Riforma lavoro pubblico: parte la consultazione telematica

In vista della definizione dei decreti attuativi previsti dalla legge di riforma del lavoro pubblico, il ministro della pubblica amministrazione e innovazione, Renato Brunetta, e il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, hanno avviato una consultazione pubblica telematica, per raccogliere i contributi di circa 2900 operatori della pubblica amministrazione e di circa 70 esperti selezionati sulle opzioni di attuazione della legge delega di riforma del lavoro pubblico. Il provvedimento fa parte della riforma della pubblica amministrazione approvata dal Consiglio dei ministri il 18 giugno 2008 su proposta del ministro della pubblica amministrazione e innovazione, Brunetta, ed è diventato legge con l’approvazione definitiva da parte del Senato il 25 febbraio scorso.

Obiettivi della legge: convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali; miglioramento efficienza ed efficacia procedure della contrattazione collettiva; introduzione di sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strutture amministrative, finalizzati ad assicurare l’offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità; valorizzazione del merito e conseguente riconoscimento di meccanismi premiali; definizione di un sistema più rigoroso di responsabilità dei dipendenti pubblici; introduzione di strumenti che assicurino una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali su base territoriale; valorizzazione del requisito della residenza dei partecipanti ai concorsi pubblici, qualora ciò sia strumentale al migliore svolgimento del servizio. Inoltre, i vincitori delle procedure di progressione verticale dovranno permanere per almeno 5 anni nella sede della prima destinazione e sarà considerato titolo preferenziale la permanenza nelle sedi carenti di organico.


Corte cost., Sent., (ud. 28-01-2009) 27-02-2009, n. 58

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

– Francesco AMIRANTE Presidente

– Ugo DE SIERVO Giudice

– Paolo MADDALENA “

– Alfio FINOCCHIARO “

– Alfonso QUARANTA “

– Franco GALLO “

– Luigi MAZZELLA “

– Gaetano SILVESTRI “

– Sabino CASSESE “

– Maria Rita SAULLE “

– Giuseppe TESAURO “

– Paolo Maria NAPOLITANO “

– Giuseppe FRIGO “

– Alessandro CRISCUOLO “

ha pronunciato la seguente

Svolgimento del processo
SENTENZA

Nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 4-ter, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, promossi con ordinanze del 9 giugno 2008 dalla Commissione tributaria provinciale di Isernia, del 26 maggio e del 9 giugno 2008 dal Giudice di pace di Genova e del 15 luglio 2008 dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca rispettivamente iscritte ai nn. 292, 339, 340 e 341 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 45, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese.

1. – La Commissione tributaria provinciale di Isernia, con ordinanza del 9 giugno del 2008 (r.o. n. 292 del 2008), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 4-ter, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, per violazione dell’articolo 97 della Costituzione, nonché dell’articolo 23 e dello stesso articolo 97 Cost. in relazione, rispettivamente, all’art. 3, comma 1, e all’art. 7, comma 2, della legge 27 luglio del 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).

La disposizione impugnata stabilisce che «la cartella di pagamento di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse».

1.1. – La Commissione tributaria rimettente riferisce che la società ricorrente nel giudizio principale ha chiesto l’annullamento di una cartella di pagamento, emessa dall’Agenzia delle entrate, deducendone la nullità, o comunque la illegittimità, per diversi motivi, fra cui l’omessa indicazione del responsabile del procedimento, eccependo anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 36, comma 4-ter, del d. l. n. 248 del 2008.

1.2. – La Commissione rimettente ritiene non priva di fondamento la censura, preliminare e assorbente rispetto alle altre, relativa alla omessa indicazione del responsabile del procedimento, atteso che tale indicazione è richiesta «tassativamente» dall’art. 7, comma 2, della legge n. 212 del 2000 e, secondo la Corte costituzionale, rappresenta un obbligo che si applica anche ai concessionari della riscossione e che, «lungi dall’essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost.» (ordinanza n. 377 del 2007). Osserva, tuttavia, il collegio rimettente che, successivamente alla citata ordinanza della Corte costituzionale, è intervenuta la disposizione legislativa censurata, la quale, se da un lato impone, a pena di nullità, l’indicazione, nella cartella di pagamento, del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e notificazione della cartella stessa, dall’altro lato limita l’ambito di applicazione di tali disposizioni ai soli ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008, specificando invece che «la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse». Da ciò deriva, secondo il giudice a quo, la rilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale, dal momento che «il suo eventuale accoglimento determinerebbe il conseguenziale accoglimento del ricorso» nel giudizio principale.

1.3. – In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente prospetta sia il contrasto diretto della disposizione legislativa censurata con l’art. 97, primo comma, Cost., sia, in via subordinata, il contrasto della medesima disposizione legislativa con alcune norme contenute nella legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente), cui andrebbe riconosciuta la natura di fonte interposta fra la Costituzione e le leggi ordinarie. Sotto il primo profilo, la Commissione tributaria rimettente richiama la citata ordinanza n. 377 del 2007 di questa Corte, secondo cui l’indicazione del responsabile del procedimento nella cartella di pagamento risponde ai precetti di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost. La Commissione rimettente esclude che il legislatore possa imporre il rispetto di tali precetti costituzionali solo a partire da una certa data e ritiene, in particolare, illegittima la disposizione legislativa censurata, in quanto nega il rispetto di tali principi «per il periodo compreso fra la data di entrata in vigore della legge n. 212 del 2000 ed il 31 maggio del 2008». Sotto il secondo profilo, la Commissione rimettente muove dall’art. 1, comma 1, della legge n. 212 del 2000, secondo cui «le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali». Sulla base di tale norma, nonché di alcune pronunce della Corte di cassazione, che riconoscono fra l’altro alle disposizioni dello Statuto del contribuente il valore di «orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto», il collegio rimettente perviene alla conclusione che le norme della legge n. 212 del 2000 hanno natura di norme interposte, che quindi prevalgono su norme di legge ordinaria successive, come la disposizione impugnata. Quest’ultima si porrebbe, pertanto, in contrasto con due previsioni dello Statuto del contribuente: da un lato, in quanto norma retroattiva, essa violerebbe il principio di irretroattività delle leggi fiscali previsto dall’art. 3, comma 1, della legge n. 212 del 2000, il quale a sua volta «si interporrebbe a quello di cui all’art. 23 Cost., nel senso che […] nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta in base ad una legge retroattiva»; d’altro lato, la disposizione censurata violerebbe «il principio relativo alla indicazione del responsabile del procedimento di cui all’art. 7, comma 2, della legge n. 212 del 2000», che «si interporrebbe a quello di cui all’art. 97 Cost., nel senso […] che detta indicazione è necessaria al fine di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».

1.4. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata inammissibile e comunque infondata.

1.4.1. – Secondo la difesa erariale, la questione è inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, perché la censura relativa alla omessa indicazione del responsabile del procedimento è stata proposta tardivamente dal ricorrente nel giudizio principale, mediante una memoria illustrativa prodotta oltre il termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla data di notifica della cartella di pagamento. Pertanto il rimettente – ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato – avrebbe dovuto preliminarmente verificare, dandone conto in motivazione, se la censura dedotta fuori termine potesse essere comunque proponibile «in quanto determinante, non la asserita nullità (deducibile solo nel termine di legge), ma addirittura la inesistenza dell’atto impugnato».

1.4.2. – Nel merito, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la questione è infondata.

Premette al riguardo l’interveniente che, in base alla disciplina generale dell’azione amministrativa, la mancata indicazione del responsabile del procedimento costituisce, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, «una mera irregolarità, insuscettibile di determinare l’invalidità dell’atto, alla quale è possibile supplire considerando responsabile del procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa competente». Con specifico riguardo alla materia tributaria, poi, l’Avvocatura generale dello Stato esclude che le disposizioni del cosiddetto Statuto del contribuente possano assurgere al rango di fonti interposte fra la Costituzione e la legge ordinaria. La giurisprudenza della Corte di cassazione, citata dal rimettente, chiarisce infatti che le norme tributarie devono essere interpretate nel senso più conforme ai principi dello Statuto, ma non afferma che questi ultimi siano «principi inderogabili da rispettare a pena di illegittimità costituzionale».

In secondo luogo, ad avviso della stessa Avvocatura generale dello Stato, il problema non è stato correttamente impostato dal giudice rimettente, atteso che l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 individua una serie di elementi, fra cui l’indicazione del responsabile, che gli atti dell’amministrazione finanziaria devono contenere, «ma non prevede in alcun modo la nullità quale conseguenza dell’omissione di tali elementi». Da ciò deriva, secondo la difesa erariale, che la disposizione legislativa censurata non contrasta con la regola prevista dallo Statuto del contribuente, bensì la integra e la completa, disponendo, naturalmente solo per il futuro, e cioè a far data dai ruoli consegnati a partire dal 1° giugno 2008, che la omessa indicazione del responsabile comporta la sanzione della nullità della cartella di pagamento.

2. – La Commissione tributaria provinciale di Lucca, con ordinanza del 15 luglio 2008 (r.o. n. 341 del 2008), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 4-ter, del decreto legge n. 248 del 2007, convertito dalla legge n. 31 del 2008, per violazione degli articoli 3, 24, 97, 101, 102, 108 e 111 della Costituzione.

2.1. – La Commissione rimettente riferisce che la società ricorrente nel giudizio principale ha impugnato una cartella esattoriale, notificata dalla S.R.T. Lucca e Cremona s.p.a., deducendo tra l’altro che la cartella esattoriale doveva ritenersi nulla per la mancata indicazione del responsabile del procedimento.

2.2. – In punto di rilevanza, la Commissione tributaria rimettente ritiene che la decisione del ricorso debba essere preceduta dalla soluzione della questione di legittimità costituzionale della disposizione legislativa censurata. Secondo la rimettente, infatti, questa Corte, nel disporre che l’indicazione del responsabile del procedimento nella cartella di pagamento, prevista dall’art. 7 dello Statuto del contribuente, risponde ai principi di imparzialità e buon andamento predicati dall’art. 97 della Costituzione (ordinanza n. 377 del 2007), avrebbe «implicitamente conferma[to] che la violazione del detto obbligo determina la nullità della cartella, o comunque incide sulla legittimità dell’atto». Osserva tuttavia il giudice a quo che la disposizione impugnata, nell’«intento di sanare le violazioni anteriori», prevede invece che la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima del 1° giugno 2008 non è causa di nullità delle stesse. Da ciò deriva, secondo la Commissione tributaria, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, dal momento che «ove si applicasse la norma oggetto del dubbio di costituzionalità, il ricorso dovrebbe essere rigettato».

2.3. – In punto di non manifesta infondatezza, detta Commissione ritiene che la disposizione censurata contrasti con diversi parametri costituzionali.

In primo luogo, essa violerebbe l’art. 3 Cost., sia perché introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i contribuenti, in ragione della data di consegna del ruolo cui si riferisce la cartella di pagamento, sia perché irragionevolmente riconoscerebbe e sanzionerebbe un vizio di nullità per il futuro e, al contempo, lo sanerebbe per il passato. In secondo luogo, la disposizione impugnata violerebbe il diritto alla difesa e al giusto processo, di cui rispettivamente agli articoli 24 e 111 Cost. di coloro che, avendo ricevuto una cartella di pagamento priva dell’indicazione del responsabile prima del 1° giugno 2008, vedono ridursi le possibilità di difendersi efficacemente dalla pretesa tributaria. In terzo luogo, si profilerebbe un contrasto con l’art. 97 Cost., «nella misura in cui il contribuente non viene posto in condizioni di conoscere l’autore dell’atto impositivo, al fine di proporre contestazioni e porre in rilievo eventuali responsabilità, per le procedure adottate fino al giugno del 2008». Infine, incidendo su fattispecie sub judice, la disposizione censurata risulterebbe lesiva delle attribuzioni del potere giudiziario, con conseguente violazione degli articoli 101, 102 e 108 della Costituzione.

3. – Il Giudice di pace di Genova, con due ordinanze distinte ma sostanzialmente analoghe, rispettivamente del 26 maggio 2008 (r.o. n. 339 del 2008) e del 9 giugno 2008 (r.o. n. 340 del 2008), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 97 Cost., dell’articolo 36, comma 4-ter, della legge n. 31 del 2008 (recte: del decreto legge n. 248 del 2007, convertito dalla legge n. 31 del 2008), nella parte in cui dispone che «la mancata indicazione dei responsabili del procedimento nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse».

3.1. – Riferisce il giudice rimettente, con riferimento a ciascuno dei giudizi principali, che al ricorrente è stata notificata una cartella di pagamento priva dell’indicazione dell’identità del responsabile del procedimento.

3.2. – Il rimettente ritiene che la disposizione censurata sia in contrasto con diversi parametri costituzionali. Essa, in particolare, violerebbe: l’art. 2 Cost., che rappresenta una «clausola aperta [..] che si sostanzia con il riempimento, e non con il toglimento, dalla Carta dei diritti, di una norma di protezione in capo al cittadino»; l’art. 3 Cost., che non consente un trattamento diversificato dei cittadini «in base al mero dato temporale»; l’art. 24 Cost., dal momento che la mancata indicazione del responsabile del procedimento nella cartella di pagamento e la non riferibilità dell’atto al suo autore rende estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa; l’art. 97 Cost., sotto il profilo del principio di buona amministrazione, che risulterebbe violato per l’irragionevole disparità di trattamento «tra destinatari di cartelle di pagamento redatte e/o consegnate in tempi diversi tra loro».

3.3. – È intervenuto, in uno dei giudizi (r.o. n. 339 del 2008), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata inammissibile e comunque infondata.

3.3.1. – La difesa erariale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza. Osserva infatti l’Avvocatura generale dello Stato che il giudice rimettente non fornisce alcuna indicazione concreta sull’oggetto del giudizio, non potendosi in tal modo comprendere per quale ragione la disposizione denunciata dovrebbe applicarsi al giudizio principale e, prima ancora, se il giudice adito abbia giurisdizione. Inoltre, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente non ha indicato i motivi posti a base della domanda proposta nella causa principale, non potendosi in tal modo valutare se siano state sollevate doglianze relative alla omessa indicazione del responsabile del procedimento.

3.3.2. – In secondo luogo, la stessa Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità della questione perché «lo svolgimento delle censure di illegittimità costituzionale e l’indicazione dei parametri costituzionali asseritamente violati sono esternati in un testo letteralmente incomprensibile».

3.3.3. – Nel merito, secondo la difesa erariale, la questione è comunque infondata per le ragioni già esposte nell’atto di intervento relativo al giudizio di cui al r.o. n. 292 del 2008, che viene espressamente richiamato e testualmente riprodotto.

Motivi della decisione
1. – La Commissione tributaria provinciale di Isernia, la Commissione tributaria provinciale di Lucca e, con due distinte ordinanze, il Giudice di pace di Genova hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 4-ter, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

La norma impugnata, nel prevedere che la cartella di pagamento, di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, debba contenere, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella, stabilisce, tuttavia, che tali disposizioni si applicano ai soli ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008, mentre esclude che la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento, relative a ruoli consegnati prima di tale data, sia causa di nullità delle stesse. Tale esclusione della nullità per le cartelle prive di indicazione del responsabile relative a ruoli consegnati anteriormente al 1° giugno 2008, si pone in contrasto, secondo i rimettenti, con diversi parametri costituzionali e, in particolare, con gli artt. 2, 3, 23, 24, 97, 101, 102, 108 e 111 della Costituzione, nonché con le norme interposte di cui agli artt. 3, comma 1, e 7, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).

2. – Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, in quanto concernenti la stessa disposizione e relativi a parametri in parte coincidenti.

3. – La questione sollevata, con due distinte ordinanze, dal Giudice di pace di Genova, con riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Costituzione, è manifestamente inammissibile in quanto il rimettente, oltre a formularla in modo estremamente confuso, non fornisce indicazioni sufficienti a consentire di valutarne la rilevanza nei giudizi principali.

