Determina di nomina a Messo Notificatore (L. 296/2006)

Il testo sotto riportato si riferisce alla nomina di Messo Notificatore previsto dalla L. 296/2006 (Finanziaria 2007)

COMUNE di _________________

(Provincia di __________)

Settore_______________

Prot. n._____

Oggetto: Nomina del Sig.__________________________ quale MESSO NOTIFICATORE ai sensi della Legge n. 296 del 27.12.2006, art. 1 commi 158, 159, 160 e 161.

IL DIRIGENTE DELL’UFFICIO TRIBUTI

VISTO l’art. 1 della Legge n. 296 del 27.12.2006, (Finanziaria per il 2007), commi 158, 159, 160 e 161, che testualmente recitano:

  • Comma 158. “Per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie dei comuni e delle province, ferme restando le disposizioni vigenti, il dirigente dell’ufficio competente, con provvedimento formale, può nominare uno o più messi notificatori”.
  • Comma 159. “I messi notificatori possono essere nominati tra i dipendenti dell’amministrazione comunale o provinciale, tra i dipendenti dei soggetti ai quali l’ente locale ha affidato, anche disgiuntamente, la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei tributi e delle altre entrate ai sensi dell’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, nonché tra soggetti che, per qualifica professionale, esperienza, capacità ed affidabilità, forniscono idonea garanzia del corretto svolgimento delle funzioni assegnate, previa, in ogni caso, la partecipazione ad apposito corso di formazione e qualificazione, organizzato a cura dell’ente locale, ed il superamento di un esame di idoneità”.
  • Comma 160. Il messo notificatore esercita le sue funzioni nel territorio dell’ente locale che lo ha nominato, sulla base della direzione e del coordinamento diretto dell’ente ovvero degli affidatari del servizio di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate ai sensi dell’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni. Il messo notificatore non può farsi sostituire né rappresentare da altri soggetti.
  • Comma 161. Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato.

Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni.

CONSIDERATO:

1.       che la nomina deve essere effettuata ai sensi dell’art. 1, comma 159 della Legge n. 296 del 27.12.2006, dal Dirigente dell’Ufficio competente, previa partecipazione ad apposito corso di formazione e qualificazione, organizzato a cura dell’ente locale, e il superamento di un esame di idoneità.

2.       che il Sig. __________________________ (inserire la qualifica) è stato autorizzato a partecipare all’apposito corso di formazione organizzato da __________________________

3.       che il suddetto corso ha avuto la durata di __ giorni per complessive ore ___, a conclusione del quale il Sig.__________________________ è stato sottoposto ad esame finale conseguendo il seguente risultato: “______________________” come risulta dal relativo attestato rilasciato da ____________ che viene acquisito agli atti d’ufficio di questo Ente, e che pertanto è da ritenersi idoneo;

RAVVISATA, pertanto la necessità di procedere alla nomina del Sig.______________________ quale MESSO NOTIFICATORE, ai sensi del comma 158 dell’art. 1, il quale sarà competenti per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al Testo Unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie;

NOMINA

Il Sig.________________________________nato a __________________ il ______________ (inserire la qualifica) quale MESSO NOTIFICATORE di questo Comune ai sensi del comma 158 dell’art. 1, il quale sarà competente per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al Testo Unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie, su tutto il territorio Comunale.

Data ______________

IL DIRIGENTE

____________________


Circolare 006/2010: Messo Comunale e Messo Notificatore: quali competenze?

Il Messo Comunale rappresenta l’organo notificatore per antonomasia dell’amministrazione Comunale.

Questa figura appare già nel R.D. 642/1907 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), insieme all’ufficiale giudiziario, quale agente notificatore nei ricorsi al Consiglio di Stato.

Tale competenza è perdurata fino a quest’anno quando il Dlgs. 104/2010, di adozione del codice del processo amministrativo, ha abrogato il regio decreto anzidetto e di conseguenza il Messo Comunale perde la competenza alla notifica dei ricorsi davanti al Consiglio di Stato, davanti al T.A.R., e del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, le cui modalità di notifica si ricollegano a quelle davanti al Consiglio di Stato. Oggi la competenza alla notifica di questi atti è esclusivamente dell’ufficiale giudiziario, ma a dire il vero le occasioni di procedere a queste notificazioni erano già molto scarse.

La norma che però ha consacrato il Messo Comunale quale organo notificante dell’ente comune, è stato il T.U.L.C.P. del 1934 che, con l’articolo 273 ne sanciva la competenza, sia riguardo gli atti della propria amministrazione, sia rispetto quelli delle altre.

Era, inoltre, prevista la nomina prefettizia, venuta a cadere con l’adozione del nuovo ordinamento degli enti locali, la legge 142/1990.

Detta legge, abrogando l’art. 273 del T.U.L.C.P., non menzionò più il Messo Comunale e così sembrò quasi che il Messo Comunale dovesse aver perso le sue funzioni.

C’è però da dire che il Messo Comunale continuava ad esistere in altre norme, quali l’articolo 60 del D.P.R. 600/1973 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), l’art. 26 del D.P.R. 602/1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), l’art. 201 del Codice della Strada, la legge 833/1978 art. 35 (T.S.O.) e come già detto il R.D. 642/1907 e di conseguenza, dimostrato che ogni comune doveva possedere ancora almeno un Messo Comunale, la sua competenza di notificazione degli atti della propria amministrazione continuava implicitamente ad esistere. Questo nonostante la sua figura non fosse più menzionata dalla legge 142/1990 (Ordinamento delle autonomie locali) né nel Dlgs. 267/2000 che l’ha sostituita.

Sulla questione dovette intervenire pure il Ministero degli Interni che, con la circolare 7/92 P.E.L. 15700.6.5 del 04/07/1992, precisava che la figura del Messo Comunale doveva essere prevista nello statuto dell’ente e che in via provvisoria, fino all’emanazione dello statuto stesso, fosse il Sindaco ad individuare i messi comunali ai quali affidare lo specifico incarico.

Inoltre la mancanza di una norma che specificasse la sua potestà notificatoria in senso generale, per tutti gli atti delle amministrazioni richiedenti, ha pure fatto ritenere che in mancanza di specifiche norme che ne prevedessero la competenza, tranne quelle ancora sussistenti, il Messo Comunale, dopo il 1990, non potesse più notificare alcuni di questi atti amministrativi (Corte Suprema di Cassazione, Civ., sez. I, sent. n. 9914 dell’11/05/2005).

Ci fu quindi bisogno di riaffermare esplicitamente la competenza del Messo Comunale e questo fu fatto con l’art. 10 della legge 265/1999 (Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142)

Con tale norma inoltre si metteva mano al caos che si era venuto a creare in seguito alla richiesta di pagamento del servizio di notificazione che ogni comune rendeva, su richiesta delle altre pubbliche amministrazioni, ma che in mancanza di specifiche disposizioni legislative, veniva organizzato in modi del tutto diversi, relativamente alle modalità di pagamento e ai relativi importi.

Ciò che non viene specificato però è che il Messo Comunale, nonostante abbia competenza generale alla notifica degli atti amministrativi, non può tuttavia intervenire nei procedimenti che le norme speciali prevedono debbano essere affidati ad altri agenti notificatori.

Succede così che il Messo Comunale non può notificare le indennità provvisorie di esproprio e i relativi decreti, poiché il D.P.R. 327/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), artt. 20 e 23, prevede che tali notificazioni debbano essere effettuate nella forma degli atti processuali civili e quindi tramite ufficiale giudiziario.

Abbiamo già visto, inoltre, che il Messo Comunale non è più competente alla notificazione dei ricorsi davanti al T.A.R., al Consiglio di Stato e neppure il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Inoltre, in quanto espressamente richiamato dalle relative norme, il Messo Comunale è invece competente alla notificazione degli atti tributari finanziari, secondo il disposto dell’art. 60 del D.P.R. 600/1973. Tale articolo, che introduce alcune importanti modifiche al procedimento di notifica previsto dal C.P.C., dettato inizialmente per la fase di accertamento delle imposte dirette, rappresenta ormai una norma di carattere generale per la notifica di gran parte degli atti dell’amministrazione finanziaria, anche se non di tutti.

Il Messo Comunale potrebbe pure partecipare alla fase di riscossione delle entrate tributarie statali e non, ma la sua competenza è subordinata ad eventuale convenzione con “Riscossioni S.p.a” e società partecipate (oggi Equitalia, caratterizzata nelle diverse filiali locali a base regionale e Riscossioni Sicilia S.p.a., che per semplificazione nel successivo testo indicheremo solo come Equitalia).

Il Messo Comunale è pure competente alla notificazione delle infrazioni al Codice della Strada, come espressamente previsto dall’art. 201 dello stesso, tranne il particolare caso citato nell’art. 126-bis (quando il provvedimento, proveniente dal Dipartimento dei Trasporti terrestri, in seguito alla perdita dei punti della patente, comunica la sospensione della patente e il suo contestuale ritiro e prevede che sia notificato dalle figure di cui all’art. 12 del C.d.S.).

