Consiglio di Stato: nozione di residenza

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza pubblicata in data 24 settembre 2019 ha affermato che “In linea generale, deve osservarsi che la nozione di residenza viene in rilevo in molteplici norme (tra le altre, l’individuazione del giudice competente ex art. 18 c.p.c. e il luogo di notificazione degli atti ex art. 139 c.p.c.), ma non è univoca.

La definizione civilistica di residenza è contenuta all’art. 43 comma 2 c.c., che si riferisce al “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”, per tale dovendosi intendere secondo la giurisprudenza il luogo con cui il soggetto ha una relazione di fatto, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali.

Sempre in linea generale, deve poi rilevarsi che, per un verso, la residenza civilistica nel significato delineato dall’art. 43, comma 2, c.c. di residenza effettiva (o c.d. di fatto) si contrappone al domicilio ex art. 43 comma 1 c.c. (che è, invece, una nozione di diritto e corrisponde al luogo in cui la persona “ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”); per altro verso, essa non sempre coincide con la residenza anagrafica risultante dai registri anagrafici, in quanto l’una (la residenza effettiva) identifica il luogo in cui un soggetto dimora abitualmente, l’altra (quella anagrafica) indica il luogo comunicato al Comune, che potrebbe nel tempo successivo al momento della comunicazione non corrispondere più alla dimora abituale della persona.

Va, infatti, considerato che l’indicazione anagrafica non individua inequivocabilmente la residenza civilistica, ma ha rilevanza sul piano probatorio e forma una presunzione circa il luogo di effettiva abituale dimora, che è accertabile con qualunque mezzo di prova: in particolare la giurisprudenza ha chiarito che il requisito dell’abitualità della dimora è la risultante del fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo e dell’elemento soggettivo costituito dalla volontà della persona a rimanervi stabilmente, desumibile da circostanze univoche e concordanti, tra le quali valore preminente assume proprio lo svolgimento in loco dell’attività lavorativa.


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 20-06-2019) 24-09-2019, n. 23706

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12505-2015 proposto da:

V.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FRANCESCO SIACCI 4, presso lo studio dell’avvocato PERONACE MONICA, rappresentato e difeso dall’avvocato LAGRECA ANGELA LILIANA;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimata –

avverso la sentenze n. 2234/2014 della COMM. TRIB. REG. di BARI depositata il 11/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2019 dal Consigliere Dott. CAPRIOLI MAURA.

Svolgimento del processo
Ritenuto che:

Con sentenza nr 2234/20014 la CTR di Bari accoglieva parzialmente l’appello principale proposto V.D. e quello incidentale proposto da Equitalia Sud avverso la sentenza nr 185/2012 della CTP di Bari ritenendo per gli aspetti che qui rilevano ritualmente eseguite le notifiche delle cartelle contestate ai punti 1, 3, 4, 5, 6, 7 e 9 con l’esibizione dell’avviso di accertamento e non correttamente eseguite quelle riportate ai punti 2 ed 8 della sentenza.

Avverso tale sentenza V.R. propone ricorso per cassazione basato su un unico articolato motivo. Nessuno si costituisce per Equitalia Sud.

Motivi della decisione
Ritenuto che:

Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e degli artt. 1335 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene infatti che l’esibizione del mero avviso di accertamento non sarebbe sufficiente nel caso in cui come nella specie sia contestato il contenuto della busta corrispondente al predetto avviso.

Osserva che in tale ipotesi l’Amministrazione avrebbe dovuto provare il buon fine della procedura.

Sul tema si registrano, invero, due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, uno secondo cui nel caso di contestazione del contenuto l’onere della prova spetta all’Amministrazione finanziaria (cfr Cass. 2015 nr 2625) e l’altro prevalente cui questo Collegio intende aderire in base al quale, ove il Concessionario si avvalga della facoltà, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1913, n. 602, art. 26, di provvedere alla notifica della cartella esattoriale mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai fini del perfezionamento della notificazione è sufficiente – anche alla luce della disciplina dettata dal D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 – che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento a carico dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; ai predetti fini non si ritiene invece necessario che l’agente della riscossione dia la prova anche del contenuto del plico spedito con lettera raccomandata, dal momento che l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se lo stesso destinatario dia prova di essersi incolpevolmente trovato nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 5397 del 18/3/2016; n. 15315 del 4/7/2014; n. 9111 del 6/6/12; n. 20027 del 30/9/2011).

