Legittima la notifica dell’atto impositivo al soggetto generato dalla trasformazione societaria

Nell’ipotesi di una trasformazione da società di persone a società di capitali, l’avviso di accertamento relativo a un periodo precedente alla trasformazione deve essere intestato e notificato alla società che nasce dopo la trasformazione.
Nel caso di trasformazione da società di persone a società di capitali, l’avviso di accertamento contenente le risultanze del controllo effettuato nel periodo in cui l’ente aveva la forma di società di persone, deve essere intestato e notificato alla società nata dalla trasformazione, in quanto soggetto subentrato in tutti i diritti e obblighi anteriori alla trasformazione.
Infatti, la trasformazione della società da un tipo ad un altro non si traduce nell’estinzione di un soggetto a favore di uno nuovo, configurando invece una vicenda modificativa ed evolutiva del medesimo soggetto, che non incide sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione.
Queste le conclusioni a cui è pervenuta la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 29119/2023.
La controversia riguarda il ricorso proposto da una società di capitali avverso avvisi di accertamento aventi ad oggetto il controllo della posizione fiscale riferito a periodi d’imposta in cui la società aveva la diversa forma di società in accomandita semplice.
Gli atti impositivi, infatti, scaturivano dal risultato di una verifica fiscale conclusasi con un p.v.c. che ha riguardato, in particolare, la documentazione bancaria e i rapporti commerciali della s.a.s.
Nelle more del procedimento la società si è trasformata in società a responsabilità limitata e in considerazione di tale trasformazione, l’avviso di accertamento relativo alla società in accomandita semplice è stato notificato alla s.r.l.
La società e i soci impugnavano gli atti impositivi lamentando, in primo luogo, il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che l’avviso di accertamento era stato emesso e notificato nei confronti della s.r.l. mentre la verifica fiscale riguardava la preesistente S.a.s. La CTR, a conferma della sentenza di prime cure, ha accolto il ricorso ritenendo che gli avvisi di accertamento fossero stati erroneamente emessi e notificati nei confronti della società di capitali frutto della trasformazione.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza della CTR, deducendo che la società nata dalla trasformazione conserva tutti i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione stessa, che fa semplicemente mutare l’organizzazione già esistente (Cass. 851/2000), la quale prosegue i rapporti processuali e sostanziali che ad essa fanno capo senza che si determini alcuna interruzione della vita sociale né l’estinzione della società (Cass. 5963/2001).
Ne consegue che l’avviso di accertamento afferente a un periodo di imposta anteriore alla trasformazione è correttamente notificato al legale rappresentante della società risultante dalla trasformazione stessa, non implicando, questa, alcun mutamento del soggetto passivo del rapporto tributario.


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 03/10/2023) 24/10/2023, n. 29438

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2287/2020 proposto da:

Garante per la protezione dei dati personali, difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

Comune di Tarvisio, difeso dall’avvocato David D’Agostini;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza del Tribunale di Udine n. 586/2019 del 24/10/2019;

Ascoltata la relazione del consigliere Dott. Remo Caponi nella camera di consiglio del 3/10/2023.

Svolgimento del processo
Nel dicembre 2017 l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali emanava nei confronti del Comune di Tarvisio due ordinanze ingiunzione di Euro 20.000 ciascuna, come sanzioni pecuniarie per la violazione ex art. 162, comma 2bis in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 19, comma 3 vigente al tempo. Infatti, una persona aveva segnalato (più volte) il permanere pubblicati di dati personali sul sito internet dell’albo pretorio comunale oltre il periodo di quindici giorni previsto dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124.

Il Comune proponeva dinanzi al Tribunale di Udine nei confronti dell’Autorità Garante opposizione avverso i due provvedimenti sanzionatori, facendo valere: (a) la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2 per notifica tardiva, cioè oltre il termine di novanta giorni dall’accertamento delle violazioni (quanto al primo provvedimento, n. (Omissis), la contestazione era avvenuta il (Omissis), dopo che il (Omissis) era stato comunicato al segnalante che non sarebbero stati adottati provvedimenti prescrittivi o inibitori; quanto al secondo provvedimento, n. (Omissis), la contestazione era avvenuta il (Omissis), dopo che il (Omissis) era stato comunicato al segnalante che non sarebbero stati adottati provvedimenti prescrittivi o inibitori); (b) la violazione del principio del ne bis in idem, poichè l’infrazione è unica; (c) la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2 poichè si tratta di una sola azione/omissione (la configurazione del software di pubblicazione on line dei provvedimenti del Comune); (d) la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 poichè il sito internet oggetto di segnalazione non era, nè era mai stato, di titolarità del Comune, nè gestito dal medesimo; (e) l’insussistenza della violazione contestata, posto che il termine di quindici giorni per la pubblicazione nell’Albo pretorio di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124 non è perentorio.

Il Tribunale ha accolto l’opposizione e annullato le ordinanze-ingiunzione poichè la violazione non sussiste, con compensazione delle spese legali.

Ricorre l’Autorità Garante con due motivi di ricorso. Resiste il Comune di Tarvisio con controricorso e ricorso incidentale con sette motivi, illustrati da memoria.

Motivi della decisione
1. – Il primo motivo censura D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152, comma 1bis e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10 che il Tribunale non abbia rilevato l’inammissibilità dei motivi di ricorso per omessa impugnazione dei provvedimenti dirigenziali di chiusura dell’istruttoria preliminare, che costituiscono ex art. 7 Regolamento 1/2007 provvedimenti amministrativi.

Il secondo motivo denuncia che la sentenza impugnata abbia violato le disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, secondo cui la diffusione di dati personali da parte di un soggetto pubblico è ammessa unicamente quando è prevista da una norma di legge o di regolamento, nel rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza. Si deduce la violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 19, comma 3, art. 11, comma 1, lett. d) (nella versione anteriore alla riforma ex D.Lgs. n. 101 del 2018 di adeguamento alla nuova disciplina Europea), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124 e D.P.R. n. 118 del 2000, art. 1.

2. – Il primo motivo è rigettato.

Gli atti di cui si lamenta la mancata impugnazione tempestiva (cioè, i provvedimenti dirigenziali di chiusura dell’istruttoria preliminare) rivestono carattere preliminare, non lesivo della sfera dell’ente che sarà solo in seguito destinatario delle sanzioni amministrative. Pertanto, non vi è interesse ad impugnare.

3. – Quanto al secondo motivo, esso si rivela parimenti infondato.

Censurata è la seguente parte della sentenza impugnata. Il Tribunale ha rilevato che si tratta di dati personali, ha osservato che la pubblicazione sull’albo pretorio è avvenuta sul fondamento del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124, comma 1 (pubblicazione delle delibere per quindici giorni) e della L. n. 69 del 2009, art. 32, comma 1 (sostituzione della pubblicazione cartacea con quella sui siti telematici), ha considerato che le finalità di trasparenza, conoscibilità e controllo dell’attività amministrativa sono da bilanciare con la tutela della riservatezza, che implica la necessità, la pertinenza e la non eccedenza del riferimento alla persona D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 11, comma 1, lett. d) e lett. e). Quanto all’asserita violazione del termine di quindici giorni, il Tribunale ha invocato a sostegno Cass. 20615/2016, che ha accertato il carattere non perentorio di tale termine.

La censura è argomentata essenzialmente in questi termini. Il Garante ha richiamato indicazioni di carattere generale sul trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web (cfr. le linee guida del 15/05/2014). Ha considerato che, quanto ai dati personali, in tali elenchi possono essere riportati solo quelli necessari ad individuare i soggetti interessati (nominativi e data di nascita). Il Garante osserva che non è giustificato diffondere ulteriori dati non pertinenti. Ne deduce che la sentenza è incorsa in errore nel ritenere che al caso di specie fossero estensibili i principi espressi da Cass. 20615/2016. Il punto decisivo – rimarca infine il Garante – è la sproporzionata esposizione della sfera personale dell’interessato, che deriva dalla pluriennale pubblicazione dei dati personali, a fronte di un termine di legge di due settimane.

4. – L’argomentazione della sentenza impugnata resiste bene alle critiche del Garante.

Nel rifarsi alle linee guida, la prima censura non coglie il bersaglio. E’ irrilevante sottolineare che i soggetti pubblici abilitati a pubblicare e diffondere sul web i dati devono riportare solo i dati necessari ad individuare i soggetti interessati, se non si allega specificamente che nel caso di specie il novero dei dati pubblicati abbia ecceduto quelli necessari al perseguimento del fine istituzionale.

In secondo luogo, il Tribunale ha correttamente richiamato a sostegno della propria decisione il precedente di Cass. 20615/2016. Nel caso sotteso a tale pronuncia, alcune persone avevano convenuto in un precedente giudizio un’amministrazione comunale, la quale si era costituita in giudizio sulla base di due delibere di giunta pubblicate sul sito internet istituzionale. Ad avviso degli attori il contenuto delle delibere violava il loro diritto alla riservatezza e pertanto convenivano di nuovo in giudizio il Comune con una correlativa domanda risarcitoria, accolta dal giudice di merito. Nell’annullare la sentenza, Cass. 20615/2016 ha osservato che la pubblicazione e la divulgazione di atti che determinino una diffusione di dati personali deve ritenersi lecita qualora prevista da una norma di legge o di regolamento, quindi per le finalità istituzionali dell’ente – mentre non ha carattere perentorio il termine previsto dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124 (“Tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante pubblicazione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge”). Ad abundantiam, a sostegno del carattere non perentorio del termine, Cass. 20615/2016 richiama il termine di cinque anni di durata della pubblicazione, previsto dal D.Lgs. n. 33 del 2013, art. 8 di riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

Il Garante mostra di ritenere che Cass. 20615/2016 non si attaglia, ma per dimostrarlo seleziona esattamente la parte della motivazione che è misurata sul caso sotteso a quel precedente e che è qui irrilevante. Viceversa, gli elementi rilevanti sono il fondamento legislativo del potere di pubblicazione, la necessità della pubblicazione per perseguire il fine istituzionale dell’ente, il carattere non perentorio del termine D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 124. Non si attaglia piuttosto Cass. 30981/2017 richiamata dal Garante. Tale pronuncia riguarda i dati sensibili, ma il Garante non argomenta se i dati della cui pubblicazione si tratta nel caso di specie siano sensibili.

Quanto alla doglianza relativa alla violazione del principio di non eccedenza sotto il profilo della protrazione temporale della esposizione al pubblico dei dati personali (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, lett. d vigente al tempo) il Garante non si confronta con il punto a tal riguardo centrale della motivazione: il Tribunale ha concluso il proprio ragionamento facendo proprio il dato emerso dalla relazione tecnica resa dal gestore del software che ha spiegato che la visibilità residua dei dati riguardanti la persona, anche dopo le segnalazioni del Garante e gli interventi eseguiti sulla piattaforma informatica (interventi sollecitati dal Comune, che attestano un atteggiamento collaborativo), fosse riferibile all’utilizzo di un meccanismo informatico, cioè la memorizzazione e l’utilizzo reiterato dell’indirizzo web (URL) della pagina pubblicata, utilizzato non da chiunque ma dal diretto interessato motivato a controllare il persistere della pubblicazione.

Nè infine aiuta il Garante il finale richiamo dottrinario al fatto che “l’identità più che come dato preesistente viene vista come processo, costantemente in atto, aperto ad una pluralità di esiti e continuamente esposto all’interferenza capillare e pervasiva, delle varie forme di potere sociale”. E’ superfluo ricordare che in tale dialettica tra la sfera della libertà e dell’autonomia del sè e l’incidenza del potere altrui – tratto di fondo dell’evo moderno – quest’ultimo può esercitare a seconda dei casi non solo un ruolo oppressivo o limitativo, ma anche cooperativo e proattivo. Tale è il profilo che entra specificamente in gioco nel caso di specie, in cui – ferma la necessità della pubblicazione per il fine istituzionale – il Comune ha dimostrato, nell’arco del procedimento amministrativo sollecitato dalla segnalazione al Garante, un atteggiamento cooperativo nell’adottare rimedi diretti a venire incontro al bisogno di tutela mostrato dal segnalante.

Il secondo motivo è rigettato e con ciò è rigettato il ricorso principale nel suo complesso.

5. – Quanto al ricorso incidentale, il primo motivo denuncia la mancata dichiarazione di decadenza dalle domande e dalle eccezioni ex art. 416 c.p.c. per tardività della costituzione in giudizio. Il secondo motivo denuncia, sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo, la determinazione del momento di accertamento della violazione quale dies a quo per il computo del termine L. n. 689 del 1981, ex art. 14, comma 2. In particolare, si censura che, pur essendo da tempo a conoscenza di tutti gli elementi necessari e utili alla valutazione, l’autorità abbia tardato notificare i provvedimenti di contestazione (si invoca Cass. 7681/2014 ove si soppesa anche l’interesse dell’autore della condotta a vedere concluso l’accertamento in tempi brevi). Il terzo motivo denuncia l’inosservanza del termine L. n. 689 del 1981, ex art. 14, comma 2. Il quarto motivo denuncia l’omesso esame circa fatto decisivo in relazione all’inosservanza del ne bis in idem nella contestazione di tante violazioni quanti sono stati i documenti pubblicati ovvero in numero pari alle segnalazioni ricevute. Il quinto motivo denuncia l’omesso esame circa fatto decisivo in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 1 (“(…) chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni (…) o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione (…) per la violazione più grave, aumentata sino al triplo”). In particolare, si fa valere che a monte vi è un’unica azione: la configurazione del software di pubblicazione on line dei provvedimenti del Comune. Il sesto motivo denuncia l’omesso esame circa fatto decisivo in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 3 (“(…) ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”), poichè il sito internet oggetto di segnalazione non era, nè era mai stato, di titolarità del Comune, nè gestito dal medesimo. Il settimo motivo censura ex art. 92 la compensazione delle spese disposta per la complessità della questione.

