di un domiciliatario.

Con il terzo ed il quarto motivo il contribuente sostanzialmente lamenta che la Commissione Tributaria Regionale per un verso (terzo motivo) avrebbe ignorato il disconoscimento della conformità delle copie delle dichiarazioni fiscali del contribuente prodotte dall’Agenzia con il file teletrasmesso dall’intermediario ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, e per altro verso (quarto motivo) avrebbe omesso di esaminare la circostanza di fatto, decisiva e non contestata dall’Ufficio in sede di merito, che nei files delle dichiarazioni dei redditi teletrasmesse dall’intermediario del contribuente per gli anni 2009 e 2010 non risultava alcuna indicazione nè di residenza nè di domicilio.

Entrambi i motivi – da trattare congiuntamente per la loro intima connessione – risultano fondati.

Per la piena intelligenza delle censure è necessario tener presente che, come riportato nell’esposizione dei fatti di causa svolta nel ricorso per cassazione, nel ricorso introduttivo di primo grado il contribuente contestò la validità della notifica dell’atto impositivo impugnato sulla scorta delle seguenti deduzioni di fatto:

a) detta notifica era stata effettuata per compiuta giacenza, presso l’ufficio postale, del plico raccomandato contenente l’atto impositivo impugnato e l’avviso di giacenza era stato lasciato nella cassetta postale di un appartamento (l’interno 2) di uno stabile di via (OMISSIS);

b) esso contribuente non aveva mai avuto la residenza nè il domicilio in via (OMISSIS) ed era ininterrottamente residente in via (OMISSIS) dal 2001;

c) esso contribuente aveva indicato l’indirizzo di via (OMISSIS) come quello di propria residenza nel modello Unico 2006, lasciando in bianco lo spazio relativo all’indicazione della residenza nelle dichiarazioni dei redditi successive proprio perchè la residenza non era variata rispetto a quella risultante dal modello Unico 2006; l’indirizzo di via (OMISSIS) era peraltro stato indicato dal contribuente come propria residenza nel modello AA9/8, di apertura e chiusura della partita IVA in relazione ad un periodo di attività professionale esercitata dal gennaio 2008 al novembre 2010;

Alle controdeduzioni dell’Agenzia – nelle quali si affermava che l’indirizzo di via (OMISSIS) risultava indicato come residenza anagrafica del contribuente sia nelle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2010 e nel 2009, sia nel summenzionato modello AA9/8 – esso contribuente aveva replicato, con memorie depositate nel giudizio di primo grado l’I 1/6/12 e il 14/12/12, per un verso, evidenziando che dalla copia autentica del modello AA9/8, allegata al ricorso introduttivo, risultava che in tale modello l’indirizzo di residenza anagrafica era stato indicato in via (OMISSIS) e, per altro verso, contestando la conformità all’originate delle “copie” delle dichiarazioni 2009 e 2010 prodotte dall’Ufficio.

Con riferimento a queste ultime, in particolare, il contribuente – argomentando che non si trattava di copie in senso tecnico, bensì di trascrizioni in forma cartacea di una combinazione di dati trasmessi dal contribuente e di dati inseriti dal sistema ai fini di informatizzazione – aveva contro dedotto, davanti al giudice di prime cure, che il dato relativo alla residenza anagrafica in via (OMISSIS) non proveniva dal contribuente ma dal sistema informatico dell’Agenzia (e, precisamente, dal cosiddetto “cassetto fiscale”), nel quale tale dato era stato inserito per un errore di lettura del suddetto modello AA9/8 (il cui originale cartaceo era stato, come sopra riferito, prodotto in giudizio); errore fatto palese dal rilievo che, nel cassetto fiscale, l’erronea indicazione dell’indirizzo del contribuente in via Lorenzo il Magnifico 119 era corredata dall’annotazione “a decorrere dal 10/1/08” – fonte “Collegamento IVA”.

Sulle controdeduzioni svolta dal contribuente l’Ufficio non aveva preso posizione e la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente sulla scorta di una duplice ratio decidendi consistente:

1) da un lato, nell’accertamento in fatto che l’Agenzia non aveva fornito la prova dell’asserita indicazione da parte del contribuente dell’indirizzo di via (OMISSIS);

2) d’altro lato, nell’affermazione di diritto che, in mancanza di elezione di domicilio D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 1, lett. d), ai fini della notifica degli atti impositivi l’amministrazione finanziaria era onerata di accertare l’attuale residenza anagrafica del contribuente, potendo la stessa essere variata rispetto a quella indicata nell’ultima dichiarazione dei redditi.

Così ricostruiti fatti di causa, osserva il Collegio che l’affermazione sulla cui base la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Agenzia contro la sentenza di prime cure, ossia l’affermazione secondo la quale l’Amministrazione finanziaria avrebbe provato che il contribuente aveva dichiarato il proprio domicilio in via (OMISSIS) “attraverso la produzione delle dichiarazioni dei redditi relativi agli esercizi d’imposta del 2009 del 2010”, è censurabile sotto entrambi i profili sviluppati, rispettivamente, nel terzo nel quarto motivo di ricorso. Quanto al profilo sviluppato nel terzo motivo, è sufficiente rilevare che la suddetta affermazione della sentenza gravata trascura completamente il disconoscimento della conformità delle copie delle dichiarazioni dei redditi prodotte dall’Agenzia ai files delle medesime dichiarazioni teletrasmessi dall’intermediario; disconoscimento che il contribuente aveva operato nel giudizio di primo grado – producendo la “attestazione di avvenuto ricevimento” del file (rilasciate dall’Agenzia ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 3, comma 10) corredate dalla “visualizzazione dei dati relativi alle dichiarazioni contenute nel file” – ed aveva poi ribadito nel punto 4 delle controdeduzioni in appello, come precisato, in osservanza del principio di autosufficienza, a pagina 12 del ricorso per cassazione.

Quanto al profilo sviluppato al quarto motivo quarto motivo di ricorso, è sufficiente rilevare che la suddetta affermazione della sentenza gravata risulta palesemente apodittica, giacchè il giudice territoriale omette completamente di esaminare la deduzione di fatto del contribuente secondo la quale nei files delle dichiarazioni dei redditi 2009 e 2010 teletrasmessi all’Ufficio non sarebbe stato indicato alcun indirizzo di residenza nè di domicilio e, quindi, di vagliare la documentazione prodotta fin dal primo grado di giudizio a sostegno di tale deduzione, vale a dire la “visualizzazione dei dati relativi alle dichiarazioni contenute nel file” scaricata dal “Servizio telematico di presentazione delle dichiarazioni”. Il terzo e quarto motivo vanno pertanto accolti.

Il quinto mezzo va disatteso tanto con riferimento alla censura di violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 3, e alla L. n. 212 del 2000, art. 6, quanto con riferimento alla censura di omesso esame di fatti decisivi.

Sotto il primo profilo, osserva il Collegio che il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 3, (alla cui stregua le variazioni e modificazioni di indirizzo risultanti dai registri anagrafici “hanno effetto” ai fini delle notifiche degli atti dell’Amministrazione finanziaria, ancorché soltanto del trentesimo giorno successivo alla variazione anagrafica) non autorizza la conclusione che – dovendo in ogni caso l’Ufficio, prima di notificare un atto al contribuente, controllare, mediante una verifica sui registri anagrafici, l’attualità dell’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi – detta indicazione sia priva di effetti ai fini della notifica degli atti dell’Amministrazione finanziaria.

Tale interpretazione renderebbe del tutto priva di scopo l’indicazione della residenza nella dichiarazione dei redditi, prescritta nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 4, e urterebbe contro il consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi, della propria residenza (o di un proprio domicilio in un indirizzo diverso da quello di residenza, ma nell’ambito del medesimo comune ove il contribuente è fiscalmente domiciliato) va effettuata in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario (vedi Cass. nn. 5358/06, 11170/13, 26715/13, nella quale ultima si legge: “ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 58, al dovere del contribuente di dichiarare un determinato domicilio o sede fiscale ed un determinato rappresentante legale, non corrisponde l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio eletto”).

Sulla scorta di tali considerazioni deve allora affermarsi che altro è il caso di un cambio di residenza e altro è il caso di una originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi; in quest’ultimo caso, infatti, la notificazione che si sia perfezionata presso l’indirizzo indicato nella dichiarazione dei redditi (anche quando, come nella specie, il perfezionamento della notifica avvenga tramite il meccanismo della compiuta giacenza dell’atto in casa comunale) deve considerarsi valida, nonostante che tale indicazione sia difforme (non importa se per da errore o per malizia) rispetto alle risultanze anagrafiche.

Alla stregua di tale principio deve poi giudicarsi inammissibile la censura di omesso esame del fatto che, pochi mesi prima della notifica dell’impugnato avviso di accertamento nell’indirizzo di via (OMISSIS), altro avviso di accertamento era stato validamente notificato all’indirizzo di via (OMISSIS), difettando, per le indicate ragioni di diritto, il requisito della decisività del fatto.

