Cons. Stato Sez. IV, 14-12-2004, n. 8072

Svolgimento del processo
Gli odierni appellati sono proprietari di immobile di civile abitazione, sito in S.G. L. alla Via N. S. n. 15, e confinante con altro immobile di proprietà dei coniugi P., del quale il Comune, con c.e. n. 1407 del 2001, ha autorizzato la ristrutturazione con aumento di volumetria.

Adito dagli interessati il TAR Basilicata ha annullato, con la sentenza in epigrafe indicata, tale concessione ritenendola viziata per violazione dell’art. 10 delle Norme Tecniche del Piano di recupero di Zona.

La sentenza stessa è impugnata, con separati ricorsi, dal Comune e dai controinteressati soccombenti in prime cure, i quali ne chiedono l’integrale riforma.

Gli appellanti privati ripropongono le eccezioni in rito già versate in primo grado e disattese dal Tribunale.

Si sono costituiti gli appellati, insistendo per il rigetto dell’appello.

All’Udienza del 13 luglio 2004 i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

Motivi della decisione
Gli appelli, proposti avverso la stessa sentenza, vanno perciò riuniti.

Essi non sono fondati.

Con il primo motivo gli appellanti privati tornano ad eccepire la tardività del ricorso originario, asseritamente proposto quando era già scaduto il termine perentorio nella specie decorrente dalla pubblicazione all’albo pretorio della concessione, o in subordine dalla data di inizio dei lavori o, infine, dalla data di acquisita conoscenza fattuale dell’esistenza del titolo.

Come osservato dal Tribunale l’eccezione non ha pregio, avendo la giurisprudenza di questo Consiglio da tempo chiarito che la mera affissione dell’atto all’albo pretorio del Comune non costituisce formalità idonea per la decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia e che la data dalla quale far decorrere il detto termine è quella dell’ultimazione (e non dell’inizio) dei lavori, considerando che solo da quel momento gli interessati possono avere la piena consapevolezza dell’esistenza e dell’entità delle violazioni urbanistiche commesse (cfr. fra le recenti Csi. 7.10.2003 n.322).

D’altra parte, anche volendo far riferimento alla data in cui i ricorrenti avrebbero acquisito de facto conoscenza del titolo il gravame rimane tempestivo, dovendosi ovviamente considerare l’intervenuta sospensione feriale.

Con il secondo motivo gli appellanti tornano a dedurre la nullità della notifica del ricorso originario, perchè effettuata da U.G. incompetente.

L’eccezione va disattesa.

Al riguardo è pacifico che la notificazione del ricorso ai signori P., residenti in Milano, è stata effettuata a mezzo posta da U.G. addetto all’ufficio avente sede presso il Tribunale di Matera, da ritenersi quindi in effetti incompetente per territorio.

Come è noto, infatti, la L. 20.11.1982 n. 890 ha attribuito all’ufficiale giudiziario la facoltà di ricorrere, in genere, alla notificazione degli atti a mezzo posta, senza nulla immutare quanto alla competenza territoriale, con la conseguenza che l’ufficiale giudiziario, a norma degli artt. 106 e 107 D.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229, è tuttora incompetente per le notificazioni da eseguirsi al di fuori del mandamento (ora circondario: cfr. Cass. 27.3.2002 n. 3632) ove ha sede l’ufficio al quale è addetto, anche in caso di notifica a mezzo posta, eccettuata l’ipotesi – non ricorrente nel caso in esame, in cui era adito il TAR Basilicata con sede in Potenza – della notificazione degli atti relativi ad affari di competenza delle Autorità giudiziarie di detta sede. e degli atti stragiudiziali.

Fermo quanto sopra, si rileva però che la giurisprudenza amministrativa è da tempo orientata nel senso che la violazione delle norme sulla competenza degli ufficiali giudiziari non comporta la nullità della notificazione, ma una mera irregolarità, che assume rilievo nei confronti dell’ufficiale giudiziario incompetente ma è ininfluente sulla ritualità della notificazione (cfr. Ap. 23.3.1982 n. 4 nonchè, fra le recenti V Sez. 25.2.1999 n. 224).

D’altra parte, anche la Suprema Corte ha da tempo chiarito che l’incompetenza territoriale dell’ufficiale giudiziario determina la nullità solamente relativa della notificazione, che, quindi, è suscettibile di essere sanata con effetto retroattivo dalla costituzione dell’intimato, anche nel caso in cui questa sia avvenuta dichiaratamente al solo scopo di eccepire tale incompetenza. (cfr., con riferimento alla notifica del ricorso per cassazione, Cass. Sez. lavoro 11.6.2004 n. 11140).

Con il terzo motivo gli appellanti eccepiscono il difetto di interesse al ricorso in capo agli odierni appellati, i quali non avrebbero dimostrato nè il loro stabile collegamento col bene oggetto della concessione nè il danno che per effetto di questa deriverebbe loro.

L’eccezione non ha alcun pregio.

In proposito si ricorda che l’art. 31 L. 17.8.1942 n. 1150, modificato dalla L. 6.8.1967 n. 765, che consente a ” chiunque ” di impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime, deve essere inteso nel senso che – con l’ovvia esclusione di ogni azione popolare al riguardo – va riconosciuta una posizione di interesse legittimo in capo al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione o a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, senza che, peraltro, debba essere data dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale.

Ne consegue che ha interesse a ricorrere il soggetto che faccia valere un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, qual è quello all’osservanza delle prescrizioni regolatrici dell’edificazione, senza che occorra procedere in concreto ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione (ad es. V Sez. 15.9.2003 n. 5172).

Tanto premesso sul piano processuale, va poi osservato che da molteplici atti contenuti nel fascicolo di primo grado risulta in modo inequivocabile che i coniugi Di Cera sono – come da essi asserito nel contesto del gravame originario – comproprietari di immobile confinante con quello degli odierni appellanti ed oggetto della contestata ristrutturazione, di talchè appare realmente impossibile ipotizzare l’eccepita carenza di interesse.

Nel merito, sia il Comune che i privati censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha rilevato l’illegittimità del titolo concessorio conseguente alla violazione della disciplina edilizia applicabile.

L’assunto è infondato.

L’art. 10 delle N.T.A. del Piano di recupero della Zona B1 del P.R.G. vigente nel Comune di San G. L. (all’interno della quale ricade l’immobile in controversia) consente interventi di nuova edificazione (con ampliamento di volumetria per chiusura di spazi aperti infra-sagoma) o di sopraelevazione (con aumento di volumetria in verticale, nei limiti imposti dalle tavole di progetto) ma in entrambi i casi solo all’esito o per mezzo di demolizioni “parziali” del fabbricato esistente.

In ogni caso – sempre ai sensi delle citate Norme – gli interventi de quibus possono essere realizzati sulla base di un progetto, unitariamente definito per ciascuna unità minima di intervento, che preveda elementi di raccordo con la restante parte dell’ambito e rispetti le parti preesistenti e gli elementi strutturali di particolare rilievo o interesse.

Ne consegue, come precisamente evidenziato dal Tribunale, che in base al piano di recupero e alle disposizioni ora richiamate, nel caso in esame erano da ritenersi consentiti solo quegli interventi di ristrutturazione i quali, pur comportando incremento delle volumetrie, rispettassero il tessuto esistente, salva ovviamente la possibilità (espressamente contemplata) delle demolizioni parziali.

A fonte di tale contesto normativo, la relazione tecnica che accompagna il progetto – poi assentito con la concessione impugnata – è inequivoca nel prevedere la completa demolizione dell’esistente e la sua ricostruzione con nuova struttura in cemento armato, così disegnando una tipologia di intervento che esula palesemente dal novero delle possibilità consentite.

Diversamente da come sostengono gli appellanti, la circostanza che la successiva demolizione non abbia interessato integralmente i due muri laterali dell’edificio non appare rilevante, in primo luogo perchè non sembra ragionevolmente sostenibile che la salvaguardia di tali elementi costruttivi fosse realmente contemplata nel progetto cui si riferisce la citata relazione e la cui realizzazione è stata appunto consentita dal Comune mediante il rilascio del titolo impugnato in primo grado.

Ma, a parte tale dirimente rilievo, resta che il progetto stesso – come peraltro prescritto dalle N.T.A. – attiene al singolo edificio e non può interessare le proprietà confinanti, con la conseguenza che la demolizione dell’immobile in controversia, per come appunto contemplata nel progetto riferibile all’unità minima di intervento, rimane giuridicamente totale, nonostante la sopravvivenza dei muri di divisione con gli edifici contigui (da presumersi in comunione forzosa ex art. 880 cod. civ.), i quali del resto non avrebbero potuto essere rimossi integralmente, per ovvie ragioni pratiche, senza causare la rovina delle altrui proprietà.

Le considerazioni sin qui svolte conducono al rigetto degli appelli, con assorbimento delle ulteriori censure già non esaminate dal Tribunale e qui riproposte dagli appellati.

Le spese del grado, per quanto concerne il ricorso n. 211, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in favore delle parti costituite.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge gli appelli in epigrafe.

Condanna gli appellanti P. e C. in solido al pagamento in favore degli appellati costituiti di Euro 2.500,00 per le spese del grado.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Riunione Giunta Esecutiva del 1.12.2004

Atti della riunione della Giunta Esecutiva del 1 dicembre 2004 svoltasi a Bologna

Leggi: Verbale GE 01 12 2004


Corte Suprema di Cassazione, Sez. Unite, n. 19854 del 05.10.2004

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRIECO Angelo – Primo Presidente f.f.

Dott. ELEFANTE Antonino – Consigliere

Dott. PROTO Vincenzo – Consigliere

Dott. ALTIERI Enrico – rel. Consigliere

Dott. LO PIANO Michele – Consigliere

Dott. MORELLI Mario Rosario – Consigliere

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Consigliere

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere

Dott. MARZIALE Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

DI VITO ADALGISA, PIETROSANTO MAFALDA, DI VITO GIOVANNI, DI VITO IMMACOLATA, DI VITO MARCO, DI VITO RITA, DI VITO MARIA PIA, DI VITO MARIANO, TUTTI IN PROPRIO E NELLA QUALITA’ DI EREDI DI VITO ELISEO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 33, presso lo studio dell’avvocato FRANCA FAIOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato WALTER TAMMETTA, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Roma n. 64/25/98 depositata il 07/07/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/06/04 dal Consigliere Dott. Enrico ALTIERI;

udito l’Avvocato Walter TAMMETTA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con avviso di liquidazione notificato ad Eliseo Di Vito il 10 giugno 1996, l’ufficio del Registro di Formia rettificava, ai fini dell’in.v.i.m., il valore finale di un complesso immobiliare conferito in una costituenda società in nome collettivo, a seguito della contestuale trasformazione di una impresa familiare. Essendo il Di Vito deceduto, la notificazione era stata effettuata a mani della figlia Rita Di Vito.

Gli eredi del Di Vito proponevano ricorso alla commissione tributaria provinciale di Latina, deducendo preliminarmente la nullità della notificazione, perchè non effettuata agli eredi collettivamente ed impersonalmente. La commissione respingeva il ricorso.

Proponevano appello gli eredi e la commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva il gravame con sentenza del 7 luglio 1998, ritenendo la nullità dell’avviso di liquidazione, in quanto notificato nel domicilio del de cujus ad uno solo degli eredi, e non, come stabilito dall’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a tutti gli eredi, impersonalmente e collettivamente.

L’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di due motivi.

Col primo mezzo sosteneva la nullità della sentenza, in relazione agli articoli 111 Cost., 36, n. 4, d.l.vo n. 546/92, e 360, n. 4, cod. proc. civ., in quanto la stessa avrebbe acriticamente accolto la tesi dei contribuenti, omettendo l’esposizione dei motivi in fatto e in diritto sui quali la decisione si è fondata.

Col secondo mezzo, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 65 del d.P.R. n. 600/73, 156 e 160 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostiene che il citato art. 65 dispone che gli eredi del contribuente devono comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale e che la notifica degli atti concernenti il dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio del de cujus.

In mancanza di tale comunicazione, l’ufficio aveva regolarmente notificato l’avviso di liquidazione mediante consegna ad una figlia.

