Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 08-11-2019) 21-02-2020, n. 4657

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5096/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

D.C.S., residente a (OMISSIS);

– intimata – e EQUITALIA PRAGMA S.p.a., con sede in Pescara, Viale Gabriele D’Annunzio, n. 91;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo Sezione staccata di Pescara n. 914/9/12 pronunciata il 22.3.2012 .

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8.11.2019 dal Consigliere Saieva Giuseppe.

Svolgimento del processo
Che:

1. Con sentenza 20 gennaio – 8 febbraio 2010, n. 178, la Commissione Tributaria Provinciale di Pescara rigettava il ricorso proposto da D.C.S. avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di accertamento (non impugnato) relativo all’anno 2004 per IRPEF, IRAP ed IVA. 2. Avverso tale sentenza ha proposto appello la contribuente cui hanno resistito l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Pescara ed Equitalia Pragma S.p.A. 3. La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara con sentenza n. 914/9/12, pronunciata il 22.3.2012 e depositata il 28.6.2012, ha accolto il ricorso interposto dalla contribuente dichiarando la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento nonchè la nullità della cartella di pagamento impugnata, siccome non preceduta da rituale notifica dell’atto presupposto.

4. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a due motivi.

5. Sia la contribuente che Equitalia non si sono costituite in giudizio.

6. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del’8.11.2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, c.p.c..

Motivi della decisione
Che:

1. Con il primo motivo l’Agenzia deduce “insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione dell’art. 140 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3” assumendo che i giudici di appello non avrebbero ben compreso il contenuto della relata di notifica da cui risulta, invece, che l’adempimento previsto dall’art. 140 c.p.c., ossia “l’affissione dell’avviso di deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione del destinatario” era stato puntualmente compiuto dal messo notificatore il quale attestava di aver effettuato il “deposito in busta sigillata sulla quale è trascritto il numero 159625, cronologico della notificazione, presso la Casa Comunale di Pescara ed affissione di avviso di deposito, in busta sigillata, alla Casa Comunale nel Comune di Pescara, piazza Italia n. 1, “poichè irreperibilità” (sic), dandone notizia al destinatario domiciliataria a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento n. 16216686605-7 in data 16.12.2008 dell’Ufficio Postale di Pescara”.

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. Invero, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012, “la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 c.p.c., quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perchè questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui al citato art. 60, lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perchè risulta trasferito in luogo sconosciuto; accertamento, questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune” (cfr. Cass. n. 25436, n. 22796, n. 23332 del 2015, n. 24260 del 2014 e n. 1440 del 2013).

1.4. In tali casi qualora il messo notificatore riscontri la irreperibilità del contribuente presso la sua residenza anagrafica, deve effettuare il deposito presso la casa comunale ed inviare raccomandata con avviso di ricevimento (c.d. raccomandata informativa di cui all’art. 140 c.p.c.), in relazione alla quale è stato più volte affermato che “in tema di notificazione dell’accertamento tributario, qualora la notificazione sia stata effettuata nelle forme prescritte dall’art. 140 c.p.c., ai fini della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessaria la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata, atteso che il messo notificatore, avvalendosi del servizio postale ex art. 140 c.p.c., può dare atto di aver consegnato all’ufficio postale l’avviso informativo, ma non attestare anche l’effettivo inoltro dell’avviso da parte dell’Ufficio postale, trattandosi di operazioni non eseguite alla sua presenza e non assistite dal carattere fidefacente della relata di notifica. (vedi Cass. n. 21132 del 2009 e Cass. n. 25985 del 2014).

1.5. In applicazione dei principi anzidetti, poichè il perfezionamento della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., necessita del compimento di tutti gli adempimenti stabiliti da tale norma, in caso di omissione di uno di essi la notificazione è da considerarsi nulla.

1.6. Nel caso di specie l’avviso di accertamento relativo al periodo d’imposta 2004 emesso all’Agenzia delle Entrate nei confronti della D.C. risulta notificato ai sensi dell’art. 140 c.p.c., stante l’irreperibilità (c.d. relativa) della medesima presso la residenza anagrafica di Pescara, in via dei Bastioni n. 53; a tal fine l’agente notificatore del Comune di Pescara ha certificato di aver ivi notificato l’atto il 16 dicembre 2008 “mediante procedura di deposito in busta sigillata sulla quale è trascritto il n. 159625 cronologico della notificazione, presso la Casa comunale di Pescara ed affissione di avviso di deposito, in busta sigillata, alla Casa comunale, nel Comune di Pescara, piazza Italia, n. 1, “poichè irreperibilità” (sic), dandone notizia al destinatario/domiciliatario a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento in data 16 dicembre 2008 dell’ufficio postale di Pescara (OMISSIS)”, ma in assenza di qualsiasi prova della ricezione da parte della destinataria della raccomandata informativa, ne va confermata la nullità.

2. Con il secondo motivo l’Agenzia deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8, degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 “, ritenendo erronea la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha ritenuto nulla la notificazione dell’invito al contraddittorio ai fini dell’applicazione dei parametri previsti dagli studi di settore.

2.1. Detto motivo è fondato.

2.2. In base alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, qualora il piego notificato a mezzo del servizio postale non sia stato recapitato all’indirizzo del destinatario per mancanza, assenza temporanea, rifiuto ecc., la notificazione nei confronti di questi “si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2 ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”.

2.3. Come affermato da questa Corte (Cass. Sez. III, n. 10998 del 2011; nonchè, S.U. sentenza n. 1418/2012) nel caso della notifica eseguita ai sensi della L. n. 890 del 1982, spirato inutilmente il termine di dieci giorni dalla spedizione della raccomandata che informa dell’avvenuto deposito dell’atto (presso l’ufficio postale) si verifica dunque la c.d. “compiuta giacenza” ossia una situazione in cui, la notificazione si intende perfezionata nei confronti del destinatario.

3. In conclusione, il primo motivo va pertanto rigettato. Il secondo accolto con conseguente cassazione della sentenza nei limiti di cui in motivazione e rinvio degli atti al giudice a quo anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso; accoglie il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia gli atti alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo Sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Cosi deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 08-10-2019) 12-02-2020, n. 3378

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Maria Teresa Liana – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10651/2013 proposto da:

Equitalia Nord S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), – società incorporante la Equitalia Esatri S.p.A., per atto di fusione a rogito Dott. C.L. Notaio in (OMISSIS) del (OMISSIS) n. (OMISSIS) del repertorio e n. (OMISSIS) della raccolta ed a cui è subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi ai sensi dell’art. 2504 bis c.c. -, in persona del legale rappresentante pro tempore, Dott. R.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Fiertler (C.F.: FRTGPP62A23D086S), come da procura speciale in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Salvatore Torrisi in Roma, alla via Federico Cesi n. 21;

– ricorrente –

contro

P.R., (C. F.: (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma, alla via Mazzini n. 9, presso lo studio dell’Avv. Prof. Livia Salvini (C.F.: SLVLVI57H67H501M), che lo rappresenta e difende anche disgiuntamente con gli Avv.ti Elenio Bidoggia (C.F.: BDGLNE63TO7F205V) e Giovanna Oddo (C.F.: DDOGNN67M60F205A) di Milano, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 31/45/2013 emessa dalla CTR Lombardia in data 18/02/2013 e notificata il 21/02/2013;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica dell’8/10/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott. Giovanni Giacalone nel senso del rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 247 depositata il 12/10/2011, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. n. 42, accoglieva il ricorso presentato da P.R. avverso il preavviso di fermo amministrativo n. (OMISSIS) notificato dalla S.p.a. Equitalia in relazione alle cartelle di pagamento colà indicate, compensando le spese di lite del grado.

La S.p.a. Equitalia Esatri, con atto notificato il 06/03/12, proponeva appello avverso la predetta sentenza, chiedendone la riforma, con vittoria di spese.

P.R. si costituiva con atto depositato il 04.05.12, chiedendo il rigetto dell’impugnazione avversaria, con vittoria di spese.

Con sentenza del 18.2.2013 la CTR Lombardia rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) premesso che la CTP, nell’accogliere il ricorso del contribuente, aveva rilevato che il ricorrente non aveva mai avuto “effettiva conoscenza” delle due cartelle poste alla base dell’atto impugnato, siccome notificate presso il domicilio fiscale (a (OMISSIS)) con il rito degli irreperibili, mentre la Equitalia s.p.a. era a conoscenza del nuovo indirizzo (di (OMISSIS)) ove era posto il domicilio effettivo del P., avendo lì notificato in precedenza altre cartelle, la ratio decidendi non era stata oggetto di specifica contestazione;

2) d’altra parte, il contribuente non aveva mai allegato di non avere avuto conoscenza del provvedimento di fermo, ma solo degli atti presupposti;

3) in ogni caso, nessuna contestazione specifica era stata mossa dalla Equitalia in merito alla circostanza della sua pregressa conoscenza del nuovo effettivo domicilio in (OMISSIS) del contribuente, nel quale ha anche notificato poi il provvedimento di fermo;

4) invece, Equitalia si era fondata solo su una ricerca anagrafica superata nei fatti.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Equitalia Nord s.p.a., sulla base di cinque motivi. P.R. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che la notifica della cartella di pagamento n. (OMISSIS) era regolarmente avvenuta presso il domicilio fiscale del contribuente, non potendosi attribuire alcuna rilevanza al domicilio di fatto del medesimo (il quale ultimo, peraltro, non aveva provveduto a comunicare la variazione di indirizzo), e che la circostanza (risultante dalla relata di notificazione) che all’indirizzo coincidente con il domicilio fiscale (come attestato dall’ufficio dell’anagrafe del Comune di (OMISSIS)) il contribuente fosse irreperibile faceva fede fino a querela di falso, nel caso di specie non proposta.

1.1. Il motivo è infondato.

In tema di notifica degli atti impositivi, la cd. irreperibilità assoluta del destinatario che ne consente il compimento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), presuppone che nel Comune, già sede del domicilio fiscale dello stesso, il contribuente non abbia più abitazione, ufficio o azienda e, quindi, manchino dati ed elementi, oggettivamente idonei, per notificare altrimenti l’atto (Sez. 5, Ordinanza n. 19958 del 27/07/2018).

