Giro di vite contro i ritardi nella pubblica amministrazione

La Corte di Cassazione ha detto stop ai ritardi nella pubblica amministrazione e invita i dipendenti pubblici a rispondere subito ai cittadini. Lecita dunque la condanna di chi con il proprio silenzio o con risposte date in ritardo non evade le richieste dei cittadini.

La Corte, in particolare, ha convalidato una condanna per omissione di atti d’ufficio inflitta ad un ingegnere addetto ai servizi tecnici comunali che non aveva dato risposta a una formale richiesta di una cittadina. La donna che era stato oggetto di un provvedimento di espropriazione aveva chiesto al tecnico di prendere visione di un atto con cui la Regione aveva ceduto al Comune aree destinate alla realizzazione di un parcheggio. Nonostante la richiesta formale il tecnico non aveva mai dato una risposta esauriente e il caso finiva in Tribunale con conseguente condanna dell’Ingegnere per omissione di atti d’ufficio. La condanna è stata ora confermata dai giudici della Sesta Sezione Penale della Corte (sentenza 14466/2009) che hanno ritenuto sussistere la fattispecie prevista e punita dall’art. 328 c.p. ossia l’omissione di atti di ufficio. Rischia dunque una condanna penale il dipendente della Pubblica amministrazione che temporeggia davanti alle richieste di un cittadino oppure che resta in silenzio. Nelle motivazioni della sentenza la Corte di Cassazione spiega che ”Resta ingiustificato il silenzio omissivo del pubblico ufficiale perché, nell’economia del delitto di cui all’art. 328 c.p., una volta individuato l’interesse qualificato alla conoscenza da parte del richiedente, anche la risposta negativa dell’ufficio adito, in termini di indisponibilità, oppure di parziale disponibilità della documentazione richiesta, fa parte del contenuto dell’atto dovuto al cittadino, il quale, sull’informazione negativa, può organizzare la sua strategia di tutela, oppure rinunciare in modo definitivo ad ogni diversa sua pretesa”. La severità della norma, spiega la Corte, è ”posta a tutela del privato ed è strutturata in modo da impedire sacche di indebita inerzia nel compimento di atti dovuti”. Già la Corte d’appello aveva confermato la condanna di primo grado ed è risultato inutile il ricorso in Cassazione giacché gli Ermellini hanno avvertito che ”il silenzio omissivo del pubblico ufficiale” o gli eventuali ritardi nelle risposte al cittadino saranno puniti severamente.


Assemblea Generale: eletti i nuovi Organi dell’Associazione

L’Assemblea Generale dell’Associazione, riunitasi oggi ad Ancona ha eletto i nuovi Organi, tra i quali ha riconfermato per acclamazione alla guida dell’Associazione Tacchini Pietro quale Presidente Nazionale e Baldoni Margherita quale vice Presidente Nazionale .


Lavoro pubblico: il via della riforma con la consultazione telematica

Il Ministro della Pubblica Amministrazione e Innovazione, di concerto con il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, hanno avviato una consultazione pubblica telematica, in vista della definizione dei decreti attuativi previsti dalla legge di riforma del lavoro pubblico. In particolare, la consultazione è stata avviata con lo scopo di raccogliere i contributi di circa 2900 operatori della PA e di circa 70 esperti selezionati sulle opzioni di attuazione della legge delega di riforma del lavoro pubblico.
E’ stato quindi chiarito che il provvedimento (che fa parte della riforma della PA approvata dal Consiglio dei Ministri il 18.6.08 ed è legge dal 25.2.09) ha lo scopo di convergere gli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali, di migliorare l’efficienza e l’efficacia delle procedure della contrattazione collettiva, di introdurre sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strutture amministrative, finalizzati ad assicurare l’offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità, di valorizzare il merito e il conseguente riconoscimento di meccanismi premiali, di definire un sistema più rigoroso di responsabilità dei dipendenti pubblici, di introdurre strumenti che assicurino una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali su base territoriale, di valorizzare il requisito della residenza dei partecipanti ai concorsi pubblici, qualora ciò sia strumentale al migliore svolgimento del servizio. Inoltre, i vincitori delle procedure di progressione verticale dovranno permanere per almeno 5 anni nella sede della prima destinazione e sarà considerato titolo preferenziale la permanenza nelle sedi carenti di organico.