Inoltre il Messo Comunale notifica pure gli atti amministrativi per i quali non siano previste particolari formalità, né competenze; infatti, come abbiamo già detto, l’art. 10 della legge 265/1999 gli conferisce una potestà generale di notificazione degli atti provenienti dai soggetti di cui all’art. 1 c. 2 del Dlgs. 165/2001 (Enti Pubblici) e conseguentemente, degli atti provenienti dalle società concessionarie di pubbliche funzioni, la cui natura di atti amministrativi fonda la propria essenza proprio nella traslazione di poteri che opera con l’adozione della concessione.

Intanto, già nel 1997, il legislatore aveva messo quelle che poi sarebbero state le basi per l’introduzione della figura del “Messo notificatore”, quale altro agente notificatore, assieme al Messo Comunale, limitatamente alla notificazione di determinati atti volti al recupero delle entrate tributarie ed extratributarie.

Infatti, con il Dlgs. 446/1997 art. 52, viene data agli enti locali la possibilità di gestire in proprio il recupero delle entrate tributarie e non, anche attraverso l’affidamento a società concessionarie, tramite lo strumento della ingiunzione fiscale (art. 2 R.D. 639/1910).

Ma è solo con l’adozione della legge 248/2005, che si farà più concreta la necessità di organizzare al meglio, la possibilità concessa agli enti locali, di riscuotere in proprio le somme derivanti dalle entrate sopra menzionate.

Nasce così il gestore unico nazionale “Equitalia” e nel contempo si prevede che le precedenti concessionarie, che già riscuotevano per conto degli enti locali, possano continuare a farlo mediante nuova concessione da stipularsi con questi e così dall’ottobre 2006, alcuni comuni affidano a queste società, la riscossione delle loro entrate tributarie ed extratributarie.

Poiché però la cartella esattoriale è lo strumento usato dal gestore nazionale, a queste concessionarie viene riservato uno strumento diverso e più datato, l’ingiunzione fiscale, già prevista dal regio decreto 639/1910 (art. 52 del D.lgs. 446/1997 art. 52 c. 6, ultimo periodo).

Nello spirito dell’autonomia riconosciuta all’ente locale e al fine di facilitare la gestione in proprio o tramite società concessionaria, erano già state emanate nel 2002 alcune norme ad opera della legge 265/2002 art. 4, che conferivano, in quanto compatibili, le stesse modalità di intervento per il recupero del credito, riconosciute agli allora concessionari (oggi invece a Equitalia), agli enti locali (o concessionarie degli stessi), consentendo  loro di operare ai sensi D.P.R. 602/1973, Capitolo II (Riscossione coatta a seguito di mancato pagamento della cartella esattoriale).

Quindi, oltre all’ingiunzione fiscale, che opera per l’ente locale o concessionaria, in sostituzione della cartella esattoriale, queste concessionarie possono emettere altri atti propri della riscossione coattiva, quali ad esempio il fermo amministrativo dell’autoveicolo. Per tutti questi atti, la competenza alla notifica è dell’ufficiale giudiziario, figura deputata a ciò dalle norme civilistiche e pure dal R.D. 639/1910 art. 2 che, per l’ingiunzione fiscale, prevede pure la competenza del Messo di conciliazione (oggi Messo del giudice di pace), ma non del Messo Comunale.

Per poter migliorare quindi, le opportunità di intervento degli enti locali o di queste concessionarie affidatarie del servizio, è intervenuta la finanziaria 2007 (L. 296/2006 art. 1, c. 158, 159, 160) che ha previsto una nuova figura di agente notificatore, il cosiddetto “Messo notificatore”, diverso dal “Messo Comunale”.

Il “Messo notificatore” può essere nominato sia tra i dipendenti dell’ente locale sia tra quelli della concessionaria, deve sostenere un corso di preparazione con esame finale e superato questo esame, viene nominato con provvedimento formale dal dirigente dell’ufficio competente, di solito il dirigente dell’ufficio tributi, per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie.

Quindi il “Messo notificatore” ha una competenza limitata agli atti descritti, ma può tuttavia notificare le ingiunzioni fiscali e gli atti afferenti le procedure esecutive, come ad esempio i fermi amministrativi, che invece non sono di competenza del “Messo Comunale”. La sua competenza è limitata agli atti della propria amministrazione, anche se non si può escludere che, qualora la nomina di “Messo Comunale” e di “Messo notificatore” (ex finanziaria 2007) convivano nello stesso soggetto, possa pure procedere alla notifica dei particolari atti notificabili con la qualifica di “Messo notificatore” quali le “ingiunzioni” e i “fermi” sopra descritti, provenienti da amministrazioni pubbliche esterne.

Quindi il Messo Comunale e il Messo notificatore possono entrambi notificare gli atti di accertamento dei tributi locali, nonché gli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie, della propria amministrazione. Solo il Messo notificatore invece può notificare gli atti afferenti le procedure esecutive di cui al R.D. 639/1910. Il Messo notificatore però, non ha competenza generale alla notifica degli atti della propria e delle altre pubbliche amministrazioni che invece compete al “Messo Comunale”.

A completamento del discorso, noteremo che a volte, i colleghi che operano quali messi comunali, non sono in effetti inquadrati o non hanno ricevuto una nomina appropriata, bensì sono stati genericamente definiti messi notificatori.

Mentre nel periodo antecedente alla finanziaria 2007, non c’era possibilità di dubbio in merito alle effettive competenze di questi soggetti, dopo l’entrata in vigore della legge 296/2006, è quanto mai opportuno che sia attribuita loro la corretta qualifica.

Il problema è particolarmente evidente se l’attribuzione della nomina è successiva all’emanazione della L. 296/2006, poiché il dubbio sull’effettiva competenza di questo agente notificatore potrebbe indurre a tentazioni di invalidazione della notificazione, salvo poi poter dimostrare, da parte dell’amministrazione Comunale l’effettiva qualità del soggetto notificante.

Quadro sinottico delle competenze

MESSO COMUNALE

MESSO NOTIFICATORE

  • Tutti gli atti della propria e altre pubbliche amministrazioni non esclusi da specifiche norme di legge (art. 10 legge 265/1999)
  • Atti finanziari (art. 60 del D.P.R. 600/1973)
  • Cartelle esattoriali, ma solo previa specifica convenzione con Equitalia (art.26 del D.P.R. 602/1973)
  • Infrazioni al Codice della Strada (art. 201 C.d.S. tranne il caso ex art. 126-bis C.d.S.)
  • Atti del contenzioso tributario (artt. 16 e 17 D.P.R. 546/1992)

Per maggiore completezza si precisa che:

  • anche le ordinanze ingiunzioni ai sensi della L. 689/1981, sono di competenza del Messo Comunale, anche se non specificamente citato.
  • anche gli atti di accertamento dei tributi locali sono di competenza del Messo Comunale e così gli altri atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie dl proprio ente e delle altre amministrazioni, tranne gli atti sotto  elencati.

Non sono di competenza del Messo Comunale:

  • le ingiunzioni fiscali (R.D. 639/1910 art. 2);
  • i fermi amministrativi delle autovetture (ferma invece restando la competenza alla notifica dei fermi amministrativi derivanti da infrazioni al C.d.S.)
  • Le notifiche postali di atti fuori del proprio territorio (mentre nel proprio territorio potrebbe notificare gli atti finanziari, nell’impossibilità possa provvedervi l’amministrazione finanziaria (art. 14 L. 890/1982) , ma trattasi di possibilità molto remota, che si traduce nel mancato ricorso alla notifica postale).
  • Le cartelle esattoriali in mancanza di preventiva convenzione con Equitalia.
  • Gli atti della propria amministrazione di accertamento dei tributi locali e quelli afferenti le procedure esecutive di cui al R.D. 639/1910, ingiunzione fiscale, fermo amministrativo.
  • Gli atti di invito a pagamento delle entrate extratributarie del proprio ente.

Vedi: Determina per la nomina a Messo Notificatore (L.296/2006)

Vedi: Modello di atto di attribuzione delle funzioni di Messo Comunale (determinazione dirigenziale)


Le linee guida dell’ANCI per gli adempimenti della riforma

Con la circolare del 4 giugno 2010 l’ANCI ha definito alcune linee guida a cui si devono conformare i comuni a seguito del decreto Brunetta. Importante in questo documento è la tabella riassuntiva che evidenzia lo stato dell’arte tra gli strumenti attualmente in uso e le richieste del D.Lgs 150/2009.

Il documento “L’applicazione del decreto prime linee guida” interpreta in modo generalista la riforma, mentre il documento “Linee guida della performance” schematizza con una interessante tabella gli ambiti in cui le richieste del decreto vanno ad impattare sulle strutture già esistenti negli enti locali, un indice della situazione a cruscotto evidenzia i punti su cui si dovrà operare per adeguare le strutture esistenti.