Il ricorso incidentale riveste carattere sostanzialmente condizionato all’accoglimento del ricorso principale e rimane pertanto assorbito.

6. – E’ rigettato il ricorso principale, è assorbito il ricorso incidentale. Le spese secondo la soccombenza sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna la parte ricorrente in via principale al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 4.500, oltre a Euro 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 11/10/2023) 19/10/2023, n. 29119

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. DE ROSA Maria L. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7485/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, domiciliata ope legis in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.

– ricorrente –

contro

D.M. C. Costruzioni Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, A.A., e B.B., rappresentati e difesi dall’avv. Cesare Glendi, elettivamente domiciliati in Roma alla via Alberico II n. 33, presso l’avv. Andrea Manzi.

– controricorrenti – avverso la sentenza n. 859 della Commissione tributaria regionale della Liguria, pronunciata in data 3 aprile 2014, depositata in data 29 luglio 2014 e non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2023 dal consigliere Dott. Andreina Giudicepietro.

Svolgimento del processo
CHE:

L’Agenzia delle entrate ricorre con un unico motivo contro D.M. C. Costruzioni Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, A.A. e B.B., che resistono con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria indicata in epigrafe, che ha rigettato gli appelli riuniti dell’ufficio contro le decisioni della Commissione tributaria provinciale di Genova, che avevano accolto i ricorsi dei contribuenti, ritenendo che gli avvisi di accertamento fossero stati erroneamente emessi e notificati nei confronti della D.M. C. Costruzioni Srl e dei soci, pur avendo ad oggetto il controllo della posizione fiscale per gli anni (Omissis) della D.M. C. Costruzioni Sas e dei soci di quest’ultima.

Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio dell’11 ottobre 2023, ai sensi degli art. 375, u.c., e art. 380 – bis. 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Il P.G. Francesco Salzano ha fatto pervenire conclusioni scritte con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione
CHE:

1.1. Con l’unico motivo, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2498 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente deduce che la società nata dalla trasformazione conserva tutti i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione stessa, che fa semplicemente mutare l’organizzazione già esistente (Cass. 851/2000), la quale prosegue i rapporti processuali e sostanziali che ad essa fanno capo (Cass. 5963/2001) senza che si determini alcuna interruzione della vita sociale nè l’estinzione della società. La trasformazione, dunque, non comporta l’estinzione della società preesistente e la nascita di una nuova società: è la stessa società che continua a vivere in una veste giuridica rinnovata e che conserva i diritti e gli obblighi anteriori a tale operazione.

Ne consegue che l’avviso di accertamento afferente a un periodo di imposta anteriore alla trasformazione è correttamente notificato al legale rappresentante della società risultante dalla trasformazione stessa, non implicando, questa, alcun mutamento del soggetto passivo del rapporto tributario.

1.2. Il motivo è fondato e va accolto.

La presente controversia concerne una serie di avvisi di accertamento, emessi per gli anni di imposta (Omissis) nei confronti della società, allora avente ragione sociale di società in accomandita semplice, nonchè, ex art. 5 T.u.i.r, nei confronti dei singoli soci, A.A. e B.B..

Gli atti impositivi sono il risultato di una verifica fiscale conclusasi con p.v.c. del 25.5.2010, che ha riguardato, in particolare, la documentazione bancaria e i rapporti commerciali della società DMC Costruzioni Sas di B.B. & C. con la ditta individuale MM Edilizia di C.C.. Successivamente all’emissione del p.v.c., in data 28.1.2010 la società D.M. C. Costruzioni Sas di B.B. & C., il cui socio accomandante era la Sig.ra A.A., si è trasformata in D.M. C. Costruzioni Srl , con legale rappresentante la stessa Sig.ra A.A.. In considerazione di tale trasformazione societaria, l’avviso di accertamento relativo alla società in accomandita semplice è stato notificato alla signora A.A. in qualità di legale rappresentante della D.M. C. Costruzioni Srl Con distinti ricorsi davanti alla C.t.p. di Genova la società e i soci impugnavano gli atti impositivi lamentando, in primo luogo, il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che l’avviso di accertamento era stato emesso e notificato nei confronti di DMC Costruzioni Srl in persona del legale rappresentante pro tempore A.A. e dei due soci, mentre la verifica fiscale riguardava la preesistente società DMC Costruzioni Sas di B.B. & C. Inoltre, i ricorrenti eccepivano ulteriori profili di illegittimità degli accertamenti, sia di carattere formale che di carattere sostanziale.

La C.t.r., con la sentenza impugnata, ha rigettato gli appelli riuniti dell’ufficio contro le decisioni della Commissione tributaria provinciale di Genova, che aveva accolto i ricorsi dei contribuenti, ritenendo il difetto di legittimazione passiva degli appellati, con il conseguente assorbimento di ogni altra questione.

Sul punto deve rilevarsi che l’art. 2498 c.c. dispone che “con la trasformazione, l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione”.

Dunque, poichè a seguito del processo di trasformazione, si ha un trasferimento integrale dei rapporti giuridici preesistenti, la notificazione di un avviso che contesti fatti gestionali verificatisi ante trasformazione deve necessariamente e correttamente essere intestato e notificato al soggetto risultante dalla trasformazione, in quanto soggetto subentrato in tutti i diritti e obblighi anteriori alla trasformazione.

In termini è la sentenza di questa Corte n. 4510/1981 che, con principio non più sottoposto a rivisitazione, ha affermato che “in ipotesi di trasformazione di una società in accomandita semplice in società di capitali, l’avviso di accertamento, per imposta di ricchezza mobile afferente un periodo anteriore a detta trasformazione, va notificato al legale rappresentante della società risultante dalla trasformazione stessa, tenuto conto che questa determina un semplice mutamento organizzativo dell’ente, senza incidere sui rapporti giuridici in atto”.

Successivamente, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio secondo cui “la trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorchè connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria” (ex multis, Cass. n. 7258/1990; n. 9569/2007; n. 21961/2010; n. 18373/2016; vedi anche Cass. n. 25846/2014, richiamata nella conclusioni scritte del P.G. e relativa proprio alle pendenze fiscali di una S.a.s.).

Ancora, con la sentenza n. 3269/2009, questa Corte ha ribadito che “la trasformazione di una società di persone in società di capitali non comporta l’estinzione di un soggetto e la creazione di un altro soggetto, ma la semplice modificazione della struttura e dell’organizzazione societaria, che lascia immutata l’identità soggettiva dell’ente ed immutati i rapporti giuridici ad essa facenti capo”, ritenendo la validità della notifica di una cartella di pagamento indirizzata alla società con la denominazione anteriore alla trasformazione, purchè non implicante una situazione d’incertezza sull’identificazione della parte stessa; tale considerazione presuppone l’assunto che, in caso di trasformazione, la notifica vada fatta, di regola, al soggetto risultante dalla trasformazione.

Va ulteriormente precisato che, nel caso in esame, gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci dipendono dalla imputazione per trasparenza dei redditi della società di persone, ex art. 5 T.u.i.r., applicabile anche alle società in accomandita semplice, forma che la società rivestiva negli anni oggetto di verifica fiscale.

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2023


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 11/07/2023) 18/10/2023, n. 28852

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2596/2021 R.G. proposto da:

A.A. TOURS Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Bernardo Barbiellini Amidei n. 45, presso lo studio dell’Avv. Chiara Iovine, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Aniello Pullano e Rosa-Anna Paloscia;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 409/2020 del TRIBUNALE DI FROSINONE, pubblicata il 17 giugno 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio tenuta il giorno 11 luglio 2023 dal Consigliere RAFFAELE ROSSI.

Svolgimento del processo
1. La A.A. tours Srl impugnò una comunicazione preventiva di iscrizione di fermo amministrativo su veicolo di sua proprietà notificata dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, emessa, tra l’altro, per la soddisfazione di un credito causalmente ascritto a sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada.

2. Svolto il giudizio in contraddittorio con l’agente della riscossione, la domanda attorea è stata disattesa in ambedue i gradi di merito.

3. Ricorre per cassazione la A.A. Tours Srl , affidandosi a sei motivi; non svolge difese in grado di legittimità l’intimata.

4. All’esito dell’adunanza camerale sopra indicata, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al comma 2 dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., si assume che il giudice territoriale abbia “erroneamente riferito il denunciato vizio della inesistenza della notifica dell’atto impugnato alla cartella di pagamento sottesa al preavviso di fermo e non al preavviso, come invece denunciato dalla A.A. tours”.

La doglianza è inammissibile e, comunque, infondata.

1.1. Inammissibile per carente esposizione del fatto processuale, requisito prescritto dall’art. 366, comma 1, num. 3, c.p.c..

L’impugnante lamenta, in sostanza, l’errata comprensione, ad opera del giudice di appello, dell’oggetto della domanda: ma di essa omette di riferire – per il tramite della trascrizione, nelle parti di interesse o comunque nei tratti essenziali, dei propri scritti difensivi nel ricorso di adizione di questa Corte – il contenuto in maniera compiuta ed idonea, mancando, in particolare, di precisare se la irregolarità della notificazione fosse stata lamentata con riferimento al preavviso di fermo oppure alla prodromica cartella.

Specificazione tanto più necessaria poichè la gravata sentenza, nella narrazione del fatto processuale, dà conto di vizi notificatori denunciati con riguardo tanto alla cartella quanto al preavviso.

1.2. Ad ogni buon conto, la censura è destituita di fondamento.

La pronuncia in parola ha infatti vagliato nel merito i vizi di regolarità formale di tutti gli atti della riscossione dedotti in lite; ha poi argomentato la irrilevanza delle nullità notificatorie per intervenuta sanatoria facendo richiamo alla conoscenza del destinatario evinta dalla impugnativa proposta contro l’atto, circostanza univocamente riferibile soltanto alla comunicazione preventiva di fermo.

2. Con il secondo motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 22 e 23 del codice dell’amministrazione digitale in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., si prospetta la giuridica inesistenza della notificazione, avvenuta a mezzo pec, per allegazione alla mail dell’atto in formato.pdf (copia per immagine su supporto informatico) e non già come documento informatico provvisto di firma digitale (.pdf nativo digitale).

2.1. Il motivo – sviluppato in maniera confusa ed aspecifica, dacchè a tratti riferito alla notificazione della cartella, a tratti alla notificazione del preavviso di fermo – è inammissibile.

Sul punto, il giudice territoriale ha ritenuto irrilevante la mancata allegazione della copia della cartella di pagamento con file “pdf nativo” sul rilievo che si trattava di “atto già notificato nell’anno 2017, e quindi ben noto all’opponente, che, per di più, non contesta affatto la sua difformità rispetto all’originale”.

L’argomentare del ricorrente non attinge criticamente la trascritta ratio decidendi: e tanto giustifica l’inammissibilità della doglianza.

2.2. Sol per dovere nomofilattico e nei limiti in cui il suo contenuto è dato evincere dalle modalità di formulazione della censura già rilevate ai fini della sua inammissibilità, si evidenzia la sua infondatezza.

Valorizzando le disposizioni dettate dal D.P.R. n. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 1, comma 1, lett. c), f) ed i-ter), e del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 20, questa Corte ha ripetutamente affermato che “la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”)”, ossia, appunto, un file in formato PDF (portable document format), con l’ulteriore precisazione, che “nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale” (testualmente Cass. 27/11/2019, n. 30948; conf., ex multis, Cass. 05/10/2020, n. 21328; Cass. 08/07/2020, n. 14402).

Donde vizio della notifica per tale ragione non è dato riscontrare.

3. Il terzo mezzo rileva nullità della sentenza per motivazione inesistente ed apparente ex art. 360, comma 1, num. 4, c.p.c., in relazione all’eccepito vizio della notifica per assenza della relata.

3.1. Il motivo è infondato.

Ricorre “motivazione apparente”, causa di nullità della sentenza, quando il giudice ometta di esporre i motivi, in fatto ed in diritto, della decisione, di rendere intellegibile l’iter logico seguito per pervenire al dictum reso, così impedendo la praticabilità di un controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento (sulla nozione di “motivazione apparente” cfr., tra le tantissime, Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 22/09/2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 21/06/2016, n. 16599; Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 23/05/2019, n. 13977).

Nella vicenda in parola, il giudice territoriale ha compiutamente risposto al rilievo della parte attrice: “quanto alla relata di notifica” ha considerato “il vizio sanato con la proposizione dell’opposizione, avendo l’atto raggiunto il suo scopo, specie qualora non sia contestata la provenienza dell’atto”.

Motivazione sintetica, ma adeguatamente sufficiente, poichè senza dubbio idonea a dare conto delle ragioni fondanti il dictum.

4. Con il quarto motivo, replicando in sostanza le deduzioni già poste a suffragio del secondo, il ricorrente assume violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 22 e 23 del codice dell’amministrazione digitale in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c.: nuovamente sostiene la giuridica inesistenza della notificazione, dacchè concretata nel caso dalla trasmissione di una mera scansione dell’atto, oltremodo priva della sottoscrizione digitale.