La mancata notifica del ricorso al controinteressato per colpa dell’ufficiale giudiziario costituisce errore scusabile

Sussiste errore scusabile, tale da consentire di sanare un eventuale difetto nella presentazione (rectius, notificazione) del ricorso, nell’ipotesi in cui esso non sia stato ritualmente notificato per mancata osservanza, da parte dell’ufficiale giudiziario addetto, delle norme del codice di procedura civile in materia di notificazione degli atti giudiziari.

E’ questa la conclusione cui è giunto il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 430 del 05/02/08, che ha annullato la sentenza n. 3493/2007 emessa dal T.A.R. Veneto (in ordine ad una questione inerente l’annullamento di un permesso di costruire), con rinvio allo stesso Tribunale per la definizione del ricorso. Nello specifico, l’ufficiale giudiziario, “pur essendosi recato presso la sede della ditta controinteressata (nel domicilio anche indicato nella originaria domanda di permesso di costruire), ha avuto notizia del trasferimento di essa, senza porre in essere le ulteriori attività necessarie per il perfezionamento della notifica”. In tal modo, ha ingenerato nella ricorrente (ma, a quanto pare, anche nel Giudici di I°, che non ha disposto il rinnovo della notifica) la convinzione che il ricorso fosse stato ” appunto ” ritualmente notificato alla ditta controinteressata, proponente l’appello de quo (la quale, ovviamente, non si era costituita in prime cure).

La pronuncia in epigrafe ha, comunque, fatti salvi gli effetti della domanda, dichiarando l’annullamento della sentenza emessa dal T.A.R. a seguito del mancato rispetto del principio del contraddittorio (per non essere, comunque, il ricorso introduttivo ricevuto dalla controinteressata, la quale non ha preso parte al giudizio di I°), e disponendo il rinvio al T.A.R. emittente per la decisione nel merito del ricorso. La mancata notifica a carico del ricorrente non è stata sottoposta a censura di annullamento sic et simpliciter della sentenza gravata (pure dovuto in caso di mancata integrazione del contraddittorio), in sono stati ritenuti sussistenti “i presupposti per applicare il beneficio dell’errore scusabile”, con conseguente possibilità di sanatoria del vizio dedotto. In particolare, questi sarebbero costituiti dalla tempestiva consegna all’ufficiale giudiziario del ricorso (che alla luce del noto orientamento giurisprudenziale è ritenuto adempimento sufficiente ai fini della tempestività delle notificazione stessa da parte del richiedente), in uno con la mancata osservanza, da parte dei quest’ultimo, degli incombenti posti dalla legge, nonché con la corretta indicazione della destinazione di notifica dell’atto stesso. I Giudici di Palazzo Spada tornano, così, sul dibattuto tema dell’errore scusabile, a breve distanza da un’altra, interessante pronuncia (T.A.R. Lazio, Sez. III-quater, n. 900 del 16/01/08), con la quale era stata sanata la tardività della notificazione del ricorso, a seguito dell’erronea indicazione del termine ad opponendum contenuta nel provvedimento amministrativo impugnato.

Nella predetta pronuncia, il Tribunale ha avuto occasione di ribadire come l’istituto dell’errore scusabile sia da ritenere come finalizzato “a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, e si fonda su circostanze oggettive (quali comportamento fuorviante dell’amministrazione, complessità della fattispecie, difficoltà di qualificazione dell’atto da impugnare e i suoi effetti, ecc.) che abbiano potuto ingenerare l’errore incolpevole dell’interessato” (così, T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 06/11/06, n. 3501, cit.).