Tre sono gli ambiti in cui si deve intervenire:

1) Definizione e assegnazione degli obiettivi

2) Collegamento tra obiettivi e allocazione di risorse

3) Misurazione della performance organizzativa ed individuale

Di fatto però ci sono molti altri ambiti in cui intervenire radicalmente, questo perché ci sono delle necessità da attivare ex novo (es. l’Organismo indipendente di valutazione) oppure altri organismi che alcuni enti anno già attivato mentre altri ancora non si sono mossi (es. Carta dei servizi)

Leggi: L’applicazione del decreto prime linee guida

Leggi: Linee guida della performance


PROMOZIONE !!! al 7 settembre


Riunione Consiglio Generale del 15.05.2010

Ai sensi dell’Art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione del Consiglio Generale che si svolgerà sabato 15 maggio 2010 alle ore 07:30 presso il Comune di Parma – Largo Torello de Strada 11/A, in prima convocazione, e alle ore 9:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;
  2. Quale futuro per il Messo Comunale? La posizione dell’Associazione;
  3. Varie ed eventuali

Leggi: Verbale CG del 15 05 2010


Pubblico dipendente timbra e poi esce per qualche ora? Vanno riconosciute attenuanti generiche per “lieve entità” del reato

La Cassazione ha stabilito che ha diritto al riconoscimento dell’attenuante il dipendente pubblico che, condannato per truffa, timbra il cartellino ma poi esce solo per qualche ora. I giudici di Piazza Cavour hanno, infatti, precisato che l’attenuante riconosciuta all’imputato si basa sulla lieve entità della truffa.

Un dipendente comunale, si assentava ma gli episodi di assenteismo ingiustificato erano stati solo tre e, per di più, di poche ore. Inoltre, la Corte Suprema di Cassazione, scagionando il dipendente dall’accusa di falso in atto pubblico, in quanto i registri delle presenze non hanno la qualità di atti pubblici, ha però confermato la condanna per truffa aggravata continuata, in quanto, come si legge dalla motivazione che hanno dato i giudici di legittimità, “la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare, come nel caso concreto, economicamente apprezzabili”.

Però, ha aggiunto la Corte di Cassazione Penale, sezione seconda – Sentenza n. 32290 del 24/08/2010, è necessario riconoscere l’attenuante (“lieve entità”) al dipendente in quanto gli episodi di assenteismo ingiustificato accertati, sarebbero limitati nel tempo a soli tre episodi.


Gli ufficiali giudiziari intoccabili di Venezia

La presidente della Corte d’Appello ha provato a trasferirne alcuni. Ma su 36 dipendenti, 18 sono rappresentanti di una organizzazione

Lavorano la metà dei colleghi di Padova ma non si spostano La motivazione. Il giudice del lavoro ha dato ragione all’ultimo trasferito: deve stare vicino ai colleghi che tutela

Insieme con l’uomo più alto del mondo (Wang Fenjun: 245 centimetri) e la partita con più gol («Club 30 aprile» batte «Oriental» 73-0, campionato regionale di Achay, Paraguay) anche la Corte d’Appello di Venezia può entrare nel Guinness dei primati.

Su 36 ufficiali giudiziari ci sono la bellezza di 18 sindacalisti. Uno ogni due. Sono costretti a battersi disperatamente nella trincea dei diritti dell’uomo contro le feroci sopraffazioni dell’infame sistema giudiziario dal quale sono schiavizzati? Non esageriamo: più semplicemente, non vogliono neppure correre il minimo rischio di essere trasferiti in uffici dove si lavora di più. E con queste regole se sei un sindacalista sei più inamovibile della piramide di Cheope.

Ne sa qualcosa Manuela Romei Pasetti, la prima donna a reggere una Corte d’Appello in Italia, che qualche mese fa, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, aveva già lanciato l’allarme sulle carenze di organico che angosciano la giustizia veneta. Un esempio? «Trascorrono mediamente 272 giorni tra la sentenza di 1° grado e l’arrivo alla Corte d’Appello». Un altro? Un processo su sei arriva «oltre un anno dalla pronuncia della sentenza di primo grado. Se si considerano gli ulteriori tempi per l’iscrizione sul registro generale della Corte d’Appello, i giorni diventano mediamente 330». Risultato: i giudici costretti a lavorare il triplo rispetto ai loro colleghi di Milano (297 contro 100 procedimenti, nel penale) devono fissare le udienze addirittura nel 2017.

Bene: sul fronte delle notifiche la Corte è messa altrettanto male, se non peggio. Una tabella dice tutto: gli ufficiali giudiziari in servizio a Venezia, pur avendo un carico di lavoro abissalmente inferiore ai colleghi di Padova o di Verona, sono quasi pari a quelli in servizio a Padova, Treviso, Belluno, Rovigo e Vicenza messi insieme. Tanto è vero che, stando alla media riassuntiva calcolata su 250 giorni di lavoro l’anno, ogni ufficiale giudiziario (ce ne sono di 2 tipi: categoria C1 e categoria B3, ma si tratta di distinzioni che qui non ci interessano) deve occuparsi di 12 atti a Venezia, 17 a Belluno, 25 a Treviso, 31 a Rovigo, 35 a Verona, 38 a Vicenza, 42 a Padova.

Cosa farebbe qualunque amministratore al mondo? La risposta è ovvia: cercherebbe di ridurre il personale a disposizione a Venezia e di incrementare al contrario quello in difficoltà nelle altre sedi. Ed è esattamente quello che la Romei Pasetti aveva chiesto al ministro della giustizia Angiolino Alfano con una lettera ufficiale del 20 febbraio 2009. Urgeva una modifica degli organici: 5 in meno a Venezia, 5 in più a Padova, 4 in più Verona. Macché: il ministero rispondeva accontentando solo in parte Padova e Verona e aggiungendo una persona in più (pensa te!) nella già sovraccarica Venezia.

Cosa poteva fare, a quel punto, la presidente? Non le restava che cercare di smistare meglio qua e là gli ufficiali giudiziari, pur sapendo che i paletti burocratico-sindacali sono rigidissimi almeno quanto discutibili e controversi. Stando all’articolo 18 del contratto nazionale quadro, infatti, quanti hanno una responsabilità sindacale non possono essere trasferiti d’imperio senza il nullaosta del sindacato. Giusto. Sennò questo genere di provvedimenti potrebbe essere usato in maniera arbitraria, per punizione. L’articolo 15 del contratto nazionale integrativo, però, allarga il divieto anche alla cosiddetta «applicazione». Vale a dire il momentaneo spostamento di una persona in un altro ufficio per motivi di servizio. Il tutto anche se, secondo la Romei Pasetti, una sentenza della Cassazione (la 12121/2002) avrebbe «espressamente escluso che la tutela della stabilità del rappresentante sindacale vada applicata a qualsiasi spostamento dalla originaria unità produttiva». Ovvio: un ruolo sindacale non può essere la copertura a una inamovibilità assoluta che pregiudichi il funzionamento dell’ufficio. Tanto più in una situazione come quella che abbiamo descritto: 7 sindacalisti su 19 ufficiali giudiziari inquadrati sotto la sigla B3, addirittura 11 su 17 sotto la sigla C1.

Ed è così che la presidente ha deciso di spostare tre persone per tre o sei mesi (a decorrere dal 12 aprile 2010) da Venezia a Padova e Cittadella. Eh no, è saltato su Enrico Basile: come si permetteva di spostarlo per 180 giorni a ben 39 chilometri di distanza (da 14 a 26 minuti di treno, a seconda dei tipi) senza aver prima chiesto il nullaosta al sindacato? Il giudice del lavoro gli ha dato ragione: il sindacalista, sacro come il dente di Buddha a Kandi, non poteva essere sottratto al suo rapporto diretto e quotidiano con i colleghi che tutela. Quotidiano, si fa per dire: sapete di quanti permessi sindacali ha usufruito negli ultimi cinque anni il protagonista di questa storia?

Uno: il 15 febbraio 2007. E la giustizia non funzionerebbe per colpa della mancata separazione delle carriere? Ma per favore….

Articolo di Gian Antonio Stella

pubblicato su Il Corriere della Sera [1] del 12 maggio 2010

[1] Corriere della Sera


Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-06-2010) 24-08-2010, n. 32290

Pubblico dipendente che attesta falsamente la sua presenza sul posto di lavoro – La falsa attestazione della presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata quando il dipendente si allontana senza far risultare i periodi di assenza. Tuttavia, quando le assenze si limitano complessivamente a poche ore, va riconosciuta l’”attenuante del valore lieve”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BARDOVAGNI Paolo – Presidente

Dott. PAGANO Filiberto – rel. Consigliere

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere

Dott. GALLO Domenico – Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) P.S., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 5212/2006 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 08/10/2008;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIBERTO PAGANO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gialanella Antonio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il difensore di P.S. ricorre avverso la sentenza sopra indicata che ha confermato la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di truffa continuata aggravata commessa quale dipendente del comune di (OMISSIS) alterando il registro delle presenze e facendo figurare una non effettuata presenza in ufficio. La Corte ha assolto il P. dal delitto di falso rilevando che i registri delle presenze non hanno la qualità di atti pubblici.

Il ricorrente deduce difetto di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di truffa rilevando che gli accertati non buoni rapporti con gli altri dipendenti inficiano la valenza delle testimonianze relative alle assenze dall’ufficio che comunque furono limitate a poche ore, dato che doveva consentire la concessione “dell’attenuante del valore lieve”.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che statuisce che la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro, ed è dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata, ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare, come nel caso concreto, economicamente apprezzabili (Cass. 2, 6.10.06 n. 34210, depositata 12.10.06, rv. 23530; Cass. 2, 16.3.04 n. 19302, depositata 26.4.04, rv. 229439). Le doglianze in ordine alla valutazione probatoria sono inammissibili risolvendosi in una assertiva negazione di quanto non illogicamente considerato dalla Corte territoriale e sopra tutto dal giudice di primo grado. Ai sensi del disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è manifestamente carente di motivazione o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti operata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali (Cass. S.U. 19.6.96, De Francesco).

Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

E’ invece fondato l’ultimo motivo di ricorso non avendo il giudice di appello dato risposta alla richiesta di applicazione dell’attenuante chiesta essendo il fatto accertato limitato ai giorni 24, 27 e 30 dicembre 2010.

All’annullamento segue la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per la verifica della sussistenza della chiesta attenuante, fermo restando il passaggio in giudicato dell’affermazione di colpevolezza per il delitto, in quanto nella fattispecie vale il principio che il giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive successive all’annullamento parziale, trattandosi di cause sopravvenute non incidenti su quanto deciso in maniera definitiva (Cass. S.U. 23.5.97 n. 4904, ud. 26.3.97, rv. 207640).

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla omessa pronuncia sulla richiesta dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per il giudizio sul punto.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il data 25 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2010


Riscatto dei periodi di occupazione in lavori socialmente utili (LSU) ai fini della misura della pensione.

Con la circolare n. 33 del 5/3/2010, l’INPS, in attuazione a quanto previsto dall’art. 8, comma 19, del D.Lgs. n. 468/1997, dà la facoltà di riscattare, ai fini della misura della pensione, i periodi di lavoro socialmente utili (LSU) svolti a decorrere dallo agosto 1995, per i quali attualmente risulta solamente l’accredito del relativo contributo figurativo valido esclusivamente ai fini dell’anzianità utile (diritto) alla pensione.
La possibilità di riscatto all’INPS non è soggetta a termini di scadenza, tuttavia, precisiamo che i periodi riscattati possono essere successivamente ricongiunti all’INPDAP ai sensi della Legge n. 29/1979 e, l’eventuale costo, sarà determinato sulla retribuzione in godimento al momento della presentazione della domanda di ricongiunzione all’INPDAP.
Gli interessati possono rivolgersi, per informazioni, allo Sportello Unico dell’Ufficio Pensioni del proprio Comune


Legge n. 136 del 13 agosto 2010

Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia

(pubblicata nella G.U. n. 196 del 23 agosto 2010)

Art. 1. Delega al Governo per l’emanazione di un codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione

1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.

2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è adottato realizzando:

a) una completa ricognizione della normativa penale, processuale e amministrativa vigente in materia di contrasto della criminalità’ organizzata, ivi compresa quella già contenuta nei codici penale e di procedura penale;

b) l’armonizzazione della normativa di cui alla lettera a);

c) il coordinamento della normativa di cui alla lettera a) con le ulteriori disposizioni di cui alla presente legge e con la normativa di cui al comma 3;

d) l’adeguamento delle normativa italiana alle disposizioni adottate dall’Unione europea.

3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, previa ricognizione della normativa vigente in materia di misure di prevenzione, il Governo provvede altresì a coordinare e armonizzare in modo organico la medesima normativa, anche con riferimento alle norme concernenti l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, aggiornandola e modificandola secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere, in relazione al procedimento di applicazione delle misure di prevenzione:

1) che l’azione di prevenzione possa essere esercitata anche indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale;

2) che sia adeguata la disciplina di cui all’articolo 23-bis della legge 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni;

3) che le misure di prevenzione personali e patrimoniali possano essere richieste e approvate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione;

4) che le misure patrimoniali possano essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. Nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento, che esso prosegua nei confronti degli eredi o, comunque, degli aventi causa;

5) che venga definita in maniera organica la categoria dei destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, ancorandone la previsione a presupposti chiaramente definiti e riferiti in particolare all’esistenza di circostanze di fatto che giustificano l’applicazione delle suddette misure di prevenzione e, per le sole misure personali, anche alla sussistenza del requisito della pericolosità del soggetto; che venga comunque prevista la possibilità di svolgere indagini patrimoniali dirette a svelare fittizie intestazioni o trasferimenti dei patrimoni o dei singoli beni;

6) che il proposto abbia diritto di chiedere che l’udienza si svolga pubblicamente anziché in camera di consiglio;

7) che l’audizione dell’interessato o dei testimoni possa avvenire mediante video-conferenza ai sensi degli articoli 146-bis e 147-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e successive modificazioni;

8) quando viene richiesta la misura della confisca:

8.1) i casi e i modi in cui sia possibile procedere allo sgombero degli immobili sequestrati;

8.2) che il sequestro perda efficacia se non viene disposta la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario e, in caso di impugnazione del provvedimento di confisca, se la corte d’appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso;

8.3) che i termini di cui al numero 8.2) possano essere prorogati, anche d’ufficio, con decreto motivato per periodi di sei mesi, e per non più di due volte, in caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti;

9) che dopo l’esercizio dell’azione di prevenzione, previa autorizzazione del pubblico ministero, gli esiti delle indagini patrimoniali siano trasmessi al competente nucleo di polizia tributaria del Corpo della guardia di finanza a fini fiscali;

b) prevedere, in relazione alla misura di prevenzione della confisca dei beni, che:

1) la confisca possa essere disposta in ogni tempo anche se i beni sono stati trasferiti o intestati fittiziamente ad altri;

2) la confisca possa essere eseguita anche nei confronti di beni localizzati in territorio estero;

c) prevedere la revocazione della confisca di prevenzione definitiva, stabilendo che:

1) la revocazione possa essere richiesta:

1.1) quando siano scoperte nuove prove decisive, sopravvenute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione;

1.2) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca;

1.3) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato;

2) la revocazione possa essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione;

3) la richiesta di revocazione sia proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi di cui al numero 1), salvo che l’interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile;

4) in caso di accoglimento della domanda di revocazione, la restituzione dei beni confiscati, ad eccezione dei beni culturali di cui all’articolo 10, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi degli articoli 136 e seguenti del medesimo codice, e successive modificazioni, possa avvenire anche per equivalente, secondo criteri volti a determinarne il valore, quando i beni medesimi sono stati assegnati per finalità istituzionali e la restituzione possa pregiudicare l’interesse pubblico;

d) prevedere che, nelle controversie concernenti il procedimento di prevenzione, l’amministratore giudiziario possa avvalersi dell’Avvocatura dello Stato per la rappresentanza e l’assistenza legali;

e) disciplinare i rapporti tra il sequestro e la confisca di prevenzione e il sequestro penale, prevedendo che:

1) il sequestro e la confisca di prevenzione possano essere disposti anche in relazione a beni già sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale;

2) nel caso di contemporanea esistenza di un sequestro penale e di un sequestro di prevenzione in relazione al medesimo bene, la custodia giudiziale e la gestione del bene sequestrato nel procedimento penale siano affidate all’amministratore giudiziario del procedimento di prevenzione, il quale applica, anche con riferimento a detto bene, le disposizioni in materia di amministrazione e gestione previste dal decreto legislativo di cui al comma 1, prevedendo altresì, a carico del medesimo soggetto, l’obbligo di trasmissione di copia delle relazioni periodiche anche al giudice del procedimento penale;

3) in relazione alla vendita, all’assegnazione e alla destinazione dei beni si applichino le norme relative alla confisca divenuta definitiva per prima;

4) se la confisca di prevenzione definitiva interviene prima della sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca dei medesimi beni in sede penale, si proceda in ogni caso alla gestione, alla vendita, all’assegnazione o alla destinazione dei beni secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo di cui al comma 1;

f) disciplinare la materia dei rapporti dei terzi con il procedimento di prevenzione, prevedendo:

1) la disciplina delle azioni esecutive intraprese dai terzi su beni sottoposti a sequestro di prevenzione, stabilendo tra l’altro il principio secondo cui esse non possono comunque essere iniziate o proseguite dopo l’esecuzione del sequestro, fatta salva la tutela dei creditori in buona fede;

2) la disciplina dei rapporti pendenti all’epoca dell’esecuzione del sequestro, stabilendo tra l’altro il principio che l’esecuzione dei relativi contratti rimane sospesa fino a quando, entro il termine stabilito dalla legge e, comunque, non oltre novanta giorni, l’amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto;

3) una specifica tutela giurisdizionale dei diritti dei terzi sui beni oggetto di sequestro e confisca di prevenzione; e in particolare:

3.1) che i titolari di diritti di proprietà e di diritti reali o personali di godimento sui beni oggetto di sequestro di prevenzione siano chiamati nel procedimento di prevenzione entro trenta giorni dalla data di esecuzione del sequestro per svolgere le proprie deduzioni; che dopo la confisca, salvo il caso in cui dall’estinzione derivi un pregiudizio irreparabile, i diritti reali o personali di godimento sui beni confiscati si estinguano e che all’estinzione consegua il diritto alla corresponsione di un equo indennizzo;

3.2) che i titolari di diritti di credito aventi data certa anteriore al sequestro debbano, a pena di decadenza, insinuare il proprio credito nel procedimento entro un termine da stabilire, comunque non inferiore a sessanta giorni dalla data in cui la confisca è divenuta definitiva, salva la possibilità di insinuazioni tardive in caso di ritardo incolpevole;

