Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., (data ud. 15/12/2021) 09/02/2022, n. 4160

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14527-2016 proposto da:

M.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DAGNINO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A. (già SE.RI.T. S.P.A.), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSARIA ARCUDI;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA SCIPLINO;

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 1300/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 03/12/2015 R.G.N. 753/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 15/12/2021 dal Consigliere Dott. MANCINO ROSSANA.

Svolgimento del processo
che:

1. con sentenza n. 1300 del 2015, la Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta dall’attuale ricorrente per l’annullamento dell’iscrizione ipotecaria alla quale era sotteso il mancato pagamento di contributi iscritti a ruolo;

2. la Corte di merito, a motivo della decisione, riteneva valide le iscrizioni a ruolo e la successiva iscrizione ipotecaria precedute da valida notifica delle cartelle esattoriali a mani di familiari del debitore, qualificatisi come conviventi della destinataria degli atti e, premesso che l’onere di fornire la prova del contrario incombesse su chi ne contestava la veridicità, riteneva, inoltre, non decisiva, per negare validità alla notificazione, la produzione di un certificato anagrafico attestante la diversa residenza dei familiari nè la prova testimoniale dedotta al fine di dimostrare di non avere mai convissuto con i familiari indicati nelle relate di notifica delle cartelle impugnate;

3. affermava, inoltre, che l’iscrizione ipotecaria si sottraesse alla regola procedimentale del previo invio dell’intimazione di pagamento;

4. ricorre avverso tale sentenza M.M.G., con ricorso affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, Riscossione Sicilia s. p. a.;

5. l’Inps ha depositato procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso, anche quale mandatario della Società di cartolarizzazione dei crediti Inps S.C.C.I. s.p.a..

Motivi della decisione
che:

6. la ricorrente deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la Corte di merito, con motivazione apparente, omesso di motivare sulle questioni oggetto di causa, relative alla validità delle notifiche delle sette cartelle oggetto di causa, presupposto dell’avviso di iscrizione ipotecaria, affermando di condividere la decisione del primo giudice in modo generico, con riferimento alle cartelle nel loro complesso omettendo l’esame di ciascuna di esse (primo motivo); violazione dell’art. 139 c.p.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 2727 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante la prova del difetto di residenza del consegnatario e dirimente la prova diabolica della natura meramente occasionale della presenza del familiare presso l’abitazione del destinatario dell’atto (secondo motivo); violazione dell’art. 420 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per non avere il giudice di primo grado disposto d’ufficio le prove necessarie per l’accertamento della verità del fatto storico (che la ricorrente non avesse mai convissuto con alcuno dei familiari indicati nelle relate) (terzo motivo); violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2 e art. 77 e degli artt. 41, 47, 48 Carte dei diritti fondamentali dell’Unione Europea per avere ritenuto infondata l’eccezione relativa alla mancata notifica di avvisi bonari anteriormente all’iscrizione ipotecaria;

7. i primi tre motivi, esaminati congiuntamente per la loro logica connessione, sono da rigettare;

8. innanzitutto la Corte di merito, in una valutazione globale delle notificazioni delle cartelle accomunate dalla notifica a mani di familiari dichiaratisi conviventi della destinataria degli atti espresso e illustrato la ratio decidendi in ordine alla ritualità delle notificazioni e della successiva iscrizione ipotecaria, non limitandosi alla mera condivisione del medesimo principio già enunciato dal primo giudice e tanto basta per escludere la nullità della sentenza e ritenere la motivazione non apparente ma idonea a rivelare la ratio decidendi e a evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano dunque possibile il controllo di legittimità (Cass.,Sez. Un., n. 8053 del 2014);

9. passando al nocciolo della questione sulla quale sono imperniate le censure, la sentenza impugnata è conforme ai consolidati principi espressi da questa Corte, in plurime decisioni;

10. la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, anche direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento;

11. il regime differenziato della notificazione diretta ha superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost. n. 175 del 2018);

12. a mente della disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 e del D.M. 1 ottobre 2008, artt. 20 e 26, è sufficiente, per il perfezionamento della notifica, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento, ad opera dell’ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione firmi il registro di consegna della corrispondenza e l’avviso di ricevimento da restituire al mittente;

13. questa Corte ha anche affermato, a tale proposito, che pur se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata (v. Cass. nn. 946, 6753 e 19680 del 2020 ed ivi ulteriori precedenti);

14. la consegna del piego raccomandato a mani di familiare dichiaratosi convivente con il destinatario determina, quindi, la presunzione che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, mentre il problema dell’identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con conseguente onere della prova contraria a carico del destinatario;

15. tale prova, peraltro, non può essere fornita mediante la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una diversa residenza del consegnatario dell’atto, in quanto siffatte risultanze, aventi valore meramente dichiarativo, offrono a loro volta una mera presunzione, superabile alla stregua di altri elementi idonei ad evidenziare, in concreto, una diversa ubicazione della residenza effettiva del destinatario (Cass. nn. 632 del 2011, 24852 del 2006 e 22607 del 2009);

16. correttamente la Corte territoriale si è dunque attenuta ai principi sopra individuati nel ritenere la validità della notifica così come effettuata e onerare il destinatario della prova della mancata ricezione, nel senso evidenziato;

17. inammissibile è, infine, il terzo motivo per essere la censura priva di decisività agli effetti di quanto detto nei paragrafi che precedono;

18. fondato si appalesa, invece, il quarto motivo;

19. la Corte di merito non si è conformata all’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte, sentenza n. 19667 del 2014, secondo cui, in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’Amministrazione finanziaria prima di iscrivere l’ipoteca su beni immobili ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77 (nella formulazione vigente ratione temporis), deve comunicare al contribuente che procederà alla suddetta iscrizione, concedendo al medesimo un termine – che può essere determinato, in coerenza con analoghe previsioni normative (da ultimo, quello previsto dal medesimo D.P.R., art. 77, comma 2-bis, come introdotto dal D.L. 14 maggio 2011, n. 70, conv. con modif. dalla L. 12 luglio 2011, n. 106), in trenta giorni – per presentare osservazioni o effettuare il pagamento, dovendosi ritenere che l’omessa attivazione di tale contraddittorio endoprocedimentale comporti la nullità dell’iscrizione ipotecaria per violazione del diritto alla partecipazione al procedimento, garantito anche dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, fermo restando che, attesa la natura reale dell’ipoteca l’iscrizione mantiene la sua efficacia fino alla sua declaratoria giudiziale d’illegittimità (cfr. Cass. nn. 23875, 25954 del 2015; Cass. nn. 5577, 15487 del 2019; da ultimo, Cass. n. 36490 del 2021);

20. in conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, per essere necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va rinviata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., ad altro Giudice, che si designa nella medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della controversia alla stregua di quanto sinora detto;

21. al Giudice del rinvio si rimette anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, allà Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022


Bilancio 2021

Atti relativi al Bilancio dell’Associazione dell’anno 2021 approvato dalla Giunta Esecutiva del 05.02.2022  e del Consiglio Generale del 07.02.2022 su delega dell’Assemblea Generale del 13.03.2021 al Consiglio Generale.

Leggi: Bilancio 2021


Si possono evitare le notifiche?

Chi toglie il proprio nome dal campanello, dal citofono e dalla cassetta postale si considera irreperibile? Che fine fanno le notifiche, le cartelle, le multe e gli atti giudiziari?

Secondo la sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 2530/2022 del 27.01.2022, quando il postino o l’ufficiale giudiziario non trovano il nome del destinatario sul citofono, sul campanello e/o sulla cassetta postale non possono eseguire solo perciò la procedura per gli irreperibili assoluti. Non si può cioè, solo in base a tali indizi, presumere che il destinatario dell’atto non viva in quel luogo. Bisogna invece procedere secondo l’iter previsto per gli irreperibili relativi, e quindi con l’affissione dell’avviso sulla porta di casa e con l’invio della raccomandata A.R.. E non solo: l’incaricato deve assumere specifiche informazioni in loco sull’interessato, prima di depositare la copia dell’atto nella casa comunale; altrimenti viene meno al suo dovere di diligenza nello svolgimento dell’attività.