Notifica al professionista? Invalida se fatta al suo studio

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 21778/2008) ha stabilito che non è valida la notifica degli atti processuali che vengono fatte al professionista nel suo studio. Ciò a meno che il professionista non abbia eletto nel suo studio il domicilio. Più in particolare, la Corte ha precisato che “l’art. 141 cod. proc. civ., che regola la notificazione presso il domiciliatario, va coordinato con l’art. 147 cod. civ., secondo cui il domicilio eletto rappresenta una deroga al domicilio legale, atteso che la norma prevede che la dichiarazione di elezione di domicilio deve riguardare determinati atti o affari ed essere espressa per iscritto in modo inequivoco”.
Nel caso di specie, “pertanto – prosegue la Corte -, non può ritenersi che la notificazione sia stata effettuata a quello che la resistente ha erroneamente considerato il domicilio eletto con riferimento al rapporto contrattuale intercorso fra le parti, atteso che sarebbe stata al riguardo necessaria una specifica dichiarazione del […] secondo le forme di cui sopra si è detto”.
Infine, ha aggiunto la Corte, “indipendentemente dalle modalità e dalla qualità della persona che ebbe a ricevere l’atto, la notificazione effettuata direttamente allo studio del professionista, cioè in uno dei luoghi indicati in ordine successivo dall’art. 139 cod. proc. civ., anziché alla residente (non coincidente con il primo), è da ritenere affetta da nullità ma non è certo inesistente, atteso che:

a) è inesistente la notificazione fatta a soggetto o in luogo totalmente estraneo al destinatario, mentre è nulla e suscettibile di sanatoria quella effettuata in luogo a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano un qualche riferimento con il destinatario dell’atto;

b) poiché l’ordine dei luoghi indicati dall’art. 139 cod. proc. civ. primo e sesto comma cod. proc. civ. per la notifica e se non possibile in mani proprie, ai sensi dell’art. 138 cod. proc. civ. in successione preferenziale, soltanto se la residenza e il domicilio del destinatario sono nello stesso luogo la notifica può effettuarsi alternativamente nell’una o nell’altro; se invece i rispettivi luoghi sono diversi, la notifica nel domicilio è nulla, se la residenza non è ignota;

c) costituisce onere del notificante compiere le ricerche anagrafiche necessarie per accertare la residenza effettiva del destinatario dell’atto da notificare”.


Il Fisco è responsabile per accertamenti inutili

Danni al contribuente se il fisco sbaglia.
Infatti il cittadino ha diritto di impugnare un accertamento a lui notificato anche se l’ufficio ha sbagliato e quindi, di fatto, quell’atto non può avere nessuna conseguenza. Nelle sedi opportune (davanti all’Ago) potrebbe chiedere i danni subiti per aver consultato un professionista circa gli effetti “dell’atto” definito poi innocuo dall’amministrazione finanziaria.

La buona notizia per i cittadini arriva dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 4622 del 26 febbraio 2009, ha accolto il ricorso di un contribuente.
In definitiva l’ufficio delle imposte – si legge nelle motivazioni – non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo tanto non accade nulla. Ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso emittente c’è da chiedersi perché sia stato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno che può comunque produrre nella sfera giuridica del destinatario, a prescindere dalle intenzioni dell’emittente (in un caso come quello in esame, ad esempio, è evidente che il destinatario degli atti ha la necessità di rivolgersi ad un professionista per verificare se e quali effetti possa produrre un atto definito innocuo, dalla controparte, anche se poi in ipotesi l’atto si riveli effettivamente innocuo, contrariamente a quanto avvenuto nella specie).