Parimenti infondato, infine, va giudicato il sesto mezzo di ricorso, giacché la motivazione della sentenza gravata esplicita il percorso logico-giuridico seguito dalla Commissione Tributaria Regionale, fermi restando i vizi che tale percorso inficiano in relazione ai profili sollevati nel terzo e nel quarto mezzo di gravame. In definitiva il ricorso va accolto relativamente al terzo e quarto mezzo, disattesi gli altri, e la sentenza gravata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio perché questa rinnovi l’accertamento della circostanza che il contribuente avrebbe indicato la propria residenza in via Lorenzo il Magnifico 119 nei files teletrasmessi delle dichiarazioni dei redditi 2009 e 2010.

Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo ed il quarto mezzo di ricorso, respinge gli altri e cassa la sentenza gravata; rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2015


Giornata di Studio Tortona (AL) – 9.10.2015

Locandina Tortona 2015LA NOTIFICA ON LINE

Venerdì 9 ottobre 2015

Comune di Tortona

Teatro Civico
Sala Ridotto
Via Ammiraglio Mirabello 3
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il patrocinio del Comune di Tortona

Quote di partecipazione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2014 con rinnovo anno 2015 già pagato al 31.12.2014. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2015 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).

Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Tortona 2015 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Durì Francesco

Resp. Messi Comunali del Comune di Udine

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2015

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE Tortona 2015

Scarica: Documentazione fiscale 2015

Vedi: Immagini della giornata di studio

Vedi: Video della giornata di studio

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

 


I principali motivi di nullità delle cartelle esattoriali

Le cartelle di pagamento
Le cartelle di pagamento, meglio note come cartelle esattoriali, sono quello strumento del quale si avvale la Pubblica Amministrazione per recuperare i crediti vantati a vario titolo nei confronti dei contribuenti.
Più precisamente, si tratta dell’atto inviato da Equitalia (ovverosia la società per azioni a partecipazione pubblica incaricata della riscossione dei tributi) per comunicare l’iscrizione a ruolo del debito da parte dei diversi enti impositori, quali possono essere, ad esempio, Inps, Comuni, Agenzia delle entrate, etc..
Trascorsi sessanta giorni dalla notifica senza che avverso essa sia stato proposto ricorso, la cartella esattoriale diventa titolo esecutivo ai fini della riscossione coatta (RD 639/1910) del credito.
Le ipotesi di nullità
La cartella di pagamento può essere impugnata non solo, ovviamente, nel caso in cui essa sia viziata nella sostanza, ovverosia nel caso in cui il debito non sussista o sussista solo in parte, ma anche nel caso in cui essa sia viziata nella forma.
In quanto atto di diritto tributario, infatti, la cartella esattoriale è sottoposta a vincoli formali che devono essere rispettati a pena di nullità.
Della questione si è interessata, sempre più frequentemente, la giurisprudenza, la quale ha tentato di fare chiarezza circa le ipotesi concrete nelle quali la cartella di pagamento debba ritenersi nulla.
Assenza o inesattezza della relata di notifica
La cartella esattoriale è nulla nel caso in cui sia sprovvista della relata di notifica oppure nel caso in cui questa non sia apposta correttamente o manchi di alcuni requisiti essenziali.
Ad esempio, con la Sentenza n. 398/2012, la suprema Corte ha stabilito la nullità della cartella esattoriale laddove, nella copia consegnata al contribuente, la relata non indichi la data della notifica.
È inoltre nulla, secondo le sentenze della Corte di cassazione n. 6749/2007 e n. 6750/2007, la cartella esattoriale in cui la relata di notifica non sia apposta in calce all’atto, ma, ad esempio, nel frontespizio.
Mancato computo analitico degli interessi
Un’ulteriore ipotesi di nullità della cartella esattoriale deriva dal mancato computo analitico degli interessi maturati.
Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4516 del 2012, infatti, laddove, dopo giugno 2008, venga omessa l’indicazione delle modalità con cui calcolare gli interessi e l’operato dell’ufficio incaricato della riscossione possa essere ricostruito solo attraverso indagini complesse e di certo non spettanti al contribuente, la cartella esattoriale è nulla per violazione del diritto di difesa.
In tal senso si è fermamente espressa anche la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con la sentenza n. 92/36/2012, per la quale l’atto di riscossione deve essere redatto in modo da consentire al debitore la verifica dei calcoli effettuati dal concessionario.
In sostanza, restano valide esclusivamente le cartelle che permettono al debitore di valutare agevolmente la loro esattezza.
Cartelle firmate dai “falsi dirigenti”
A seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la nullità delle nomine che hanno elevato a ruolo di dirigenti i funzionari dell’Agenzia delle Entrate senza lo svolgimento di un concorso pubblico, sono da reputarsi nulle anche tutte le cartelle esattoriali sottoscritte da tali “falsi dirigenti”.
Con la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso n. 784/15, infatti, si sono iniziate ad avvertire le prime conseguenze della sentenza di incostituzionalità e si è dichiarata la nullità di una cartella di pagamento ai fini Irap e Iva firmata, appunto, da un funzionario incaricato del ruolo di dirigente ma sprovvisto dell’effettiva qualifica.
Notifica da parte di soggetti non legittimati
Vera e propria inesistenza giuridica della notificazione della cartella di pagamento, infine, sarebbe generata, secondo la giurisprudenza, dall’inoltro dell’atto da parte di Equitalia senza il tramite dei soggetti a ciò legittimati, espressamente individuati dall’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973.
Si tratta, nel dettaglio, degli ufficiali della riscossione, degli agenti di polizia municipale, dei messi comunali previa convenzione tra Comune e concessionario e degli altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge.
In tal senso si sono espresse recentemente, tra le altre, la Commissione Tributaria Provinciale di Parma con la pronuncia n. 18/2013 e la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso con la pronuncia n. 36/2013.
Tutte le ipotesi prese in considerazione costituiscono soltanto una minima parte delle numerose pronunce emesse in materia, che rappresentano una prova evidente che la giurisprudenza relativa alla nullità delle cartelle esattoriali è in fermento e sta iniziando a recepire sempre più frequentemente le numerose istanze provenienti dai contribuenti.


Corte cost., Sent., (data ud. 23/06/2015) 16/07/2015, n. 170

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

– Alessandro CRISCUOLO Presidente

– Paolo Maria NAPOLITANO Giudice

– Paolo GROSSI “

– Giorgio LATTANZI “

– Aldo CAROSI “

– Marta CARTABIA “

– Mario Rosario MORELLI “

– Giancarlo CORAGGIO “

– Giuliano AMATO “

– Silvana SCIARRA “

– Daria de PRETIS “

ha pronunciato la seguente

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f, della L. 25 luglio 2005, n. 150), promossi dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con ordinanza del 21 maggio 2014, e dal Consiglio superiore della magistratura − sezione disciplinare, con ordinanza del 14 luglio 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 182 e 204 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 45 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti gli atti di costituzione di D.P.M. e di M.T.;

udito nell’udienza pubblica del 23 giugno 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi gli avvocati Gianfranco Iadecola e Carmine Di Zenzo per D.P.M. e Francesco Saverio Marini per M.T.

Ritenuto in fatto

1.− Nel corso di un giudizio di legittimità – promosso avverso la sentenza con cui la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha dichiarato il ricorrente responsabile dell’incolpazione di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 , recante “Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della L. 25 luglio 2005, n. 150”, infliggendogli le sanzioni della censura e del trasferimento di sede, perché, quale magistrato con funzioni di giudice aveva (con negligenza inescusabile) omesso di dichiarare tempestivamente la perdita di efficacia della misura cautelare degli arresti domiciliari di due imputati, con un ritardo di cinquantasei giorni per entrambi – la Corte di cassazione, sezioni unite civili, con ordinanza emessa il 21 maggio 2014 (iscritta al n. 182 del registro ordinanze dell’anno 2014), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, secondo periodo, del menzionato decreto legislativo.

La norma – che al primo periodo dispone che “La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nell’infliggere una sanzione diversa dall’ammonimento e dalla rimozione, può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia” – viene censurata, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, e limitatamente alle parole da “quando ricorre” a “nonché”, là dove, nel periodo successivo prevede che “Il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dall’articolo 2, comma 1, lettera a), nonché nel caso in cui è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni”.

Il Collegio rimettente afferma (in termini di rilevanza) la non fondatezza dei motivi di impugnazione svolti dal ricorrente. Sulla base della propria giurisprudenza, la Corte di cassazione esclude, da un lato, che la menzionata lettera a) del comma 1 dell’art. 2 riguardi solo comportamenti del magistrato intenzionalmente diretti ad arrecare ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti e non già le condotte colpose riferite (come nella specie) al difetto del dovere di diligenza. E rileva, dall’altro, come la non configurabilità della scarsa rilevanza del fatto, di cui all’art. 3-bis del medesimo d.lgs. sia stata adeguatamente vagliata e motivata dal giudice a quo.

Nel merito, le sezioni unite rimettenti osservano che – vigente la regola in base alla quale, per tutti gli illeciti puniti con una sanzione diversa da quella minima, l’irrogazione della ulteriore sanzione del trasferimento è facoltativa e condizionata all’accertamento dell’incompatibilità della permanenza del magistrato nella sede o nell’ufficio con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia – solo nel caso delle violazioni previste dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 2, il trasferimento stesso deve essere sempre e comunque disposto, con un meccanico automatismo che si pone in contrasto con i princìpi di ragionevolezza e di uguaglianza.