In ogni caso, il tempestivo ricorso di tutti gli eredi alla commissione tributaria provinciale competente dimostrava che l’atto aveva raggiunto il suo scopo, rendendosi applicabile il principio sancito dall’art. 156, richiamato dall’art. 160, cod. proc. civ..

Stante il contrasto formatosi sulla applicabilità delle sanatorie di cui agli articoli 156 e 160 cod. proc. civ. alla notificazione dell’accertamento tributario nella giurisprudenza della Sezione tributaria, quest’ultima, con ordinanza del 12 marzo 2003, rimetteva la causa al Primo Presidente, il quale ne disponeva l’assegnazione alle Sezioni Unite.

2. Il contrasto di giurisprudenza.

Nella sentenza del 12 settembre 2002, n. 17762, la Sezione tributaria, uniformandosi alle precedenti pronunce della prima Sezione 7 aprile 1994, n. 3294, e 9 giugno 1997, n. 5100, e a quella della stessa Sezione tributaria 29 maggio 2001, n. 7284, affermava che la notificazione dell’avviso di accertamento affetta da nullità rimane sanata, con effetto ex tunc, dalla tempestiva proposizione del ricorso del contribuente, atteso che, da un lato, l’avviso di accertamento ha natura di provocatio ad opponendum, la cui notificazione è preordinata all’impugnazione e, dall’altro, l’art. 60, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (dettato in materia di accertamento delle imposte sui redditi, ma applicabile anche in tema di imposta di registro ed in.v.im.) richiama espressamente, per gli avvisi ed altri atti che devono essere notificati al contribuente, “le norme stabilite dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile”, così rendendo applicabile l’art. 160 del codice medesimo, il quale, attraverso il rinvio al precedente articolo 156, prevede che la nullità non possa essere dichiarata quando l’atto ha raggiunto il suo scopo.

Tale sentenza si è posta in consapevole contrasto con le sentenze della Sezione tributaria 21 aprile 2001, n. 5924, e 11 marzo 2002, n. 3513, nelle quali è stato affermato che l’avviso di accertamento non è un atto processuale, nè è funzionale al processo – la cui instaurazione si correla non già alla notificazione dell’avviso di accertamento o di qualsiasi atto impositivo impugnabile, che ne costituisce un semplice antecedente, ma alla proposizione del ricorso di cui agli articoli 15 e seguenti del d.P.R. n. 636/1972 e, successivamente, 18 e 20 del d.l.vo n. 546 del 1992 – ma è atto amministrativo, esplicativo della potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria. Da ciò deriva l’inapplicabilità della disciplina della sanatoria delle nullità delle notificazioni degli atti processuali all’avviso di accertamento e, quindi, non può ritenersi, alla stregua di tale disciplina, che la proposizione del ricorso da parte del contribuente avverso l’atto notificato possa produrre l’effetto di impedire, in ogni caso, la verificazione della decadenza di diritto sostanziale, correlata alla mancata tempestiva e valida notifica di detto avviso prevista dall’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973.

Motivi della decisione

3.1. Il primo motivo deve essere rigettato, in quanto la decisione impugnata, contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’Amministrazione, contiene sufficienti elementi per cogliere la ratio della decisione impugnata ed una valutazione delle critiche ad essa rivolte, che non costituiscono un mero rinvio al contenuto della pronuncia di primo grado.

3.2. Merita, invece, accoglimento il secondo motivo, dovendosi seguire la tesi dell’applicabilità della sanatoria di cui agli articoli 156 e 160 cod. proc. civ., anche se per ragioni non del tutto coincidenti con quelle poste a base delle citate decisioni della Corte.

Si deve rilevare, anzitutto, che il problema viene posto soprattutto in relazione ai termini di decadenza previsti dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio dei poteri di accertamento, di rettifica e di riscossione, essendo stato sostenuto, quale conseguenza dell’applicabilità del regime di sanatoria previsto per la notifica degli atti processuali, che la sanatoria (costituita, nella specie, dalla tempestiva proposizione del ricorso da parte di tutti i legittimati) comporti un’attribuzione di validità ex tunc alla notificazione di atti di accertamento e, quindi, impedisca il verificarsi della decadenza.

E’ da escludersi, peraltro, che l’applicazione del regime di sanatoria previsto dalla legge processuale civile sia una mera conseguenza della natura pre processuale o quasi processuale dell’accertamento tributario, il quale, in tale ottica, viene definito come una mera provocatio ad opponendum. L’atto in questione, costituisce, infatti, come tutti gli atti amministrativi autoritativi, lo strumento attraverso il quale – in ossequio ai principi di tipicità e nominatività – l’amministrazione enuncia nei confronti del destinatario ciò che deve essere per lui di diritto nel caso concreto; per quanto attiene all’imposizione fiscale, le ragioni e il contenuto della pretesa tributaria. Il momento processuale, che è meramente eventuale, laddove necessaria ed indefettibile è l’emanazione dell’atto di accertamento, quando non vi sia stato spontaneo ed esatto adempimento dell’obbligazione tributaria, si ricollega all’atto, sia perchè la tutela giurisdizionale si esercita – secondo il sistema processuale vigente – attraverso un meccanismo d’impugnazione dello stesso, sia perchè l’enunciazione della pretesa tributaria costituisce, al contempo, l’oggetto del processo. Tali elementi di collegamento non possono, pertanto, qualificare l’accertamento come un atto di natura assimilata a quella processuale, cosa che, d’altra parte, non sarebbe sostenibile per qualsiasi altro atto amministrativo nei cui confronti sia prevista una tutela giurisdizionale di tipo impugnatorio.

La natura sostanziale dell’atto in questione non costituisce, però, un ostacolo insormontabile all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando, come nella specie, vi sia un espresso richiamo nella disciplina tributaria. Per quanto concerne le notificazioni, l’impiego del procedimento di notificazione nel processo civile risponde ad evidenti necessità di garanzia del contribuente e non è nuovo nell’ordinamento: un esempio significativo – che, come si dirà in seguito, ha dato luogo a pronunce giurisprudenziali nelle quali si è posto il problema della sanatoria per conseguimento dello scopo – è costituito dal decreto di espropriazione secondo l’art. 51 della legge fondamentale 25 giugno 1865, n. 2359, il quale stabilisce che il decreto di espropriazione “deve, a cura dell’espropriante, essere notificato a forma delle citazioni ai proprietari espropriati”.

Ciò posto, pur in difetto di un espresso richiamo, l’applicazione delle forme sulla notificazione comporta, quale necessità logica, quella del regime delle nullità (in particolare, quella di origine giurisprudenziale sulla differenza tra nullità e inesistenza) e quella sulle sanatorie, che costituisce una sorta di limite alla dichiarazione di nullità, non essendovi alcun principio o ragione sistematica per ritenere che in materia di notificazione di atti di accertamento, pur regolata dal codice di procedura civile, viga un regime diverso. La sanatoria del raggiungimento dello scopo per atti non processuali non è, del resto, estranea al sistema: appare significativo che per gli atti impugnabili dinanzi al giudice amministrativo la piena conoscenza dell’atto – secondo gli articoli 36 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e 21, comma 1^, della legge 6 dicembre 1971, n. 1024 – costituisce vicenda equipollente alla sua notificazione ed è perciò idonea a far decorrere il termine di decadenza per proporre il ricorso al giudice amministrativo.

Tanto premesso, si deve affrontare il problema dell’operatività della sanatoria in relazione alla decadenza dall’esercizio del potere di accertamento.

Secondo le Sezioni Unite, l’applicazione della sanatoria del raggiungimento dello scopo nel caso di impugnazione dell’atto la cui notificazione sia affetta da nullità significa che, se il contribuente mostra di aver avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto e ha potuto adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa, lo stesso contribuente non potrà, in via di principio, dedurre i vizi relativi alla notificazione a sostegno di una domanda di annullamento. A diverse conclusioni deve, peraltro, pervenirsi se la sanatoria, costituita dalla proposizione del ricorso alle commissioni sia intervenuta quando il termine per l’esercizio del potere di accertamento è scaduto. In tale ipotesi, infatti, il meccanismo della sanatoria deve essere combinato con quello, indefettibile, della decadenza dall’esercizio del potere, per cui la sanatoria può verificarsi solo se avvenuta prima del decorso del termine di decadenza. Vi è da rilevare, infatti, che la notificazione costituisce un elemento essenziale della fattispecie necessaria per evitare la decadenza dell’amministrazione. In altri termini, dall’esercizio del diritto di difesa mediante proposizione del ricorso non può mai derivare una convalida ex tunc di un atto imperfetto, di per sè inidoneo ad evitare la decadenza.

Si tratta di una conseguenza dell’applicazione di principi generali, nei casi in cui la legge pone limiti temporali all’esercizio di poteri amministrativi. Si consideri, ad esempio, l’ipotesi del decreto di espropriazione emesso successivamente alla scadenza del termine indicato nella dichiarazione di pubblica utilità: in tale caso, secondo la giurisprudenza della Corte, l’atto si considera emesso in carenza di potere e nessun effetto sanante può derivare da una sua impugnazione dinanzi al giudice amministrativo.

Una consolidata giurisprudenza della Corte ha affermato che l’applicazione del regime processuale della notificazione al decreto di espropriazione – formalità che segna, secondo il secondo comma dell’art. 51 della legge n. 2359 del 1865, l’inizio del termine di decadenza per proporre opposizione alla stima – non consente di ritenere che, attraverso la sanatoria per raggiungimento dello scopo, l’espropriato che abbia proposto opposizione deducendo il vizio della notificazione possa considerarsi decaduto, in quanto la decadenza ha natura sostanziale. Nella sentenza n. 2318/90 la Corte ha affermato che la nullità della notificazione del decreto di espropriazione ha carattere sostanziale, e non processuale e, nell’ambito del procedimento espropriativo, impedisce il decorso del termine di decadenza per l’opposizione alla stima. Pertanto, anche se gl’interessati possono proporre opposizione anche subito dopo l’emanazione del decreto ablativo, non possono ritenersi soggetti al termine di decadenza, che per essi mai aveva iniziato a decorrere.

Quindi non può trovare applicazione il principio della sanatoria della notificazione nulla per il raggiungimento dello scopo, nell’ipotesi in cui l’atto sia comunque venuto a conoscenza dell’interessato.

Identico principio è stato affermato nella sentenza 319/87, nella quale la Corte ha ritenuto che, in caso di nullità della citazione contenente un atto di riscatto di fondi agrari, la sanatoria (consistente nella costituzione del convenuto) non può evitare la decadenza dall’esercizio del diritto di riscatto.

In altri termini, per ritornare all’accertamento tributario, la nullità della sua notificazione può essere sanata relativamente al conseguimento della finalità dell’atto di portare a conoscenza del destinatario i termini della pretesa tributaria e consentirgli, così, un’adeguata difesa, ma non mai nel senso di attribuire ex tunc validità a un intempestivo atto di esercizio del potere di accertamento, salvo che il conseguimento dello scopo avvenga entro il termine previsto dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio di tale potere.

Vi è da considerare, inoltre, che la sanatoria del raggiungimento dello scopo non può eliminare gli effetti della decadenza, neppure quando questa ha natura processuale. Nella sentenza n. 9342/97 le Sezioni Unite hanno affermato che la tardiva notificazione della citazione in riassunzione è un atto per sua natura e ab origine inidoneo ad evitare la decadenza di cui all’art. 392 cod. proc. civ., per cui nessuna sanatoria può conseguire alla costituzione del convenuto, essendo l’atto ab origine inidoneo a produrre effetti.

Identica soluzione è stata adottata in tema di nullità della notificazione dell’appello ad alcune parti, in relazione alla quale la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la sanatoria, costituita dalla costituzione degli appellati, non può impedire la decadenza se la costituzione sia avvenuta successivamente alla scadenza del termine per proporre l’impugnazione.