In sintesi, avverte la Corte Suprema di Cassazione, non basta che manchi il nome sul citofono e sulla cassetta postale per ritenere irreperibile il destinatario.

Serve quindi uno sforzo in più del Messo Comunale prima di passare al deposito dell’atto presso la Casa Comunale del Comune: compiere ogni ulteriore indagine possibile, ottenendo ad esempio da persone del luogo la conferma che il destinatario non abita a quell’indirizzo. E delle ricerche condotte l’incaricato è tenuto a dar conto nella relata di notifica, altrimenti la notifica deve ritenersi nulla.


Cass. civ. Ord., Sez. 6, N. 2621

Civile Ord. Sez. 6 Num. 2621 Anno 2022

Presidente: ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO
Relatore: LUCIOTTI LUCIO
Data pubblicazione: 28/01/2022

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37723-2019 R.G. proposto da:
SCUTO Maria Concetta, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Silvana RICCA ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Po, n. 12, presso lo studio legale dell’avv. Stefano GENOVESE (MMP e Associati);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
e contro,

RISCOSSIONE SICILIA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;
— intimata —
avverso la sentenza n. 3669/13/2019 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, Sezione staccata di CATANIA, depositata il 10/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/10/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.
Rilevato che:
1. La contribuente Maria Concetta SCUTO ricorre con tre motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate ma non l’agente della riscossione, pure intimata, per la cassazione della sentenza della CTR della Sicilia, Sezione staccata di Catania, in epigrafe indicata, pronunciata in controversia relativa ad impugnazione di un estratto di ruolo e della corrispondente cartella di pagamento emessa nei confronti della predetta contribuente, quale erede, unitamente alla sorella Daniela Rosaria SCUTO, del padre Orazio SCUTO, sulla scorta di due sentenze, divenute definitive, emesse dalla medesima CTR (sentenze n. 172/18/2020 e n. 187/18/2010) nei giudizi relativi ad avvisi di accertamento IVA emessi nei confronti del de cuius.
2. La CTR con la sentenza impugnata ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado rilevando la regolarità della notifica della cartella di pagamento impugnata, effettuata con il rito dell’irreperibilità relativa della destinataria, e conseguentemente dichiarato inammissibile l’originario ricorso della contribuente perché tardivamente proposto, oltre il termine di cui all’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
4. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 140 cod. proc. civ. e 25 e 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, la ricorrente deduce l’inesistenza della notificazione della cartella di pagamento impugnata, effettuata ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., in quanto la raccomandata informativa era stata restituita al mittente con la dicitura “destinatario sconosciuto” sicché non ricorrevano i presupposti perché operasse la c.d. “compiuta giacenza” del plico presso l’ufficio postale ove lo stesso era stato depositato.
2. Con il secondo motivo deduce la medesima questione posta con il primo motivo, dell’inesistenza della notifica della cartella di pagamento, ma sotto il diverso profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
3. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli arti. 115 e 116 cod. proc. civ. sempre con riferimento alla questione dedotta con il primo motivo, censurando la statuizione d’appello per avere omesso di valutare le risultanze della procedura di notificazione della cartella impugnata di cui essa ricorrente aveva espressamente dedotto la decisività.
4. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente attenendo tutte alla medesima questione della irregolarità della notificazione della cartella di pagamento, sono fondati e vanno accolti.
5. E’ pacifico nel caso di specie che la notifica della cartella di pagamento è stata effettuata ai sensi del combinato disposto dagli artt. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 140 cod. proc. civ., stante l’irreperibilità relativa della destinataria, non rinvenuta all’indirizzo indicato nell’atto, con conseguente deposito dello stesso nella casa comunale, affissione dell’avviso di avvenuto deposito alla porta di abitazione della contribuente ed invio della c.d. raccomandata informativa, la quale veniva restituita al mittente con la dicitura “destinatario sconosciuto”.
6. Ciò posto, la controricorrente sostiene che nella specie la regolarità della notificazione discenderebbe dall’applicazione del disposto di cui all’art. 26, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui, nei casi previsti dall’art. 140 cod. proc. civ., di irreperibilità relativa del destinatario dell’atto, la notificazione dalla cartella di pagamento si effettua con le modalità stabilite dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 e si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune. Al riguardo precisa la controricorrente che la notifica, essendo stata effettuata nel gennaio 2012, non sarebbe applicabile nella specie la predetta disposizione nella versione risultante a seguito della pronuncia di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte cost. n. 258 del 22 novembre 2012, in base alla quale il ricorso alla procedura di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 è consentito soltanto nei casi di irreperibilità assoluta del destinatario dell’atto.
7. La tesi è manifestamente infondata alla stregua del principio giurisprudenziale affermato da questa Corte in ipotesi del tutto analoga, secondo cui «Nel caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma processuale, fin quando la validità ed efficacia degli atti disciplinati da detta norma sono “sub judice”, il rapporto processuale non può considerarsi esaurito, sicché, nel momento in cui viene in discussione la ritualità dell’atto, la valutazione della sua conformità alla disposizione va valutata avendo riguardo alla modificazione conseguita dalla sentenza di illegittimità costituzionale, indipendentemente dal tempo in cui l’atto è stato compiuto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto la invalidità della notificazione della cartella esattoriale eseguita, in ipotesi di irreperibilità relativa del contribuente, mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento senza l’osservanza delle formalità previste dall’art. 140 c.p.c., come prescritto dall’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo risultante dalla sentenza della Corte cost. n. 258 del 2012)» (Cass. n. 33610 del 2019); in termini già Cass. 10519 del 2019).
8. Ciò precisato, osserva la Corte che i motivi sono fondati e vanno accolti alla stregua del princpio giuriosprudenziale in base al quale «In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012 relativa all’art. 26, comma 3 (ora 4), del d.P.R. n. 602 del 1973, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del citato art. 26, ultimo comma, e dell’art. 60, comma 1, alinea, del d.P.R. n. 600 del 1973, sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inesistente la notifica della cartella di pagamento, atteso che la raccomandata informativa non era pervenuta nella sfera di conoscenza del contribuente ed era stata restituita al mittente, avendo l’ufficiale giudiziario erroneamente apposto la dicitura “trasferito” sulla relata, nonostante fosse rimasta invariata la residenza del destinatario)» (Cass. n. 25079 del 2014; conf. Cass. n. 9782 del 2018).
9. Tale orientamento ha trovato ulteriore conferma nella pronuncia del Supremo consesso di questa Corte n. 10012 del 2021, secondo cui « In tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 24 e 111, comma 2, Cost.) dell’art. 8 della I. n. 890 del 1982 – esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informative», in quanto «solo dall’esame concreto di tale atto il giudice del merito e, qualora si tratti di atto processuale, (se del caso) anche il giudice di legittimità, può desumere la “sorte” della spedizione della “raccomandata informativa”, quindi, in ultima analisi, esprimere un – ragionevole e fondato – giudizio sulla sua ricezione, effettiva o almeno “legale” (intesa come facoltà di conoscere l’avviso spedito e quindi tramite lo stesso l’atto non potuto notificare), della raccomandata medesima da parte del destinatario».
10. Orbene, applicati detti principi al caso in esame, in cui la raccomandata informativa non è stata consegnata al destinatario perché «sconosciuto», è del tutto evidente che il giudizio sulla ricezione «effettiva o almeno “legale”» della stessa non può che essere negativo, con la conseguenza’ che era onere dell’agente della riscossione, nella specie non adempiuto, procedere a rinnovare la notificazione non perfezionatasi.
11. Pertanto, all’accoglimento dei motivi di ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti in ragione dell’incidenza sulla decisione della recente pronuncia nomofilattica di questa Corte.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente. Spese processuali interamente compensate tra le parti.
Così deciso in Roma il 21/10/2021 


Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 15-12-2021) 27-01-2022, n. 2530

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16281/2017 proposto da:

E.S., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Vignali Rosa, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Paolo Emilio n. 20, presso lo studio dell’avvocato Giuffrida Antonio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Fiorini Barbara, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Pubblico Ministero in persona del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Firenze;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2141/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 21/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2021 dal cons. Dott. ANDREA FIDANZIA.