Per il Collegio a quo – a fronte di una sanzione particolarmente afflittiva per il magistrato, sotto il profilo sia morale che materiale – imporne indefettibilmente l’irrogazione come conseguenza di tutti i “comportamenti che, violando doveri di cui all’art. 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti” (e quindi di ogni condotta contraria al dovere del magistrato di esercitare le funzioni attribuitegli “con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio”, oltre che nel rispetto della “dignità della persona”) comporta l’equiparazione, sotto il profilo sanzionatorio, di un ampio ventaglio di illeciti disciplinari. I quali sono bensì accomunati dall’elemento dell’ingiusto danno o dell’indebito vantaggio per una delle parti, ma possono risultare di ben diversa gravità, essendovi ricompresi comportamenti sia intenzionali sia soltanto colposi, che consistono inoltre nell’inosservanza di doveri non tutti di pari importanza. Pertanto, al giudice disciplinare, in violazione della “indispensabile gradualità sanzionatoria” connessa alla irrazionalità di ogni automatismo sanzionatorio, è impedito di tenere conto di volta in volta di queste differenze e di verificare se l’applicazione della sanzione accessoria sia necessaria per il conseguimento dello scopo, che le è proprio, di evitare il contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia, derivante dalla permanenza del magistrato nella sede o nell’ufficio.

2.− Si è costituito D.P.M., il magistrato ricorrente nel giudizio a quo, che, in via principale, contesta il principio di diritto affermato dalla Corte rimettente, nella parte in cui esclude la configurabilità di qualsiasi rapporto di specialità tra le violazioni disciplinari di cui alle lettere a) e g) dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 109 del 2006, ed afferma che le violazioni sanzionate sub lettera a) abbiano natura non solo dolosa ma anche colposa.

In subordine, la parte privata costituita concorda con le argomentazioni svolte a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata, rimarcando il vulnus ai princìpi di ragionevolezza e di uguaglianza arrecato da un sistema punitivo fondato sull’automatismo ed assolutamente disattento alla consistenza e gravità delle singole svariate condotte sanzionabili indiscriminatamente, ai sensi del citato art. 2, comma 1, lettera a), con identico rigore e severità a prescindere dal disvalore delle specifiche violazioni consumate dal magistrato e dalle loro rilevanza dolosa o colposa.

3.− Nel corso di un procedimento disciplinare a carico di un magistrato – incolpato degli illeciti disciplinari previsti, tra l’altro, dagli artt. 1 e 2, comma 1, lettere a) e g), del D.Lgs. n. 109 del 2006 (perché incorso, contro i doveri di diligenza e correttezza, in qualità di giudice delegato alla procedura fallimentare relativa ad una srl dichiarata fallita con sentenza del Tribunale, “in grave violazione di legge dovuta a negligenza inescusabile, disattendendo le disposizioni di cui agli artt. 25 e 31 L.F. che prevedono – ratione temporis – obblighi di direzione, oltre che di controllo e vigilanza, sull’operato del curatore fallimentare, determinando un ingiusto danno ai creditori del fallimento, consistito nel mancato incasso integrale di un credito IVA di elevatissimo valore nominale”) – la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con ordinanza emessa il 14 luglio 2014 (iscritta al n. 204 del registro ordinanze dell’anno 2014), ha sollevato identica questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, secondo periodo, del menzionato decreto legislativo, limitatamente alle parole da “quando ricorre” a “nonché”.

La rimettente – “Considerato, ai fini della valutazione della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, prospettata anche dalla Procura Generale, che nel caso di specie la Sezione disciplinare ravvisa un’ipotesi di negligenza non grave, caratterizzata da un ingiusto danno alla massa fallimentare, la cui reale consistenza impone una graduazione della sanzione commisurata all’entità del danno stesso e alla misura della negligenza” – ritiene che la questione in esame non sia manifestamente infondata proprio alla luce di quanto condivisibilmente osservato dalla sopra riportata ordinanza di rimessione delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, da “intendersi integralmente richiamata”.

4.− Si è costituito il magistrato incolpato nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione.

La parte, in particolare, osserva che – poiché il menzionato art. 2, comma 1, lettera a), contempla una vasta gamma di illeciti disciplinari, che comprendono anche comportamenti non tipizzati, inerenti la violazione da parte del magistrato dei generici doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità ed equilibrio (ovvero comportamenti che, ancorché legittimi, compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro dell’istituzione giudiziaria) di cui al precedente art. 1, punibili sia a titolo di dolo che di colpa – l’automatismo previsto dalla norma censurata non consente alla sezione disciplinare di valutare la gravità dell’addebito contestato, l’eventuale intensità del dolo o della colpa, la gravità o meno della negligenza, il pregiudizio effettivamente arrecato al prestigio della amministrazione giudiziaria, l’entità del danno o del vantaggio arrecati ad una delle parti. Sicché (richiamata la giurisprudenza costituzionale in materia) la parte ribadisce che detto automatismo vulnera il principio di razionalità connesso a quello di indispensabile gradualità sanzionatoria, che presuppone la necessità della valutazione della condotta del soggetto e la verifica della effettiva lesione del bene giuridico tutelato dalla previsione sanzionatoria.

Considerato in diritto

1.− La Corte di cassazione, sezioni unite civili, e la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura censurano – per violazione dell’art. 3 della Costituzione – l’art. 13, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f, della L. 25 luglio 2005, n. 150), che dispone l’obbligatorietà del trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando ricorre una delle violazioni previste dall’art. 2, comma 1, lettera a), dello stesso d.lgs.

2.− I giudizi, avendo ad oggetto la medesima questione, vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

3.− Preliminarmente, va dichiarata la manifesta inammissibilità della questione sollevata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

La rimettente – trascritta l’incolpazione oggetto del procedimento disciplinare sottoposto al suo giudizio, e rilevato che “con ordinanza interlocutoria n. 11228 del 2014, la Corte di cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 13, comma 1, secondo periodo, limitatamente alle parole da “quando ricorre” a “nonché”, in relazione all’art. 3 Cost.” – si limita, da un lato, ad affermare la rilevanza della questione (ravvisando, in concreto, “un’ipotesi di negligenza non grave, caratterizzata da un ingiusto danno alla massa fallimentare, la cui reale consistenza impone una graduazione della sanzione commisurata all’entità del danno stesso e alla misura della negligenza”); e, dall’altro lato, in termini di non manifesta infondatezza, a riportarsi a “quanto condivisibilmente osservato dalla richiamata ordinanza interlocutoria n. 11228/2014 della Corte di cassazione che qui deve intendersi integralmente richiamata”.

Ove anche si volesse prescindere (in termini di sufficienza della motivazione circa la rilevanza della questione nel giudizio a quo) dalla portata non del tutto esauriente della assai sintetica argomentazione svolta in tal senso – in base alla quale la riconducibilità della condotta ascritta all’incolpato alla fattispecie di cui alla lettera a), comma 1, dell’art. 2 del D.Lgs. n. 109 del 2006 (e di conseguenza anche al dovere di applicare la sanzione accessoria previsto dalla norma censurata) si evince solo indirettamente, in ragione della mera affermazione della configurabilità, nel caso concreto, dei presupposti della negligenza e del danno ingiusto, che caratterizzano detta ipotesi sanzionatoria rispetto a quella contemplata dalla successiva lettera g) – viceversa, quanto al requisito della non manifesta infondatezza della questione, la sezione disciplinare rimettente ha esclusivamente fatto riferimento al contenuto argomentativo della richiamata ordinanza di rimessione pronunciata, in altro processo, dal giudice di legittimità.

Orbene, la consolidata giurisprudenza di questa Corte esclude che, nei giudizi incidentali di costituzionalità delle leggi, sia ammessa la cosiddetta motivazione per relationem. Infatti, il principio di autonomia di ciascun giudizio di costituzionalità in via incidentale, quanto ai requisiti necessari per la sua valida instaurazione, e il conseguente carattere autosufficiente della relativa ordinanza di rimessione, impongono al giudice a quo di rendere espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza, non potendo limitarsi ad un mero richiamo di quelli evidenziati dalle parti nel corso del processo principale (ex plurimis, sentenze n. 49, n. 22 e n. 10 del 2015; ordinanza n. 33 del 2014), ovvero anche in altre ordinanze di rimessione emanate nello stesso o in altri giudizi (sentenza n. 103 del 2007; ordinanze n. 156 del 2012 e n. 33 del 2006).

4.− Dal canto loro, le sezioni unite civili della Corte di cassazione censurano l’art. 13, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 109 del 2006, che – rispetto alla previsione generale del primo periodo dello stesso articolo, in base al quale “La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nell’infliggere una sanzione diversa dall’ammonimento e dalla rimozione, può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia” – nel periodo successivo prevede che “Il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dall’articolo 2, comma 1, lettera a), nonché nel caso in cui è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni”.