4. – Sono altresì inammissibili le censure sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca con riferimento agli artt. 101, 102 e 108 Cost., perché non adeguatamente argomentate e, quindi, generiche.

5. – Va disattesa, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Isernia, l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale la censura relativa all’omessa indicazione del responsabile della cartella di pagamento è stata proposta tardivamente dal ricorrente nel giudizio principale e la Commissione rimettente non ha motivato sulla sua proponibilità. L’Avvocatura generale dello Stato non tiene conto, infatti, della circostanza che, come risulta anche dagli atti del giudizio principale, il ricorrente ha lamentato già con il ricorso introduttivo, e quindi tempestivamente, la mancata indicazione del nome del notificatore e, quindi, del responsabile del procedimento di notificazione.

6. – Nel merito, la questione sollevata dalle Commissioni tributarie di Isernia e Lucca, con riferimento agli articoli 3, 23, 24, 97 e 111 della Costituzione, non è fondata.

L’art. 7, comma 2, della legge n. 212 del 2000 stabilisce che gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare, tra l’altro, il responsabile del procedimento. Come affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 377 del 2007, la previsione è volta ad assicurare la trasparenza amministrativa, l’informazione del cittadino e il suo diritto di difesa. La legge n. 212 del 2000, peraltro, non precisa gli effetti della violazione dell’obbligo indicato: essa, in particolare, a differenza di quanto fa con riferimento ad altre disposizioni, non commina la nullità per la violazione della disposizione indicata. Né la nullità, in mancanza di un’espressa previsione normativa, può dedursi dai principi di cui all’art. 97 Cost. o da quelli del diritto tributario e dell’azione amministrativa.

Deve pertanto escludersi che, anteriormente all’emanazione della disposizione impugnata, alla mancata indicazione del responsabile del procedimento conseguisse la nullità della cartella di pagamento. Questa è stata infatti esclusa, a fronte di notevoli incertezze dei giudici di merito, dalla Corte di cassazione. La disposizione impugnata, di conseguenza, non contiene una norma retroattiva. Essa dispone per il futuro, comminando la nullità per le cartelle di pagamento prive dell’indicazione del responsabile del procedimento. Stabilisce, poi, un termine a partire dal quale opera la nullità e chiarisce che essa non si estende al periodo anteriore. Dunque, la nuova disposizione non contiene neppure una sanatoria di atti già emanati, perché la loro nullità doveva essere esclusa già in base al diritto anteriore.

Da quanto precede consegue che, con riferimento all’asserita natura retroattiva della norma, non è violato l’art. 3 Cost., perché non è manifestamente irragionevole prevedere, a partire da un certo momento, un effetto più grave, rispetto alla disciplina previgente, per la violazione di una norma. Non è violato l’art. 23 Cost., perché non viene imposta una nuova prestazione e, comunque, come più volte affermato da questa Corte, non esiste un principio di irretroattività della legge tributaria fondato sull’evocato parametro, né hanno rango costituzionale – neppure come norme interposte – le previsioni della legge n. 212 del 2000 (ordinanze n. 41 del 2008, n. 180 del 2007 e n. 428 del 2006). Non sono violati gli artt. 24 e 111 Cost., in quanto la disposizione impugnata non incide sulla posizione di chi abbia ricevuto una cartella di pagamento anteriormente al termine da essa indicato. Non è violato, infine, l’art. 97 Cost., il quale non impone la scelta di un particolare regime di invalidità per gli atti privi dell’indicazione del responsabile del procedimento.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 4 ter, del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, sollevata, con riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 97 della Costituzione, dal Giudice di pace di Genova, con le due ordinanze in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione, sollevata, con riferimento agli artt. 101, 102 e 108 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca, con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione, sollevata, con riferimento agli artt. 3, 23, 24, 97 e 111 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Isernia e dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca, con le ordinanze in epigrafe.

Concl. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2009.


Sì alla norma anti-fannulloni, la riforma della pubblica amministrazione ?

Con l’approvazione definitiva dell’Aula del Senato al ddl delega per l’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e l’efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, il provvedimento ‘anti-fannulloni’ del ministro Renato Brunetta è legge. Il testo ha ottenuto 154 voti a favore e uno contrario, le opposizioni non hanno partecipato. Tempo due mesi per i decreti legislativi attuativi e a maggio, secondo le previsioni del ministro, la riforma della Pubblica amministrazione sarà operativa. Il ddl era stato approvato dall’aula della Camera il 12 febbraio e giovedì scorso era stato licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato senza modifiche.


ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA

La Giunta Esecutiva nella seduta del 28.02.2009 ha approvato, tra l’altro, il Bilancio 2008 e la convocazione dell’Assemblea Generale Ordinaria per sabato 4 aprile 2009 presso il Comune di Ancona.


Riunione Giunta Esecutiva del 28.02.2009

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 28 febbraio 2009 alle ore 8:00 presso il Comune di Cesena – Piazza del Popolo 10 Cesena FC, in prima convocazione, e alle ore 10:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1.    Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;

2.    Approvazione Bilancio 2008;

3.    Proposta nominativi per l’elezione della Giunta Esecutiva;

4.    Proposta nominativi per l’elezione del Consiglio Generale;

5.    Convocazione Consiglio Generale e Assemblea Generale.

6.    Varie ed eventuali

Vedi: Verbale GE 28 02 2009


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 22-01-2009) 26-02-2009, n. 4622

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10461/2002 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TACCHI VENTURI PIER CESARE, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 229/2000 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA, depositata il 26/02/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito per il ricorrente l’Avvocato D’AYALA VALVA, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo del ricorso, assorbiti gli altri.

Svolgimento del processo
Il sig. B.S. ha impugnato due avvisi di accertamento con i quali il competente ufficio finanziario ha rettificato la dichiarazione dei redditi della Dolciaria del Garba srl, riferita all’esercizio 1989, della quale il B. è stato amministratore fino al (OMISSIS), ed ha conseguentemente contestato che in relazione al maggior reddito accertato non erano state effettuate e versate le ritenute di acconto sugli utili distribuiti ai soci della società, a ristretta base partecipativa.

A sostegno dell’originario ricorso, il contribuente eccepiva vizi di motivazione degli atti impugnati, illegittimità delle pretese fiscali avanzate nei confronti di un ex legale rappresentante e infondatezza nel merito delle pretese stesse.

La commissione tributaria provinciale, previa riunione dei ricorsi, ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione del B., sollevata dall’ufficio, sul rilievo che in quanto destinatario degli atti il contribuente era legittimato ad impugnarli; nel merito, ha accolto il ricorso ritenendo illegittimo l’accertamento effettuato con metodo induttivo.

L’ufficio ha impugnato la decisione di primo grado riproponendo l’eccezione di difetto di legittimazione del B., deducendo tra l’altro che l’ex legale rappresentante della società poteva contestare soltanto il la sussistenza del vincolo dell’obbligazione solidale per il pagamento delle sopratasse e delle pene pecuniarie previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98, comma 6.

La commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’ufficio ritenendo che il B. non fosse legittimato ad impugnare gli atti in contestazione, essendo estraneo alla compagine sociale, che è il soggetto passivo d’imposta: avrebbe potuto far valere eventualmente questa sua estraneità in sede di riscossione.

Avverso quest’ultima decisione ricorre il contribuente con cinque motivi.

L’amministrazione finanziaria dello Stato resiste con controricorso, insistendo nel prospettare la tesi della carenza di legittimazione del B., al quale gli avvisi sarebbero stati notificati “solo per conoscenza… per le sole implicazioni penali ed amministrative” (v. p. 1 dell’odierno ricorso).

Motivi della decisione
Il ricorso appare fondato in relazione al terzo motivo, assorbiti tutti gli altri motivi, fatta eccezione per il primo, che è infondato.

Infatti, con il primo motivo di ricorso viene denunciata la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, anche sotto il profilo della omessa pronuncia, in quanto la CTR non avrebbe tenuto conto della eccezione di inammissibilità dell’appello dell’ufficio, per mancanza di motivi specifici di impugnazione. Tale censura appare infondata, oltre ad essere formulata in maniera ambigua. In ogni caso, dalla lettura dei brani riportati nel ricorso odierno (p. 5) emerge con chiarezza che i motivi posti a sostegno dell’appello non erano generici, risultando incentrati sulla questione della violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98, che è il tema sul quale, in particolare, si è sviluppata la vicenda processuale. D’altra parte, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza” (Cass. 1224/2007).

Quanto alla censura di omessa pronuncia, la sentenza impugnata si dilunga proprio sulla questione della legittimazione processuale del B., sul merito della quale è incentrato il terzo fondato motivo di ricorso, che va esaminato con precedenza su tutti gli altri.

Con il terzo motivo, infatti, il ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98, comma 6, perchè erroneamente la CTR ha ritenuto che il B. non fosse legittimato ad impugnare gli atti notificatigli, perchè da questi non poteva derivargli alcun pregiudizio.

Giova preliminarmente chiarire che trattasi di avvisi di accertamento notificati il 21.11.1997, vale a dire prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, (operante dal 1 aprile 1998, ai sensi dell’art. 29, dello stesso D.Lgs.) che ha abrogato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98.

Nel merito, la censura appare fondata. Non è affatto vero che la notifica degli avvisi di accertamento era un atto “indifferente” per il contribuente, tanto più se, come osserva l’Ufficio, l’accertamento notificato alla società era divenuto definitivo. La stessa amministrazione ricorrente riconosce che gli avvisi contestati sono stati notificati al B. per le implicazioni penali ed amministrative. La difesa del contribuente, che all’epoca dei fatti era l’amministratore della società, non può essere limitata al solo profilo della sussistenza del vincolo della obbligazione solidale degli effetti sanzionatori, come erroneamente scrive la CTR, ma può e deve essere estesa a tutti i profili che attengono alla sussistenza delle violazioni contestate, che sono il presupposto dei profili sanzionatori. Il “palo” può difendersi dall’accusa del concorso in furto sia dimostrando di non aver svolto tale ruolo di “sentinella”, ma anche dimostrando che il furto non si è verificato.

Il fatto che l’avviso di accertamento non sia stato impugnato da chi aveva la rappresentanza della società quando è stato notificato il relativo atto dimostra che una efficace tutela giudiziaria del B. non può che essere affidata alla sua iniziativa “a tutto campo” rispetto ad atti impositivi che gli andavano comunque notificati. D’altra parte, o il B. veniva chiamato in giudizio come litisconsorte necessario o comunque avrebbe potuto poi formulare tutte le eccezioni utili alla sua difesa, di merito e di rito, rispetto alle contestazioni fiscali anche in sede di riscossione. La mancata impugnazione dell’avviso notificato alla società non lo vincola in alcun modo sul piano delle conseguenze sanzionatorie. Così come non lo avrebbe vincolato l’eventuale giudicato formatosi nei confronti dei destinatari dell’atto di accertamento diretto alla società, in considerazione dei limiti soggettivi del giudicato. D’altra parte, se il B. non avesse impugnato gli atti notificatigli, facendoli diventare definitivi, non avrebbe potuto poi impugnare gli atti successivi, come ad esempio l’iscrizione a ruolo, se non per vizi propri (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3).

In definitiva, l’ufficio non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo “tanto non accade nulla”. Ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso emittente c’è da chiedersi (a parte i dubbi legittimi sulla sanità mentale e/o idoneità professionale delle persone fisiche responsabili di tali comportamenti) perchè sia stato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno che può comunque produrre nella sfera giuridica del destinatario, a prescindere dalle intenzioni dell’emittente (in un caso come quello in esame, ad esempio, è evidente che il destinatario degli atti ha la necessità di rivolgersi ad un professionista per verificare se e quali effetti possa produrre un atto definito “innocuo” dalla controparte, anche se poi in ipotesi l’atto si riveli effettivamente innocuo, contrariamente a quanto avvenuto nella specie).

Tutte le altre censure attengono al merito della vicenda e sono quindi assorbite, dovendo eventualmente essere esaminate dal giudice del rinvio.

Conseguentemente, il ricorso va accolto in relazione al terzo motivo, rigettato il primo ed assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice di merito, per il giudizio di appello. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il terzo, assorbiti tutti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Veneto.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2009


Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 06-02-2009) 25-02-2009, n. 4587

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

CONSOB – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43, dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

P.B., P.A., G.F., S.L., rappresentati e difesi, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43, dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

successivamente, in corso di causa: P.B. rappresentato e difeso, in forza di procura speciale notarile del 28 ottobre 2005 (Notaio Giancarlo Mazza di Roma, rep. n. 52341), dagli Avv. Diego Corapi e Vittorio Cappuccini, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, Via Flaminia, n. 318; P.A. rappresentato e difeso, in forza di procura speciale notarile del 14 aprile 2005 (Notaio Giulia Ardissone di Torino, rep. n. 8803), dagli Avv. Giuseppe Celona e Andrea Manzi, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, Via Federico Confalonieri, n. 5; G. F. rappresentato e difeso, in forza di procura speciale notarile del 13 marzo 2006 (Notaio Pietro Mazza di Roma, rep. N. 104133), dall’Avv. Mario Nuzzo, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Cassiodoro, n. 9;

– ricorrenti –

contro

S.R. ed altri 897 sottoscrittori di quote della S.r.l.

Hotel Villaggio S.T.: SI.LI. Ved. B., + ALTRI OMESSI e, per loro nome e conto, G.I., nonché G.I. in proprio, rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. DANOVI Remo e Francesco Giorgianni, elettivamente domiciliati nello studio di quest’ultimo in Roma, Via Sistina, n. 42;

– controricorrenti –

e sul ricorso proposto da:

S.R. ed altri 897 sottoscrittori di quote dalla S.r.l.

Hotel Villaggio Santa Teresa, come sopra elencati, e per loro nome e conto G.I., nonché G.I. personalmente, rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Remo Danovi e Francesco Giorgianni, elettivamente domiciliati nello studio di quest’ultimo in Roma, Via Sistina, n. 42;

– ricorrenti in via incidentale –

contro

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro tempore; CONSOB – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in persona del legale rappresentante pro tempore; P.B., P.A., G.F. e S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2841 depositata il 21 ottobre 2003.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza Pubblica del 6 febbraio 2009 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi, per i ricorrenti, l’Avvocato dello Stato Salvatorelli e gli Avv. Nuzzo, Cappuccini e Celona, e, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avv. Giorgianni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’estinzione dei giudizi nei confronti delle parti che hanno depositato gli atti di rinuncia, per l’accoglimento del sesto motivo del ricorso principale, per il rigetto del resto e del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo
1.- In data 21 luglio 1983 veniva pubblicato, mediante deposito presso la CONSOB – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, il prospetto informativo (a norma del D.L. 8 aprile 1974, n. 95, art. 18, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 giugno 1974, n. 216, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla L. 23 marzo 1983, n. 77, art. 12) relativo all’offerta al pubblico della sottoscrizione di titoli atipici afferenti l’operazione “Hotel Villaggio Santa Teresa” (d’ora in poi, anche HVST).