Svolgimento del processo
CHE:

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 21.12.2016, ha rigettato l’appello proposto da E.S. avverso la sentenza del Tribunale di Arezzo che, nella dichiarata contumacia dell’allora convenuta, aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei contratto con B.L. ed aveva revocato l’assegno di mantenimento stabilito, a carico di quest’ultimo, dalla sentenza di separazione personale dei coniugi.

La Corte d’Appello, premesso che il gravame era stato avanzato ben oltre il termine lungo semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., ha disatteso la prospettazione della sig.ra E. secondo cui la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e del decreto di fissazione d’udienza innanzi al Tribunale di Arezzo effettuata nei suoi confronti era nulla.

In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto valida la notifica del ricorso in oggetto, eseguita l’8.4.2014 ai sensi dell’art. 143 c.p.c., sul rilievo che l’ufficiale giudiziario, avendo personalmente accertato, in occasione di un precedente tentativo di notifica del febbraio 2014, che il nominativo dell’appellante non figurava “sui campanelli nè sulle cassette postali” dell’indirizzo di residenza, aveva correttamente dichiarato l’irreperibilità della destinataria.

La Corte d’Appello ha, invece, dichiarato nulla la notifica dell’ordinanza ammissiva dell’interrogatorio formale della E. – parimenti disposta a norma dell’art. 143 c.p.c. – in quanto effettuata il 28.10.14 in difetto di un nuovo sopralluogo, non potendo l’ufficiale giudiziario basarsi, ai fini dell’accertamento della irreperibilità, sull’esito di quello precedente, avvenuto ben sei mesi prima, dato che in tale periodo di tempo la situazione di fatto avrebbe potuto essere mutata.

Ciò premesso, la corte territoriale ha ritenuto ammissibile l’impugnazione tardiva, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2, ma ha dichiarato inammissibile la domanda di riconoscimento di un assegno divorzile, siccome proposta dalla sig.ra E. per la prima volta in grado di appello, sul duplice rilievo che l’appellante aveva volontariamente deciso di rimanere contumace nel giudizio di primo grado e che, anche ove fosse stata posta nelle condizioni di presentarsi in Tribunale per rendere l’interrogatorio formale, non avrebbe potuto più introdurre tardivamente tale domanda dinanzi al primo giudice.

E.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidandolo a quattro motivi.

B.L. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c..

La ricorrente lamenta che la corte del merito abbia ritenuto valida la notifica, in data 8 aprile 2014, del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell’udienza dinanzi al Tribunale di Arezzo, ancorché eseguita nei suoi confronti senza una previa ricognizione dei luoghi, fondandosi la valutazione di irreperibilità dell’ufficiale giudiziario su un sopralluogo avvenuto presso la sua abitazione ben due mesi prima (esattamente il 7 febbraio 2014); deduce inoltre che non è sufficiente ai fini dell’accertamento della irreperibilità, a norma dell’art. 143 c.p.c., la mancanza del nominativo di un soggetto sul citofono o sulla cassetta postale del luogo di abitazione, dovendo comunque l’ufficiale giudiziario raccogliere informazioni da altre persone presenti in loco.

2. Il motivo è fondato sotto entrambi i profili illustrati.

Va in primo luogo rilevato che, secondo quanto emerge proprio dalla lettura della sentenza impugnata, l’ufficiale giudiziario l’8.4.2014 ha proceduto alla notifica col rito degli irreperibili senza neppure recarsi presso l’abitazione della ricorrente, ma basandosi sull’esito di un precedente accesso, effettuato in febbraio. Se ne deduce che la corte del merito – che pure ha ritenuto nulla la notifica ex art. 143 c.p.c. dell’ordinanza che aveva disposto l’interrogatorio formale della E. perché non preceduta da un sopralluogo abbia supposto, del tutto erroneamente, che la validità/invalidità di una notificazione eseguita ai sensi della norma predetta solo perché è già stata in passato effettuata un’infruttuosa ricerca del destinatario presso la propria abitazione, dipenda dalla durata (più o meno lunga) del periodo di tempo intercorso fra il primo e il secondo tentativo.

Va aggiunto che questa Corte, nella sentenza n. 11138/2003, ha già enunciato il principio di diritto, secondo cui, “non sussistendo per legge alcun obbligo, per i soggetti giuridici, di indicare il proprio nominativo sui citofoni o sulla cassetta postale del luogo di abitazione, l’ufficiale giudiziario, ove verifichi, in uno stabile privo di portiere, l’assenza del nominativo del soggetto destinatario della notifica in corrispondenza dell’interno che il richiedente indica quale luogo di residenza, e ove constati la presenza, invece, del nominativo di altri soggetti i quali risultino momentaneamente assenti, deve procedere comunque alla notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., e non può limitarsi invece – tanto più in un ampio e moderno contesto urbano – a stendere una relazione negativa, neppure ove fondata sulle informazioni negative delle altre “persone del luogo””(vedi anche Cass. n. 6761/2004).

Nella più recente sentenza n. 19012/2017 questa Corte, nel ritenere legittima la notificazione effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. ad un destinatario, il cui nominativo non era stato rinvenuto sui citofoni e neppure sulle cassette postali, aveva valorizzato la circostanza che l’ufficiale giudiziario aveva attestato di aver raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell’atto, dai residenti interpellati.

Nella sentenza n. 8638/2017, questa Corte, sempre in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., ha enunciato il principio di diritto secondo cui l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione. In particolare, nel caso concreto esaminato dalla predetta sentenza, questo giudice di legittimità ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la regolarità di una notifica eseguita ex art. 143 c.p.c. semplicemente sulla base dell’assenza del nominativo della destinataria sul citofono dell’indirizzo di residenza anagrafica, trascurando di rilevare che la dicitura “famiglia” seguita da altro cognome, presente sullo stesso citofono, corrispondeva effettivamente alla residenza della destinataria, essendo quel cognome riferibile al defunto marito.

Alla luce del contenuto delle sentenze sopra menzionate, emerge in modo inconfutabile che questa Corte non ha mai ritenuto sufficiente, ai fini della valutazione positiva di irreperibilità del destinatario della notifica, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., il mero mancato rinvenimento del nominativo del notificando sui citofoni e neppure sulle caselle postali, occorrendo comunque un quid pluris che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, deve quantomeno consistere nella raccolta, da parte dell’ufficiale giudiziario, di specifiche informazioni in loco sul destinatario dell’atto dai residenti interpellati.

L’ufficiale giudiziario che, una volta verificata la mancanza del nominativo del notificando sui citofoni e sulle cassette postali, si astenga dal compiere ogni ulteriore ricerca ed indagine, quantomeno nei termini sopra illustrati, viene senz’altro meno al suo dovere di “normale diligenza” nello svolgimento dell’attività notificatoria.

La sentenza impugnata deve essere quindi cassata e, versandosi in fattispecie di nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, la causa va rinviata, ex art. 354 c.p.c., al Tribunale di Arezzo in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

3. Restano assorbiti i restanti motivi di ricorso, con i quali la ricorrente propone la questione di nullità sotto i distinti profili del vizio di motivazione apparente e/o contraddittoria, e denuncia inoltre la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10 in relazione agli artt. 293 e 153 c.p.c..

