È legittima la decurtazione dello stipendio nei periodi di assenza per malattia dei dipendenti pubblici

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 32, 36 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Livorno.

La disposizione oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale – Sentenza n. 120 del 10 maggio 2012:

«1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa. […] 6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi».
Le motivazioni:

Non sussiste violazione dell’art. 3 Cost. (principio di eguaglianza), poiché i due sistemi, privato e pubblico, già significativamente differenziati al loro interno, risultano assolutamente incomparabili, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, proprio in relazione al regime della malattia.

Non sussiste violazione dell’art. 36 Cost., (diritto ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa) poiché la conservazione del trattamento fondamentale garantisce, per definizione, l’adeguatezza della retribuzione e la sua funzione alimentare durante il periodo di malattia, tanto più che la durata della riduzione è contenuta dalla disposizione censurata nei limiti della decade.

Non sussiste violazione dell’art. 38 Cost. (diritto al mantenimento e all’assistenza sociale per il cittadino inabile al lavoro), poiché nessuna disposizione, né generale, né settoriale, impone che la prestazione economica in costanza di malattia coincida o tenda a coincidere con la retribuzione del lavoratore in servizio o con una sua determinata porzione.

Non sussiste violazione dell’art. 32 Cost. (diritto alla salute), poiché non è sostenibile che la riduzione di retribuzione sancita dalla norma in questione, con la salvezza del trattamento fondamentale e la brevità della durata, costringa il lavoratore ammalato, come opina il rimettente, a rimanere in servizio pur di non subirla, anche a costo di compromettere ulteriormente la salute.


Sito non accessibile per manutenzione archivi ed implementazione nuovo software – sabato 26 maggio

Nell’ambito dei miglioramenti  finalizzati ad un miglior utilizzo del sito e all’implementazione di nuovi servizi,  nei giorni di sabato 26 maggio sino alla fine delle operazioni (presumibilmente sino alle ore 23,00 di domenica 27 maggio),  il sito non sarà accessibile per implementazione software e manutenzione archivi.

Ci scusiamo per il disagio.


Corte Costituzionale – Sentenza n. 120 del 10 maggio 2012

Corte Costituzionale – Sentenza n. 120-2012


Il Decreto Legge sulle semplificazioni fiscali è Legge: attenzione alle regole dell’Imu

E’ stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 aprile 2012 la Legge di conversione (Legge n. 44 del 26 aprile 2012) del Decreto Legge sulle semplificazioni fiscali (Decreto Legge n. 16 del 2 marzo 2012). Il nuovo provvedimento, quindi, in parte modificato nel corso dell’esame in Parlamento, è ora Legge dello Stato.

Il testo del Decreto Legge, coordinato con le modifiche approvate in sede di conversione, prevede una serie di regole riguardo all’Imposta municipale propria sugli immobili (Imu), già disciplinata in parte dal Decreto “salva Italia” del dicembre 2011.

In primo luogo, per l’anno 2012, l’Imu dovuta per l’abitazione principale e per le relative pertinenze potrà essere versata in tre rate, di cui la prima e la seconda in misura ciascuna pari ad un terzo dell’imposta calcolata applicando l’aliquota di base (4 per mille) e la detrazione (200 Euro, più la detrazione di 50 Euro per ciascun figlio convivente di età non superiore ai 26 anni). La prima e la seconda rata dovranno essere versate rispettivamente entro il 16 giugno ed entro il 16 settembre. La terza rata dovrà essere versata entro il 16 dicembre, a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno, con conguaglio sulle precedenti rate.

In alternativa, sempre per l’anno 2012, l’imposta dovuta per l’abitazione principale e per le relative pertinenze potrà essere versata in due rate di cui la prima, entro il 16 giugno, in misura pari al 50 % dell’imposta calcolata applicando l’aliquota di base e la detrazione, e la seconda, entro il 16 dicembre, a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno, con conguaglio sulla prima rata.

Per gli immobili diversi dall’abitazione principale, l’imposta dovrà essere versata, per l’anno 2012, in due rate: la prima pari al 50 % dell’importo ottenuto applicando l’aliquota di base e la detrazione, la seconda rata è versata a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno, con conguaglio sulla prima rata.

Per i fabbricati rurali strumentali, per il 2012, la prima rata dovrà essere versata nella misura del 30 % dell’imposta dovuta applicando l’aliquota di base, e la seconda rata dovrà essere versata a dicembre a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno, con conguaglio sulla prima rata.

Inoltre, per i fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni, che dovranno essere dichiarati al catasto edilizio urbano entro fine novembre, è previsto, per l’anno 2012, il versamento dell’imposta in un’unica soluzione, entro il 16 dicembre.

Riguardo alle eventuali variazioni delle aliquote dell’Imu nel corso dell’anno, nel Decreto Legge è previsto che, con uno o più Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da emanare entro il 10 dicembre 2012, si provvederà, sulla base del gettito della prima rata dell’Imu e dei risultati dell’accatastamento dei fabbricati rurali, alla modifica delle aliquote, delle relative variazioni e della detrazione, per assicurare l’ammontare del gettito complessivo previsto per l’anno 2012. Inoltre, entro il 30 settembre 2012, i Comuni potranno approvare o modificare il regolamento e la deliberazione relativa alle aliquote ed alla detrazione del tributo.

Inoltre, è previsto che i soggetti passivi dell’imposta debbano presentare la dichiarazione Imu entro novanta giorni dalla data in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute delle variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta. Il modello che dovrà essere utilizzato per questa dichiarazione verrà approvato con un Decreto ministeriale, nel quale verranno anche disciplinati i casi nei quali dovrà essere presentata la dichiarazione in questione. La dichiarazione avrà effetto anche per gli anni successivi, se non si verificano delle modificazioni dei dati e degli elementi dichiarati dalle quali consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta.

Infine, per gli immobili per i quali l’obbligo dichiarativo è sorto dal 1° gennaio 2012, il termine di presentazione della dichiarazione è fissato al 30 settembre 2012.

Riguardo al concetto di abitazione principale, questo coincide con l’immobile nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel Comune, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.

Inoltre, i Comuni potranno considerare direttamente adibito ad abitazione principale l’immobile posseduto a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che l’immobile non risulti locato. Potrà essere considerata abitazione principale anche l’abitazione posseduta in Italia da cittadini italiani non residenti, a titolo di proprietà o di usufrutto, anche in questo caso a condizione che l’immobile non risulti locato.

In materia di base imponibile, è prevista una riduzione del 50 % per i fabbricati di interesse storico o artistico e per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo nell’anno nel quale sussistono queste condizioni.

L’Imu sarà dovuta dal coniuge al quale sia stata assegnata la casa coniugale in sede di separazione o divorzio.

Infine, riguardo alle modalità di pagamento dell’Imu, soltanto a partire dal 1° dicembre 2012 il versamento potrà essere effettuato anche tramite apposito bollettino postale.


Estensione anticipata dal lavoro per maternità: in vigore le nuove regole

L’art. 15 del decreto legge 9-2-2012  n. 5  (c.d. decreto semplificazioni) introduce nuove regole dirette a rendere più snelle le pratiche per ottenere l’interdizione anticipata dal lavoro delle lavoratrici che hanno una gravidanza complicata.
La disposizione, apportando modifiche all’articolo 17 del decreto legislativo n. 151/2001, prevede che – a partire dal 1° aprile 2012 – la competenza per il rilascio della “autorizzazione per l’astensione anticipata dal lavoro per maternità” viene suddivisa tra Azienda Sanitaria Locale e DTL/Direzione territoriale del lavoro.