In altri termini, la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l’atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. ord. n. 9533 del 12/5/2015; n. 2625 del 11/2/2015; n. 18252 del 30/7/2013; n. 24031 del 10/11/2006; m 3562 del 22/2/2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti già citati, Cass. 22 maggio 2015, n. 10630; conf. Cass. n. 24322 del 14/11/2014; n. 15315 del 4/7/2014; n. 23920 del 22/10/13; n. 16155 del 8/7/2010; n. 17417 del 8/8/2007; n. 20144 del 18/10/2005; n. 15802 del 28/7/2005; n. 22133 del 24/11/2004; n. 771 del 20/1/2004; n. 11528 del 25/7/2003; n. 4878/1992; 4083/1978; cfr. Cass., ord. n. 20786 del 2/10/2014, per la quale tale presunzione non opererebbe con inversione dell’onere della prova – ove il mittente affermasse di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contestasse tale circostanza).

L’orientamento prevalente risulta peraltro conforme al principio generale di c.d. “vicinanza della prova”, poichè la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato) che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto (Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2018, n. 33563).

Merita dunque di essere confermato il principio per cui, in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 (così come, più in generale, in caso di spedizione di plico a mezzo raccomandata), la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione è assolta dal notificante mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, poichè, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, la cartella esattoriale deve ritenersi a lui ritualmente consegnata, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze (integranti i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.) della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, e superabile solo ove il destinatario medesimo dimostri di essersi trovato, senza colpa, nell’impossibilità di prenderne cognizione, come nel caso in cui sia fornita la prova che il plico in realtà non conteneva alcun atto al suo interno (ovvero conteneva un atto diverso da quello che si assume spedito) (cfr sul punto Cass. 33563/2018).

Ne consegue che, nel caso di specie, non avendo il contribuente fornito la prova dell’asserita assenza, all’interno della busta notificatagli, delle cartelle detta notifica deve ritenersi validamente perfezionata.

I medesimi principi sono stati recentemente confermati da Cass., Sez. 6-5, 21.2.2018, n. 4275, Rv. 647134-01, la quale ha ribadito che la notificazione della cartella di pagamento può essere eseguita anche mediante invio, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, (perfezionandosi, in tal caso, alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redazione di un’apposita relata di notifica, in quanto l’avvenuta effettuazione della notificazione, su istanza del soggetto legittimato, e la relazione tra la persona cui è stato consegnato l’atto ed il destinatario della medesima costituiscono oggetto di una attestazione dell’agente postale assistita dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c.), mentre la complessiva legittimità di tale forma di notifica (cd. diretta) è stata da ultimo confermata da Corte Cost., n. 175 del 2018, la quale ha osservato come, alla luce di una lettura combinata del cit. art. 26 e della L. n. 212 del 2000, art. 6 (cd. Statuto del contribuente), le ‘regole semplificate (si discorre, nella motivazione del giudice delle leggi, di “scostamenti”) della notifica in commento rispetto al regime “ordinario” non integrano alcuna violazione dell’art. 24 Cost., art. 3 Cost., comma 1 e art. 111 Cost., commi 1 e 2 (Cass. 2018 nr 27261).

Va ricordato poi che, in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, seconda parte, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6395 del 19/03/2014; Sez. 5, Sentenza n. 14327 del 19/06/2009).

Ciò posto, nel caso di specie la notifica della comunicazione dell’iscrizione ipotecaria, pacificamente eseguita a mezzo del servizio postale in data 26.2.2010, deve ritenersi regolarmente perfezionata con l’avviso di ricevimento debitamente depositato dalla società Equitalia Gerit s.p.a. in aderenza al dettato normativo sopra richiamato.