Poste questi premesse, necessarie per delimitare gli effetti dell’applicazione della sanatoria, che può evitare la decadenza dal potere di accertamento soltanto ove sia intervenuta prima della scadenza del termine (per riferirsi al caso di specie, ove il ricorso alla commissione di primo grado sia proposto entro tale termine), vi è, comunque, da rilevare che la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di accertamento – secondo una consolidata giurisprudenza della Corte – non produce l’inesistenza degli atti impositivi successivamente emanati, per cui anche in tal caso il contribuente ha l’onere di dedurre la decadenza come specifico vizio nel ricorso introduttivo dinanzi alle commissioni tributarie, escludendosi un potere di declaratoria ex officio del giudice. E’ evidente, altresì, che la proposizione di un ricorso introduttivo nel quale si faccia valere, da sola o con altri vizi, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere di accertamento non svolgerà in nessun caso un indiscriminato effetto sanante nei confronti di tale vizio.

Applicando tali principi al caso di specie, il vizio dedotto deve essere indubbiamente ricondotto all’ipotesi di nullità e non a quello dell’inesistenza, essendo stata la notifica effettuata a uno degli eredi, persona non priva di un collegamento col destinatario previsto, e cioè gli eredi collettivamente e impersonalmente. E’ del pari evidente che l’ufficio finanziario era a conoscenza del decesso di Eliseo Di Vito, per cui non può essere addebitata agli eredi alcuna conseguenza per la mancata segnalazione all’ufficio del decesso e dei nominativi degli eredi. Avendo tutti gli eredi proposto ricorso avverso l’avviso di liquidazione dinanzi alla commissione tributaria provinciale, svolgendo adeguate difese e così dimostrando di avere una piena conoscenza del contenuto dell’atto impugnato, il vizio della notificazione non poteva essere dichiarato dal giudice.

Mentre, nella specie, nessuna questione era stata svolta dai ricorrenti sulla decadenza dell’ufficio del potere di accertamento.

L’accoglimento della censura comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Lazio, la quale dovrà, pertanto, esaminare gli altri motivi dedotti dai contribuenti a sostegno dell’appello e decidere anche sulle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite;

accoglie il secondo motivo e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 3 giugno 2004.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2004

Riferimenti normativi

CPC Art.137

CPC Art.156

CPC Art.160

DPR 29-09-1973 n. 600, Art. 42

DPR 29-09-1973 n. 600, Art. 43

DPR 29-09-1973 n. 600, Art. 60


Convenzione Proveco Software

Testo della convenzione stipulata con la ditta Ditta Proveco S.r.l. di Firenze:

CONVENZIONE fra L’Associazione A.N.N.A. Associazione Nazionale Notifiche Atti, legalmente rappresentata dal Sig. Tacchini Pietro, con sede a Verona in Via dei Rusteghi, 14, codice fiscale n. 93164240231; e la Ditta Proveco , Via Rinuccini 38 – 50144 Firenze (FI) – P. I.: 03962640482, legalmente rappresentata dal Sig. Enrico Bendinelli si conviene quanto segue:

A tutti i Comuni che si assoceranno all’Associazione A.N.N.A. verrà fornita a titolo gratuito una versione light del software di gestione delle notifiche MC3 prodotto dalla ditta Proveco Computer, la quale praticherà uno sconto del 15% sul contratto di manutenzione annuo e del 25% sull’acquisto dei moduli aggiuntivi, sia per coloro che già possiedono il software MC3 sia per quelli che lo acquisteranno; La presente convenzione è valida fino al 31.12.2099 e si rinnoverà tacitamente di anno in anno. E’ fatta salva la possibilità per le parti di disdettare il presente accordo con un preavviso scritto di almeno due mesi. Sulle erogazioni relative ad operazioni presentate anteriormente alla disdetta, saranno applicate le modalità e condizioni contemplate dalla presente convenzione. Tutte le pattuizioni a valere sul presente accordo saranno definite mediante semplice scambio di lettere. Le parti convengono che nel caso di eventuali controversie inerenti alla presente convenzione, Foro competente sarà quello di Bologna.

Proveco Computer  S.r.l. Associazione Nazionale Notifiche Atti

Padova lì 11 giugno 2004


Convenzione Maggioli Editore

La presente convenzione è operante salvo quanto previsto dall’art. 8, legge n. 15/2020

Il disposto dell’art. 8(1) della L. 15 del 13.02.2020 modifica quanto previsto dalla legge 27 luglio 2011, n. 128, in materia di sconti sul prezzo di vendita dei libri. Pertanto quanto previsto dalla convenzione di applicare uno sconto del 15% sul prezzo di copertina dei volumi editi dalla Maggioli Editore deve intendersi del 5%.

Testo della convenzione

L’anno DUEMILAQUATTRO, addi 05 del mese di Agosto tra l’ASSOCIAZIONE NAZIONALE NOTIFICHE ATTI con sede legale in Verona, Via dei Quattro Rusteghi, 14, c.f. 93164240231, nella persona del Presidente Tacchini Pietro, di seguito indicata -per brevità- come ANNA, e MAGGIOLI SPA, con sede legale in Santarcangelo di Romagna (RN), Via del Carpino n. 8, iscritta al registro delle Imprese di Rimini, Rea n. 219107, p.iva 020664400405, nella persona dell’Amministratore Delegato, Dott. Paolo Maggioli, di seguito indicata per brevità – come Gruppo Maggioli,
premesso che

a) il Gruppo Maggioli è azienda leader in Italia per la fornitura di beni e servizi alla Pubblica Amministrazione;

b) ANNA, Associazione Nazionale senza scopo di lucro, regolarmente costituita con atto pubblico e dotata di personalità giuridica, intende rappresentare la figura del messo notificatore, valorizzandone il ruolo e supportandolo nel suo processo di crescita professionale;

c) il patrimonio destinato agli scopi associativi di ANNA è costituito dalle quote associative e dai contributi/elargizioni di Enti Pubblici e privati e persone o Società che, a qualsiasi titolo, pervengono all’Associazione;

d) tra le principali finalità statutarie dell’ANNA riveste particolare importanza l’assistenza tecnico-giuridica a tutti gli Associati, allo scopo di facilitare e migliorare lo svolgimento dei compiti di istituto;

e) l’assistenza tecnico-giuridica di cui al punto d) viene assicurata mediante attività editoriali, modulistica, programmi informatici, corsi di formazione/ aggiornamento, consulenza;

f) ANNA è interessata a promuovere i prodotti e servizi del Gruppo Maggioli, ritenendo che l’utilizzo di tali strumenti possa agevolare il corretto ed efficiente svolgimento dei compiti assegnati ai messi notificatori;

g) il Gruppo Maggioli è disponibile ad attivare con ANNA un’apposita convenzione, al fine di proporre agli Associati i propri prodotti e servizi a condizioni economiche agevolate;

h) la convenzione di cui al punto g) si propone anche lo scopo di avviare una collaborazione tra il Gruppo Maggioli e ANNA per la progettazione e commercializzazione di nuovi prodotti e servizi da proporre agli Associati
si conviene quanto appresso:

1.- le premesse sono parte integrante, sostanziale ed inscindibile dalla presente convenzione;

2.- il Gruppo Maggioli si impegna a riconoscere agli Associati ANNA le seguenti agevolazioni di acquisto:
– sconto del 15% sull’acquisto dei prodotti e servizi Maggioli Editore, ordinati direttamente alla Casa Editrice ;
– sconto del 15% sull’acquisto della modulistica Maggioli Modulgrafica;
– sconto del 10% sul programma informatico per la gestione delle notifiche commercializzato da Maggioli Informatica;
– sconto del 15% sulla quota di partecipazione delle iniziative di studio Cisel&Issel;

3.- Dal canto suo, ANNA si impegna a quanto segue:

3.1.- informare i propri Associati, attraverso la propria “campagna associativa” e il sito internet, circa le agevolazioni concesse di cui al punto 2);

3.2.- promuovere i prodotti del Gruppo Maggioli in occasione di incontri, corsi e seminari di studio che l’Associazione promuoverà autonomamente;

4.- ANNA e il Gruppo Maggioli si impegnano a collaborare per la realizzazione congiunta di nuovi prodotti e servizi da proporre agli Associati, secondo forme e modalità da stabilire con appositi ed autonomi accordi;

5.- la presente convenzione decorre dalla data odierna ed avrà validità per due anni; la stessa si intenderà automaticamente rinnovata per l’anno successivo, salvo disdetta di una delle due parti che dovrà essere inviata con R.R. entro tre mesi dalla data di scadenza della convenzione. In ogni caso, è concessa facoltà ad entrambe le parti di recedere in qualsiasi momento dalla presente convenzione previo preavviso di mesi tre da comunicarsi per iscritto mediante raccomandata R.R.;

Letto, approvato e sottoscritto.

Santarcangelo di Romagna, 05 agosto 2004

(1) Art. 8. Modifiche alla legge 27 luglio 2011, n. 128, in materia di sconti sul prezzo di vendita dei libri. Relazione alle Camere

In vigore dal 25 marzo 2020
1. Il comma 2 dell’articolo 1 della legge 27 luglio 2011, n. 128, è sostituito dal seguente:
«2. Tale disciplina mira a contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, alla promozione del libro e della lettura, alla diffusione della cultura e, anche attraverso il contrasto di pratiche limitative della concorrenza, alla tutela del pluralismo dell’informazione e dell’offerta editoriale».
2. I commi 2, 3 e 4 dell’articolo 2 della legge 27 luglio 2011, n. 128, sono sostituiti dai seguenti:
«2. La vendita di libri ai consumatori finali, da chiunque e con qualsiasi modalità effettuata, è consentita con uno sconto fino al 5 per cento del prezzo apposto ai sensi del comma 1. Il limite massimo di sconto di cui al primo periodo è elevato al 15 per cento per i libri adottati dalle istituzioni scolastiche come libri di testo. I limiti massimi di sconto di cui al primo e al secondo periodo si applicano anche alle vendite di libri effettuate per corrispondenza o tramite piattaforme digitali nella rete internet. I limiti massimi di sconto di cui al primo e al secondo periodo non si applicano alle vendite di libri alle biblioteche, purché i libri siano destinati all’uso dell’istituzione, restando esclusa la loro rivendita.
3. Per un solo mese all’anno, per ciascun marchio editoriale, le case editrici possono offrire sul prezzo di vendita dei propri libri uno sconto maggiore del limite di cui al comma 2, primo periodo, ma comunque non superiore al 20 per cento del prezzo apposto ai sensi del comma 1. L’offerta è consentita nei soli mesi dell’anno, con esclusione del mese di dicembre, stabiliti con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare, in sede di prima attuazione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. L’offerta non può riguardare titoli pubblicati nei sei mesi precedenti a quello in cui si svolge la promozione. E’ fatta salva la facoltà dei venditori al dettaglio, che devono in ogni caso essere informati e messi in grado di partecipare alle medesime condizioni, di non aderire a tali campagne promozionali.
3-bis. In uno dei mesi individuati ai sensi del comma 3, una sola volta all’anno, i punti di vendita possono offrire sconti sui libri con la percentuale massima del 15 per cento.
4. Sono vietate iniziative commerciali, da chiunque promosse, che accordino sconti superiori ai limiti previsti dal comma 2, anche nel caso in cui prevedano la sostituzione dello sconto diretto con la consegna di buoni spesa utilizzabili contestualmente o successivamente all’acquisto dei libri sui quali sono riconosciuti».
3. Decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con l’autorità di Governo competente in materia di informazione e di editoria, con riguardo alle rispettive competenze, predispone e trasmette alle Camere una relazione sugli effetti dell’applicazione delle disposizioni dell’articolo 2 della legge 27 luglio 2011, n. 128, come modificato dal presente articolo, sul settore del libro.
4. All’articolo 3 della legge 27 luglio 2011, n. 128, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 3 è abrogato;
b) alla rubrica, le parole: «Relazione al Parlamento» sono soppresse.