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Arezzo, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi i nominativi e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 30/11/2021) 27/01/2022, n. 2365

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9203/2015 R.G. proposto da:

Immobiliare La Vigna Srl, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Roberto Mussano e Antonio Petillo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma Piazza della Libertà n. 10, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 1100/24/14, depositata il 2 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio della pubblica udienza del 30 novembre 2021 dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Viste le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Pepe Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
La società Immobiliare La Vigna Srl impugnava due cartelle di pagamento, emesse e notificate da Equitalia Nord Spa per Iva, Ires e Irap, nonchè in relazione ad atto di irrogazione di sanzioni, per l’anno 2006, lamentando la mancata notificazione degli atti presupposti.

La CTP, in relazione all’avvenuto deposito degli avvisi di ricevimento da parte dell’Agenzia delle entrate, rigettava il ricorso.

La sentenza era confermata dalla CTR, che riteneva non dovuta la comunicazione di avvenuta notifica, di cui era stata eccepita l’omissione, poichè l’atto, notificato a mezzo del servizio postale, era stato consegnato a persona addetta al ritiro degli atti che si trovava presso la sede societaria, soggetto previsto dall’art. 145 c.p.c..

Immobiliare La Vigna Srl propone ricorso per cassazione con un articolato motivo; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Motivi della decisione
1. L’unico, complesso, motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di:

“D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b-bis), come modificato dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, e L. 20 novembre 1982, art. 7, n. 890 in relazione alla nullità della notifica effettuata dall’agente postale per mancanza della raccomandata informativa”;

“D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 per nullità delle notifiche degli atti presupposti: illogicità ed infondatezza della sentenza; violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6”;

“art. 145 c.p.c., comma 1, e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7 in relazione all’invio della raccomandata informativa” con riguardo alle persone giuridiche;

“D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b-bis), e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, in relazione alla considerata specialità della normativa di cui alla L. n. 600 del 1973 rispetto alla L. n. 890 del 1982”.

1.1. Il ricorrente lamenta, in particolare, che la CTR ha ritenuto valida la notifica degli atti presupposti ancorchè l’atto non fosse stato consegnato direttamente al legale rappresentante della società ma ad altro soggetto e, quindi, dovesse essere inviata la raccomandata informativa, invece omessa.

Censura, inoltre, l’idoneità del soggetto al quale l’atto è stato consegnato, mero “portinaio”, non autorizzato dalla società al ritiro dei plichi e solo erroneamente indicato come persona incaricata a ricevere la notifica e custode da parte dell’agente postale, che non avrebbe compiuto alcuna delle necessarie verifiche sulla presenza del destinatario e sulle qualità della persona cui consegnava l’atto, risultando viziato, conseguentemente, il ragionamento della CTR che ha valutato come sufficiente l’attestazione nell’avviso.

Deduce, infine, l’irrilevanza della distinzione operata dalla CTR tra notifica effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario e, come nella specie, direttamente mediante ricorso al servizio postale ordinario, dovendosi ritenere in ogni caso necessario l’invio della raccomandata informativa, a pena di incostituzionalità della norma.

2. Il ricorso è infondato e ai limiti dell’inammissibile.

3. Va premesso, infatti, che, con l’unico globale motivo di impugnazione, la ricorrente, pur deducendo vizi di violazione di legge, ha, in realtà, denunciato – contemporaneamente e sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e combinati in un unico inestricabile continuo – sia errori nell’applicazione della legge sia vizi di motivazione, dolendosi, in sostanza, dell’esito della controversia e dell’errata valutazione delle risultanze di prova in giudizio, neppure essendo agevolmente possibile scindere, ad un concreto esame della formulazione del motivo stesso, il contenuto cassatorio di ciascuna censura.

Tale modalità di articolazione della censura, invero, non è rispettosa del sistema processuale vigente, in relazione alla formula prevista per il ricorso per cassazione, così come disciplinata dall’art. 360 c.p.c., ponendosi in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito” (v. tra le molte Cass. n. 19959 del 22/09/2014; Cass. n. 25332 del 28/11/2014; Cass. n. 18202 del 03/07/2008; Cass. n. 10420 del 18/05/2005; Cass. n. 16763 del 27/11/2002; v anche recentemente Cass. n. 14041 del 21/05/2021; Cass. n. 26790 del 23/10/2018; Cass. n. 7009 del 17/03/2017).

4. Pure a voler considerare, quale fondamento primario della censura, la lamentata errata valutazione da parte della CTR sulla doverosità o meno della comunicazione di avvenuta notifica (CAN), attesa l’inammissibilità delle censure per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ratione temporis applicabile (venendo in rilievo decisione pubblicata in data 2 ottobre 2014), il motivo è comunque infondato.

4.1. La CTR, infatti, da un lato ha accertato che l’atto è stato ricevuto da persona addetta al ritiro degli atti, evidenziando che ogni doglianza su tale qualità era stata abbandonata con l’atto d’appello (“L’appello nulla dice sulla identità e funzioni del consegnatario rinunciando quindi a sostenere, come fatto in primo grado, che si trattasse del portinaio dello stabile, opera quindi la presunzione che si trattasse effettivamente di persona addetta al ritiro degli atti, come attestato dall’agente postale”).

Su tale profilo, dunque, la censura della società è inammissibile, non potendo riproporre una questione che la CTR dichiara esser stata abbandonata in appello, finendo quindi per contestare la valutazione di merito delle risultanze processuali da parte del giudice d’appello.

Dall’altro, la CTR ha fondato la sua decisione su una duplice ratio, ossia che:

a) l’invio della CAN non fosse previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 che riguarda i casi in cui la consegna avviene a persone diverse da quelle previste dalle norme di procedura, mentre per l’art. 145 c.p.c. la consegna alla persona incaricata presso la sede societaria costituisce un destinatario tipico;

b) “nel caso di specie la notificazione è intervenuta direttamente dall’Ufficio, a mezzo del servizio postale, pertanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982”.

5. Entrambe le rationes, in realtà, sono corrette in diritto.

6. Quanto alla prima, va rilevato che l’art. 145 c.p.c., nel prevedere che “la notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”, individua una pluralità di soggetti tutti identificati come “destinatario”, sicchè, in caso di consegna ad uno di essi (come nella specie), non era necessaria la spedizione della raccomandata informativa (v. da ultimo Cass. n. 9878 del 26/05/2020).

7. Quanto alla seconda, di cui è contestata solo genericamente la validità, va rilevato che la L. n. 146 del 1998, art. 20 modificando la L. n. 890 del 1982, art. 14 ha aggiunto, per quanto qui interessa, la previsione che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla medesima L. n. 890 del 1982.

A decorrere, pertanto, dal 15 maggio 1998 (data di entrata in vigore della citata L. n. 146 del 1998), è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere “direttamente” alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale (Cass. n. 15284 del 10/06/2008; Cass. n. 34007 del 19/12/2019).

Ciò significa che il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata, alla quale, quindi, non si applicano le disposizioni della L. n. 890 del 1982, concernenti le sole notificazioni effettuate a mezzo posta tramite gli ufficiali giudiziali (o, eventualmente, i messi comunali e i messi speciali autorizzati), bensì le norme concernenti il servizio postale “ordinario”.

7.1. Orbene, in questa evenienza, ossia anche quando la consegna dell’atto avvenga a persona diversa dal destinatario (che la ricorrente individua esclusivamente con il legale rappresentante in caso di persona giuridica), va escluso che debba essere inviata la comunicazione di avvenuta notifica (CAN) (v. Cass. n. 10131 del 28/05/2020, sia pure con riguardo all’ipotesi del mancato recapito per temporanea assenza del destinatario).

7.2. Invero, la Corte costituzionale, con sentenza 23 settembre 1998, n. 346, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 890 del 1982, art. 8 nella parte in cui non prevede che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione, ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento.