  • l’Azienda Sanitaria Locale provvederà a rilasciare l’autorizzazione nell’ipotesi di gravi complicanze della gravidanza o persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza (sino ad oggi era di competenza delle DPL),
  • la DTL procederà, invece, per le altre due ipotesi già considerate dall’art. 17 e precisamente:

1) quando esistano condizioni di lavoro od ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
2) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo la previsione contenuta nell’art. 7  (lavori vietati) e nell’art. 12  (valutazione dei rischi) dello stesso decreto 151/2001.
Il Ministero del Lavoro-Politiche Sociali ha fornito i primi chiarimenti con circolare n.2 del 16-2-2012.

Ministero del Lavoro-Politiche Sociali – circolare n.2 del 16-2-2012


Anagrafe: Circolare applicativa art. 5 della L. 4 aprile 2012 n. 35

Il Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha emanato una circolare con OGGETTO: decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35 recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo”.
Modalità di applicazione dell’art. 5 (“Cambio di residenza in tempo reale”).

L’art. 5 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35, introduce nuove disposizioni in materia anagrafica, riguardanti le modalità con le quali effettuare le dichiarazioni anagrafiche di cui all’art. 13, comma 1, letto a). b) e c), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, nonché il procedimento di registrazione e di controllo successivo delle dichiarazioni rese. Prima di illustrare la procedura attraverso la quale dovrà darsi attuazione alla nuova disciplina, occorre premettere che è attualmente in corso di definizione l’iter di adozione del decreto del Presidente della Repubblica previsto dal C. 5 del citato art. 5 al fine di armonizzare il vigente regolamento anagrafico alle nuove disposizioni in commento. Peraltro, va da subito precisato che le disposizioni del decreto-legge, oggetto della presente circolare, acquistano efficacia decorsi novanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso, ovvero dal 2 maggio 2012 (art. 5, C. 6). Ne consegue che alle dichiarazioni anagrafi che presentate da tale data dovrà applicarsi la disciplina in esame, secondo le istruzioni operative che si espongono di seguito.

Testo della circolare:  Circolare applic. art. 5 dellla L. 4 aprile 2012 n. 35


Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.4.2012, n. 2451

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.4.2012, n. 2451

N. 02451/2012REG.PROV.COLL.
N. 10718/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10718 del 2004, proposto dal sig. Cascione Giovanni, rappresentato e difeso dall’avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso l’avv. Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11;
contro
Comune di Galatina, rappresentato e difeso dall’avv. Lino Spedicato, con domicilio eletto presso l’avv. Laura Maria Mocavero in Roma, via Dardanelli, 46;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE II n. 06797/2003, resa tra le parti, concernente CORRESPONSIONE DIFFERENZE RETRIBUTIVE PER SVOLGIMENTO FUNZIONI SUPERIORI

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2012 il Cons. Marzio Branca e uditi per le parti gli avvocati Pellegrino e Cimino, per delega dell’Avv. Spedicato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dal sig. Giovanni Cascione, dipendente del Comune di Galatina con qualifica di collaboratore (IV livello), per l’annullamento della deliberazione della Giunta comunale n.812 del 5/08/1994 con la quale veniva respinta l’istanza di corresponsione di differenze retributive in relazione allo svolgimento dal 1983 di mansioni proprie della qualifica di VI livello, nonché per l’accertamento del relativo diritto.
2. Il Sig. Cascione ha proposto appello denunciando l’erroneità della sentenza di primo grado, posto che i primi giudici, pur dando atto che a norma dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, reso operativo dall’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387, il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori da parte di pubblici dipendenti è stato riconosciuto con carattere di generalità, hanno rigettato il ricorso sul rilievo che la nuova disciplina della materia non poteva ricevere applicazione retroattiva, ossia con riguardo al momento in cui è stata formulata la domanda.
L’appellante, inoltre, ha osservato che, in ogni caso, sussistevano le condizioni per l’accoglimento del ricorso alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa precedente, quanto al dato oggettivo delle mansioni superiori, ed alla volontà dell’Amministrazione di avvalersi delle prestazioni espletate dall’istante.
Il Comune di Galatina si è costituito in giudizio per sostenere l’infondatezza del ricorso.
Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.
3.  L’appello non può essere accolto.
Va disatteso, in primo luogo, il rilievo secondo cui la fondatezza della domanda dedotta in giudizio doveva essere giudicata alla stregua delle modificazioni normative nella materia della retribuibilità delle mansioni superiori, svolte di fatto dai pubblici dipendenti, che siano sopraggiunte in epoca successiva al provvedimento negativo impugnato, ovvero al momento il cui il diritto venne rivendicato.
Ove una determinata pretesa non risulti sorretta da idonei precetti normativi al momento in cui fu dedotta in giudizio, e si ritenga che successive sopravvenienze risulterebbero favorevoli al deducente, si rende necessaria la proposizione di una nuova domanda, poiché, diversamente opinando, si perverrebbe ad una inammissibile modificazione del thema decidendum, oltre che ad una violazione del principio tempus regit actum.
4. Tanto premesso, come più volte ribadito da questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, VI, n. 2365 del 2010; 3 febbraio 2011 n. 758), in difetto di espresse previsioni normative che consentano l’ utilizzo del dipendente in posizione diversa da quella formalmente rivestita ed attribuiscano a questa destinazione effetti modificativi del suo status di dipendente, vige il principio di irrilevanza delle mansioni superiori svolte in via di fatto, agli effetti sia dell’inquadramento che della retribuzione.
Ostano alla attribuzione di effetti giuridici alla destinazione in via di mero fatto diversi elementi: il carattere rigido delle dotazioni di organico delle amministrazioni e i relativi flussi di spesa; l’assenza di un potere del preposto al vertice dell’ufficio di gestire in via autonoma la posizione di status dei dipendenti e il relativo trattamento economico;la garanzia della parità di trattamento di tutti i soggetti che operano nella struttura organizzativa e che possano aspirare di accedere alle mansioni di qualifica superiore in condizioni di parità, trasparenza e non discriminazione.
Il quadro normativo delineatosi con l’emanazione dell’art. del d.lgs. n. 29 del 1993 è stato più volte oggetto di esame da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
La norma, infatti, ha previsto la retribuzione dello svolgimento delle mansioni superiori, rinviandone tuttavia l’attuazione alla nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza ivi stabilita, disponendo altresì che “fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore” (art. 56, comma 6).
Le parole “a differenze retributive” sono state poi abrogate dall’art. 15 d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, ma “con effetto dalla sua entrata in vigore” (Cons. Stato, ad. plen., n. 22 del 1999), con la conseguenza che l’innovazione legislativa spiega effetto a partire dall’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo n. 387 e cioè dal 22 novembre 1998.
E’ stato però esplicitamente affermato che il diritto al trattamento economico per l’ esercizio di mansioni superiori ha la sua disciplina in una disposizione (art. 15 d.lgs. n. 387 del 1998) avente carattere innovativo, e non meramente interpretativo della disciplina previgente, per cui il riconoscimento legislativo “non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse” (Cons. Stato, ad. plen., n. 11 del 2000 e n. 3 del 2006).
5. L’appellante, tuttavia, invoca gli orientamenti assunti in materia dalla Corte Costituzionale, cui la questione è stata rinviata anche nel corso del giudizio di primo grado, per dedurne che l’orientamento dell’Adunanza Plenaria, sopra ricordato, dovrebbe considerarsi superato a sostituito da principi favorevoli all’accoglimento della domanda.
La tesi non può essere condivisa, perché i pronunciamenti del giudice delle leggi si sono risolti nella affermazione della conformità alla costituzione di interventi del legislatore che accolgano il principio della retribuzione delle prestazioni corrispondenti ad una qualifica superiore, ma non hanno mai direttamente disposto l’annullamento di precisi precetti normativi.
6. Il Collegio non ignora che, anche in tempi non lontani, il diritto ad una retribuzione corrispondente alle mansioni svolte in via di fatto sia stato riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, in presenza di determinati presupposti (vacanza del posto in organico, atto formale di incarico adottato dall’autorità competente, esercizio effettivo di mansioni superiori).
Tale orientamento, tutt’altro che univoco, come riconosce lo stesso appellante, non potrebbe ormai essere ulteriormente condiviso una volta che il quadro normativo sia stato chiarito e consolidato con le ricordate sentenze dell’Adunanza Plenaria, e tenuto anche conto della vincolatività di tali pronunce ai sensi dell’art. 99, comma 3, del c.p.a.
Va però soggiunto, che, anche con riferimento al pregresso indirizzo giurisprudenziale, cui si è fatto cenno, l’appello non avrebbe potuto essere accolto, dovendosi condividere l’avviso dei primi giudici circa il difetto di un atto di incarico emesso dall’autorità competente a modificare le mansioni spettanti in forza del provvedimento di inquadramento.
I ripetuti riconoscimenti dell’utilità delle mansioni superiori svolte e della volontà della Amministrazione, nel senso della prosecuzione di tale prestazione, non sono idonei a costituire il diritto al relativo compenso, in quanto mere prese d’atto successive non rilevanti.
L’appello, in conclusione, deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Condanna l’appellante al pagamento il favore del Comune di Galatina delle spese del presente grado di giudizio e ne liquida l’importo in euro 2.500,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Marzio Branca, Consigliere, Estensore
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere

L’ESTENSORE        IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 18-01-2012) 24-04-2012, n. 6472

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente

Dott. BURSESE Gaetan0 Antonio – Consigliere

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere

Dott. MATERA Lina – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13717/2006 proposto da:

M.G. (OMISSIS), G.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato PELLEGRINO Giovanni, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

B.C., C.M.A., C.C. D.;

– intimati –

sul ricorso 19503/2006 proposto da:

C.M.A. (OMISSIS), B.C. (OMISSIS), C.C.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio GARDIN, rappresentati e difesi dall’avvocato SARACINO DONATO PANTALEO;

– controricorrenti ricorrenti incidentali –

contro

G.M. (OMISSIS), M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato PELLEGRINO GIOVANNI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 144/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 27/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2012 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato Amina L’ABBATE con delega depositata in udienza dell’Avvocato Giovanni PELLEGRINO, difensore dei ricorrenti che ha chiesto di riportarsi agli scritti depositati;

udito l’Avvocato SARACINO, difensore dei resistenti che ha chiesto di riportarsi anch’egli;

udito il P.M., persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 9 luglio 2001 il Tribunale di Lecce, in accoglimento delle domande proposte da C.S. e B.C. nei confronti di G.M. e M.G., condannò i convenuti a demolire la porzione di una costruzione che avevano realizzato a distanza inferiore a sei metri dal confine tra i rispettivi fondi delle parti, nonchè a risarcire agli attori i relativi danni, liquidati in L. 10.000.000.

Impugnata dai soccombenti, la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce, che con sentenza del 27 febbraio 2006, ferma la condanna alla riduzione in pristino, ha escluso quella al risarcimento dei danni.

G.M. e M.G. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi. C.M.A., C.C.D. (eredi di C.S.) e B. C. si sono costituiti con controricorso, formulando a loro volta un motivo di impugnazione in via incidentale, cui G. M. e M.G. hanno opposto un proprio controricorso.

C.M.A., C.C.D. e B. C. hanno presentato una memoria.

Motivi della decisione
In quanto proposte contro la stessa sentenza, le due impugnazioni vengono riunite in un solo processo, in applicazione dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale G.M. e M.G. contestano l’esattezza della distinzione, prospettata nella sentenza impugnata, tra norme di azione e di relazione nell’ambito della disciplina delle distanze tra costruzioni: sostengono che in materia l’unica differenziazione rilevante è tra disposizioni integrative – o non – di quelle dettate dal codice civile.

La censura è inconferente, poiché la tesi di cui si tratta è stata esposta dalla Corte d’appello in linea teorica ed astratta, senza alcuna pratica e concreta influenza sulla decisione, la quale si basa sul rilievo che in effetti G.M. e M.G. avevano violato le prescrizioni del piano regolatore di Lecce, le quali esigono il rispetto di distanze maggiori di quelle stabilite dall’art. 873 c.c., e segg..

Appunto questa affermazione del giudice a quo viene contraddetta con il secondo e il terzo motivo di ricorso, con i quali G. M. e M.G. sostengono che per le strutture aggettanti, come quella da loro realizzata, la regolamentazione locale impone di osservare la distanza non già di sei metri dal confine, ma di tre.

L’assunto non è fondato.

L’art. 4 del regolamento edilizio annesso al piano regolatore del comune di Lecce dispone che la distanza minima dei fabbricati dai confini deve essere misurata “in proiezione orizzontale della superficie coperta”, la quale superficie coperta è definita dall’art. 3 come “la proiezione sul piano orizzontale del massimo ingombro della costruzione sovrastante il piano di campagna, con esclusione dei soli balconi aperti a sbalzo e degli aggetti normali quali pensiline, cornicioni, gronde ed elementi decorativi”. Nessun esonero è dunque previsto per “i bow-windows e le costruzioni in aggetto”, cui si riferisce l’art. 86, il quale è invocato dai ricorrenti nella parte in cui prescrive che per tali manufatti “la distanza in proiezione orizzontale dal confine non deve essere inferiore a m 3,00”. Ma il richiamo a tale disposizione non è pertinente, poiché essa riguarda, come risulta dal contesto in cui è inserita, le strutture pensili che sporgono sul suolo pubblico, sicché le suddette distanze minime sono quelle da rispettare lateralmente, rispetto ai confini con i fondi privati contigui. Se ne ha conferma dall’ulteriore previsione dello stesso art. 86, secondo cui “qualsiasi aggetto, con la sola esclusione delle sporgenze dei tetti o dei cornicioni minori di cm. 70, si considera nei riguardi del distacco minimo tra i fabbricati e della distanza minima dai confini di cui al precedente art. 4”.

Così corretta la motivazione della sentenza impugnata (nella quale l’art. 86 era stato ritenuto inapplicabile nel diverso presupposto che non riguardasse la zona B13, in cui sono ubicati gli immobili in questione) il ricorso principale va rigettato.

Con il motivo addotto a sostegno dell’incidentale C.M. A., C.C.D. e B.C. si dolgono del mancato accoglimento della loro domanda di risarcimento di danni per equivalente pecuniario, che la Corte d’appello ha rigettato osservando che la disposta riduzione in pristino costituiva ristoro in forma specifica del diritto tutelato e che non vi era stata allegazione e prova di una diminuzione patrimoniale economicamente valutabile.