La Corte rimettente denuncia la violazione dell’art. 3 Cost., per irragionevolezza e disparità di trattamento, poiché imporre indefettibilmente l’irrogazione di una sanzione particolarmente afflittiva per il magistrato, sotto il profilo e morale e materiale, come conseguenza di tutti i “comportamenti che, violando doveri di cui all’art. 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti” (e quindi a ogni condotta contraria al dovere del magistrato di esercitare le funzioni attribuitegli “con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio”, oltre che nel rispetto della “dignità della persona”), comporta l’irragionevole equiparazione, sotto il profilo sanzionatorio, di un ampio ventaglio di illeciti disciplinari, che sono bensì accomunati dall’elemento dell’ingiusto danno o dell’indebito vantaggio per una delle parti, ma possono risultare di ben diversa gravità, essendovi ricompresi comportamenti sia intenzionali sia soltanto colposi, che consistono inoltre nell’inosservanza di doveri non tutti di pari importanza. Con la conseguenza che al giudice disciplinare, in violazione della “indispensabile gradualità sanzionatoria” connessa alla irrazionalità di ogni automatismo sanzionatorio, è impedito di tenere conto di volta in volta di queste differenze e di verificare se l’inflizione della sanzione accessoria sia necessaria per il conseguimento dello scopo, che le è proprio, di evitare il contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia, derivante dalla permanenza del magistrato nella sede o nell’ufficio.

Il giudice a quo chiede, quindi, la declaratoria di incostituzionalità della norma, limitatamente alle parole da “quando ricorre” a “nonché”, così da determinare l’eliminazione (dal contenuto precettivo della disposizione censurata) della automatica applicabilità della sanzione accessoria del trasferimento nel caso di accertamento delle sole violazioni previste dall’art. 2, comma 1, lettera a), con l’effetto di far riespandere anche rispetto alla fattispecie punitiva de qua la regola generale prevista dal primo periodo della stessa norma.

5.− Preliminarmente, vanno rigettate le obiezioni (peraltro non tradotte in una formale eccezione di irrilevanza della questione) mosse dalla parte costituita, che ripropone nel giudizio di costituzionalità le medesime difese svolte a sostegno del primo motivo di ricorso in cassazione. Con esso, il ricorrente lamentava che la sezione disciplinare, nell’escludere che il fatto, come contestato, potesse essere sanzionabile alternativamente ai sensi, sia della lettera a), sia della lettera g) del comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 109 del 2006, avesse erroneamente ritenuto la sussistenza della prima anziché della seconda di tali disposizioni; e conseguentemente avesse irrogato, oltre alla censura, anche la sanzione del trasferimento di sede, comminata dall’art. 13 dello stesso decreto legislativo come effetto automatico di “una delle violazioni previste dall’art. 2, comma 1, lettera a)”. Tale tesi difensiva viene basata dalla parte sulla ritenuta specialità della ipotesi disciplinare sub lettera g) rispetto a quella di cui alla lettera a), applicabile unicamente in caso di comportamenti del magistrato “contrassegnati da intenzionalità volitiva dei suoi doveri primari … e non da mera colpa”: configurandosi da ciò “ragioni ed argomenti per avallare una lettura ispirata a ragionevolezza”, onde escludere nella fattispecie l’applicabilità della ipotesi disciplinare di cui alla lettera a) e quindi anche della sanzione accessoria.

5.1.− Questa Corte rileva che, viceversa, nel contesto dell’ordinanza di rimessione, ad espressa confutazione di tali argomentazioni, le sezioni unite civili hanno sottolineato espressamente, da un lato, come (riguardo alla specifica ipotesi di ritardo nella scarcerazione di imputati o indagati) la propria giurisprudenza si sia “stabilmente orientata nel senso che le previsioni delle lettere a) e g) dell’articolo 2, comma 1 del D.Lgs. n. 109 del 2006 sono entrambe contestualmente applicabili, poiché non sussiste tra loro un rapporto di specialità, che comporti l’esclusione dell’una o dell’altra” (Corte di cassazione, sezioni unite civili, 29 luglio 2013, n. 18191, 22 aprile 2013, n. 9691 ed 11 marzo 2013, n. 5943). E, dall’altro, come, alla stregua della suddetta giurisprudenza, risulti “altresì da disattendere l’assunto del ricorrente, secondo cui la lettera a) attiene soltanto a comportamenti del magistrato intenzionalmente diretti ad arrecare ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti”; ciò in quanto tale disposizione configura l’illecito disciplinare di cui si tratta come conseguente alle violazioni dei “doveri di cui all’articolo 1” (secondo cui “Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni”), tra le quali sono certamente comprese anche quelle colpose, in quanto riferite, tra l’altro, al dovere della “diligenza” nell’esercizio delle funzioni attribuite al magistrato.

La Corte rimettente, dunque (nel rigettare i motivi addotti dal ricorrente a sostegno della impugnazione, ed in tal modo qualificando il fatto ascritto all’incolpato, oltre che escludendone la scarsa rilevanza), ha confermato integralmente il giudizio espresso dalla sezione disciplinare, che aveva ritenuto appunto applicabile la lettera a), comma 1, dell’art. 2, a fronte del difetto di diligenza addebitato al magistrato, per non essersi avveduto della scadenza del termine massimo della misura degli arresti domiciliari, cui erano sottoposte due persone nei cui confronti procedeva il suo ufficio, in un procedimento a lui affidato.

Dal mancato accoglimento delle ragioni addotte quali motivi di impugnazione – articolato sulla base di uno sviluppo argomentativo del tutto coerente, fondato su una interpretazione in sé non implausibile – consegue, dunque, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, essendo il Collegio rimettente chiamato ad applicare la misura del trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio nel modo prescritto dalla norma censurata.

6.− Nel merito la questione è fondata.

6.1.− La giurisprudenza di questa Corte è da tempo costante nell’affermare come il “principio di proporzione”, fondamento della razionalità che domina “il principio di eguaglianza”, postuli l’adeguatezza della sanzione al caso concreto; e come tale adeguatezza non possa essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito, valutazione che soltanto il procedimento disciplinare consente (sentenze n. 447 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988).

Ferma, dunque, restando la discrezionalità del legislatore di prevedere l’indefettibile adozione di sanzioni accessorie, quando ciò sia giustificato dalla peculiarità della situazione fattuale generatrice dell’illecito, nonché dalla sussistente correlazione tra tale situazione e la gravità della sanzione (sentenza n. 112 del 2014), l’ordinamento è orientato verso la tendenziale esclusione di previsioni sanzionatorie rigide, la cui applicazione non sia conseguenza di un riscontrato confacente rapporto di adeguatezza col caso concreto, e rispetto alle quali l’indispensabile gradualità applicativa non sia oggetto di specifica valutazione nel naturale contesto del procedimento giurisdizionale (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012 e n. 363 del 1996) ovvero in quello disciplinare (ex plurimis, sentenze n. 329 del 2007, n. 212 e n. 195 del 1998, n. 363 del 1996).

D’altronde, data la ratio di tale orientamento, non ci sono motivi per escluderne l’applicazione nei confronti dei magistrati; riguardo ai quali, peraltro, nei suoi interventi normativi, il legislatore (fermo il presupposto della spettanza del potere disciplinare al Consiglio superiore della magistratura, e l’attribuzione del suo esercizio alla sezione disciplinare) è stato indotto a configurare tale procedimento “secondo paradigmi di carattere giurisdizionale” (sentenza n. 497 del 2000) per l’esigenza precipua di tutelare in forme più adeguate specifici interessi e situazioni connessi allo statuto di indipendenza della magistratura (sentenze n. 87 del 2009 e n. 262 del 2003).

6.2.− Ciò premesso, va (sotto altro profilo) sottolineato che l’illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 109 del 2006, si configura quale “norma di parziale chiusura” del sistema disciplinare in cui la compatibilità tra la previsione di un precetto cosiddetto “a condotta libera” ed il principio informatore di tipicità della riforma risulta assicurata dallo specifico riferimento dei “comportamenti” sanzionabili ai doveri di “imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio”, nonché a quelli di rispetto della dignità della persona, cui il magistrato, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 109 del 2006, deve improntare la propria condotta nell’esercizio delle proprie funzioni (Corte di cassazione, sezioni unite civili, 15 febbraio 2011, n. 3669).

Peraltro, va altresì rilevato che le ipotesi trasgressive de quibus configurano fattispecie di illecito “di evento”, in cui, non diversamente da quanto si verifica in campo penale per analoghe figure di reato, la consumazione non si esaurisce con la condotta tipica, ma esige che si verifichi un “ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti”, ossia un concreto accadimento lesivo, in danno del soggetto passivo, che costituisca la conseguenza diretta dell’azione o omissione vietata (anche Corte di cassazione, sezioni unite civili, 22 aprile 2013, n. 9691 e 11 marzo 2013, n. 5943, già citate).

Risulta, quindi, di agevole constatazione il fatto che vi sono violazioni dei doveri del magistrato, stabiliti dall’art. 1 del medesimo decreto (imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio, rispetto della dignità della persona), che pur non traducendosi in gravi violazioni di legge determinate da ignoranza o negligenza inescusabile, tuttavia arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti, e sono pertanto perseguibili a norma della lettera a), comma 1, dell’art. 2 del decreto (in tal senso, anche Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 5943 del 2013, citata).