Non è dunque necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnata a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile,come si è detto,solo se il medesimo provi di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (così Cass. n. 9246/15, nonchè Cass. n. 24235/15 e Cass. n. 15795/16, tra le più recenti Cass. 2018 8086; Cass. 21533/2017; ancora, sulla presunzione di conoscenza anche Cass. n. 15315/14).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese in assenza dello svolgimento di una attività difensiva da parte della controricorrente.

Non sussistono le condizioni per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato stante l’ammissione del contribuente al gratuito patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese Così deciso in Roma, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019


Tesseramento anno 2020

La Giunta Esecutiva nella riunione del 16.11.2019 ha approvato le quote di iscrizione all’Associazione per l’anno 2020.
Le tipologie delle quote di adesione all’Associazione A.N.N.A. per l’anno 2020 sono:

Tipo

Descrizione/Qualifica

Importo

A Addetto all’Albo On Line €  70.00
B Addetto alla Casa Comunale €  70.00
C Altri Enti (IVA) €  323.00
D Altri Enti (TN) €  323.00
E Altro €  216.00
F Ausiliario del traffico €  70.00
G Avvocati/Commercialisti €  163.00
H Avvocato Comunale €  75.00
I Collaboratore Serv. Ausiliari €  70.00
L Comandante P.L. €  75.00
M Coordinatore Uff. Notifiche €  70.00
N Dirigente €  75.00
O Ditta €  323.00
P Ente Pubblico fino a 10.000 €  141.00
Q Ente Pubblico fino a 100.000 €  195.00
R Ente Pubblico oltre 100.000 €  270.00
S Ex Messo Comunale €  37.00
T Funzionario €  70.00
U Impiegato/Istruttore €  70.00
V Imprenditore €  270.00
Z Lavoratore Socialmente Utile €  70.00
AA Messo Comunale €  70.00
BB Messo Comunale e Notificatore €  70.00
CC Messo Comunale/Accertatore Anagrafico €  70.00
DD Messo del Giudice di Pace €  70.00
EE Messo Esattoriale €  70.00
FF Messo Notificatore €  70.00
GG Messo Notificatore Provinciale €  70.00
HH Messo Provinciale €  70.00
II Polizia Locale €  70.00
LL Portalettere/Messo Notificatore €  70.00
MM Privato €  268.00
NN Responsabile P.O. €  75.00
OO Responsabile Uff. Notifiche €  70.00
PP Segretario Comunale €  75.00
QQ Socio fondatore CA €  32.00
RR Ufficiale di Riscossione €  70.00
SS Ufficiale Giudiziario €  70.00
UC Unione dei Comuni € 323,00

L’iscrizione delle tipologie A, B, F, G, H, I, L, M, N, T, U, Z, AA, BB, CC, DD, EE, FF, GG, HH, II, LL, NN, OO, QQ, RR, SS, comprendono la copertura assicurativa oltre alle agevolazioni previste dalle convenzioni che l’Associazione ha già stipulato e che effettuerà.

Qualora venga richiesta la fattura elettronica, occorrerà aggiungere agli importi che superano €  77,47  l’imposta di bollo di € 2,00 e comunicare il Codice Unico Ufficio.

Le quote di adesione all’Associazione devono pervenire al netto delle spese bancarie, che sono a carico di chi effettua il versamento.

La Giunta Esecutiva dell’Associazione nella seduta del 3 febbraio 2018 ha deliberato, tra l’altro, il rinnovo delle opportunità, riconfermate in data 18.06.2016, al fine di favorire l’adesione dei Comuni o delle loro forme Associate (Unioni, Consorzi, etc …) che rinnovano l’iscrizione all’Associazione.