I proponenti l’operazione – le socc. S. p.a., Hotel Villaggio S.T. a r.l., Istituto Fiduciario L. a r.l., Istituto Fiduciario L. Servizi a r.l. – precisavano che intendevano collocare presso il pubblico, e per l’intero capitale sociale (L. 44 miliardi), le quote della soc. HVST (che deteneva il capitale della s.p.a. S. Grandi Alberghi, proprietaria del complesso immobiliare-villaggio turistico sito in (OMISSIS)) e che le quote sarebbero state acquistate mediante mandato, e con successiva intestazione fiduciaria, alla soc. Istituto Fiduciario L. Procedutosi a massiccia sottoscrizione di quote nei mesi successivi, ed all’esito di ripetute notizie di stampa su irregolarità nell’esercizio delle attività finanziarie da parte delle società promotrici, il Tribunale di Milano, con sentenze in data 7 maggio 1985 e 13 dicembre 1985, dichiarava il fallimento delle soc. IFL (poi posta in liquidazione coatta amministrativa), IFL Servizi e S. Grandi Alberghi, nel mentre era posta in liquidazione la soc. HVST. Con atto di citazione notificato in data 8-9 maggio 1987 un primo gruppo di sottoscrittori delle quote della soc. HVST ( G.I. ed altri quattro) conveniva innanzi al Tribunale di Milano i componenti pro tempore della CONSOB e due suoi funzionari ( P. B., M.V., P.A., S.L., G.F.), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti per effetto della indebita autorizzazione alla operazione data dalla CONSOB il (OMISSIS), a cagione della quale essi avevano proceduto all’acquisto da IFL delle quote della HVST. Con atto in data 10 luglio 1987, quindi, intervenivano in giudizio G.I., F.G., G.E., nella qualità di procuratori speciali di S.R. e di altri numerosi sottoscrittori, che, del pari, chiedevano la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni. Gli attori lamentavano, tra l’altro, che il prospetto informativo depositato presso la CONSOB era assolutamente carente di veridicità, posto che all’epoca del deposito il capitale della soc. HVST ammontava non già a L. 44 miliardi ma a soli L. 20 milioni, e che, pur dopo le successive delibere di aumento e pur dopo la loro esecuzione, il capitale, al 31 dicembre 1983, ammontava a L. 22 miliardi; che – come noto ai commissari CONSOB – la S., che avrebbe dovuto cedere ad HVST la partecipazione nella soc. S. Grandi Alberghi, tal partecipazione non aveva neanche essa ancora acquisito; che il valore del bene era infinitamente inferiore al capitale di L. 44 miliardi e la stessa stampa, appena nel settembre 1983, già aveva riferito di preoccupanti iniziative.

Nella resistenza dei convenuti e dei terzi chiamati in causa – Ministero del Tesoro e CONSOB -, il Tribunale di Milano con sentenza pubblicata l’11 marzo 1996 rigettava tutte le domande.

2. – La sentenza era impugnata da S.R. e dagli altri sottoscrittori (e per essi dal procuratore speciale G.I., anche in proprio).

2.1. – Nel contraddittorio con tutti gli appellati, l’adita Corte di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 13 novembre 1998, rigettava l’appello.

La Corte territoriale affermava che:

– nell’esame della sussistenza e rilevanza degli addebiti denunciati non aveva alcun effetto di vincolo la sentenza penale con la quale il giudice istruttore del Tribunale di Milano aveva dichiarato non doversi procedere per amnistia nei confronti degli imputati G. F., S.L. e P.A., posto che, ai sensi dell’art. 28 abrogato cod. proc. pen., l’efficacia vincolante della statuizione agli effetti civili sarebbe potuta derivare solo da sentenze di condanna o di assoluzione, non anche di proscioglimento per amnistia.

Restava però indubbia la possibilità di tenere conto degli atti penali, pur nella piena facoltà di rivalutarli;

– quanto ai poteri della CONSOB all’epoca dei fatti di causa, doveva escludersi qualsiasi potestà di tale organo di indagare sulla veridicità dei fatti dichiarati nel prospetto illustrativo (e in particolare sulla convenienza economica della proposta operazione);

– la CONSOB aveva fatto inserire nel prospetto la duplice avvertenza secondo cui l’adempimento di pubblicazione del prospetto stesso non conteneva alcun giudizio di convenienza della Commissione sull’investimento e la veridicità e completezza dei dati erano esclusiva responsabilità dei redattori del prospetto: in tal modo la CONSOB aveva adempiuto all’onere di mettere gli investitori sull’avviso quanto ai limiti (legali) dell’indagine di essa Commissione sulla operazione sollecitata con il prospetto. E se tale contegno non esonerava la Commissione dalle conseguenze di proprie condotte dolose o gravemente colpose, certamente rendeva più rigorosa l’esigenza di prova del comportamento inadempiente addebitato;

– le gravi inesattezze contenute nel prospetto non avevano potuto avere un ruolo decisivo nella causazione del danno, perché: (a) nello stesso prospetto erano dichiarate modalità di attuazione dell’aumento di capitale tali da far emergere agli occhi dei sottoscrittori la inidoneità informativa, al proposito, dei dati dichiarati; (b) gli eventi indicati inesattamente (nel (OMISSIS)) ebbero poi a verificarsi entro il (OMISSIS); (c) le perdite subite dai sottoscrittori non erano derivate da inesattezze del prospetto bensì dalla differenza tra il valore unitario della quota sottoscritta (L. 10.000) e il valore unitario effettivo (stimato in L. 5.810); (d) il valore immobiliare effettivo dell’operazione finiva per coincidere con quanto (circa L. 30 miliardi) da S. comunicato a CONSOB il (OMISSIS), sicché dalla non correttezza dell’informazione non poteva discendere alcuna omissione informativa della Commissione; il danno subito era collegato al fatto che il canone del complesso immobiliare non poteva affatto rappresentare una componente attiva dell’operazione, dato che il relativo credito (circostanza del tutto sottaciuta) era stato ceduto alla BNL, sicché il complesso immobiliare non poteva – per tal ragione – generare a breve termine proventi di sorta: e tanto attestava bensì le gravi responsabilità dei promotori dell’iniziativa ma escludeva qualsiasi responsabilità a carico della CONSOB, che non aveva alcun potere di rivedere le stime immobiliari;

– le successive notizie di stampa sul carattere “avventuroso” dell’investimento, lungi dal consentire alla CONSOB alcun intervento a posteriori, che la legge all’epoca non autorizzava, stante anche il carattere discrezionale dei poteri di cui al D.L. n. 95 del 1974, art. 3, lett. b e c, e art. 4, come modificato dalla L. n. 77 del 1983, tal intervento finivano per rendere affatto inutile: infatti da nuove comunicazioni CONSOB il pubblico non avrebbe ricevuto protezione maggiore di quella già assicurata dallo stesso clamore della vicenda.

3. – Per la cassazione di tale sentenza S.R. e gli altri sottoscrittori di quote (e per essi il procuratore speciale G.I., anche in proprio) proponevano ricorso, con atto notificato il 18 novembre 1999, affidato a cinque motivi.

3.1. – La Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 3132 del 3 marzo 2001, ha rigettato il primo motivo di ricorso, ha accolto il secondo e, per quanto di ragione, il terzo, quarto e quinto motivo; ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano. Più in particolare:

(a) ha rigettato il (primo) motivo con cui era stata prospettata l’efficacia vincolante in sede civile delle statuizioni (di responsabilità dei commissari e funzionari CONSOB) contenute nella sentenza del giudice istruttore del Tribunale di Milano che ebbe a dichiarare non doversi procedere a carico dei predetti per amnistia;

(b) nell’accogliere il secondo motivo di ricorso, ha affermato che in base alla normativa vigente nel (OMISSIS) la CONSOB aveva la potestà di controllare la veridicità dei dati contenuti nella comunicazione predisposta dai promotori dell’operazione di pubblica sottoscrizione di titoli atipici e nel relativo prospetto informativo, nonché quella di intervenire, una volta accertata la loro falsità o incompletezza, con iniziative istruttorie, integrative e repressive;

(c) ha statuito, quanto al terzo motivo, che è irrilevante la dichiarazione, fatta apporre in testa e in calce al prospetto informativo, con cui la CONSOB aveva inteso autoesonerarsi dalla responsabilità per danni derivanti dall’inosservanza dell’obbligo di controllare la veridicità e la completezza dei dati in esso riportati;

(d) nel dichiarare in parte fondata la censura contenuta nel quarto motivo del ricorso, ha affermato che la pronuncia impugnata, indagando sulla causalità tra condotta omissiva e danno patito, aveva finito per negarla sulla base di rilievi afferenti la mera quantificazione del danno, senza interrogarsi – con specifico riguardo alle date ed alle modalità delle varie sottoscrizioni – sulla possibilità che l’uso dei poteri conferitile dalla legge avrebbe dovuto indurre la CONSOB a far pubblicare sul prospetto, previa le menzionate iniziative ed integrazioni, solo notizie veridiche (nel (OMISSIS)) ovvero, ed in caso di non ottemperanza alle proprie iniziative, a non autorizzarne affatto la pubblicazione.

Avrebbe quindi dovuto il giudice d’appello scrutinare la pretesa causalità, pur nella difficoltà della valutazione e con l’uso di ogni potere assegnato al giudice del merito, ma facendo applicazione dei principi in tema di concorso di cause statuiti dall’art. 41 cod. pen., ed applicabili anche a regolare la causalità nell’illecito extracontrattuale; ed avrebbe poi dovuto formulare prognosi sulla sorte delle iniziative di sottoscrizione in presenza dei possibili esiti del corretto e tempestivo esercizio della vigilanza CONSOB. E solo ove avesse dato al relativo quesito risposta positiva – concludendo nel senso della presumibile esclusione di questa o quella sottoscrizione “dannosa”, per effetto del tempestivo esercizio delle potestà di legge – avrebbe dovuto spostare l’attenzione dalla responsabilità degli organi (scrutinandone la condotta “colposa” alla stregua delle indicazioni dianzi formulate) alla specifica ed individuale responsabilità dei componenti o dipendenti;

(e) in ordine al quinto motivo, ha statuito che la circostanza che i potenziali investitori, in epoca successiva alla pubblicazione del prospetto informativo contenente dati inesatti ed incompleti, avessero avuto contezza dei rischi connessi all’operazione di pubblica sottoscrizione di titoli atipici, per effetto delle notizie diffuse dalla stampa circa il carattere “avventuroso” dell’investimento in atto, non esimeva la CONSOB dall’attivare i suoi poteri e, quindi, non valeva nemmeno ad esonerare da responsabilità nei confronti dei sottoscrittori per i danni derivanti dall’omesso intervento, mentre poteva essere valutata ai fini dell’eventuale concorso del fatto colposo dei danneggiati.

5. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 21 ottobre 2003, la Corte d’appello di Milano, pronunciando in sede di rinvio, ha – per quanto qui rileva – condannato in solido la CONSOB, il Ministero dell’economia e delle finanze (succeduto al Ministero del Tesoro), P.B., P.A., S.L. e G.F. a pagare agli appellanti la somma complessiva di Euro 6.301.291,63 (pari a L. 12.201.001.950), suddivisa tra gli stessi appellanti secondo quanto risultante dai singoli certificati prodotti, oltre interessi legali dalle singole sottoscrizioni, ed ha regolato le spese delle varie fasi del giudizio secondo il principio di soccombenza.

5.1. – Secondo il giudice del rinvio, la falsità di rilevanti informazioni contenute nel prospetto era facilmente accertabile dall’esame della documentazione allegata nonché in base agli elementi di sospetto evidenziati anche dagli organi di stampa.

Emergendo dagli stessi atti depositati la falsità delle notizie contenute nel prospetto illustrativo dell’operazione, la Commissione ha illegittimamente omesso di attivare, in base alla normativa esistente, l’attività ispettiva e di vigilanza, alla quale era obbligata al fine di garantire la trasparenza del mercato e la protezione del risparmio, valore costituzionalmente tutelato, che nella fattispecie trovava realizzazione attraverso la chiarezza, completezza e veridicità dell’informazione al pubblico.

In ordine al nesso di causalità materiale intercorrente tra il comportamento omissivo colposo della CONSOB, concretatosi nell’omissione di vigilanza, ed il danno subito dai sottoscrittori, la Corte ambrosiana ha rilevato che il tempestivo e corretto esercizio dei poteri di vigilanza della Commissione avrebbe dissuaso gli investitori dall’operazione, orientandoli verso altre forme di investimento, nell’ambito della medesima percentuale di rischio.

Difatti – ha osservato quel Collegio – gli investitori hanno sottoscritto le quote anche e soprattutto in base alle informazioni pubblicate nel prospetto, facendo affidamento sulla veridicità delle stesse, passate al vaglio della vigilanza della CONSOB; essi non avrebbero acquistato tali quote, il cui valore effettivo, all’epoca della sottoscrizione, risultava quasi dimezzato rispetto al valore nominale, ove avessero saputo che: (a) il capitale sociale ammontava a L. 20 milioni anziché a L. 44 miliardi; (b) il valore patrimoniale del bene, indicato nel prospetto in L. 44 miliardi, era notevolmente inferiore; (c) i proponenti, all’epoca, non erano ancora proprietari del bene; (d) dal prezzo di acquisto avrebbero dovuto essere detratti i mutui gravanti sulla società; (e) il credito per il canone di affitto era stato ceduto alla BNL, rendendo l’investimento privo di redditività. Anche un investitore con notevole propensione al rischio si sarebbe rivolto verso altre forme di investimento, ove fosse stato a conoscenza della reale situazione del proponente l’operazione.

Secondo la Corte di Milano, il rapporto causale è ulteriormente rafforzato dal potere della Commissione di vietare l’operazione in presenza di gravi anomalie e inesattezze del prospetto informativo.

Ove tale potere fosse stato correttamente esercitato, l’operazione di sottoscrizione non avrebbe avuto neanche inizio e non avrebbe, quindi, causato alcun danno ai risparmiatori-investitori.

Il giudice del rinvio ha escluso che vi sia spazio per una responsabilità concorrente degli investitori, ai quali non è possibile richiedere una attività di verifica e di controllo della veridicità delle informazioni contenute nel prospetto, essendo detta attività espressamente demandata alla CONSOB, organo istituzionalmente preposto a tale compito. Né le allarmistiche notizie di stampa, non smentite dalla Commissione, avrebbero potuto indurre gli investitori ad effettuare accertamenti e controlli sulla veridicità delle stesse, in quanto era proprio la CONSOB a doversi attivare per controllare l’infondatezza o meno di tali notizie giornalistiche e il mancato intervento della Commissione può, al contrario, avere avuto l’effetto di tranquillizzare i risparmiatori sulla infondatezza delle notizie di stampa.

Il danno sopportato da ciascun sottoscrittore è stato ritenuto pari al prezzo pagato per l’acquisto della quota, mentre è stato escluso che il valore della quota possa decurtarsi della somma pari alla differenza tra il valore nominale e il valore effettivo della quota all’epoca dell’investimento, in quanto i sottoscrittori non avrebbero acquistato le relative quote di valore inferiore al prezzo nominale ed in mancanza di prospettive serie di futuri utili.

Sull’importo liquidato la Corte d’appello ha riconosciuto la debenza degli interessi legali, con decorrenza dalle singole sottoscrizioni, mentre ha escluso il danno da svalutazione monetaria ex art. 1224 c.c., venendo in considerazione nella specie un “debito non suscettibile di automatica rivalutazione” e nulla essendo stato provato (o anche solo allegato) “che valga a dimostrare, o a far presumere l’esistenza di un maggiore danno”. “Invero, quest’ultimo, derivante dalla svalutazione monetaria, spetterà non automaticamente, ma in virtù dell’onere di allegazione e prova dei presupposti di fatto su cui fondare il giudizio, anche solo presuntivo, che il tempestivo pagamento avrebbe evitato al creditore le conseguenze depauperative legate al fenomeno inflattivo”.

Premesso che “la responsabilità della P.A. per fatti di suoi funzionari e dipendenti, i quali abbiano agito nell’ambito dei compiti ad essi affidati e non per fini propri, è una responsabilità diretta, identificandosi nei funzionari e dipendenti gli organi attraverso i quali lo Stato e gli enti pubblici agiscono, onde la loro azione è azione dell’ente, che ne risponde in modo immediato”, la Corte d’appello ha ritenuto la responsabilità della CONSOB estensibile anche ai funzionari ed esperti CONSOB che hanno contribuito, con il loro comportamento omissivo colposo, a provocare il danno agli investitori : una responsabilità “nei rapporti coi danneggiati … solidale ed illimitata … solamente nei rapporti interni essendo possibile una graduazione delle rispettive colpe in relazione alla diversa incidenza causale del danno”.