La notificazione degli atti costituisce un’importante funzione che l’Ente Locale svolge per sè e per le altre Pubbliche Amministrazioni

L’applicazione pratica delle norme sulle notificazioni presenta particolari difficoltà, non sempre evidenti, dovute anche ad indirizzi non costanti, o ancora peggio contrastanti, della giurisprudenza e della prassi ministeriale.
La responsabilità conseguente alle notifiche errate viene imputata, da consolidata giurisprudenza contabile, non solo ai Messi, ma anche alle Amministrazioni comunali (Corte dei conti, sez. I centr., 18 marzo 1999, n. 74, Sett. Giur. 1999, 151; Corte dei conti, Lazio, 15 marzo 1999, 205/EL, Sett. Giur. 1999, 356), e ciò comporta la necessità di un impegno costante di aggiornamento e approfondimento da parte dei Messi.
Il “Progetto per la valorizzazione del Messo comunale”, iniziativa dell’Associazione che ha come obiettivo principale quello di riqualificare la figura e il ruolo del Messo Comunale attraverso la conoscenza dei principi fondamentali del Procedimento notificatorio. L’Associazione attraverso tale iniziativa, che si svolgerà su tutto il territorio nazionale, intende dare il proprio contributo affinché sia la più possibile uniforme l’applicazione delle norme che regolano il Procedimento notificatorio.
Spesso nei piccoli Enti, la realtà con cui ci si raffronta è lo strumento della tradizione e della prassi, non più sufficiente, in tempi di notevoli mutamenti normativi, ad affrontare con la dovuta sicurezza e serenità lo svolgimento di un’attività indispensabile nel nostro ordinamento.
La figura del Messo Comunale riveste una posizione delicata e importante nell’ambito dell’organico comunale, provvedendo alla notificazione di atti indirizzati a soggetti pubblici e privati.
La qualifica di Pubblico ufficiale, rivestita dal Messo Comunale nell’esercizio delle sue funzioni, assume particolare rilevanza sia per le garanzie riconosciute alla stessa, sia per le responsabilità che ad essa fanno capo.


Riunione Giunta Esecutiva del 24.05.2004

Atti della riunione della Giunta Esecutiva del 24 maggio 2004 svoltasi a Padova

Leggi: Verbale GE 24 05 2004


Cass. civ. Sez. V, (ud. 18-06-2003) 06-05-2004, n. 8625

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FAVARA Ugo – Presidente –

Dott. CICALA Mario – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

s.n.c. A.R. di R.G. & C., con sede a Campobasso, in persona dell’amministratore unico G.R., elettivamente domiciliata in Roma, via xxx, presso l’avv. Giuseppe Petrucciani, rappresentata e difesa, per procura a margine del ricorso, dagli avvocati Angelo Cima e Pietro Colucci del foro di Campobasso;

– ricorrente –

contro

Comune di Campobasso;

– intimato non costituito –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise n. 184/2/99 dell’8 aprile 1999, depositata l’8 giugno 1999, notificata il 6 luglio 1999.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza del 18 giugno 2003 dal Relatore Consigliere Dott. Stefano Bielli;

Udito il P.M. in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Con avviso di accertamento emesso il 22 dicembre 1995, il Comune di Campobasso rettificava, per il 1990 (richiedendone il maggiore importo, con le correlative sanzioni pecuniarie), l’Imposta comunale per l’esercizio di imprese, arti e professioni (ICIAP) a carico della s.n.c. A.R. di R.G. & C., modificando da mq. 72, 50 a mq. 200 la superficie denunciata il 27 giugno 1960 dalla contribuente come utilizzata per lo svolgimento dell’attività di concessionaria F. (in via xxx).

2. Con sentenza n. 203/3/1996 del 30 ottobre 1996, depositata l’11 gennaio 1997, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso respingeva il ricorso proposto dalla s.n.c., contro l’avviso.

3. La società impugnava tale decisione, affermando di aver utilizzato dal 1991 un locale di mq. 126, sito in contrada xxx, mentre il locale di mq. 220, sito in via xxx, era rimasto inutilizzato per il 1990 e per il 1991 (per fitto a terzi, ristrutturazione e per essere stata iniziata in esso – dalla società – l’attività di vendita di autovetture solo dall’11 marzo 1991) ed osservando che il presupposto dell’ICIAP era l’effettivo utilizzo dei locali e non già, come invece, per la TARSU, il loro mero possesso.

con sentenza n. 184/2/99 dell’8 aprile 1999, depositata l’8 giugno 1999 e notificata il 6 luglio 1999, la Commissione tributaria regionale del Molise, in parziale riforma della predetta sentenza, appellata dalla contribuente, annullava le sanzioni pecuniarie indicate nell’avviso di accertamento e compensava le spese di lite, osservando: a) che il Comune, già nel corso del giudizio di primo grado, aveva dimostrato che l’accertamento della maggiore superficie era basato su elementi certi, tratti dalla dichiarazione della stessa contribuente ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani per il 1990, relativa ad un locale di mq. 220 (superficie indicata nell’avviso ICIAP limitatamente a mq. 200) destinato ad attività commerciale, tali da smentire l’assunto della società di aver utilizzato la maggiore superficie solo a partire dal 1992; b) che, a prescindere dai diversi criteri ispiratori della TARSU e dell’ICIAP, appariva difficile che, relativamente alla stessa attività, fosse stata dichiarata dalla società una superficie diversa; c) che, pertanto, ricorrevano le condizioni per l’assoggettamento al tributo, secondo quanto indicato nell’avviso; d) che le modifiche normative concernenti i tributi locali e le oggettive difficoltà per i contribuenti di far fronte ai molteplici obblighi a loro carico giustificavano la decisione di non applicare le sanzioni.

4. Con ricorso notificato il 16 settembre 1999 e depositato il 29 settembre 1999, la s.n.c. A.R. di R.G. & C. ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, articolando quattro motivi.

5. Non si costituisce in giudizio l’intimato Comune di Campobasso.

Motivi della decisione
1. Con i proposti motivi di impugnazione, la società ricorrente complessivamente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 della l. n. 144 del 1989, 62 del d. lgs. n. 507 del 1993; lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su punti decisivi della controversia; si duole della carenza di motivazione “degli atti impositivi”.

2. Più in particolare, con il primo motivo, la contribuente ripropone, sotto il profilo della violazione di legge, l’assunto, già prospettato in appello, secondo cui, per l’applicazione dell’ICIAP, la superficie deve essere utilizzata per lo svolgimento di un’attività imprenditoriale, artistica o professionale (insediamento), mentre per l’applicazione della TARSU è sufficiente “l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibite” (art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, come modificato dall’art. 1, comma 28, della l. n. 426 del 1998).

3. Il motivo è infondato, perché la ratio decidendi della sentenza non si basa sull’irrilevanza del modo di utilizzazione dei locali in questione, ma sull’accertamento, in punto di fatto, dell’esistenza, in essi, di un insediamento produttivo (“destinazione ad attività commerciale”).

Mentre la ricorrente afferma che il locale di mq. 220, nel 1990, non era adibito ad attività commerciale, la sentenza impugnata asserisce che nei locali della s.n.c. veniva svolta la “stessa attività” e che, in particolare, il locale di mq. 220 aveva una “destinazione ad attività commerciale”: la dichiarazione della contribuente, ai fini TARSU, relativa ad una superficie di mq. 220, viene richiamata nella sentenza di appello solo per dimostrare che l’entità della superficie (utilizzata – come affermato dal giudice regionale – per la “stessa attività”) non poteva essere diversa.

Si è dunque in presenza di un insindacabile accertamento in fatto del giudice merito, non già della denunciata violazione di legge.

4. Con il secondo motivo, la ricorrente si duole dell’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, in quanto questa non avrebbe fornito risposta in ordine alla contestazione dell’equiparazione dei presupposti della TARSU e dell’ICIAP.

5. Il motivo è infondato, perché non attiene al vizio di motivazione circa l’accertamento (in punto di fatto) dell’attività commerciale svolta nel locale di via xxx, ma solo all’asserita erronea equiparazione dei presupposti dei due tributi. Come già osservato nel p. 3.-, il giudice di appello ha deciso sulla base del non censurato rilievo che nel locale di via xxx veniva esercitata attività commerciale, con conseguente applicabilità dell’ICIAP, senza prospettare alcuna equiparazione dei presupposti dell’ICIAP e della TARSU “a prescindere dai diversi criteri ispiratori dei due tributi”).

6. Con il terzo motivo, la società lamenta il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.

7. Il motivo è inammissibile, perché non prospettato in appello (v. il p. 3. – della parte narrativa di questa sentenza, nel quale sono riassunti i motivi di appello).

8. Con il quarto motivo, viene denunciata la nullità della notifica della sentenza della commissione regionale, perché eseguita dal messo comunale, senza l’autorizzazione del Presidente del Tribunale.

9. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, avendo la società proposto tempestivo ricorso in relazione alla data dell’asseritamente nulla notificazione, dimostrando di aver ricevuto la comunicazione dell’atto e di averne preso piena cognizione, difendendosi nel merito: di qui l’irrilevanza della censura. Al riguardo è qui sufficiente ricordare che la notificazione di un atto processuale eseguita dal messo comunale senza la specifica autorizzazione del Presidente del tribunale, prevista dall’art. 34 del d.P.R. n. 1229 del 1959, come modificato dalla l. n. 546 del 1962, è affetta da nullità e non da inesistenza, con la conseguenza che è sanabile non solo a seguito della costituzione in giudizio della parte, ma anche in ogni altro caso in cui sia raggiunta la prova dell’avvenuta comunicazione dell’atto al notificato (v., tra le altre, Cass., n. 9395 del 1995; n. 1585 del 1996; n. 770 del 1999).

10. La mancata costituzione dell’intimato esclude ogni pronuncia sulle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 18 giugno 2003.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2004.


Cass. civ. Sez. I, (ud. 13-01-2004) 06-04-2004, n. 6761

La s.r.l. A. proponeva opposizione avverso la sentenza, resa il 20 luglio 1995, con cui il Tribunale di Bologna ne aveva dichiarato d’ufficio il fallimento. In particolare, l’opponente deduceva la nullità della notifica del decreto di convocazione in Camera di consiglio a, nel merito, l’insussistenza dello stato di insolvenza. Quanto al primo punto, che interessa in questa sede, l’opponente esponeva che essa aveva sede in Bologna via C. con numero civico originariamente contrassegnato con il n. 1. e successivamente, a seguito di una variazione di numerazione intervenuta in data 15 maggio 1995, con il n. 15/A; che il suo amministratore, D.R., era residente nella stessa via C. al n. 1.; che l’ufficiale giudiziario nella relata concernente il tentativo di notifica effettuato il 17 maggio 1995 aveva attestato che la s.r.l. A. ed il suo amministratore non risultavano conosciuti al numero civico 1. di via C.; che, pertanto, l’ufficiale giudiziario non aveva usato la diligenza ordinaria per rinvenire i destinatari delle notifiche e la relata doveva ritenersi falsa laddove aveva fatto menzione di ricerche svolte e di informazioni assunta.

La Corte Suprema di Cassazione

Sezione I

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Angelo GRIECO – Presidente

Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO – Consigliere

Dott. Donato PLENTEDA – Consigliere

Dott. Carlo PICCININNI – Consigliere

Dott. Sergio DI AMATO – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO A. S.R.L. in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DELLE MILIZIE 1 presso l’avvocato PIETRO SCIUBBA che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFREDO ROSSI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A. S.R.L., in persona dell’Amministratore Unico pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA LUNGOTEVERE FLAMINIO 76, presso l’avvocato ANTONELLA FAIETA, rappresentata e difesa dagli avvocati FAUSTO PACIFICO, FRANCESCO GASPARDINI, LORENZO GIUSTO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sent. n. 1029/00 della Corte d’Appello di BOLOGNA, depositata il 27 luglio 2000;

udita la relazione dalla causa svolta nella pubblica udienza del 13 gennaio 2004 dal Consigliere Dott. Sergio DI AMATO;

udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
La s.r.l. A. proponeva opposizione avverso la sentenza, resa il 20 luglio 1995, con cui il Tribunale di Bologna ne aveva dichiarato d’ufficio il fallimento. In particolare, l’opponente deduceva la nullità della notifica del decreto di convocazione in Camera di consiglio a, nel merito, l’insussistenza dello stato di insolvenza. Quanto al primo punto, che interessa in questa sede, l’opponente esponeva che essa aveva sede in Bologna via C. con numero civico originariamente contrassegnato con il n. 1. e successivamente, a seguito di una variazione di numerazione intervenuta in data 15 maggio 1995, con il n. 15/A; che il suo amministratore, D.R., era residente nella stessa via C. al n. 1.; che l’ufficiale giudiziario nella relata concernente il tentativo di notifica effettuato il 17 maggio 1995 aveva attestato che la s.r.l. A. ed il suo amministratore non risultavano conosciuti al numero civico 1. di via C.; che, pertanto, l’ufficiale giudiziario non aveva usato la diligenza ordinaria per rinvenire i destinatari delle notifiche e la relata doveva ritenersi falsa laddove aveva fatto menzione di ricerche svolte e di informazioni assunta.