Incentivo alla progettazione: art. 92 com. 5 del DLGS 163/2006

La Corte dei Conti Lombardia con delibera n. 40/2009/PAR “Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Cologno al Serio(BG) chiede il parere in ordine alla corresponsione degli incentivi per la progettazione ai sensi dell’art. 92, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, Codice degli appalti pubblici” ha chiarito che il divieto di retroattività  della legge costituisce un principio generale dell’ordinamento e la giurisprudenza costituzionale ha ribadito che il dato normativo precettivo della retroattività deve essere esplicitato dalla norma che lo introduce.
La Corte dei Conti smentisce perciò quanto stabilito dalla Circolare 36 del 23 dicembre 2008 dove si stabiliva che la nuova percentuale dello 0,5 doveva essere applicata con un criterio “di cassa” e cioè a tutta l’attività progettuale non ancora remunerata alla data del 31 dicembre 2008.
Dunque in assenza di disposizioni a carattere retroattivo ogni dipendente matura il diritto al pagamento dei corrispettivi previsti dalla norma al momento in cui le prestazioni sono state svolte.


Garante Privacy: provvedimento dati biometrici vietati per la rilevazione dell’orario di lavoro

A testimonianza dell’importanza e del sempre più frequente utilizzo delle tecnologie biometriche nella vita delle aziende, il Garante della privacy è stato chiamato a pronunciarsi sulla liceità del trattamento effettuato da una società  che ha installato un sistema di rilevazione di dati biometrici dei dipendenti basato sull’impiego delle loro impronte digitali, “finalizzato esclusivamente alla rilevazione delle presenze del personale sul luogo di lavoro al fine di commisurare la retribuzione ordinaria e straordinaria da corrispondere”.

Facendo riferimento alle proprie “Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro privati”, il Garante della privacy ha vietato alla società di proseguire il trattamento, rilevando che

– nel caso di specie non risultano “comprovate esigenze idonee a giustificare il ricorso all’utilizzo di dati biometrici nel contesto lavorativo aziendale in relazione all’accesso ad “aree sensibili”, avuto riguardo alla natura delle attività ivi svolte (cfr. punto 4 delle citate “Linee guida”)

– la società ha informato le organizzazioni sindacali aziendali sull’installazione del sistema e sul correlato trattamento di dati, senza che dagli elementi acquisiti in atti risulti tuttavia raggiunto l’accordo previsto dall’art. 4, secondo comma, della legge n. 300 del 1970 o comunque rilasciata la necessaria autorizzazione da parte della competente articolazione periferica del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.


Autovelox ben visibili, altrimenti è truffa

Non tutte le multe dell’autovelox sono “corrette”. Se per esempio l’apparecchio di rilevazione non è segnalato agli automobilisti “con adeguato anticipo e in modo da garantirne il tempestivo avvistamento” – almeno 400 metri tra postazione di controllo e cartello di avviso, secondo le direttive del ministero dell’Interno – chi ha piazzato lo strumento mostra di tradire lo spirito della normativa in materia, che è quello di “prevenire incidenti più che reprimere”. Se poi gli autovelox sono affidati in gestione a un privato che arriva a nascondere gli apparecchi all’interno di macchine in sosta pur di incrementare le riscossioni il rischio, per lui, è quello di una condanna per reato di truffa agli automobilisti.

Questa la conclusione che si trae dalla sentenza 11131/2009 della seconda sezione penale della Cassazione che ha confermato il sequestro preventivo nei confronti di un’impresa titolare della concessione per il noleggio delle apparecchiature autovelox in tre Comuni calabresi. L’impresa attraverso apparecchiature autovelox ben occultate all’interno di autovetture, aveva sommerso di multe agli automobilisti della zona tratti in inganno dagli apparecchi nascosti.

Nel respingere la richiesta di dissequestro degli autovelox invocato dal titolare della Speed Control, i giudici hanno confermato “la sussistenza del fumus del reato di truffa” dovuto al fatto che l’articolo 142 del Codice della strada “prevede che le postazioni di controllo debbano essere segnalate e ben visibili”.