La Corte territoriale ha considerato tutti i funzionari ed esperti della CONSOB chiamati in causa, ad eccezione del solo M.V., “solidalmente responsabili, quali componenti dell’organo collegiale, avendo avuto a disposizione la documentazione inerente al prospetto informativo da cui avrebbero dovuto rendersi conto della falsità dello stesso ed avendo, invece, approvato il prospetto, senza porre in essere le opportune e dovute attività di controllo e vigilanza”.

In particolare, la Corte d’appello ha addebitato al P.B. di essere stato presente alle riunioni della CONSOB in cui venne discusso ed approvato il prospetto, senza disporre alcuna attività di verifica e controllo. A tale riguardo, è stata valorizzata la dichiarazione resa dallo stesso P.B. – nell’interrogatorio in data 12 dicembre 1987 davanti alla 3^ Sezione del Tribunale di Milano – in cui si afferma che, nella seduta del (OMISSIS), era stata letta davanti a tutti i commissari CONSOB la lettera in data (OMISSIS), a firma dell’amministratore unico della S. Dott. C., in cui si evidenziava che l’operazione di acquisto delle azioni della S. Grandi Alberghi era ancora in corso di perfezionamento.

Relativamente ai convenuti G.F., S.L. e P. A., la rispettiva responsabilità è desumibile, secondo la Corte d’appello, dalle stesse risultanze della sentenza istruttoria con cui nei loro confronti venne applicata l’amnistia.

6. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, notificata il 7 gennaio 2004, hanno proposto ricorso, congiuntamente, il Ministero dell’economia e delle finanze, la CONSOB, nonché P. B., P.A., G.F. e S.L., con atto notificato il 4-10 marzo 2008, sulla base di sei motivi.

Hanno resistito, con controricorso, S.R. e gli altri 897 sottoscrittori di quote della S.r.l. Hotel Villaggio Santa Teresa indicati in epigrafe, e per loro nome e conto G.I., nonché G.I. personalmente, proponendo, a loro volta, ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

Successivamente, con atto depositato il 30 maggio 2005, il Ministero dell’economia e delle finanze e la CONSOB hanno rinunciato al ricorso per cassazione e, con lo stesso atto, S.R. e gli altri sottoscrittori HVST hanno rinunciato, nei soli confronti del Ministero e della Commissione, al proprio controricorso con ricorso incidentale, con reciproca accettazione e con compensazione delle spese del giudizio di Cassazione.

In prossimità dell’udienza hanno depositato memorie illustrative: il Ministero dell’economia e delle finanze con la CONSOB e S. L.; G.F.; P.A.; i sottoscrittori HVST.

Motivi della decisione
1. – Il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, a norma dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni relative alla stessa sentenza.

2. – Con atto in data 11 aprile 2005, depositato in cancelleria il 30 maggio 2005, i ricorrenti principali Ministero dell’economia e delle finanze e CONSOB, da una parte, ed i controricorrenti e ricorrenti incidentali S.R. ed altri 897 sottoscrittori di quote HVST e, per loro nome e conto, G.I., nonché G. I. in proprio, dall’altra, hanno comunicato di essersi accordati per una composizione bonaria della controversia ed hanno rinunciato, rispettivamente, al ricorso principale e, nei soli confronti del Ministero e della CONSOB, al controricorso e al ricorso incidentale, con reciproca accettazione e con compensazione delle spese del grado.

Essendo la rinuncia conforme a quanto prescritto dall’art. 390 cod. proc. civ., deve dichiararsi l’estinzione del giudizio promosso con il ricorso principale del Ministero e della CONSOB e del giudizio promosso, nei confronti del Ministero e della CONSOB, con il ricorso incidentale di S.R. ed altri.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, avendo le altre parti aderito personalmente alle rinunce.

3. – Restano, pertanto, da esaminare il ricorso principale di P. B., P.A., S.L. e G.F. ed il ricorso incidentale promosso nei confronti di costoro da S. R. e dagli altri 897 sottoscrittori di quote HVST, e per loro nome e conto, da G.I., nonché da G.I. personalmente.

4. – È, però, preliminare l’esame della eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dai sottoscrittori HVST controricorrenti sul presupposto della giuridica inesistenza o nullità della notificazione o comunque tardività della stessa rispetto al termine di legge per impugnare.

4.1. – A sostegno della eccezione, i controricorrenti osservano che:

i ricorrenti per cassazione hanno chiesto ed ottenuto l’autorizzazione alla notifica ex art. 150 cod. proc. civ. e art. 50 disp. att. cod. proc. civ., e, a fronte di tale istanza, è stata autorizzata la notifica per pubblici proclami a S.R. quale destinatario della notificazione nelle forme ordinarie e nei confronti degli altri destinatari per pubblici proclami nelle forme stabilite dall’art. 150 cod. proc. civ., commi 3 e 4, nonché mediante consegna per posta o per corriere di un’unica copia del ricorso presso il domicilio eletto dei medesimi in (OMISSIS);

– la notificazione ex art. 150 cod. proc. civ., pur essendo costituita da una pluralità eterogenea di atti, si connota giuridicamente come un unico ed invisibile procedimento, destinato a realizzarsi soltanto con il compimento di tutti i singoli atti che lo compongono e a perfezionarsi solo nel momento in cui viene posto in essere l’atto finale al quale le precedenti attività risultano preordinate; in particolare, il legislatore ricollega l’effetto giuridico della conoscenza legale dell’atto notificato unicamente all’avvenuto deposito, da parte dell’ufficiale giudiziario e nella cancelleria del giudice davanti al quale si procede, di una copia dell’atto notificato e dei documenti attestanti l’avvenuto espletamento degli altri atti di cui si compone il procedimento di notificazione per pubblici proclami;

– nella specie non sono state effettuate le pubblicazioni sulla Gazzetta Ufficiale e sul foglio degli annunzi legali delle province in cui risiedono la maggior parte dei destinatari, e comunque presso la cancelleria della Corte di Cassazione non è stato depositato alcun documento in proposito;

– il termine perentorio di sessanta giorni per proporre il ricorso era destinato a scadere l’8 marzo 2004 (essendo il 7 marzo domenica), ma solo in data 10 marzo 2004 è stata notificata nel domicilio eletto dai sottoscrittori HVST una copia del ricorso in Cassazione a S.R. e per esso al procuratore speciale G.I., ed altra copia agli altri sottoscrittori sempre in persona del procuratore speciale G.I.;

– non risultando effettuata la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e nel foglio degli annunzi legali, gli atti processuali posti in essere dai ricorrenti, mancando alcune delle formalità previste dall’art. 150 cod. proc. civ., e dal provvedimento autorizzativo, non sarebbero neppure giuridicamente ascrivibili alla fattispecie della notificazione per pubblici proclami.

4.2. – L’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata.

Risultano dagli atti le seguenti circostanze:

– che il Primo Presidente della Corte di Cassazione – nel provvedere sull’istanza con la quale l’Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’economia e delle Finanze e degli altri ricorrenti, chiedeva di essere autorizzata a notificare il ricorso per cassazione avverso la sentenza in data 21 ottobre 2003 della Corte d’appello di Milano nelle forme ordinate dal giudice, ai sensi dell’art. 151 cod. proc. civ., ovvero, in subordine, per pubblici proclami, a norma dell’art. 150 cod. proc. civ. – ha, con Decreto 23 febbraio 2004, “designato S.R. quale destinatario della notificazione nelle forme ordinarie ed autorizzato, nei confronti degli altri destinatari, la notificazione per pubblici proclami nelle forme stabilite dall’art. 150 cod. proc. civ., commi 3 e 4, nonché mediante consegna per posta o per corriere di un’unica copia del ricorso presso il domicilio eletto dai medesimi in (OMISSIS)”;

– che affidato l’atto all’ufficiale giudiziario in data 4 marzo 2004 – nei confronti di S.R. (e, per suo nome e conto, di G.I.) la notifica del ricorso per cassazione è avvenuta a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., mediante spedizione, il 5 marzo 2004, della copia del ricorso in piego raccomandato con avviso di ricevimento;

– che nei confronti del predetto S.R. il procedimento notificatorio si è perfezionato il successivo 10 marzo con la consegna del plico nel domicilio eletto.

Ciò stando, la notificazione del ricorso per cassazione nei confronti dello S.R. deve ritenersi rituale e tempestiva.

Rituale, perché – contrariamente a quanto prospettato dalla difesa dei controricorrenti – la norma dell’art. 150 cod. proc. civ., là dove indica il perfezionamento della notificazione per pubblici proclami, rispetto ai destinatari, nel momento in cui l’ufficiale giudiziario deposita, presso la cancelleria del giudice davanti al quale si procede, una copia dell’atto con la relazione e i documenti giustificativi dell’attività svolta (formalità nella specie non rispettata), non trova applicazione rispetto al destinatario per il quale il giudice abbia stabilito, con il decreto di autorizzazione, che la notificazione debba essere eseguita nei modi ordinari.

Tempestiva, perché, per pacifica giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. Un., 26 luglio 2004, n. 13970), in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale, a seguito della sentenza della Corte Costituzione n. 477 del 2002 – dichiarativa della illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 cod. proc. civ. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevedeva che la notificazione di atti a mezzo posta si perfezionasse, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario – la notifica del ricorso per Cassazione – anche nel regime, ratione temporis applicabile, anteriore alla nuova disciplina dell’art. 149 cod. proc. civ., comma 3, aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. e) – si intende perfezionata, per il notificante, alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario: e nel caso che ci occupa tale consegna è avvenuta in data anteriore all’8 marzo 2004, come si ricava sia dal timbro apposto dall’ufficiale giudiziario sull’atto da notificare (Cass., Sez. Un., 20 giugno 2007, n. 14294) recante il numero cronologico e la data del 4 marzo 2004, sia, ulteriormente, dalla spedizione del piego raccomandato ad opera dello stesso ufficiale giudiziario in data 5 marzo 2004.

Quanto agli altri destinatari – diversi da S.R. – nei confronti dei quali è stata autorizzata la notificazione per pubblici proclami, nelle forme stabilite dall’art. 150 cod. proc. civ., commi 3 e 4, nonché mediante consegna per posta o per corriere di un’unica copia del ricorso presso il domicilio eletto dai medesimi in (OMISSIS), occorre innanzitutto osservare che, anche in questo caso, i ricorrenti, una volta ottenuto il decreto di autorizzazione, hanno provveduto, anteriormente alla scadenza del termine per l’impugnazione, ad affidare l’atto da notificare per pubblici proclami all’ufficiale giudiziario, che funge da tramite necessario del notificante nel relativo procedimento. La circostanza del tempestivo affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario si ricava, ancora una volta, sia dal timbro apposto dall’ufficiale giudiziario sull’atto da notificare recante il numero cronologico e la data del 4 marzo 2004, sia dalla spedizione del piego raccomandato ad opera dello stesso ufficiale giudiziario in data 5 marzo 2004 e dal deposito, a ministero di questo, di una copia dell’atto presso nella casa comunale di Roma, sempre in data 5 marzo 2004.

Per effetto della citata sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002, risulta ormai presente nell’ordinamento processuale civile, tra le norme generali sulla notificazione degli atti, il principio secondo il quale – relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante – il momento in cui la notifica si deve intendere perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario, pur restando fermo che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario (v. Corte cost., sentenza n. 28 del 2004).

Tale principio – della c.d. scissione soggettiva del momento perfezionativo della notificazione tra notificante e destinatario – si applica anche in rapporto alla notificazione per pubblici proclami, a norma dell’art. 150 cod. proc. civ., di talché pure con riguardo a questa forma di notificazione gli effetti della notificazione, rispetto al soggetto istante, devono intendersi rapportati al momento in cui questi, ottenuta la preventiva autorizzazione del capo dell’ufficio giudiziario davanti al quale si procede, abbia consegnato l’atto all’ufficiale giudiziario per le attività e formalità di cui all’art. 150 cod. proc. civ., commi 3 e 4. Diversamente, rispetto al destinatario, la notifica è destinata ad acquisire la medesima rilevanza solo in esito al perfezionamento del procedimento notificatorio, che si ha quando – esaurite le formalità del comma 3 del citato art. 150, e quelle, ulteriori, disposte dal capo dell’ufficio giudiziario – l’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto, con la relazione e i documenti giustificativi dell’attività svolta, nella cancelleria del giudice davanti al quale si procede.

Ai fini della ritualità della notificazione per pubblici proclami non rileva la mancata inserzione di un estratto del ricorso nel foglio degli annunzi legali delle province dove risiedono i destinatari o si presume che risieda la maggior parte di essi, giacché, avendo la L. 24 novembre 2000, n. 340, art. 31 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1999) abolito i fogli degli annunzi legali delle province e abrogato le forme di pubblicazione ad essi relative (L. 30 giugno 1876, n. 195; D.M. 25 maggio 1895, recante istruzioni speciali per l’esecuzione della L. 30 giugno 1876, n. 3195; R.D.L. 25 gennaio 1932, n. 97, convertito dalla L. 24 maggio 1932, n. 583; L. 26 giugno 1950, n. 481), deve ritenersi sufficiente l’inserzione di un estratto dell’atto nella Gazzetta Ufficiale. E nella specie, contrariamente a quanto dedotto dai controcorrenti, l’estratto del ricorso per Cassazione, a norma dell’art. 150 cod. proc. civ., è stato pubblicato nella parte 2^ della Gazzetta Ufficiale in data 9 marzo 2004.

Tanto premesso, qualsiasi indagine sulla ipotizzata nullità della notifica per pubblici proclami ai sottoscrittori HVST a causa della violazione di talune delle prescrizioni imposte (e ciò in quanto l’ufficiale giudiziario, dopo avere depositato copia dell’atto nella casa comunale e dopo averne fatto invio a mezzo del servizio postale mediante piego raccomandato con avviso di ricevimento, ha omesso – una volta che si era provveduto all’inserzione per estratto nella Gazzetta Ufficiale – di depositare una copia dell’atto, con la relazione e i documenti giustificativi dell’attività svolta, nella cancelleria della Corte di cassazione), è resa ultronea dalla intervenuta sanatoria ex tunc per raggiungimento dello scopo in ragione dell’esercizio di attività difensiva nel giudizio per cassazione da parte degli intimati, cui la notificazione per pubblici proclami era diretta, a nulla rilevando che tale esercizio sia avvenuto per eccepire la tardività, la nullità o l’inesistenza della notificazione, e che i controricorrenti abbiano spiegato difese nel merito e proposto ricorso incidentale soltanto in via subordinata (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 luglio 1997, n. 7033; Cass., Sez. 1^, 6 luglio 1999, n. 7012; Cass., Sez. 3^, 1 giugno 2004, n. 10495; Cass., Sez. 5^, 11 agosto 2004, n. 15530).

5. – Passando al merito, con il primo motivo i ricorrenti in via principale P.B. ed altri denunciano “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 384 cod. proc. civ., degli artt. 2043 e 2697 cod. civ., della L. n. 216 del 1974, artt. 18 e 18 quater”, nonché “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5)”.

Ad avviso dei ricorrenti, il riconoscimento di un comportamento colposo da parte della CONSOB nella vicenda de qua sarebbe stato compiuto dalla Corte d’appello sull’assorbente (ed anzi esclusivo) presupposto dell’essere la stessa Corte vincolata alle affermazioni in punto di fatto contenute nella sentenza n. 3132 del 2001 della Corte di Cassazione in ordine ad una (asseritamente) pacifica ed acclarata falsità dei dati contenuti nel prospetto. Su tali basi, la Corte milanese avrebbe ritenuto non soltanto che non fosse proprio compito, ma addirittura che fosse precluso alla medesima procedere ad un autonomo accertamento dei termini della controversia.

Il giudice del rinvio si sarebbe erroneamente ritenuto vincolato ad affermazioni in punto di fatto contenute nella pronuncia della Corte di legittimità, rispetto alle quali sarebbe, invece, da escludere qualsivoglia effetto vincolante, perché il principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente non presupporrebbe di per sé alcun accertamento in punto di fatto sul comportamento concretamente posto in essere dalla CONSOB nella vicenda in esame.

Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, nessuna acclarata e pacifica falsità dei dati contenuti nel prospetto relativo all’operazione HVST, né alcuna pacifica conoscenza della stessa falsità da parte della CONSOB sarebbe stata accertata dalla Corte d’appello di Milano con la prima sentenza del 1998. Le stesse affermazioni contenute nella pronuncia rescindente della Cassazione “devono essere ritenute … il frutto di un evidente travisamento della pronuncia cassata, consistente nell’aver considerato come valutazioni della Corte Territoriale quelli che, invece, erano gli addebiti mossi dagli appellanti nei confronti della CONSOB”.

Era compito della Corte di Milano, quale giudice del rinvio, valutare in via autonoma se, tenuto conto dell’esatto contenuto dei poteri esistenti in capo alla CONSOB all’epoca dei fatti di causa, fosse ravvisabile nel caso di specie una colposa omissione nell’esercizio di tali poteri da parte della stessa Commissione; e ciò tanto più ove si consideri che la Corte di Cassazione aveva espressamente disposto che dovesse essere compiuto un “nuovo, completo esame della controversia, esame che sarà condotto sulla base dei formulati principi di diritto e seguendo una corretta logica argomentativa”.

D’altra parte, la Corte ambrosiana sarebbe comunque incorsa nel vizio di omessa pronuncia o di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, perché avrebbe mancato di chiarire da quali elementi in punto di fatto sarebbe dovuta emergere la – invero soltanto asserita – falsità del prospetto informativo e, per l’effetto, la responsabilità della Commissione.

In definitiva, il giudice del rinvio avrebbe dato per dimostrate delle circostanze in punto di fatto, decisive ai fini di una responsabilità della CONSOB, sulle quali, invece, nessuna certezza è mai stata raggiunta, ed il cui onere probatorio gravava sui sottoscrittori HVST.

5.1. – Il motivo è infondato.

Con la sentenza rescindente n. 3132 del 2001, la Corte di Cassazione ha dettato il principio di diritto secondo cui, in base alla normativa vigente nel (OMISSIS), la CONSOB, cui la legislazione attribuisce un penetrante potere di controllo della veridicità e della completezza dei dati forniti dai promotori dell’operazione, risulta titolare di poteri – ispettivi, informativi e repressivi – idonei, se esercitati, ad esercitare le inesattezze e le falsità palesi (in quanto risultanti prima facie, ex actis) dei documenti depositati, nonché a portare all’interruzione dell’operazione; ed ha precisato che una diversa interpretazione “confligge in modo macroscopico anche con la razionalità del sistema di garanzie perseguite con l’istituzione della CONSOB”: “ipotizzare che l’intero procedimento di comunicazione di dati, di allegazione di documentazione e di pubblicazione del prospetto riassuntivo fosse stato ideato al solo fine di consentire una programmata pubblicità della operazione ed affermare che in tal quadro alla CONSOB spettasse solo di regolare-integrare i modi di pubblicizzazione, significherebbe ridurre il ruolo dell’Organo di garanzia a quello di un ufficio di deposito atti”.

Al fine di enunciare il principio di diritto sulla configurabilità, in capo alla CONSOB, dei poteri di controllo sulla veridicità dei dati fattuali comunicati dai promotori, di intervento correttivo sugli stessi, finalizzato all’inserimento sostitutivo dei dati veri, e di repressione, consistenti nel vietare l’esecuzione dell’operazione inottemperante agli interventi stessi, la Corte di cassazione ha preso in esame le questioni di fatto costituenti il presupposto, necessario ed inderogabile, della pronuncia espressa in diritto.

Si legge, infatti, nella sentenza rescindente che “una volta accertato (come effettuato dalla (prima) sentenza (della Corte d’appello di Milano) impugnata pagg. 29, 30, 31, 35) che ex actis risultava (tanto emergendo dalla documentazione allegata alla comunicazione effettuata dai promotori) la falsità di essenziali dati della prescritta comunicazione e della necessaria informazione pubblica (il prospetto), l’organo pubblico istituzionalmente preposto ad assicurare l’effettività di minimi standards informativi ave(va) la potestà legale di intervenire con iniziative istruttorie, integrative, repressive su operazioni che, prima, facie, quel livello di veridicità non fornivano”.

Nel dettaglio, la sentenza n. 3132 del 2001 ha evidenziato che, sulla base della “incontestata prospettazione attorea”, tali circostanze, di per sé “elequen(ti)”, consistevano: (a) nella falsa attestazione dell’assunzione ed esecuzione della delibera di aumento del capitale sociale della soc. HVST a 44 miliardi, mentre l’aumento non era stato eseguito ed il capitale era all’epoca di 20 milioni; (b) nel deposito del prospetto “benché i proponenti non fossero ancora proprietari del bene” e “il prezzo di acquisto fosse stato dichiarato in una somma inferiore a quella di 44 miliardi”; (c) nel fatto che “il valore della operazione non considerasse i mutui gravanti sulla società”; (d) nell’impossibilità per il canone del complesso immobiliare di “rappresentare per il gruppo S.- C. una componente di reddito attiva ed una disponibilità liquida effettiva”, dato che “il relativo credito (circostanza questa del tutto sottaciuta) aveva formato oggetto di cessione o vincolo a favore della BNL”.

Correttamente, pertanto, nell’applicare il suesposto principio di diritto, il giudice del rinvio ha considerato come ormai accertati in via definitiva, quali premesse logico-giuridiche della sentenza di annullamento, le “evidenti falsità”, facilmente “rilevabili dai documenti depositati”, dei “dati contenuti nel prospetto”; mentre avrebbe esorbitato dai limiti impostigli dalla sentenza rescindente se avesse rimesso in discussione gli accertamenti di fatto, sulla falsità del prospetto e sulla rilevabilità ictu oculi ad opera della CONSOB, già svolti nei precedenti gradi di giudizio, declassandoli – come ora pretendono i ricorrenti – a meri obiter dieta o a considerazioni svolte in via meramente concessiva ed ipotetica.

Invero, i principi espressi dal giudice di legittimità nelle sentenze di cassazione con rinvio per (o anche per) violazione di legge non sono mere enunciazioni teoriche ad applicazione solo eventuale, ma devono indefettibilmente trovare applicazione concreta nel successivo giudizio di rinvio, giacché la pronuncia della Corte di Cassazione vincola non solo al principio affermato ma anche ai relativi presupposti di fatto. Da tanto consegue che il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla regola giuridica enunciata, ma anche alle premesse logiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, acquisiti al processo, costituenti il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, atteso che il riesame di essi verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della pronuncia di cassazione, in contrasto con il principio della loro intangibilità (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 1997, n. 10598; Cass., Sez. 1^, 27 aprile 1976, n. 1478; Cass., Sez. lav., 19 luglio 2002, n. 10622;

Cass., Sez. lav., 12 settembre 2003, n. 13446).

Con tali vincoli e limitazioni, pertanto, è stato correttamente espletato il “nuovo, completo, esame della controversia” affidato al giudice di rinvio dalla Corte di Cassazione, tanto più che essa ha specificato che l’indagine in proposito doveva essere “condotta sulla base dei formulati principi di diritto”.

6. – Il secondo mezzo del ricorso principale (violazione e falsa applicazione dell’art. 41 cod. pen., degli artt. 112 e 384 cod. proc. civ. e degli artt. 1223 e 2697 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5) lamenta che il ragionamento svolto dalla Corte Territoriale al fine di affermare la sussistenza di un valido nesso causale tra la (presunta) condotta colposa della CONSOB e il danno (asseritamente) sofferto dai sottoscrittori sia viziato sotto più profili.

La Corte del rinvio – lungi dal procedere ad un nuovo ed autonomo giudizio prognostico sulla sorte delle iniziative di sottoscrizione in presenza dei possibili esiti del corretto e tempestivo esercizio della vigilanza CONSOB, da compiere con specifico riguardo alle date ed alle modalità delle varie sottoscrizioni – si sarebbe limitata ad affermare la sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta omissiva della Commissione ed il danno asseritamente sofferto dai sottoscrittori sulla esclusiva base di una serie di argomentazioni apodittiche.

Secondo i ricorrenti, il giudice del rinvio, ove avesse proceduto a quanto ad esso demandato dalla Corte regolatrice, avrebbe dovuto concludere che le asserite perdite subite dai sottoscrittori non erano in alcun modo derivate dalle presunte inesattezze del prospetto (peraltro, più apparenti che reali, o comunque non occultate e perfettamente rilevabili dagli stessi sottoscrittori), ma dalla differenza tra il valore unitario delle quote (L. 10.000) ed il loro valore effettivo (stimato dal consulente tecnico d’ufficio in L. 5.810). Differenza, questa, a sua volta dipendente dal fatto che il canone del complesso immobiliare (derivante dal contratto di affitto stipulato con il Club Mediterranee) non poteva rappresentare una componente attiva dell’operazione, dato che il relativo credito era stato ceduto alla BNL. Di tale circostanza (unica vera falsità del prospetto), tuttavia, non avrebbe potuto essere chiamata a rispondere la CONSOB, la quale non disponeva di alcun elemento per sospettare lo stato dei rapporti con il Club Mediterranee, dal momento che detta cessione è sempre stata sottaciuta alla Commissione da parte dei promotori. La Corte Territoriale avrebbe dovuto escludere alla radice la configurabilità di qualsivoglia nesso eziologico tra il comportamento della CONSOB ed il presunto danno sofferto dai sottoscrittori HVST, essendo quest’ultimo integralmente imputabile al comportamento fraudolento dei promotori dell’operazione, ovvero alla condotta degli stessi sottoscrittori, i quali in maniera negligente e colposa (se non altro nel senso della consapevole accettazione del rischio) avrebbero aderito ad un’operazione finanziaria la quale, per sua natura, manifestava evidenti indici di incertezza e rischiosità.

Inoltre, secondo i ricorrenti, la Corte Territoriale, nell’accertamento sulla sussistenza del rapporto eziologico, avrebbe finito per fare applicazione della teoria della condicio sine qua non, in violazione dei principi basilari accolti dal nostro sistema giuridico in tema di causalità, perché l’eventuale (ed in ogni caso contestata) negligenza da parte della CONSOB assurgerebbe a mera occasione, e mai a concausa dell’evento.

Ancora una volta, il giudice del rinvio avrebbe in realtà dato per provate circostanze in ordine alla sussistenza del nesso di causalità, sulle quali, invece, nessuna certezza è mai stata raggiunta, ed il cui onere probatorio gravava sui sottoscrittori HVST. Sotto un ultimo profilo, il giudice del rinvio avrebbe omesso di procedere ad una valutazione individualizzata della posizione dei singoli sottoscrittori, nel senso della verifica puntuale ed analitica della concreta incidenza causale delle eventuali omissioni della CONSOB sulle singole iniziative di sottoscrizione: con ciò la Corte Territoriale non soltanto sarebbe venuta meno al compito ad essa affidata dalla Corte di cassazione, ma avrebbe altresì omesso di pronunciare su un punto decisivo della controversia. In particolare, la Corte d’appello avrebbe dovuto escludere la sussistenza di un valido nesso di causalità tra le presunte omissioni e l’asserito danno, quanto meno con riferimento alle sottoscrizioni intervenute successivamente al (OMISSIS). A quella data, infatti, tutte le asserite irregolarità del prospetto (o, per lo meno, quelle che rientravano nella sfera di conoscibilità della Commissione) erano state sanate.

6.1. – Il motivo non coglie nel segno.

Per quanto riguarda, innanzitutto, le “irregolarità contenute nel prospetto relativo all’operazione Hotel Villaggio S.T.” – che, ad avviso del ricorrenti, non sussisterebbero in alcun modo, “essendo in realtà soltanto apparenti”, ed alle quali, pertanto, non potrebbe “essere attribuito un contributo eziologico nella causazione dei danni”, non avendo i sottoscrittori, per di più, assolto all’onere della prova su di essi gravante -, valgono le considerazioni esposte retro, sub 5.1., con riferimento all’esame del primo motivo di ricorso, dovendo qui ribadirsi che la falsità di rilevanti informazioni contenute nel prospetto e la facile accertabilità di essa da parte dell’Organo di vigilanza costituiscono accertamenti di fatto definitivi, come tali vincolanti per il giudice del rinvio.

Quanto alla deduzione secondo cui avrebbe errato il giudice del rinvio ad affermare la sussistenza della causalità tra omissione imputabile alla CONSOB e danno, essendo semmai il danno patito dagli investitori individuabile – come già affermato dalla Corte di Milano nella prima sentenza del novembre 1998 – nella divergenza tra valore di sottoscrizione delle quote e valore effettivo delle stesse (a sua volta indotta dalla sottaciuta assenza di componenti di reddito nell’investimento proposto, determinata dalla pregressa cessione dei canoni alla BNL), occorre osservare che tale prospettazione prescinde totalmente dalle statuizioni contenute nella sentenza rescindente di questa Corte: la quale, nell’esaminare il quarto motivo del ricorso, ha censurato che la Corte di Milano, indagando sulla causalità tra condotta omissiva e danno patito, avesse finito per negarla proprio “sulla base di rilievi afferenti la mera quantificazione del danno, senza interrogarsi … sulla possibilità che l’uso dei poteri conferitile dalla legge avrebbe dovuto indurre CONSOB a far pubblicare sul prospetto, previe le menzionate iniziative ed integrazioni, solo notizie veridiche (nel (OMISSIS)) ovvero, ed in caso di non ottemperanza alle proprie iniziative, a non autorizzarne affatto la pubblicazione”.

Né è esatto che la Corte del merito avrebbe omesso di prendere posizione sulla possibile imputazione del danno alla consapevole accettazione del rischio da parte dei sottoscrittori. Il giudice del rinvio ha infatti accertato, con logico e motivato apprezzamento, che “anche un investitore con notevole propensione al rischio si sarebbe rivolto verso altre forme di investimento, ove fosse stato a conoscenza della reale situazione del proponente l’operazione”, e che “tale mancata conoscenza è imputabile alla CONSOB, per non avere esercitato l’attività di vigilanza e controllo a cui, nella fattispecie , era obbligata”.

Più in generale, la statuizione del giudice del rinvio in ordine alla sussistenza di un nesso di causalità tra l’omissione colposa nella vigilanza ed il danno subito dagli investitori si sottrae alla censura, prospettata dai ricorrenti, di violazione e falsa applicazione dell’art. 41 cod. pen.

Invero, la Corte di Milano ha accertato che gli investitori sottoscrissero le quote anche e soprattutto in base alle informazioni pubblicate nel prospetto, facendo affidamento sulla veridicità delle stesse, passate al vaglio della vigilanza CONSOB, e che essi non avrebbero acquistato tali quote – il cui valore effettivo, all’epoca della sottoscrizione, risultava quasi dimezzato rispetto al valore nominale – ove avessero saputo che: (a) il capitale sociale ammontava a L. 20 milioni anziché a L. 44 miliardi; (b) il valore patrimoniale del bene, indicato nel prospetto in L. 44 miliardi, era notevolmente inferiore; (c) i proponenti, all’epoca, non erano ancora proprietari del bene; (d) dal prezzo di acquisto avrebbero dovuto essere detratti i mutui gravanti sulla società; (e) il credito per il canone di affitto era stato ceduto alla BNL, rendendo l’investimento privo di redditività.

Muovendo da tali premesse, la Corte territoriale -facendo applicazione dei principi sulla conditio sine qua non e sulla causalità adeguata, di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen. – è pervenuta alla conclusione che un tempestivo e corretto esercizio dei poteri di vigilanza della CONSOB avrebbe dissuaso gli investitori dall’operazione, orientandoli verso altre forme di investimento, e che, inoltre, ove la Commissione avesse esercitato il potere, del quale pure essa disponeva, di vietare, data la presenza di gravi anomalie e inesattezze del prospetto informative, la sollecitazione all’investimento, l’operazione di sottoscrizione non avrebbe avuto neppure inizio e non avrebbe, quindi, causato alcun danno ai risparmiatori-investitori.