In quest’ottica, la notificazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 comma 1, lett. e), è ritualmente eseguita solo nella ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il messo notificatore deve svolgere nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, in esso non si rinvengano l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente. Solo in questi casi la notificazione è ritualmente effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale ed affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, nè di ulteriori ricerche al di fuori del detto comune (Sez. 1, Sentenza n. 11152 del 13/12/1996; conf. Sez. 1, Sentenza n. 5100 del 09/06/1997).

Ciò in applicazione del principio generale secondo cui le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (di recente, Sez. 3, Ordinanza n. 19387 del 03/08/2017). Del pari, il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 24107 del 28/11/2016). Invero, le condizioni legittimanti la notificazione a norma dell’art. 143 c.p.c., non sono rappresentate dal solo dato soggettivo dell’ignoranza da parte del richiedente o dell’ufficiale giudiziario circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, nè dal possesso del solo certificato anagrafico dal quale risulti che il destinatario è trasferito per ignota destinazione. E’ richiesto anche che la condizione di ignoranza non possa essere superata attraverso le indagini possibili nel caso concreto, che il mittente deve compiere usando l’ordinaria diligenza (Sez. 3, Sentenza n. 1092 del 03/02/1998).

Orbene, nel caso di specie, rappresenta circostanza incontestata che prima della notifica (risalente al periodo luglio-novembre 2008) delle due cartelle di pagamento oggetto di causa la stessa Equitalia aveva già provveduto a notificare (negli anni 2006-2007; cfr. pagg. 7-8 del controricorso e 2 della sentenza qui impugnata) altre cartelle presso l’indirizzo (corrispondente al domicilio effettivo) di via (OMISSIS), al pari del successivo preavviso di fermo amministrativo (cfr. pag. 3 della sentenza emessa dalla CTR).

1.2. Inconferente è, invece, la censura concernente la valenza fidefacente della attestazione, risultante dalla relata di notifica, della irreperibilità del contribuente presso il domicilio fiscale, atteso che la relativa circostanza non è contestata dal P. ed, anzi, è posta alla base della doglianza relativa all’invalidità della notifica della cartella di pagamento.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che le relate delle notificazioni di entrambe le cartelle di pagamento (attestanti l’irreperibilità del P.), così come la certificazione rilasciata dall’ufficiale dell’anagrafe del Comune di (OMISSIS) in data 25.6.2008, rappresentavano atti pubblici aventi valenza fidefacente, come tali facenti, in assenza di querela di falso, piena prova.

2.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.

In primo luogo, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la relativa questione.

In secondo luogo, il fatto di cui sarebbe stato omesso l’esame è all’evidenza privo del carattere di decisività, ossia della idoneità del vizio denunciato a determinare una diversa ricostruzione del fatto, atteso che in nessun passaggio logico della sentenza impugnata viene contestato quanto emergente dalle relate di notifica (l’irreperibilità del destinatario) o dal certificato rilasciato dall’ufficio anagrafe (la circostanza che il P. avesse il domicilio fiscale in (OMISSIS)), ma, anzi, partendo da questi presupposti, si afferma che Equitalia, essendo a conoscenza del domicilio effettivo del contribuente, avrebbe dovuto notificare colà le cartelle di pagamento.

Infine, quanto alle dedotte (peraltro, in termini estremamente laconici) violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., esse sono prive di consistenza, in quanto la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, mentre la violazione dell’art. 116 c.p.c., è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).

3. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR precisato quale fosse il contenuto delle cartelle di pagamento notificate presso il domicilio effettivo del contribuente prima di quelle oggetto di causa nè il momento in cui la notifica delle prime era avvenuta.

3.1. Il motivo è per plurime ragioni inammissibile.

In primo luogo, non essendovi menzione della questione nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale l’avesse tempestivamente sollevata.

In secondo luogo, la circostanza che le precedenti cartelle di pagamento riguardassero la TARSU è del tutto irrilevante ai fini del presente giudizio, atteso che depone in ogni caso nel senso che la Equitalia fosse già a conoscenza del domicilio effettivo del P. e, ciò nonostante, avesse notificato le due cartelle prodromiche al preavviso di fermo amministrativo presso il domicilio fiscale risultante dalla certificazione anagrafica.

Senza tralasciare che, a ben vedere, la ricorrente non indica un preciso fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso, ma ipotizza in termini del tutto astratti possibili circostanze (la riferibilità delle pregresse cartelle a debiti non aventi natura tributaria; l’elezione di domicilio del P. in (OMISSIS)).

4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione del principio “tempus regit actum”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che legittimamente il preavviso di fermo era stato emesso e notificato, atteso che, in quel momento, la cartella di pagamento n. (OMISSIS) non era stata ancora pagata.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non attinge la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata.

Invero, la CTR ha confermato la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente per essere risultata la notifica delle due cartelle di pagamento invalida.

In quest’ottica, la circostanza che, al momento della notifica del preavviso di fermo, la cartella di pagamento non fosse stata ancora soddisfatta è del tutto irrilevante.

5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR indicato gli elementi che l’avevano indotta ad individuare in (OMISSIS) il domicilio effettivo e per non aver considerato che la contestazione di Equitalia concerneva l’individuazione, sulla base delle norme di legge, di (OMISSIS) come il luogo in cui le cartelle sarebbero dovute essere notificate.

5.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.

In primo luogo, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, pur non sottraendosi i provvedimenti giudiziari all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018).

Pertanto, deve dichiararsi inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia contraddittoria o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018). In ogni caso, anche a voler inquadrare il vizio nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come novellato, la ricorrente non ha indicato un fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dalla CTR, ma si è limitata contestare la valutazione operata dalla stessa con riferimento alla individuazione di (OMISSIS) come domicilio effettivo del contribuente ed a ribadire che, secondo la sua ricostruzione delle norme, la concessionaria avrebbe dovuto effettuare le notifiche presso il domicilio fiscale in (OMISSIS) del medesimo (circostanza, quest’ultima, sulla quale ci si è già pronunciati nell’esaminare il primo motivo).

6. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 10-10-2019) 11-02-2020, n. 3164

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26068-2018 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO BALI’;

– ricorrente –

contro

GEDI NEWS NETWORK SPA, subentrata a ITALIANA EDITRICE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MARISA PAPPALARDO, rappresentata e difesa dagli avvocati CARLO PAVESIO, PATRIZIA SERASSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 572/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE GIANNITI.

Svolgimento del processo
1. L’ing. P.D. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 572/2018 della Corte di appello di Torino, che, respingendo la sua impugnazione, ha confermato la sentenza n. 139/2016 del Tribunale di Aosta, che aveva escluso il carattere diffamatorio di tre articoli apparsi nelle pagine della cronaca locale del quotidiano “(OMISSIS)” (rispettivamente in data (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) ed aveva pertanto rigettato la domanda risarcitoria da lui proposta nei confronti della Italiana Editrice s.p.a. (già società Editrice La Stampa s.p.a.).

2. Ha resistito con controricorso la Gedi News Network s.p.a., subentrata alla Italiana Editore s.p.a. a seguito di fusione per incorporazione.

3. Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. In vista dell’odierna adunanza non sono state depositate memorie.

Motivi della decisione
1. Il P. censura la sentenza impugnata per tre motivi.

1.1. Con il primo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell’art. 595 c.p., e della L. n. 47 del 1948, artt. 11, 12 e 13, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l’articolo apparso sul quotidiano (OMISSIS) in data (OMISSIS), nel quale si dava notizia del rinvenimento di una pistola con silenzionatore nel corso della perquisizione del circolo, di cui lui era presidente, all’interno della cassaforte, di cui lui aveva le chiavi, mentre detta pistola era stata rinvenuta in un armadietto, chiuso non a chiave, all’interno del locale spogliatoio. Sostiene che la pubblicazione di una notizia relativa al ritrovamento di una pistola all’interno della cassaforte era idonea a ledere la sua reputazione, in quanto lui, quale titolare del locale, aveva accesso alla cassaforte.

1.2. Con il secondo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell’art. 595 c.p., e della L. n. 47 del 1948, artt. 11, 12 e 13, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l’articolo apparso sul quotidiano (OMISSIS) in data (OMISSIS), nel quale veniva precisato che lui era stato assolto dal delitto di detenzione abusiva di armi, ma veniva ribadito il rinvenimento di una pistola con silenzionatore nel corso della perquisizione del circolo, di cui lui era presidente. Il ricorrente rinnova al riguardo le considerazioni svolte con il primo motivo.

1.3. Con il terzo ed ultimo motivo, rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043-2059 c.p., dell’art. 595 c.p., e della L. n. 47 del 1948, artt. 11, 12 e 13, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto non diffamatorio l’articolo apparso sul quotidiano (OMISSIS) in data (OMISSIS), nel quale, malgrado il segreto istruttorio, si dava notizia del fatto, del tutto privo di interesse pubblico, che lui, espressamente indicato per nome e cognome, era indagato in relazione ai reati previsti dagli artt. 340 e 367 c.p., e nel quale lui, nonostante il procedimento si trovava in fase di indagine (per cui gli atti non potevano essere consultati), era indicato come colui che, pur di non pagare tre anni di multe, aveva falsamente denunciato la clonazione della sua auto. Sostiene che la Corte territoriale ha errato laddove ha affermato che lui si era lamentato soltanto dell’eccessiva diffusione della notizia e del fatto che era stato pubblicato il suo nominativo integrale (e non soltanto le iniziali, come avevano fatto i C.C. in un comunicato stampa).

2. I motivi – che, in quanto strettamente connessi, si trattano qui congiuntamente – sono inammissibili.

Invero, il ricorrente, nonostante l’eccepita violazione di legge, in nessuno dei tre motivi svolge argomentazioni riconducibili alle dedotte violazione delle disposizioni di legge denunciate, ma in tutti i motivi svolge argomentazioni, che sostanzialmente rappresentano contestazione di asseriti errori di valutazione, che sarebbero stati commessi dal giudice di merito, nell’escludere il carattere diffamatorio dei tre articoli pubblicati su Stampa on line.