Altrettanto ribadisce la circolare del ministero dell’Interno 3 agosto 2007 che dà anche le misure della segnalazione: 400 metri prima del punto in cui la “macchinetta” è piazzata. Niente del genere era invece avvenuto nel territorio dei tre Comuni interessati (Fiumefreddo Bruzio, Belmonte Calabro e Longobardi): nessuna segnalazione preventiva delle postazioni autovelox, che venivano invece abilmente nascoste alla vista dal concessionario degli strumenti il quale, “ricevendo un compenso parametrato su ogni verbale di infrazione per il quale era riscossa la relativa sanzione, era interessato a incrementare le riscossioni”.


Cass. pen. Sez. II, (ud. 12-12-2008) 13-03-2009, n. 11131

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Giuseppe Maria – Presidente

Dott. FIANDANESE Franco – Consigliere

Dott. PRESTIPINO Antonio – Consigliere

Dott. CAMMINO Matilde – Consigliere

Dott. RENZO Michele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.F.E. n. (OMISSIS);

avverso l’ordinanza emessa in data 7 maggio 2008 dal Tribunale di Cosenza;

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Matilde Cammino;

udita la requisitoria del Pubblico Ministero, Sost. Proc. Gen. Dott. STABILE Carmine, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

sentito il difensore avv. COSCARELLA Giovanni del foro di Cosenza che rinuncia al ricorso nella parte riflettente il sequestro delle autovetture perchè dissequestrate e per la restante parte chiede l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
OSSERVA

L.F.E., legale rappresentante della Spees Control, ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 7 maggio 2008 del Tribunale di Cosenza con la quale era stata rigettata la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso in data 10 aprile 2008 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola e avente ad oggetto sette autovetture e tutti gli apparecchi di rilevamento della velocità (autovelox) di proprietà dell’impresa individuale Speed Control, beni utilizzati per l’attività di rilevazione della velocità dei veicoli in transito nei comuni di (OMISSIS).

Detta attività, secondo la tesi accusatoria, era intenzionalmente preordinata a trarre in inganno gli automobilisti, in contrasto con lo spirito della normativa in materia diretta a prevenire incidenti più che a reprimere.

Secondo il Tribunale, l’attuale formulazione dell’art. 142 C.d.S. (modif., dal D.L. 3 agosto 2007, n. 117, conv. dalla L. n. 160 del 2007) prevede che le postazioni di controllo debbano essere segnalate e ben visibili. Anche la circolare 3 agosto 2007 del ministero dell’Interno prescrive la segnalazione almeno 400 metri prima del punto in cui l’apparecchio di rilevamento della velocità era collocato. Il D.M. 15 agosto 2007 e la Circolare Ministeriale 8 ottobre 2007 ribadivano l’esigenza di segnalare le postazioni di controllo con adeguato anticipo e in modo da garantirne il tempestivo avvistamento. Dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria risultava invece che, nei tre comuni calabresi per i quali la Speed Control era titolare della concessione per il noleggio delle apparecchiature autovelox, le apparecchiature in questione erano state ben occultate in autovetture spesso di proprietà del titolare il quale, ricevendo un compenso parametrato su ogni verbale di infrazione per il quale era riscossa la relativa sanzione, era interessato ad incrementare le riscossioni. Veniva pertanto ritenuto sussistente il reato di truffa, mentre il periculum in mora era individuato nei prevedibili ulteriori esborsi illegittimi da parte degli automobilisti sulla base di un rilevamento automatico della velocità così organizzato.

Con il ricorso presentato dal L. tramite il suo difensore si deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonchè la totale mancanza di motivazione in ordine al fumus commissi delicti, affermato nell’ordinanza impugnata senza tener conto delle risultanze processuali e della documentazione prodotta dalla difesa e omettendo qualunque indagine sull’elemento psicologico del reato ipotizzato.

Il ricorso è inammissibile.