6.3.− Orbene, nonostante l’ampio ventaglio dei possibili “comportamenti” caratterizzati da siffatti requisiti, la cui configurabilità in termini di illecito disciplinare non richiede una particolare connotazione di gravità, né uno specifico grado di colpa, quella di cui alla lettera a) costituisce l’unica ipotesi, tra le molteplici, di illecito funzionale (tutte tipizzate dall’art. 2 del D.Lgs. n. 109 del 2006) alla quale consegue – come ulteriore sanzione imposta dalla norma censurata – l’obbligatorio trasferimento ad altra sede o ad altro ufficio del magistrato condannato.

La necessaria adozione di tale misura punitiva appare basata su una presunzione assoluta, del tutto svincolata – oltre che dal controllo di proporzionalità da parte del giudice disciplinare – anche dalla verifica della sua concreta congruità con il fine (ulteriore e diverso rispetto a quello repressivo dello specifico illecito disciplinare) di evitare che, data la condotta tenuta dal magistrato, la sua permanenza nella stessa sede o ufficio appaia in contrasto con il buon andamento della amministrazione della giustizia (come, invece previsto dalla regola generale disciplinata dal primo periodo del comma 1 dell’art. 13 del D.Lgs. n. 109 del 2006).

Ne consegue, da un lato, un vulnus al principio di uguaglianza, derivante dal diverso (e più grave) trattamento sanzionatorio riservato (senza alcun concreto riferimento alla gravità dell’elemento materiale ovvero di quello psicologico) al solo illecito funzionale de quo; dall’altro lato, l’irragionevolezza della deroga alla regola posta dal primo periodo del comma 1 dell’art. 13 del D.Lgs. n. 109 del 2006, giacché la ratio della soluzione normativa scrutinata non sembra potersi rinvenire neppure in una particolare gravità dell’illecito, desumibile dalla peculiarità della condotta, dalla misura della pena o dal rango dell’interesse protetto; laddove siffatti parametri sembrerebbero doversi ritenere significativi (quali indici di adeguatezza dell’intervento repressivo della condotta illecita) non solo in sede di giudizio di colpevolezza e irrogazione della pena principale, ma anche nella determinazione della sanzione accessoria.

Ciò tanto più in quanto tale sanzione comporta un effetto molto gravoso per il magistrato, giacché concreta una eccezione alla regola della inamovibilità, che incide direttamente sul prestigio e sulla credibilità dello stesso. Invero non pare trascurabile – in una cornice che, doverosamente, privilegii il principio di necessaria adeguatezza tra il “tipo” di sanzione e la “natura” e “gravità” dell’illecito disciplinare (ontologicamente diversificato in ragione della varietà delle condotte addebitabili) – la circostanza che la misura obbligatoria del trasferimento di ufficio si aggiunge alla sanzione disciplinare tipica, aumentandone significativamente la portata afflittiva, anche sul piano del prestigio personale (non scisso da quello professionale) che il magistrato condannato vedrà significativamente compromesso, attesa la rilevanza esterna che la misura stessa presenta (si pensi alla pubblicità del trasferimento in una media o piccola sede giudiziaria). Il tutto, non senza sottolineare ulteriormente come la misura del trasferimento, ove non congruamente supportata da valide ragioni che la rendano “funzionalmente” giustificata, potrebbe finire per profilare aspetti di dubbia compatibilità con lo stesso principio di inamovibilità dei giudici costituzionalmente sancito dall’art. 107 Cost.

6.4.− L’art. 13, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 109 del 2006 va, dunque, dichiarato costituzionalmente illegittimo, limitatamente alle parole da “quando ricorre” a “nonché”.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 , recante “Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della L. 25 luglio 2005, n. 150”, limitatamente alle parole da “quando ricorre” a “nonché”;

2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 13, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 109 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2015.

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2015.


Domenica, ai lavoratori pubblici non spetta alcun compenso se coincide con le festività

La Corte Costituzionale era stata investita della delicata questione relativa alla retribuzione delle festività civili ricadenti di domenica.

La Corte Costituzionale – con sentenza 150/2015 – ha nuovamente deluso le aspettative dei pubblici dipendenti … che speravano di veder arrivare qualche soldino in busta paga almeno dal pagamento delle festività coincidenti con la domenica (con effetto retroattivo).

Con la sentenza n. 150/2015 la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità della “legge finanziaria 2006”, sollevata dalla Corte di Cassazione, sez. lavoro, là dove prevede che tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall’art. 69, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 65/2001, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, sia ricompreso l’art. 5, terzo comma, della L. n. 260/1949 e s.m.i., in materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. Tale previsione fa salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge. In pratica,

Secondo la Cassazione, la norma sarebbe intervenuta nel corso di un giudizio, al fine di determinare la modifica del suo in favore dello Stato (parte del medesimo giudizio), in assenza di motivi imperativi di interesse generale, non potendosi configurare come tali né le finalità di “omogeneizzare” e “razionalizzare” il trattamento nel pubblico impiego, né le generiche esigenze finanziarie richiamate. Come detto, i giudici costituzionali hanno dichiarato quale non fondata la questione.

La Consulta, in via preliminare, ha riconosciuto la fondatezza dell’assunto della Cassazione secondo cui non è possibile una interpretazione della norma censurata che ne escluda la portata retroattiva e dunque l’applicabilità ai giudizi in corso, ivi compreso il giudizio principale. Orbene, tale previsione è retroattiva e il tenore letterale dell’art. 1, comma 224, della legge n. 266/2005, nel delimitare la propria sfera di applicazione, espressamente fa salva solo “l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge” (secondo periodo), impedisce di assegnare a detta norma un significato diverso: essa ha effetti sia per il futuro, sia per il passato e ha inciso sul giudizio in corso.

Non vi è – secondo la Consulta – il contrasto prospettato dalla Cassazione con la norma convenzionale (CEDU) e, quindi, con l’art. 117, primo comma, Cost.

L’art. 1, comma 224, della “legge finanziaria 2006”, nella parte in cui dispone che l’art. 5, terzo comma, della Legge n. 260/1949 (come successivamente modificato), è una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, ai sensi dell’art. 69, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001, interviene sul contenuto di tale norma. Quest’ultima, nel dettare norme transitorie volte ad assicurare la graduale attuazione della riforma del lavoro pubblico (D.Lgs. n. 29/1993), era ispirata alle finalità di:

– “accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei paesi della Comunità europea”,

– “razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli della finanza pubblica”,

– “integrare gradualmente la disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato” (Cost., sentenza n. 359/1993).

In tale contesto, proseguendo, la Consulta ha spiegato che l’art. 2 del D.Lgs. n. 165/2001, nell’individuare le fonti di disciplina del lavoro pubblico, ha assegnato alla legge il compito di regolare, quanto meno nei principi, l’organizzazione degli uffici, demandando viceversa alla contrattazione collettiva la regolamentazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti.

Già in passato la Corte ha avuto modo di desumere dalle indicate disposizioni che il legislatore “ha voluto riservare alla contrattazione collettiva l’intera definizione del trattamento economico, eliminando progressivamente tutte le voci extra ordinem” (sentenza n. 146/2008) al fine di realizzare, ad un tempo, l’obiettivo della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico e della razionalizzazione del costo del lavoro pubblico, mediante il contenimento della spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli della finanza pubblica.

Dunque, l’art. 1, comma 224, della “legge finanziaria 2006”, nell’annoverare tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall’art. 69, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 165/2001 (a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997), l’art. 5, terzo comma, della legge n. 260/1949 – che riconosce il diritto a una ulteriore retribuzione nel caso in cui le festività ricorrano di domenica – si pone in armonia con l’obiettivo di riconoscere alla sola fonte contrattuale il compito di definire il trattamento retributivo, eliminando tutte le voci extra ordinem.

Risulta, pertanto, evidente che la norma censurata si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, cosicché la portata retroattiva della medesima non si rivela irragionevole, né si pone in contrasto con altri interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis: sentenze n. 257 del 2011, n. 236 del 2009).

Nel caso di specie, l’art. 1, comma 224, della “legge finanziaria 2006”, nell’escludere l’applicabilità ai lavoratori pubblici della norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel caso in cui le festività ricorrano di domenica, all’indomani della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non ha fatto altro che dare attuazione ad uno dei principi ispiratori dell’intero D.Lgs. n. 165/2001.

In definitiva, la norma in questione ha chiarito – risolvendo una situazione di incertezza testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante che l’art. 5, terzo comma, della legge n. 260 del 1949 ha carattere imperativo: esso è, pertanto, applicabile a tutti i lavoratori dipendenti dallo Stato, dagli enti pubblici e dai privati (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 22 febbraio 2008, n. 4667), rientrando fra le “norme generali […] del pubblico impiego”, di cui l’art. 69 del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce l’inapplicabilità a seguito della stipulazione dei contratti collettivi, in linea con il principio della onnicomprensività della retribuzione e del divieto di ulteriori corresponsioni, diverse da quelle contrattualmente stabilite (sentenza n. 146/2008).