Ma questa sentenza della Corte costituzionale riguarda la diversa modalità di notificazione a mezzo posta curata dall’Ufficiale Giudiziario, alla quale si applica la disciplina di cui alla L. n. 890 del 1982, compreso la norma in oggetto, mentre, con riguardo alla diversa ipotesi qui in giudizio, il differente iter notificatorio si spiega con la diversità delle fattispecie poste a confronto, comportando la notifica diretta a mezzo del servizio postale un procedimento più agile e semplificato, a tutela delle ragioni del fisco di preminente interesse pubblico.

Il profilo, del resto, è stato recentemente oggetto di un nuovo specifico intervento della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 175 del 2018 con riguardo all’omologa previsione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, ha ritenuto la conformità della disposizione al dettato costituzionale.

La Corte, infatti, ha rilevato che “la semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c. e L. n. 890 del 1982, art. 3” “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1” poichè “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”.

Ne ha derivato, quindi, che, nonostante la mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica – CAN – e l’inapplicabilità della L. n. 890 del 1982, art. 7 è ragionevole il bilanciamento degli interessi pubblici e privati, che è comunque garantito dal fatto che colui, che assuma in concreto la mancanza di conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile, può chiedere la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., ove comprovi, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di detta situazione (nel caso di specie neanche dedotta dalla ricorrente, nè in sede di merito, nè in questa sede).

8. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, regolate per soccombenza, sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna Immobiliare La Vigna Srl al pagamento delle spese di legittimità, che liquida in complessive Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2021

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022


Riunione del Consiglio Generale del 7.02.2022

Ai sensi dell’art. 15 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà lunedì 7 febbraio 2022 in modalità webinar alle ore 18:30 in prima convocazione, e alle ore 20:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2022/2023;
  3. Approvazione Bilancio Consuntivo 2021;
  4. Approvazione Bilancio Preventivo 2022;
  5. Attività formativa 2022;
  6. Varie ed eventuali.

Leggi: Bilancio 2021 – Documentazione
Leggi: CG 07 02 2022 Verbale


Riunione Giunta Esecutiva del 05.02.2022

Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, viene convocata in PRESENZA la riunione della Giunta Esecutiva, che si svolgerà sabato 5 febbraio 2022 alle ore 8:30, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2022/2023;
3. Approvazione Bilancio Consuntivo 2021;
4. Approvazione Bilancio Preventivo 2022;
5. Attività formativa 2022;
6. Varie ed eventuali.

 

Leggi: Bilancio 2021 – Documentazione

Leggi: GE 05 02 2022 Verbale


Comm. trib. regionale Lazio Roma, Sez. IX, Sent., 17/01/2022, n. 157

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE PER IL LAZIO

NONA SEZIONE

riunita in udienza il 13/01/2022 alle ore 09:00 con la seguente composizione collegiale:

FERRANTI DONATELLA, – Presidente

BALDI FULVIO, – Relatore

FLAMINI LUIGI MARIA, – Giudice

in data 13/01/2022 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 3146/2019 depositato il 23/05/2019

proposto da

Ag.entrate – Riscossione – Roma – Via Grezar 14 00142 Roma RM

Difeso da

Alessandra Paolini – (…)

ed elettivamente domiciliato presso alessandrapaolini@pec.ordineavvocatigrosseto.com

contro

A.M. – (…)

elettivamente domiciliato presso filippofantera@ordineavvocatiroma.org

Avente ad oggetto l’impugnazione di:

– pronuncia sentenza n. 20849/2018 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale ROMA sez. 29 e pubblicata il 14/12/2018

Atti impositivi:

– CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IVA-ALTRO 2007

a seguito di discussione in pubblica udienza

Richieste delle parti:

Ricorrente/Appellante: Come da motivazione

Resistente/Appellato: Come da motivazione

Svolgimento del processo
M.A. impugnava l’estratto di ruolo relativo a cartella di pagamento per Euro 16.559 relativa a tributi rimontanti all’anno 2007.

Con sentenza n. 20849/2018, depositata il giorno 14/12/2018, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso con compensazione delle spese rilevando l’irregolarità della notifica.

Avverso detta pronuncia è stato interposto appello da parte dell’Agenzia che deduce, attraverso un unico articolato motivo, l’errata valutazione dei fatti ed atti di causa per violazione degli artt. 26 D.P.R. n. 602 del 1973 nonché dell’art. 7 L. n. 890 del 1982, ribadendo anche le doglianze di primo grado e cioè l’inammissibilità del ricorso avverso l’estratto di ruolo per effettiva notifica della cartella, per carenza di interesse ad agire nonché per la sua palese tardività.

Il contribuente nulla controdeduceva.

Motivi della decisione
L’appello è fondato.

Ed invero la cartella n. (…) è stata regolarmente notificata in data 18.4.2011 tramite raccomandata con ricevuta di ritorno e regolarmente ricevuta da chi si è qualificato portiere. Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi dell’art. 26 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, anche direttamente da parte del concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina degli art. 32 e 39 D.M. 9 aprile 2001, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Ne consegue che, se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido, poiché la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata.” (Cassazione civile, sez. V, 27/05/2011, n. 11708; conforme: Cass. civ. sez. trib., 19.09.2012, n. 15746/12; Cass. ordinanza del 08.11.2013 n. 25128; Cass., 27 gennaio 2017, n. 2100 ).

Va quindi escluso che, in caso di consegna della cartella a persona diversa dal destinatario, l’Ente della riscossione debba inviare un’ulteriore raccomandata informativa al contribuente.

Pertanto la sentenza gravata va integralmente riformata, dovendo essere riconosciuta la correttezza della notifica della cartella.

Le spese del secondo grado di giudizio possono essere compensate alla luce della problematicità della decisione per effetto del complesso quadro normativo e delle oscillazioni giurisprudenziali.

P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, Sez. 9, così delibera:

Accoglie l’appello dell’Agenzia e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2022.


Atto notificato con P.E.C. e casella del destinatario piena

La vertenza all’esame della Corte Suprema di Cassazione nasce dal giudizio promosso da un legale, il quale conveniva innanzi al Giudice di Pace le Poste Italiane chiedendo che quest’ultima venisse condannata al risarcimento dei danni subiti a seguito di un indebito prelievo, ad opera di sconosciuti, dal suo conto corrente abilitato al servizio telematico “online”.
La domanda veniva accolta dal Giudice di Pace. Di diverso avviso il Tribunale di Roma, il quale pronunciandosi sul gravame interposto dalle Poste Italiane contro la sentenza di primo grado la riformava ritenendo che non poteva addebitarsi nessuna responsabilità all’originaria convenuta non risultando un malfunzionamento del sistema telematico avendo, anche, avvisato la clientela di non inserire dati sensibili rispondendo ad “email” non verificate e che il sinistro doveva “ragionevolmente correlarsi all’incauta comunicazione, da parte del titolare del conto, delle credenziali di accesso a seguito della riferita ricezione e risposta a un’email “volta alla frode poi, infatti, posta in essere”.
Contro la sentenza del Tribunale, il legale proponeva ricorso alla Corte Suprema di Cassazione deducendo l’erroneità della decisione per aver omesso di prendere in considerazione la circostanza della mancata predisposizione, da parte della Poste, di misure idonee volte a prevenire frodi come quella esaminata.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 40758/2021 essendo stato notificato a mezzo p.e.c. al difensore delle Poste con accettazione, da parte del sistema, ma senza consegna per la “casella piena” del destinatario. In questo caso, secondo i giudici di legittimità il legale avrebbe dovuto riprendere per tempo il procedimento notificatorio con la notifica all’indirizzo del domicilio eletto dall’avvocato delle Poste.
La Corte Suprema di Cassazione:
1. nel caso in cui la notifica telematica non va a buon fine per motivi, come nel caso esaminato, non imputabile al notificante – essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi è onere del notificante, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario (fisico) eletto, in un tempo adeguatamente contenuto, che secondo come indicato dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezione Unite con la sentenza n. 14594/2016, è il termine della metà di quello previsto dall’art. 325 c.p.c.;
2. il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale non ha soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati;
3. in altri termini nel caso di notifica telematica effettuata dall’avvocato e di mancato perfezionamento della stessa per non essere stato possibile consegnare al destinatario il messaggio avendo quest’ultimo la casella piena, il notificante ha l’onere di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dall’art. 137 c.p.c. e ss (notifica a mani), e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al comma 6 dell’art. 16, ultima parte, del D.L. n. 179 del 2012 , prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna;
4. la notifica a mezzo p.e.c. al domicilio digitale è valida nell’ipotesi in cui la stessa venga consegnata, mentre nel caso di “casella telematica piena” per insufficiente gestione dello spazio da parte del destinatario della notifica e qualora il destinatario che abbia eletto domicilio fisico, il notificante dovrà, per tempo, riprendere il procedimento notificatorio presso il domicilio eletto.