3.3) il principio della previa escussione del patrimonio residuo del sottoposto, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni confiscati, nonché il principio del limite della garanzia patrimoniale, costituito dal 70 per cento del valore dei beni sequestrati, al netto delle spese del procedimento;

3.4) che il credito non sia simulato o in altro modo strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego;

3.5) un procedimento di verifica dei crediti in contraddittorio, che preveda l’ammissione dei crediti regolarmente insinuati e la formazione di un progetto di pagamento degli stessi da parte dell’amministratore giudiziario;

3.6) la revocazione dell’ammissione del credito quando emerga che essa è stata determinata da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi;

g) disciplinare i rapporti tra il procedimento di applicazione delle misure di prevenzione e le procedure concorsuali, al fine di garantire i creditori dalle possibili interferenze illecite nel procedimento di liquidazione dell’attivo fallimentare, prevedendo in particolare:

1) che i beni sequestrati o confiscati nel procedimento di prevenzione siano sottratti dalla massa attiva del fallimento e conseguentemente gestiti e destinati secondo le norme stabilite per il procedimento di prevenzione;

2) che, dopo la confisca definitiva, i creditori insoddisfatti sulla massa attiva del fallimento possano rivalersi sul valore dei beni confiscati, al netto delle spese sostenute per il procedimento di prevenzione;

3) che la verifica dei crediti relativi a beni oggetto di sequestro o di confisca di prevenzione possa essere effettuata in sede fallimentare secondo i principi stabiliti dal decreto legislativo di cui al comma 1; che se il sequestro o la confisca di prevenzione hanno per oggetto l’intero compendio aziendale dell’impresa dichiarata fallita, nonché, nel caso di società di persone, l’intero patrimonio personale dei soci falliti illimitatamente responsabili, alla verifica dei crediti si applichino anche le disposizioni previste per il procedimento di prevenzione;

4) che l’amministratore giudiziario possa proporre le azioni di revocatoria fallimentare con riferimento ai rapporti relativi ai beni oggetto di sequestro di prevenzione; che, ove l’azione sia già stata proposta, al curatore si sostituisca l’amministratore giudiziario;

5) che il pubblico ministero, anche su segnalazione dell’amministratore giudiziario, possa richiedere al tribunale competente la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore o dell’ente nei cui confronti è disposto il procedimento di prevenzione patrimoniale e che versa in stato di insolvenza;

6) che, se il sequestro o la confisca sono revocati prima della chiusura del fallimento, i beni siano nuovamente attratti alla massa attiva; che, se il sequestro o la confisca sono revocati dopo la chiusura del fallimento, si provveda alla riapertura dello stesso; che, se il sequestro o la confisca intervengono dopo la vendita dei beni, essi si eseguano su quanto eventualmente residua dalla liquidazione;

h) disciplinare la tassazione dei redditi derivanti dai beni sequestrati, prevedendo che la stessa:

1) sia effettuata con riferimento alle categorie reddituali previste dal testo unico delle imposte sui redditi, di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917;

2) sia effettuata in via provvisoria, in attesa dell’individuazione del soggetto passivo d’imposta a seguito della confisca o della revoca del sequestro;

3) sui redditi soggetti a ritenuta alla fonte derivanti dai beni sequestrati, sia applicata, da parte del sostituto d’imposta, l’aliquota stabilita dalle disposizioni vigenti per le persone fisiche;

4) siano in ogni caso fatte salve le norme di tutela e le procedure previste dal capo III del titolo I della parte seconda del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni;

i) prevedere una disciplina transitoria per i procedimenti di prevenzione in ordine ai quali sia stata avanzata proposta o applicata una misura alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1;

l) prevedere l’abrogazione espressa della normativa incompatibile con le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 1.

4. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1, corredato di relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, è trasmesso alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto. Decorso il termine di cui al periodo precedente senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, il decreto legislativo può essere comunque adottato.

5. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, nel rispetto delle procedure e dei principi e criteri direttivi stabiliti dal presente articolo, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo.

Art. 2. Delega al Governo per l’emanazione di nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la modifica e l’integrazione della disciplina in materia di documentazione antimafia di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, e successive modificazioni, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) aggiornamento e semplificazione, anche sulla base di quanto stabilito dalla lettera f) del presente comma, delle procedure di rilascio della documentazione antimafia, anche attraverso la revisione dei casi di esclusione e dei limiti di valore oltre i quali le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti e i subcontratti di cui all’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, né rilasciare o consentire le concessioni e le erogazioni di cui al citato articolo 10 della legge n. 575 del 1965, se non hanno acquisito complete informazioni, rilasciate dal prefetto, circa l’insussistenza, nei confronti degli interessati e dei loro familiari conviventi nel territorio dello Stato, delle cause di decadenza o di divieto previste dalla citata legge n. 575 del 1965, ovvero di tentativi di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, e successive modificazioni, nelle imprese interessate;

b) aggiornamento della normativa che disciplina gli effetti interdittivi conseguenti alle cause di decadenza, di divieto o al tentativo di infiltrazione mafiosa di cui alla lettera a), accertati successivamente alla stipulazione, all’approvazione o all’adozione degli atti autorizzatori di cui alla medesima lettera a);

c) istituzione di una banca di dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa, con previsione della possibilità di integrare la banca di dati medesima con dati provenienti dall’estero e secondo modalità di acquisizione da stabilirsi, nonché della possibilità per il procuratore nazionale antimafia di accedere in ogni tempo alla banca di dati medesima;

d) individuazione dei dati da inserire nella banca di dati di cui alla lettera c), dei soggetti abilitati a implementare la raccolta dei medesimi e di quelli autorizzati, secondo precise modalità, ad accedervi con indicazione altresì dei codici di progetto relativi a ciascun lavoro, servizio o fornitura pubblico ovvero ad altri elementi idonei a identificare la prestazione;

e) previsione della possibilità di accedere alla banca di dati di cui alla lettera c) da parte della Direzione nazionale antimafia per lo svolgimento dei compiti previsti dall’articolo 371-bis del codice di procedura penale;

f) individuazione, attraverso un regolamento adottato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dello sviluppo economico, delle diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa per le quali, in relazione allo specifico settore d’impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l’acquisizione della documentazione indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto, concessione o erogazione, di cui all’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni;

g) previsione dell’obbligo, per l’ente locale sciolto ai sensi dell’articolo 143 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia precedentemente alla stipulazione, all’approvazione o all’autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto, ovvero precedentemente al rilascio di qualsiasi concessione o erogazione, di cui all’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, indipendentemente dal valore economico degli stessi;

h) facoltà, per gli enti locali i cui organi sono stati sciolti ai sensi dell’articolo 143 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di deliberare, per un periodo determinato, comunque non superiore alla durata in carica del commissario nominato, di avvalersi della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di competenza del medesimo ente locale;

i) facoltà per gli organi eletti in seguito allo scioglimento di cui all’articolo 143 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di deliberare di avvalersi per un periodo determinato, comunque non superiore alla durata in carica degli stessi organi elettivi, della stazione unica appaltante, ove costituita, per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di competenza del medesimo ente locale;

l) previsione dell’innalzamento ad un anno della validità dell’informazione antimafia qualora non siano intervenuti mutamenti nell’assetto societario e gestionale dell’impresa oggetto di informativa;

m) introduzione dell’obbligo, a carico dei legali rappresentanti degli organismi societari, di comunicare tempestivamente alla prefettura-ufficio territoriale del Governo che ha rilasciato l’informazione l’intervenuta modificazione dell’assetto societario e gestionale dell’impresa;

n) introduzione di sanzioni per l’inosservanza dell’obbligo di cui alla lettera m).

2. All’attuazione dei principi e criteri direttivi di cui alla lettera c) del comma 1 si provvede nei limiti delle risorse già destinate allo scopo a legislazione vigente nello stato di previsione del Ministero dell’interno.

3. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1 è trasmesso alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto. Decorso il termine di cui al precedente periodo senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, il decreto legislativo può essere comunque adottato.

4. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, nel rispetto delle procedure e dei principi e criteri direttivi stabiliti dal presente articolo, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo.

Art. 3. Tracciabilità dei flussi finanziari

(Nella versione attuale a seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 217 del 17 dicembre 2010)

1. Per assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari finalizzata a prevenire infiltrazioni criminali, gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese nonché i concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici devono utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali, accesi presso banche o presso la società Poste italiane Spa, dedicati, anche non in via esclusiva, fermo restando quanto previsto dal comma 5, alle commesse pubbliche. Tutti i movimenti finanziari relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici nonché alla gestione dei finanziamenti di cui al primo periodo devono essere registrati sui conti correnti dedicati e, salvo quanto previsto al comma 3, devono essere effettuati esclusivamente tramite lo strumento del bonifico bancario o postale, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni.

2. I pagamenti destinati a dipendenti, consulenti e fornitori di beni e servizi rientranti tra le spese generali nonché quelli destinati alla provvista di immobilizzazioni tecniche sono eseguiti tramite conto corrente dedicato di cui al comma 1, anche con strumenti diversi dal bonifico bancario o postale purché idonei a garantire la piena tracciabilità delle operazioni per l’intero importo dovuto, anche se questo non è riferibile in via esclusiva alla realizzazione degli interventi di cui al medesimo comma 1.