Comunicazione Aruba. Accesso al sito web di A.N.N.A.: possibili disagi

LavoriInCorsoLa Società Aruba comunica:

Gentile cliente,

per garantirLe sempre migliori prestazioni e una maggior efficienza di gestione, La informiamo che a partire dalle ore 23.00 di mercoledì 08/07/2015 e per una settimana circa, svolgeremo un intervento di manutenzione programmata che prevede la migrazione di tutti i siti con Hosting Windows 2003 verso la nuova piattaforma Windows 2012 R2 e che interesserà anche il suo sito annamessi.it.

La migrazione si rende necessaria anche perché Microsoft non supporterà più Windows 2003, a partire da Luglio 2015, oltre che non rilasciare nuovi aggiornamenti sulla sicurezza.

Inoltre il nuovo sistema operativo Microsoft ha definitivamente abbandonato anche il supporto a Microsoft FrontPage 2003 e versioni precedenti: in alternativa suggeriamo i nuovi editor che consentono la creazione di siti più performanti, compatibili e accessibili con molte funzioni automatizzate, quali per esempio “Webmatrix” e “Microsoft Expression Web 4” (versione free).

L’intervento di migrazione sarà gestito e costantemente monitorato dal nostro personale tecnico specializzato e avverrà per gruppi: nel momento in cui coinvolgerà il suo sito, si potranno riscontrare solo dei temporanei momenti di irraggiungibilità di durata variabile.

Come può notare, siamo sempre al lavoro per offrire un servizio migliore e facciamo sempre del nostro meglio perché questi interventi non abbiamo nessun impatto sui nostri clienti: in alcuni casi, come questo, l’intervento porterà molti benefici ma presupporrà quanto le abbiamo descritto, pertanto ci scusiamo in anticipo per i disagi che l’intervento dovesse arrecarle e siamo a sua disposizione per ogni necessità di chiarimento e assistenza.

Cordiali saluti

Customer Care Aruba S.p.A.


Novità sul congedo parentale

Il Governo ha approvato il decreto legislativo n. 80/2015 sulla conciliazione vita-lavoro, che contiene alcuni interventi per recepire le ultime sentenze della Corte costituzionale, individua soluzioni su questioni interpretative e garantisce una maggiore flessibilità nella fruizione del congedo parentale.

  • Il decreto, adeguandosi a quanto stabilito dalla Corte costituzionale (sentenza 116/2011), introduce espressamente nel d.lgs 151/2001 una disciplina per i casi di ricovero del neonato in una struttura sanitaria. In questo caso la lavoratrice ha diritto – anche in caso di adozioni – di chiedere la sospensione del congedo di maternità fino alla data di dimissione del bambino.
  • Viene esteso da 8 a 12 anni di vita del bambino il periodo entro cui è possibile fruire il congedo parentale e viene aumentato da 3 a 6 anni il periodo nel quale viene riconosciuta l’indennità economica (30% dello stipendio).
  • Dopo la scarsa applicazione da parte della contrattazione collettiva, il decreto introduce la possibilità di fruire il congedo parentale anche su base oraria. Un diritto ora riconosciuto per legge in assenza di una disciplina contrattuale.
  • La fruizione su base oraria potrà avvenire in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. Scende, a favore dei lavoratori, il periodo di preavviso nei confronti del datore per fruire del congedo: 5 giorni (in caso di assenze per giornata intera) e 2 giorni (assenza su base oraria).
  • Le lavoratrici inserite nei percorsi di protezione per episodi di violenza di genere (debitamente certificati dai servizi sociali) potranno astenersi dal lavoro per un periodo di 3 mesi e con un preavviso al datore di almeno 7 giorni, con il diritto di percepire un’indennità e alla contribuzione figurativa per tale periodo.

Corte di Cassazione: Anche la raccomandata senza ricevuta di ritorno può interrompere la prescrizione

Anche una semplice raccomandata senza ricevuta di ritorno può essere sufficiente per interrompere la prescrizione presuntiva del diritto di un avvocato ad esigere i propri onorari al cliente.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, si può presumere che la lettera sia giunta a destinazione dato che è onere delle poste curarne la consegna.

È quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza 13401/2015, pubblicata oggi, secondo cui solo in caso di contestazione del destinatario può sorgere l’onere del mittente di dimostrare che la propria missiva è giunta correttamente a destinazione.

Nel caso di specie, però, l’avvocato aveva si spedito le raccomandate ma lo aveva fatto indicando la persona sbagliata e quindi non può avvalersi della presunzione di avvenuta consegna.

Se la raccomandata fosse stata spedita correttamente il termine di prescrizione si sarebbe invece interrotto.

La Corte di Cassazione chiarisce anche che l’eccezione di prescrizione presuntiva non può essere equiparata al riconoscimento del debito. In sostanza se da un lato l’ammissione della mancata estinzione dell’obbligazione comporta il rigetto dell’eccezione di prescrizione, non è vero il contrario: il fatto di aver sollevato l’eccezione di prescrizione non  comporta ammissione della mancata estinzione del debito.

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 giugno 2015, n. 13401

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24 maggio 2006 l’Avv. M.T. evocava, dinanzi al Tribunale di Trento, A.B. e l’Avv. A.E. chiedendo la condanna, in via solidale, dei medesimi al pagamento della somma di €. 14.404,48, oltre accessori, per attività di procuratore svolta per conto della convenuta in una serie di controversie trattate avanti allo stesso ufficio, conferitogli l’incarico nel 1990 dall’Avv. M. e dopo il luglio 1994, dal figlio della predetta, il convenuto E.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’E. che eccepiva il difetto di legittimazione passiva, nonché della B. che eccepiva l’avvenuta prescrizione presuntiva dei crediti vantati ex art. 2959 c.c., il Tribunale adito, accoglieva entrambe le eccezioni sollevate dai conventi, con conseguente rigetto della domanda attorea.

In virtù di rituale appello interposto dall’Avv. T. sotto molteplici profili, la Corte di appello di Trento, nella resistenza degli appellati, che proponevano anche rispettivi appelli incidentali sulla unitaria liquidazione delle spese processuali pur essendo due le parti convenute, respingeva l’appello principale ed accoglieva quelli incidentali, rideterminando le spese di lite facendo applicazione dell’art. 5 punto 5 della tariffa forense.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale – premesso che l’esame del gravame avrebbe valutato separatamente la domanda svolta nei confronti della B. rispetto a quella proposta nei confronti dell’E.- evidenziava che, quanto alla prima, era stata la sola parte assistita dall’Avv. T. nei giudizi intentati dinanzi al Tribunale di Trento e poi alla Corte di appello di Trento; rilevava, relativamente alla eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dalla stessa appellata (da esaminarsi per avere la debitrice eccepito formalmente il pagamento del credito), che il mandato era cessato con la fine della causa o al più in data 15.10.2001, con la conseguenza che il triennio di prescrizione era maturato, al massimo, il 15.10.2004, mentre la causa de qua era iniziata nell’anno 2006, né vi era prova di atti interruttivi, per essere le lettere allegate inviate ma prive di dimostrazione della ricezione da parte della debitrice. Né il giuramento decisorio deferito, pur ammissibile, assolveva a detto onere non essendo state articolate circostanze decisive per la definizione della controversia.

Per quanto concerneva l’E., osservava preliminarmente che al tempo del conferimento dell’incarico al T. lo stesso non aveva ancora superato gli esami di abilitazione forense, divenuto co-difensore della madre, unitamente all’avv. M. e all’avv. T., in data 17.6.1996, a seguito di mandato conferitogli dalla stessa B.. Tanto chiarito, in atti non vi era prova di un mandato (con o senza rappresentanza) a lui rilasciato da parte della madre per incaricare un difensore; né rispetto alla domanda ex art. 26 codice deontologico, specificata con la memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., appariva dimostrato un ulteriore autonomo incarico conferito al T. dall’E., pacifico che inizialmente era stato investito della tutela delle posizioni della B. all’avv. M.

Di converso dovevano trovare accoglimento gli appelli incidentali, giacché l’unica liquidazione delle spese effettuata nella sentenza impugnata, pari ad € 3.800,00, divisa per le due parti difese, aventi posizioni non identiche, comportava che i diritti liquidati violavano i minimi previsti in tariffa, per cui provvedeva ad una riliquidazione ai sensi dell’art. 5 della T.P. per essere identiche alcune delle questioni portate all’esame del giudice.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Trento ha proposto ricorso per cassazione il T., sulla base di sei motivi, cui hanno replicato con separati controricorsi gli intimati, contenenti anche ricorso incidentale condizionato, affidato ciascuno – rispettivamente – a quattro e a due motivi; anche parte ricorrente ha resistito ai ricorsi incidentali con controricorso.

I resistenti in prossimità della pubblica udienza hanno depositato memoria illustrativa unica.

Motivi della decisione

II ricorrente principale con il primo motivo lamenta un vizio di motivazione laddove la corte di merito ha rigettato la sua doglianza volta a sottolineare come le difese della B. avessero ad oggetto anche il quantum del credito preteso, circostanza che di per sé sarebbe incompatibile con la eccezione di prescrizione presuntiva. In altri termini, ad avviso del ricorrente, nell’affermazione della B. che il credito da lui vantato era comprensivo di emolumenti spettanti al co-difensore andrebbe ravvisata una contestazione sul quantum, non convincente la ratio secondo cui detta difesa sarebbe riferibile esclusivamente all’E.