Rispetto a detti asseriti errori di valutazione, il ricorrente sollecita una diversa valutazione (demandando sostanzialmente a questa Corte il compito di ricondurre alle norme denunciate il senso delle argomentazioni in fatto svolte in ricorso), ma, così facendo, trasforma inammissibilmente il ricorso per cassazione nella richiesta di un nuovo esame del fatto sostanziale e degli elementi probatori, che costituiscono il fondamento della sentenza impugnata.

3. In punto di regolamentazione delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, va dato atto che parte resistente ha correttamente depositato il controricorso in cancelleria, non essendo andata a buon fine la notifica telematica alla controparte, la cui casella di posta elettronica era risultata “piena”.

Al riguardo, si osserva che, in tema di comunicazioni, questa Corte (Sez. 5, sent. n. 7029 del 21/32018, rv. 64755401) ha avuto modo di precisare che: “Il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica del destinatario, è un evento imputabile a quest’ultimo, in ragione dell’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi, sicchè legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, conv. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 47, conv. in L. n. 114 del 2014,” (cfr. altresì Sez. L, sent. n. 13532 del 20/05/2019, rv. 653961 – 01).

Il principio sopra richiamato è dettato per le comunicazioni, ma l’ordinamento contiene una norma sostanzialmente di contenuto omologo nel codice di procedura civile anche in tema di notificazione. Essa si desume dal disposto di cui all’art. 149-bis c.p.c., comma 3, in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario. In esso si prevede che “La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.”.

Ritiene il Collegio che tale disposto vada inteso nel medesimo senso indicato più esplicitamente dal disposto del D.M. n. 179 del 2012. Va ricordato che il disposto del D.M. n. 44 del 2011, art. 20, comma 5, (recante, “Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, commi 1 e 2, convertito nella L. 22 febbraio 2010, n. 24), stabilisce che “Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.”.

E’ dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di PEC. Un simile onere è manifestamente finalizzato ad assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite lo strumento telematico si possano produrre nel momento in cui il gestore del servizio PEC rende disponibile il documento nella casella di posta del destinatario.

Il disposto del D.M., data la natura secondaria della fonte, naturalmente non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di c.d. casella di PEC satura la notificazione si abbia per perfezionata.

Ma non altrettanto è da dirsi per l’espressione “rendere disponibile” figurante nel citato disposto codicistico: poiché esso individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario, si giustifica la conclusione che, qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante può procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato.

D’altro canto, con riferimento all’esecuzione della notificazione da parte dell’avvocato a norma della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, il disposto del comma 3, di tale norma, là dove allude, come momento di perfezionamento della notificazione dal punto di vista del destinatario, al “momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 2”, si presta ad essere inteso nel senso che a tale ricevuta deve equipararsi anche quella con cui l’operatore attesta l’avere rinvenuta la casella di PEC “piena”. Tanto implica che la consegna non sia potuta effettivamente avvenire (nel senso dell’inserimento nella casella del destinatario), ma giustifica che, essendo imputabile tale evento al destinatario, l’inserimento debba ritenersi come avvenuto, sì da equivalere ad una consegna effettiva.

Questa complessiva ricostruzione, se ve ne fosse bisogno, risulterebbe giustificata anche alla luce del precetto di cui all’art. 138 c.p.c., comma 2, il quale considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente ad una notificazione di tale genere. Il lasciare la casella di PEC satura equivale ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite di essa e l’essere della sua gestione direttamente responsabile il titolare giustifica il considerare la conseguenza di tale atteggiamento come equipollente ad una consegna dell’atto.

Le svolte considerazioni, nel caso di specie, giustificano allora il ritenere che il controricorso sia stato depositato come notificato e come tale vada considerato.

Ne consegue che dalla inammissibilità del ricorso discende – oltre alla declaratoria di sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo – la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020


Multa notificata ex art 140 c.p.c. direttamente dal messo comunale: quando si perfeziona?

Con l’ordinanza n. 20582/2017, pubblicata il 30 agosto 2017, la Corte di Cassazione si è espressa in merito al perfezionamento della notifica del verbale di accertamento per violazione al codice della strada eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. direttamente dall’amministrazione creditrice a mezzo dei messi comunali.

IL CASO: Un automobilista proponeva opposizione avverso tre verbali di accertamento elevati a suo carico per violazione dell’art. 157, comma 6 del codice della strada per aver sostato con la propria autovettura senza esporre il ticket.

L’automobilista eccepiva, in via preliminare, la tardività della notificazione dei suddetti verbali che era stata eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. da un dipendente comunale e perfezionatasi con la spedizione dell’avviso di deposito degli atti presso la casa comunale oltre il termine di legge. Respinta l’opposizione da parte del Giudice di Pace, l’automobilista proponeva appello.

Il Tribunale confermava la sentenza di primo grado muovendo dal presupposto che la notifica era da considerarsi tempestiva in quanto il funzionario comunale nel procedere alla notifica di un atto è un soggetto terzo svolgendo una funzione indipendente rispetto a quella dell’amministrazione alla quale appartiene.

Pertanto, secondo il Tribunale, in virtù di tale indipendenza trovano, nel caso di specie, applicazione i principi generali relativi al momento di perfezionamento della notifica e di conseguenza, ai fini della verifica della tempestività della notifica, si deve tener conto del momento in cui l’atto viene consegnato dal soggetto richiedente per la successiva notifica a mezzo del servizio postale.

Avverso la sentenza del Tribunale, l’automobilista proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, fra l’altro, la violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 16, comma 4, e dell’articolo 140 c.p.c. In particolare, il ricorrente rilevava che il Tribunale avrebbe errato nella parte in cui ha ritenuto tempestiva la notifica dei verbali, evidenziando che nell’ipotesi di notifica a mezzo del servizio postale assume rilevanza il diverso termine per il notificante con la consegna dell’atto solo ove questi sia soggetto diverso dal richiedente, MENTRE NEL CASO DI SPECIE LA NOTIFICA ERA STATA RICHIESTA ED ESEGUITA DALL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE E QUINDI NON DA UN SOGGETTO TERZO ED A TAL FINE CONTESTAVA, PIÙ SPECIFICAMENTE, IL RICHIAMO DEL GIUDICE D’APPELLO ALLA DISCIPLINA DEL PROCESSO TRIBUTARIO (DECRETO LEGISLATIVO N. 546 DEL 1992, ARTICOLO 16, COMMA 4), CARATTERIZZATO DALL’EFFETTIVA AUTONOMIA DEL MESSO NOTIFICATORE RISPETTO ALL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA, INVECE, MANCANTE NELLA FATTISPECIE.

LA DECISIONE: GLI ERMELLINI, CON L’ORDINANZA IN COMMENTO, RITENENDO CORRETTO IL RAGIONAMENTO DEL TRIBUNALE, HANNO RIGETTATO IL RICORSO evidenziando che “il messo incaricato della notifica di atti è in posizione di autonomia funzionale rispetto all’amministrazione di appartenenza; tale rilievo trova conferma – come pure osservato dal tribunale – nel fatto che in base alla L. n. 265 del 1999, articolo 10, tutte le amministrazioni possono avvalersi dei messi comunali per le notificazioni dei propri atti, ove non sia possibile ricorrere utilmente al servizio postale o alle altre forme di notifica previste dalla legge, con attribuzione agli stessi di un mandato “ex lege” e di un corrispondente rapporto di preposizione gestoria in capo all’amministrazione richiedente (cfr. Cass. n. 23679/2008), rapporto del quale la richiamata ipotesi in ambito tributario costituisce un’ulteriore esemplificazione normativa. In altri termini, quando procede alla notifica – in virtù di una facoltà espressamente attribuitagli per previsione normativa – il messo comunale svolge una funzione autonoma che lo pone in rapporto di indipendenza con l’amministrazione richiedente, quantunque si tratti di quella presso cui egli è incardinato”.


Casella P.E.C. piena: quale esito per la notifica?

La Cassazione fornisce tre possibili ricostruzioni interpretative sulla questione della notifica alla casella PEC satura
L’ordinanza della Corte di Cassazione non si pronuncia sul ricorso, ma rimette alla pubblica udienza la questione nomofilattica relativa alla notifica dell’avvocato su una casella p.e.c. satura. In questo caso come si risolve la questione procedurale relativa al perfezionamento della notifica? Deve considerarsi come realizzata oppure no? Ecco le tre soluzioni proposte dagli Ermellini.
Risarcimento danni per indebito prelievo
Un avvocato conviene in giudizio una s.p.a. chiedendo i danni derivanti da un indebito prelievo ad opera di sconosciuti dal suo c/c postate online. Il GdP accoglie la domanda, ma il Tribunale riforma l’evento danno. Non è infatti stato provato un malfunzionamento del sistema imputabile alla società convenuta, la quale ha avvertito i clienti di non inserire dati sensibili, rispondendo a e-mail non verificate. Il prelievo infatti deve ritenersi piuttosto imputabile a una condotta imprudente del titolare del conto, che ha incautamente comunicato le proprie credenziali di accesso.
Ricorso in Cassazione
Il soccombente ricorre quindi in Cassazione perché, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, il titolare del conto si è limitato a inserire codice identificativo e password, non invece il codice di 10 cifre necessario a completare l’operazione. Da qui la necessità per la società di approntare misure di sicurezza per prevenire le frodi come quelle che lo hanno colpito.
Il ricorso, notificato via p.e.c. al difensore della società intimata, è stato accettato dal sistema, ma non è stato consegnato per “casella piena.”
Notifica Pec: le tre possibili soluzioni degli Ermellini
Per il valore nomofilattico della questione relativa alla notifica di un atto a una casella postale piena il collegio rinvia il ricorso alla pubblica udienza. Le ricostruzioni prospettate dagli Ermellini per la soluzione del dubbio interpretativo sono quelle che si vanno a illustrare.
Cattiva gestione della memoria: consegna perfezionata
L’interpretazione più rigorosa prevede che, se la mancata consegna della posta certificata è imputabile al titolare dell’account, l’incombente deve ritenersi realizzato. Il messaggio infatti, deve considerarsi “entrato” nella casella di posta del legale, per il solo fatto che costui ha comunicato il suo indirizzo di posta elettronica certificata. Spetta a lui gestire l’utenza. Egli infatti è tenuto non solo a leggere i messaggi che gli vengono recapitati, ma ad attivarsi affinché sia possibile in ogni momento recapitare delle comunicazioni e dei messaggi al suo indirizzo di posta. Suo compito è quindi anche provvedere ad una adeguata gestione del sistema di archiviazione e della memoria della sua p.e.c.. Trascurare la casella di posta elettronica e decidere di lasciarla piena potrebbe essere interpretato infatti come rifiuto di ricevere notifiche con questa modalità, similmente a quanto dispone l’art 138 comma 2 c.p.c., che prevede il rifiuto apposto dal destinatario all’ufficiale giudiziario di ricevere a notifica a mani proprie.
Conservazione degli effetti della notifica nel rispetto della ragionevole durata
L’altra ricostruzione prevede invece l’obbligo del notificante di fare in modo di conservare gli effetti della notifica originaria nel rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Pertanto, se il primo tentativo di notifica non va a buon fine, il notificante deve attivarsi e procedere al suo rinnovo nel rispetto delle regole sancite dagli articoli 137 e seguenti c.p.c. Per la notifica dell’avvocato non si può procedere al deposito dell’atto in cancelleria.
La parola al giudice
La terza ricostruzione infine prevede che il giudice debba disporre il rinnovo della notifica perché il diritto di difesa è costituzionalmente garantito e tutelato. In questo caso non resta che attendere l’esito dell’udienza, lasciando al giudice la decisione.