4.2. La doglianza è destituita di fondamento: valgano, a suffragio della conclusione, le argomentazioni già svolte sopra, sub p. 2.2., da intendersi qui integralmente riportate e trascritte, in uno agli operati richiami ai precedenti arresti nomofilattici.

5. Il quinto motivo censura l’operata liquidazione delle spese legali, per violazione del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Sull’assunto che il valore della controversia era pari ad Euro 1.066,20 (per essere l’impugnativa del fermo limitata alla sola cartella di pagamento per siffatto importo), l’impugnante rileva che i compensi liquidabili secondo i valori medi di tariffa (cui il giudicante aveva fatto richiamo) ammontano ad Euro 640, sicchè erronea risulta la quantificazione degli stessi in Euro 2.025 operata in sentenza.

5.1. La doglianza è inammissibile, ancora una volta per carente esposizione del fatto processuale, in trasgressione del disposto dell’art. 366, comma 1, num. 3, c.p.c..

La narrazione dello svolgimento della vicenda contenziosa compiuta nel libello introduttivo non consente a questa Corte – cui è precluso, per la natura del giudizio di legittimità ed altresì in considerazione del tipo di vizio dedotto, l’accesso ad altre fonti ed atti del processo – una chiara e sicura comprensione dell’esatto thema decidendum devoluto al giudice del merito e sul quale la gravata pronuncia ha statuito.

Più in particolare, la rappresentazione dei motivi dedotti a supporto dell’azione nel merito proposta genera non superabili incertezze circa la direzione della domanda di annullamento, cioè a dire se essa avesse ad oggetto la comunicazione di preavviso di fermo nella sua interezza (come sembrerebbe inferirsi da alcuni vizi denunciati, attinenti alla regolarità formale di tale atto nel suo complesso e, quindi, miranti ad una caducazione integrale dello stesso), oppure soltanto una cartella ad esso sottesa (cartella del valore di Euro 1.066,20, ovvero parte del credito totale azionato con il fermo, pari ad Euro 2.999,08).

Sul punto, non traendosi elementi dalla gravata sentenza, la mancata riproduzione, nel ricorso di adizione di questa Corte, delle conclusioni rassegnate nel giudizio di merito impedisce di poter apprezzare il valore della causa, parametro di determinazione della contestata liquidazione, e, quindi, in ultima analisi, di vagliare la fondatezza nel merito del motivo de quo.

6. Il sesto motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..

Ad avviso dell’impugnante, è errata la “condanna al pagamento” del raddoppio del contributo unificato per difetto dei presupposti, in specie poichè l’appello non è stato dichiarato nè inammissibile, nè improcedibile nè rigettato integralmente.

6.1. La doglianza è inammissibile.

Basti, sul tema, ribadire il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in ragione della inammissibilità o improcedibilità o dell’integrale rigetto della impugnazione, non ha natura di condanna – non riguardando l’oggetto del contendere tra le parti in causa – bensì la funzione di agevolare l’accertamento amministrativo sulla correlata obbligazione tributaria: la attestazione resa dalla sentenza non può pertanto formare oggetto di impugnazione, restando riservata alla competente sede del giudizio tributaria ogni contestazione ad opera delle parti circa i presupposti della debenza del c.d. doppio contributo (in tal senso, ex multis, Cass. 27/11/2020, n. 27131; Cass. 13/11/2019, n. 29424; Cass. 11/06/2018, n. 15166; Cass. 09/11/2016, n. 22867).

7. Rigettato il ricorso, non vi è luogo a provvedere sulle spese del grado, in ragione della indefensio della parte intimata.

9. Atteso il rigetto del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 11 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2023


Atto notificato per posta al portiere dello stabile

È nulla la notifica di un atto eseguita a mezzo del servizio postale con la consegna del plico al portiere dello stabile se nell’avviso di ricevimento non viene dato atto del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o dell’assenza delle persone abilitate alla ricezione (persona di famiglia, addetta alla casa o al servizio).

Così si è espressa la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 28093 del 5 ottobre 2023.

La Corte di Appello dichiarava inammissibile il gravame proposto da un avvocato avverso una sentenza del Tribunale per nullità della notifica dell’atto di appello eseguita a mezzo del servizio postale, in quanto eseguita in violazione degli artt. 3 e 11 della legge n. 53/94. Nullità che non era stata sanata dalla successiva rinnovazione.

Il plico era stato consegnato al portiere dello stabile dello studio del legale del domiciliatario della parte appellata e nell’avviso di ricevimento della raccomandata non risultava indicata la qualità del soggetto che aveva ricevuto l’atto, ma esclusivamente il nominativo di questo, privo di qualunque specificazione in ordine al suo rapporto con il destinatario.

Pertanto, il legale sottoponeva la questione all’esame della Corte Suprema di Cassazione deducendo, tra i motivi dell’impugnazione della sentenza della Corte di Appello, la violazione degli artt. 3 e 11 della legge n. 53 del 1994, dell’art. 156 c.p.c. in relazione all’art 160 c.p.c. e del principio della tassatività delle nullità.

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte Suprema di Cassazione, la quale nel rigettarlo ha osservato che:

  • in tema di notifica a mezzo del servizio postale, la legge n. 890/1982 consente, non diversamente da quanto dispone l’articolo 139 del c.p.c. per la notifica effettuata dall’ufficiale giudiziario, la ricezione dell’atto da parte di un soggetto diverso dal destinatario attraverso la previsione di una successione preferenziale tassativa e vincolante delle categorie di persone alle quali la copia deve essere consegnata, successione che presuppone la necessità, ai fini della validità della notifica, dell’assenza di coloro che si trovino in posizione di precedenza per giustificare la consegna a soggetti appartenenti alla categoria successiva;
  • l’ufficiale postale o l’ufficiale giudiziario deve dare atto nell’avviso di ricevimento o nella relata dell’assenza o rifiuto delle persone alle quali la copia deve essere consegnata;
  • l’assenza del destinatario e delle persona alle quali la copia deve essere consegnata in ordine preferenziale non può desumersi o ritenersi altrimenti implicata dalla consegna stessa del piego al portiere. Un tale ragionamento equivarrebbe a eludere l’attestazione e, con essa, la necessità di osservare l’ordine di preferenza nella consegna, che resterebbe di fatto vanificato.

Rimborso spese legali solo previo parere di congruità. Dipendente pubblico viene assolto

L’Amministrazione di appartenenza verifica se sussistono i presupposti per il rimborso, con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato il cui parere ha natura obbligatoria e vincolante

Il parere di congruità previsto dall’ art. 18 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con L. n. 135 del 1997 è obbligatorio e vincolante. Pertanto, le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti pubblici per fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza di assoluzione, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato (Consiglio di Stato, sentenza n. 7917/2023).

Un Carabiniere otteneva il rimborso delle spese di patrocinio legale sopportate per un procedimento penale – conclusosi con l’assoluzione – per fatti connessi all’esercizio delle proprie funzioni, nella misura complessiva di € 20.000,00.

Il Ministero della difesa impugnava tale decisione, sostenendo che il T.A.R., annullato il diniego di rimborso delle spese legali, non avrebbe potuto stabilirne il quantum, ma avrebbe dovuto rimetterne la determinazione all’Amministrazione, previa valutazione di congruità della competente Avvocatura erariale, in ragione del carattere obbligatorio e vincolante del parere di congruità previsto dall’art. 18 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con l. n. 135 del 1997.

Per il Consiglio di Stato, l’appello è fondato.

L’art. 18 sopra richiamato stabilisce, infatti, che “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato”.

In precedenti pronunce, il Consiglio di Stato aveva già chiarito che, nei casi di giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo.

L’art. 18 citato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso di tali spese e la loro congruità, con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato, il cui parere ha natura obbligatoria e vincolante.

Il parere deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 2009, n. 7722)”.

Pertanto, il T.A.R., dopo aver annullato il provvedimento di diniego, si sarebbe dovuto limitare a rimetterne la quantificazione all’Amministrazione, perché vi procedesse con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato.


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 19/12/2022) 05/10/2023, n. 28093

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al R.G.N. 2274/2018 proposto da:

AVV. A.A., in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA, 66, presso il proprio studio;

– ricorrente –

contro

MARCHIO COSTRUZIONI GENERALI Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6594/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/10/2017; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2022 dal Consigliere Dott. DIANORA POLETTI.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 6594/2017, la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile il gravame proposto dall’avvocato A.A. contro la sentenza emessa dal Tribunale di Roma n. 5561/2013 per nullità della notifica dell’atto di appello, siccome effettuata in violazione della L. n. 53 del 1994, artt. 3 e 11, non sanata dalla successiva rinnovazione.

Affermava la Corte che dall’esame di quanto depositato, unitamente all’atto di appello in rinnovazione, si evinceva che l’avvocato notificante, abilitato ai sensi della L. n. 53 del 1994, aveva compilato “”l’avviso di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito della raccomandata” (CAD)”, e non già l’avviso di ricevimento della raccomandata (intendi, quella integrante la notifica a mezzo del servizio postale: n.d.r.); e che, comunque, in tale avviso non risultava indicata la qualità del soggetto che aveva ricevuto l’atto, ma esclusivamente il nominativo di questo, privo di qualunque specificazione in ordine al suo rapporto con il destinatario.

Avverso tale decisione l’avv. A.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.

Marchio Costruzioni Generali Srl è rimasta intimata.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380-bis.1 c.p.c..

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione della L. n. 53 del 1994, artt. 3 e 11, dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 160 c.p.c., e del principio della tassatività delle nullità.

Sostiene che la prima notificazione dell’atto di appello, effettuata al difensore domiciliatario, notificazione in forza della quale era stata dichiarata la contumacia della società in allora appellata, era pienamente legittima, non rinvenendosi nella L. 53 del 1994, art. 3, alcuna prescrizione di riscontrare nella ricevuta di ritorno l’indicazione della qualifica del destinatario, stante la tassatività delle nullità e l’operatività di questo rimedio solo quando vi è incertezza sulla persona a cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data di notifica.

Inoltre, l’atto che dispone la rinnovazione della notifica, quando una rituale notifica vi sia già stata, deve ritenersi nullo ai sensi dell’art. 156 c.p.c..

2. – Con il secondo motivo il ricorrente espone la violazione di legge con riferimento agli artt. 156, 160, 162, 164, 183, 291 e 359 c.p.c..

Deduce che la ritenuta nullità della notifica, successiva alla declaratoria di contumacia, deve condurre alla rinnovazione della medesima, con termine da concedere all’appellante. La decisione è dunque illegittima per violazione dell’art. 156 c.p.c., che detta il principio di tassatività delle nullità e dell’art. 160 c.p.c., secondo cui la nullità opera solo in caso di incertezza assoluta sulla persona del destinatario. Nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, qualora l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento nello spazio appositamente riservato e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario stesso fino a querela di falso.

3. – I successivi tre motivi ripropongono le questioni di merito non esaminate dalla Corte di appello, che il ricorrente richiama per evidenziare l’interesse specifico all’annullamento della sentenza.

4. – Entrambi i suddetti motivi – da esaminare congiuntamente per la loro interconnessione – sono infondati, a stregua della documentazione così come depositata agli atti (che questa Corte è chiamata ad esaminare, essendo stato dedotto un error in procedendo), sebbene debba correggersi, ai sensi dell’art. 384, u.c., la motivazione della pronuncia impugnata.

4.1. – La Corte d’appello, sciogliendo la riserva espressa all’udienza dell’11.2.2014 (v. pag. 10 del ricorso), dichiarò la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, effettuata a mezzo del servizio postale dall’avv. A.A., per violazione della L. n. 53 del 1994, artt. 3 e 11, ne dispose per la rinnovazione e, all’esito, all’udienza del 28.10.2014 (v. pag. 11 del ricorso) dichiarò la contumacia della parte appellata. Salvo, poi, re melius perpensa revocare tale dichiarazione e decidere l’appello dichiarandone l’inammissibilità per le ragioni indicate supra in narrativa.

Due, pertanto, le questioni poste dal ricorso: a) se sia legittima la declaratoria di nullità della notifica dell’atto d’appello; e solo in caso affermativo, b) se sia stata, a sua volta, validamente rinnovata tale notificazione, in ottemperanza dell’ordine della Corte territoriale.

4.1.1. – Riguardo alla prima questione, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di notifica a mezzo del servizio postale la L. n. 890 del 1982, consente (non diversamente da quanto dispone l’art. 139 c.p.c., per la notifica effettuata dall’ufficiale giudiziario), la ricezione dell’atto da parte di un soggetto diverso dal destinatario attraverso la previsione di una successione preferenziale tassativa e vincolante delle categorie di persone alle quali la copia deve essere consegnata, successione che presuppone la necessità, ai fini della validità della notifica, dell’assenza di coloro che si trovino in posizione di precedenza per giustificare la consegna a soggetti appartenenti alla categoria successiva. E di tale assenza o rifiuto l’ufficiale postale (o l’ufficiale giudiziario) deve dare atto nell’avviso di ricevimento (o nella relata). Ne consegue che è nulla la notifica effettuata a mani del portiere dello stabile, allorquando la relazione dell’ufficiale postale non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o dell’assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale (persona di famiglia, addetta alla casa o al servizio) (così Cass. n. 6021/07).