Divieto di notifica via PEC delle multe: il parere del Garante Privacy

di Anna Rahinò, avvocato – consulente in ICT Law | componente D&L NET e Anna Dalla Benetta, dottoressa in giurisprudenza e consulente jr. Studio Legale Lisi | 3 Gennaio 2022, ore 10:00

Come si evince dal Parere del Garante, al fine di proteggere la riservatezza dei destinatari, i verbali di accertamento delle sanzioni del codice della strada non dovrebbero essere notificati presso le caselle di posta certificata assegnate dal consiglio dell’ordine professionale di appartenenza, in quanto “potenzialmente visibili anche da altri soggetti e/o collaboratori del professionista”.

Il 17 dicembre scorso, con Circolare n. 300/STRADA/1/10060.U/2021[FC1], il Ministero dell’Interno ha reso noto il parere del Garante in merito al tema delle notifiche via PEC dei verbali di contravvenzione del Codice della strada agli indirizzi di posta certificata degli studi professionali.

Il parere del Garante

Come si evince dal Parere del Garante, al fine di proteggere la riservatezza dei destinatari, i verbali di accertamento delle sanzioni del codice della strada non dovrebbero essere notificati presso le caselle di posta certificata assegnate dal consiglio dell’ordine professionale di appartenenza, in quanto “potenzialmente visibili anche da altri soggetti e/o collaboratori del professionista”.

Lo stop dovrebbe riguardare, più precisamente, le notifiche a caselle individuate attraverso ricerche massive sull’elenco pubblico INI-PEC.

La normativa di settore (D.M. 18/12/2017, circolare del 20 febbraio 2018, n. 300/A/1500/18/127/9), prosegue il Garante, prevede la possibilità di notificare via PEC le contravvenzioni del codice stradale ove l’indirizzo sia stato comunicato direttamente dall’interessato o sia reperibile nei “nei pubblici elenchi notificazioni e comunicazioni elettroniche”.

Ad oggi, tuttavia, l’unico elenco attivo in cui poter rintracciare gli indirizzi è il Registro INI-PEC, ovvero quello contenente i domicili digitali di imprese e professionisti, non essendo ancora operativo l’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese (INAD).

Tramite la ricerca nel registro INI-PEC, pertanto, è possibile individuare una casella riferibile al destinatario della contravvenzione che, essendo utilizzata in ambito lavorativo, risulta potenzialmente accessibile ad altri soggetti.

Pertanto, ribadendo quanto aveva già precedentemente affermato, con nota prot. n. 18521 del 20 maggio 2020, secondo l’Authority, le “ricerche massive e indiscriminate” di indirizzi nel registro INI-PEC sono da considerarsi illegittime e dovrebbe effettuarsi una valutazione specifica per singolo caso, al fine di valutare se tale casella possa essere ad uso esclusivamente personale o anche accessibile ad altri.

Alla luce dei numerosi reclami ricevuti e, in ossequio ai principi di minimizzazione dei dati, integrità e riservatezza sanciti all’art. 5 del GDPR, il Garante adotta quindi una misura estrema, stabilendo che, fino all’entrata in vigore dell’INAD, le violazioni non potranno essere notificate agli indirizzi PEC assegnati dagli Ordini professionali, poiché quest’ultimi potrebbero proprio rientrare nella fattispecie innanzi detta, ma solo tramite la classica notifica cartacea.

L’INAD e la facoltà di specifica dei professionisti

Tale problematica, a parere del Garante, potrà considerarsi risolta soltanto quando l’INAD diventerà pienamente operativo. Istituito ai sensi dell’art. 6-quater del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82/2005), l’INAD renderà finalmente effettivo il diritto, spettante a chiunque, di eleggere il proprio domicilio digitale. Al secondo comma, tuttavia, il Legislatore ha previsto che i domicili digitali dei professionisti iscritti all’INI-PEC siano automaticamente inseriti anche nell’INAD come domicili digitali in qualità di persone fisiche, fermo restando il diritto del professionista di eleggerne uno differente ad uso personale.

Come, altresì, chiarito da AgID nelle Linee guida del 15 settembre 2021, gli indirizzi e i nominativi dei professionisti trasferiti provvisoriamente nell’INAD, saranno poi resi pubblici ove   entro 30 giorni dall’inserimento i professionisti non avranno usufruito della propria facoltà di modifica. Sono doverose talune considerazioni in riferimento all’efficacia della notificazione con strumenti telematici, anche a seguito delle novità introdotte dal Decreto Semplificazioni n. 76/ 2020 convertito in Legge 120/2020 che riforma, tra gli altri, gli artt. 16 e 16 ter del DL n. 179/2012.

Alcune considerazioni sulla normativa

In particolare, proprio l’art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) prevede che nei procedimenti civili e in quelli davanti al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di PEC risultante da “pubblici elenchi” o comunque accessibili alle Pubbliche Amministrazioni.

Di seguito, il testo del comma 4 dell’art. 16: “Nei procedimenti  civili e in quelli davanti al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.”

Tale norma appare sufficiente per sottolineare l’efficacia della notifica mediante indirizzo PEC, anche dei professionisti iscritti ad albi, poiché la contingenza personale non è rinvenibile in alcuna norma. Tutt’al più è onere del titolare provvedere al rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali all’interno del proprio studio professionale o organizzazione garantendo quelle misure minime di sicurezza.

Inoltre, L’art. 16 ter d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) riformato dall’art. 28 d.l. n. 76/2020 ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, sono “pubblici elenchi” dai quali possono essere attinti gli indirizzi PEC dei destinatari delle notifiche telematiche quelli previsti dalle seguenti norme:

  • 6 bis CAD (rubricato Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti), il quale prevede la istituzione di un pubblico elenco denominato Indice nazionale dei domicili digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero dello sviluppo economico;
  • 6 quater CAD (rubricato Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese), che non risulta essere stato ancora istituito;
  • 62 CAD (rubricato Anagrafe nazionale della popolazione residente-ANPR), non ancora istituito. Al completamento dell’ANPR di cui all’art. 62, l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) provvede al trasferimento dei domicili digitali contenuti nell’elenco di cui all’art. 6 quater CAD nell’ANPR;
  • 16, comma 12, d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012), il quale prevede la istituzione di un registro, formato dal Ministero della giustizia, contenente gli indirizzi di PEC delle PP.AA., consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati;
  • 16 comma 6 d.l. n. 185/2008 (conv. con modif. dalla l. n. 2/2009) ovvero il Registro delle Imprese;
  • il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE), gestito dal Ministero della giustizia, il quale contiene i dati identificativi nonché l’indirizzo di PEC dei soggetti abilitati esterni (avvocati, curatori, CTU e ausiliari del giudice in genere);
  • 6 ter CAD (rubricato Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi), realizzato e gestito dall’AgID, ma solo in caso di mancata indicazione nell’elenco di cui all’art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012.