La censura deve essere accolta, alla luce della giurisprudenza di questa Corte richiamata dai ricorrenti incidentali (ribadita, da ultimo, da Cass. 16 dicembre 2010 n. 25475 e Cass. 24 maggio 2011 n. 11382) secondo cui “in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria”.

Rigettato pertanto il ricorso principale e accolto l’incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Lecce, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il principale; accoglie l’incidentale; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2012


Cambio di residenza in tempo reale

Il Decreto Legge n.5 del 2012 (convertito nella Legge n. 35) ha previsto una diminuzione dei tempi necessari per ottenere il cambio di residenza, l’annotazione dei cambi di composizione delle famiglie e l’annotazione dei cambi di abitazione.

L’Amministrazione dovrà infatti provvedere alla registrazione della dichiarazione inerente il cambio nel termine di due giorni lavorativi.

Leggi il testo: Cambio di residenza in tempo reale – 2012

Leggi anche la circolare applicativa


Corso di aggiornamento «La competenza del Messo Comunale alla notifica per posta» – Forlì 19.04.2012

Giovedì 19 aprile 2012

Comune di Forlì

presso Municipio: Piazza Saffi 8

Orario:  9:00 – 12:00

Asirelli Corrado

  • Resp. Servizio Notifiche del Comune di Cesena FC
  • Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.
  • Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

PROGRAMMA:

La notificazione a mezzo del servizio postale

  • Attività del messo e attività dell’ufficiale postale: ambito di applicazione della L. 890/1982 – Analisi delle diverse casistiche alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali
  • Le modifiche all’art. 149 c.p.c.
  • Il nuovo art. 149 bis c.p.c e la notificazione a mezzo posta elettronica
  • La notificazione delle violazioni al Codice della Strada: le novità introdotte dall’art. 36 della L. 120/2010 ” Disposizioni in materia di sicurezza stradale”
  • Soggetti – I nuovi termini per le notifiche – Validità delle notificazioni

Vedi: L’attività Formativa dell’Associazione 2012


Circolare 002/2012: Notificazione atti di fermo amministrativo: competenza

Dalla Legge 22/11/2002 n. 265 di conversione, con modificazioni, del decreto legge 24/09/2002 n. 209:

2-sexies. I comuni e i concessionari iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, di seguito denominati “concessionari”, procedono alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, secondo le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili.

2-septies. Ai fini di cui al comma 2-sexies il sindaco o il concessionario procede alla nomina di uno o più funzionari responsabili per la riscossione, che esercitano le funzioni demandate agli ufficiali della riscossione

2-nonies. …….I concessionari possono esercitare l’attività di recupero crediti secondo le ordinarie procedure civilistiche

e dal DPR 602/1973  Capo II – Espropriazione forzata Sezione I – Disposizioni generali Art. 49. Espropriazione forzata.  “ 3. Le funzioni demandate agli ufficiali giudiziari sono esercitate dagli ufficiali della riscossione.” Ho sopra riportato alcune norme che possono servire a puntualizzare la situazione.

Come si può notare le concessionarie in questione, che sono quelle che inviano i fermi amministrativi, esercitano l’attività di recupero crediti secondo le norme civilistiche, che affidano tale competenza all’ufficiale giudiziario.

E’inoltre precisato che tali concessionari esercitano le funzioni demandate agli ufficiali di riscossione. Dalla lettura del Dpr 602/1973 art. 49, verifichiamo che gli ufficiali di riscossione esercitano le funzioni di ufficiale giudiziario. La legge 248/2005 inoltre precisa che:

41. Le disposizioni dell’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si interpretano nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel decreto del Ministro delle finanze 7 settembre 1998, n. 503.

Quindi poiché il dpr 602/1973 art. 86 prevede pure il fermo amministrativo, le concessionarie di cui stiamo trattando adottano pure questo tipo di atto poiché come sopra riportato adottano le modalità di recupero del credito previste dal DPR 602/1973. Quindi la competenza alla notifica di questi atti è dell’ufficiale giudiziario o come abbiamo visto dalla normativa, dell’ufficiale di riscossione, non del Messo Comunale.

Tuttavia la finanziaria 2007 (L. 296/2006), ai commi 158,159,160 dell’unico articolo che la compone, consente all’ente locale di nominare dei messi notificatori come da seguente disposizione:

“Per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie dei comuni e delle province, ferme restando le disposizioni vigenti, il dirigente dell’ufficio competente, con provvedimento formale, può nominare uno o più messi notificatori.”

Quindi come già detto, solo questi particolari messi notificatori hanno competenza alla notifica di tutti quegli atti volti al recupero del credito, compreso il fermo amministrativo. Di conseguenza il Messo Comunale sarà competente solo se appositamente nominato secondo il disposto della finanziaria 2007. Bisogna tuttavia precisare che i fermi dei veicoli sono essenzialmente di 2 tipi:

A)     in applicazione dell’articolo 214 del Codice della Strada (D. Lgs. 285/1992) quale sanzione amministrativa accessoria ad una principale di tipo pecuniario (per capirci ad una multa) e sono verbalizzati direttamente da un organo di Polizia Stradale (Polizia Municipale, Carabinieri, etc …) – il fermo amministrativo in questo caso consiste praticamente nell’obbligo per il proprietario, nominato custode, o, in sua assenza, il conducente o altro soggetto obbligato in solido, di fa cessare la circolazione e provvede alla collocazione del veicolo in un luogo (non sottoposto a pubblico passaggio) di cui abbia la disponibilità ovvero, in alcuni casi, di farlo custodire a sue spese presso un custode individuato da una specifica convenzione stipulata dal Mistero dell’interno di concerto con l’Agenzia del demanio;

B)     in applicazione dell’articolo 86 delle Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito (DPR 602/1973) che dispone il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri (il PRA tenuto dall’ACI) – il fermo in questo caso consiste praticamente nell’iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede – i fermi dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri sono, a loro volta, effettuati in relazione a due situazioni debitorie:

b1) in esecuzione di una cartella esattoriale (DPR 602/1973); b2) in esecuzione di una ingiunzione fiscale o di pagamento (RD 639/1910).  In sostanza che cosa succede a detto veicolo:

  • nella fattispecie A:

–         non può circolare (di solito il documento di circolazione viene trattenuto presso l’organo di Polizia) e se circola è prevista un sanzione amministrativa pecuniaria (da euro 731 a euro 2.928);

  • nella fattispecie B:

–         non può circolare (di solito, però, ha al seguito i documenti di circolazione, almeno fino a quando non è fermato da un organo di Polizia) e se circola è prevista un sanzione amministrativa pecuniaria (da euro 731 a euro 2.928); – non può essere radiato dal PRA: – non può essere demolito od esportato; – se viene venduto, con atto di data certa successiva all’iscrizione del fermo, non – può circolare e non può essere radiato dal PRA; – se il debitore non paga il concessionario della riscossione potrà agire forzatamente per la vendita del veicolo.

E’ opportuno sapere che il veicolo sottoposto a fermo nel primo caso (lettera A) una volta terminato il numero di giorni per i quali era stato previsto il fermo (di solito 30 o 60 giorni) può essere restituito all’avente titolo senza ulteriori procedimenti e soprattutto senza il pagamento di nessuna somma (salvo quella relativa alle spese di custodia se dovute) mentre nel secondo caso (lettera B, sia b1 che b2) la “restituzione” (o per meglio dire la liberazione del veicolo dal vincolo – di per se a tempo indeterminato – scritto nei registri mobiliari) del veicolo può avvenire solo a seguito di una specifica procedura che è comunque successiva e conseguente al pagamento del debito.