Nè tale assenza può desumersi o ritenersi altrimenti implicata dalla consegna stessa del piego al portiere. Un siffatto ragionamento equivarrebbe a eludere l’attestazione di cui sopra e, con essa, la necessità di osservare l’anzidetto ordine di preferenza nella consegna, che resterebbe di fatto vanificato.

A sua volta, tale nullità può essere sanata (oltre che dalla costituzione della parte convenuta, anche) qualora sia provata la ricezione della raccomandata semplice, c.d. informativa, contenente la notizia dell’avvenuta notificazione. Quest’ultima, infatti, non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazioni a mezzo posta, ma solo al regolamento postale, sicchè, ai fini della sua validità, è sufficiente che il plico sia consegnato al domicilio del destinatario e che il relativo avviso di ricevimento sia sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale, non essendo necessario che da esso risulti anche la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario (v. Cass. nn. 24899/22 e 19795/17).

Nella specie, parte ricorrente ha depositato il duplicato dell’avviso di ricevimento della notificazione dell’atto d’appello, che risulta effettuata a mezzo del servizio postale con raccomandata a.r. n. (Omissis), sub n. reg. cronologico 144. Tale duplicato, rilasciato dall’ufficio postale il 6.2.2014, attesta che la ridetta raccomandata (indirizzata all’avv. Matteo Serva, difensore in primo grado della società convenuta in appello) è stata consegnata il (Omissis) “a firma: portiere dello stabile” (così, testualmente). Nella parte centrale di tale duplicato si rileva, inoltre, un timbro rettangolare ove si legge “Emessa racc.ta n. (Omissis) del (Omissis)”, nonchè, a lato, una stampigliatura verticale dicente “regolarizzato d’ufficio”.

In tale duplicato manca, per contro, qualsiasi attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o dell’assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale rispetto a quella del portiere.

E’ probabile che la raccomandata emessa sotto il n. (Omissis) in data (Omissis) altro non sia che la raccomandata semplice prevista in funzione informativa, non essendovi stata consegna diretta al destinatario. Ma non risulta affatto che essa sia stata ricevuta, per cui la nullità della notificazione, per le superiori ragioni indicate, permane e non può ritenersi sanata.

Nè ha pregio alcuno l’assunto del ricorrente secondo cui la notificazione è nulla, ai sensi dell’art. 160 c.p.c., solo se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta: la norma invocata, infatti, prevede quale causa di nullità anche l’inosservanza delle disposizioni circa la persona cui deve essere consegnata la copia dell’atto.

4.1.2. – Quanto alla seconda questione, va premesso che è nulla la notifica dell’atto d’appello a mezzo del servizio postale ove nella relazione di notificazione sia indicato solo il nome del consegnatario ma non il suo rapporto con il destinatario, a meno che l’appellante non deduca e dimostri la sussistenza, tra consegnatario e destinatario, di uno dei rapporti richiesti dalla legge per la validità della notificazione (cfr. Cass. nn. 4400/08, 4942/94, 304/73 e 2475/72).

Nella specie, si rileva che la ricevuta di ritorno della raccomandata a.r. n. (Omissis), contenente l’atto di citazione in rinnovazione, oltre ad essere stata redatta sul diverso modulo previsto per la “comunicazione di avvenuto deposito” di atto giudiziario, reca la sottoscrizione del ricevente (B.B., persona diversa dal destinatario), ma non anche la specificazione della qualità rivestita.

Nè vale il richiamo, operato da parte ricorrente, a S.U. n. 9962/10, che concerne una fattispecie del tutto diversa. Infatti, detto precedente afferma che nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla “firma del destinatario o di persona delegata”, e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dalla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 2 (corsivo di questo estensore), la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, a nulla rilevando che nell’avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all’art. 160 c.p.c..

Nel caso di specie, invece, è indiscusso e indiscutibile che la consegna sia avvenuta a mani non del destinatario (avv. Matteo Serva), ma di un altro soggetto, di cui, però, l’avviso di ricevimento non indica la qualità.

5. – Il rigetto dei primi due motivi assorbe l’esame dei restanti, peraltro di per sè inammissibili, in quanto aventi ad oggetto questioni rimaste assorbite nel grado d’appello.

6. – Il ricorso è, dunque, respinto.

7. – Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

8. – Segue il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2023


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 19/12/2022) 28/09/2023, n. 27540

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo – Consigliere –

Dott. POLETTI Dianora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al R.G.N. 4468/2018 proposto da:

A.A., rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICA MONTESI, giusta procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE, 44, presso lo studio dell’avvocato AGNESE LATERZA CRISTOFARO, rappresentato e difeso in proprio e dall’avvocato FRANCESCO MARIA D’ACUNTO, giusta procura speciale in atti;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di RAVENNA, depositata il 26/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2022 dal Consigliere Dott. DIANORA POLETTI.

Svolgimento del processo
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., l’avv. B.B. chiedeva al Tribunale di Ravenna la condanna di A.A. al pagamento dei corrispettivi professionali conseguenti all’attività di rappresentanza e assistenza legale svolta in suo favore nel procedimento iscritto al r.g. n. 2697/2009 promosso dai coeredi C.C. e D.D. davanti al Tribunale di Napoli, conclusosi con transazione del (Omissis).

A.A. rimaneva contumace.

2. Con ordinanza del 26/11/2016 il Tribunale di Ravenna liquidava al ricorrente, per l’attività professionale svolta in favore di A.A., il compenso di Euro 14.442,00 oltre al 15% per spese generali, Iva e contributi di legge, al lordo dell’acconto già versato di Euro 3.000,00, oltre agli interessi legali della domanda al soddisfo e alle spese del procedimento.

3. Avverso tale ordinanza A.A. ha proposto ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., notificato il 19.1.2018, basato su un unico motivo.

4. L’avv. B.B. ha resistito con controricorso, corredato da memoria depositata in prossimità dell’udienza, insistendo nella dichiarazione di inammissibilità del ricorso per tardività dello stesso.

Motivi della decisione
1.- Con l’unico motivo del ricorso A.A. deduce la nullità della notificazione del ricorso introduttivo ex art. 702 bis c.p.c. del procedimento iscritto al R.G. n. 761/2016 presso il Tribunale di Ravenna e la nullità della notificazione dell’ordinanza in forma esecutiva ai fini dell’idoneità a far decorrere il termine breve per la proposizione del mezzo di gravame, per violazione e falsa applicazione degli artt. 138, 139, 140 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stata la stessa eseguita presso la sua residenza anagrafica in assenza del requisito della temporanea/precaria assenza della resistente, senza aver tenuto conto della residenza effettiva e/o del domicilio effettivo.

Sostiene la ricorrente che in data (Omissis) (data del mancato ritiro entro il decimo giorno del ricorso introduttivo iscritto al RGN 761/2016 del Tribunale di Ravenna) la stessa non aveva la residenza effettiva in (Omissis), bensì a (Omissis), nonchè era in carica – svolgendo attività di magistrato – presso la Corte di Appello di Milano, per cui la notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., a (Omissis) nella residenza anagrafica doveva essere dichiarata nulla. Di conseguenza, la nullità dell’intero procedimento e dell’ordinanza impugnata.

Analogamente, sostiene, è nulla la notificazione dell’ordinanza impugnata in forma esecutiva, formulata ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso straordinario per Cassazione.

Aggiunge la ricorrente di essere venuta a conoscenza del procedimento di cui è causa solo nel mese di (Omissis), in occasione dell’inizio delle trattenute sulla sua retribuzione a seguito del pignoramento presso terzi avviato dall’avv. B.B..

2.- Il motivo è fondato e merita accoglimento.

In primo luogo, è priva di pregio è l’eccezione del controricorrente che invoca l’avvenuta decorrenza del termine “lungo” semestrale dal deposito dell’ordinanza anche per la proposizione del ricorso straordinario per cassazione, e dunque la tardività dello stesso. Infatti, la disposizione dell’art. 327 c.p.c., comma 1, non si applica, per l’espressa previsione di cui al comma 2 del medesimo articolo, nel caso in cui la parte contumace dimostri la ricorrenza di due presupposti, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo, consistenti nel non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa.

Presupposti, entrambi, che ricorrono nella specie, per le ragioni che seguono.

La costante giurisprudenza di questa Corte, con riguardo alla notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., presso la residenza anagrafica del destinatario dell’atto, in realtà dimorante stabilmente altrove, ha affermato che la notifica deve ritenersi correttamente eseguita solo qualora non possa addebitarsi al notificante l’inosservanza dell’obbligo di ordinaria diligenza nell’accertamento dell’effettiva residenza del destinatario della stessa (v. Cass. n. 19473/2007, n. 16941/2003, n. 2230/1998, n. 10248/1991). E’ stato precisato che la notificazione eseguita, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non è valida anche se effettuata nel luogo di residenza del destinatario risultante dai registri anagrafici, nell’ipotesi in cui questi si sia trasferito altrove e il notificante ne abbia conosciuto, ovvero con l’ordinaria diligenza avrebbe potuto conoscerne, l’effettiva residenza, dimora o domicilio, dove è tenuto ad effettuare la notifica stessa, in osservanza dell’art. 139 c.p.c. (Cass. n. 30952/2017; 11369/2006; n. 16941/2003; v. anche Cass. n. 3590/2015; n. 30952/2017).

L’orientamento tiene conto dell’efficacia meramente presuntiva delle risultanze anagrafiche: è stato infatti riconosciuto che “la circostanza secondo la quale nell’indirizzo risultante dai registri anagrafici si trovi la residenza effettiva del destinatario costituisce mera presunzione superabile con qualsiasi mezzo di prova, in quanto non coperta dalla fidefacenza della relata” (Cass. n. 4274/2019).

Inoltre, la prova della mancata conoscenza del processo a causa della nullità della notifica della citazione può essere fornita, a sua volta, mediante l’impiego di presunzioni (giurisprudenza anch’essa costante di questa Corte: cfr. ex multis nn. 26427/17 e 19225/07).

Nel caso di specie, tanto la nullità della notifica della citazione quanto la prova della mancata conoscenza del processo a causa di ciò, si traggono dal fatto che l’effettiva residenza, dimora o domicilio della A.A. in luogo diverso dalla residenza anagrafica era ed è agevolmente ritraibile dall’attività di magistrato svolta dalla medesima in altra sede, circostanza, questa, di cui l’avv. B.B. era a perfetta conoscenza, come si ricava dalle dichiarazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio, riportate a pag. 7 del ricorso.

Se ne deve trarre, pertanto, sia la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di merito, sia la prova, di tipo presuntivo, che l’odierna ricorrente non abbia appreso del procedimento a causa di tale nullità.

3.- In conseguenza dell’accoglimento del motivo, l’ordinanza impugnata deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Ravenna, in altra composizione collegiale, che provvederà a decidere nuovamente la causa nel merito e a regolare anche le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Ravenna, in diversa composizione collegiale, anche per le spese del presente giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2023


Circolare 2023-001: Modalità di notifica ai sensi dell’art. 139 C.p.c.

Circolare A.N.N.A. N. 1-2023

È consuetudine dell’Associazione monitorare le sentenze in modo da avere l’opportunità di cogliere i principi desumibili dall’insieme delle decisioni rese dagli organi giurisdizionali, in pratica l’indirizzo che la giurisprudenza adotta quale interprete delle leggi vigenti.

In questo ambito, avendo ricevuto, in diverse occasioni, sollecitazioni atte a dirimere i dubbi, nell’ambito dell’attività di notifica dei messi comunali e notificatori circa le problematiche che emergono quando ci si ritrova nella circostanza per la quale il soggetto destinatario è temporaneamente assente dall’abitazione, nella quale si rinviene una persona che si qualifica come famigliare o come convivente di fatto dello stesso destinatario, tenteremo, di seguito, di dare organicità alla questione.

La domanda che ci si pone è relativa alla possibilità che sia considerata valida la notifica a familiare non convivente ma anche come sia possibile per il messo comunale o notificatore stabilire se il soggetto a cui affida il plico sia davvero una persona di famiglia o meno.

Cercheremo, di seguito, di riportare le principali sentenze in materia che, è opportuno rilevarlo, non hanno un indirizzo univoco, anche se, tendenzialmente, la Corte Suprema di Cassazione pare orientata a garantire la consegna dell’atto, in virtù del principio secondo cui il termine individuato nell’articolo 139 del Codice di procedura civile deve essere inteso nel senso che appartenga ad uno “dei soggetti legati allo stesso destinatario da vincoli di sangue o di parentela, comportanti diritti e doveri reciproci e che implicano la presunzione della successiva consegna al destinatario”.

Salvo che “accetti l’atto senza riserve, la validità della notificazione può essere esclusa solo se il notificando, che assume di non avere ricevuto l’atto, dia la dimostrazione che la presenza del familiare in casa era del tutto occasionale e momentanea”.

Ma andiamo con ordine riportando per esteso il dettato dell’articolo 139 del C.P.C.

Se non avviene nel modo previsto nell’articolo precedente, la notificazione deve essere fatta nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio

Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace.

In mancanza delle persone indicate nel comma precedente, la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda e, quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla.

Se la copia è consegnata al portiere o al vicino, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione di notificazione, specificando le modalità con le quali ne ha accertato l’identità, e dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata.

Se il destinatario vive abitualmente a bordo di una nave mercantile, l’atto può essere consegnato al capitano o a chi ne fa le veci.