La notifica via PEC di un atto non inerente all’attività professionale

Già nel 2019, prima ancora dello slancio di digitalizzazione avuto con la crisi pandemica e le relative norme, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 24160 del 2019, ha ritenuto valida la notifica mediante PEC di un atto anche non inerente all’attività professionale. Difatti, la stessa Corte ha sostenuto la validità della notifica anche agli indirizzi risultanti dal registro INI- PEC in quanto deriverebbe da un fatto del tutto esogeno al procedimento notificatorio.

Non si può pensare, nelle more della piena attuazione di tali registri, di fare un passo indietro e ritornare al cartaceo. Sarebbe un bypassare norme del CAD e l’opera di digitalizzazione che si cerca di perfezionare da tempo. L’attenzione alla protezione del dato deve essere d’ausilio agli strumenti digitali.

È opportuno ricordare l’art. 48 del CAD che disciplina, al comma 2: “La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta.”

L’attenzione ricade perciò sugli effetti della notifica con trasmissione via PEC e, ove volessimo tralasciare le novità introdotte sui pubblici elenchi, appare assai restrittivo e non rinvenibile normativamente l’uso “di default” della PEC lavorativa ad altri soggetti quale presupposto per una limitazione del procedimento notificatorio.

Conclusioni

La posizione del Garante, decretando un ritorno alle forme ordinarie di notifica, risulta in palese contrasto con quanto previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale in merito al diritto al domicilio digitale e alla valenza giuridica della trasmissione telematica.

Viene da chiedersi per quale motivo l’Autorità abbia deciso di adottare un provvedimento che ostacola il processo di digitalizzazione che, ormai, da anni investe il nostro paese mettendo al centro l’utilizzo del domicilio digitale. Lo stesso Piano triennale per l’Informatica 2021-2023 ha come obiettivo principale un utilizzo centralizzato e di tutti i soggetti pubblici e privati del proprio domicilio digitale e della trasmissione telematica quale canale esclusivo.

Inoltre, l’inerenza o meno dell’atto notificato alla propria attività o professionalità del soggetto notificato presupporrebbe un accertamento sostanziale il cui espletamento non trova alcun riferimento normativo specifico e del tutto estraneo al procedimento di notifica inteso in senso stretto.

Tuttavia, l’indicazione del Garante sarebbe condivisibile solo qualora l’asserito utilizzo “promiscuo” della PEC del professionista fosse palesemente valutabile e ad ogni modo, si ribadisce il principio di accountability per cui è onere del titolare realizzare politiche e misure adeguate a garantire (ed essere in grado di dimostrare) che il trattamento dei dati personali effettuato sia conforme al GDPR.

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Notifica nulla se nella relata non è spiegato come e dove si è cercato il destinatario

Per la Corte Suprema di Cassazione, l’Ufficiale Giudiziario/Messo Comunale deve compiere ricerche effettive per notificare a mani o per verificare se esistono i presupposti per la notifica di cui all’art. 140 c.p.c.
La notifica è nulla se l’Ufficiale Giudiziario/Messo Comunale dichiara nella relata di aver compiuto ricerche che si sono rivelate vane, senza indicare però quali ricerche ha compiuto nel procedere alla notifica a mani o per accertare se sussistono i presupposti per provvedere alla notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. Questi i chiarimenti ribaditi dall’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione n. 40467/2021.
Un soggetto propone opposizione tardiva a un provvedimento d’ingiunzione ai sensi dell’art 650 c.p.c. prevista nei casi in cui l’intimato è comunque legittimato a opporsi anche “scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore.” Nel ricorso avanza anche domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento, che viene accolta dal Tribunale.
A tale decisione però si appella la s.r.l soccombente e la Corte Suprema di Cassazione adita lo accoglie perché ritiene tardiva l’opposizione al decreto ingiuntivo, condannando conseguentemente l’intimato al pagamento di una somma, oltre interessi. La Corte Suprema di Cassazione chiarisce che la notifica del decreto è stata eseguita alla residenza anagrafica del destinatario a mezzo del servizio postale, ma con esito negativo per irreperibilità del destinatario. In seguito, la notifica viene compiuta da un Ufficiale Giudiziario/Messo Comunale che dichiara che all’indirizzo si trovava uno stabile privo della portineria, il nome del destinatario non compariva sul citofono e neppure sulla cassetta postale per cui non poteva procedersi alla notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. e che vane si erano rivelate le ricerche del destinatario sul posto.
Notifica a cui la Corte Suprema di Cassazione riconosce validità in quanto, in mancanza di querela di falso, non può non riconoscersi valore alla dichiarazione con cui l’Ufficiale Giudiziario/Messo Comunale ha attestato l’avvenuto espletamento dell’attività di notifica e il vano esperimento delle ricerche effettuare sul posto, il tutto tra l’altro coerentemente alla precedente notifica a mezzo postale che ha avuto esito negativo a causa della irreperibilità del destinatario.
La decisione della Corte di Appello viene però impugnata dall’intimato soccombente, che solleva in particolare il seguente motivo.
Il ricorrente rileva che la dichiarazione delle vane ricerche dell’Ufficiale Giudiziario/Messo Comunale non era stata corredata dalla necessaria relazione in cui avrebbe dovuto dare conto delle ricerche effettivamente eseguite per eseguire la notifica a mani o ai sensi dell’art 140 c.p.c., spiegando per quali ragioni il destinatario doveva ritenersi trasferito altrove, visto che trattandosi di zona abitata sarebbe stato sufficiente chiedere notizie ai vicini. Non può ricorrere il caso d’ignoranza incolpevole anche perché il destinatario aveva residenza stabile all’indirizzo indicato nella notifica (come noto al notificante) dal quale era assente solo per motivi di lavoro.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso perché fondato, dichiarando conseguentemente assorbito il secondo motivo.
La Corte Suprema di Cassazione ricorda infatti che: “l’Ufficiale Giudiziario/Messo Comunale, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione. Il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’Ufficiale Giudiziario/Messo Comunale dia espresso conto (Cass. n. 24107 del 2016), il che vai quanto dire, come affermato da Cass. n. 18385 del 2003, che – l’Ufficiale Giudiziario/Messo Comunale debba comunque preliminarmente concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine – fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione.”


Buon Anno 2022


BUONE FESTE !!! 2021


Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 28-09-2021) 20-12-2021, n. 40758