3. I pagamenti in favore di enti previdenziali, assicurativi e istituzionali, nonché quelli in favore di gestori e fornitori di pubblici servizi, ovvero quelli riguardanti tributi, possono essere eseguiti anche con strumenti diversi dal bonifico bancario o postale, fermo restando l’obbligo di documentazione della spesa. Per le spese giornaliere, di importo inferiore o uguale a 1.500 euro, relative agli interventi di cui al comma 1, possono essere utilizzati sistemi diversi dal bonifico bancario o postale, fermi restando il divieto di impiego del contante e l’obbligo di documentazione della spesa. L’eventuale costituzione di un fondo cassa cui attingere per spese giornaliere, salvo l’obbligo di rendicontazione, deve essere effettuata tramite bonifico bancario o postale o altro strumento di pagamento idoneo a consentire la tracciabilità delle operazioni, in favore di uno o più dipendenti.

4. Ove per il pagamento di spese estranee ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui al comma 1 sia necessario il ricorso a somme provenienti da conti correnti dedicati di cui al medesimo comma 1, questi ultimi possono essere successivamente reintegrati mediante  bonifico bancario o postale, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni.

5. Ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, gli strumenti di pagamento devono riportare, in relazione a ciascuna transazione posta in essere dalla stazione appaltante e dagli altri soggetti di cui al comma 1, il codice identificativo di gara (CIG), attribuito dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture su richiesta della stazione appaltante e, ove obbligatorio ai sensi dell’articolo 11 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, il codice unico di progetto (CUP). In regime transitorio, sino all’adeguamento dei sistemi telematici delle banche e della società Poste italiane Spa, il CUP può essere inserito nello spazio destinato alla trascrizione della motivazione del pagamento.

6. (comma abrogato)

7. I soggetti di cui al comma 1 comunicano alla stazione appaltante o all’amministrazione concedente gli estremi identificativi dei conti correnti dedicati di cui al medesimo comma 1 entro sette giorni dalla loro accensione o, nel caso di conti correnti già esistenti, dalla loro prima utilizzazione in operazioni finanziarie relative ad una commessa pubblica, nonché, nello stesso termine, le generalità e il codice fiscale delle persone delegate ad operare su di essi. Gli stessi soggetti provvedono, altresì, a comunicare ogni modifica relativa ai dati trasmessi.

8. La stazione appaltante, nei contratti sottoscritti con gli appaltatori relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui al comma 1, inserisce, a pena di nullità assoluta, un’apposita clausola con la quale essi assumono gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui alla presente legge. L’appaltatore, il subappaltatore o il subcontraente che ha notizia dell’inadempimento della propria controparte agli obblighi di tracciabilità finanziaria di cui al presente articolo ne da’ immediata comunicazione alla stazione appaltante e alla prefettura-ufficio territoriale del Governo della provincia ove ha sede la stazione appaltante o l’amministrazione concedente.

9. La stazione appaltante verifica che nei contratti sottoscritti con i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese a qualsiasi titolo interessate ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui al comma 1 sia inserita, a pena di nullità assoluta, un’apposita clausola con la quale ciascuno di essi assume gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui alla presente legge.

9-bis. Il mancato utilizzo del bonifico bancario o postale ovvero degli altri strumenti idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni costituisce causa di risoluzione del contratto.

Art. 4. Controllo degli automezzi adibiti al trasporto dei materiali

1. Al fine di rendere facilmente individuabile la proprietà degli automezzi adibiti al trasporto dei materiali per l’attività dei cantieri, la bolla di consegna del materiale indica il numero di targa e il nominativo del proprietario degli automezzi medesimi.

Art. 5. Identificazione degli addetti nei cantieri

1. La tessera di riconoscimento di cui all’articolo 18, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, deve contenere, oltre agli elementi ivi specificati, anche la data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione. Nel caso di lavoratori autonomi, la tessera di riconoscimento di cui all’articolo 21, comma 1, lettera c), del citato decreto legislativo n. 81 del 2008 deve contenere anche l’indicazione del committente.

Art. 6. Sanzioni

1. Le transazioni relative ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui all’articolo 3, comma 1, e le erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche effettuate senza avvalersi di banche o della società Poste italiane Spa comportano, a carico del soggetto inadempiente, fatta salva l’applicazione dell’articolo 3, comma 9-bis, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria dal 5 al 20 per cento del valore della transazione stessa.

2. Le transazioni relative ai lavori, ai servizi e alle forniture di cui all’articolo 3, comma 1, effettuate su un conto corrente non dedicato ovvero senza impiegare lo strumento del bonifico bancario o postale o altri strumenti di incasso o di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni comportano, a carico del soggetto inadempiente, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria dal 2 al 10 per cento del valore della transazione stessa. La medesima sanzione si applica anche nel caso in cui nel bonifico bancario o postale, ovvero in altri strumenti di incasso o di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni, venga omessa l’indicazione del CUP o del CIG di cui all’articolo 3, comma 5.

3. Il reintegro dei conti correnti di cui all’articolo 3, comma 1, effettuato con modalità diverse da quelle indicate all’articolo 3, comma 4, comporta, a carico del soggetto inadempiente, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria dal 2 al 5 per cento del valore di ciascun accredito.

4. L’omessa, tardiva o incompleta comunicazione degli elementi informativi di cui all’articolo 3, comma 7, comporta, a carico del soggetto inadempiente, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 3.000 euro.

5. Per il procedimento di accertamento e di contestazione delle violazioni di cui al presente articolo, nonché per quello di applicazione delle relative sanzioni, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68, e del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231. In deroga a quanto previsto dall’articolo 17, quinto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, le sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni di cui ai precedenti commi sono applicate dal prefetto della provincia ove ha sede la stazione appaltante o l’amministrazione concedente e, in deroga a quanto previsto dall’articolo 22, primo comma, della citata legge n. 689 del 1981, l’opposizione è proposta davanti al giudice del luogo ove ha sede l’autorità che ha applicato la sanzione.

5-bis. L’autorità giudiziaria, fatte salve le esigenze investigative, comunica al prefetto territorialmente competente i fatti di cui è venuta a conoscenza che determinano violazione degli obblighi di tracciabilità previsti dall’articolo 3.

Art. 7. Modifiche alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di accertamenti fiscali nei confronti di soggetti sottoposti a misure di prevenzione
1. Alla legge 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 25 è sostituito dal seguente:
«Art. 25.
1. A carico delle persone nei cui confronti sia stata emanata sentenza di condanna anche non definitiva per taluno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero per il delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero sia stata disposta, con provvedimento anche non definitivo, una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, il nucleo di polizia tributaria del Corpo della guardia di finanza, competente in relazione al luogo di dimora abituale del soggetto, può procedere alla verifica della relativa posizione fiscale, economica e patrimoniale ai fini dell’accertamento di illeciti valutari e societari e comunque in materia economica e finanziaria, anche allo scopo di verificare l’osservanza della disciplina dei divieti autorizzatori, concessori o abilitativi di cui all’articolo 10 della citata legge n. 575 del 1965, e successive modificazioni

2. Le indagini di cui al comma 1 sono effettuate anche nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 2-bis, comma 3, e all’articolo 10, comma 4, della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni. Nei casi in cui il domicilio fiscale, il luogo di effettivo esercizio dell’attività, ovvero il luogo di dimora abituale dei soggetti da sottoporre a verifica sia diverso da quello delle persone di cui al comma 1, il nucleo di polizia tributaria può delegare l’esecuzione degli accertamenti di cui al presente comma ai reparti del Corpo della guardia di finanza competenti per territorio.

3. Copia della sentenza di condanna o del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione è trasmessa, a cura della cancelleria competente, al nucleo di polizia tributaria indicato al comma 1.

4. Per l’espletamento delle indagini di cui al presente articolo, i militari del Corpo della guardia di finanza, oltre ai poteri e alle facoltà previsti dall’articolo 2 del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68, si avvalgono dei poteri di cui all’articolo 2-bis, comma 6, della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonché dei poteri attribuiti agli appartenenti al nucleo speciale di polizia valutaria ai sensi del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231.

5. La revoca del provvedimento con il quale è stata disposta una misura di prevenzione non preclude l’utilizzazione ai fini fiscali degli elementi acquisiti nel corso degli accertamenti svolti ai sensi del comma 1.

6. Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, ai dati, alle notizie e ai documenti acquisiti ai sensi del comma 4 si applicano le disposizioni di cui all’articolo 51, secondo comma, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, e all’articolo 32, primo comma, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni»;

b) all’articolo 30, il primo comma è sostituito dal seguente: «Le persone condannate con sentenza definitiva per taluno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero per il delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o già sottoposte, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, sono tenute a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, tutte le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Entro il 31 gennaio di ciascun anno, i soggetti di cui al periodo precedente sono altresì tenuti a comunicare le variazioni intervenute nell’anno precedente, quando concernono complessivamente elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,14. Sono esclusi i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani»;

c) all’articolo 31 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca dei beni acquistati ovvero del corrispettivo dei beni alienati, il giudice ordina la confisca, per un valore equivalente, di somme di denaro, beni o altre utilità dei quali i soggetti di cui all’articolo 30, primo comma, hanno la disponibilità».