  • Nuove opportunità1Tutti gli Enti che, già soci nell’anno precedente, rinnoveranno l’adesione ad A.N.N.A. entro il 31 gennaio dell’anno 2019, avranno diritto a:
    • Iscrizione gratuita ad A.N.N.A. di un proprio dipendente (preferibilmente che svolga le mansioni di Messo Comunale/Messo Notificatore);
    • Sconto del 15% sul costo dell’iscrizione dei propri dipendenti, fino ad un massimo di 10, ai corsi di formazione/Giornate di Studio organizzati da A.N.N.A.. Tale sconto si applica tutte le quote di partecipazione ai corsi di formazione/Giornate di Studio organizzati dall’Associazione comprendenti l’adesione ad A.N.N.A.. Lo sconto non si applica qualora siano presenti altre promozioni.

Scarica: Modulo adesione Messo Comunale 2020

Scarica: Modulo adesione Ente 2020

Scarica: 

Scarica: Riepilogo Quote Iscrizione 2020

Leggi: Perché iscriversi 2020


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 02-10-2018) 11-09-2019, n. 22644

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22002/2011 R.G. proposto da:

UNIPART EXPORTS LIMITED, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in (OMISSIS) (P. IVA: (OMISSIS)), difesa dall’Avv. Enrico Caruso, del Foro di Milano, elettivamente domiciliata presso l’Avv. Mario Valentini, con studio in Roma, viale Castro Pretorio n. 122;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 12/10/2011, pronunciata il 23 settembre 2010 e depositata 11 febbraio 2011;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 02 ottobre 2018 dal Consigliere Fabio Antezza;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Zeno Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Tonio Di Iacovo (per delega dell’Avv. Enrico Caruso), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

udito per la resistente A.E. l’Avv. Roberta Guizzi (dell’Avvocatura Generale dello Stato), che ha insistito per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. UNIPART EXPORTS LIMITED ricorre, con tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe di accoglimento dell’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza dalla CTP di Roma (n. 352/13/2009). Quest’ultima, a sua volta, di accoglimento dell’impugnazione proposta dal contribuente avverso avviso di accertamento IVA (n. (OMISSIS)) relativo all’esercizio 1999, emesso per recupero di IVA indebitamente detratta per Euro 362.707,16 (oltre sanzioni ed interessi).

2. La complessità della ricostruzione dei fatti di causa ne impone una puntuale loro sintesi, nei termini che seguono (per quanto emerge dalla sentenza impugnata oltre che dal ricorso, dal controricorso e dagli atti e documenti in essi riportati e da essi richiamati nonchè depositati).

2.1. La UNIPART EXPORTS LIMITEDv (contribuente attuale ricorrente, di seguito anche: “UNIPART LTD”), con sede legale in Inghilterra e rappresentante fiscale in Italia, è parte del gruppo multinazionale UNIPART che si occupa, in via principale, del controllo, della gestione e della logistica delle catene produttive in molteplici settori. Per quanto rileva nel presente processo, alla contribuente è affidata l’attività concernente la logistica di prodotti del settore auto e la consulenza inerente la ricerca della migliore efficienza produttiva, compresi studi e realizzazione di progetti relativi alla massimazione delle disponibilità dei ricambi, alla riduzione dei costi di magazzino, alla gestione dei depositi ed all’incremento dell’efficienza della catena valore.

Con rifermento all’attività di cui innanzi UNIPART LTD concluse un accordo con una società di diritto inglese del Gruppo Jaguar (di seguito: “Jaguar UK”), esteso anche all’Italia in forza di accordo con la Jaguar Italia s.p.a., avente ad oggetto un servizio integrale di analisi, studio, raccolta, immagazzinamento e consegna di parti di ricambio per autovetture da sette depositi a circa 700 rivenditori/concessionari Jaguar. Tale servizio prevedeva la gestione di magazzino, la distribuzione multicanale dei pezzi di ricambio, la creazione ed il controllo del sistema informatico relativo all’attività di logistica, la gestione delle forniture ai clienti della stessa Jaguar UK, oltre a vari servizi tecnici e commerciali.