In relazione al sequestro delle autovetture, restituite con provvedimento del 29 giugno 2008, il difensore all’odierna udienza ha formalmente rinunciato al ricorso così manifestando il venir meno dell’interesse da parte del ricorrente. Le deduzioni difensive comunque nel loro complesso sono generiche e manifestamente infondate.

Va infatti premesso che – secondo quanto affermato più volte da questa Corte, anche a Sezioni Unite (Cass. Sez. Un. 29 maggio 2008 n. 25932, Ivanov; 28 gennaio 2004 n. 5876, p.c. Ferrazzi in proc. Bevilacqua; 28 maggio 2003 n. 25080, Pellegrino) – il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324 c.p.p. in materia di sequestro preventivo e di sequestro probatorio (in quest’ultimo caso per effetto del rinvio operato dall’art. 257 c.p.p. all’art. 324 c.p.p.) può essere proposto esclusivamente per il vizio di violazione di legge, comprendente sia l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e c) sia il difetto di motivazione che si traduca, a sua volta, in una violazione della legge processuale (art. 125 c.p.p., comma 3) perché l’apparato argomentativo manchi completamente o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di ragionevolezza che consentano di rendere comprensibile l’iter logico posto a fondamento del provvedimento impugnato (motivazione meramente apparente).

Il ricorrente nel caso di specie si duole dell’omessa valutazione da parte del giudice di merito delle censure articolate con la richiesta di riesame e della documentazione difensiva, senza tuttavia indicarne specificamente, sia pure in modo sommario, il contenuto, al fine di consentire l’individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità. Il ricorso sotto questo profilo è inammissibile in quanto, non autosufficiente, essendo privo della precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica. Requisito indispensabile dei motivi di impugnazione è infatti la specificità, consistente nella precisa e determinata indicazione dei punti di fatto e delle questioni di diritto da sottoporre al giudice del gravame (Cass. sez. 6, 19 dicembre 2006 n. 21858, Tagliente, sez. 5, 9 dicembre 1998 n. 2896, La Mantia; Sez. unite 11 novembre 1994 n. 21).

Alla Corte è peraltro preclusa in tema di sequestro preventivo una valutazione che possa risolversi in un’anticipata decisione della questione di merito e quindi una verifica in concreto della fondatezza della tesi accusatoria. Il sindacato sulle condizioni di legittimità della misura cautelare reale si realizza infatti attraverso una delibazione sommaria della congruità degli elementi rappresentati in cui, senza prescindere dalle concrete risultanze processuali e dalle contestazioni difensive (Cass. sez. 4, 29 gennaio 2007 n. 10979, Veronese; sez. 1, 19 dicembre 2003 n. 1885, Cantoni;

sez. 2, 21 ottobre 2003 n. 47402, Di Gioia; sez. 3, 11 giugno 2002 n. 36538, Pianelli; sez. 6, 3 marzo 1998 n. 731, Campo; Sez. Un. 20 novembre 1996 n. 23, Bassi), possono rilevare eventuali difformità tra fattispecie legale e fattispecie reale solo se ravvisabili ictu oculi.

Entro questi limiti la Corte ritiene che nell’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame – contrariamente a quanto affermato nel ricorso – sia pervenuto ad affermare la sussistenza del fumus del reato di truffa attraverso un percorso argomentativo immune da vizi logici e giuridici, all’esito di un’approfondita analisi della normativa in materia di rilevamento della velocità dei veicoli attraverso postazioni di controllo sulla rete stradale e di un circostanziato esame dei concreti risultati delle indagini di polizia giudiziaria, senza peraltro trascurare le argomentazioni della difesa del L. e la documentazione dalla stessa prodotta (come si desume dalla menzione della fotografia prodotta dalla difesa e riguardante la segnalazione della postazione mobile di rilevamento della velocità nel Comune di (OMISSIS)).