Leggi: Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 23-01-2020) 05-02-2020, n. 2755


Modulistica aggiornata: anno 2020 al 31.01.2020

«Ai fini della ritualità e validità della relazione di notifica si rivela del tutto irrilevante l’uso di un timbro anziché della scrittura al fine di descrivere le operazioni svolte, dovendo tenersi conto delle operazioni indicate dal pubblico ufficiale, indipendentemente dallo strumento utilizzato per indicarle» (Cass. civ., sez. I, 12.5.1998, n. 4762). Le relate di notifica devono essere correttamente compilate (complete del Cognome e Nome del notificatore e della sua qualifica, possibilmente a stampa o con timbro, oltre che della di lui sottoscrizione) sia sull’originale che sulla copia che è consegnata al destinatario o chi per lui o depositata nella Casa Comunale.

Si ricorda che la relata di notifica deve essere apposta in calce all’atto, cioè in fondo (od al limite dietro l’ultima pagina) e non davanti o dove vi è spazio nel corpo dell’atto.

Leggi: MODULISTICA 2020


Notifica perfezionata: fa prova la schermata sul sito di Poste

Per la Cassazione le informazioni sul tracciamento della spedizione risultanti dal sito web di Poste consentono di ritenere perfezionata per compiuta giacenza la notifica della raccomandata a/r

Leggi: Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-01-2020) 03-02-2020, n. 4485


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 23-01-2020) 05-02-2020, n. 2755

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 35506-2018 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROSA RAIMONDI GARIBALDI 141, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

Contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 8823/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA PAOLO.

Svolgimento del processo

che:

l’avvocato P.L. conveniva in giudizio Poste Italiane, s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito di un indebito prelievo, ad opera di sconosciuti, dal suo conto corrente postale abilitato al servizio telematico “online”;

il Giudice di pace accoglieva la domanda, con pronuncia riformata dal Tribunale secondo cui l’evento di danno, non risultando un malfunzionamento del sistema telematico della società, non poteva addebitarsi alla convenuta, che aveva anzi avvisato la clientela di non inserire dati sensibili rispondendo ad “email” non verificate, dovendo invece ragionevolmente correlarsi all’incauta comunicazione, da parte del titolare del conto, delle credenziali di accesso a seguito della riferita ricezione e risposta a un’email” volta alla frode poi, infatti, posta in essere;

avverso questa decisione ricorre per cassazione P.L. sulla base di un unico motivo, corredato da memoria;

resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..

Motivi della decisione

che:

con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 31, “ratione temporis” applicabile, e dell’art. 2729, c.c., poichè il Tribunale avrebbe errato imputando al deducente la prova del mancato funzionamento del sistema telematico della convenuta, omettendo, al contempo, di evincere presuntivamente dai fatti la mancata predisposizione, da parte della medesima società, d’idonee misure volte a prevenire frodi come quella in esame, tenuto conto che, come risultato, in risposta all’evocata e non filtrata “email”, erano stati inseriti codice identificativo e “password” ma, prudentemente, non il codice di dieci cifre necessario all’operazione;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

Rilevato che:

ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rinviato alla pubblica udienza per il valore nomofilattico proprio della questione rilevata nella proposta;

il ricorso risulta infatti notificato via p.e.c. al difensore dell’intimata, con accettazione, da parte del sistema, ma senza consegna per “casella piena”;

al contempo, l’intimata aveva eletto domicilio presso lo studio dell’avvocato Domenico Febbo, in Roma viale Europa n. 190;

appaiono prospettabili differenti ricostruzioni, da offrire al contraddittorio proprio dell’udienza pubblica;

  1. questa Corte ha chiarito che una notificazione è validamente effettuata all’indirizzo p.e.c. del difensore di fiducia, quale risultante dal Reginde, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies – come convertito dalla L. n. 221 del 2012, e modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 47, convertito a sua volta dalla L. n. 114 del 2014 – non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato (Cass., 24/05/2018, n. 12876);

se però la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione, come nel caso, non imputabile al notificante – essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., 20/05/2019, n. 13532, Cass., 21/03/2018, n. 8029) – allora potrebbe ritenersi che il notificante stesso abbia la facoltà e l’onere, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio in un tempo adeguatamente contenuto (arg. ex Cass., Sez. U., 15/07/2016, n. 14594, che ha indicato il temine della metà di quello previsto dall’art. 325, c.p.c.; Cass., 19/07/2017, n. 17864, Cass., 31/07/2017, n. 19059, Cass., 11/05/2018, n. 11485, Cass., 09/08/2018, n. 20700);

solo in tal caso potendo conservarsi gli effetti della originaria notifica: in tal senso risulta la pronuncia di Cass., 18/11/2019, n. 29851, secondo cui, anzi, più in generale, in caso di notifica telematica effettuata dall’avvocato, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella p.e.c., pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 c.p.c. e Ss., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al citato D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, u.p., prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC);

parte ricorrente, in memoria, richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il titolare dell’”account” di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della propria casella postale sicchè nel caso di notifica telematica di atti quali un rigetto di opposizione allo stato passivo, poi impugnato, o la comunicazione dell’avviso di fissazione della udienza di discussione nel giudizio di legittimità, effettuati alla casella di posta elettronica e rifiutati dal sistema con il messaggio di “casella piena”, la notificazione ovvero comunicazione debbono ritenersi regolarmente avvenute giacché, una volta ottenuta dall’ufficio l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di p.e.c., diventa responsabile della gestione della propria utenza, avendo l’onere non solo di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, ma anche di attivarsi affinché i messaggi possano essere regolarmente recapitati (Cass., 21/05/2018, n. 12451, che cita Cass. n. 23650 del 2016);

i principi in parola potrebbero ritenersi non confacenti, perché relativi a fattispecie diverse, in cui:

a) risulti indicato a tali fini l’indirizzo telematico;

b) non risulti effettuata una diversa elezione di domicilio fisico;

in questa prospettiva se, cioè, si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico sopra richiamato, ciò non potrebbe per converso imporre al difensore, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia ingenerato opposto affidamento sul luogo elettronico di ricezione appositamente eletto;

  1. diversamente, la fattispecie potrebbe essere ricostruita come segue;

il principio per cui il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della casella di posta elettronica del destinatario, è, come detto, un evento imputabile a quest’ultimo, in ragione dell’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e ricezione di nuovi messaggi, sicchè legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria (cfr. anche Cass., 21/32018, n. 7029), è, in effetti, dettato per le comunicazioni, ma l’ordinamento contiene una norma sostanzialmente di contenuto omologo nel c.p.c. anche in tema di notificazione;

essa potrebbe desumersi dal disposto di cui all’art. 149-bis c.p.c., comma 3, in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario; in esso si prevede che “La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”;

va ricordato che il disposto del D.M. n. 44 del 2011, art. 20, comma 5, stabilisce che “Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione”;

è dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di p.e.c.;

il disposto del D.M., data la natura secondaria della fonte, non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di casella di p.e.c. satura la notificazione si abbia per perfezionata;

ma non altrettanto è da dirsi per l’espressione “rendere disponibile” che figura nel citato disposto codicistico: poiché esso individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario, si potrebbe giustificare la conclusione che, qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante potrebbe procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato;

in questa prospettiva, con riferimento all’esecuzione della notificazione da parte dell’avvocato a norma della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, il disposto del comma 3 di tale norma, là dove allude, come momento di perfezionamento della notificazione dal punto di vista del destinatario, al “momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 2“, si potrebbe prestare a essere inteso nel senso che a tale ricevuta debba equipararsi anche quella con cui l’operatore attesta l’avere rinvenuta la casella di p.e.c. “piena”;

tanto implicherebbe che se la consegna non sia potuta effettivamente avvenire nel senso dell’inserimento nella casella del destinatario, essendo imputabile tale evento a quest’ultimo, l’inserimento medesimo potrebbe ritenersi comunque come perfezionato, sì da equivalere a una consegna effettuata;

questa complessiva ricostruzione potrebbe risultare giustificata anche alla luce dell’art. 138 c.p.c., comma 2, che considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente a una notificazione di tale genere: il lasciare la casella di p.e.c. satura potrebbe equivalere a un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite essa e l’essere della sua gestione direttamente responsabile il titolare potrebbe giustificare il considerare la conseguenza di tale condotta come equipollente a una consegna dell’atto;

  1. quale terza via ricostruttiva, ferma la cornice normativa sopra delineata, potrebbe infine ritenersi, specie alla luce dell’inerenza al diritto di difesa costituzionalmente tutelato, che la notifica non andata a buon fine per la saturazione della casella in parola, giustificherebbe l’ordine di rinnovo giudiziale della notificazione;

naturalmente tale prospettiva andrebbe coordinata con il principio, parimenti costituzionale, di ragionevole durata del processo.