Il motivo è privo di pregio.

Come statuito da un risalente orientamento, condiviso da questo Collegio, l’eccezione di prescrizione non equivale al riconoscimento del debito, in quanto il disposto dell’art. 2957 c.c, s’intende nel senso che l’ammissione del fatto comporta il rigetto dell’eccezione, ma non, al contrario, che l’aver sollevato l’eccezione di prescrizione determini l’ammissione del fatto costitutivo del debito (così Cass. 21 gennaio 2000 n. 634).

D’altra parte, la valutazione delle prove compiuta dalla sentenza impugnata si sottrae alle censure, siccome motivata in modo logicamente corretto e sufficiente, posto che il ricorrente si limita a proporre una diversa lettura della memoria difensiva del 21.11.2006 e delle dichiarazioni del procuratore rese all’udienza del 2.5.2007, contestando le conclusioni cui è giunto il giudice distrettuale, senza neanche indicare il canone di interpretazione degli atti e degli scritti processuali asseritamente violato.

Con il secondo motivo il ricorrente principale nel lamentare sempre un vizio di motivazione, censura l’accertamento effettuato dalla corte di merito al fine della decorrenza del termine di prescrizione del diritto di credito de quo individuato nella data dell’ultima decisione resa nelle cause seguite per la B. dall’avv. T., ossia luglio 2000, ai sensi dell’art. 2957 c.c.

Anche detta censura non può trovare ingresso.

Ai fini della decorrenza della prescrizione del diritto dell’avvocato al compenso ai sensi dell’art. 2957 secondo comma c.c., l’ultima prestazione” dalla quale va calcolato il termine triennale stabilito dall’art. 2956 c.c., va individuata con riferimento all’espletamento dell’incarico conferito dal cliente. Poiché il detto incarico si fonda sul contratto di patrocinio, che è regolato dalle norme del mandato di diritto sostanziale, e non sul rilascio della procura ad litem, il cui fine è soltanto quello di consentire la rappresentanza processuale della parte (ex plurimis; Cass. n. 8388 del 1997), il termine di prescrizione inizia a decorrere dall’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico, che, nel caso di prestazioni rese in due gradi di giudizio, coincide con la pubblicazione della sentenza d’appello (v. ex plurimis. Cass. n. 12326 del 2001). Bene ha fatto, quindi, la Corte territoriale a individuare nella pubblicazione della sentenza definitiva non impugnabile che aveva posto fine alla lite, in data 15.10.2001 – nel caso di specie, passata in giudicato la sentenza della Corte d’appello di Trento – il dies a quo per l’inizio del termine di prescrizione.

Del resto il ricorrente ha richiesto il pagamento delle prestazioni di cui ai giudizi instaurati e sulla base di detto assunto i giudici hanno determinato il termine di decorrenza della prescrizione presuntiva. Non viene in rilievo “la mancata revoca del mandato”, giacché ai sensi dell’art. 2957, comma 2, c.c. e prima ancora dell’art. 83, ult. comma, c.p.c. il rapporto di mandato si conclude con la decisione della controversia per la quale era stato conferito.

Né vi è prova che la B. avesse conferito un ulteriore mandato per seguire il fallimento della società R., che comunque avrebbe riguardato un rapporto diverso, né che alla predetta fosse stata inviata la nota del 28.2.2003, giacché anche a volere ritenere l’inoltro a mezzo posta ordinaria, con conseguente presunzione della ricezione dell’atto ai sensi dell’art. 1335 c.c., sta di fatto che destinatario della nota predetta risulta essere non giù la B , ma l’Avv.to E. esclusa argomentatamente la sussistenza della solidarietà passiva fra i predetti.

Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 236 c.p.c., nonché per vizio di motivazione, per non avere la corte di merito disposto il giuramento decisorio deferito alla B., pur ritenendolo ammissibile. Prosegue il ricorrente riportando il tenore della formula articolata nel deferire il giuramento alla controparte. A conclusione del mezzo viene posto il seguente quesito di diritto: “il giuramento decisorio deferito dal creditore ai sensi dell’art 2960 c.c. è ammissibile in presenza della formulazione di un articolo con cui venga richiesto al debitore di giurare e giurando affermare di avere pagato gli importi di credito azionato, con l’aggiunta di aspetti puramente formali, eventualmente non dedotti dal debitore, quali le modalità dell’asserito pagamento, a fronte della facoltà di cui all’’art. 236 c.p.c. che attribuisce al giudice il potere di modificare la formula al fine di rendere più chiaro il contenuto del giuramento. L’attività di circoscrizione del quesito formulato, con l’eliminazione di elementi aggiuntivi e specificazioni non necessarie ai fini della decisorietà del quesito stesso, costituisce attività di modifica consentita ai sensi dell’art. 236 c.p.c.”.

Il motivo è infondato in relazione ad entrambi i profili in cui è articolato. Accertato, con statuizione non soggetta a censura, che il giuramento decisorio deferito alla B. verteva su fatti quali la specificazione degli importi pagati, il modo di pagamento, l’indicazione delle date, non propri del soggetto che doveva prestarlo, né caduti sotto l’esperienza diretta dei suoi sensi o della sua intelligenza, non avendone fatto menzione nelle difese, correttamente la Corte distrettuale ha escluso l’ammissibilità del giuramento deferito nella forma “de veritate”.

Sotto tal profilo la decisione dei Giudici di merito deve ritenersi sostanzialmente corretta, anche se non adeguatamente spiegata, considerato che dall’articolazione del mezzo istruttorio, testualmente riportata nel motivo di ricorso, oltre che nella stessa decisione, risulta agevole rilevare come il giuramento, che si sarebbe voluto deferire alla controparte, così come formulato, difetti del requisito della decisorietà, non potendosi considerare de veritate, in quanto non riguardante fatti di cui il soggetto chiamato a prestarlo sia stato autore o partecipe, né de scientia, non contenendo la specificazione che il fatto altrui sia stato, in qualche modo, inequivocamente appreso o constatato dal prestatore (al riguardo, v., tra le altre, Cass. n. 5789 del 1998; Cass. n. 4365 del 1995; Cass. n. 11491 del 1992), di talché la solenne affermazione o negazione finirebbe con l’esprimere una mera valutazione personale.

Riguardo al secondo profilo della censura, la statuizione del giudice del gravame di non poter procedere di ufficio alta modifica del giuramento deferito nella forma “de veritate”, è conforme all’orientamento elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato che potendo soltanto la parte disporre di questo mezzo di prova, le modificazioni sostanziali della formula del giuramento decisorio, quale appunto quella in questione, possono essere apportate soltanto dalla parte personalmente o da un suo procuratore munito di mandato speciale (Cass, 13 febbraio 1980 n. 1033; Cass. 14 gennaio 1980 n. 339; Cass. 17 gennaio 1979 n. 344), E non vi sono ragioni valide per discostarsi da tale orientamento, né il ricorrente ne prospetta, limitandosi ad insistere sulla facoltà del giudice di merito di modificare la formula.

Con il quarto motivo il ricorrente principale lamenta che – una volta accertato lo stato di salute della B. – ha deferito giuramento decisorio de scentia o de relato ai sensi dell’art. 2736 e ss c.c., in particolare dell’art. 2739, ultimo comma, c.c., all’E. nella duplice veste di difensore e figlio della B., in merito alla conoscenza da parte sua dell’avvenuto pagamento del credito azionato nei confronti della madre, giuramento sempre ammissibile anche in appello, richiesta sulla quale la corte di merito aveva omesso ogni pronuncia.

Il motivo è inammissibile, risultando la questione posta superata dalla pronuncia di inammissibilità della formula adoperata già nei confronti della B , di cui si è detto al terzo mezzo.

Con il quinto motivo il ricorrente principale deduce vizio di motivazione circa l’accertata mancanza di prova dell’esistenza di un incarico conferito al T. dall’E. nell’interesse della B. pur essendovi in atti numerose procure rilasciato dalla B. in favore dell’E. e del T.

Anche detta censura va disattesa.

Infatti la corte di merito ha chiarito che la prova testimoniale Indicata in citazione era stata ritenuta generica per il mancato riferimento al periodo di conferimento dell’incarico, stante l’iniziale affidamento all’Avv.to T., da parte dell’Avv.to M., e comunque in contrasto con il contenuto della richiesta del 28.2.2003, nella quale non si faceva riferimento alle attività procuratorie, riconducibili all’art. 30 del Codice deontologico. Di converso la prova testimoniale di cui alla seconda memoria ex art. 183 c.p.c. rifletteva un rapporto obbligatorio, per mandato o per accollo, non dedotto in citazione.

La nota distinzione tra rapporto endoprocessuale nascente dalla procura ad litem e rapporto di patrocinio, in virtù della quale si è ritenuto possibile nella giurisprudenza di questa Corte individuare come cliente, e cioè obbligato al pagamento del compenso nei confronti dell’avvocato, un soggetto diverso da colui che ha rilasciato la procura, non esclude infatti la necessità di provare il conferimento dell’incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto, presumere che il cliente è colui che ha rilasciato la procura.