Fatta questa necessaria premessa si precisa che:

  • i fermi amministrativi dei veicoli disposti direttamente dagli organi di Polizia (quelli individuati sopra dalla lettera A) possono essere notificati ai destinatari dai MESSI COMUNALI ai sensi del comma 3 dell’articolo 201 del Codice della Strada (D. Lgs. 285/1992) con le procedure previste dal Codice di Procedura Civile;
  • i fermi dei veicoli disposti in relazione alla precedente emissione di una cartella esattoriale (quelli individuati sopra dalla lettera b1) possono essere notificati ai destinatari dai MESSI COMUNALI ai sensi del combinato disposto dell’articolo 26 delle disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito (DPR 602 del 1973) e dell’articolo 60 delle disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (DPR 600/1973) qualora i rispettivi enti abbiano stipulato la specifica convenzione con il concessionario;
  • i fermi dei veicoli disposti in relazione alla precedente emissione di un’ingiunzione fiscale (quelli individuati sopra dalla lettera b2) possono essere notificati ai destinatari dai MESSI NOTIFICATORI (ATTENZIONE: non dai MESSI COMUNALI) all’uopo nominati ai sensi dei commi 158, 159, 160 dell’articolo 1 della finanziaria 2007 ( Legge 296/2006).

Scarica: Circolare 2012-002 Competenza notifica fermi amministrativi


Circolare 001/2012: Il Messo Comunale è competente alla notifica postale?

Riguardo la competenza del Messo Comunale alla notificazione tramite posta bisogna fare riferimento all’art. 149 c.p.c. e alla legge 890/1982. Vedremo poi quali implicazioni questa legge e altre norme determinino riguardo la competenza del messo alle notifiche postali.
L’art. 149 c.p.c. prevede che l’ufficiale giudiziario, se non espressamente vietato dalla legge, possa eseguire per posta la notificazione tramite invio di plico con avviso di ricevimento, con l’obbligatorietà dell’allegazione dello stesso all’atto notificato e detta solo qualche istruzione di massima sulle modalità di attuazione della notifica postale.
Per poter procedere con questa modalità di notificazione era dunque necessaria una legge che stabilisse con maggiore peculiarità tutto il procedimento. A tal proposito è stata emanata la legge 890/1982.
Partiremo da un’analisi della legge 890/1982 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari) per notare immediatamente che la prima figura di agente notificatore cui la stessa si riferisce è l’ufficiale giudiziario, ma non è tuttavia l’unica.
Leggendo quindi il primo articolo della 890/1982:
Art.1
In materia civile, amministrativa e penale, l’ufficiale giudiziario può avvalersi del servizio postale per la notificazione degli atti, salvo che l’autorità giudiziaria disponga o la parte richieda che la notificazione sia eseguita personalmente.
L’ufficiale giudiziario deve avvalersi del servizio postale per la notificazione degli atti in materia civile ed amministrativa da eseguirsi fuori del comune ove ha sede l’ufficio, eccetto che la parte chieda che la notificazione sia eseguita di persona.

Possiamo notare che la norma tratta dei casi in cui l’ufficiale giudiziario possa o debba avvalersi della notifica postale, oltre che delle materie per le quali gli è possibile applicare tale norma.
Potremo quindi notare che in ambedue le situazioni cui l’art.1 si riferisce, la notificazione postale è comunque soggetta anche alla eventuale richiesta della parte, affinché l’ufficiale giudiziario esegua di persona la notificazione.
Proprio tale locuzione ci rende subito chiaro che il legislatore non intende con tale articolo attribuire all’ufficiale giudiziario alcuna competenza extraterritoriale, poiché l’articolo in questione prevede i due casi in cui l’atto, affidato all’ufficiale giudiziario, possa essere notificato per posta nel comune ove ha sede il suo ufficio o diversamente si debba procedere per posta in altro comune (che comunque appartiene al mandamento cui l’ufficiale giudiziario è addetto, che può essere composto da più comuni), poiché diversamente l’ufficiale giudiziario non potrebbe provvedere di persona a quando richiestogli.
Nel primo comma l’ufficiale giudiziario può scegliere di procedere alla notificazione tramite posta, mentre nel secondo comma deve provvedere tramite il servizio postale, tranne ovviamente la eventuale richiesta di provvedere personalmente alla notificazione.
Sappiamo tuttavia che l’ufficiale giudiziario può comunque provvedere alla notificazione postale quando l’atto esorbiti dalla sua sfera di competenza territoriale e con alcuni vincoli per materia.
Per poter attribuirgli tale competenza il legislatore ha previsto espressamente l’art. 107 della legge 1229/1959 (ordinamento degli ufficiali giudiziari) che appunto estende la competenza dell’ufficiale giudiziario fuori del proprio territorio, tramite la notifica postale:
Art. 107
L’ufficiale giudiziario deve avvalersi del servizio postale per la notificazione degli atti in materia civile ed amministrativa da eseguirsi fuori del Comune ove ha sede l’ufficio, eccetto che la parte chieda che la notificazione sia eseguita di persona. In quest’ultimo caso la richiesta deve essere fatta per iscritto in calce o a margine dell’atto e firmata dallo stesso richiedente. Se questi non può o non sa scrivere, l’ufficiale giudiziario deve farne menzione nell’atto indicandone il motivo.
Tutti gli ufficiali giudiziari possono eseguire, a mezzo del servizio postale, senza limitazioni territoriali, la notificazione degli atti relativi ad affari di competenza delle autorità giudiziarie della sede alla quale sono addetti e degli atti stragiudiziali.
La notificazione a mezzo del servizio postale è eseguita secondo le norme previste dal regio decreto 21 ottobre 1923, n. 2393, e dal regolamento di esecuzione del Codice postale approvato con regio decreto 18 aprile 1940, n. 689.

Come inoltre si può notare tale competenza extraterritoriale è limitata agli atti relativi agli affari di competenza della sede alla quale gli ufficiali giudiziari sono addetti e agli atti stragiudiziali, quindi non applicabile in toto a tutta l’attività notificatoria degli stessi.
A riprova che stiamo affrontando correttamente la questione riportiamo una sentenza della Corte di Cassazione proprio sull’argomento:
Cass. civ. Sez. I, 11 febbraio 1995, n. 1544
La l. 20 novembre 1982 ha attribuito all’ufficiale giudiziario la facoltà di ricorrere, in genere, alla notificazione degli atti a mezzo posta, senza nulla immutare quanto alla competenza territoriale. Conseguentemente l’ufficiale giudiziario, a norma degli art. 106 e 107 del D.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229, è tuttora incompetente (con riferimento agli atti giudiziali) per le notificazioni da eseguirsi al di fuori del mandamento ove ha sede l’ufficio al quale è addetto, anche in ipotesi di ricorso alla notifica a mezzo posta, eccettuata, in quest’ultimo caso, la notificazione degli atti relativi ad affari di competenza delle autorità giudiziarie di detta sede.