P.Q.M.

La Corte rinvia alla pubblica udienza.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020


Bilancio 2019

Atti relativi al Bilancio dell’Associazione dell’anno 2019 approvato dalla Giunta Esecutiva del 01.02.2020  e del Consiglio Generale del 01.02.2020 su delega dell’Assemblea Generale del 06.05.2017 al Consiglio Generale.

Leggi: Bilancio consuntivo 2019

Leggi: Relazione Bilancio 2019

Leggi: Bilancio preventivo 2020


Cass. civ. Sez. Unite, Ord., (ud. 17-12-2019) 30-01-2020, n. 2087

Ma deve dirsi in linea con l’evoluzione in senso restrittivo della nozione di inesistenza nella giurisprudenza di questa Corte – a partire da Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916 – l’approdo ermeneutico più recente, che degrada la relativa invalidità a mera nullità, suscettibile di sanatoria mediante rinnovazione da ordinarsi ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (ove, come nella specie, il destinatario non la sani con spontanea costituzione), anche ove la controparte abbia avuto conoscenza legale di detta cessazione (Cass. ord. 24/01/2018, n. 1798, in caso di conoscenza della sostituzione del difensore);

in particolare, va superato il rigorosissimo opposto orientamento nel senso dell’inesistenza della notifica (confermato, tra le ultime, da Cass. 19/01/2016, n. 759, ovvero da Cass. ord. 11/01/2017, n. 529): infatti, anche in una simile evenienza – cioè di notificazione a chi era stato comunque rappresentante in giudizio di quella che al momento era stata la giusta controparte – vi è un collegamento idoneo, sufficiente e non arbitrario, tra il destinatario della notifica ed il soggetto a quella interessato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 13120-2018 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BRASCA, rappresentato e difeso dall’avvocato TERESA BRACONARO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 88/2018 del TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO, depositata il 30/01/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per l’accoglimento del ricorso, con declaratoria della giurisdizione ordinaria;

udito l’Avvocato Leonardo Brasca per delega orale dell’avvocato Teresa Braconaro.

Svolgimento del processo
che:

L.M. ricorre, con atto – intestato “regolamento di competenza” – articolato su di un unitario motivo e notificato a mezzo p.e.c. il 20/04/2018, per la cassazione della sentenza n. 88 del 30/01/2018 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, di declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario “in favore del giudice tributario”, con fissazione di termine di tre mesi per la riassunzione dinanzi a quest’ultimo e compensazione delle spese processuali;

una volta dichiarata, con sentenza n. 584 del 27/11/2014, inammissibile dalla già adita Commissione Tributaria Provinciale di Forlì analoga opposizione e per difetto di giurisdizione del giudice tributario, il L. aveva il 27/10/2015 dispiegato dinanzi a quello ordinario opposizione avverso il pignoramento presso terzi intentato ai suoi danni – e nei confronti del terzo Edil Domus srl – da Equitalia Centro spa, notificatogli il 07/04/2014 per Euro 177.347,59, deducendo la mancata previa notifica delle cartelle esattoriali cui quello si riferiva e la conseguente inesistenza del credito, ma pure l’erronea individuazione del debitore;

sospesa l’esecuzione con provvedimento 10/11/2015 e introdotto il giudizio di merito, il giudice siciliano, pur dato atto della negatività della dichiarazione del terzo, ha poi presupposto l’applicabilità dei principi di Cass. Sez. U. 05/06/2017, n. 13913, per dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario;

non espletano attività processuale le parti intimate.

Motivi della decisione
che:

parte ricorrente dispiega un unitario motivo, sia pure intestando il ricorso come “regolamento di competenza”, di violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, deducendo che i crediti azionati andavano individuati in crediti per contributi INPS e per quota di iscrizione alla Camera di Commercio, sicchè sui medesimi difettava la giurisdizione del giudice tributario, del resto per primo adito con precedente azione a cui fugacemente accenna in ricorso;

va esclusa la rilevanza, ai fini della sua ufficiosa qualificazione in ricorso per motivi di giurisdizione, dell’evidente incongruità della sua intestazione quale “regolamento di competenza”, risultando di scolastica nozione la distinzione tra competenza e giurisdizione ed evidente la ratio decidendi di declinatoria della seconda e non della prima ad opera tanto della sentenza della Commissione tributaria che del giudice ordinario;

in tal modo, il ricorso stesso può qualificarsi per conflitto reale negativo di giurisdizione, per essere questa stata declinata da entrambi i giudici con le sentenze qui impugnate: sicchè esso può essere proposto in ogni tempo, a prescindere dal passaggio in giudicato o meno di una o di entrambe le pronunce tra loro in insanabile contrasto in punto di giurisdizione;

al riguardo, infatti (tra molte: Cass. Sez. U. 30/03/2017, n. 8246), è ammissibile il ricorso per conflitto reale negativo di giurisdizione nell’ipotesi in cui il giudice ordinario ed il giudice speciale abbiano entrambi negato con sentenza la propria giurisdizione sulla medesima controversia, pur senza sollevare essi stessi d’ufficio il conflitto, essendosi in presenza non di un conflitto virtuale di giurisdizione, risolvibile con istanza di regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c., ma di un conflitto reale negativo di giurisdizione, denunciabile alle sezioni unite della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 2, n. 1, in ogni tempo;

in particolare, il conflitto reale, positivo o negativo, di giurisdizione, il quale è denunciabile non con l’istanza di regolamento preventivo, esperibile nel diverso caso di conflitto cosiddetto virtuale, ma con ricorso per Cassazione, a norma dell’art. 362 c.p.c., comma 2, ricorre qualora due organi appartenenti a diversi ordini giurisdizionali abbiano entrambi emesso una pronuncia affermativa o negativa della propria giurisdizione, ancorchè impugnata o suscettibile d’impugnazione, su due cause che, pur non presentando assoluta identità di petitum, ovvero implicando la richiesta di provvedimenti diversi, postulino la soluzione della medesima questione di giurisdizione; tale ricorso, non comporta neppure in via analogica – l’applicazione dell’art. 367 c.p.c. e, quindi, non determina la sospensione del processo, ma, non costituendo un mezzo di impugnazione in senso proprio, non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che non sia stata impugnata mediante il necessario atto di appello nei termini fissati (tra le prime: Cass. 15/04/1982, n. 2287; Cass. Sez. U. 06/10/1962, n. 2827);

a questo riguardo, risultano ritualmente prodotti in copia – tanto risultando imposto a pena di improcedibilità dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite (per tutte, tra le più recenti, v. Cass. Sez. U. 05/10/2009, n. 21196) – entrambi i provvedimenti di declinatoria della giurisdizione, dal cui complessivo tenore acquisire le notizie utili per la definizione del conflitto negativo in esame, prima fra tutte la coincidenza dell’oggetto delle due declinatorie;

tuttavia, in via assolutamente preliminare, va rilevato che il ricorso, intimata la “Agenzia delle Entrate – Riscossione (già Equitalia Centro spa)”, è stato notificato a mezzo pec a quest’ultima al suo protocollo informatico, nonchè all’avvocato costituito nel giudizio concluso con l’ultima delle sentenze declinatorie della giurisdizione oggi impugnate, cioè all’avvocato B.F., costituito per il precedente contraddittore agente della riscossione dante causa dell’intimata, che, se non altro dall’intestazione della sentenza da ultimo resa e qui gravata, era identificato oltretutto in Riscossione Sicilia spa;

ora, è notoria la successione ex lege della controricorrente all’originaria convenuta in quanto agente di riscossione, nella specie presupposta come Equitalia Centro spa e quindi del gruppo Equitalia, verosimilmente poichè a sua volta succeduta all’originaria Riscossione Sicilia spa: successione intervenuta nel corso del giudizio concluso con la sentenza qui gravata e necessariamente conosciuta dalla generalità dei consociati per essere stata disposta dalla legge;

qualunque sia la ricostruzione della tipologia di successione alle precedenti società agenti della riscossione da parte della neo istituita Agenzia delle Entrate Riscossione (che la giurisprudenza di questa Corte, nonostante la lettera del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 3, conv. con modif. in L. n. 225 del 2016, propende a qualificare come successione a titolo particolare: Cass. ord. 15/06/2018, n. 15869; Cass. ord. 09/11/2018, n. 28741; Cass. ord. 24/01/2019, n. 1992; Cass. ord. 15/04/2019, n. 10547), va affrontata la questione delle modalità di instaurazione dell’impugnazione in casi come quello in esame, a cominciare da quella della validità o meno della notifica del relativo atto introduttivo, costituito essendo nel precedente grado l’agente della riscossione, al difensore di quest’ultimo o al successore ex lege di persona;

già con ordinanza interlocutoria 29/11/2019, n. 30885, è stata rimessa alla sesta sezione, nella composizione prevista dal punto 46.2 delle tabelle 2016/2019 della Corte di Cassazione (vale a dire al Collegio composto dal Presidente titolare e dai coordinatori delle sottosezioni), la definizione, tra l’altro, della questione se, entrata in vigore la riforma del settore di cui al D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, conv. con modif. in L. 1 dicembre 2016, n. 225, sia rituale l’instaurazione del contraddittorio per il giudizio di legittimità mediante notifica del ricorso al procuratore o difensore costituito per l’estinta società del gruppo Equitalia nel grado concluso con la sentenza impugnata, anzichè alla neoistituita Agenzia delle Entrate Riscossione: e, in particolare, se debba applicarsi la regola generale, oppure l’eccezione, prevista da Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295 (seguita, quanto alla prima, dalla giurisprudenza successiva, tra cui, da ultimo, Cass. ord. 09/10/2018, n. 24845) e, così, se possa considerarsi validamente ultrattivo il mandato conferito al professionista dal precedente agente, oppure se debba ritenersi, con l’estinzione di questo o per altra causa, malamente evocata in giudizio una parte non corrispondente a quella giusta, trattandosi di soggetto formalmente e notoriamente estinto;