Quando non è noto il comune di residenza, la notificazione si fa nel comune di dimora, e, se anche questa è ignota, nel comune di domicilio, osservate in quanto è possibile le disposizioni precedenti.

L’articolo in argomento ha lo scopo di garantire che la notifica degli atti venga effettuata quando questa non può avvenire in mani proprie ai sensi del precedente articolo 138. Quindi vengono prescritte determinate modalità relative sia ai luoghi dove ricercare il destinatario, come la residenza, la dimora o il domicilio, sia alle persone abilitate a ricevere l’atto, i c.d. consegnatari.

Questi ultimi soggetti permettono che in ogni caso sia assicurato il conseguimento dello scopo della conoscenza legale in mancanza della persona fisica destinataria.

Si rileva come, finora, dottrina e giurisprudenza intendano la successione rigida dei luoghi in cui effettuare la ricerca quindi nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, quindi nel comune di dimora, e, se anche questa è ignota, nel comune di domicilio, osservate in quanto è possibile le disposizioni precedenti.

Ricordiamo, ancora, che in ogni caso è affetta da nullità la notifica eseguita in un comune differente da quelli indicati nell’articolo 139, salvo che venga effettuata a mani proprie del destinatario ai sensi del citato art. 138 c.p.c. ed in un luogo ove il soggetto attivo della notificazione, (ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore etc.) abbia competenza territoriale.

Prima di addentrarci in modo più incisivo sul dispositivo dell’articolo 139 c.p.c. sopra riportato occorre chiarire che il disposto normativo, per quanto riguarda il messo comunale o notificatore, così come rinviene, riguarda la notificazione di atti in materia amministrativa, quindi sanzioni amministrative, ordinanze sindacali o dirigenziali, atti di accertamento in materia di tributi locali etc.

La legge, infatti, dispone differenti modalità, qualora la categoria degli atti destinati a notificazione sia governata da una normativa speciale che, partendo dal contenuto delle norme procedurali civilistiche, dispone, di volta in volta, differenti modalità di comportamento.

A titolo di esempio ricordiamo che, per quanto concerne la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, quindi il caso degli avvisi di accertamento relativi all’imposta sui redditi, emanati dall’Agenzia delle Entrate, l’articolo 60 del D.P.R. 29 settembre 1973 N. 600 che regolamenta tale speciale materia, pur rinviando alla disciplina del codice di procedura civile, richiede, a differenza di quanto disposto dall’art. 139 c.p.c., anche ove l’atto sia consegnato nelle mani di persona di famiglia, l’invio della raccomandata informativa quale adempimento essenziale della notifica che sia eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte.

Ancora differente il disposto dell’art. 7 della Legge 20 novembre 1982, n. 890 in materia di notificazione a mezzo della posta, c.d. atti giudiziari, laddove si stabilisce che (comma 2°):

2. Se la consegna non può essere fatta personalmente al destinatario, il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purché il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia età inferiore a quattordici anni. In mancanza delle persone indicate al periodo precedente, il piego può essere consegnato al portiere dello stabile ovvero a persona che, vincolata da rapporto di lavoro continuativo, è comunque tenuta alla distribuzione della posta al destinatario.

Mentre il comma 3° indica che:

“3. L’avviso di ricevimento e di documenti attestanti la consegna debbono essere sottoscritti dalla persona alla quale è consegnato il piego e, quando la consegna sia effettuata a persona diversa dal destinatario, la firma deve essere seguita, su entrambi i documenti summenzionati, dalla specificazione della qualità rivestita dal consegnatario, con l’aggiunta, se trattasi di familiare, dell’indicazione di convivente anche se temporaneo. Se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell’atto, l’operatore postale dà notizia al destinatario medesimo dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata. Il costo della raccomandata è a carico del mittente”.

Così che, in questa fattispecie, la Corte Suprema di Cassazione Civile con Ordinanza 15 settembre 2021 n. 24880 ha stabilito, fra l’altro che “La consegna del plico al famigliare nel caso di notificazione a mezzo del servizio postale è valida se il famigliare convive, anche temporaneamente, con il destinatario. Questo rapporto di convivenza può essere presunto se il famigliare si trova nell’abitazione del destinatario e riceve l’atto e Il destinatario ha l’onere di provare la non convivenza per contestare la notificazione”.

Quindi l’esortazione è quella di porre particolare attenzione sia al momento della procedura nella quale ci si trova, presso uno dei luoghi deputati ed effettuare la notificazione, nel caso in cui non sia possibile effettuare la consegna a mani proprie ai sensi dell’ articolo 138 Codice Procedura Civile, ma anche tenendo conto della categoria degli atti destinati a notificazione nonché dello strumento che si sta utilizzando, quindi, laddove si proceda a mani o utilizzando il disposto della Legge 20 novembre 1982, n. 890 perché, come abbiamo visto, esistono differenze che, mal interpretate, possono portare alla nullità della procedura di notificazione.

Così come occorre porre attenzione nella redazione della relazione di notificazione da cui deve emergere che, il ricorso all’articolo in argomento deriva dall’impossibilità di procedere mediante consegna a mani proprie ed, ancora, come, nel caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale notificante deve dare atto, oltre che dell’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, pena la possibile dichiarazione di nullità della procedura. Conseguentemente deve intendersi nell’ultima delle eventualità qualora anche il portiere manchi nell’effettuare la consegna al vicino di casa che accetti di ricevere. Infine, si rammenta che anche la mancanza della spedizione della prevista raccomandata prevista in caso di consegna al portiere ed al vicino di casa che accetti di ricevere è parimenti causa di nullità, rammentando quanto sopra riportato nell’eventualità in cui sia la legge speciale a governare la notifica dell’atto. Quindi, per inciso, quando si applichi il disposto dell’art. 60 D.P.R. 600/1973, anche ove l’atto sia consegnato nelle mani di persona di famiglia, l’invio della raccomandata informativa è adempimento essenziale della notifica.

Alle persone di famiglia, secondo la dottrina vigente, devono intendersi equiparati gli affini. Da notare che la norma non richiede necessariamente la sussistenza di un rapporto di convivenza tra la persona di famiglia ed il destinatario dell’atto, con la conseguenza che, se il soggetto attivo nella notificazione (ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore etc.) trovi un soggetto che a lui si qualifica come familiare, nell’abitazione del destinatario e questi accetti di ricevere l’atto, senza riserve, si presume la validità della notifica. Ovvero l’esistenza della presunzione giuridica che ammette una prova contraria, prevede cioè solo una inversione dell’onere della prova in conseguenza delle dichiarazioni rese allo stesso soggetto che sta effettuando la notificazione (ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore etc.). Indubbiamente, questo non vale, con conseguente nullità della notifica, nel caso in cui la stessa sia eseguita presso la residenza, domicilio o dimora del familiare, non coincidente con quella del destinatario.

Di seguito riportiamo quindi le principali sentenze che possono aiutare l’attività del messo comunale o notificatore nel caso in cui debba ricorrere all’applicazione dell’articolo 139 Codice di Procedura Civile:

Corte Suprema di Cassazione, civile sez. III, 1° aprile 1992 n. 3936

La notificazione mediante consegna a persona di famiglia, ai sensi dell’art. 139 c.p.c. non postula necessariamente un rapporto di convivenza con il destinatario dell’atto, intendendosi il termine di “convivenza” nello stretto senso di appartenenza allo stesso nucleo familiare, considerato che l’espressione adottata dal citato art. 139, comma 2 è comprensiva non solo delle persone in rapporto di stabile convivenza con il destinatario, ma anche dei soggetti legati allo stesso destinatario da vincoli di sangue o di parentela, comportanti diritti e doveri reciproci e che implicano la presunzione della successiva consegna al destinatario. Ne consegue che ove la persona di famiglia trovata dall’ufficiale giudiziario nella casa di abitazione del destinatario accetti l’atto senza riserve, la validità della notificazione può essere esclusa solo se il notificando, che assume di non avere ricevuto l’atto, dia la dimostrazione che la presenza del familiare in casa era del tutto occasionale e momentanea.

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. VI-5, sentenza n. 3906 del 12 marzo 2012

In tema di notificazioni, la dimostrazione dell’insussistenza del rapporto di parentela tra il destinatario dell’atto e la persona che risulti indicata come consegnataria nella relata di notifica può essere offerta mediante prova documentale, riguardando un’attestazione che non è frutto della diretta percezione dell’ufficiale giudiziario procedente, ma di notizie a questo fornite, e non è, quindi, assistita da fede privilegiata; tuttavia, non è sufficiente, al fine di negare validità alla notificazione, la produzione di uno stato integrale di famiglia, il cui contenuto non esclude il rapporto di parentela.

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 322 del 11 gennaio 2007

L’art. 139 c.p.c., consentendo la consegna della copia dell’atto da notificare a persona di famiglia del destinatario, per l’ipotesi in cui non sia stata possibile la consegna nelle mani di quest’ultimo, non impone all’ufficiale giudiziario procedente di svolgere ricerche in ordine al rapporto di convivenza indicato dalla suddetta persona con dichiarazione della quale viene dato atto nella relata di notifica, incombendo, invece, a chi contesta la veridicità di siffatta dichiarazione di fornire la prova del contrario.

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 23368 del 30 ottobre 2006

In tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare «a persona di famiglia» secondo il disposto dell’art. 139 c.p.c., non postula necessariamente né il solo rapporto di parentela — cui è da ritenersi equiparato quello di affinità — né l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la «persona di famiglia» consegnerà l’atto al destinatario stesso; resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l’atto l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo.

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 16164 del 28 ottobre 2003

In caso di notificazione ai sensi dell’art. 139, secondo comma, c.p.c., la qualità di persona di famiglia o di addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda di chi ha ricevuto l’atto si presume iuris tantum dalle dichiarazioni recepite dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica, incombendo sul destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria ed, in particolare, di allegare e provare l’inesistenza di alcun rapporto con il consegnatario, comportante una delle qualità su indicate, ovvero la occasionalità della presenza dello stesso consegnatario. Per tale forma di notificazione non è necessario l’ulteriore adempimento dell’avviso al destinatario, a mezzo lettera raccomandata, dell’avvenuta notificazione, come è invece previsto, al quarto comma dello stesso art. 139, in caso di consegna al portiere o al vicino di casa. La qualifica di “coadiuvante” attribuita nella relata di notifica alla persona consegnataria dell’atto va ritenuta espressione equivalente a quella di “addetta alla casa”, con la quale l’art. 139, secondo comma, c.p.c. fa riferimento a peculiari rapporti sostanziali, anche di natura provvisoria o precaria, fra consegnatario e destinatario dell’atto, che facciano presumere, indipendentemente dall’espressione letterale utilizzata nella relata, che il secondo venga successivamente edotto dal primo dell’avvenuta notifica.

Cass., Sez. Un., 30 maggio 2005, n. 11332

In caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale notificante deve dare atto, oltre che dell’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, onde nel riferire al riguardo, sebbene non debba necessariamente fare uso di formule sacramentali né riprodurre testualmente le ipotesi normative, deve, non di meno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dal comma 2 dell’articolo 139 del c.p.c., la successione preferenziale dei quali è nella norma tassativamente stabilita. È nulla, pertanto, la notificazione nelle mani del portiere quando la relazione dell’ufficiale giudiziario non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento delle persone indicate nella norma citata.

Ovviamente abbiamo detto che la consegna, ai c.d. consegnatari, effettuata ai sensi dell’art. 139 c.p.c. deve tenere conto di determinate modalità relative sia ai luoghi dove ricercare il destinatario, come la residenza, la dimora o il domicilio, sia alle persone abilitate a ricevere l’atto, i c.d. consegnatari, tanto che possiamo, di seguito, leggere una sentenza che chiarisce in modo indiscutibile come la consegna al di fuori di uno dei luoghi deputati, pur effettuata ad un ipotetico soggetto idoneo a ricevere sia causa di nullità:

Corte Suprema di Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 19218 del 14 settembre 2007

In tema di notificazioni, nel procedimento disciplinato dagli artt. 138 e 139 c.p.c., che è imperniato sulla consegna diretta della copia dell’atto al destinatario, la consegna della copia a persona la cui presenza in casa sia occasionale (nella specie, a persona che si assumeva «coniuge di fatto» del destinatario e in un luogo diverso da quello ove quest’ultimo aveva il domicilio o la dimora) — pur non richiedendosi che sia legata a lui da rapporto di parentela o di stabile convivenza — non è assistita dalla presunzione di consegna al destinatario stesso e non consente il perfezionamento della notifica, che deve ritenersi quindi nulla, salva la sanabilità di tale nullità con la costituzione in giudizio della parte o con la mancata deduzione di essa con l’atto di impugnazione.

Riassumendo, vediamo quindi che la regola definisce che il soggetto attivo della notificazione si rechi a casa del destinatario per notificare un atto, quindi questo sia consegnato direttamente nelle mani del destinatario.

Se questi, però, dovesse essere temporaneamente assente, la notifica può essere fatta a una persona di casa. Con «persona di famiglia» si intende un familiare convivente con più di 14 anni e che non sia palesemente incapace di intendere e volere.

Il coniuge non è compreso tra i parenti o affini e va aggiunto a parte. Si pensi che il rapporto di coniugio trascina con sé quello di unione civile e convivenza di fatto, il che rappresenta spesso un problema per il notificatore. Così come la persona coabitante non rientra in nessuna delle categorie descritte anche se palesemente sarebbe più di un vicino di casa, eppure non è contemplato tra i consegnatari, e rappresenta un caso sempre più frequente soprattutto nelle città, dove si condivide spesso l’abitazione con persone anche sconosciute, ma più spesso legate da amicizia, ben più di un vicino, ebbene, in questo caso non è possibile considerarlo come soggetto utile ad effettuare il ritiro.