Ed inoltre a rafforzare la tesi che solo l’ufficiale giudiziario può notificare per posta fuori del proprio territorio aggiungiamo la seguente sentenza, che prende in considerazione l’attività del messo di conciliazione:
Stralcio dalla sentenza di Cass. civ. Sez. II, 21-05-1994, n. 5000. La notificazione degli atti in materia civile per mezzo dei messi di conciliazione è soggetta alla disposizione dettata dell’art. 175, dell’allegato 1, al T.U. approvato con R.D. 28 dicembre 1924, n. 2271, la quale stabilisce che gli uscieri di conciliazione, denominati messi a norma della legge 3 febbraio 1957, n. 16, esercitano le loro funzioni per gli affari di competenza del conciliatore nel territorio di rispettiva giurisdizione.
La competenza delimitata non consente al messo di procedere alla notificazione quando il destinatario dell’atto sia residente fuori dell’ambito territoriale dell’ufficio di conciliazione cui esso è addetto poiché, a norma dell’art. 34 del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 (Ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari), soltanto il messo di conciliazione del luogo dove l’atto deve essere notificato può essere autorizzato dal capo dell’ufficio giudiziario, ove manchino o siano impediti l’ufficiale giudiziario o l’aiutante ufficiale giudiziario e ricorrano motivi di urgenza, a procedere alla notificazione (v. sent. 19 gennaio 1971, n. 264; 4 maggio 1978, n. 2082; 11 dicembre 1987, n. 9165).

La notificazione fuori del territorio di competenza non può essere effettuata neppure per mezzo del servizio postale, non essendo applicabile la disposizione dell’art. 107 del D.P.R. n. 1229 del 1959 che stabilisce, con riferimento ai soli ufficiali giudiziari, che costoro possono eseguire per posta, senza limitazioni territoriali, la notificazione degli atti relativi ad affari di competenza dell’autorità giudiziaria della sede alla quale sono addetti.
Quindi assodato che nell’art. 1 della l. 890/82 non vi sono attribuzioni che consentano la notificazione postale fuori del territorio di competenza dell’agente notificatore, dovremo verificare se la legge in questione rechi qualche disposizione che possa consentire una tale deroga alle proprie competenze. Tuttavia neppure la lettura degli altri articoli consente di estrapolare un tale precetto.
E’ tuttavia vero che grazie all’applicazione della l. 890/1982 le pubbliche amministrazioni provvedono alla notificazione pure al di fuori del proprio territorio di competenza.
Ma tralasciamo un attimo quest’ultima considerazione perché al momento vogliamo porre l’accento sull’ipotesi del ricorso del Messo Comunale alla notificazione postale.
Ora se è pur vero che il Messo Comunale esercita la sua competenza notificatoria in campo amministrativo secondo gli stessi precetti del C.P.C. cui pure ricorre l’ufficiale giudiziario è però anche vero che trattasi di un diverso agente notificatore.
Una attenta lettura della l. 890/1982 ci consentirà di capire entro quali limiti il Messo Comunale possa muoversi.
La legge in questione, infatti, non cita solo la figura dell’ufficiale giudiziario, ma cita pure le competenze alla notifica postale del messo di conciliazione con l’art. 11:
Art. 11.Per la notificazione di atti giudiziari a mezzo posta della nei procedimenti davanti ai giudici conciliatori, le norme degli articoli precedenti si  estendono al messo di conciliazione, in quanto applicabili.
La stessa legge si preoccupa pure di citare le competenze alla notifica postale del Messo Comunale, oltre che i messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria:
Art. 14
La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve avvenire con l’impiego di plico sigillato e può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonché, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge. Sono fatti salvi i disposti di cui agli articoli 26, 45 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi di imposta.
Qualora i messi comunali e i messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria si avvalgano del sistema di notifica a mezzo posta, il compenso loro spettante ai sensi del primo comma dell’art. 4 della legge 10 maggio 1976, n. 249, è ridotto della metà.

L’art.12 della 890/1982 ante modifica ad opera della legge 265/1999 art. 10, prevedeva pure in qual guisa, l’agente di polizia stradale poteva effettuare le notifiche postali, come vedremo meglio in seguito.
Non può dunque sfuggire che la l. 890/82 ha inteso attribuire le specifiche competenze alle varie figure di agenti notificatori che necessitano di operare tramite notificazione postale.
Per il Messo Comunale dunque viene oggi prevista una specifica competenza solo per la notificazione degli atti tributari finanziari (art. 14 legge 890/1982).
Una ulteriore conferma di ciò la troviamo nel regolamento postale approvato con dpr 655/1982 dove l’articolo 163 riporta, in ossequio alla legge 890/1982, la competenza del Messo Comunale alla notificazione postale:
163. Notificazioni ai contribuenti.
Le notificazioni degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente possono essere effettuate dai messi comunali a mezzo della posta, con le stesse norme che regolano la notificazione degli atti giudiziari.

Tuttavia tale articolo contemporaneo alla legge 890/1982 teneva conto della prima stesura dell’art. 14 della stessa, modificato dalla legge 146/1998, qui appresso riportato:
Art. 14.
La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente può eseguirsi a mezzo della posta a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria, secondo  le modalità previste dalla presente legge. Sono fatti salvi i disposti di cui agli articoli 26, 45 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e 60 del decreto  del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi di imposta.

Qualora i Messi Comunali e i messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria si avvalgano del sistema di notifica a mezzo posta, il compenso loro spettante ai sensi del primo comma dell’articolo 4 della legge 10 maggio 1976, n. 249, è ridotto della metà.
Con l’attuale stesura invece non c’è più il generico riferimento agli atti da notificarsi al contribuente, ma la subordinazione all’azione dell’amministrazione finanziaria fa si che il campo di competenza sia ristretto agli atti tributari finanziari e non invece a quelli di competenza degli enti locali.
La conclusione dunque è che il Messo Comunale può notificare per posta solo gli atti finanziari nell’impossibilità che possa adempiervi l’amministrazione finanziaria stessa e solo a patto che i loro destinatari risiedano nel comune territorio di competenza del messo, come abbiamo già sopra provveduto a spiegare.
Nonostante abbiamo già chiarito quali siano le competenze del Messo Comunale, al fine di eliminare altri eventuali dubbi, chiediamoci ora se il Messo Comunale invece non possa, grazie al disposto dell’art. 201 del Codice della strada, avere competenza alla notificazione postale, che come è noto, viene eseguita dagli uffici di Polizia Stradale su tutto il territorio nazionale ai sensi della L. 890/1982.
Prendiamo dapprima in esame tale articolo:
Art. 201
…omissis…
Alla notificazione si provvede a mezzo degli organi indicati nell’art. 12, dei messi comunali o di un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione, con le modalità previste dal codice di procedura civile, ovvero a mezzo della posta, secondo le norme sulle notificazioni a mezzo del servizio postale. Nelle medesime forme si effettua la notificazione dei provvedimenti di revisione, sospensione e revoca della patente di guida e di sospensione della carta di circolazione. Comunque, le notificazioni si intendono validamente eseguite quando siano fatte alla residenza, domicilio o sede del soggetto, risultante dalla carta di circolazione o dall’archivio nazionale dei veicoli istituito presso il Dipartimento per i trasporti terrestri o dal P.R.A. o dalla patente di guida del conducente.
… omissis…