va, quanto al primo aspetto, valutata l’operatività o meno della regola dell’ultrattività del mandato alle liti in capo al difensore del dante causa, visto che i principi generali fissati in senso affermativo da queste Sezioni Unite (con sentenza 04/07/2014, n. 15295, confermata dalla giurisprudenza successiva, tra cui, da ultimo, Cass. ord. 09/10/2018, n. 24845) prevedono quale eccezione l’evenienza della certezza dell’evento successorio e l’incontrovertibilità della sua conoscibilità ad opera di controparte;

vi è anzi da notare che la notifica al difensore già costituito per il precedente grado di lite, di cui fosse nota la cessazione del mandato, è stata a lungo definita perfino inesistente dalla giurisprudenza delle sezioni semplici di questa Corte;

ma deve dirsi in linea con l’evoluzione in senso restrittivo della nozione di inesistenza nella giurisprudenza di questa Corte – a partire da Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916 – l’approdo ermeneutico più recente, che degrada la relativa invalidità a mera nullità, suscettibile di sanatoria mediante rinnovazione da ordinarsi ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (ove, come nella specie, il destinatario non la sani con spontanea costituzione), anche ove la controparte abbia avuto conoscenza legale di detta cessazione (Cass. ord. 24/01/2018, n. 1798, in caso di conoscenza della sostituzione del difensore);

in particolare, va superato il rigorosissimo opposto orientamento nel senso dell’inesistenza della notifica (confermato, tra le ultime, da Cass. 19/01/2016, n. 759, ovvero da Cass. ord. 11/01/2017, n. 529): infatti, anche in una simile evenienza – cioè di notificazione a chi era stato comunque rappresentante in giudizio di quella che al momento era stata la giusta controparte – vi è un collegamento idoneo, sufficiente e non arbitrario, tra il destinatario della notifica ed il soggetto a quella interessato;

tanto vale a maggior ragione nel caso della successione della neo istituita Agenzia delle Entrate – Riscossione ai precedenti agenti della riscossione, in un complessivo contesto oltretutto caratterizzato da una comprensibile incertezza sugli istituti processuali da applicare (resa manifesta già solo dalla divaricazione della corrente interpretazione di legittimità della natura del fenomeno successorio rispetto alla lettera della norma) e da una assoluta peculiarità della normativa in tema di patrocinio della succeditrice ex lege (peculiarità posta a fondamento del riconoscimento di un regime particolare da Cass. Sez. U. 19/11/2019, n. 30008): contesto nel quale è a maggior ragione esigibile dal difensore della parte cessata la condotta cooperativa di porre in condizioni il suo successore di difendersi adeguatamente, notiziandolo della ricevuta notifica;

pertanto, al momento dell’instaurazione del contraddittorio sul ricorso oggi in esame, la sua notifica presso il difensore di un soggetto pacificamente non più esistente per disposizione di legge necessariamente conosciuta dalla generalità dei consociati non può dirsi valida, poichè, in conformità agli stessi principi ed alle relative eccezioni fissate dalla giurisprudenza più recente delle Sezioni Unite di questa Corte, può escludersi l’ultrattività del mandato (in linea generale posta da Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295, ma con chiari e significativi limiti od eccezioni) dinanzi alla notorietà del fatto dell’estinzione del mandante e, comunque, in presenza di un regime differenziato e peculiare per il patrocinio in giudizio del successore, su cui queste Sezioni Unite si sono già espresse (con la già richiamata sentenza 19/11/2019, n. 30008);

neppure è prima facie risolubile con immediatezza nel senso della validità della notifica alla succeditrice ex lege in persona del suo legale rappresentante e presso il suo domicilio informatico, pure seguita nella fattispecie, soprattutto in dipendenza delle modalità di instaurazione del contraddittorio imposte dalla qualificazione della sua successione e dalla cessazione, del pari ex lege, del dante causa della sola parte oggi intimata;

nelle more, occorre quindi ordinare la rinnovazione della notificazione del ricorso alla sola giusta controparte notoriamente esistente, ex lege subentrata agli agenti di riscossione, dopo il peculiare fenomeno successorio di cui al richiamato D.L. n. 193 del 2016: e, per le altrettanto peculiari caratteristiche del patrocinio della subentrata Agenzia delle Entrate – Riscossione, di cui alla pure citata Cass. sez. U. 30008/19, la rinnovazione potrà dirsi rituale soltanto se eseguita presso l’Avvocatura di Stato e, trattandosi di ricorso alla Corte suprema di cassazione, presso quella Generale in Roma;

deve infatti farsi applicazione del seguente principio di diritto: “in tema di giudizio di legittimità, l’ultrattività del mandato in origine conferito al difensore dell’agente della riscossione, nominato e costituito nel grado di giudizio concluso con la sentenza oggetto di ricorso per cassazione, non opera, ai fini della ritualità della notifica del ricorso avverso la sentenza pronunciata nei confronti dell’agente della riscossione originariamente parte in causa, poichè la cessazione di questo e l’automatico subentro del successore sono disposti da una norma di legge, quale il D.L. n. 193 del 2016; pertanto, la notifica del ricorso eseguita al suo successore ex lege, cioè all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, nei confronti di detto originario difensore è invalida, ma tale invalidità integra una mera nullità, suscettibile di sanatoria vuoi per spontanea costituzione dell’Agenzia stessa, vuoi a seguito della rinnovazione dell’atto introduttivo dell’impugnazione, da ordinarsi – in caso di carenza di attività difensiva dell’intimata – ai sensi dell’art. 291 c.p.c., presso la competente Avvocatura dello Stato, da identificarsi nell’Avvocatura Generale in Roma”;

il termine per espletare l’ordinato incombente può adeguatamente individuarsi come in dispositivo;

all’esito potrà valutarsi pure l’ulteriore problematica della ritualità della notifica eseguita alla succeditrice ex lege presso il suo domicilio informatico risultante dai registri ufficiali, nonostante la sua dante causa fosse stata costituita a mezzo di procuratore ritualmente officiato nel grado concluso con la sentenza gravata.

P.Q.M.
ordina la rinnovazione della notifica del ricorso all’Agenzia delle entrate – riscossione presso l’Avvocatura Generale dello Stato entro sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 24-10-2019) 30-01-2020, n. 2229

Il caso affrontato dalle Sezioni Unite nell’ordinanza in commento riguarda la notifica di alcune cartelle esattoriali.
In particolare la Corte afferma che se la notifica delle cartelle di pagamento viene eseguita direttamente dal messo notificatore nelle mani del portiere, ai sensi dell’art. 139, comma 3, c.p.c., ai fini del suo perfezionamento è necessaria la spedizione della raccomandata informativa di cui al successivo comma 4.
Invece, nella diversa ipotesi in cui la notifica della cartella di pagamento venga eseguita dall’agente della riscossione a mezzo del servizio postale, nel caso di consegna del plico al portiere, la notifica si considera eseguita nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da quest’ultimo, senza la necessità dell’invio della raccomandata informativa.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18109-2014 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A., già SERIT SICILIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, rappresentata e difesa dall’avvocato ACCURSIO GALLO;

– ricorrente – contro

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA 1478, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA AMODEO, rappresentato e difeso dall’avvocato AURELIO CACCIAPALLE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1744/2013 del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il 26/04/2013 R.G.N. 3904/2010;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Svolgimento del processo
CHE:

1 la Corte d’appello di Palermo, con ordinanza ex art. 348-ter c.p.c., dichiarava inammissibile il gravame svolto da Riscossione Sicilia s.p.a. avverso la sentenza del locale Tribunale che, in riferimento all’iscrizione ipotecaria effettuata su nove immobili di proprietà di T.G. per mancato pagamento di crediti contributivi portati da sei cartelle esattoriali, aveva accolto l’opposizione all’iscrizione ipotecaria proposta sul presupposto, per quanto in questa sede rileva, dell’illegittimità per nullità della notificazione, per essere state le cartelle notificate ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 4, mediante consegna al portiere dello stabile senza il successivo invio della lettera raccomandata al destinatario per dare avviso dell’avvenuta consegna;

2. il giudice di primo grado, premesso che l’opposizione atteneva all’illegittimità dell’iscrizione ipotecaria in conseguenza dell’omessa notifica delle cartelle esattoriali, escludeva la ritualità della notificazione delle cartelle in difetto di prova, con onere a carico dell’agente della riscossione, dell’invio della raccomandata recante avviso dell’avvenuta consegna al portiere dello stabile (così, di seguito, le cartelle esattoriali delle quali si controverte: a) (OMISSIS); b) (OMISSIS); c) (OMISSIS); d) (OMISSIS); e) (OMISSIS); f) (OMISSIS));

3. in particolare, per due cartelle – qui contrassegnate dalle lettere a) e b) riteneva mancare qualsiasi documentazione attestante l’invio delle raccomandate;

4. quanto alle restanti cartelle, il Tribunale, premessa l’inidoneità dei documenti prodotti, definiti ermetici, a fornire alcuna prova, quantomeno di carattere presuntivo, per l’incertezza nell’attribuzione e nella data di formazione, e per mancanza dell’indicazione dell’indirizzo del destinatario, riteneva non provato l’invio della raccomandata informativa dell’avvenuta consegna delle cartelle esattoriali al portiere dello stabile;

5. avverso la sentenza di primo grado ricorre per cassazione Riscossione Sicilia s.p.a., con due motivi; resiste T.G. con controricorso;

6. la Procura generale ha chiesto il rigetto del ricorso;

Motivi della decisione
CHE:

7. con i motivi di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c., per non avere il Tribunale ritenuto mera irregolarità, ma vizio dell’attività notificatoria, la mancata prova dell’invio della raccomandata al destinatario per dargli avviso della consegna (primo motivo); violazione e o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 2697, 2699, 2700 e 1335 c.c., per non avere il tribunale ritenuto fornita la prova dell’avvenuta informativa della consegna al portiere attraverso la distinta, riferita all’invio di più di dieci raccomandate, recante indicazione del numero assegnato ad ogni raccomandata (secondo motivo);