Quanto all’elemento psicologico del reato di truffa, la Corte osserva che il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall’accertamento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’agente o della sussistenza dell’elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all’adozione della misura cautelare reale (Cass. sez. 14 aprile 2006 n. 15298, Bonura; sez. 1, 9 luglio 1999 n. 2762, Faustini; sez. 3, 5 maggio 1994 n. 1428, Menietti).

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2009


Legittima la nullità delle vecchie “cartelle mute”: Sentenza della Corte Costituzionale

Con Sentenza 23 febbraio 2009, n. 58, depositata in Cancelleria il 27 febbraio, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 4-ter, D.L. n. 248/2007, sollevata da gran parte della giurisprudenza di merito.

In questo modo, la Consulta “legittima” la norma in oggetto, che prevede la nullità delle c.d. “cartelle mute”, ossia delle cartelle di pagamento prive dell’indicazione dei responsabili:

– del procedimento di iscrizione a ruolo,
– di emissione/notificazione delle cartelle stesse,
esclusivamente con riferimento a quelle consegnate agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008.


Pubblicato in G.U. il Decreto Milleproroghe

E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale 28 febbraio 2009, n. 49, S.O. n. 28/L, la Legge 27 febbraio 2009, n. 14, di conversione al cosiddetto “Decreto Milleproroghe” (D.L. n. 207/2008).


Agenzie Entrate: detrazioni delle spese dello sport per i ragazzi

L’Agenzia delle Entrate (risoluzione del 25 febbraio) ha chiarito che, al fine di incentivare i ragazzi alla pratica dello sport, è stata prevista una facilitazione fiscale che consente ai genitori una detrazione pari al 19% delle spese sostenute nel corso dell’anno per mandare i figli in piscina, in palestra o a fare qualsiasi altra attività sportiva. L’Agenzia chiarisce dunque che l’agevolazione è applicabile fino a un tetto massimo di spesa di € 210,00 ed è prevista per ciascun figlio e non per ciascun genitore. Inoltre, il limite agevolabile rimane tale anche se la spesa è sostenuta da entrambi i genitori e la detrazione può spettare ai due coniugi in relazione a quanto pagato da ciascuno di loro, ma sempre su un importo complessivo di € 210,00. La detrazione IRPEF del 19% è riconosciuta per le spese di iscrizione annuale o per l’abbonamento dei ragazzi compresi tra i 5 e 18 anni in centri o associazioni sportive dilettantistiche. La circolare precisa inoltre che le strutture presso cui si iscrivono di ragazzi debbono avere determinate caratteristiche e la spesa deve essere certificata secondo le modalità previste dal decreto interministeriale del 28 marzo 2007.
Ma non basta.
Gli impianti (palestre, piscine o polisportive), debbono avere espressamente finalità sportive ed essere di carattere dilettantistico e la certificazione per la spesa sostenuta è costituita da bollettino bancario o postale, oppure da fattura, ricevuta o quietanza, che devono contenere la denominazione e i dati relativi alla società, la causale del pagamento, l’attività esercitata, i dati anagrafici del ragazzo e il codice fiscale di chi effettua il pagamento


Circolare 003/2009: Richiesta Rimborso spese di Notifica agli U.T.G. (ex Prefetture)

L’art. 10 della legge 265/1999, comma 3, recita: L’ente locale richiede, con cadenza semestrale, alle singole Amministrazioni dello Stato la liquidazione e il pagamento delle somme spettanti per tutte le notificazioni effettuate per conto delle stesse Amministrazioni, allegando la documentazione giustificativa. Alla liquidazione e al pagamento delle somme dovute per tutte le notificazioni effettuate per conto della stessa Amministrazione dello Stato provvede, con cadenza semestrale, il dipendente ufficio periferico avente sede nella provincia di appartenenza dell’ente locale interessato. Le entrate di cui al presente comma sono interamente acquisite al bilancio comunale e concorrono al finanziamento delle spese correnti.