E’ sicuramente certo che il Messo Comunale ha competenza alla notifica delle infrazioni al C.d.s., tuttavia la norma sopra riportata lega la notificazione postale alle norme che la regolano e non alla competenza degli organi indicati nell’art. 12 e dei messi o di un funzionario, cui si fa riferimento immediatamente prima, cioè impongono la scrupolosa osservanza della l. 890/1982.
La immediata conseguenza è dunque che neppure l’agente di polizia stradale in quanto agente notificatore, può ricomprendere nella propria competenza, la notificazione postale.
Saremo ancor più agevolati a chiarire la questione se osserviamo la precedente stesura dell’articolo 12 della 890/1982 , modificato ad opera dell’art. 10 della 265/1999 richiamata esattamente nel DPR 655/1982
Art. 12 ante modifica ad opera della l. 265/1999
Le norme sulla notificazione degli atti giudiziari a mezzo della posta sono anche applicabili alla notificazione dei verbali di contravvenzione alle disposizioni del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393 e successive modificazioni, sulla circolazione stradale, da parte dell’ufficio al quale appartiene il funzionario o l’agente che ha accertato la contravvenzione.
Nel caso in cui il predetto ufficio possa avvalersi del disposto dell’art. 54 del codice postale le tasse di spedizione dei pieghi sono poste a carico del destinatario.
Se il destinatario, o le persone alle quali è autorizzata la consegna del piego, rifiutino di pagare le predette tasse il piego si considera rifiutato e la notificazione si ha come eseguita.

Come si può notare la competenza già allora era posta in capo all’ufficio al quale appartiene il funzionario o l’agente che ha accertato la violazione.
La successiva stesura dell’art. 12 introdotta dalla L. 265/1999 art. 10, altro non ha fatto che ampliare tale potestà notificatoria che ancora una volta è stata attribuita all’ufficio che emana l’atto, stavolta però per tutte le pubbliche amministrazioni (Dlgs 165/2001 art. 1 comma 2).
Torniamo ora al quesito che avevamo lasciato in sospeso.
Perché si ritiene che non essendo insita nella L. 890/1982 una attribuzione di competenza extraterritoriale la stessa invece possa essere attribuita all’ufficio che emette l’atto?
Tale interpretazione su cui ha pure fondato il proprio intervento il legislatore con la L. 265/1999 art. 10, si basa sul fatto che nei casi previsti dall’art. 12 e pure dall’art. 14 (L. 890/1982), per le notifiche effettuate direttamente dall’amministrazione finanziaria, salti il limite della competenza territoriale proprio perché la notificazione avviene non per il tramite di un agente notificatore, ma direttamente ad opera dell’amministrazione pubblica che emana l’atto.
L’insussistenza di tale limite, infatti, è ribadita in diverse sentenze della Corte di Cassazione, anche se indirettamente, negli innumerevoli interventi sulla notificazione delle infrazioni al Codice della Strada. Per tal motivo quando il legislatore ha inteso ampliare la stessa opportunità concessa fino ad allora alle notificazioni delle violazioni al C.d.s. ha modificato l’art. 12 della 890/1982 consentendo a tutte la pubbliche amministrazioni di ricorrere alla notifica postale, anche al fine di impegnare il meno possibile il Messo Comunale, chiamandolo a notificare gli atti delle altre pubbliche amministrazioni che abbiano già tentato invano la notificazione postale:
Art. 10 L. 265/1999
1. Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge.
…omissis…
5. Il primo comma dell’articolo 12 della legge 20 novembre 1982, n. 890, è sostituito dal seguente: “Le norme sulla notificazione degli atti giudiziari a mezzo della posta sono applicabili alla notificazione degli atti adottati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, da parte dell’ufficio che adotta l’atto stesso”.  …omissis…

Si rileva inoltre che la L. 241/1990 all’art. 6 prevede che il responsabile del procedimento curi le notificazioni e sia quindi la figura di riferimento nell’esecuzione della notifica postale effettuata direttamente dall’ufficio che emana l’atto.
Diremo dunque che il Messo Comunale non ha competenza alla notificazione postale né nel proprio territorio né altrove, tranne che per gli atti finanziari, per i quali può eseguire la notificazione tramite posta nel proprio comune, ma trattandosi di eventualità subordinata all’impossibilità di adempiervi dell’amministrazione finanziaria, resta una possibilità assai remota.
Inoltre riguardo l’agente di polizia municipale osserviamo che lo stesso non ha competenza alla notifica postale extraterritoriale  in quanto agente notificatore, ma come previsto dalla precedente stesura dell’articolo 12 della 890/1982, in quanto facente parte dell’ufficio che ha rilevato l’infrazione e quindi la ratio della norma è salvaguardata, poiché nessun agente notificatore in base alla legge 890/1982, può notificare al di fuori del proprio territorio di competenza, tranne l’ufficiale giudiziario, ma nel suo caso non grazie alla l. 890/1982 ma ai sensi della legge 1229/1959 art. 107.
Prendiamo ora in esame la notifica degli atti inerenti i tributi locali e a tal proposito consideriamo la legge 296/2006 (finanziaria 2007) art. 1 comma 161:
161. Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata  con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato.
Gli avvisi di  accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni.
Come possiamo notare per tutti i tributi locali è ora possibile procedere alla notificazione tramite la spedizione di una raccomandata A.R., con valore di notifica. Stiamo cioè parlando della raccomandata A.R. spedita in busta cosiddetta “bianca” e non in busta “verde” a sensi della legge 890/1982.
Quindi in questo caso, poiché non si tratta della busta verde, non sarà necessario prevedere l’apposizione di alcuna relata di notificazione, prevista invece per la “busta verde” e di conseguenza non è richiesto l’intervento di alcun agente notificatore, ma l’ufficio può provvedere direttamente alla spedizione.
Se però volessimo intendere che l’indicazione del legislatore si riferiva in effetti alla “busta verde”, in questo caso avendo già dimostrato che è competente alla notificazione l’ufficio che emette l’atto ed in particolare il responsabile del procedimento, ma non il Messo Comunale, la redazione della relata di notifica sarà realizzata dall’ufficio stesso e non da parte del Messo Comunale, relata necessaria non in quanto eseguita da un agente notificatore (art. 148 c.p.c.), ma poiché espressamente prevista dalla legge 890/1982, anche ai fini del controllo dell’autorità che ha provveduto alla notificazione postale.

Scarica: Circolare 2012-001 Competenza del Messo Comunale alla notifica postale e alla notificazione delle infrazioni al Cds


Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 28-02-2012) 13-04-2012, n. 2098

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 634 del 2012, proposto da:

C.S., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Coronati, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Coronati in Roma, via Tacito, n. 7;

contro

REGIONE LAZIO, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Renato Marini, con domicilio eletto presso l’avv. Renato Marini in Roma, via dei Monti Parioli, n. 48;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I TER, n. 9193 del 23 novembre 2011, resa tra le parti, concernente CONCORSO PUBBLICO PER LA COPERTURA DI 24 POSTI DI DIRIGENTE AREA AMMINISTRATIVA;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2012 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Mazzarolli, per delega dell’avvocato Coronati, e Marini;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
PREMESSO CHE

– con determinazione n. A7282 del 23 dicembre 2010 del Direttore Regionale Organizzazione, Personale, Demanio e Patrimonio della Regione Lazio ha indetto un concorso pubblico, per esami, per la copertura di n. 24 posti, a tempo pieno ed indeterminato, di cui il 50% riservato al personale interno, di Dirigente Amministrativo, nel ruolo del personale della Giunta Regionale, approvandone il bando ed i relativi allegati;