8. il ricorso è da rigettare;

9. va premesso che nel caso in cui l’appello sia stato dichiarato inammissibile, ex art. 348-ter c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado può essere proposto entro i limiti delle questioni già sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex art. 346 c.p.c., senza che possa assumere rilievo la diversa formulazione dei motivi, che trova giustificazione nella natura del ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, proponibile esclusivamente per i vizi previsti dall’art. 348-ter c.p.c., comma 4 e art. 360 c.p.c., comma 1, non comportando la dichiarazione di inammissibilità dell’appello sostanziali modificazioni nel giudizio di legittimità, fatta eccezione per la necessità che l’impugnazione sia rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e per l’esclusione della deducibilità del vizio di motivazione;

10. ciò premesso, la notifica delle cartelle delle quali si discute è stata eseguita direttamente dal messo notificatore nelle mani del portiere, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, e a tale consegna non ha fatto seguito la spedizione della raccomandata informativa di cui al successivo comma 4 o comunque non è stata raggiunta la prova di tale spedizione;

11. non si versa, dunque, in ipotesi in cui l’agente della riscossione provvede alla notifica diretta, a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26 delle cartelle di pagamento prodromiche alle intimazioni di pagamento, nel qual caso questa Corte è ferma nel ritenere che gli uffici finanziari possono procedere alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente, con la conseguenza che, quando il predetto ufficio si sia avvalso di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1992, con la conseguenza che, in caso di notifica al portiere, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto (cfr., per tutte, Cass. n. 20527 del 2019 e i precedenti ivi richiamati);

12. la notificazione eseguita dai messi comunali o da messi speciali autorizzati dall’ufficio (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 1, lett. a)), va eseguita nel rispetto delle norme stabilite dagli artt. 137 c.p.c. e ss., ma secondo le modifiche indicate nel medesimo art. 60 che, per quanto ci occupa, dispone, alla lettera b)-bis, aggiunta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 27, lett. a): “se il consegnatario non è il destinatario dell’atto o dell’avviso, il messo consegna o deposita la copia dell’atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto stesso. Sulla busta non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto. Il consegnatario deve sottoscrivere una ricevuta e il messo dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata”;

13. è lo stesso D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., che, nel disciplinare la notificazione della cartella di pagamento, rinvia, per quanto in esso non regolato, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e, dunque, a quanto ivi previsto per la consegna eseguita dal messo notificatore al consegnatario, diverso dal destinatario dell’atto;

14. il Giudice delle leggi (v. Corte Cost. n. 175 del 2018), intervenuto sulla speciale facoltà dell’agente della riscossione, in forza della funzione pubblicistica svolta, di avvalersi delle forme semplificate di notificazione a mezzo del servizio postale senza il rispetto della disciplina in tema di notifiche a mezzo posta da parte dell’ufficiale giudiziario, ha avuto modo di precisare che la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica, limitata al solo caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere, “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”;

15. l’autorevole avallo del Giudice delle leggi al consolidato orientamento di legittimità ha dunque una ben delineata cornice, limitata al solo caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere (c.d. notificazione semplificata);

16. nella diversa ipotesi della consegna diretta del plico al portiere da parte del messo notificatore, agli effetti della necessaria spedizione della raccomandata prescritta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b)-bis, (e dall’art. 139 c.p.c., comma 3) e della necessità, in altre parole, che all’effettivo destinatario sia dato avviso dell’avvenuta consegna al portiere, vanno valorizzati i principi già affermati, sia pur in riferimento alla notificazione del ricorso per cassazione, da Cass., Sez.U., n. 18992 del 2017 (e mutuati, in fattispecie simile a quella ora all’esame del Collegio, da Cass. n. 7892 del 2019), in considerazione della consegna dell’atto a persona non legata al destinatario della notificazione dai particolari vincoli evidenziati nell’art. 139 c.p.c., comma 2, condizione che attenua la sfera di effettiva conoscibilità del destinatario e la possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto rispetto alle altre fattispecie, indicate dal comma 2, per le quali è assai stretta la natura del vincolo tra consegnatario dell’atto e destinatario;

17. tale minor grado di conoscibilità esige, almeno, di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post;

18. il secondo motivo è inammissibile perchè, nonostante l’invocazione, solo formale, di violazioni o false applicazioni di norme, è estraneo all’area di cui all’art. 360 c.p.c. (nei limiti prescritti dall’art. 348-ter c.p.c., comma 4) perchè, in realtà, si sollecita un diverso apprezzamento in punto di fatto delle risultanze documentali esaminate dall’impugnata sentenza;

19. le doglianze che avversano l’ordinanza della Corte territoriale laddove, trattando della notificazione mediante l’ausilio del servizio postale, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 4, distingue tra prerogative pubblicistiche del servizio postale universale e adempimenti del soggetto privato delegato alla notifica (nella specie, il Consorzio Olimpo e TNT Post Notifiche), devono ritenersi inammissibili perchè esulano dalla cornice fissata dall’art. 348-ter c.p.c., comma 4 e dalla ratio decidendi espressa con la decisione di primo grado, gravata in questa sede di legittimità e incentrata sull’inidoneità dei documenti prodotti, per incertezza nella paternità e nella data di formazione, a provare la compiuta informativa, al destinatario di alcune delle cartelle opposte, dell’avvenuta consegna al portiere;

20. correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto la nullità della notifica delle cartelle esattoriali sulla base del preliminare accertamento in fatto che le stesse erano state consegnate al portiere, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, e che non era seguita la spedizione della raccomandata informativa di cui al successivo comma 4, secondo le specificazioni introdotte dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b)-bis (o comunque non era stata raggiunta la prova di tale spedizione), facendone seguire l’accoglimento dell’opposizione all’iscrizione ipotecaria;

21. le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

22. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 24 ottobre e il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 23/01/2019) 29/01/2020, n. 1954

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 26066/2013 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliato in Roma, via Giuseppe Ferrari n. 35, presso lo studio dell’Avv. Gianni Di Matteo che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 101/35/13 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata il 16 luglio 2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 gennaio 2019 dal Consigliere Dott. MUCCI ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il rigetto;

udito, per il ricorrente, l’Avv. GIANNI DI MATTEO;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato dello Stato MASSIMO SANTORO.

Svolgimento del processo
1. La CTR della Lombardia ha rigettato il gravame interposto da P.E. avverso la sentenza della CTP di Sondrio di rigetto del ricorso proposto dal P. contro l’atto di contestazione n. 2710 notificato il 31 maggio 2010 emesso dall’ufficio delle Dogane di Tirano, concernente il pagamento di diritti doganali e IVA, oltre sanzioni, per l’acquisto in Livigno presso il negozio “International Gold Trade”, nel periodo compreso tra gli anni 2003 e 2004, di un orologio marca “Cartier”, introdotto dal P. in territorio italiano senza l’assolvimento degli obblighi fiscali.

2. Ha ritenuto la CTR che: a) alla stregua della documentazione in atti era configurabile a carico del P. “un atto di materiale contrabbando: infatti non risulta dagli atti alcuna prova che il Sig. P. abbia assolto – nel momento dell’introduzione del bene acquistato a Livigno – sia il pagamento dei diritti doganali che l’IVA dovuta”; b) nemmeno vi era prova dell’acquisto dell’orologio in Sondrio, “in contrasto con quanto accertato dalla Guardia di Finanza di Sondrio, che aveva accertato in data 24 luglio 2007 il mancato sdoganamento dell’orologio, acquistato in Livigno”; c) da tale data “l’Ufficio era legittimato a fare decorrere il termine triennale per la notifica (avvenuta in data 31 maggio 2010 e quindi entro il triennio dall’accertamento del mancato pagamento dei diritti doganali e dell’IVA) degli atti di contestazione e dell’avviso di pagamento dei tributi suddetti”; d) dalla fotocopia dell’assegno di Euro 6.300,00 (recante l’indicazione della località “Sondrio”, datato 18 giugno 2005 ed intestato a tale B.S.) non potevano trarsi elementi nemmeno in termini di presunzione semplice, come sostenuto dall’appellante – a favore del P., posto che “sia il trattario che la data di emissione non hanno alcun riferimento temporale e personale con i fatti dedotti in causa”, in assenza di prova della residenza o dell’attività del trattario in Sondrio o che “tale assegno sia il corrispettivo per l’acquisto del bene”.

3. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione P.E. affidato a due motivi, cui replica l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con controricorso.

Motivi della decisione
4. L’eccezione preliminarmente dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di nullità del ricorso, poichè notificato all’”Agenzia delle Dogane-Ufficio delle Dogane di Tirano” e non all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli presso l’Avvocatura erariale, non ha pregio.

Se è vero infatti che Sez. 5, 11 agosto 2004, n. 15528 ha affermato che “La facoltà di chiamare in giudizio il successore può essere esercitata anche per la prima volta in sede di ricorso per cassazione: ma qualora il contribuente decida d’instaurare il giudizio direttamente nei confronti della suddetta agenzia fiscale, deve proporre il ricorso nei confronti dell’Agenzia in persona del suo direttore in Roma, con notifica presso l’Avvocatura centrale dello Stato, ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 e art. 144 c.p.c., comma 1, e non già con intimazione del suddetto soggetto nella sua articolazione periferica, nella persona del direttore dell’ufficio, la cui legittimazione è limitata ai gradi di merito del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex artt. 10 e 11, senza che l’inammissibilità che in tal caso ne conseguirebbe possa essere sanata dalla costituzione del soggetto legittimato”, la successiva Sez. U, 14 febbraio 2006, n. 3116 ha invece affermato che “Per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle Finanze, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente invece di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato” (conf. Sez. 5, 29 gennaio 2008, n. 1925).