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 35506/2018 proposto da:
P.L., elettivamente domiciliato in Roma Via Rosa Raimondi Garibaldi n. 141, presso lo studio dell’avvocato Petitta Leonardo, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Poste Italiane Spa;
– intimato –
avverso la sentenza n. 8823/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 03/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2021 da PORRECA PAOLO;
udito l’Avvocato;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale.
Svolgimento del processo
che:
l’avvocato P.L. conveniva in giudizio Poste Italiane, s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito di un indebito prelievo, ad opera di sconosciuti, dal suo conto corrente postale abilitato al servizio telematico “online”;
il Giudice di pace accoglieva la domanda, con pronuncia riformata dal Tribunale secondo cui l’evento di danno, non risultando un malfunzionamento del sistema telematico della società, non poteva addebitarsi alla convenuta, che aveva anzi avvisato la clientela di non inserire dati sensibili rispondendo ad “email” non verificate, dovendo invece ragionevolmente correlarsi all’incauta comunicazione, da parte del titolare del conto, delle credenziali di accesso a seguito della riferita ricezione e risposta a un’email” volta alla frode poi, infatti, posta in essere;
avverso questa decisione ricorre per cassazione P.L. sulla base di un unico motivo, corredato da memoria;
il processo è stato rinviato alla pubblica udienza con ordinanza n. 2755 del 2020 della sezione Sesta;
il Pubblico Ministero ha depositato memoria.
Motivi della decisione
che:
con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 31, “ratione temporis” applicabile, e dell’art. 2729 c.c., poiché il Tribunale avrebbe errato imputando al deducente la prova del mancato funzionamento del sistema telematico della convenuta, omettendo, al contempo, di evincere presuntivamente dai fatti la mancata predisposizione, da parte della medesima società, d’idonee misure volte a prevenire frodi come quella in esame, tenuto conto che, come risultato, in risposta all’evocata e non filtrata “email”, erano stati inseriti codice identificativo e “password” ma, prudentemente, non il codice di dieci cifre necessario all’operazione;
Rilevato che:
va dato atto che il ricorso è stato chiamato per l’udienza pubblica di discussione, non tenuta in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, siccome successivamente prorogato al 31 luglio 2021 dal D.L. 1 aprile 2021, n. 44, art. 6, comma 1, lett. a), n. 1), convertito dalla L. 28 maggio 2021, n. 76, nonché fino al 31 dicembre 2021, ma con eccezione delle udienze già fissate per i mesi di agosto e settembre 2021, dal D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, commi 1 e 2, quale convertito;
il ricorso è inammissibile;
l’atto risulta infatti notificato via p.e.c. al difensore dell’intimata, con accettazione, da parte del sistema, ma senza consegna per “casella piena”;
al contempo, l’intimata aveva eletto domicilio presso lo studio dell’avvocato Domenico Febbo, in Roma viale Europa n. 190;
il procedimento notificatorio avrebbe dunque dovuto riprendersi per tempo all’indirizzo di elezione;
come osservato esplicativamente nella richiamata ordinanza interlocutoria, questa Corte ha chiarito che una notificazione è validamente effettuata all’indirizzo p.e.c. del difensore di fiducia, quale risultante dal Reginde, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi dell’art. 16 sexies del D.L. n. 179 del 2012 – come convertito dalla L. n. 221 del 2012, e modificato dall’art. 47 del D.L. n. 90 del 2014, convertito a sua volta dalla L. n. 114 del 2014 – non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato (Cass., 24/05/2018, n. 12876);
se però la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione, come nel caso, non imputabile al notificante – essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., 20/05/2019, n. 13532, Cass., 21/03/2018, n. 8029) – il notificante stesso deve ritenersi abbia il più composito onere, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario (fisico) eletto, in un tempo adeguatamente contenuto (arg. ex Cass., Sez. U., 15/07/2016, n. 14594, che ha indicato il temine della metà di quello previsto dall’art. 325, c.p.c.; Cass., 19/07/2017, n. 17864, Cass., 31/07/2017, n. 19059, Cass., 11/05/2018, n. 11485, Cass., 09/08/2018, n. 20700);
la conclusione è in linea con il principio, recentemente ribadito, per cui dev’esser escluso che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass., 11/02/2021, n. 3557, pag. 5, in cui si richiamano: Cass. nn. 1982 del 2020, 2942 del 2019, 22892 del 2015);
solo in tal caso, dunque, potranno conservarsi gli effetti della originaria notifica: in tal senso, e misura, si può raccogliere l’affermazione di Cass., 18/11/2019, n. 29851, secondo cui, più in generale, in caso di notifica telematica effettuata dall’avvocato, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella p.e.c., pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dall’art. 137 c.p.c. e ss., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al (citato) D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, ultima parte, prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC);
parte ricorrente, nella memoria depositata prima del rinvio alla pubblica udienza, richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il titolare dell’account” di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della propria casella postale sicché, nel caso di notifica telematica di atti quali un rigetto di opposizione allo stato passivo, poi impugnato, o la comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione nel giudizio di legittimità, effettuati alla casella di posta elettronica e rifiutati dal sistema con il messaggio di “casella piena”, la notificazione ovvero comunicazione debbono ritenersi regolarmente avvenute giacché, una volta ottenuta dall’ufficio l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di p.e.c., diventa responsabile della gestione della propria utenza, avendo l’onere non solo di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, ma anche di attivarsi affinché i messaggi possano essere regolarmente recapitati (Cass., 21/05/2018, n. 12451, che cita Cass. n. 23650 del 2016, in cui poi la Cancelleria aveva effettuato la comunicazione dell’avviso di udienza anche via fax, preso atto dell’esito di “casella piena” della comunicazione via p.e.c.);
ritiene il Collegio che i principi in parola non siano dirimenti perché relativi a fattispecie diversa, in cui:
a) risultava indicato a tali fini l’indirizzo telematico;
b) soprattutto, non risultava effettuata una diversa elezione di domicilio fisico;
se, cioè, si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico sopra richiamato, ciò non può viceversa imporre al difensore destinatario della notifica, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia dato speculare valore al luogo elettronico di ricezione appositamente eletto;
e, parimenti, l’onere del notificante si articola come detto diversamente, dovendo tenersi congruo conto della specifica elezione di domicilio fisica;
pertanto, la notifica telematica al domicilio digitale sarà valida nell’ipotesi di avvenuta consegna, mentre, qualora vi sia una differente e specifica elezione di diverso domicilio (nell’odierna fattispecie, fisico), nell’eventualità di “casella telematica piena” (presso il domicilio digitale più sopra ricordato) per insufficiente gestione dello spazio da parte del destinatario della notifica, il notificante dovrà, per tempo, riprendere il procedimento notificatorio presso il domicilio eletto, e ciò a valere solo nel caso specificato, altrimenti non potendo sussistere alcun altro affidamento, da parte del notificatario, se non alla propria costante gestione della casella di posta elettronica, e nessun’altra appendice alla condotta esigibile dal notificante;
in senso opposto – per ritenere, cioè, la notifica perfezionata in ogni caso con il primo invio telematico, essendo addebitabile al destinatario lo stato di casella p.e.c. piena – si sono richiamati (cfr. Cass., 11/02/2020, n. 3164):
– il disposto di cui all’art. 149 bis c.p.c., comma 3, in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario;
– il D.M. n. 44 del 2011, art. 20, comma 5, in cui si stabilisce che “il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione”;
la prima norma appare, però, neutra ai fini in parola, prevedendosi, infatti, solo che “la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”;
seppure il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore deve potersi evolvere in una effettiva disponibilità da parte del destinatario suscettibile di essere dunque onerato di fare quanto necessario perché ciò avvenga, tale prospettiva ricostruttiva, ad avviso del Collegio, non tiene conto dei due elementi cui prima si è accennato:
i) il difetto di esclusività del domicilio digitale;
ii) la mancata elisione della prerogativa processuale di eleggere domicilio fisico con effetti alternativi;
diversamente, la previsione legale del domicilio digitale dovrebbe intendersi aver soppresso ad ogni fine e valenza la facoltà processuale di elezione di diverso domicilio (fisico), in assenza di una specifica norma in questo senso;
il disposto del D.M., poi, data la natura secondaria della fonte, non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di casella di p.e.c. satura la notificazione si abbia per perfezionata;
neppure decisivo appare l’art. 138 c.p.c., comma 2, che considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente a una notificazione di tale genere: la responsabilità, in ipotesi anche colposa, di lasciare la casella di p.e.c. satura, non può equivalere a un intenzionale rifiuto di ricevere notificazioni tramite essa, tanto più attesa l’alternativa elezione di domicilio fisico utilizzabile;
il punto di caduta ed equilibrio appena ricostruito appare inoltre il più coerente con la fase di transizione del regime processuale dalla dimensione fisica, intesa in senso tradizionale, a quella esclusivamente telematica;
in questa cornice, infine, non può ritenersi giustificato un ordine di rinnovo giudiziale della notificazione, che risulterebbe privo di legittimazione normativa a fronte, invece, dell’opposto principio di ragionevole durata del processo;
ne consegue, nella fattispecie in scrutinio, l’inammissibilità del ricorso; non deve disporsi sulle spese in assenza di difesa della controparte.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021