– con sentenza n. 9193 del 23 novembre 2011 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, ha respinto il ricorso proposto dal dr. Stefano Coronari, dipendente di ruolo della Regione Lazio con qualifica di istruttore direttivo tecnico addetto allo sviluppo delle comunitarie ed in possesso della laurea in agraria, per l’annullamento della predetta determinazione, ritenendo infondate tutte le censure sollevate, imperniate sulla omessa inclusione della laurea in agraria tra i titoli di studio validi per l’ammissione al concorso, sulla mancata specificazione delle peculiarità dei posti messi a concorso e sulla prevalenza tra le materie di esame del concorso di quelle giuridiche;

– l’interessato ha chiesto la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità alla stregua di un unico articolato motivo di gravame, rubricato “violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione – violazione della par condicio – eccesso di potere in tutte le sue forme sintomatiche – genericità e confusione dell’azione amministrativa – eccesso e sviamento di potere – contraddittorietà dell’azione amministrativa” e lamentando, in particolare, la non corretta valutazione del suo profilo professionale e della laurea da lui posseduta (a suo avviso del tutto coerente con le lauree individuate nel bando di concorso), nonché delle conseguenze sulla sua progressione di carriera, della omessa previsione tra i requisiti di partecipazione della laurea in agraria, l’inesistenza di una specifica normativa che imponga per l’accesso alla carriera dirigente dell’area amministrativa il possesso della sola laurea in giurisprudenza o di laurea equipollente;

– la Regione Lazio si è costituita in giudizio, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame;

CONSIDERATO CHE:

– i motivi di doglianza sono manifestamente infondati, basandosi sull’inammissibile presupposto secondo cui la Regione Lazio, nel determinare i requisiti di ammissione al concorso in questione ed in particolare i titoli di studio, avrebbe dovuto tener conto del profilo professionale dell’interessato, delle funzioni dallo stesso effettivamente svolte nell’ambito dell’ente esso e delle possibili progressioni di carriera, così intendendo il concorso strumento per l’eventuale valorizzazione delle professionalità interne o per consentire un ragionevole sviluppo della carriera dei dipendenti, laddove esso, secondo i principi delineati dall’articolo 97 della Costituzione, ha la funzione di assicurare il corretto funzionamento degli uffici pubblici, preponendovi quelli che risultano essere i migliori all’esito di un’obiettiva selezione volte ad accertare il possesso di specifici requisiti professionali e culturali;

– non può negarsi peraltro l’esistenza in capo all’amministrazione di un ampio potere discrezionale nell’individuazione dei titoli di studio ritenuti indispensabili per l’ammissione ad un concorso pubblico, potere sindacabile sotto il profilo della legittimità solo nell’ipotesi di manifesta inadeguatezza, irragionevolezza, illogicità o arbitrarietà di tale scelta rispetto alle funzioni inerenti al posto messo a concorso, fattispecie che non si rinviene nel caso di specie;

– è stato affermato inoltre che, quando un bando “richieda il possesso di un determinato titolo di studio per l’ammissione ad un pubblico concorso, senza prevedere il rilievo del titolo equipollente, non è consentita la valutazione di un titolo diverso, salvo che l’equipollenza non sia stabilita da una norma di legge. Il principio poggia sul dovuto riconoscimento in capo all’Amministrazione che indice la procedura selettiva di un potere discrezionale nella individuazione della tipologia del titolo stesso, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire” (Cons. di Stato, VI, 3 maggio 2010, n. 2494; 19 agosto 2009, n. 4994);

RITENUTO in conclusione che l’appello deve essere respinto, con conseguente condanna alle spese del presente grado di giudizio, come da dispositivo;

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore della Regione Lazio delle spese del presente grado di giudizio che liquida complessivamente in Euro. 2.500,00 (duemilacinquecento).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore

Raffaele Prosperi, Consigliere


Possono bastare tre telefonate private dall’ufficio per rischiare il licenziamento

La Suprema Corte di Cassazione torna a fare chiarezza su cosa si rischia a fare telefonate private dal proprio ufficio. Secondo i giudici si può anche perdere il posto di lavoro. Le telefonate private effettuate dall’ufficio, infatti, possono ledere il rapporto di fiducia con l’azienda se vengono fatte da chi svolge un’attività che richiede particolare attenzione.
Tale spiegazione arriva dalla sezione lavoro della Corte Suprema di Cassazione che ha confermato la legittimità di un licenziamento comminato ad un addetto alla sorveglianza che lavorava all’ingresso di un presidio ospedaliero. Nell’arco di tre giornate aveva fatto diverse telefonate private ciascuna della durata di circa un’ora. Dopo l’accaduto l’istituto di vigilanza che aveva in appalto i servizi, intimava il licenziamento al sorvegliante dopo aver appreso l’esito dei controlli effettuati dallo stesso ospedale. Il caso finiva in cassazione dove il lavoratore, che tra le altre cose aveva sostenuto che nel caso di specie era stata lesa la sua privacy con dei controlli a distanza. La Corte ha respinto il ricorso facendo notare che “è stato conferito giusto risalto al tipo di attività svolta dall’addetto alla sorveglianza all’ingresso del presidio ospedaliero, che richiede particolare attenzione per evitare il rischio di intrusioni di soggetti non autorizzati, eventualmente pericolosi, in un ambiente quale quello ospedaliero, evidenziandosi anche il pregiudizio rispetto alla perdita di future commesse da parte della società che aveva in appalto il servizio”.
La Corte Suprema di Cassazione ha spiegato, inoltre, che poco importa se “analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro”. Tutto dipende dal tipo di mansione che viene svolta nel posto di lavoro.


Albo pretorio on line e privacy dei cittadini

Trascorsi i tempi previsti dalla legge per pubblicare documenti nell’albo pretorio on line, il Comune deve rimuovere dal sito istituzionale quelli che contengono dati personali o renderli anonimi. La diffusione di informazioni in grado di identificare le persone oltre i termini stabiliti è illecita.

Lo ha affermato il Garante nel vietare ad un Comune di diffondere ulteriormente in Internet, oltre i 15 giorni stabiliti dalla norma, i dati personali di una donna contenuti in una deliberazione della Giunta comunale. Il Comune, inoltre, dovrà apportare le necessarie modifiche per mettersi in regola con le Linee guida adottate nel 2011 dal Garante in materia di pubblicazione on line dei documenti. Il caso è stato sollevato da una donna che si è rivolta all’Autorità lamentando una illecita diffusione di dati a causa della permanenza sul sito del Comune, oltre i termini di legge, di una delibera di giunta comunale contenente nome e cognome, indirizzo e dispositivo di una sentenza di rigetto di un ricorso presentato contro un accertamento Ici. Informazioni che anche dopo un primo intervento del Garante e nonostante le modifiche apportate dal Comune continuavano ad essere presenti sul sito. Pur avendo infatti modificato le modalità di pubblicazione delle delibere riguardanti i ricorsi, sostituendo i nominativi dei ricorrenti con degli omissis, la delibera con il nome della donna era sempre reperibile sul sito, determinando così una illecita diffusione di dati non consentita da alcuna norma. Con separato provvedimento l’Autorità sta valutando gli estremi per contestare al Comune una sanzione amministrativa per l’illecito commesso.

Leggi: Prescrizioni del Garante per la pubblicazione di deliberazioni contenenti dati personali sull’albo pretorio online di un Comune – 23 febbraio 2012