5. Con il primo, articolato motivo di ricorso si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione; deduce il P. la carenza di prova dei fatti addebitatigli così formulando la censura: “Inesistenza dei fatti addebitati: la merce non è stata comprata a Livigno, bensì a Sondrio. Mancanza di prova o anche solo di indizi dei fatti addebitati: Mancanza totale dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. e art. 192 c.p.p. dei fatti riportati nel verbale di constatazione, circa una supposta violazione dell’art. 282 T.U.L.D., comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 70. Inutilizzabilità delle verifiche fiscali effettuate presso terzi, nei confronti del ricorrente”.

5.1. Giova richiamare quanto affermato in ricorso: nel 2003 il P. acquistò in Sondrio da un locale commerciante ( B.S.) un orologio marca “Cartier” a prezzo di sconto, pagato con un assegno di Euro 6.300,00 recante come luogo di emissione Sondrio. A fronte di ciò, la CTR ha omesso di motivare il proprio convincimento in ordine al ritenuto contrabbando dell’orologio, acquistato in Livigno e trasferito in Italia senza assolvere i relativi obblighi fiscali, basandosi, peraltro, su accertamenti fiscali a carico di terzi (la “International Gold Trade” di Livigno e il B., “personaggio sicuramente ambiguo, operante tra Sondrio e Livigno”: p. 4 del ricorso) non opponibili all’acquirente in difetto di ulteriori riscontri oggettivi e operando un illegittimo ribaltamento dell’onere della prova incombente sull’ufficio.

5.2. Il motivo è in parte inammissibile, basandosi su profili di doglianza miranti, con tutta evidenza, a sollecitare nelle presente sede di legittimità un non consentito riesame della valutazione delle prove ai fini dell’auspicato esito alternativo del giudizio già reso, e in parte infondato, non sussistendo affatto la denunciata carenza motivazionale alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Non solo la CTR ha considerato il complessivo quadro presuntivo emergente dagli accertamenti amministrativi condotti e dalla documentazione prodotta (segnatamente l’assegno bancario asseritamente utilizzato quale mezzo di pagamento dell’orologio), ma coglie facilmente nel segno la condivisibile controdeduzione dell’amministrazione secondo cui l’assegno bancario emesso nel 2005 in Sondrio in favore del B. non può valere a sostenere la tesi del P. dell’acquisto dell’orologio nel 2003 (p. 2 del ricorso). Generica è poi la deduzione del ricorrente circa l’inutilizzabilità delle verifiche fiscali effettuate presso terzi (la “International Gold Trade” di Livigno e il B.): nella sua assolutezza, l’affermazione postula un’insussistente immunità dalle risultanze delle indagini fiscali nei confronti di terzi che, invece, ben possono sostenere il detto quadro probatorio in senso ulteriormente indiziario, come al postutto riconosciuto dallo stesso ricorrente (p. 4 del ricorso).

6. Con il secondo motivo si torna a sostenere la prescrizione della pretesa fiscale ai sensi degli artt. 221 del codice doganale comunitario e del (T.U. delle disposizioni legislative in materia doganale) D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43,. art. 84.

6.1. Il mezzo è infondato.

Ai sensi dell’art. 43 T.U.L.D., commi 1, 5 e 6 nel caso di immissione in consumo della merce estera destinata al consumo interno e indebitamente sottratta ai vincoli doganali, o comunque non presentata ai controlli doganali, l’obbligazione tributaria si ritiene sorta al momento in cui il fatto si è verificato ovvero, se non è possibile stabilire tale momento, quando il fatto è stato accertato.

Nella specie, e come correttamente ritenuto dalla CTR, intervenuto l’accertamento il 24 luglio 2007, la notificazione del verbale di contestazione e contestuale avviso di pagamento è stata tempestivamente effettuata il 31 maggio 2010, ossia entro il termine triennale di prescrizione applicabile ratione temporis ex art. 84 T.U.L.D., comma 2, lett. d) (“dalla data in cui i diritti sono divenuti esigibili”).

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato; spese del giudizio e doppio contributo unificato secondo soccombenza.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 23 gennaio 2019.

Depositato in cancelleria il 29 gennaio 2020


Sull’esito della notifica a mezzo p.e.c., fatta ad una casella piena

La Corte di Cassazione affronta con ordinanza interlocutoria che, quindi, non si pronuncia sul ricorso, ad affrontare il tema della notifica a mezzo pec effettuata su casella “piena”.
La vicenda trae origine dalla mancata notifica fatta al difensore della parte, del ricorso, che, sebbene accettato dal sistema, non giungeva a destinazione a causa della casella piena.
La Corte chiarisce che una notificazione è validamente effettuata all’indirizzo pec del difensore di fiducia, quale risultante dal Reginde, peraltro, indipendentemente dalla sua indicazione in atti.
In caso però che “la notificazione non vada a buon fine per una ragione non imputabile al notificante, potrebbe ritenersi, da un lato, che questi abbia la facoltà e l’onere, anche alla luce del principio di ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio in un tempo adeguatamente contenuto”.
In tal senso parrebbe permanere quindi comunque in capo alla parte notificante un onere di rinnovo della notifica.
Per contro, è altresì onere del titolare dell’account di posta elettronica certificata assicurarsi del corretto funzionamento della propria casella postale sicché nel caso di notifica telematica rifiutata per casella troppo piena dovrebbe dirsi comunque validamente effettuata.
La Corte di Cassazione con Ord., 23 Gennaio 2020, n. 2755, però approfondisce e sottolinea come il d.m. che impone al difensore di provvedere al controllo periodico della propria casella di posta abbia natura secondaria nell’ordine gerarchico delle fonti legislative, con la conclusione che la notifica non potrebbe automaticamente dirsi perfezionata sulla base dell’accettazione e successivo rigetto per casella piena.
In ultimo, quale terza via, la Corte ammette anche l’ipotesi residuale che in presenza di tale notifica rifiutata, possa ordinarsi il rinnovo della stessa, sempre nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo.

Le considerazioni svolte dalla suprema corte risultano tutte alternativamente valide.


Cartelle Inps prescritte in 5 anni

La Cassazione precisa che il termine di 10 anni non vale per la prescrizione delle cartelle Inps, ma per la procedura amministrativa di discarico per inesigibilità in materia fiscale

Leggi: Cass. civ. Sez. VI – Lavoro, Ord., (ud. 06-03-2019) 16-01-2020, n. 840


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 16-01-2020) 25-05-2020, n. 9567

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28276/2018 R.G. proposto da:

P.M., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. MARGIOTTA Alessandro, presso il cui studio legale, sito in Sulmona, alla via Lamaccio, n. 1, è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 150/01/2018 della Commissione tributaria regionale del MOLISE, depositata il 20/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Svolgimento del processo
Che:

1. In controversia relativa ad avviso di accertamento ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2008, P.M. propone ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Molise, indicata in epigrafe, che aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sfavorevole sentenza di primo grado, ritenendo inammissibile l’originario ricorso della contribuente perchè tardivamente proposto rispetto alla data di notifica (per compiuta giacenza) dell’avviso di accertamento correttamente effettuata presso la residenza anagrafica della contribuente e non presso il domicilio dalla medesima eletto con una semplice comunicazione priva di effetto.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Motivi della decisione
Che:

1. Vanno preliminarmente disattese le eccezioni della controricorrente di improcedibilità ed inammissibilità del ricorso.

2. Quanto alla prima, la ricorrente nel corpo del ricorso ha correttamente fatto riferimento alla sentenza della CTP di Isernia n. 109 del 2014 e non a quella n. 110 del 2014 emessa nei confronti dell’altro socia ( D.L.M.) ed ha depositato la copia della sentenza emessa nei suoi confronti e non altra.

3. Quanto alla seconda eccezione, osserva il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, la ricorrente ha correttamente censurato la sentenza d’appello che, sul presupposto della ritualità della notifica effettuata presso la residenza della contribuente piuttosto che al domicilio eletto, ha dichiarato l’inammissibilità dell’originario ricorso perchè tardivamente proposto. Statuizione, questa, che costituisce l’unica ratio decidendi della decisione impugnata.

5. Nel merito, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 59 e 60 per avere la CTR ritenuto non correttamente effettuata da parte della contribuente la variazione di domicilio fiscale, statuendo quindi la validità della notifica dell’atto impositivo dell’Agenzia delle Entrate ad un domicilio diverso da quello comunicato.

6. Il motivo è fondato e va accolto.

7. Invero, in tema di accertamento delle imposte dei redditi, la variazione del domicilio fiscale, indicata dal contribuente nella dichiarazione annuale dei redditi o risultante da un altro atto comunicato all’Agenzia delle Entrate, costituisce atto idoneo a rendere noto all’Amministrazione il nuovo domicilio ai fini delle notificazioni, dovendo in ogni caso tale ius variandi essere esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario (cfr. Cass. nn. 11170/2013).

8. Peraltro, anche in caso in caso di difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi (o in altra comunicazione inviata all’Agenzia delle entrate), questa Corte ha ritenuto valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta a controllare l’esattezza del domicilio eletto (cfr. Cass. n. 25680/2016).

9. Pertanto, incontroverso in fatto che nel 2011 la contribuente aveva effettuato regolare comunicazione di variazione di domicilio fiscale all’Agenzia delle Entrate, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 58, va ritenuta la nullità della notifica dell’atto impositivo (per compiuta giacenza ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8), siccome eseguita in luogo diverso dal domicilio eletto agli specifici fini, con la conseguenza che l’impugnazione proposta dalla contribuente doveva ritenersi tempestiva rispetto ad essa.

10. Al riguardo va precisato che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, tale notifica non è inesistente ma nulla, posto che, secondo il principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 24916 del 2016 in tema di notificazione del ricorso per cassazione, mutuabile anche alle fattispecie di notificazione degli atti impositivi, l’inesistenza della stessa “è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”.

11. Ha quindi errato la CTR, omettendo di attenersi ai suddetti principi giurisprudenziali, nel ritenere privi di effetti la comunicazione della variazione di domicilio effettuata dalla contribuente nel 2011, facendone conseguire l’inammissibilità dell’originario ricorso perchè tardivamente proposto.

12. Il ricorso va dunque accolto, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale del Molise in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2020