A tali principi si è attenuta la sentenza impugnata, correttamente affermando che il B., indipendentemente dai profili deontologici attinenti al rapporto con il collega E. che non rilevavano ai fini di causa, poteva far valere la sua pretesa creditoria direttamente verso la B.

La critica mossa dal ricorrente, risolvendosi in una contestazione apodittica della decisione di cui non coglie la ratio su cui si fonda, è, quindi inammissibile.

Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219 e 1335 c.c., nonché vizio di motivazione, per non avere la corte di merito ritenuta provata l’avvenuta interruzione della prescrizione nonostante i numerosi atti interruttivi inviati (da ultimo le raccomandate del 17.3 e 14.4.2006), quanto meno nei confronti del coobligato in via solidale, avv. E. A corollario del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: “l’atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore, anche al fine dell’interruzione della prestazione, inviato al debitore con raccomandata a mezzo del servizio postale si presume giunto a destinazione sulla base dell’attestazione della spedizione da parte dell’ufficio postale, pur in mancanza dell’avviso di ricevimento, in considerazione dei doveri che la raccomandata impone al servizio postale in ordine al suo inoltro e alla sua consegna, con la conseguenza che non è sufficiente per il destinatario negare di avere ricevuto detta raccomandata per superare la suddetta presunzione”.

Pure infondato è l’ultimo motivo.

È jus receptum che costituisce atto idoneo ad interrompere la prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 c.c., u.c., l’inoltro della richiesta di adempimento per lettera raccomandata, la cui spedizione è provata dalla relativa ricevuta e i cui particolari doveri di consegna a carico del servizio postale ne fanno presumere l’arrivo al debitore, pur in assenza della ricevuta di ritorno, sicché solo a seguito di contestazione del destinatario sorge l’onere per il mittente di provare il ricevimento (ex plurimis Cass. 6 agosto 1996 n. 7181, Cass. 5 ottobre 1998 n, 9861, Cass. 3 luglio 2003 n. 10536).

Orbene la decisione del Giudice d’appello di esclusione della presunzione, di cui all’art 1335 c.c., di ricezione della lettera da parte della B., per quanto sopra già esposto, discende dalla considerazione del non essere la stessa la destinataria della missiva, mentre per I E l’esclusione si incentra sul difetto di legittimazione passiva.

Trattandosi di circostanze oggettive, innegabilmente contrastanti con l’assunto del ricorrente, la soluzione adottata non può che essere ritenuta corretta.

Venendo all’esame dei ricorsi incidentali – che sono parzialmente sovrapponibili nelle difese e nelle censure, con i quali entrambi i ricorrenti incidentali lamentano: la violazione degli artt. 74 e 87 delle disp. att. c.p.c. in relazione agli artt. 169 e 183 c.p.c., nonché dell’art. 24 e 111 Cost., denunciando gravi irregolarità del ricorrente principale nel deposito dei documenti (primo motivo); violazione degli artt. 112,183, 345 c.p.c., 2956 e 2959 c.c. assumendo la assoluta novità introdotta in gradi di appello dal T relativamente alla mancata contestazione del credito da parte della B. nel giudizio di primo grado, per cui il giudice del gravame avrebbe dovuto ritenere l’inammissibilità del motivo e non già esaminarlo nel merito (secondo motivo); violazione dell’art 342 c.p.c. per assoluta genericità dei motivi di appello della presunta contestazione del credito da parte della debitrice (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 184 e 187 c.p.c. perché nonostante il T avesse rinunciato in primo grado alla richiesta di deferimento di giuramento decisorio, avrebbe dovuto ritenersi inammissibile la richiesta poi avanzata in grado di appello, per cui la corte di merito non avrebbe dovuto esaminare nel merito l’istanza (quarto motivo); nonché violazione degli artt. 112, 163, 164 e 183 c.p.c. per tardiva introduzione della richiesta da parte del T. dei compensi ai sensi dell’art 30 codice deontologico forense non rilevata di ufficio (secondo motivo del ricorso incidentale proposto dall’’E.) – risultando proposti in via condizionata, rimangono assorbiti dal rigetto del ricorso principale. In merito alla regolamentazione delle spese del presente giudizio, si ritiene che vada comunque seguito il criterio della soccombenza e vengono liquidati come in dispositivo, con valutazione unitaria per entrambi i resistenti, stante la sostanziale coincidenza delle difese, computata tenendo conto dell’aumento di cui all’art. 5 della legge professionale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, assorbiti i ricorsi incidentali condizionati; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida – per entrambi i controricorrenti – in complessivi € 2.000,00, di cui € 200.00 per esborsi, oltre a spese forfettarie ed accessori, come per legge.


Tesseramento anno 2016

La Giunta Esecuiva  nella riunione del 13.06.2015 ha approvato le quote di iscrizione all’Associazione per l’anno 2016

Le tipologie delle quote di adesione all’Associazione A.N.N.A. per l’anno 2016 sono:

Tipo A – Messi Comunali: € 65,00

Tipo B – Messi del Giudice di Pace e di Conciliazione: € 65,00

Tipo C – Ufficiali Giudiziari: € 65,00

Tipo D – Messi Provinciali: € 65,00

Tipo E – Messi Notificatori di cui alla legge 296/2006 (Legge Finanziaria del 2007)  € 65,00

Tipo F – Addetti di Polizia Municipale: € 65,00

Tipo G – Avvocati: € 150,00

Tipo H – Ex Messi Comunali non più in attività: € 35,00 (con esclusione della copertura assicurativa)

Tipo I – Comuni fino a 10.000 abitanti: € 130,00

Tipo L – Comuni con popolazione da 10.001 a 100.000 abitanti: € 180,00

Tipo M – Comuni con popolazione oltre i 100.001 abitanti: € 250,00

Tipo N – Altri Enti (Consorzi di servizi, Unioni, ecc.): € 300,00

Tipo O – Soggetti privati ai sensi dell’art. 8 dello Statuto dell’Associazione: € 250,00

Tipo P – Dirigenti pubblici: € 70,00

L’iscrizione delle tipologie A, B, C, D, E, F, G, P comprendono la copertura assicurativa oltre alle agevolazioni previste dalle convenzioni che l’Associazione ha già stipulato e che effettuerà.

La Giunta Esecutiva dell’Associazione nella seduta del 21 giugno 2014 ha deliberato, tra l’altro, il rinnovo delle opportunità, riconfermate in data 13.06.2015, al fine di favorire l’adesione dei Comuni o delle loro forme Associate (Unioni, Consorzi, etc …) che rinnovano l’iscrizione all’Associazione.

Tutti gli Enti che, già soci nell’anno precedente, rinnoveranno l’adesione ad A.N.N.A. entro il 28 febbraio dell’anno 2016, avranno diritto a:

  • Iscrizione gratuita ad A.N.N.A. di un proprio dipendente (preferibilmente che svolga le mansioni di Messo Comunale);
  • Sconto del 15% sul costo dell’iscrizione dei propri dipendenti, fino ad un massimo di 10, ai corsi di formazione organizzati da A.N.N.A.. Tale sconto si applica a tutte le quote di partecipazione ai corsi di formazione organizzati dall’Associazione A.N.N.A.. Lo sconto non si applica qualora siano presenti altre promozioni.

Scarica il Modulo adesione Messo Comunale 2016

Scarica il Modulo adesione Dirigente 2016

Scarica il Modulo adesione Ente 2016


Riscossione delle entrate dei Comuni: proroga ad Equitalia

Nella Gazzetta ufficiale 20 giugno 2015, è stato pubblicato il D.L. 19 giugno 2015, n. 78 (decreto Enti locali). Tra le disposizioni dettate dal D.L. Enti locali n. 78/2015, l’art 7 prevede l’estensione anche alla TARES della facoltà di affidamento dei controlli al soggetto gestore del servizio rifiuti e la proroga al 31 dicembre 2015 del termine sulla riscossione, in attesa del riordino del sistema della riscossione locale, previsto dalla legge delega fiscale n. 23/2014. In particolare viene differito al 31 dicembre 2015 il termine entro cui Equitalia, le società dalla stessa partecipate e Riscossione Sicilia S.p.a. cessano di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei Comuni e delle società da essi partecipate.

DL 19/06/2015, n. 78

Art. 7. Ulteriori disposizioni concernenti gli Enti locali

7. Al comma 2-ter dell’articolo 10 del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e successive modificazioni, le parole: “30 giugno 2015” sono sostituite dalle seguenti: “31 dicembre 2015”.

DL 08/04/2013, n. 35

Capo III

Ulteriori misure in materia di equilibrio finanziario degli enti territoriali

Art. 10 Modifiche al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e disposizioni in materia di versamento di tributi locali

….

2-ter. Al fine di favorire il compiuto, ordinato ed efficace riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, anche mediante istituzione di un Consorzio, che si avvale delle società del Gruppo Equitalia per le attività di supporto all’esercizio delle funzioni relative alla riscossione, i termini di cui all’articolo 7, comma 2, lettera gg-ter), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e all’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, sono stabiliti inderogabilmente al 31 dicembre 2015.