Svolgimento del processo
Gli odierni appellati sono proprietari di immobile di civile abitazione, sito in S.G. L. alla Via N. S. n. 15, e confinante con altro immobile di proprietà dei coniugi P., del quale il Comune, con c.e. n. 1407 del 2001, ha autorizzato la ristrutturazione con aumento di volumetria.
Adito dagli interessati il TAR Basilicata ha annullato, con la sentenza in epigrafe indicata, tale concessione ritenendola viziata per violazione dell’art. 10 delle Norme Tecniche del Piano di recupero di Zona.
La sentenza stessa è impugnata, con separati ricorsi, dal Comune e dai controinteressati soccombenti in prime cure, i quali ne chiedono l’integrale riforma.
Gli appellanti privati ripropongono le eccezioni in rito già versate in primo grado e disattese dal Tribunale.
Si sono costituiti gli appellati, insistendo per il rigetto dell’appello.
All’Udienza del 13 luglio 2004 i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
Motivi della decisione
Gli appelli, proposti avverso la stessa sentenza, vanno perciò riuniti.
Essi non sono fondati.
Con il primo motivo gli appellanti privati tornano ad eccepire la tardività del ricorso originario, asseritamente proposto quando era già scaduto il termine perentorio nella specie decorrente dalla pubblicazione all’albo pretorio della concessione, o in subordine dalla data di inizio dei lavori o, infine, dalla data di acquisita conoscenza fattuale dell’esistenza del titolo.
Come osservato dal Tribunale l’eccezione non ha pregio, avendo la giurisprudenza di questo Consiglio da tempo chiarito che la mera affissione dell’atto all’albo pretorio del Comune non costituisce formalità idonea per la decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia e che la data dalla quale far decorrere il detto termine è quella dell’ultimazione (e non dell’inizio) dei lavori, considerando che solo da quel momento gli interessati possono avere la piena consapevolezza dell’esistenza e dell’entità delle violazioni urbanistiche commesse (cfr. fra le recenti Csi. 7.10.2003 n.322).
D’altra parte, anche volendo far riferimento alla data in cui i ricorrenti avrebbero acquisito de facto conoscenza del titolo il gravame rimane tempestivo, dovendosi ovviamente considerare l’intervenuta sospensione feriale.
Con il secondo motivo gli appellanti tornano a dedurre la nullità della notifica del ricorso originario, perchè effettuata da U.G. incompetente.
L’eccezione va disattesa.
Al riguardo è pacifico che la notificazione del ricorso ai signori P., residenti in Milano, è stata effettuata a mezzo posta da U.G. addetto all’ufficio avente sede presso il Tribunale di Matera, da ritenersi quindi in effetti incompetente per territorio.
Come è noto, infatti, la L. 20.11.1982 n. 890 ha attribuito all’ufficiale giudiziario la facoltà di ricorrere, in genere, alla notificazione degli atti a mezzo posta, senza nulla immutare quanto alla competenza territoriale, con la conseguenza che l’ufficiale giudiziario, a norma degli artt. 106 e 107 D.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229, è tuttora incompetente per le notificazioni da eseguirsi al di fuori del mandamento (ora circondario: cfr. Cass. 27.3.2002 n. 3632) ove ha sede l’ufficio al quale è addetto, anche in caso di notifica a mezzo posta, eccettuata l’ipotesi – non ricorrente nel caso in esame, in cui era adito il TAR Basilicata con sede in Potenza – della notificazione degli atti relativi ad affari di competenza delle Autorità giudiziarie di detta sede. e degli atti stragiudiziali.
Fermo quanto sopra, si rileva però che la giurisprudenza amministrativa è da tempo orientata nel senso che la violazione delle norme sulla competenza degli ufficiali giudiziari non comporta la nullità della notificazione, ma una mera irregolarità, che assume rilievo nei confronti dell’ufficiale giudiziario incompetente ma è ininfluente sulla ritualità della notificazione (cfr. Ap. 23.3.1982 n. 4 nonchè, fra le recenti V Sez. 25.2.1999 n. 224).
D’altra parte, anche la Suprema Corte ha da tempo chiarito che l’incompetenza territoriale dell’ufficiale giudiziario determina la nullità solamente relativa della notificazione, che, quindi, è suscettibile di essere sanata con effetto retroattivo dalla costituzione dell’intimato, anche nel caso in cui questa sia avvenuta dichiaratamente al solo scopo di eccepire tale incompetenza. (cfr., con riferimento alla notifica del ricorso per cassazione, Cass. Sez. lavoro 11.6.2004 n. 11140).