L’art. 1 del DM 3.10.2006, comma 3, recita: L’ente locale richiede, con cadenza trimestrale, alle singole amministrazioni la liquidazione ed il pagamento delle somme spettanti per tutte le notificazioni effettuate per conto delle stesse amministrazioni, allegando la documentazione giustificativa. Alla liquidazione ed al pagamento delle somme dovute per tutte le notificazioni effettuate per conto della stessa amministrazione dello Stato, provvede, con cadenza semestrale, il dipendente dell’ufficio periferico avente sede nella provincia di appartenenza dell’ente locale interessato.

Alcuni Uffici Territoriali del Governo hanno dato una interpretazione “elastica” per quanto attiene la richiesta del Rimborso spese di notifica da parte dei Comuni nell’ambito della produzione della … documentazione giustificativa. … citata nell’art. 1 del DM 3.10.2006, comma 3, pretendendo a corredo la fotocopia dell’atto notificato.

Tale richiesta risulta essere in contrasto sia con le norme che regolano l’attività di semplificazione normativa e procedimentale che con il Codice dell’Amministrazione digitale dalle quali si evince l’obbligo della riduzione dell’uso della carta e di uso abnorme delle richieste di documentazione.

A tale proposito si porta come esempio, quanto previsto dall’Ufficio Territoriale del Governo di Padova (vedi allegati) ove non richiede le copie degli atti notificati, bensì un elenco contenente gli elementi identificativi dell’atto notificato di cui si richiede il Rimborso spese di notifica.

Tale prassi, è a nostro parere, condivisibile, anche se sarebbe molto meno dispendioso che gli Uffici Territoriali del Governo adottassero la procedura utilizzata dalle Agenzie delle Entrate dove ogni ufficio richiedente la notifica da mandato all’ufficio centrale validando il pagamento del Rimborso spese di notifica richiesto dai Comuni.

Leggi: Circolare 2009-003 Richiesta Rimborso spese di Notifica agli U.T.G. (ex Prefetture)

Vedi anche:

Circolare UTG PD 28 01 2005

Circolare Ministero Interno 2-1837-I 25 02 2002


Garante privacy: no al controllo presenze lavoratori con impronte digitali

Se non vi sono particolari esigenze di sicurezza le aziende non possono utilizzare sistemi di identificazione biometrica per il controllo delle presenze dei propri dipendenti. Secondo il Garante per la protezione dei dati personali si tratta infatti di strumenti troppo invasivi e sproporzionati. Sulla base di questa considerazione il Garante ha vietato ad un’azienda l’ulteriore trattamento dei dati raccolti attraverso il sistema di rilevazione delle impronte digitali che l’azienda aveva istallato per determinare la retribuzione ordinaria e straordinaria ai propri lavoratori.

La vicenda è  finita dal Garante su richiesta di un dipendente che voleva chiarezza in merito alla correttezza dell’utilizzo di un sistema basato sull’impiego delle impronte digitali. A quanto pare non sono state individuate ragioni tali da giustificare l’adozione di un sistema del genere. Del resto nelle sedi in cui il sistema era stato installato non era stata segnalata nessuna particolare comprovata esigenza di sicurezza. Tali esigenze potrebbero sorgere eventualmente laddove vi siano aree aziendali particolarmente “sensibili” che richiedono di adottare delle particolari modalità di accesso.

Nel caso esaminato dal Garante inoltre è emerso che il sistema era stato installato senza un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e senza l’autorizzazione del ministero del lavoro. Questa procedura, prevista dallo Statuto dei lavoratori, va osservata, come stabilito da una recente sentenza della Cassazione, anche nel caso in cui le apparecchiature consentano di controllare la presenza sul luogo di lavoro dei dipendenti. In conclusione, richiamando quanto stabilito dal Codice privacy e dalle Linee guida in materia di lavoro privato del novembre 2006, l’Autorità ha vietato all’azienda il trattamento di dati effettuato perché illegittimo e invasivo.