Così statuendo, la Corte di Milano si è correttamente attenuta al seguente principio di diritto. Accertata la negligenza della CONSOB che, con la sua condotta omissiva, abbia permesso la diffusione di un prospetto informativo gravemente mendace nella comunicazione predisposta dai promotori dell’operazione di pubblica sottoscrizione di titoli atipici, il giudice del merito – al quale compete procedere all’accertamento del nesso di causalità, con un apprezzamento insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi – ben può ritenere, nel quadro dei principi della equivalenza causale e della causalità adeguata, a norma degli artt. 40 e 41 cod. pen., che tale omissione sia stata causa della perdita subita dai risparmiatori, danneggiati dall’aver fatto affidamento sulla veridicità dei dati riportati nel prospetto informativo, e che, per converso, la condotta doverosa dall’autorità di garanzia preposta al settore del mercato mobiliare, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la verificazione dell’evento, perché, in presenza di un effettivo esercizio di poteri di vigilanza e repressivi, l’investimento non ci sarebbe stato.

Né infine sussiste il denunciato vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., o, comunque, di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, prospettato sul rilievo che il giudice del rinvio non avrebbe proceduto, nell’indagine relativa al nesso di causalità, ad una valutazione individualizzata della posizione dei singoli sottoscrittori.

È bensì vero che la sentenza rescindente ha demandato al giudice del rinvio un giudizio prognostico “sulla sorte delle iniziative di sottoscrizione in presenza dei possibili esiti del corretto e tempestivo esercizio della vigilanza CONSOB” e sulla “presumibile esclusione di questa o quella sottoscrizione dannosa per effetto del tempestivo esercizio delle potestà di legge”, avendo “riguardo alle date ed alle modalità delle varie sottoscrizioni”; ma queste indicazioni non precludevano al giudice del rinvio di ritenere dimostrata, all’esito di un nuovo e completo esame della controversia, l’efficienza causale del comportamento omissivo della Commissione in rapporto al danno subito da tutti i sottoscrittori. A questa conclusione la Corte ambrosiana è pervenuta, facendo applicazione dei principi in tema di concorso di cause statuiti dagli artt. 40 e 41 cod. pen., ed applicabili anche a regolare la causalità nell’illecito extracontrattuale, dopo avere, in modo analitico e puntuale, all’esito del rinnovato esame accertato: (a) che tutti gli investitori sottoscrissero le quote perché avevano fatto affidamento sulla veridicità dei dati riportati nel prospetto informativo e passati al vaglio della vigilanza CONSOB; (b) che anche il risparmiatore abituato a muoversi, nella messa a frutto del proprio capitale monetario, al di fuori delle tipologie più prudenti o con un basso profilo di rischio, si sarebbe diretto verso forme di investimento diverse da quella in oggetto, ove fosse stato a conoscenza della reale situazione del proponente l’operazione finanziaria.

In questo quadro, la stessa affermazione dei ricorrenti secondo cui il giudice del rinvio avrebbe dovuto escludere la sussistenza di un valido nesso di causalità con riferimento alle sottoscrizioni intervenute successivamente al (OMISSIS), più che risolversi nella indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni del giudice del rinvio, finisce con il contrapporre una propria valutazione delle risultanze di causa diversa da quella alla quale, motivatamente, è giunta la Corte territoriale, e con il prospettare un diverso esame del merito della regiudicanda, senza neppure indicare da quali risultanze processuali emergerebbe il carattere pacifico ed incontestato del fatto della completa sanatoria, a quella data, di tutte le decottive informazioni contenute nel prospetto.

Sotto questo profilo, la censura sollevata si risolve in una contestazione degli apprezzamenti in fatto compiuti dalla Corte di merito ed in una sollecitazione ad una nuova e diversa lettura delle risultanze di cause. Ma ciò fuoriesce dai limiti del sindacato di questa Corte, perché le deduzioni delle parti ricorrenti, oltre ad infrangersi contro la palese sussistenza, nella sentenza impugnata, dei requisiti strutturali dell’argomentazione, si sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo, sicché incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità.

7. – Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 384 cod. proc. civ. e degli artt. 1227 e 2697 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5) censura che la Corte del rinvio abbia escluso la configurabilità di un concorso di colpa dei sottoscrittori HVST. La Corte d’appello avrebbe innanzitutto omesso di prendere posizione:

sul fatto che il prospetto informativo manifestava comunque evidenti indici di incertezza e rischiosità dell’investimento, perfettamente rilevabili dai sottoscrittori; sulla circostanza che questi ultimi dovevano ritenersi soggetti qualificati e provvisti di una sufficiente propensione al rischio; infine, sulla natura intrinsecamente aleatoria dell’operazione.

La sentenza impugnata sarebbe altresì viziata là dove ha escluso la rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1227 cod. civ., della diffusione, successivamente alla pubblicazione del prospetto informativo, di notizie di stampa concernenti il carattere “avventuroso” dell’operazione.

E lo sarebbe, innanzitutto, per violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., essendo stati disattesi i criteri direttivi stabiliti al riguardo per il giudizio di rinvio dal Supremo Collegio; in secondo luogo, sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà della motivazione, perché se la diffusione di notizie di stampa avrebbe dovuto rendere facilmente accertabile e rilevabile ictu oculi, da parte della CONSOB, il carattere “avventuroso” dell’operazione, allora la medesima evidenza ed accertabilità avrebbero dovuto sussistere anche con riferimento ai sottoscrittori, tanto più che trattavasi di soggetti particolarmente esperti del mercato mobiliare.

Infine, la sentenza impugnata sarebbe viziata per violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., nonché per omessa pronuncia o per vizio di motivazione nella parte in cui non ha proceduto ad una valutazione individualizzata del concorso di colpa dei singoli sottoscrittori nella produzione del danno lamentato dagli stessi.

7.1. – Il motivo è in parte fondato, nei termini di seguito precisati.

7.1.1. – Occorre prendere le mosse dal rilievo che, in un’operazione finanziaria di pubblica sottoscrizione, i risparmiatori compiono le loro scelte di investimento sulla base del prospetto e ripongono fiducia nel fatto che le informazioni in esso contenute sono per legge sottoposte ad un’attività di controllo, idonea, secondo la normativa ratione temporis applicabile, a verificarne la completezza e la esattezza: le informazioni contenute nel prospetto creano tra il pubblico una disponibilità all’investimento proposto ed il superamento del vaglio della supervising authority in ordine all’operazione di sollecitazione del pubblico risparmio ingenera negli investitori il legittimo affidamento che quelle informazioni contengono dati veritieri e sono realmente descrittive dei termini dell’affare.

Correttamente, pertanto, la Corte di Milano ha affermato che nessun investitore, neppure quello con la maggiore propensione al rischio, si sarebbe indotto a sottoscrivere i titoli in questione se avesse realmente conosciuto dati rilevanti dell’investimento offerto, che invece gli sono stati prospettati in modo inveritiero od ingannevole o che gli sono stati taciuti; ed ha rilevato che tale difetto di conoscenza era imputabile alla CONSOB, la quale aveva, in allora, la potestà di accertare le falsità evidenti dei dati che il promotore intendeva comunicare ai risparmiatori attraverso il prospetto sottoposto alla sua approvazione.

In questa prospettiva, il giudice del merito – al quale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3^, 13 luglio 1967, n. 1760; Sez. 3^, 10 marzo 1969, n. 774; Sez. lav., 5 aprile 1975, n. 1224; Sez. 1^, 2 febbraio 1998, n. 1023), spetta di accertare, con un apprezzamento di mero fatto, se sia configurabile un fatto colposo del danneggiato che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., comma 1 – ha escluso la ravvisabilità di qualsiasi comportamento colposo degli investitori, ai quali non può rimproverarsi di non avere verificato autonomamente, prima di decidersi a compiere l’operazione, che le caratteristiche dell’investimento corrispondessero a quanto illustrato nel prospetto informativo, passato al vaglio della competente Commissione. Difatti – ha precisato la Corte Territoriale – “il risparmiatore legittimamente può fare affidamento sulla veridicità del prospetto informativo relativo all’investimento finanziario, sottoposto al controllo della CONSOB, e non può imporsi allo stesso una ulteriore verifica, gravosa per lo stesso e sostanzialmente superflua, stante il controllo di veridicità del prospetto informativo” spettante all’autorità di vigilanza.

La conclusione alla quale è pervenuta al riguardo la Corte di Milano sfugge alle censure dei ricorrenti: i quali – nel dedurre, genericamente, che “l’investimento prospettato, per la sua complessità, era destinato non a comuni risparmiatori, ma ad un ambiente selezionato di specifici investitori finanziari, destinati a svolgere (in via mediata) un’attività imprenditoriale”, e nel sottolineare che non può essere posta “a carico della CONSOB una garanzia ex lege sul buon esito degli investimenti mobiliari, con l’effetto (ontologicamente inaccettabile) di azzerare il rischio economico sotteso alle operazioni finanziarie, attraverso una socializzazione dello stesso” – non allegano circostanze decisive in ordine alle quali la motivazione della sentenza impugnata presenti lacune o vizi logici. Per un verso, infatti, l’affermazione secondo cui i sottoscrittori HVST non potrebbero essere considerati alla stregua di investitori retail – oltre ad essere priva di agganci a concrete risultanze processuali – non indica in base a quali circostanze dovrebbe predicarsi l’appartenenza degli investitori alla categoria degli operatori qualificati e professionali; per l’altro verso, le deduzioni contenute nel ricorso in ordine alla aleatorietà degli investimenti effettuati nell’ambito del mercato mobiliare non tengono conto della circostanza che la sentenza impugnata non ha certo addossato sulla CONSOB, in quanto autorità pubblica preposta alla vigilanza sui mercati mobiliari, le perdite derivanti da un investimento mobiliare non andato a buon fine a causa dell’andamento negativo del mercato o della normale alea sulla redditività di un investimento, ma ha evidenziato che il danno lamentato si ricollega nella specie direttamente alla presenza di un prospetto informativo gravemente mendace e alla omessa vigilanza dell’autorità che, per la sua funzione istituzionale, aveva il compito di garantire il pubblico dei risparmiatori circa la veridicità delle informazioni contenute nel detto documento.

7.1.2. – Incorre, invece, nelle censure articolate dai ricorrenti la statuizione che ha escluso la rilevanza della diffusione di notizie di stampa sul carattere rischioso dell’operazione finanziaria in questione, sotto il profilo del concorso di colpa dei danneggiati, messi sull’avviso, o del contegno degli stessi idoneo a produrre un aggravamento del danno.

Va premesso che la più volte citata sentenza di questa Corte, nell’accogliere il quinto motivo del ricorso, ha statuito che l’avere avuto i potenziali investitori, in epoca successiva alla pubblicazione del prospetto informativo, contezza dei rischi connessi all’operazione per effetto delle notizie diffuse dalla stampa sul carattere “avventuroso” dell’investimento in atto, non esimeva la CONSOB dall’obbligo istituzionale di attivare le potestà disponibili, ed anzi imponeva la sollecita attivazione degli interventi – doverosi – sino a quel momento negletti.

La detta sentenza – nel cassare la pronuncia dei giudici milanesi, che aveva affermato la sostanziale inefficienza causale di un intervento della CONSOB assunto nel pieno di una campagna giornalistica di informazione – ha tuttavia evidenziato che “le notizie in discorso avrebbero potuto essere considerate come originanti una situazione – pervero caratterizzata dall’ampio di spiegamento cronologico delle sottoscrizioni (iniziate all’indomani della pubblicazione del prospetto e continuate anche nell’anno (OMISSIS)) – nella quale, semmai, il comportamento dei sottoscrittori (o di parte di essi) avrebbe potuto ricevere una valutazione alla stregua dell’art. 2056 cod. civ., comma 1, e art. 1227 cod. civ.”.

Alla base del dictum della sentenza rescindente vi è, da un lato, la considerazione che, per logica di sistema, gli investitori, quando scelgono di investire nello specifico strumento finanziario oggetto di sollecitazione all’investimento, lo fanno proprio sulla base delle informazioni ufficiali provenienti dal prospetto, la cui pubblicazione è autorizzata dalla CONSOB; dall’altro, la sottolineatura che, allorché una notizia di stampa pone all’attenzione del pubblico la possibilità che una fonte di informazione ufficiale possa non essere più attendibile, l’investitore prudente deve valutare anche il contenuto della notizia di stampa, e che la colpa del risparmiatore danneggiato va apprezzata sotto il profilo del concorso di questo nella produzione dell’evento o ai fini della riduzione del risarcimento.

È esatto che, come è reso palese dall’uso dell’avverbio semmai, l’indagine sulla rilevanza, sub specie di concorso del fatto colposo del danneggiato o di comportamento suscettibile di avere determinato un aggravamento del danno, della pubblicazione di dette notizie di stampa, era affidato, nel quadro di un “nuovo, completo, esame della controversia”, al giudice del rinvio: il quale, “seguendo una corretta logica argomentativa”, non necessariamente, ma solo, appunto, eventualmente, era tenuto a dare alle notizie di stampa una valutazione alla stregua dell’art. 1227 cod. civ.

Sennonché la Corte di merito – nell’escludere che i risparmiatori, messi sull’avviso dalla stampa, avrebbero dovuto attivarsi per verificare la corrispondenza al vero delle notizie pubblicate ed eventualmente non investire nell’operazione o provvedere a disinvestire prontamente i capitali, evitando o limitando le perdite lamentate – ha motivato esclusivamente in astratto, osservando che proprio la mancata attivazione della CONSOB anche in seguito alla pubblicazione di notizie di stampa “può … avere avuto l’effetto di tranquillizzare i risparmiatori sulla infondatezza delle notizie di stampa”.

Così decidendo, la Corte Territoriale si è sottratta all’indagine che ad essa era stata affidata dalla sentenza rescindente, disattendo i criteri direttivi stabiliti per il giudizio di rinvio ed incorrendo nel denunciato vizio di motivazione. Anziché compiere un’analisi delle notizie di stampa, del loro contenuto e della loro consistenza (se, cioè, recanti soltanto mere opinioni del giornalista o riportanti valutazioni suffragate da fatti obiettivi ed elementi concreti), del loro grado di diffusione e della loro ripercussioni sul mercato dei titoli in questione, il giudice del rinvio ha infatti finito con l’escludere, in tesi e in assoluto, che le notizie giornalistiche tout court debbano o possano costituire una fonte di informazione per l’attento risparmiatore; e, anziché procedere ad un’indagine individualizzata in ordine al concorso di colpa di ciascun sottoscrittore anche in relazione all’epoca dell’investimento, è pervenuto ad una conclusione uniforme e generalizzante, senza distinguere le posizioni dei singoli investitori, né, pertanto, prendere in diversa considerazione la posizione di coloro che, senza porsi dubbi sull’attendibilità del prospetto autorizzato, acquistarono quote nel periodo successivo alla diffusione delle notizie de quibus e di coloro che, avendo aderito ab origine all’operazione, avrebbero potuto, in ipotesi, ridurre il danno attraverso una liquidazione delle quote acquistate.

8. – Con il sesto motivo – che in ordine logico va esaminato prima dei restanti quarto e quinto motivo – i ricorrenti in via principale denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 116 e 384 cod. proc. civ., del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23, del D.L. n. 534 del 1996, art. 3, convertito nella L. n. 639 del 1996, e della l. n. 216 del 1974, artt. 1 e 2, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia .

Con esso lamentano che la condanna al risarcimento integrale nei confronti dei sottoscrittori sia stata pronunciata, in solido con la CONSOB ed il Ministero, anche nei confronti di P.B., P.A., G.F. e S.L., in qualità di funzionari ed esperti della CONSOB.