Per l’espletamento della detta attività, con riferimento ai concessionari italiani, la contribuente concluse con Jaguar Italia s.p.a. un accordo (lettere 22 dicembre 1995 e 19 febbraio 1996), avente ad oggetto attività di supporto (nonchè di controllo ed ottimizzazione delle attività logistiche), da parte della Jaguar Italia s.p.a. ed in ragione dell’osservatorio privilegiato di essa nell’ambito delle relazioni con la rete dei concessionari, della gestione della politiche commerciali, del marketing, dei prezzi e delle performance di distribuzione.

La contribuente, con sede legale in Inghilterra, nominò in Italia un rappresentante fiscale che sin dal 12 gennaio 1996 aveva comunicato di esercitare l’attività di “altri servizi connessi all’informatica” senza avvalersi di uffici, magazzini o locali e di esercitare l’attività presso la propria residenza (come emerge in maniera non controversa dal controricorso).

In esecuzione dell’accordo da ultimo citato Jaguar Italia s.p.a. emise nei confronti della UNIPART LTD fatture comprensive dell’IVA, ritenendole operazioni imponibili D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 7, comma 3. Ciò quindi in applicazione del principio di territorialità dell’imposta di cui al citato art. 7 (nella formulazione ratione temporis applicabile nella versione antecedente alle consistenti modifiche apportate dal D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, art. 1, comma 1, lett. b)) per prestazioni di servizi generici. Queste ultime, in forza del detto comma 3, per il contribuente, avrebbero dovuto considerarsi effettuate nel territorio dello Stato in quanto emesse da soggetto avente domicilio e residenza in Italia, la Jaguar Italia s.p.a., e, quindi non rientranti in taluna delle ipotesi derogatorie di cui al medesimo art. 7, successivo comma 4.

La contribuente, tramite il proprio rappresentante fiscale in Italia, chiese il rimborso dell’IVA di cui alle dette fatture, non avendo effettuato in Italia operazioni attive comportanti un suo debito d’IVA nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

In forza della richiesta di cui innanzi, l’A.E. effettuò nei confronti della UNIPART LTD un’ispezione contabile e documentale, eseguita mediante accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività, a fini IVA, relativamente a diverse annualità, tra le quali il 1999. L’accertamento fu condotto al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi della legittimità dell’imposizione a fini IVA delle operazioni di cui alle fatture emesse dalla Jaguar Italia s.p.a. e, quindi, della rimborsabilità dell’imposta alla contribuente, e si concluse con PVC del 3 dicembre 2007.

Dalla detta attività emerse, in particolare, l’assenza di personale dipendente, di beni strumentali, di conti correnti in Italia, di ricevute di pagamento delle fatture di acquisto e che, quindi (anche) per il 1999 l’unica attività svolta dalla UNIPART LTD, con rappresentante fiscale in Italia, aveva avuto ad oggetto solo la gestione amministrativa della tenuta della contabilità relativa alle transazioni commerciali tra la UNIPART e la Jaguar Italia s.p.a., in forza del supporto da quest’ultima fornito in ragione dei citati accordi commerciali. Si trattava di fatture aventi la dizione “servizi di consulenza come da contratto del 22/12/1995”, senza riferimenti alle qualità ed alle quantità delle operazioni (beni o servizi prestati) ed in assenza di altra documentazione a supporto delle stesse tale da rendere possibile la qualificazione e quantificazione delle operazioni.

La contribuente, quindi, non avendo effettuato alcuna operazione attiva per il 1999, aveva annotato esclusivamente le fatture ricevute dalla Jaguar Italia s.p.a. e le liquidazioni IVA erano pertanto risultate tutte a credito (con riporto anche del credito d’imposta dell’anno precedente).

Per l’Amministrazione finanziaria si trattava quindi di attività gestita direttamente dalla casa madre inglese (la UNIPART LTD) e non dal rappresentante fiscale in Italia, il quale invece si era limitato, di fatto, a recuperare l’IVA versata con riferimento alle citate fatture.