Oltre al familiare convivente, la busta può essere data anche a una «persona addetta alla casa» come la collaboratrice domestica (o, nel caso degli uffici, la segretaria).

Il problema si pone quando ad aprire la porta è una persona che, seppur legata da un rapporto di parentela con il destinatario dell’atto, non convive con lui e si trova nel suo appartamento solo momentaneamente, a titolo di cortesia. Parliamo insomma del classico ospite: si pensi ad una suocera o ad una sorella. Di qui il dubbio: è valida la notifica a familiare non convivente? E soprattutto, come fa l’ufficiale giudiziario a stabilire se il soggetto a cui affida il plico è davvero un convivente stabile o meno?

Sul punto, si sono sprecate pagine di giurisprudenza. Non perché la questione sia controversa, ma perché uno dei motivi di ricorso più sfruttati contro la notificazione degli atti, gli atti giudiziari, le cartelle esattoriali o gli accertamenti fiscali è sempre legato alla correttezza della notifica. E siccome postini, ufficiali giudiziari, messi comunali svolgono spesso un compito legato a rigide formalità, è possibile ottenere dal giudice una dichiarazione di nullità della notifica.

La Corte Suprema di Cassazione ha cercato di fissare delle regole in merito alla notifica a familiare non convivente.

A chi notificare un atto?

Le regole sulle notifiche, valide sia per gli atti giudiziari che per quelli amministrativi/fiscali, sono contenute agli articoli 138 e seguenti del codice di procedura civile.

L’articolo 139 fissa un rigido ordine di soggetti a cui la notifica va consegnata in caso di temporanea assenza del destinatario presso la propria abitazione, nonché di luoghi ove accedere.

  1. persona di famiglia o addetta alla casa, purché non minore di 14 anni e non palesemente incapace;
  2. in mancanza di questa, al portiere dello stabile ove è sita l’abitazione o l’ufficio del destinatario;
  3. in mancanza anche del portiere, a un vicino di casa che accetti di ricevere la notifica.

Tale ordine delle persone è tassativo: pertanto, si può passare da una categoria all’altra solo in caso di assenza, incapacità o rifiuto del consegnatario precedente.

Indispensabile il richiamo alla necessità di esplicitare in relata di notifica il susseguirsi delle condizioni che portano ad individuare il soggetto cui è effettuata la consegna, quindi la consegna alla persona di famiglia, capace e maggiore di 14 anni, in assenza del destinatario; l’eventuale consegna al portiere in assenza del destinatario, della persona di famiglia o addetta alla casa etc.

Familiare non convivente: chi è?

Come dicevamo in apertura, quando la norma parla di persona di famiglia intende un familiare che si dichiari come tale e sia reperito nell’abitazione del destinatario ed accetti di ricevere senza riserve.

Questo significa che è nulla la notifica di un atto nelle mani di un familiare che ha la propria residenza in luogo diverso da quella del destinatario e non sia convivente del secondo. La notifica non può essere sanata neanche se l’effettivo destinatario viene a conoscenza dell’atto in modo diverso.

Ciò che vuol dire la Corte Suprema di Cassazione è che non si può ritenere valida la consegna dell’atto ad un indirizzo ove il destinatario non vive più neanche se, in tale abitazione, vivono i suoi familiari.

La giurisprudenza afferma che la consegna dell’atto da notificare è validamente effettuata quando l’atto è consegnato a persona di famiglia e, con la dizione «persona di famiglia», la norma non fa riferimento al solo rapporto di parentela, né all’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, ma è sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la persona di famiglia consegnerà l’atto al destinatario.

Questo significa che, nell’ipotesi di notifica all’indirizzo ove il destinatario è effettivamente residente, l’atto è valido anche se consegnato a un familiare che si trova in quel luogo momentaneamente, come ospite.

Resta, in ogni caso, a carico di chi dichiara di non aver ricevuto l’atto, l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo.

In sintesi, possiamo dire che:

  • la notifica in un luogo ove il destinatario non è residente è sempre nulla, anche se l’atto è consegnato a familiare;
  • la notifica nel luogo ove il destinatario è residente è valida solo se consegnata a un familiare, anche se non convivente, purché si trovi lì a titolo di ospitalità. Viceversa, se la presenza del familiare è del tutto occasionale, ad esempio solo qualche ora, la notifica nelle sue mani è suscettibile di nullità.

 Notifica a familiare non convivente: che fare?

Il destinatario che riceva una notifica presso la vecchia residenza ove non abita più può far valere la nullità dell’atto anche se lo stesso viene accettato dai suoi familiari che ancora vivono in tale appartamento. Non si può, infatti, presumere che questi ultimi abbiano consegnato la busta all’effettivo destinatario.

Di conseguenza, la Corte Suprema di Cassazione, richiamando il suo precedente orientamento, ha ricordato che la notifica a mani di un familiare del destinatario, eseguita presso la residenza del primo, che sia diversa da quella del secondo, non determina l’operatività della presunzione di convivenza non meramente occasionale tra i due, con conseguente nullità della notificazione medesima, non sanata dalla conoscenza che ne abbia il destinatario.

Si tratta di un vizio insanabile della notifica che può essere fatto valere, però, solo a determinate condizioni, da parte dello stesso destinatario.

Deve altresì considerarsi nulla la notifica dell’atto giudiziario eseguita in mani di un familiare che si dichiari convivente, ma non lo sia, stante il trasferimento altrove dell’effettivo destinatario della notifica.

Come dimostrare la non convivenza?

Spetta al destinatario dimostrare che l’atto è stato consegnato a familiare non convivente. A tal fine, come chiarito dalla Corte Suprema di Cassazione, la parentela e la convivenza tra destinatario dell’atto e consegnatario, quest’ultimo dichiaratosi, nella specie, “familiare convivente” non possono presumersi dall’attestazione dell’agente postale, che fa fede solo delle dichiarazioni a lui rese, non anche dell’intrinseca veridicità del relativo contenuto; sicché, il destinatario, che abbia prodotto a confutazione di tale veridicità un certificato storico di residenza, non è tenuto ad un’ulteriore, impossibile, prova del fatto negativo circa l’assenza di ogni relazione di parentela e convivenza col consegnatario dell’atto.

Nel concludere, l’articolo 139 c.p.c. individua diverse categorie di consegnatari. Dapprima abbiamo le persone di famiglia o quelle addette alla casa, all’ufficio o all’azienda, poi si passa ad altra categoria e precisamente al portiere dello stabile e, in sua mancanza, al vicino di casa che accetti di riceverla.

La prima locuzione, e cioè quella di “persona di famiglia”, ha comportato un annoso problema interpretativo circa la necessità che il familiare consegnatario sia in rapporto di convivenza col destinatario o invece che tale vincolo non necessiti ai fini della validità della notificazione.

La necessità di garantire che l’atto giunga nella sfera di conoscibilità del destinatario aveva fatto ritenere dapprima che solo l’ulteriore requisito della convivenza del familiare potesse garantire il conseguimento dello scopo.

Tuttavia, la mancanza nella norma di un espresso richiamo in tal senso ha contribuito a modificare successivamente l’orientamento giurisprudenziale. Pertanto, la qualità di “persona di famiglia” viene riconosciuta a parenti, affini, affiliati, presenti non occasionalmente presso l’abitazione del destinatario e alle persone con esso conviventi.

Quindi, quando anche manchi un vincolo di parentela, il requisito della convivenza consente di ricomprendere il consegnatario nell’ambito della famiglia. Se invece il consegnatario è legato da uno dei vincoli di relazione sopra indicati, non è necessario l’ulteriore requisito della convivenza.

È opportuno allora precisare il significato di convivenza.

Convivenza significa comunione di vita, ossia comunanza di mezzi e di fini nel vivere quotidiano. Si differenzia enormemente, dunque, dalla coabitazione e dalla presenza occasionale presso l’abitazione.

Si precisa che ai fini della validità della notifica mediante consegna ad un familiare, l’attuale orientamento giurisprudenziale ritiene sia sufficiente che tale persona sia rinvenuta presso l’abitazione, ufficio o azienda del destinatario, che la stessa si qualifichi come familiare e che accetti di ricevere l’atto senza riserve. Il fatto che il familiare sia rinvenuto presso la casa del destinatario, in sua assenza, contribuisce a ritenere che tale consegnatario sia idoneo, per il vincolo che a lui lo lega, a recapitare sollecitamente l’atto. Non è sufficiente, ai fini della contestazione della notifica, la produzione di un certificato anagrafico che attesti la diversa residenza del familiare, che ben potrebbe essere anche temporaneamente convivente.

È comunque fondamentale che la notifica avvenga esclusivamente nella residenza o dimora o domicilio del destinatario dell’atto, ed è nulla nell’ipotesi in cui la notifica sia eseguita nella residenza del familiare.

Ricordiamo che la notifica a persona convivente è suscettibile di nullità se la firma è illeggibile, manca l’indicazione del nominativo e del grado di parentela con il destinatario dell’atto.

La notifica effettuata tramite consegna del plico a persona convivente con il destinatario è nulla se questa è difficilmente identificabile perché per esempio manca l’indicazione del rapporto di parentela.

È quanto affermato dalla Corte Suprema di Cassazione che condanna le relate di notifica generiche e poco chiare.

Queste ultime, infatti, devono essere complete di tutti gli elementi necessari per dimostrare la correttezza del procedimento di consegna dell’atto.

Eventuali errori e omissioni nella relata possono compromettere la validità della notifica.

Settembre 2023

La Commissione Normativa

 

Scarica: Circolare 2023-001 Modalità di notifica ai sensi dell’art. 139 c.p.c.


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 12/09/2023) 21/09/2023, n. 27007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7121/2016 proposto da:

EQUITALIA SUD Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Michela Nocco ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Bianca Maria Casadei in Roma, Via San Giovanni in Laterano n. 226/210;

– ricorrente –

contro

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Maria Giannini il quale dichiara di voler ricevere le notificazioni comunicazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata (Omissis).

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1825/11/15 della Commissione tributaria Regionale della Puglia, depositata il 7/9/2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/9/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Pepe.

Svolgimento del processo
Che:

1. La Commissione tributaria regionale della Puglia (CTR) con la sentenza n. 1825/11/2015, depositata il 7.9.2015, accoglieva l’appello del contribuente sul rilievo che le cartelle di pagamento, poste a fondamento delle intimazioni di pagamento impugnate, erano state notificate mediante servizio postale in violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 in quanto tale notifica era avvenuta ad opera del Concessionario, soggetto non abilitato. In ragione di ciò, conclude la CTR, la suindicata notifica doveva considerarsi inesistente. I giudici di merito osservavano, poi, che il Concessionario non aveva dato prova dell’avvenuta emissione e notifica (avvenuta in plico chiuso) delle cartelle, non essendo all’uopo sufficiente: il deposito della cartolina di ricevimento della raccomandata, la notificazione delle successive intimazioni di pagamento, le fotocopie degli estratti di ruolo.

2. Avverso tale sentenza Equitalia Sud Spa propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

3. A.A. ha depositato controricorso.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo Equitalia Sud Spa deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26. La ricorrente rileva che l’art. 26 cit., diversamente da quanto affermato dalla CTR, consente al Concessionario di avvalersi direttamente del servizio postale per la notifica degli atti impositivi, rappresentando tale notifica una forma alternativa alle altre previste dalla stessa disposizione.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e dell’art. 115 c.p.c., per avere la CTR, a fronte dell’eccezione della parte di non aver ricevuto le cartelle, ritenuto la produzione documentale offerta quale prova dell’avvenuta notifica delle cartelle, ovvero le copie conformi delle ricevute di ritorno delle raccomandate attestanti la consegna delle stesse, insufficienti a fornire la prova richiesta. Rileva la ricorrente l’erroneità di tale affermazione, tenuto conto anche della produzione in copia conforme degli estratti di ruolo in cui erano riportate le cartelle, di talchè con tale ultima produzione, unitamente a quella suindicata, risultava assolto l’onere probatorio imposto al Concessionario e la legittimità della pretesa azionata nei confronti del contribuente.

La censura in esame teneva, altresì, conto della circostanza che il A.A. aveva lamentato l’omessa notifica delle cartelle non avendo, al contrario, mai contestato il contenuto degli atti notificati.

3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e del D.L. n. 669 del 1996, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR affermato che le copie delle ricevute di ritorno delle raccomandate con le quali erano state notificate le cartelle di pagamento, non erano idonee a provare l’avvenuta notifica. In particolare, la CTR non aveva tenuto conto del fatto che erano state depositate copie conformi agli originali (delle quali il contribuente non aveva mai negato la veridicità) e non mere fotocopie avendo, poi, del tutto omesso di valutare il potere certificativo del Concessionario ex art. 5 cit..

4. In via preliminare va rilevato che nessun rilievo, ai fini della richiesta interruzione del giudizio, assume l’avvenuto decesso del contribuente comunicato dal procuratore dello stesso. Ed invero, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo (Cass. n. 1757 del 2016 Rv. 638717 – 01).

5. Il primo motivo è manifestamente fondato.

Nella specie è incontroverso che l’agente della riscossione ha provveduto alla notifica diretta a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26 delle cartelle di pagamento.

Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, nel testo vigente ratione temporis prevedeva che “La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2 o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda. (omissis). Il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.

Per effetto di tale disposizione la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte dell’art. 26 cit. prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, comma penultimo, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione.

Quanto sopra trova conferma nell’indirizzo univoco di questa Corte (ex plurimis Cass. n. 10037 del 2019 Rv. 653680 – 01 e n. 1686 del 2023 Rv. 666661 – 01) secondo cui “La notificazione a mezzo posta della cartella esattoriale da parte del concessionario della riscossione (ora ADER) eseguita mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 si perfeziona, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 con la consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona, individuata come legittimata alla ricezione, apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Ne consegue che, qualora nell’avviso di ricevimento manchino le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato (adempimento non previsto da alcuna norma) e la relativa sottoscrizione non risulti intellegibile, l’avviso di ricevimento, in quanto atto pubblico, è assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. avuto riguardo alla relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è consegnato (oggetto del preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale)”.

Risulta da quanto sopra del tutto errata l’affermazione della CTR circa l’inesistenza della notifica della cartella fondata sul rilievo che il Concessionario non poteva all’uopo effettuarla mediante il servizio postale.

6. Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente stante la loro connessione, sono manifestamente fondati. In tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, la prova del perfezionamento del procedimento di notifica e della relativa data è assolta mediante la produzione della relazione di notificazione o dell’avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella, non essendo necessaria la produzione in giudizio della copia o dell’originale della cartella stessa (ex plurimis e da ultimo Cass. n. 8201 del 2023). Nel caso di specie, la CTR dà conto dell’avvenuta produzione, da parte dell’agente della riscossione, delle copie fotostatiche delle relate di notifica delle cartelle e dei relativi estratti di ruolo, e la conformità delle copie agli originali non risulta essere stata posta in discussione dal contribuente. L’estratto di ruolo, inoltre, è l’equipollente della matrice, in quanto è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale, che contiene tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (cfr. Cass. n. 16121 del 2019, Cass. n. 33563 del 2018, Cass. n. 23902 del 2017).

7. In accoglimento dei motivi, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice di merito per la valutazione delle ulteriori doglianze sollevate dal contribuente.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Puglia in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2023


Se il cartello col limite di velocità è a meno di 1 km dall’autovelox: multa illegittima

Un automobilista impugnava innanzi al Giudice di Pace territorialmente competente un verbale di contestazione – eccesso di velocità rispetto al limite vigente di 70 km/h – per violazione dell’art. 142 comma 9 C.d.s. elevato dalla Polizia locale.

La contestazione predetta prevedeva il pagamento sanzionatorio di € 550,00 e la decurtazione di 6 punti dalla patente di guida.

L’opposizione a sanzione amministrativa intentata dall’automobilista faceva leva, tra le altre doglianze, sul mancato rispetto della distanza minima di un chilometro tra il segnale riproducente il limite di velocità vigente sul tratto di strada e l’apparecchiatura autovelox, come imposta dall’art. 25 comma 2 della L. 120/2010.

L’opposizione alla sanzione amministrativa veniva respinta in primo grado dal Giudice di Pace mentre veniva accolta dal Tribunale in funzione di Giudice dell’appello.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

Proponeva ricorso per la Suprema Corte di Cassazione l’Unione dei Comuni – da cui dipendeva la Polizia Locale che aveva elevato la contravvenzione – sostenendo che, nel caso di specie, andasse disapplicato il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 di attuazione dell’art. 25 comma 2 della L. 120/2010 atteso che, secondo le tesi della parte ricorrente, l’ambito di applicazione della predetta norma – che impone la distanza di un chilometro tra segnale che impone il limite di velocità e la postazione autovelox – sarebbe limitato al caso in cui vi sia un segnale che imponga di abbassare il limite di velocità e non di un segnale che ripeta, in modo inalterato, il limite precedente.

Si fa riferimento al caso in cui, l’utente della strada – che si immette nel nuovo tratto viario provenendo da altra strada – incontra, dopo l’intersezione, un nuovo limite di velocità.

Il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 dispone: “Nel caso di diverso limite massimo di velocità anche lungo un solo ramo della intersezione, sia maggiore che minore rispetto a quello ripetuto dopo l’intersezione, la distanza minima di un chilometro si computa dopo quest’ultimo in modo da garantire a tutti gli utenti della strada in approccio alla postazione lo stesso trattamento”.

Secondo la parte ricorrente tale disposizione andrebbe disapplicata in quanto irragionevole con riferimento all’art. 3 della Costituzione, considerato che pone sullo stesso piano il caso di chi proviene da una strada in cui il limite di velocità è inferiore – e si immette su un tratto viario in cui il limite è superiore – e quello esattamente opposto, in cui il privato proviene da un tratto stradale ove il limite di velocità è maggiore rispetto a quello vigente dopo l’intersezione.

La Suprema Corte di Cassazione (con la sentenza n. 25544/2023), rigettando il ricorso, ha considerato tale interpretazione del tutto insostenibile, atteso che il segnale di limite di velocità, prescrivendo un divieto, segnala, in ogni caso, un’imposizione, indipendentemente dall’esistenza di un precedente limite e dall’entità di tale limite.

A nulla rileva, per di più, la prova che l’utente della strada si sia effettivamente immesso dal tratto di strada ove, nel caso di specie, vigeva il limite di 50 km/h – inferiore rispetto a quello di 70 km/h vigente dopo l’intersezione – considerato che il verbale di violazione del Codice della strada risultava viziato per la questione oggettiva del posizionamento dell’autovelox ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale di limite di velocità.


Avviso di accertamento con firma digitale: è valido?

Quali sono gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento e cosa accade se la firma è digitale ma l’atto è notificato per posta.

Chi riceve un avviso di accertamento dal Fisco può difendersi, oltre che per motivi sostanziali relativi all’imposta addebitata e alla condotta degli uffici accertatori, per i vizi formali dell’atto notificato. La legge prevede, infatti, determinati elementi essenziali di validità dell’atto, in assenza dei quali l’accertamento è nullo. Tra questi elementi vi è la sottoscrizione dell’avviso da parte di un soggetto avente idonei poteri, perché svolge carriera direttiva o perché validamente delegato dal capo dell’ufficio o altro direttore.

Vediamo quali sono gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento, quando la sottoscrizione deve ritenersi esistente e valida e cosa accade se la firma è digitale ma l’atto notificato è cartaceo.

  • Elementi essenziali avviso di accertamento
  • Sottoscrizione avviso di accertamento
  • Se l’avviso di accertamento è firmato digitalmente

Elementi essenziali avviso di accertamento

L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni dei dati essenziali del rapporto tributario, la motivazione dell’accertamento stesso e dell’imposta e sanzioni dovute [Art. 42 D.P.R. 600/1973].

Più precisamente, avviso di accertamento deve recare:

  • la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato;
  • l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta;
  • la motivazione in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato l’accertamento, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (per esempio in caso di imposta di registro su atti giudiziari).

Sottoscrizione avviso di accertamento

L’avviso di accertamento è nullo se non è firmato dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. La delega può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (cioè, le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, etc.), il termine di validità ed il nominativo del soggetto delegato.

La delega per la firma dell’avviso di accertamento è valida se sussistono i seguenti requisiti:

  • identificazione specifica del delegante e del delegato
  • forma scritta (sottoscritta autograficamente, protocollata e depositata agli atti dell’ufficio);
  • motivazione (indicazione delle esigenze di servizio che hanno reso necessaria la delega);
  • qualifica, funzione e generalità del dirigente/funzionario delegato;
  • durata e limitazioni (periodo e valore/materia/atti/servizi ecc.).

Secondo la Corte Suprema di Cassazione [Cass. sentt. n. 18758/2014, 22800/2015, 24492/2015], il solo possesso della qualifica non abilita il funzionario della carriera direttiva alla sottoscrizione; il potere di organizzazione deve essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio.

Se il contribuente contesta la firma riconducibile non già al “capo dell’ufficio titolare”, bensì ad un “funzionario della carriera direttiva”, ricade sull’Amministrazione l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio.

Se l’avviso di accertamento è firmato digitalmente

Spesso accade che l’avviso di accertamento è firmato digitalmente dal capo dell’ufficio ma l’atto notificato è cartaceo. In questo caso la firma è valida? O l’atto devo considerarsi nullo?

Secondo una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno [CTP Salerno, sent. del 14.05.2018], l’avviso di accertamento cartaceo che, in luogo della firma autografa, rechi l’indicazione della firma digitale, è nullo.

L’apposizione della firma digitale conferisce genuinità ed indubbia paternità al documento informatico da notificare unitamente alla garanzia offerta al destinatario dello stesso di aprire la “busta crittografica” e confermarne l’autenticità e, quindi, la sua validità.

Ma quando l’avviso di accertamento, pur se firmato digitalmente, viene notificato in via ordinaria (tramite Messo Comunale/Notificatore o per posta), esso è nullo perché privo del requisito essenziale della sottoscrizione.

L’avviso di accertamento, da emettere obbligatoriamente in via analogica (su documento cartaceo o comunque diverso dal digitale), deve essere necessariamente sottoscritto con firma autografa del capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e non firmato digitalmente senza alcuna sottoscrizione in originale.

Secondo i giudici, l’avviso notificato in via ordinaria e firmato digitalmente è un atto da considerarsi privo di sottoscrizione, ed è quindi affetto da inesistenza giuridica in ragione della insussistenza di un suo elemento essenziale qual è, appunto, la mancata formazione della volontà di assunzione dei contenuti dell’atto medesimo da parte dell’ufficio che lo ha emesso.


Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 13/06/2023) 31/08/2023, n. 25544

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28812/2020 proposto da:

Unione (Omissis), difesa dall’avvocato Alessandra Tuffanelli;

– ricorrente –

contro

A.A., difeso dall’avvocato Nicola Rigobello e domiciliato in Roma presso lo studio dell’avvocato Luigi Fedeli Barbantini;

-controricorrente-

contro la sentenza del Tribunale di Ferrara n. 269/2020 depositata il 21/05/2020.

Ascoltata la relazione del consigliere Remo Caponi nella camera di consiglio del 13/06/2023.

Svolgimento del processo
Nel 2018 A.A. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di Pace di Ferrara avverso il verbale di contestazione della violazione dell’art. 142 comma 9 C.d.S., emesso dalla Polizia locale appartenente alla Unione (Omissis), per eccesso di velocità rispetto al limite di 70 Km/h, con sanzione di circa Euro 550 e decurtazione di sei punti sulla patente di guida. Il ricorrente faceva valere l’omesso rispetto della distanza minima di un chilometro tra il segnale di limite di velocità e l’autovelox, di cui all’art. 25 comma 2 l. 120/2010 e capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017.

Rigettata in primo grado, l’opposizione è stata accolta in secondo grado. Ricorre in cassazione l’Amministrazione con tre motivi. Resiste il privato con controricorso.

Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo si censura che il giudice di appello abbia rilevato d’ufficio la questione relativa all’omesso rispetto della distanza minima di un chilometro tra il segnale di limite di velocità e l’autovelox, requisito ex art. 25 comma 2 l. 120/2010 e capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017. Si allega che tale questione non è stata dedotta dal ricorrente, che si è limitato a dedurre il difettoso posizionamento dell’auto-velox rispetto al segnale di preavviso della presenza di postazione di rilevazione. Si deduce quindi si deduce violazione degli artt. 112 c.p.c., 204 C.d.S., 7 D.Lgs. n. 150 del 2011.

Censurato è il seguente ragionamento del Tribunale: è da esaminare la questione sollevata dal privato nelle note conclusive, poichè offre all’attenzione un argomento difensivo diverso da quello che insiste sul difettoso posizionamento dell’autovelox rispetto al segnale di preavviso, fatto valere con il terzo motivo di appello. Peraltro, tale questione, relativa al mancato rispetto della distanza minima tra il segnale di limite di velocità e la postazione di rilevazione, è fondata su norme giuridiche ed è pertanto rilevabile d’ufficio.

La censura del ricorrente invoca tra l’altro Cass. 24037/2020, ove si statuisce che nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione, il giudice incontra il divieto ex art. 112 c.p.c. di rilevare d’ufficio vizi diversi da quelli fatti valere con l’atto introduttivo, nel senso che egli non può fondare la decisione su fatti estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo diverso da quello allegato dalla parte.

Il primo motivo non è fondato.

Risulta dagli atti che una delle ragioni dell’impugnazione del verbale è “l’illegittimo posizionamento dell’apparecchiatura per il rilevamento automatico della velocità ad una distanza inferiore a 1 km dal cartello segnalatore della velocità consentita”, che è il motivo sul quale il giudice ha fondato l’accoglimento dell’opposizione.

Ciò assorbe l’altra questione: se il ricorrente non avesse fatto valere il mancato rispetto della distanza minima tra segnale di limite della velocità e autovelox, ci si potrebbe domandare infatti se davvero l’ac-coglimento dell’opposizione sotto tale profilo avrebbe urtato contro l’orientamento della giurisprudenza di legittimità invocato dal ricorrente, una volta che si dia adeguato peso alle circostanze che il difettoso posizionamento della postazione di rilevazione della velocità rispetto a precedenti segnalazioni è comunque entrato a far parte della materia del contendere e che il predetto orientamento giurisprudenziale è maturato in relazione ad effettive deviazioni della pronuncia del giudice rispetto alla materia del contendere. Cfr. in particolare Cass. 13751/2006: il privato fu sanzionato per inosservanza di una normativa Europea; egli fece opposizione lamentando (unicamente) di averla rispettata; il giudice accolse l’opposizione perchè vide che il verbale non recava l’indicazione del luogo in cui era stata accertata la violazione.