Il giudice del rinvio si sarebbe limitato ad indagare sulla sussistenza di un comportamento genericamente colposo ascrivibile ai singoli funzionari ed esperti della CONSOB, senza tuttavia interrogarsi in alcun modo sulla gravità o meno di tale (eventuale) colpa. In tal modo, la Corte Territoriale avrebbe ignorato il disposto del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23, a tenore del quale la responsabilità civile dei funzionari e dipendenti della P.A. sussiste soltanto in presenza di comportamenti dolosi o gravemente colposi. La Corte del merito, pertanto, non si sarebbe potuta limitare ad indagare sulla sussistenza, nel comportamento di tali soggetti, degli ordinari elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, ma avrebbe dovuto verificare la ravvisabilità degli estremi di una colpa grave.

Gli elementi di prova utilizzati dal giudice del rinvio onde dimostrare il comportamento illecito dei singoli funzionari ed esperti sarebbero insufficienti e addirittura inammissibili.

Quanto alla responsabilità del P.B., la Corte Territoriale si sarebbe limitata a far leva su una dichiarazione, priva di valore confessorio, resa dallo stesso in sede penale, nonché sulla circostanza – di per sé neutra e non decisiva – della partecipazione dello stesso alle riunioni della CONSOB in cui il prospetto venne discusso ed approvato.

In ordine a quella del P.A., del G.F. e del S.L., il giudice del rinvio si sarebbe riferito, in modo del tutto acritico e passivo, a mere valutazioni espresse dal giudice penale nella sentenza istruttoria con cui fu disposto il proscioglimento per amnistia.

Con ciò la Corte milanese avrebbe violato il principio – ribadito anche nella sentenza n. 3132 del 2001 della Corte di cassazione – per cui la libera valutabilità del giudice civile sussiste unicamente per le prove acquisite in sede penale, giammai con riguardo a mere valutazioni espresse in quella sede, le quali sono invece prive di qualsivoglia valore probatorio.

La Corte di Milano avrebbe inoltre omesso di sottoporre alla necessaria rivalutazione gli elementi tratti dalla sentenza penale.

Da ultimo, la sentenza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui ha condannato all’integrale risarcimento in favore dei sottoscrittori tanto i commissari quanto gli esperti della CONSOB, senza distinguere in alcun modo le rispettive posizioni e funzioni. La Corte del merito non si sarebbe resa conto che, dei soggetti condannati, soltanto i funzionari P.B. e P.A. ricoprivano il ruolo di commissari della CONSOB all’epoca dei fatti di causa, e che pertanto soltanto questi ultimi approvarono il prospetto, laddove gli avvocati G.F. e S.L. erano due degli esperti della CONSOB, ai quali erano devolute attribuzioni e funzioni totalmente differenti. G.F. e S.L. erano addetti al Servizio giuridico della Commissione, ed il loro compito istituzionale era soltanto quello di verificare che i prospetti informativi presentati alla CONSOB fossero conformi, dal punto di vista formale e tecnico- giuridico, con lo schema-tipo predisposto dalla stessa Commissione.

Del resto, all’approvazione del prospetto si pervenne – come risulta dal verbale della riunione della CONSOB del (OMISSIS) – soltanto a seguito della lettura di una lettera riservata indirizzata dai promotori dell’operazione al presidente della Commissione, della quale pertanto gli esperti G.F. e S.L. – i quali si erano occupati della sola fase istruttoria – nulla potevano sapere.

8.1. – Il motivo è fondato.

In primo luogo, la sentenza impugnata ha omesso di distinguere la posizione dei commissari e degli esperti della CONSOB evocati in giudizio, laddove il diverso ruolo istituzionale degli stessi e le attività concretamente svolte da ciascuno di essi nella vicenda in esame avrebbe reso necessari una precisa indagine ed una separata valutazione in ordine alla responsabilità di ognuno, tenendo conto – con particolare riguardo agli esperti – degli specifici compiti assegnati nella struttura organizzativa della Commissione e del ruolo avuto nella vicenda.

In secondo luogo, la Corte del merito – mentre con riguardo al P. B. ha desunto in via autonoma il comportamento colposo dall’essere stato presente alle riunioni della Commissione in cui venne discusso ed approvato il prospetto, senza disporre alcuna attività di verifica e controllo, nonostante fosse stata data lettura, nella seduta del (OMISSIS), di una missiva del (OMISSIS), a firma C., in cui si evidenziava che l’operazione di acquisto delle azioni S. Grandi Alberghi era ancora in corso di perfezionamento – con riguardo agli altri convenuti ( P.A., G.F. e S.L.) ha fondato le conclusioni di responsabilità sulle valutazioni espresse dal giudice penale nella sentenza istruttoria di proscioglimento per applicazione dell’amnistia, nella quale era stato sottolineato: che costoro “non potevano non essersi resi conto dello stato del prospetto, delle sue lacune documentali e delle sue ambigue osservazioni”; che il G. F. e il S.L. “avevano il compito di istruire la pratica prima dell’esame in Commissione”; che il P.A. “si occupò concretamente di tale operazione, senza, peraltro, rilevare nulla in merito ai punti in discussione …, attesa la specifica competenza del P.A.”.

Non v’è dubbio che la sentenza penale, anche quando non faccia stato nel giudizio civile circa il compiuto accertamento dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale, costituisce un documento che il giudice civile può esaminare e dal quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti (Cass., Sez. 1^, 15 febbraio 2001, n. 2200; Cass., Sez. 1^, 24 febbraio 2004, n. 3626). Ma il giudice civile non può adagiarsi acriticamente sulle valutazioni effettuate dal giudice penale, dovendo in ogni caso sottoporre le conclusioni cui sia giunto quest’ultimo al proprio vaglio critico (Cass., Sez. 3^, 21 giugno 2004, n. 11483; Cass., Sez. Ili, 7 febbraio 2005, n. 2409). In questo senso, del resto, il giudice del rinvio era vincolato in base al principio di diritto enunciato dalla sentenza rescidente, la quale – esclusa l’efficacia di giudicato nel giudizio civile delle statuizioni contenute nella sentenza istruttoria di proscioglimento degli imputati per applicazione di amnistia – ha invitato la Corte di merito, nell’opera di necessaria rivalutazione del fatto, a “tenere conto degli elementi di prova ritualmente acquisiti nel processo penale”.

Con riguardo alle posizioni dei convenuti P.A., G.F. e S.L., la Corte di Milano – pur declamando (pag. 43) di volere desumere dalla sentenza penale istruttoria “argomenti di prova” – ha finito con il conferire proprio alle valutazioni espresse dal giudice penale un’autosufficienza decisoria nel giudizio civile di responsabilità, laddove il fondamento fattuale della decisione del giudice del rinvio avrebbe dovuto essere ancorato, piuttosto, agli elementi di prova ritualmente acquisiti dal giudice penale, se ed in quanto confermati (o comunque non smentiti) dal contesto degli altri dati disponibili.

Infine – e questa volta in relazione alla posizione di tutti i commissari ed esperti – la Corte di Milano – alla quale compete ogni accertamento in proposito (Cass., Sez. 3^, 25 novembre 2003, n. 17914) – ha omesso di interrogarsi espressamente sul grado della colpa di ciascuno, né la generica motivazione sul punto consente di ritenere che essa abbia, sia pure implicitamente, qualificato come grave le inosservanze addebitate a costoro. Al riguardo, il giudice del rinvio avrebbe dovuto considerare che – anche nel vigore della disciplina anteriore a quella, ratione temporis non applicabile (posto che, in materia di illecito civile, il criterio di imputazione della responsabilità segue la legge vigente al momento in cui si è verificato il fatto o l’evento dannoso: Cass., Sez. 3^, 24 settembre 2002, n. 13907), dettata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24, comma 6 bis (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari), aggiunto dal D.Lgs. 29 dicembre 2006, n. 303, art. 4, comma 3 (Coordinamento con la legge 28 dicembre 2005, n. 262, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) – perché possa configurarsi, a norma dell’art. 28 Cost., la responsabilità per danni verso i terzi dei commissari della CONSOB nonché dei loro dipendenti od esperti in conseguenza di atti o comportamenti adottati nell’esercizio delle loro funzioni, è necessario che essi abbiano agito con dolo o colpa grave, così come previsto dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 23 (T.U. disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), applicabile, in quanto espressione di un principio generale, a chiunque sia legato da un rapporto di servizio con la Commissione.

A questo esame dovrà nuovamente procedere il giudice del rinvio;

tenendo presente che la limitazione della responsabilità civile dei commissari ed esperti della CONSOB alle ipotesi di (dolo o) colpa grave non significa che l’ordinamento tolleri un comportamento lassista di costoro o li esponga alla responsabilità nei confronti dei terzi danneggiati solo in presenza di macroscopiche inosservanze dei doveri di ufficio o di abuso delle funzioni per il perseguimento di fini personali, giacché si ha colpa grave anche quando l’agente, pur essendone obbligato iure, non faccia uso della diligenza, della perizia e della prudenza professionali esigibili in relazione al tipo di servizio pubblico o ufficio rivestito.

9. – L’accoglimento del sesto motivo del ricorso principale rende virtualmente assorbito l’esame degli ulteriori motivi del ricorso principale e dell’unico mezzo del ricorso incidentale, essendo tutti relativi a profili – i criteri di determinazione del danno subito dagli investitoti HVST e di aggiornamento o di adeguamento monetario della somma liquidata dal giudice – in ordine logico successivi rispetto al momento dell’an della responsabilità dei commissari ed esperti, sul quale il giudice del rinvio dovrà nuovamente a pronunciare.

Tuttavia, poiché la vicenda giudiziaria de qua pende ormai da numerosi anni e poiché le censure con tali motivi sollevate investono anche questioni di interpretazione della legge, sulle quali il giudice di legittimità è chiamato, secondo le attribuzioni che ad esso sono proprie, ad esercitare la propria funzione nomofilattica, il Collegio ritiene che ragioni di cautela acceleratoria, intimamente legate al rispetto del principio di ragionevole durata del processo e di buon andamento dell’amministrazione del servizio giustizia, impongano uno scrutinio di essi, onde evitare che le parti del giudizio – ove in esito al giudizio di rinvio sia confermata, in tutto o in parte, la responsabilità dei commissari e degli esperti della CONSOB – siano costrette a rivolgersi ancora una volta a questa Corte per prospettare doglianze, sulla misura del danno e sulla sua natura, che già oggi sono all’attenzione del giudice di legittimità. 10. – Passando, quindi, all’esame del quarto motivo del ricorso principale (violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2041 e 2697 cod. civ.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; il tutto in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5), con esso si contesta la liquidazione del danno in favore dei sottoscrittori HVST nell’intero ammontare dell’investimento dagli stessi effettuato.

La Corte del merito avrebbe dovuto detrarre dalla somma richiesta quanto meno il valore residuo delle quote acquistate. Si sarebbe dovuto considerare la circostanza – diffusamente evidenziata – che il complesso immobiliare alberghiero di cui è proprietaria la società HVST a r.l. (e quindi, per il tramite di essa, i sottoscrittori) è tuttora esistente nella sua materialità, e mantiene, quale bene immobile, un proprio valore di mercato. A seguire il ragionamento svolto nella sentenza impugnata, si perverrebbe – assumono i ricorrenti – al risultato di far conseguire agli investitori una illegittima ed ingiustificata locupletazione.

La Corte Territoriale avrebbe dato per dimostrate circostanze decisive ai fini della quantificazione del danno – e cioè, in ultima analisi, la totale mancanza di valore residuo delle quote acquistate dai sottoscrittori – sulle quali, invece, nessuna certezza è mai stata raggiunta, ed il cui onere probatorio gravava sui sottoscrittori HVST.

10.1. – La censura articolata con il motivo è infondata.

Correttamente il giudice del rinvio ha affermato che, poiché gli investitori non avrebbero acquistato i titoli mobiliari in questione se la CONSOB avesse proceduto alla doverosa attività di vigilanza e di controllo, il risarcimento deve coprire il danno subito dagli investitori medesimi in termini di perdita del capitale investito. E siccome nessun valore, neppure minimo, può essere attualmente riconosciuto alle quote HVST acquistate, non essendo stato recuperato alcunché dall’insinuazione al passivo delle procedure concorsuali alle quali sono state sottoposte le varie società promotrici dell’operazione, il danno sopportato da ciascun sottoscrittore è stato fatto coincidere con l’intero prezzo pagato per l’acquisto della quota.

Pervero, i ricorrenti, nel contestare (anche) in punto di fatto la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito, sostengono che sussisterebbe un valore residuo di mercato delle quote acquistate dai sottoscrittori: ma la deduzione si risolve nella prospettazione di un punto di vista diverso dal motivato apprezzamento della sentenza impugnata, perché nel motivo di ricorso non vengono trascritte – come invece sarebbe stato onere dei ricorrenti, in base al principio di autosufficienza – le risultanze processuali, indicative del detto valore residuo di mercato, che la Corte del merito avrebbe omesso di prendere in considerazione.

11. – Il quinto mezzo del ricorso principale (violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1223 cod. civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia) lamenta che la sentenza impugnata abbia riconosciuto la debenza degli interessi legali con decorrenza dalle singole sottoscrizioni. L’obbligazione per accessori avrebbe dovuto decorrere dalla data della pronuncia o, quanto meno, da quella del verificarsi del danno, non coincidente con la stessa data della sottoscrizione.

11.1. – In relazione al medesimo capo della sentenza impugnata relativo agli interessi, i sottoscrittori HVST, con l’unico motivo del ricorso incidentale, prospettano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1224 e 1225 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Essi sostengono che nella specie, venendo in considerazione un debito di valore, sull’ammontare del risarcimento riconosciuto in favore dei singoli risparmiatori avrebbe dovuto essere applicata anche la rivalutazione monetaria.

11.2. – Il quinto motivo del ricorso principale e l’unico mezzo del ricorso incidentale vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.

È fondato il motivo del ricorso incidentale, giacché sono erronee le premesse dalle quali ha preso le mosse la Corte di Milano nell’escludere il danno da svalutazione monetaria.

L’obbligazione risarcitoria da fatto illecito extracontrattuale per le perdite subite dal risparmiatore in conseguenza della omessa attivazione, da parte della CONSOB, dei poteri di vigilanza su di un’operazione di sollecitazione al pubblico risparmio, costituisce un debito di valore. Né siffatta configurazione è destinata a mutare per il fatto che l’evento dannoso coincide con la perdita della somma di danaro investita, giacché nella responsabilità aquiliana – dove l’obbligazione risarcitoria mira alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato – ai fini del risarcimento del danno viene in rilievo la perdita del valore oggetto, nella specie, dell’operazione finanziaria di investimento, e ciò che il danneggiante deve non è la corresponsione di una data somma di danaro ma l’integrale risarcimento del danno, di cui la somma originaria costituisce solo una componente ai fini della relativa commisurazione (cfr., in ambiti diversi, Cass., Sez. 2^, 21 luglio 1980, n. 4776; Cass., Sez. 3^, 23 aprile 1982, n. 2534; Cass., Sez. 3^, 20 febbraio 1987, n. 1817; Cass., Sez. 1^, 25 maggio 2005, n. 11018).

La Corte di Milano, affermando di non potere riconoscere il danno da svalutazione monetaria (che avrebbe dovuto essere dimostrato, o almeno allegato, dagli investitori) ed essendosi limitata a statuire la debenza degli interessi legali, ha erroneamente considerato l’obbligazione risarcitoria de qua alla stregua di un debito di valuta.

Trattandosi, invece, di obbligazione di valore, non occorreva che gli investitori danneggiati si adoperassero a provare la svalutazione, in quanto l’obbligazione di risarcimento del danno è sottratta al principio nominalistico e deve, pertanto, essere quantificata dal giudice, anche d’ufficio, tenendo conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione (Cass., Sez. 3^, 22 giugno 2005, n. 13401; Cass., Sez. 1^, 7 ottobre 2005, n. 19636).