Il fallimento si costituiva contestando la fondatezza dell’opposizione. Nel corso del giudizio di primo grado la società opponente impugnava con querela di falso la relata di notifica.

Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 15 luglio 1998, rigettava sia l’opposizione che la querela di falso e, per quanto qui ancora interessa, osservava: 1) che la sede legale della s.r.l. A. doveva identificarsi con la residenza del suo amministratore e che entrambe, dalle certificazioni pubbliche, risultavano al n. 19 di via C.; 2) che, pertanto, o la società e l’amministratore avevano effettivamente sede e residenza al n. 1. oppure la società, indipendentemente dalla numerazione successivamente attribuita dal Comune, aveva sede in uno dei locali (un magazzino ed un’autorimessa) cui si accedeva dal cancello, originariamente senza numero, adiacente al n. 19; 3) che in questa seconda ipotesi, di fatto riconducibile alla tesi dell’opponente, vi era una discrasia tra situazione reale e situazione resa conoscibile ai terzi, senza che vi fosse la prova dell’esistenza in loco di indicazioni idonee a consentire il reperimento degli interessati; 4) che non vi era prova che l’ufficiale giudiziario non avesse svolto adeguati accertamenti e che nella situazione descritta non si poteva ritenere che l’ufficiale giudiziario fosse tenuto ad una sistematica interrogazione di tutti i vicini.

Avverso detta sentenza la s.r.l. A. proponeva appello che la Corte di Bologna accoglieva, con sentenza del 27 luglio 2000, osservando che: 1) era infondata l’eccezione sollevata dal fallimento di inammissibilità dell’appello per mancata indicazione degli specifici motivi di gravame correlati alla motivazione della sentenza impugnata; infatti, nella specie la riproposizione di difese analoghe a quelle svolte nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado si convertiva nella specifica esposizione delle doglianze svolte dalla parte soccombente nei confronti della sentenza che non aveva accolto la prospettazione dell’opponente; in particolare, affermando che l’ufficiale giudiziario non si trovava nell’impossibilità di individuare sede della società e residenza dell’amministratore, l’appellante aveva contestato la fondatala dalla argomentazione dal primo giudice in ordine alla assenza dalla indicazione dei nominativi ed al mancato assolvimento dell’onere di far coincidere la situazione di fatto con quella dichiarata o almeno, nel caso di una qualche discrasia, di porre in essere gli accorgimenti per ovviarvi; 2) non costituiva domanda nuova, come assunto dal fallimento, la deduzione della nullità della notificazione per genericità della relazione dell’ufficiale giudiziario; infatti, l’atto di citazione evidenziava i medesimi motivi di nullità della notificazione dedotti con l’appello e nelle conclusioni finali del giudizio di primo grado, assunte all’udienza del 2 aprile 1998, l’opponente aveva insistito nella dichiarazione di nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa del debitore, richiamando in tal modo anche i motivi di nullità esposti originariamente; 3) quanto alla nullità della notificazione, indipendentemente dalla questione della coincidenza o meno della sede dalla società e della residenza dell’amministratore, era certo che entrambe non avevano subito variazioni così come non era cambiata la situazione reale dei luoghi che rendeva evidente come l’area cortilizia, alla quale era stata attribuita una autonoma numerazione, fosse comunque annessa all’edificio contrassegnato con il n. 1.; 4) in tale situazione non poteva sostenersi che fosse onere della società o del suo amministratore attuare una qualche comunicazione ai terzi, considerato anche che società ed amministratore erano rimasti rintracciabili nei medesimi luoghi in cui si trovavano da anni, come era dimostrato da numerose notifiche andata a buon fine sia prima che dopo l’omessa notifica del 17 maggio 1995 (compresa la notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento ad opera dello stesso ufficiale giudiziario); 5) in tale situazione, infine, si doveva ritenere generica ed insufficiente la relazione dell’ufficiale giudiziario che nell’occasione si era limitato ad attestare che “da informazioni e ricerche assunte in loco” il destinatario non risultava conosciuto al civico indicato, senza fornire ulteriori precisazioni tali da consentire il necessario controllo sulla completezza delle notizie effettivamente raccolte e sulla regolarità del procedimento ed evidenziando, anzi, che nessuna ricerca anagrafica era stata effettuata presso il Comune; 6) in contrario non assumeva rilievo la circostanza, del resto neppure provata in modo certo, che i nominativi della società e del suo amministratore non figurassero dinanzi alla porta di ingresso dello stabile di via C. e neppure dinanzi al cancello dell’area cortilizia, atteso che tale circostanza non escludeva, comunque, la possibilità dall’ufficiale giudiziario di accertare, tramite una più attenta ricerca, che la società ed il suo amministratore avevano ivi la propria sede ed il proprio domicilio. Pertanto, la Corte di Bologna, ritenuta la nullità della successiva notificazione effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c., dichiarava la nullità della sentenza di fallimento della s.r.l. A..

Avverso detta sentenza il fallimento della s.r.l. A. propone ricorso per Cassazione, deducendo cinque motivi. La s.r.l. A. resiste con controricorso.

Motivi della decisione
Con il primo motivo il fallimento ricorrente lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c. ed il vizio di motivazione, deducendo che la riproposizione di difese analoghe a quelle svolte nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado era motivo di inammissibilità dell’appello per mancanza di adeguate critiche alla motivazione della sentenza impugnata; la Corte di appello, inoltre, non aveva spiegato perché la riproposizione delle difese si convertisse nella specifica esposizione delle doglianze né aveva indicato i punti di correlazione tra l’appello e la sentenza.

Il motivo è infondato. In tema di giudizio di appello, la ricorrenza dalla specificità dei motivi non può essere definita in via generala ed assoluta, ma va correlata con la motivazione della sentenza impugnata e deve ritenersi sussistente quando alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengono contrapposte quelle dell’appellato in modo da incrinare il fondamento logico – giuridico delle prime, come nell’ipotesi in cui l’appellante, pur non procedendo all’esplicito esame dei passaggi argomentativi della sentenza, svolga i motivi di appello in modo incompatibile con la complessiva argomentazione della decisione impugnata; infatti, l’esame dei singoli passaggi argomentativi e inutile, una volta che l’appellante abbia esposto argomentazioni incompatibili con le stesse premesse del ragionamento della sentenza impugnata (cfr. Cass. 23 ottobre 2003, n. 15936). Pertanto, riproponendo il rilievo di un domicilio e di una sede legale che non avevano subito modificazioni, se non una nuova numerazione accertabile con ricerche anagrafiche, e di una documentata rintracciabilità che era rimasta ferma nel tempo, l’appellante aveva contestato chiaramente le stesse premesse del ragionamento del primo giudice, secondo il quale sussisteva una discrasia tra risultanze legali e situazione di fatto che rendeva necessaria la presenza in loco di indicazioni per consentire di rintracciare i destinatari.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 345 c.p.c. nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di merito aveva escluso la novità della domanda di nullità della notificazione per genericità della relata, senza tenere conto del tenore delle conclusioni assunte in primo grado, con le quali era stata chiesta la dichiarazione di falsità delle affermazioni contenute nella stessa relata.

Il motivo e infondato. La Corte di merito, contrariamente a quanto assume il fallimento ricorrente, ha espressamente preso in considerazione le conclusioni della s.r.l. A. nel giudizio di primo grado e le ha confrontate con le conclusioni dell’atto di citazione, affermando, con motivazione immune di vizi logici e giuridici, che l’accertamento della nullità della notificazione non poteva ritenersi abbandonato considerato che lo stesso era compreso nell’onnicomprensiva richiesta di declaratoria della nullità della sentenza dichiarativa di fallimento per violazione dei diritti di difesa.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., lamentando che la Corte di merito aveva disatteso il giudicato formatosi sull’accertamento della sede della società, che la sentenza di primo grado aveva individuato in via C.1. presso l’abitazione dell’amministratore.

Il motivo e infondato. La Corte di merito, come riferito in narrativa, ha espressamente affermato l’indifferenza della pretesa coincidenza tra il domicilio dell’amministratore e la sede della società ed ha fondato la decisione sulla insufficienza e genericità delle indagini che, sulla base della relata di notifica, l’ufficiale giudiziario risultava avere svolto in una situazione nella quale era stata dimostrata la reperibilità dei destinatari all’indirizzo indicato. Il motivo, pertanto, non coglie la ratio decidendi.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione degli art. 2475 c.c. n. 2, art. 2383 c.c., quarto comma, come richiamato dall’art. 2487 c.c., secondo comma, e art. 2193 c.c., lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto che l’ufficiale giudiziario fosse tenuto ad effettuare ricerche presso l’ufficio anagrafico e non fossero sufficienti le ricerche presso la sede della società ed il domicilio dell’amministratore risultanti dal registro delle imprese; inoltre, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., affermando che l’onere di provare l’esistenza di indicazioni atte a rintracciare la società e l’amministratore destinatari dalle notifichi doveva ritenersi a carico di chi ne sosteneva la nullità.

Il motivo e infondato. Il passaggio dalla notifica presso la sede della società ovvero, ove ciò non sia possibile, presso il domicilio del suo amministratore alla notifica prevista dall’art. 143 c.p.c. (Cass. s.u. 4 giugno 2002, n. 8091) presuppone che la società ed il suo amministratore non siano reperibili rispettivamente presso la sede risultante dal registro delle imprese e presso il domicilio anagrafico. La sussistenza del predetto presupposto di irreperibilità può ricorrere anche in una situazione nella quale, come nella specie, nel corso del giudizio si accerti che la società ed il suo amministratore siano stati in concreto rintracciati in altre precedenti e successive occasioni rispettivamente presso la sede risultante dal registro delle imprese e presso la residenza anagrafica; ciò, tuttavia, richiede che l’ufficiale giudiziario abbia svolto ricerche e chiesto informazioni in nodo adeguato, così da consentire di presumere che i diversi esiti di altre notificazioni siano riconducibili non ad una doverosa e diligente attività di ricerca dei destinatari, ma a circostanze fortunate non sempre ripetibili; inoltre, 4 necessario che, come previsto dall’art. 148 c.p.c., di detta attività si dia atto specificamente nella relazione di notifica. Pertanto, esattamente la Corta di appello ha ritenuto insuscettibile di valutazione, al fine di ritenere l’irreperibilità, l’attività di ricerca risultante da una relazione nella quale l’ufficiale giudiziario si limiti a riferire che “da informazioni e ricerche assunte in loco” il destinatario non risultava conosciuto al civico indicato; infatti, il generico tenore della relazione non consente di avere contezza dell’attività in concreto svolta né di verificare che siano state svolte le indagini e raccolte le informazioni che la situazione consentiva (Cass. 28 marzo 1987, n. 3025).

In tale situazione, inoltre, la Corte di merito ha esattamente ritenuto assorbita ogni questione in ordine alla pretesa assenza di indicazioni utili a rintracciare i destinatari. Infatti, l’indicazione del nome o della denominazione sociale sui citofoni o sulla cassetta postale o in altro modo non è oggetto di un obbligo di legge (Cass. 16 luglio 2003, n. 11138) e rappresenta soltanto un onere configurabile quando la situazione dei luoghi non consente di rintracciare il destinatario, malgrado doverose e diligenti ricerche sul posto. Proprio tale presupposto, tuttavia, è risultato mancante nella fattispecie, caratterizzata, da un lato, da un contesto in cui la sede ed il domicilio dei destinatari sono rimasti stabili e altre notifichi, in momenti precedenti e successivi, sono andate a buon fine e, dall’altro, dalla genericità delle ricerche attestate dall’ufficiale giudiziario.

Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione degli art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c. per non avere tenuto presente, ai fini della decisione, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado relativamente al rigetto della querela di falso; da ciò, infatti, discendeva l’incontestabilità tra le parti della veridicità della relata di notifica laddove l’ufficiale giudiziario aveva affermato che “da informazioni assunte e ricerche esperite in loco” i destinatari non risultavano conosciuti al civico indicato. Pertanto, in violazione del giudicato la Corte di appello aveva affermato che la “relata … era del tutto insufficiente”.

Il motivo è infondato. Il giudicato sulla querela di falso se rende incontestabile la veridicità dall’affermazione che sulla base delle informazioni assunte e delle ricerche esperite l’ufficiale giudiziario non aveva potuto rintracciare i destinatari, non pregiudica alcuna valutazione sulla sufficienza e specificità di tali ricerche ed informazioni.

Soccorrono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.
rigetta il ricorso; compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2004.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2004


Riunione Giunta Esecutiva del 17.03.2004

Atti della riunione della Giunta Esecutiva riunitasi il 17 marzo 2004 a San Giovanni Lupatoto (VR)

Leggi: Verbale GE 17 03 2004


Corte cost., Sent., (data ud. 13/01/2004) 23/01/2004, n. 28

La Corte Costituzionale

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 139 e 148 del codice di procedura civile promosso con ordinanza del 3 gennaio 2003 emessa dal Tribunale di Milano, sezione distaccata di Rho, nel procedimento civile vertente tra Luisa Rosa Trezzi ed altra e Maria Ida Versetti ed altri, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Udito nella camera di consiglio del 12 novembre 2003 il Giudice relatore Franco Bile.

Svolgimento del processo
1. – Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Milano, sezione distaccata di Rho, nel corso di un procedimento civile di opposizione all’esecuzione ex art. 615 del codice di procedura civile – a seguito di eccezione, formulata dalla parte opposta, di decadenza degli opponenti per inosservanza del termine perentorio assegnato dal giudice per la notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 139 e 148 cod. proc. civ., «nella parte in cui prevede che le notificazioni si perfezionino, per il notificante, alla data di perfezionamento delle formalità di notifica poste in essere dall’ufficiale giudiziario e da questi attestate nella relazione di notificazione, anziché alla data, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario».

Rilevato che, di fronte all’eccezione, gli opponenti hanno replicato di avere eseguito tempestivamente gli adempimenti loro attribuiti e che il ritardo con cui erano state effettuate le notifiche era dovuto esclusivamente all’attività dell’ufficiale giudiziario, sottratta al controllo ed alla disponibilità del notificante, il rimettente osserva che con sentenza n. 477 del 2002 la Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e dell’art. 4, comma terzo, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), in materia di notificazioni a mezzo del servizio postale, nella parte in cui prevedeva che la notificazione si perfezionasse, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.

Secondo il giudice a quo, i principi posti a fondamento di tale decisione «sono suscettibili di trovare applicazione anche rispetto alle notificazioni effettuate senza fare ricorso al servizio postale», quali quelle c.d. “a mani del destinatario” ai sensi dell’art. 139 cod. proc. civ., che, per effetto del combinato disposto con il successivo art. 148, si perfezionano con il compimento di tutte le formalità nelle quali si articola il procedimento di notifica e, quindi, con la consegna di copia dell’atto e con la attestazione da parte dell’ufficiale giudiziario delle operazioni a tal proposito compiute.

Richiamata anche la sentenza di questa Corte n. 69 del 1994, il rimettente conclude che anche nel caso di specie il contrasto con tali parametri può essere evitato, ricollegando gli effetti della notificazione – per quanto riguarda il notificante – al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari completamente sottratta al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo, fermo invece restando per il destinatario il principio del perfezionamento della notificazione alla data della ricezione dell’atto, come attestata nella relazione di notifica redatta dall’ufficiale giudiziario.

Motivi della decisione
1. – Il Tribunale di Milano, sezione distaccata di Rho, prospetta la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 139 e 148 del codice di procedura civile, «nella parte in cui prevede che le notificazioni si perfezionino, per il notificante, alla data di perfezionamento delle formalità di notifica poste in essere dall’ufficiale giudiziario e da questi attestate nella relazione di notificazione, anziché alla data, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario».

Secondo il rimettente questa disciplina contrasterebbe con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per le stesse ragioni poste dalla sentenza di questa Corte n. 477 del 2002 a base della dichiarata illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e dell’art. 4, comma terzo, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui prevedeva che quella forma di notificazione si perfezionasse, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.

2. – La questione è infondata.

3. – Già con la sentenza n. 69 del 1994, questa Corte – chiamata a valutare la legittimità costituzionale delle norme relative alla notificazione all’estero, con particolare riferimento alla notifica di un provvedimento di sequestro ante causam – ha affermato che, ai sensi degli artt. 3 e 24 della Costituzione, le garanzie di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario della notificazione debbono coordinarsi con l’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo del procedimento notificatorio per la parte sottratta alla sua disponibilità. E ne ha ricavato la conclusione che la notifica si perfeziona, per il notificante, con il compimento delle sole formalità che non sfuggono alla sua disponibilità, con la conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione – degli artt. 142, terzo comma, 143, terzo comma, e 680, primo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevedevano che la notificazione all’estero del decreto che autorizza il sequestro si perfezionasse, ai fini dell’osservanza del prescritto termine, con il tempestivo compimento delle formalità imposte al notificante dalle convenzioni internazionali e dagli artt. 30 e 75 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200 (Disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari).

Questa soluzione è stata poi confermata dalla sentenza n. 358 del 1996, che – proprio in ragione di tale conferma – ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità dell’art. 669-octies cod. proc. civ., a proposito della notificazione all’estero dell’atto introduttivo del procedimento cautelare uniforme, nel frattempo introdotto dalla novella del 1990.

Con la successiva sentenza n. 477 del 2002 questa Corte ha qualificato i principi posti a base delle precedenti decisioni come di portata generale, e perciò riferibili «ad ogni tipo di notificazione» ed in particolare a quella eseguita a mezzo del servizio postale. Ne è seguita la dichiarazione di illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e dell’art. 4, terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), essendo palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di attività riferibili non al notificante, ma a soggetti diversi (l’ufficiale giudiziario e l’agente postale suo ausiliario), e perciò del tutto estranee alla sua disponibilità.

4. – Per effetto delle ricordate sentenze – ed in particolare della n. 477 del 2002 – risulta ormai presente nell’ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale – relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante – il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario; pur restando fermo che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui la legge preveda termini o adempimenti o comunque conseguenze dalla notificazione decorrenti, gli stessi debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti.

Più specificamente il principio di scissione fra i due momenti di perfezionamento della notificazione nei termini ora indicati si rinviene nell’art. 149 cod. proc. civ., per effetto della sentenza n. 477 del 2002 (e nell’art. 142, anche in combinato disposto con il terzo comma dell’art. 143, per effetto della sentenza n. 69 del 1994).

5. – Il principio della distinzione fra i due diversi momenti di perfezionamento delle notificazioni degli atti processuali – affermato dalla ricordata giurisprudenza additiva di questa Corte, con gli effetti prima indicati – è ormai decisivo per l’interpretazione delle altre norme del codice di procedura civile sulle notificazioni.

Al riguardo, gli artt. 138, 139, 140, 141, 143, 144, 145 e 146 – adoperando a proposito dell’attività di notificazione i verbi «eseguire», «fare», «consegnare» ed altri di portata equivalente – di certo non enunciano espressamente una regola contraria alla scissione fra i due momenti di perfezionamento e nemmeno mostrano di accogliere per implicito il principio del momento di perfezionamento unico.

In presenza di un tale dato normativo neutro, l’interprete è vincolato a tener conto del ricordato principio enunciato da questa Corte ai fini del rispetto del canone della c.d. interpretazione sistematica. In base ad essa la regola generale della distinzione fra i due momenti di perfezionamento delle notificazioni – non contenuta esplicitamente nelle norme citate – deve essere desunta da quella ormai espressamente prevista dall’art. 149 cod. proc. civ. per la notificazione a mezzo posta, e conseguentemente applicata anche alla notificazione eseguita direttamente dall’ufficiale giudiziario.

In ragione di tali rilievi, le norme censurate vanno interpretate nel senso che la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante, secondo quanto sopra specificato, al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. Pertanto la questione sollevata dal rimettente deve essere dichiarata non fondata.

P.Q.M.
La Corte Costituzionale

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 139 e 148 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, sezione distaccata di Rho, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2004.


Corte cost., (ud. 10-12-2003) 19-12-2003, n. 360

La Corte Costituzionale

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 60, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza del 13 maggio 2002 dalla Commissione tributaria provinciale di Trapani sul ricorso proposto da Salerno Ugo contro l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Trapani, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 novembre 2003 il Giudice relatore Annibale Marini.

Svolgimento del processo
1. – Con ordinanza del 14 febbraio 2002, depositata il 13 maggio 2002 e pervenuta presso la cancelleria della Corte Costituzionale in data 20 febbraio 2003, la Commissione tributaria provinciale di Trapani ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 60, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), nella parte in cui prevede che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale dei redditi, abbiano effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica, ed in ogni caso nella parte in cui non prevede che abbiano immediatamente effetto, ai medesimi fini, anche le variazioni e le modificazioni comunque conosciute dall’amministrazione finanziaria.

Il rimettente riferisce che il giudizio a quo ha ad oggetto la impugnazione di una cartella di pagamento emessa per imposte maturate negli anni 1992 e 1993 e che l’impugnazione stessa si fonda su un vizio della notificazione, in quanto eseguita presso un indirizzo ove il ricorrente non risultava più essere né domiciliato né residente, avendo trasferito, a seguito della separazione personale, la propria residenza ed abitazione in altro luogo ubicato, come il precedente, nel territorio del Comune di Erice.

Riferisce, altresì, il rimettente che il contribuente aveva comunque dato comunicazione all’amministrazione finanziaria dell’avvenuta variazione di indirizzo e che l’amministrazione nel costituirsi ha affermato la validità della notificazione, effettuata presso il precedente indirizzo sulla base dell’art. 60, ultimo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 a tenore del quale «le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica».

La disposizione invocata dall’amministrazione – che imporrebbe, evidentemente, il rigetto del ricorso – contrasta, tuttavia, secondo la Commissione rimettente, con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, comportando la validità di una notificazione effettuata presso un indirizzo diverso da quello risultante dall’anagrafe del Comune di residenza; e ciò anche nel caso in cui, come nella specie, dell’avvenuta variazione anagrafica l’amministrazione sia stata posta a conoscenza dallo stesso contribuente.

La norma censurata sarebbe, altresì, lesiva dei principi di efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione, enunciati dall’art. 97 della Costituzione, ponendosi in contrasto con il dovere di leale collaborazione nei confronti degli amministrati, che – secondo il rimettente – comporta lo svolgimento di quella minima attività istruttoria volta ad individuare l’esatto indirizzo del destinatario dell’atto.

Risulterebbe leso, infine, il diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della Costituzione, in quanto la norma impugnata potrebbe in concreto impedire al contribuente, ignaro della notificazione dell’atto da impugnare, di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.

2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione.

Con successiva memoria illustrativa, depositata nell’imminenza della Camera di consiglio, l’Avvocatura dello Stato, motivando le proprie conclusioni, osserva che la norma impugnata realizza un «equilibrato contemperamento» fra l’esigenza di speditezza ed efficienza della amministrazione finanziaria ed il diritto di difesa del contribuente, in quanto pur prevedendo un’evidente facilitazione per l’ufficio impositore non sarebbe tale da sacrificare in misura irragionevole la posizione del destinatario dell’atto, il quale, conoscendo il contenuto della norma impugnata, avrebbe l’onere di verificare «se mai l’ufficio impositore gli ha notificato alcunché» al precedente indirizzo.

In tal modo, secondo l’Avvocatura, si realizzerebbe, in conformità a quanto previsto dall’art. 97 della Costituzione, quella leale, reciproca collaborazione fra fisco e contribuente, cui fa riferimento l’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).

Le medesime considerazioni condurrebbero, anche, ad escludere – ad avviso della parte pubblica – qualsiasi violazione del principio di ragionevolezza.