Il primo motivo è rigettato.

2. – Con il secondo motivo si censura che il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 di attuazione dell’art. 25 comma 2 l. 120/2010 non sia stato disapplicato ex artt. 3 Cost., 4, 5 l. 2248/1865 All. E. La censura è argomentata come segue: secondo l’art. 25 comma 2 l. 120/2010, “fuori dei centri abitati (gli autovelox) non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità” (il corsivo è del Collegio). Ciò consente all’utente di avere a disposizione uno spazio ragionevole per diminuire la velocità al fine rispettare il limite. Tale ragione giustificatrice delimita l’ambito di applicazione del limite minimo di distanza alle ipotesi in cui vi è un segnale che imponga di abbassare il limite di velocità (per la prima volta) e non di un segnale che ripeta (in modo inalterato) il limite precedente. Tuttavia, il capo 7.6 allegato al D.M. n. 282/2017 dispone: “Nel caso di diverso limite massimo di velocità anche lungo un solo ramo della intersezione, sia maggiore che minore (il corsivo è del Collegio) rispetto a quello ripetuto dopo l’intersezione, la distanza minima di un chilometro si computa dopo quest’ultimo in modo da garantire a tutti gli utenti della strada in approccio alla postazione lo stesso trattamento”. La parte ricorrente considera che tale disposizione regolamentare sia irragionevole ex art. 3 Cost. poichè equipara il caso dell’intersezione di strada ove il limite di velocità è minore (come nel caso di specie in cui si allega che la strada dalla quale è provenuto il privato incontri il limite di velocità di 50 km orari) con il caso di intersezione di strada ove il limite di velocità è maggiore.

Il secondo motivo non è fondato.

L’argomento letterale invocato dall’amministrazione a fondamento della richiesta di disapplicazione di un decreto governativo in danno del cittadino è di insostenibile fragilità e si può rovesciare, argomentando con pari persuasività che il segnale di limite di velocità, poichè prescrive un divieto (di superare quella velocità), segnala in ogni caso un’impo-sizione, indipendentemente dall’esistenza di un precedente limite e dall’entità di tale limite. Si aggiunga che il decreto ministeriale si informa a un’esigenza di uniformità semplificante che difficilmente lo espone a rilievi sul fronte della ragionevolezza ex art. 3 Cost. Infine, ove mai tali rilievi potessero trovare ingresso con effetto di disapplicazione, il privato sarebbe assoggettato a una sanzione amministrativa in forza di un parametro normativo concretizzatosi nell’occasione del giudizio e non già prima della commissione della violazione.

Il secondo motivo è rigettato.

3. – Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, si denuncia che il privato non abbia allegato di essersi immesso nella strada provinciale di cui è causa dall’unica strada recante un limite di velocità (50 chilometri orari) inferiore. Si lamenta il mancato rilievo del difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. Il terzo motivo è inammissibile, poichè è diretto a far valere una questione irrilevante rispetto alla pronuncia che ha annullato il verbale di violazione del codice della strada per il posizionamento dell’autove-lox ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale di limite di velocità.

4. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

Inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 550, oltre a Euro 100 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista a titolo di contributo unificato per il ricorso, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2023


L’assenza per motivi privati fra le timbrature giustifica il licenziamento

La Corte Suprema di Cassazione, Sez. lav., con la sentenza n. 21607 del 20 luglio 2023, conformandosi al consolidato indirizzo già espresso sul punto, è tornata ad affermare il principio secondo cui la fattispecie di cui all’art. 55-quater comma 1 lett. a), D.Lgs. n. 165/2001 viene integrata dalla condotta di assenza intermedia dal luogo di lavoro fra le timbrature di entrata ed uscita e, pertanto, il licenziamento per giusta causa intimato in ragione della predetta violazione deve considerarsi legittimo. La Corte Suprema di Cassazione si è inoltre pronunciata sulla valenza della sentenza di non luogo a procedere rispetto al procedimento disciplinare, ritenendo che quest’ultima pronuncia non sia riconducibile nell’ambito di applicazione dell’art. 653 c.p.p., considerato che non appare tecnicamente suscettibile di inquadramento nella categoria della “sentenza penale irrevocabile di assoluzione”, cui l’art. 653 c.p.p. riconosce efficacia di giudicato in sede disciplinare.

Il ricorrente, dipendente del Comune di Alfa con mansioni di Comandante del Servizio di Polizia Locale, adiva il giudice del lavoro per sentire dichiarare la illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in ragione delle false attestazioni della presenza in servizio dallo stesso rilasciate.

Nella specie, al lavoratore era stato contestato “l’allontanamento dal luogo di lavoro per motivi privati senza far risultare tale assenza mediante l’utilizzo del dispositivo marcatempo”, comportamento integrante la fattispecie di cui all’art. 55-quater, n. 1, lett. a) D.Lgs. n. 165/2001, cui era seguito il licenziamento per giusta causa.

I giudici di merito aditi, sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, hanno rigettato il ricorso del lavoratore ritenendo legittimo il licenziamento intimato.

Nella specie, sono state ritenute prive di rilievo le difese del lavoratore fondate sulla natura delle funzioni svolte, che lo avrebbero dispensato dall’utilizzo del badge per documentare la presenza in ufficio, nonché sulla intervenuta assoluzione con formula piena in sede di udienza preliminare in ambito penale, per l’accertata insussistenza del fatto di reato contestatogli per la medesima condotta oggetto del parallelo procedimento disciplinare.

Infatti, i giudici, dopo aver rilevato che la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in sede penale non fosse comunque ostativa al giudizio disciplinare, hanno ritenuto pienamente integrata, nel caso di specie, la fattispecie contestata di falsa attestazione in ordine alle registrazioni in entrata e in uscita, di cui all’art. 55-quater, n. 1, lett. a) D.Lgs. n. 165/2001, in quanto la condotta descritta dalla norma si compendia nell’allontanamento dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza economicamente apprezzabili, così da indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro.

La sanzione espulsiva adottata dall’Ente datore di lavoro veniva, pertanto, considerata in sede giudiziale fondata ed altresì proporzionata, in ragione della gravità dei fatti sistematicamente reiterati e della loro incidenza sull’elemento fiduciario del rapporto, anche alla luce del ruolo istituzionale ricoperto dal lavoratore.

Il lavoratore proponeva ricorso alla Corte Suprema di Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari.

La Corte Suprema di Cassazione, ritenendo accertato sul piano fattuale dal giudice di merito che il lavoratore era rimasto assente tra la timbratura in entrata e quella in uscita e che questa condotta, secondo il consolidato orientamento di legittimità, integrasse la fattispecie rilevante ai fini del licenziamento del pubblico dipendente di cui all’art. 55-quater comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 165/2001, ha per l’effetto giudicato non condivisibile la giustificazione addotta dal ricorrente in merito alla possibilità di eseguire la prestazione anche presso la propria abitazione, in ragione della tipologia di mansioni svolte.

Infatti, secondo il giudice di legittimità, detta circostanza, anche ove accertata, non sarebbe stata comunque idonea ad escludere che il lavoratore fosse tenuto ad utilizzare il contrassegno marcatempo, dovendo egli rispettare un orario minimo e dovendo in ogni caso giustificare perché avesse scelto di lavorare da casa invece che presso la sede di servizio.

In conseguenza della ratio decidendi adottata dalla Corte Suprema di Cassazione, che aveva ritenuto del tutto irrilevanti le circostanze addotte dal lavoratore a giustificazione della propria condotta, diveniva parimenti ininfluente l’esigenza di fornire la prova delle stesse.

Risultava parimenti infondato, a giudizio della Corte Suprema di Cassazione il motivo di doglianza proposto dal lavoratore relativamente alla valutazione operata dal giudice di merito in ordine alla valenza nel procedimento disciplinare dell’accertamento svolto in sede penale, essendo stato il ricorrente prosciolto con formula piena in sede di udienza preliminare.

Viene al riguardo in rilievo la questione dell’applicabilità o meno dell’art. 653 c.p.p., dal momento che la sentenza di non luogo a procedere per insussistenza del fatto emessa in sede di udienza preliminare non si può considerare sussumibile nella categoria della “sentenza penale irrevocabile di assoluzione”, cui l’art. 653 c.p.p. riconosce efficacia di giudicato in sede disciplinare.

Infatti, dal momento che la sentenza di non luogo a procedere è passibile di essere revocata in determinati casi, come previsto dall’art. 434 c.p.p., essa deve considerarsi assistita da un minor grado di stabilità “relativa” che ne caratterizza l’efficacia preclusiva rebus sic stantibus e non è quindi possibile ricondurla al paradigma di “irrevocabilità” tipico della fattispecie disciplinata dall’art. 653 c.p.p. con effetto di giudicato esteso all’ambito disciplinare.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass., Sez. lav., 6/9/2016, n. 17637

Cass., Sez. lav., 14/12/2016, n. 25750

Cass., Sez. lav., 24/5/2021, n. 14199


Avviso di ricevimento relativo alla notifica di un atto privo del nome del soggetto richiedente

Con la sentenza n. 23400, pubblicata il 1° agosto 2023, la Corte Suprema di Cassazione si è pronunciata sulle conseguenze derivanti dalla mancata indicazione nell’avviso di ricevimento relativo alla notifica di un atto del nome del soggetto richiedente.

La vicenda esaminata origina dal giudizio promosso da una società, la quale chiedeva al Tribunale la condanna della convenuta alla restituzione in suo favore di una consistente somma di denaro versata a titolo di caparra al momento della stipula di contratto preliminare di vendita di un immobile.

L’atto introduttivo del processo veniva notificato dal difensore dell’attrice ai sensi della legge n. 53/1994 a mezzo del servizio postale ai sensi del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 890/1982, che al successivo comma 4 dispone che ove non sia stato possibile recapitare il piego e questo sia stato depositato presso il punto di deposito più vicino al destinatario, di tale deposito deve essere dato avviso contenente l’indicazione del soggetto che ha richiesto la notifica e del suo eventuale difensore.

Nella contumacia della convenuta, il Tribunale accoglieva la domanda della società.

La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla convenuta la quale deduceva la nullità della notifica dell’atto introduttivo del processo. Con il gravame, l’appellante evidenziava la presenza di vizi nella comunicazione di avvenuto deposito del plico presso l’ufficio postale di cui al comma 4 dell’art. 8 della legge n. 890/1982.

In particolare, la convenuta, evidenziava da un lato che l’avviso era privo del nominativo della società attrice, essendo stato indicato solamente lo studio legale del suo difensore, e dall’altro che nello stesso vi era la generica dicitura “atti amministrativi/atti giudiziari”.

L’appello veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello, la quale riteneva valida la notificazione dell’atto introduttivo del processo, con conseguente inapplicabilità, al caso di specie, del secondo comma dell’art. 327, c.p.c. e la tardività dell’appello proposto, essendo decorso il termine lungo dei sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di primo grado.

Pertanto, la società investiva della questione la Corte Suprema di Cassazione, insistendo nell’eccezione di nullità dell’atto introduttivo del processo di primo grado, ribadendo che l’indicazione nell’avviso di ricevimento della notifica del nome del soggetto richiedente è un elemento indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto e che nell’avviso non era stato chiarito se si trattava di atti amministrativi o giudiziari in quanto lo stesso recava la dicitura “atti amministrativi/atti giudiziari”, ingenerando confusione nel soggetto ricevente l’avviso;

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte Suprema di Cassazione la quale, nel rigettarlo, ha osservato che:

  • il comma 4 dell’art. 8, L. n. 890/1982 secondo il quale “l’avviso deve contenere l’indicazione del soggetto che ha richiesto la notifica e del suo eventuale difensore, dell’ufficiale giudiziario al quale la notifica è stata richiesta e del numero di registro cronologico corrispondente, della data di deposito e dell’indirizzo del punto di deposito, nonché l’espresso invito al destinatario a provvedere al ricevimento del piego a lui destinato mediante ritiro dello stesso entro il termine massimo di sei mesi, con l’avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al periodo precedente e che, decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi, l’atto sarà restituito al mittente”, non prevede che sia individuato il tipo di atto contenuto nel piego, così che la dicitura “atti amministrativi/atti giudiziari” non comporta alcun vizio della notificazione;
  • la mancata menzione della parte nell’avviso di ricevimento relativo alla notifica a mezzo del servizio postale non è requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto, scopo che va individuato nell’avvertimento al destinatario che, in sua assenza, si è tentato di notificare un atto (nel caso di specie amministrativo/giudiziario) e nel rendergli note le modalità per il ritiro e le conseguenze del mancato ritiro;
  • l’individuazione della parte, ove sia indicato il difensore che ha dato impulso al procedimento notificatorio, non è requisito indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto lo si ricava anche dal fatto che il comma 4 del citato art. 8, a differenza di quanto dispone l’art. 48 disp. att. c.p.c. in relazione all’avviso di cui all’art. 140 c.p.c., non prescrive, come si è già detto, che vi siano indicazioni circa la natura dell’atto notificato o del giudice che ha pronunciato il provvedimento notificato o davanti al quale si deve comparire.