In ragione anche del metodo di commisurazione del corrispettivo, in parte a provvigione e in parte fissa, l’amministrazione ritenne le operazioni non imponibili D.L. 30 agosto 1993, n. 331, ex art. 40, comma 8, conv., con modif., dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427 (comma abrogato dalla L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 7, lett. b, n. 2, con decorrenza dal giorno successivo a quello di pubblicazione della legge stessa, salvo che per le operazioni a decorrere dal primo gennaio 2008 effettuate con applicazione della disciplina previgente).

L’A.E. argomentò, quindi, in applicazione della disciplina inerente la territorialità delle operazioni intracomunitarie e considerando quelle in esame, ex art. 40, citato comma 8, prestazioni di intermediazione rese da un soggetto con sede in Italia (la Jaguar Italia s.p.a.) ad un soggetto passivo d’imposta intracomunitario (la UNIPART LTD), pertanto non imponibili ai fini IVA (con conseguente non rimborsabilità e non detraibilità dell’IVA pagata).

In ragione della parte fissa del corrispettivo (per collaborazione della Jaguar Italia s.p.a. nella fornitura di dati necessari alla UNIPART LTD per l’ottimizzazione dell’attività logistico-distributiva), l’amministrazione ritenne invece la non imponibilità delle operazioni ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4 (nella sua formulazione ratione temporis applicabile), rilevando, ai fini della determinazione territoriale dell’imposta il domicilio dell’utilizzatore, nella specie non presente in Italia.

3. L’avviso di accertamento fu impugnato innanzi al Giudice tributario da UNIPART LTD che dedusse, per quanto rileva nel presente processo, la nullità dell’atto impositivo, L. 27 luglio 2000, n. 212, ex art. 12, in quanto emesso in violazione del termine dilatorio di sessanta giorni, decorrenti dal rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, ed in assenza di particolare e motivata urgenza (prospettata dall’Amministrazione finanziaria solo in forza dell’imminenza del termine decadenziale per l’adozione dell’atto).

Nel merito dell’accertamento, la contribuente dedusse l’erroneità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria nel non aver considerato le operazioni di cui alle fatture imponibili ai fini IVA, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 7, comma 3 (nella formulazione antecedente alla sua sostituzione ad opera del D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, art. 1, comma 1, lett. b, ratione temporis applicabile), in quanto aventi ad oggetto servizi resi da soggetto con domicilio nel territorio dello Stato (Jaguar Italia s.p.a.).

4. la CTP di Roma, con sentenza n. 352/13/2009, annullò l’atto impositivo per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, in particolare per il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (senza entrare nel merito della fondatezza delle doglianze inerenti la correttezza dell’atto impositivo circa la non imponibilità ai fini IVA delle operazioni).

5. Appellata dall’Amministrazione finanziaria, la sentenza di primo grado venne riformata dalla CTR Roma che, con sentenza n. 12/10/2011 (oggetto d attuale ricorso per cassazione), ritenne non nullo l’avviso di accertamento, nonostante il mancato rispetto del termine dilatorio di cui al citato art. 12, comma 7, in forza di tre distinte rationes decidendi. Essa, in primo luogo, ritenne la detta sanzione non operante nella specie in quanto non esplicitamente prevista dall’ordinamento giuridico e, comunque, considerò sufficientemente motivata l’urgenza, in forza dell’imminente scadenza del termine decadenziale per l’adozione dell’atto.

A quanto innanzi il Giudice di secondo grado, dichiarando di fare proprie tesi dottrinali ed orientamenti giurisprudenziali, aggiunse sostanzialmente che, per l’assenza di prospettazione, da parte del contribuente, di ragioni di merito tali da denunciare un’ingiustizia sostanziale derivante dalla violazione del contraddittorio endoprocedimentale, comunque la violazione in esame avrebbe implicato un mero “errore procedurale”. Quest’ultimo, a sua volta, avrebbe implicato “un vizio meramente formale e perciò irrilevante perchè, di fatto,” non incidente “sulla legittimità sostanziale dell’atto e quindi sulla fondatezza della pretesa impositiva”.