Art. 8. Modifiche alla disciplina in materia di operazioni sotto copertura

1. All’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1:

1) la lettera a) è sostituita dalla seguente: «a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dagli articoli 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, nonché nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale, ai delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall’articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, nonché ai delitti previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e dall’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l’individuazione della loro provenienza o ne consentono l’impiego o compiono attività prodromiche e strumentali»;

2) alla lettera b), dopo le parole: «commessi con finalità di terrorismo» sono inserite le seguenti: «o di eversione»;

b) dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. La causa di giustificazione di cui al comma 1 si applica agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e agli ausiliari che operano sotto copertura quando le attività sono condotte in attuazione di operazioni autorizzate e documentate ai sensi del presente articolo. La disposizione di cui al precedente periodo si applica anche alle interposte persone che compiono gli atti di cui al comma 1»;

c) al comma 2, dopo le parole: «o indicazioni di copertura» sono inserite le seguenti: «, rilasciati dagli organismi competenti secondo le modalità stabilite dal decreto di cui al comma 5,»;

d) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. L’esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 è disposta dagli organi di vertice ovvero, per loro delega, dai rispettivi responsabili di livello almeno provinciale, secondo l’appartenenza del personale di polizia giudiziaria impiegato, d’intesa con la Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere per i delitti previsti dall’articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. L’esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 in relazione ai delitti previsti dal testo unico di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di seguito denominate “attività antidroga”, è specificatamente disposta dalla Direzione centrale per i servizi antidroga o, sempre d’intesa con questa, dagli organi di vertice ovvero, per loro delega, dai rispettivi responsabili di livello almeno provinciale, secondo l’appartenenza del personale di polizia giudiziaria impiegato»;

e) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. L’organo che dispone l’esecuzione delle operazioni di cui ai commi 1 e 2 deve dare preventiva comunicazione all’autorità giudiziaria competente per le indagini. Dell’esecuzione delle attività antidroga è data immediata e dettagliata comunicazione alla Direzione centrale per i servizi antidroga e al pubblico ministero competente per le indagini. Se necessario o se richiesto dal pubblico ministero e, per le attività antidroga, anche dalla Direzione centrale per i servizi antidroga, è indicato il nominativo dell’ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell’operazione, nonché quelli degli eventuali ausiliari e interposte persone impiegati. Il pubblico ministero deve comunque essere informato senza ritardo, a cura del medesimo organo, nel corso dell’operazione, delle modalità e dei soggetti che vi partecipano, nonché dei risultati della stessa»;

f) al comma 5, le parole: «avvalersi di ausiliari» sono sostituite dalle seguenti: «avvalersi di agenti di polizia giudiziaria, di ausiliari e di interposte persone,»;

g) il comma 6 è sostituito dal seguente: «6. Quando è necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti previsti dal comma 1, per i delitti di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, limitatamente ai casi previsti agli articoli 73 e 74, gli ufficiali di polizia giudiziaria, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, e le autorità doganali, limitatamente ai citati articoli 73 e 74 del testo unico di cui al d.P.R. n. 309 del 1990, e successive modificazioni, possono omettere o ritardare gli atti di propria competenza, dandone immediato avviso, anche oralmente, al pubblico ministero, che può disporre diversamente, e trasmettendo allo stesso pubblico ministero motivato rapporto entro le successive quarantotto ore. Per le attività antidroga, il medesimo immediato avviso deve pervenire alla Direzione centrale per i servizi antidroga per il necessario coordinamento anche in ambito internazionale»;

h) dopo il comma 6 è inserito il seguente: «6-bis. Quando è necessario per acquisire rilevanti elementi probatori, ovvero per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui all’articolo 630 del codice penale, il pubblico ministero può richiedere che sia autorizzata la disposizione di beni, denaro o altra utilità per l’esecuzione di operazioni controllate per il pagamento del riscatto, indicandone le modalità. Il giudice provvede con decreto motivato»;

i) al comma 7 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché delle sostanze stupefacenti o psicotrope e di quelle di cui all’articolo 70 del testo unico di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni»;

l) il comma 8 è sostituito dal seguente: «8. Le comunicazioni di cui ai commi 4, 6 e 6-bis e i provvedimenti adottati dal pubblico ministero ai sensi del comma 7 sono senza ritardo trasmessi, a cura del medesimo pubblico ministero, al procuratore generale presso la corte d’appello. Per i delitti indicati all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, la comunicazione è trasmessa al procuratore nazionale antimafia»;

m) al comma 9 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero per lo svolgimento dei compiti d’istituto»;

n) il comma 10 è sostituito dal seguente: «10. Chiunque indebitamente rivela ovvero divulga i nomi degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che effettuano le operazioni di cui al presente articolo è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da due a sei anni»;

o) al comma 11 è aggiunta, in fine, la seguente lettera: «f-bis) l’articolo 7 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni».

2. Al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l’articolo 97 è sostituito dal seguente: «Art. 97. – (Attività sotto copertura). – 1. Per lo svolgimento delle attività sotto copertura concernenti i delitti previsti dal presente testo unico si applicano le disposizioni di cui all’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni»;

b) l’articolo 98 è abrogato.

3. All’articolo 497 del codice di procedura penale, dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, gli ausiliari, nonché le interposte persone, chiamati a deporre, in ogni stato e grado del procedimento, in ordine alle attività svolte sotto copertura ai sensi dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, invitati a fornire le proprie generalità, indicano quelle di copertura utilizzate nel corso delle attività medesime».

4. Alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio1989, n. 271, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 115, dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. Le annotazioni di cui al comma 1, se riguardanti le attività di indagine condotte da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nel corso delle operazioni sotto copertura ai sensi dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, contengono le generalità di copertura dagli stessi utilizzate nel corso delle attività medesime»;

b) all’articolo 147-bis sono apportate le seguenti modificazioni:

1) nella rubrica, dopo la parola: «Esame» sono inserite le seguenti: «degli operatori sotto copertura,»;

2) dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. L’esame in dibattimento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, degli ausiliari e delle interposte persone, che abbiano operato in attività sotto copertura ai sensi dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, si svolge sempre con le cautele necessarie alla tutela e alla riservatezza della persona sottoposta all’esame e con modalità determinate dal giudice o, nei casi di urgenza, dal presidente, in ogni caso idonee a evitare che il volto di tali soggetti sia visibile»;

3) al comma 3 è aggiunta, in fine, la seguente lettera: «c-bis) quando devono essere esaminati ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, nonché ausiliari e interposte persone, in ordine alle attività dai medesimi svolte nel corso delle operazioni sotto copertura di cui all’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni. In tali casi, il giudice o il presidente dispone le cautele idonee ad evitare che il volto di tali soggetti sia visibile».

Art. 9. Modifica all’articolo 353 del codice penale, concernente il reato di turbata libertà degli incanti

1. All’articolo 353, primo comma, del codice penale, le parole: «fino a due anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei mesi a cinque anni».

Art. 10. Delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente

1. Dopo l’articolo 353 del codice penale è inserito il seguente: «Art. 353-bis. – (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le molalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032».

Art. 11. Ulteriori modifiche al codice di procedura penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del medesimo codice

1. All’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, le parole: «e dall’articolo 291-quater del testo unico approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43» sono sostituite dalle seguenti: «dall’articolo 291-quater del testo unico approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,».

2. All’articolo 147-bis, comma 3, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, la lettera a) è sostituita dalla seguente: «a) quando l’esame è disposto nei confronti di persone ammesse al piano provvisorio di protezione previsto dall’articolo 13, comma 1, del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, o alle speciali misure di protezione di cui al citato articolo 13, commi 4 e 5, del medesimo decreto-legge;».

Art. 12. Coordinamenti interforze provinciali

1. Al fine di rendere più efficace l’aggressione dei patrimoni della criminalità organizzata, il Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia e il procuratore nazionale ami-mafia stipulano uno o più protocolli d’intesa volti alla costituzione, presso le direzioni distrettuali antimafia, di coordinamenti interforze provinciali, cui partecipano rappresentanti delle Forze di polizia e della Direzione investigativa antimafia.

2. I protocolli d’intesa di cui al comma 1 definiscono le procedure e le modalità operative per favorire lo scambio informativo e razionalizzare l’azione investigativa per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, fermo restando il potere di proposta dei soggetti di cui all’articolo 2-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.

Art. 13. Stazione unica appaltante

1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell’interno, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali, per i rapporti con le regioni e per la pubblica amministrazione e l’innovazione, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, le modalità per promuovere l’istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), al fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità’ della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.

2. Con il decreto di cui al comma 1 sono determinati:

a) gli enti, gli organismi e le società che possono aderire alla SUA;

b) le attività e i servizi svolti dalla SUA, ai sensi dell’articolo 33 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

c) gli elementi essenziali delle convenzioni tra i soggetti che aderiscono alla SUA;

d) le forme di monitoraggio e di controllo degli appalti, ferme restando le disposizioni vigenti in materia.