Motivi della decisione
1. – La Commissione tributaria provinciale di Trapani dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 60, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), nella parte in cui prevede che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale dei redditi, abbiano effetto, ai fini delle notificazioni, solamente dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica, ed in ogni caso nella parte in cui non prevede che abbiano immediato effetto, ai medesimi fini, le variazioni e le modificazioni di indirizzo comunque conosciute dall’amministrazione finanziaria.

Ad avviso del rimettente, la norma impugnata, consentendo all’amministrazione finanziaria di effettuare la notificazione in un luogo diverso dall’effettivo indirizzo del destinatario, quale risultante dai registri anagrafici, sarebbe irragionevolmente lesiva del diritto di difesa del contribuente e contrasterebbe con i principi di efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione.

2. – La questione è fondata.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che un limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore nella disciplina delle notificazioni è rappresentato dall’esigenza di garantire al notificatario l’effettiva possibilità di una tempestiva conoscenza dell’atto notificato e, quindi, l’esercizio del suo diritto di difesa (sentenza n. 346 del 1998).

Il legislatore può, dunque, nell’esercizio della sua discrezionalità, prevedere che le variazioni di indirizzo, ai fini delle notificazioni da effettuarsi da parte dell’amministrazione finanziaria, non abbiano un effetto immediato, agevolando, in tal modo, l’attività dei relativi uffici ed assicurando una migliore tutela degli interessi di carattere generale di cui sono portatori. Tale differimento di efficacia, pur legittimo in linea di principio, va, tuttavia, contenuto entro limiti tali da non pregiudicare, sacrificando l’effettiva possibilità di conoscenza dell’atto da parte del destinatario, l’esercizio del suo diritto di difesa.

Pregiudizio che certamente si verifica ove l’anzidetto differimento sia stabilito, come nella previsione di cui alla norma impugnata, per un periodo di tempo (sessanta giorni) non solo eccessivamente lungo, ma addirittura pari al termine di impugnazione dell’atto dinanzi alle commissioni tributarie.

Va, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, restando comunque riservata al legislatore l’individuazione di un diverso e più congruo termine per l’opponibilità della variazione anagrafica all’amministrazione finanziaria.

P.Q.M.
La Corte Costituzionale

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 60, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), nella parte in cui prevede che le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo del contribuente, non risultanti dalla dichiarazione annuale, hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello della avvenuta variazione anagrafica.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2003.


Cass. civ. Sez. I, (ud. 23-06-2003) 02-12-2003, n. 18385

La Corte Suprema di Cassazione

Sezione I

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Antonio SAGGIO – Presidente

Dott. Vincenzo PROTO – Consigliere

Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – Consigliere

Dott. Francesco FELICETTI – Consigliere

Dott. Onofrio FITTIPALDI – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MANCINI ORAZIO, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA SALLUSTIO 9, presso l’avvocato BARTOLO SPALLINA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO LOMBARDI, giusta procura speciale per Notaio Mario Iannella di Benevento, rep. n. 269097 dell’8 agosto 2000;

– ricorrente –

contro

MANCINI FELICE, MANCINI GIOCONDINA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA BAIAMONTI 4, presso l’avvocato LUIGI BARULLI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI GRASSI, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sent. n. 339/00 del Tribunale di BENEVENTO, depositata il 26 aprile 2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 giugno 2003 dal Consigliere Dott. Onofrio FITTIPALDI;

udito per il ricorrente l’Avvocato Spallina che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato Grassi che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele PALMIERI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato, ai sensi dell’art. 143 c.p.c. il 19 dicembre 1995, il sig. Mancini Orazio conveniva, innanzi al Pretore di Benevento, i signori Mancini Felice e Mancini Giocondina, chiedendo che fossero riconosciuti il suo diritto di proprietà su di una serie di beni immobili, per avvenuta usucapione degli stessi, e la concomitante invalidità dell’atto per notaio Iazzeolla del 9 marzo 1995 con il quale i convenuti risultavano avere acquistato, dai precedenti proprietari, i beni in questione.

Il Pretore, ritenuta la contumacia dei non costituitisi convenuti, con sentenza del 20 gennaio 1999, rigettata, per carenza di legittimazione attiva, la domanda di dichiarazione di invalidità, accoglieva l’altra domanda relativa alla usucapione.

Proponevano appello, con atto notificato il 22 febbraio 1999, il Mancini Felice e Mancini Giocondina, eccependo la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, per l’essere esso stato notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c., nonché contestando nel merito il fondamento dell’accolta domanda e quindi concludendo, in via principale, perché, previa dichiarazione della nullità della notifica dell’atto introduttivo di I grado, gli atti fossero rimessi al primo giudice, ed, in via gradata, perché venisse rigettata nel merito la domanda del Mancini Orazio.

Allo scopo chiedevano, fra l’altro, interrogatorio formale diretto a dimostrare che l’appellato – a loro dire – ben conosceva la circostanza che essi si erano trasferiti in Canada.

Resisteva il Mancini Orazio.

Il Tribunale, dopo alcuni provvedimenti rivolti ad assicurare l’integrità del contraddittorio nei confronti della Mancini Giocondina, accoglieva il gravame, rilevando:

a) come la notifica di un atto giudiziario ai sensi dell’art. 143 c.p.c., in tanto può ritenersi legittimamente eseguita nei confronti di destinatario che si sia trasferito all’estero, in quanto la residenza, la dimora o il domicilio estero non risultino conosciuti e sussista l’oggettiva impossibilità della loro individuazione, malgrado l’esperimento delle indagini suggerite, nel caso concreto, dalla comune diligenza, le quali debbono risultare dalla stessa relazione dell’ufficiale notificatore;

b) come, nella fattispecie risultassero effettuate relazioni di notifica negative solo con riguardo al comune di Casalduni nel quale i convenuti avevano eletto domicilio nell’atto di compravendita;

c) come nessuna ricerca risultasse invece effettuata in Pontelandolfo, luogo di ultima residenza dei destinatari, da parte dell’ufficiale notificatore;

d) come l’irreperibilità risultasse – conseguentemente – essere stata accertata esclusivamente in base ai certificati anagrafici rilasciati dal Comune;

e) come si rendesse pertanto configurabile la fattispecie della “ignoranza colpevole” (Cass. 3358/91); f) come la causa andasse pertanto rimessa al giudice di primo grado.

Ricorre per cassazione il Mancini Orazio sulla base di 1 motivo.

Resistono, con controricorso assistito da memoria, gli intimati.

Motivi della decisione
Con il suo motivo il ricorrente, nel dedurre “violazione e falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c. – omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia”, lamenta l’erroneità – a suo dire – dell’impugnata sentenza, posto che, risultando ignota la residenza all’estero dei due convenuti, e rendendosi pertanto impossibile il ricorso alle modalità di notificazione di cui all’art. 142 c.p.c., l’unica formalità di notifica praticabile nella fattispecie si era resa appunto quella nei fatti da esso Mancini seguita, ed operata ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

Il ricorrente pone più in particolare in luce, fra l’altro:

a) l’impossibilità di procedere a ricerche nel comune di Pontelandolfo – luogo di ultima residenza noto dei convenuti prima della loro cancellazione per irreperibilità al censimento del 1991 – una volta che il certificato anagrafico del suddetto comune li dava appunto – cancellati per irreperibilità;

b) il profilo per cui la diligenza nelle ricerche pretesa – in questi casi – dall’ordinamento sia pur sempre quella ordinaria (non comportando di certo essa l’onere di eseguire indagini straordinarie), e per cui essa, nella fattispecie concreta, si fosse già adeguatamente espressa, posto che esso Mancini si era preso cura di tentare la notifica nel domicilio contrattuale eletto in Casalduni;

c) l’ulteriore profilo per cui si rendesse pertanto del tutto illogica e perciò inesigibile, nella fattispecie concreta, pur di fronte ad una certificazione anagrafica del luogo di ultima residenza nota (Pontelandolfo), attestante l’irreperibilità della controparte, l’effettuazione di un preliminare tentativo di notifica proprio nel luogo di tale ultima residenza;

d) il fatto che il Tribunale di Benevento abbia del tutto omesso di considerare che, nella fattispecie, gli appellanti, comunque, nessuna prova avessero fornito della utilità in concreto di un tentativo di notifica eventualmente esperito in Pontelandolfo, ovvero della possibilità di conseguire, in quel luogo, attraverso i terzi, notizie ed informazioni circa la loro residenza all’estero.

Il motivo si rivela infondato e non può pertanto trovare alcun accoglimento.

Ed infatti, premesso come in fatto risulti incontestato (ed emerga, in ogni caso, anche dalla – consentita, dato il tipo di vizio lamentato – visione diretta degli atti processuali) come, in sede di notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’ufficiale giudiziario abbia fatto precedere le formalità di cui all’art. 143 c.p.c. (deposito dell’atto nella casa comunale di Pontelandolfo) dal solo tentativo di notifica compiuto in Casalduni (luogo di un domicilio eletto dai convenuti, in un contratto intercorso con terzi), va ribadito, ancora una volta, il principio già altre volte affermato da questa Suprema Corte, secondo cui il ricorso alle formalità di notifica di cui all’art. 143 c.p.c. non possa mai essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presupponga comunque e sempre che, nel luogo di ultima residenza nota siano compiute effettive ricerche (per tutte, vedi, oltre alla richiamata Cass. 3358/91: Cass. n. 3799/97; Cass. n. 6257/97; Cass. n. 4399/2001) e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto; il che equivale a dire che – quantomeno – in una fattispecie del genere, l’ufficiale giudiziario debba comunque preliminarmente concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine – fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione.

Va posto più in particolare in luce come, tutto il complesso di esigenze già sottolineate e poste in luce con la ben nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte n. 6737/2002 non possa ritenersi di certo soddisfatto attraverso il mero rinvio alle risultanze anagrafiche.

Il ricorso va pertanto rigettato,

Con condanna del ricorrente alla refusione delle spese di questa ulteriore fase, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di questa fase in favore dei resistenti, che liquida in € 900,00 ciascuno per onorari ed in € 100,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso nella Camera di Consiglio della I Sezione civile della Suprema corte di Cassazione il 23 giugno 2003.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 2 DIC. 2003


Cass. civ. Sez. V, (ud. 11-03-2003) 28-10-2003, n. 16164

La Corte Suprema di Cassazione

Sezione V

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Francesco Cristarella ORESTANO – Presidente

Dott. Mario CICALA – Consigliere

Dott. Michele D’ALONZO – Consigliere

Dott. Stefano SCHIRÒ – Cons. Rel.

Dott. Francesco Antonio GENOVESE – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ISENI MARIO, elettivamente domiciliato in Roma, via della Mercede 52, presso l’avv. Mario Menghini, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Gianpaolo Alice, del Foro di Biella, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE, in persona del Ministro delle finanze “pro tempore”;

– intimata –

avverso la sent. n. 144/22/98 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, Sezione n. 22, depositata il 28 dicembre 1998;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza in data 11 marzo 2003 dal relatore, cons. Stefano Schirò;

udito l’avv. Gianpaolo Alice per il ricorrente;

udito il Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale, dott. Ennio Attilio Sepe, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorso.

Svolgimento del processo
Con ricorso presentato il 25 marzo 1996 alla Commissione tributaria di primo grado di Novara, Mario Iseni si opponeva agli avvisi di accertamento emessi dall’Ufficio delle imposte dirette di Borgomanero, con i quali erano stati rettificati i redditi d’impresa ai fini Irpef ed Ilor per gli anni 1988 e 1989.

Con tale ricorso il contribuente deduceva che:

1) la notificazione degli avvisi di accertamento era stata eseguita il 10 gennaio 1985 con consegna a mani di tale Ilaria Chiabotti, persona a lui del tutto sconosciuta e con la quale non aveva intrattenuto rapporto alcuno;

2) conseguentemente egli aveva avuto conoscenza degli avvisi di accertamento solo con la successiva notifica della cartella esattoriale, eseguita il 7 febbraio 1996.

Il contribuente chiedeva pertanto l’annullamento degli avvisi di accertamento o, in via subordinata, la riammissione in termini.