Nel merito dell’accertamento, la Corte territoriale confermò l’atto impositivo, ricordando l’assenza di domicilio e residenza in Italia di UNIPART. LTD, avente mero rappresentante fiscale in Italia (circostanza non controversa ed anzi confermata da tutte le parti processuali anche in sede di legittimità).

Il Giudice di merito ritenne altresì accertato che, per quanto di rilievo nella fattispecie in esame, l’unica attività svolta da UNIPART, con rappresentante fiscale in Italia, aveva avuto ad oggetto solo la gestione amministrativa della tenuta della contabilità relativa alle transazioni commerciali tra la UNIPART LTD e la Jaguar Italia s.p.a., in forza del supporto da quest’ultima fornito in ragione dei citati accordi commerciali. Trattavasi, quindi, di attività gestita direttamente dalla casa madre inglese (la UNIPART LTD) e non dal rappresentante fiscale in Italia, il quale invece si era “limitato, di fatto, a recuperare l’IVA” versata con riferimento alle citate fatture, configurandosi, l’attività della Jaguar Italia s.p.a., come “esercizio di distribuzione senza tuttavia sopportare il rischio di magazzino”.

Alla luce anche del corrispettivo riconosciuto alla Jaguar Italia s.p.a., costituito in minima parte da un contributo fisso e per la maggior parte da una percentuale (provvigione sulle vendite), la CTR concluse infine che le fatture in esame fossero state emesse in forza di “attività di intermediazione resa da un soggetto con sede in Italia ad un soggetto passivo d’imposta intracomunitario” (la UNIPART appunto non residente) “ed identificato ai fini IVA in un altro Stato UE”. Sicchè, le dette operazioni, in quanto di intermediazione, non sarebbero dovute essere assoggettate ad IVA (con la conseguente impossibilità di recuperare e detrarre quella invece pagata), in applicazione della disciplina inerente la territorialità delle operazioni intracomunitarie di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 40, comma 8 (comma abrogato dalla L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 7, lett. b, n. 2, con decorrenza dal giorno successivo a quello di pubblicazione della legge stessa, salvo che per le operazioni a decorrere dal primo gennaio 2008 effettuate con applicazione della disciplina previgente).

6. Contro la sentenza d’appello la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e sostenuto da memoria, con la quale è stata dedotta l’efficacia espansiva del giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 581/2000 emessa dalla CTP di Roma il 24 novembre 2000 e passata in giudicato il 9 gennaio 2002 (che contestualmente produce). Con la medesima memoria, poi, è stata comunque chiesta l’applicazione del nuovo regime sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 5, (per illegittima detrazione dell’imposta) e all’art. 5 stesso decreto, comma 6 (per dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta).

L’A.E. si è difesa con controricorso, con il quale ha dedotto l’infondatezza del motivo n. 1 e l’inammissibilità oltre che l’infondatezza dei motivi nn. 2 e 3 del ricorso principale.

In sede di discussione la parti hanno infine concluso come indicato in epigrafe.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente, deve trattarsi la questione inerente l’efficacia espansiva del giudicato esterno (dedotta dal ricorrente con la memoria) costituito dalla (prodotta) sentenza n. 581/2000 emessa, tra le spesse parti, dalla CTP di Roma il 24 novembre 2000 e passata in giudicato il 9 gennaio 2002 (in quanto non impugnata).

1.1. La questione in oggetto è inammissibile in quanto dedotta per la prima volta con le memorie depositate dal ricorrente per l’odierna udienza nonché solo genericamente paventata con il ricorso, pur inerendo sentenza passata in giudicato nel 2002, cioè antecedentemente ai giudizi di merito e comunque prima del giudizio di secondo grado (inerente l’appello avverso sentenza emessa dalla CTP nel 2009).