Art. 14. Modifica della disciplina in materia di ricorso avverso la revoca dei programmi di protezione e ulteriori disposizioni concernenti le misure previste per i testimoni di giustizia

1. All’articolo 10 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, il comma 2-septies è sostituito dal seguente: «2-septies. Nel termine entro il quale può essere proposto il ricorso giurisdizionale e in pendenza della decisione relativa all’eventuale richiesta di sospensione ai sensi dell’articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, o dell’articolo 36 del regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, il provvedimento di cui al comma 2-sexies rimane sospeso».

2. All’articolo 16-ter, comma 1, lettera e), del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 13 della legge 23 febbraio 1999, n. 44, e il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno è surrogato, quanto alle somme corrisposte al testimone di giustizia a titolo di mancato guadagno, nei diritti verso i responsabili dei danni. Le somme recuperate sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate allo stato di previsione del Ministero dell’interno in deroga all’articolo 2, commi 615, 616 e 617, della legge 24 dicembre 2007, n. 244».

Art. 15. Modifica della composizione del Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata

1. All’articolo 1 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le lettere d), e) e f) sono sostituite dalle seguenti: «d) dal Direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna; e) dal Direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna; f) dal Direttore della Direzione investigativa antimafia»;

b) al comma 3, le parole: «nonché dell’organismo previsto dall’articolo 3» sono sostituite dalle seguenti: «nonché della Direzione investigativa antimafia».

Art. 16. Clausola di invarianza finanziaria

1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.


Tar Lazio: è legittima l’esclusione dei precari della P.A. dai concorsi interni riservati al personale a tempo indeterminato

Il Tar del Lazio, con sentenza nr. 23772/2010 ha dichiarato la legittimità del concorso pubblico interno a cui possono accedere solo i dipendenti assunti a tempo indeterminato.

Una precaria del Ministero per i Beni e le Attività Culturali chiedeva al Tribunale Amministrativo di dichiarare illegittimo il bando di concorso “con cui il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha indetto una procedura di selezione del personale ministeriale per il passaggio dall’area B alla posizione economica C1 per il profilo professionale di Restauratore e Conservatore, nella parte in cui ha previsto tra i requisiti di ammissione “l’essere dipendenti a tempo indeterminato del Ministero”.

La lavoratrice ( che prestava la propria attività lavorativa alle dipendenze del Ministero dal 1999) era infatti stata esclusa dal bando poiché la stessa, al momento del concorso non risultava essere stabilizzata, nonostante le procedure per la stabilizzazione erano iniziate antecedentemente al concorso ma, conclusesi formalmente in data successiva all’indizione del bando.

Secondo la ricorrente sarebbe illegittimo il decreto di esclusione, in considerazione del fatto che la limitazione della partecipazione al concorso per il passaggio dall’area B all’area C1 ai soli lavoratori  a tempo indeterminato determinerebbe una ingiustificata discriminazione non fondata su ragioni logiche ovvero giuridiche.

Secondo la Corte invece, il bando è del tutto legittimo dato che, per “espressa indicazione del bando stesso, si esclude,  la partecipazione alla procedura di quei soggetti che al tempo della scadenza per la presentazione della domanda non fossero dipendenti a tempo indeterminato”.

“Non v’è dubbio, infatti, che la posizione del lavoratore a tempo determinato non può essere equiparata a quella del lavoratore a tempo indeterminato in considerazione della diversa natura del rapporto e della differente posizione assunta dagli stessi nell’ambito della organizzazione funzionale del rapporto di servizio alle dipendenze della P. A.

La natura delle procedure selettive di stabilizzazione, del resto, è equipollente ad una vera e propria assunzione – senza espletamento di concorso pubblico – e, dunque, deve essere ricondotta ad una fattispecie di costituzione del rapporto lavorativo tra il singolo lavoratore e l’Amministrazione Pubblica datrice di lavoro.


Il tempo necessario al dipendente per recarsi sul luogo di lavoro va considerato lavorativo.

Quesito:

“Chiarisca la Corte, alla luce delle superiori argomentazioni confermate dalle risultanze processuali, se il tempo impiegato per raggiungere il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, non essendo connaturato alla prestazione stessa – tenuto presente che il lavoratore, pur non rivendicando con il proposto giudizio la diversa qualifica di autista, si portava presso la sede dell’azienda non per disposizione datoriale ma per comodità propria – resta comunque estraneo all’attività lavorativa vera e propria non sommandosi quindi al normale orario di lavoro?”.

Leggi  Sentenza n. 17511/2010.


Soppressione dell’utilizzo del mezzo privato per i dipendenti in missione

Con D.L. n. 78 del 31.05.2010 convertito in L. 122 del 30.07.2010 recante “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” all’art. 6 , “riduzione dei costi degli apparati amministrativi”, ultimo capoverso del comma 12, dispone la disapplicazione al “personale contrattualizzato di cui al D.Lgs. 165/2001” dell’art. 15 della L. n. 836 del 18.12.1973 e dell’art. 8 della L. n. 417 del 26.07.1978 e “relative disposizioni di applicazione, nonchè analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi.

Pertanto le disposizioni da disapplicare riguardano la possibilità di concedere l’autorizzazione all’uso del proprio mezzo di trasporto al personale dipendente incaricato di recarsi in missione.


Riunione Giunta Esecutiva del 18.09.2010

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 18 settembre 2010 alle ore 07:30 presso il Comune di Cesena – Piazza del Popolo 10 Cesena FC, in prima convocazione, e alle ore 09:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;
  2. Tesseramento 2011: approvazione quote;
  3. Varie ed eventuali.

Leggi:  Verbale GE 18 09 2010


Modulo per richiesta rimborso spese – anno 2010

Nel rimborso delle spese ricadono i costi degli spostamenti, e quindi di treni, automobili ed aerei, nonché dei mezzi pubblici. Vi sono inoltre i costi di vitto e alloggio, effettuati in strutture di ristorazione ed alberghiere.

E’ importante, al fine di ottenere il dovuto rimborso delle spese di viaggio, di tenere nota accurata di ogni spesa, redigendone una opportuna nota spese, con i seguenti dati:

  • data in cui la spesa è effettuata
  • luogo in cui la spesa è effettuata
  • importo della spesa effettuata
  • documentazione allegata comprovante l’importo (fattura o ricevuta)

Tale nota spese sarà poi consegnata/inviata all’Unità Operativa Vicolo Quasimodo 34 – 35020 Albignasego PD.

Scarica il modulo: Prospetto rimborso spese 2010

I costi chilometrici per utilizzo di mezzi di trasporto di proprietà

Tariffe ACI e trasferte nel comune

Nella realtà è frequente rilevare l’erogazione e la contabilizzazione di rimborsi chilometrici per l’utilizzo da parte di dipendenti e parasubordinati di mezzi di trasporto propri per conto e nell’interesse delle imprese in cui operano.

Il relativo costo viene determinato in base alle percorrenze e prendendo come riferimento le tariffe ACI che sono determinate in base ai seguenti parametri:

• categoria del veicolo utilizzato (autovettura, motociclo, ciclomotore, fuoristrada, autofurgone);

• elenco delle marche automobilistiche;

• tipo di alimentazione (es. benzina, gasolio, ecc.);

• periodo di utilizzo del veicolo.

In linea generale l’utilizzo da parte di dipendenti e parasubordinati di veicoli propri genera in loro favore il diritto al riconoscimento di un’indennità chilometrica a titolo di rimborso spese.

La stessa viene calcolata in base ai seguenti due elementi:

percorrenza effettuata per conto dell’impresa, determinata in chilometri;

costo chilometrico oggettivamente attribuibile al tipo di mezzo utilizzato.

Va preliminarmente precisato che se viene riconosciuto un costo superiore rispetto a quello effettivo per l’impiego di autoveicoli personali del dipendente o parasubordinato, il maggiore importo rispetto alla tariffa ACI genera un fringe benefit che deve venire computato fra gli emolumenti imponibili delle retribuzioni o dei corrispettivi, sia ai fini fiscali che previdenziali. È parimenti considerato fringe benefit il corrispettivo erogato che non risulti analiticamente giustificato in base alla percorrenza effettiva del mezzo per finalità aziendali.

L’utilizzo dell’auto del dipendente o parasubordinato può riguardare trasferte:

• poste in essere nel territorio del comune sede di lavoro;

• relative a tragitti fatti al di fuori del comune sede di lavoro.

Trasferte nel comune

In linea generale l’indennità chilometrica corrisposta per trasferte nel comune sede di lavoro costituisce sempre un emolumento imponibile ai fini IRPEF e per il calcolo dei contributi previdenziali.

Invece l’indennità chilometrica corrisposta per trasferte fatte con utilizzo di autovetture del dipendente e parasubordinato è considerata un rimborso spese e non va assoggettata a ritenute previdenziali e fiscali quando il relativo ammontare non supera il limite determinato dalla Tariffa ACI con riferimento al veicolo usato.

In ogni caso l’indennità in esame deve risultare esposta nel Libro Unico del lavoro, e deve venire documentata con un prospetto analitico predisposto e sottoscritto dal soggetto utilizzatore.