Con il terzo motivo gli appellanti eccepiscono il difetto di interesse al ricorso in capo agli odierni appellati, i quali non avrebbero dimostrato nè il loro stabile collegamento col bene oggetto della concessione nè il danno che per effetto di questa deriverebbe loro.
L’eccezione non ha alcun pregio.
In proposito si ricorda che l’art. 31 L. 17.8.1942 n. 1150, modificato dalla L. 6.8.1967 n. 765, che consente a ” chiunque ” di impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime, deve essere inteso nel senso che – con l’ovvia esclusione di ogni azione popolare al riguardo – va riconosciuta una posizione di interesse legittimo in capo al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, senza che, peraltro, debba essere data dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale.
Ne consegue che ha interesse a ricorrere il soggetto che faccia valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, qual è quello all’osservanza delle prescrizioni regolatrici dell’edificazione, senza che occorra procedere in concreto ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione (ad es. V Sez. 15.9.2003 n. 5172).
Tanto premesso sul piano processuale, va poi osservato che da molteplici atti contenuti nel fascicolo di primo grado risulta in modo inequivocabile che i coniugi Di Cera sono – come da essi asserito nel contesto del gravame originario – comproprietari di immobile confinante con quello degli odierni appellanti ed oggetto della contestata ristrutturazione, di talchè appare realmente impossibile ipotizzare l’eccepita carenza di interesse.
Nel merito, sia il Comune che i privati censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha rilevato l’illegittimità del titolo concessorio conseguente alla violazione della disciplina edilizia applicabile.
L’assunto è infondato.
L’art. 10 delle N.T.A. del Piano di recupero della Zona B1 del P.R.G. vigente nel Comune di San G. L. (all’interno della quale ricade l’immobile in controversia) consente interventi di nuova edificazione (con ampliamento di volumetria per chiusura di spazi aperti infra-sagoma) o di sopraelevazione (con aumento di volumetria in verticale, nei limiti imposti dalle tavole di progetto) ma in entrambi i casi solo all’esito o per mezzo di demolizioni “parziali” del fabbricato esistente.
In ogni caso – sempre ai sensi delle citate Norme – gli interventi de quibus possono essere realizzati sulla base di un progetto, unitariamente definito per ciascuna unità minima di intervento, che preveda elementi di raccordo con la restante parte dell’ambito e rispetti le parti preesistenti e gli elementi strutturali di particolare rilievo o interesse.
Ne consegue, come precisamente evidenziato dal Tribunale, che in base al piano di recupero e alle disposizioni ora richiamate, nel caso in esame erano da ritenersi consentiti solo quegli interventi di ristrutturazione i quali, pur comportando incremento delle volumetrie, rispettassero il tessuto esistente, salva ovviamente la possibilità (espressamente contemplata) delle demolizioni parziali.
A fonte di tale contesto normativo, la relazione tecnica che accompagna il progetto – poi assentito con la concessione impugnata – è inequivoca nel prevedere la completa demolizione dell’esistente e la sua ricostruzione con nuova struttura in cemento armato, così disegnando una tipologia di intervento che esula palesemente dal novero delle possibilità consentite.
Diversamente da come sostengono gli appellanti, la circostanza che la successiva demolizione non abbia interessato integralmente i due muri laterali dell’edificio non appare rilevante, in primo luogo perchè non sembra ragionevolmente sostenibile che la salvaguardia di tali elementi costruttivi fosse realmente contemplata nel progetto cui si riferisce la citata relazione e la cui realizzazione è stata appunto consentita dal Comune mediante il rilascio del titolo impugnato in primo grado.
Ma, a parte tale dirimente rilievo, resta che il progetto stesso – come peraltro prescritto dalle N.T.A. – attiene al singolo edificio e non può interessare le proprietà confinanti, con la conseguenza che la demolizione dell’immobile in controversia, per come appunto contemplata nel progetto riferibile all’unità minima di intervento, rimane giuridicamente totale, nonostante la sopravvivenza dei muri di divisione con gli edifici contigui (da presumersi in comunione forzosa ex art. 880 cod. civ.), i quali del resto non avrebbero potuto essere rimossi integralmente, per ovvie ragioni pratiche, senza causare la rovina delle altrui proprietà.
Le considerazioni sin qui svolte conducono al rigetto degli appelli, con assorbimento delle ulteriori censure già non esaminate dal Tribunale e qui riproposte dagli appellati.
Le spese del grado, per quanto concerne il ricorso n. 211, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in favore delle parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge gli appelli in epigrafe.
Condanna gli appellanti P. e C. in solido al pagamento in favore degli appellati costituiti di Euro 2.500,00 per le spese del grado.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.