Sulla somma riconosciuta ai danneggiati a titolo di risarcimento del danno, il giudice avrebbe dovuto considerare, in sede di liquidazione, la rivalutazione monetaria degli esborsi sostenuti dai sottoscrittori dal giorno in cui è verificato l’evento dannoso; e – secondo i principi più volte affermati da questa Corte (Sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712; Sez. 3^, 25 gennaio 2002, n. 883; Sez. 3^, 8 maggio 2002, n. 6590; Sez. 3^, 10 marzo 2006, n. 5234) – avrebbe dovuto liquidare il nocumento finanziario (lucro cessante) da essi subito a causa del ritardato conseguimento del relativo importo, con la tecnica degli interessi, computati – non sulla somma originaria né su quella rivalutata al momento della liquidazione – ma sulla somma originaria rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice medio.

L’accoglimento del motivo del ricorso incidentale assorbe l’esame della censura articolata con il ricorso principale.

12. – La sentenza impugnata è cassata in relazione alle censure accolte.

La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Milano che, in diversa composizione, la deciderà facendo applicazione dei principi di diritto sopra enunciati.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, così provvede:

(a) dichiara estinto, per intervenuta rinuncia, il giudizio promosso con il ricorso principale del Ministero dell’economia e delle finanze e della CONSOB;

(b) dichiara estinto, per intervenuta rinuncia, nei soli confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e della CONSOB, il giudizio promosso con il ricorso incidentale introdotto da S. R. e dagli altri 897 sottoscrittori di quote HVST indicati in epigrafe e, per loro nome e conto, da G.I., nonché da G.I. in proprio;

(c) rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale; accoglie il terzo, nei termini di cui in motivazione, ed il sesto motivo del ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale e dichiara assorbito, in conseguenza di tale accoglimento, l’esame del quinto motivo del ricorso principale;

(d) cassa, in ragione delle censure accolte, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 febbraio 2009.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2009


Innovazione digitale per le Attività e i Beni culturali

II Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta e il Ministro per i Beni e le Attività culturali, Sandro Bondi, hanno firmato, il 18 febbraio scorso, un Protocollo d’intesa per la realizzazione di un programma di interventi per innovare, anche grazie al digitale, il settore del patrimonio culturale italiano. Gli obiettivi fondamentali da raggiungere sono quelli di ridurre la burocrazia e valorizzare il patrimonio culturale del nostro Paese, in un periodo di tre anni, qual è la durata del Protocollo.

Il Protocollo si inserisce infatti nelle linee di attuazione del Piano industriale per l’innovazione che prevede intese con le Amministrazioni centrali, le Regioni e i comuni capoluogo, e nel Piano di e-Gov 2012 per la realizzazione di 80 progetti strategici. Il Protocollo firmato con il ministro Bondi prevede, in particolare, la realizzazione dei seguenti interventi, ritenuti prioritari nel settore del patrimonio culturale italiano: Arricchire e ampliare il portale Culturaltalia, che offre un ricco punto di accesso alle risorse culturali on-line del Paese; Raccogliere in un unico importante progetto di valore strategico attività e realizzazioni già esistenti nel campo del sistema museale, con la costituzione di un “Sistema museale nazionale”; Possibilità di ottenere certificazioni on line e rendere disponibile un accesso on-line alla banca dati del patrimonio vincolato; Completare l’evoluzione del protocollo informatico, attualmente in uso presso l’Amministrazione, verso un sistema di erogazione di servizi on-line per la presentazione di istanze di autorizzazione per procedimenti sia di gestione del personale che per l’attività di tutela del patrimonio.


Convertito in legge il Decreto Legge sulla semplificazione normativa

Il decreto legge sulla semplificazione normativa è legge. Il 17 febbraio al Senato della Repubblica con 148 voti favorevoli e 110 astenuti, è stato trasformato in legge il disegno di legge 1342 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, recante misure urgenti in materia di semplificazione normativa”. “Chi ha voluto semplificare nella storia del Paese – ha dichiarato il Ministro Calderoli – si è trovato di fronte un compito assolutamente complicato. Ho trovato 21.600 leggi ufficiali sulla carta, ma negli scantinati ne ho trovate 451.000: quando si è in presenza di così tanti atti normativi (tra numerati e non), purtroppo l’intervento non può che essere di bisturi”.

Il senatore Pastore, il relatore che ha illustrato all’assemblea i lavori della commissione, ha evidenziato come il decreto sulla semplificazione normativa serva a dare attuazione al principio costituzionale della “certezza del diritto” garantendo allo stesso tempo un ordinamento che possa essere efficiente e moderno. Con questo decreto, il ministero per la semplificazione normativa, d’intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ha inteso promuovere tutte “le attività” volte a realizzare l’informatizzazione e la classificazione della normativa vigente per facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini.”, come recita l’art.1 del decreto (“Banca dati pubblica e gratuita della normativa vigente”), approvato al Senato con gli emendamenti approvati in sede di conversione. “Assicura, altresì, – continua l’art.1 – la convergenza presso il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri di tutti i progetti di informatizzazione e di classificazione della normativa statale e regionale in corso di realizzazione da parte delle amministrazioni pubbliche”. Infine, gli articoli successivi si occupano di abrogare tutte le leggi previste negli allegati che seguono il decreto, approvato nel dicembre scorso, contenenti tutta una serie di leggi obsolete che vanno dal periodo preunitario fino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana.


Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 04-02-2009) 20-02-2009, n. 4239

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo – rel. Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. D’AMICO Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI PATTI, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato BALDUCCI PAOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato PIZZUTO FRANCESCO con studio in 98051 – Brolo (ME), Via Leonardo Da Vinci n. 5, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.T.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 101/2004 della GIUDICE DI PACE di PATTI, emessa il 23/03/2004, depositata il 30/03/2004, R.G. 284/C/03;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 04/02/2009 dal Consigliere Dott. SPIRITO ANGELO;

udito l’Avvocato Francesco PIZZUTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rinvio alle SS.UU..

La Corte:

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
rilevato che nel primo motivo di ricorso il Come di Patti pone questione di giurisdizione, sostenendo che questa (trattandosi di canone acque reflue per l’anno 1997) spettasse alla Commissione Tributaria;

che, dunque, la questione stessa deve essere sottoposta al giudizio delle SS.UU. di questa Corte.

P.Q.M.
Dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle SS.UU..

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2009


Un grave lutto ha colpito i Messi Comunali

La sicurezza dei Messi comunali nell’espletamento delle loro mansioni è un problema di estrema attualità, cui lo Stato deve una risposta concreta ed immediata.

E’ stato ucciso a colpi di pistola il Messo Comunale Raul Becchi di Novellara (RE).

Alla famiglia le più vive condoglianze da parte di tutti gli associati ad ANNA.


GLI ACCERTAMENTI LI FANNO SOLO GLI AGENTI DELLA POLIZIA MUNICIPALE COMPETENTE

I corpi di Polizia Municipale non possono effettuare accertamenti di violazioni delle norme del Codice della Strada su tracciati che non siano di proprietà degli Enti Locali di cui essi siano organi. E’ questo il principio con cui il Giudice di Pace di Caserta ha annullato un verbale elevato da agenti di Polizia Municipale per eccesso di velocità.

Per il GdP adito gli agenti di Polizia Municipale non possono effettuare accertamenti di violazioni di norme del Codice della Strada su tracciati che non siano di proprietà degli Enti Locali di cui essi siano organi. Ciò pure nel caso in cui i tracciati in questione attraversino i territori degli Enti Locali interessati.

La pronuncia segue la sentenza n. 3019 della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione emessa il 1 marzo 2002. A mezzo della richiamata decisione i giudici di ultima istanza avevano già acclarato come, ancorché al di fuori dei centri abitati, la Polizia Locale fosse legittimata ad operare esclusivamente nell’ambito del territorio dell’Ente di pertinenza.

(Giudice di Pace di Caserta – Sezione Prima – Avv. Generoso Bello, Sentenza 13 gennaio 2009).


Pubblicare sul web il testo integrale delle sentenze? E’ lecito se non c’è richiesta di omettere le generalità

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 4239/2009) ha stabilito che è lecita la pubblicazione integrale su internet di sentenze già rintracciabili sul sito ufficiale della Corte che le ha depositate e sempre che le parti non abbiano fatto espressa richiesta di omettere le generalità. Gli Ermellini, nel caso di specie, hanno osservato che “il tribunale, con adeguata e coerente motivazione, ha ritenuto la liceità della pubblicazione integrale sul sito Eius della sentenza di condanna pronunciata dalla Corte dei Conti nei confronti di […] sia in quanto avvenuta nel pieno rispetto della normativa di cui all’art. 52 D.lgs. 30/6/2003, n. 196, sia perché reperibile attraverso la banca dati presente sul sito ufficiale della cennata Corte” e che “i limiti di accesso alla banca dati della Corte dei Conti dedotti dal ricorrente non escludono la liceità della pubblicazione in quanto comunque conforme al disposto dell’art. 52 D.lgs. 196/2003”.


Circolare 002/2009: La notificazione di atti destinati a persone fisiche registrate anagraficamente come “senza fissa dimora”

La notificazione di atti destinati a persone fisiche registrate anagraficamente come “senza fissa dimora” crea a volte problemi circa l’esatta applicazione delle norme sul procedimento notificatorio.

Tali atti si presentano riportando indirizzi con vie di fantasia che a volte individuano subito la situazione particolare in cui versa il destinatario dello stesso.

Così possiamo avere la via “dei senza fissa dimora” o la via “del Municipio” o la via “del Comune” ecc. e gli stessi numeri pari o dispari rappresentano diverse categorie di “girovaghi”.

Comunque tutti questi indirizzi stanno a significare che i cittadini sono stati così censiti, in ossequio alle disposizioni dell’art. 1 del DPR 223/1989 (regolamento anagrafico) che prevede anche per loro la relativa registrazione.

In questi casi, come sempre, bisogna aver riguardo alla situazione abitativa reale del destinatario della notificazione, che non risulta aver nessuna effettiva abitazione che ci consenta di individuare il comune di residenza, dimora o domicilio.

Per tal motivo non saranno applicabili gli articoli 139 e 140 c.p.c. che sottendono entrambi l’individuazione di una abitazione di fatto.

Poiché la stessa condizione rappresentata dalla classificazione di “senza fissa dimora” è quella di una persona di cui non si conosce alcuna abitazione, l’unico articolo applicabile per la notifica è l’art. 143 c.p.c., che con il deposito alla casa comunale di una copia dell’atto, consentirà al destinatario l’eventuale recupero dello stesso.

A volte questa particolare situazione viene erroneamente confusa con il diverso caso di colui che abbia eletto domicilio presso il sindaco o presso la segreteria generale, tanto da indurre il notificatore ad effettuare la consegna dell’atto all’impiegato dell’ufficio Protocollo incaricato al ritiro degli stessi, il quale a sua volta non avrà altra scelta che quella di tenerlo a disposizione del destinatario.

Tale modalità di procedere può essere utilizzata solo in presenza di una esplicita elezione di domicilio, risultante espressamente sull’atto o eventualmente sulla lettera di accompagnamento dell’ente richiedente la notifica.  In questo caso dunque andrà effettuata la notificazione ai sensi dell’art. 141 c.p.c..

Quindi riassumendo se il destinatario è un “senza fissa dimora” si notifica ai sensi dell’art. 143 c.p.c., nel caso invece che il destinatario abbia eletto domicilio presso il sindaco o la segreteria si consegnerà copia dell’atto all’addetto al ritiro dell’ufficio protocollo.

Per gli atti finanziari indirizzati a contribuenti che risultino essere registrati come “senza fissa dimora”, che richiedano la notificazione con le modalità del DPR 600/1973 art. 60, si dovrà applicare quanto disposto dalla lett. e) dello stesso articolo.

Leggi: Circolare 2009-002 Notifica a destinatari senza fissa dimora


Corso di Aggiornamento Asciano (SI) 31 marzo 2009

Il “Progetto di valorizzazione del Messo Comunale” che coinvolge i Messi Comunali di molte Regioni d’Italia prosegue anche per il 2009.

Corso di Aggiornamento per Messi Comunali

Martedì 31 marzo 2009
Orario 9:00 – 13:00 14:00 – 17:00

Comune di Asciano

Mediateca

Via Fiume 8

Con il patrocinio del Comune di Asciano
Quote di partecipazione al corso:

Soci A.N.N.A.: € 150,00 (Iscritti alla data del 31.12.2008 con rinnovo anno 2009 al 15.01.2009. Sono esclusi i dipendenti di Enti e Comuni associati, che non siano iscritti individualmente) (*) (**)
Non iscritti ad A.N.N.A.: € 190,00 la quota è comprensiva dell’iscrizione al Corso più l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2009 oltre all’assicurazione per colpa grave(*) (**)
Solo frequenza al Corso: € 240,00 oltre I.V.A (*) (**)

La quota di iscrizione dovrà essere versata, al netto delle spese bancarie e/o postali, entro la data del corso ovvero entro 30 giorni data fattura, tramite:
Conto Corrente Postale n. 55115356
Conto Corrente Bancario:
Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Poste Italiane]

Intestato a:
Associazione Nazionale Notifiche Atti
Codice fiscale: 93164240231
P.IVA:  03558920231

Causale: Corso Asciano 2009
(*) Se la fattura è intestata ad Ente Pubblico, la quota è esente IVA, ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 633/1972 e successive modificazioni.

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.
L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso.

I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Lazzaro Fontana

Comandante di Corpo – Polizia Municipale

Responsabile del Servizio Unico di Notificazione

PROGRAMMA:

Nozioni generali

  • Cos’è una notifica
  • La copia conforme all’originale
  • Richiedente – intermediario e consegnatario/destinatario
  • Concetto di residenza, dimora, domicilio e domicilio fiscale
  • Tempi e luoghi delle notificazioni
  • Nullità delle notificazioni
  • Le responsabilità del Messo Notificatore
  • Modifiche effettuate dall’art. 174 del D.Lgs. 196/2003 (Privacy)

Il procedimento di notificazione

  • La relata di notifica – valore della stessa
  • La notifica a mani proprie
  • Le notifiche “tramite” terzi
  • Il rifiuto di ricevere l’atto da parte del destinatario e da parte dei “terzi”
  • Le notifiche agli “assenti”
  • I “vari” momenti di perfezionamento della notifica
  • Procedura di pubblicazione all’Albo Pretorio delle notifiche
  • Deposito degli atti nella Casa Comunale
  • Le notifiche previste dall’art. 14 della L. 689/1981
  • Le notifiche previste dall’art. 201 del C.d.S.
  • Le notifiche previste dall’art. 6 della L. 241/1990
  • Le notifiche alle società (previste dal C.P.C.)
  • Le notifiche attraverso il servizio postale
  • Le notifiche dei tributi locali
  • Le notifiche previste dal DPR 600/1973 e dal DPR 602/1973
  • Le novità della legge finanziaria per il 2007 e 2008
  • (L. 27/12/2006 n. 296). L’individuazione dei messi notificatori ivi previsti
  • Le novità dell’art. 36 della legge 31/2008 che ha convertito in legge il D.L. 248/2007 (decreto milleproroghe).
  • “L’obbligatorietà” dei corsi abilitanti
  • Richiesta rimborso “trimestrale” delle notifiche (L. 03/08/1999 n. 265 e DM 03/10/2006 n. 254)
  • Presentazione modulistica e casi pratici.
  • Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità in materia di notificazioni, tra le quali:

– D. Lgs 196/2003 (Privacy)
– D. L. 14/03/2005 n. 35 convertito nella L. 14/05/2005 n. 80 (Notifiche postali)
– L. 28/12/2005 n. 263 ( art 2) (Modifiche C.P.C.)
– D. L. 30/12/2005 n. 271 (art 2) – non convertito (ma sostituito dalla L. 23/02/2006 n. 51 – art 39 quater) (Decorrenza Modifiche C.P.C.)
– D. L. 04/07/2006 n. 223 convertito nella L. 04/08/2006 n. 248 (art. 37 comma 27) (Modifiche Notifiche Fiscali)
– L. 27/12/2006 n. 296 (Finanziaria 2007 – art. 1 commi 158-159-160)(Messo “aggiuntivo”)

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line su questo sito nell’area “Attività” a cui dovrà seguire il versamento della quota di partecipazione al Corso.