L’ufficio finanziario resisteva al ricorso, affermando che:

a – gli avvisi di accertamento erano stati notificati dal messo del Comune di San Maurizio d’Opaglio presso il domicilio del contribuente, in via Roma 104, secondo le disposizioni dell’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;

b – il messo comunale, non avendo trovato il contribuente presso la casa di abitazione, aveva consegnato la copia degli atti a persona addetta alla casa, a norma dell’art. 139, comma 2, c.p.c., mediante consegna a Ilaria Chiabotti, qualificatasi coadiuvante.

La Commissione tributaria provinciale di Novara accoglieva il ricorso, dichiarando l’illegittimità della notifica degli avvisi di accertamento e l’invalidità della successiva iscrizione a ruolo.

L’Ufficio proponeva appello davanti alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, censurando la decisione impugnata per aver imputato all’amministrazione l’onere della prova in ordine alla veridicità di quanto attestato nella relata di notifica circa i rapporti intercorrenti tra il destinatario e il consegnatario dell’atto, incombendo invece al contribuente, destinatario dell’atto, dimostrare i fatti indicati a sostegno della dedotta illegittimità della notifica. Produceva inoltre rapporto del messo comunale che aveva effettuato la notifica, nel quale si confermava che la consegnataria Chiabotti si era qualificata come coadiuvante del destinatario Mario Iseni.

L’adita Commissione tributaria regionale, con sentenza del 28 dicembre 1998, accoglieva l’appello.

Ha proposto ricorso per cassazione l’Iseni sulla base di quattro motivi.

L’amministrazione finanziaria non si è costituita.

Motivi della decisione
Con il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per mancanza di motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e in subordine il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla regolarità della notificazione degli avvisi di accertamento, deducendo che la commissione regionale – nell’accogliere l’appello dell’Ufficio sulla base della seguente motivazione: “Questa Commissione Tributaria Regionale condivide pienamente le motivazioni dell’”appello dell’Ufficio e le ritiene interamente fondate. Pertanto le fa proprie e qui si intendono riportate a motivazione della riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Novara” – ha aderito totalmente alle tesi sostenute dall’appellante, fornendo una motivazione apparente, inidonea a chiarire le ragioni poste a base della decisione.

I due motivi sono infondati.

In base all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 118 disp.att.c.p.c., la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza solo quando rendano impossibile l’individuazione dell’oggetto della decisione e delle ragioni poste a fondamento dei dispositivo. Tale principio è applicabile anche al nuovo rito tributario, come disciplinato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (e dunque anche alle sue disposizioni di attuazione), contenuto nell’art. 1, comma 2, del citato decreto (Cass. 12 febbraio 2001, n. 1944. Cass. 12 marzo 2002, n. 3547).

Ricorre invece il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tali da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass. 31 marzo 2000, n. 3928. Cass. 14 febbraio 2003, n. 2222).

Alla luce dei criteri enunciati, non ricorrono nel caso di specie né la nullità della sentenza per totale mancanza di motivazione, né il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

Infatti la commissione regionale, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non ha acriticamente aderito alle tesi dell’ufficio genericamente richiamate, ma ha specificamente menzionato le argomentazioni in diritto svolte dall’appellante con i relativi richiami giurisprudenziali, con una meticolosità che ne presuppone l’implicita valutazione, e le ha fatte proprie, condividendole una ad una e ponendole a base della propria decisione, la quale pertanto risulta sorretta da adeguata motivazione in diritto in ordine a tutte le questioni giuridicamente rilevanti nella fattispecie.

Non può invero affermarsi la mancanza o l’insufficienza della motivazione solo perché le argomentazioni poste dal giudice a base della propria decisione coincidono con le prospettazioni di una delle parti, se il giudice tali prospettazioni di parte abbia esaminato, valutato e fatto proprie, recependole nella motivazione del provvedimento.

In particolare, la decisione qui impugnata è sorretta dalle seguenti argomentazioni specificamente enunciate:

1) la notificazione degli avvisi di accertamento è stata effettuata a persona addetta alla casa ai sensi dell’art. 139, comma 2, c.p.c.;

2) nessuna norma prevede che l’agente notificatore indaghi sulla veridicità delle dichiarazioni rese dal consegnatario in ordine al suo rapporto di famiglia o di lavoro con il destinatario;

3) è necessario invece che il notificatore trovi il consegnatario in uno dei luoghi indicati dall’art. 139 c.p.c. (abitazione, ufficio, azienda) e che lo stesso consegnatario si qualifiche come persona di famiglia o dipendente del destinatario.

4) la commissione provinciale ha erroneamente attribuito all’Ufficio l’onere della prova della asserita mancata notificazione, onere invece gravante sul contribuente che ha affermato di non aver ricevuto gli avvisi di accertamento;

5) è il contribuente, pertanto – posto che la dichiarazione, contenuta nella relata dell’atto, dell’avvenuta notificazione da parte dell’ufficiale notificatore fa prova fino a querela di falso -, che avrebbe dovuto dimostrare che, al momento della notifica, la Chiabotti non era presente nella sua abitazione o non si era qualificata al messo notificatore come addetta alla casa o comunque come persona abilitata a ricevere la notificazione;

6) l’Ufficio ha allegato all’atto di appello un rapporto redatto dal messo che ha effettuato la notifica di cui trattasi, nel quale si conferma che la consegnataria Chiabotti si è qualificata coadiuvante del destinatario Iseni.

Va rilevato infine che nessun vizio di contraddizione, peraltro neppure specificamente enunciato dal ricorrente, emerge dal collegamento logico degli elementi argomentativi indicati e fatti propri dalla commissione regionale.

Con il terzo motivo viene denunciata, in via ulteriormente subordinata., violazione e falsa applicazione dell’art. 139, comma 2, c.p.c., degli artt. 42, comma 1, e 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 60, e dell’art. 2697 c.c., nonché vizio di omessa e insufficiente motivazione.

Il contribuente deduce al riguardo che:

a – l’efficacia probatoria privilegiata della relata di notificazione non si estende al contenuto sostanziale delle dichiarazioni rese dalla consegnataria al notificatore e in particolare, per quel che qui rileva, in ordine alla situazione di convivenza (con il destinatario dell’atto), o alla qualifica di coadiuvante (dello stesso destinatario) riferite alla consegnataria medesima;

b – le dichiarazioni della consegnataria riportate nella relata di notifica possono pertanto essere oggetto di prova contraria da parte dell’interessato e non sono suscettibili di essere integrate da successive dichiarazioni del notificatore;

c – correttamente la sentenza di primo grado, preso atto della contestazione da parte del contribuente in ordine alla veridicità della qualifica di coadiuvante della consegnataria Chiabotti, aveva posto a carico del richiedente la notificazione la prova della effettiva sussistenza delle condizioni di regolarità della notificazione medesima, prova che non era stata fornita;

d – la figura del coadiuvante non è ricompresa tra quelle tipicamente previste dall’art. 139, comma 2, c.p.c. con riferimento alle persone, diverse dal destinatario, alle quali l’atto può essere consegnato e comunque, nella specie, alla notificazione non era seguita la spedizione a mezzo lettera raccomandata dell’avviso al destinatario dell’avvenuta notifica, come previsto dall’art. 139, comma 4, c.p.c.

La censura è infondata in quanto si pone in contrasto con i principi, elaborati dalla giurisprudenza, in tema di notificazione di un atto eseguita a mani di persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio, o all’azienda.

Si è infatti ripetutamente affermato che, in caso di notificazione ai sensi dell’art. 139, comma 2, c.p.c., la qualità di persona di famiglia o di addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda di chi ha ricevuto l’atto si presume “iuris tantum” dalle dichiarazioni recepite dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica, ma che incombe al destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, fornire la prova contraria (Cass. 24 luglio 1992, n. 8920; Cass. 13 aprile 2001, n. 5547) e in particolare allegare e provare l’inesistenza di alcun rapporto con il consegnatario, comportante una delle qualità sopraindicate (Cass. 17 aprile 1996, n. 332, ord.), oppure la occasionalità della presenza del consegnatario (Cass. 26 maggio 1999, n. 5109).

Inoltre, sempre nell’ipotesi di notificazione eseguita ai sensi dell’art. 131 c.p.c., comma 2, non è necessario l’ulteriore adempimento dell’avviso al destinatario, a mezzo lettera raccomandata, dell’avvenuta notificazione, avviso invece previsto dal quarto comma del menzionato articolo solo in caso di notifica al portiere o al vicino di casa (Cass. 24 luglio 1992, n. 8920).

Quanto all’uso nella relata di notifica della qualifica di coadiuvante, riferita alla consegnataria, è da ritenere che l’espressione utilizzata sia equivalente a quella di addetta alla casa indicata nell’art. 139, comma 2, c.p.c., intendendo la norma far comunque riferimento a peculiari rapporti sostanziali, anche di natura provvisoria o precaria, tra consegnatario e destinatario dell’atto che, indipendentemente dall’espressione letterale utilizzata nella relata, facciano presumere che il secondo venga successivamente edotto dal primo dell’avvenuta notificazione (Cass. 17 aprile 1996, n. 332, ord.; Cass. 13 aprile 2001, n. 5547).

Con il quarto motivo il ricorrente denunzia l’invalidità della notificazione della sentenza impugnati, in quanto

a) effettuata senza indicazione del soggetto richiedente e senza identificazione del soggetto che ha ricevuto l’atto;

b) eseguita a mani della propria moglie e non al difensore costituito e nel domicilio eletto.

La doglianza è inammissibile per carenza d’interesse, atteso che la notifica del ricorso è stata comunque tempestivamente eseguita nel rispetto sia del termine breve, di cui all’art. 325, comma 2, c.p.c., decorrente dalla data di notificazione della sentenza impugnata, che di quello lungo, ai sensi dell’art. 327, comma 2, c.p.c., a decorrere dalla data di pubblicazione della medesima sentenza.

Il ricorso, privo di fondamento, va conseguentemente rigettato e nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali, non essendosi costituita l’Amministrazione intimata.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, l’11 marzo 2003.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 28 OTT. 2003


DM 6 agosto 2003(1). Aggiornamento del compenso spettante per la notifica di atti delle pubbliche amministrazioni da parte dei messi comunali (2) (3).

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 11 settembre 2003, n. 211 e ripubblicato nella Gazz. Uff. 27 ottobre 2003, n. 250.
(2) Vedi, ora, il D.M. 3 ottobre 2006.
(3) Emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze.

IL MINISTRO DELL’ECONOMIA

E DELLE FINANZE

di concerto con

IL MINISTRO DELL’INTERNO

Visto il decreto interministeriale 14 marzo 2000 – emanato ai sensi dell’art. 10, comma 2, della legge 3 agosto 1999, n. 265 – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 130 in data 6 giugno 2000, che fissa in L. 10.000 l’importo spettante ai comuni per la notifica degli atti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a mezzo dei messi comunali;

Considerato che, ex art. 1, comma 2 del cennato decreto interministeriale, la somma spettante per ogni singolo atto notificato è aggiornata ogni tre anni in relazione all’andamento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati accertato dall’ISTAT, con decreto interministeriale del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno;

Decreta:

1.   1. Le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, qualora non sia possibile eseguirle utilmente mediante il servizio postale o le altre forme previste dalla legge, dei messi comunali.

2. Al comune che vi provvede spetta, a decorrere dal 1° aprile 2003, per ogni singolo atto notificato la somma di Euro 5,56, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento secondo le tariffe vigenti nelle ipotesi previste dall’art. 140 del codice di procedura civile. La suddetta somma è aggiornata ogni tre anni in relazione all’andamento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertato dall’ISTAT, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno.

3. L’ente locale richiede, con cadenza semestrale, alle singole amministrazioni la liquidazione ed il pagamento delle somme spettanti per tutte le notificazioni effettuate per conto delle stesse amministrazioni, allegando la documentazione giustificativa. Alla liquidazione ed al pagamento delle somme dovute, per tutte le notificazioni effettuate per conto della stessa amministrazione dello Stato, provvede, con cadenza semestrale, il dipendente ufficio periferico avente sede nella provincia di appartenenza dell’ente locale interessato.

4. Le relative spese sono poste a carico della pertinente unità previsionale di base all’uopo individuata da ciascuna amministrazione (4).

 

(4) Vedi, ora, il D.M. 3 ottobre 2006