Il giudicato esterno, la cui efficacia espansiva nel processo tributario opera nei casi in cui esso sia in grado di incidere su elementi riguardanti più periodi d’imposta, può essere difatti dedotto e provato anche per la prima volta in sede di legittimità purché formatosi dopo la conclusione del giudizio di merito o dopo il deposito del ricorso per cassazione, differentemente da quanto avvenuto nella fattispecie (ex plurimis, Cass. sez. 5, 18/10/2017, n. 24531, Rv. 645913-01, nonché, in precedenza, Cass. sez. 5, 07/05/2008, n. 11112, Rv. 603135-01). Nel caso in cui il giudicato esterno si sia invece formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita, nell’ambito dello stesso, dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione (Cass. Sez. U., 20/10/2010, n. 21493, Rv. 614451-01, e le successive conformi, tra le quali, ex plurimis, Cass. sez. 5, 04/11/2015, n. 22506, Rv. 637074-01, e Cass. sez. 5, 03/11/2018, n. 22177, Rv. 641881-01).

A nulla rileva peraltro, in senso contrario e nella fattispecie concreta, la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno, al pari di quello interno, in sede di legittimità, necessitando comunque che esso emerga da atti prodotti nel giudizio di merito ovvero che si sia formato successivamente alla sentenza impugnata. In tal caso, infatti, la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., che è limitato ai documenti formatisi nel corso del giudizio di merito, ed è, invece, operante ove la parte (come nella specie) invochi l’efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (in tal senso, di recente, Cass. sez. 2, 22/01/2018, 1534, Rv. 647079-01; si veda altresì Cass. Sez. U., 16/06/2006, n. 13916, Rv. 589695-01).

2. Con il motivo n. 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

In sostanza il ricorrente si duole dell’erronea interpretazione data dal Giudice di merito della norma di cui innanzi, avendo la sentenza impugnata ritenuto esclusa la sanzione della nullità dell’atto impositivo per l’ipotesi di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per la sua emanazione (di cui al citato comma 7), e di aver ritenuto integrante ipotesi di particolare e motivata urgenza, tale da legittimare il non rispetto del detto termine, la mera imminente decadenza dell’Amministrazione finanziaria dell’adozione dell’atto.

Con il motivo n. 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 1362 e ss. c.c., con riferimento al contratto concluso tra contribuente e Jaguar Italia s.p.a., e conseguente violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3.

Il ricorrente si duole dell’interpretazione data dal Giudice di merito al detto contratto, come avente ad oggetto non prestazione di servizi generici bensì attività di intermediazione, con conseguente errata applicazione della disciplina di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 40, comma 8, ratione temporis applicabile, in materia di territorialità delle operazioni intracomunitarie. Ciò in luogo della corretta applicazione di quella prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3, ratione temporis applicabile.

Tale violazione e falsa applicazione di legge avrebbero poi, a detta del ricorrente, implicato il ritenere l’operazione non assoggettata ad IVA (con conseguente non rimborsabilità nè detraibilità di quella pagata).

Con il motivo n. 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce contraddittorietà ed in subordine omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare con riferimento alla parte motiva relativa all’accertamento della tipologia di attività di cui alle fatture (in termini di attività di intermediazione).

3. Il motivo n. 1 del ricorso è fondato, con assorbimento degli altri motivi di ricorso, per le ragioni e nei termini di seguito evidenziati.

3.1. La questione inerisce l’interpretazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), ed in particolare se necessiti la c.d. “prova di resistenza” da parte del contribuente al fine di ritenere illegittimo il provvedimento impositivo, in materia di tributi armonizzati (nei quali rientra l’IVA), emesso all’esito di accessi ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività.

Cass. Sez. U., 29/07/2013, n. 18184, rv. 627474-01 ha chiarito che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus. Ciò in quanto trattasi di termine posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Il vizio invalidante, come chiarito dalle Sezioni Unite, non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.

Successivamente, Cass. Sez. U., 09/12/2015, n. 24823 ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati””, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. Non sussiste, poi, alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”.

Premesso il quadro normativo di riferimento, in merito all’evidenziata questione di diritto in esame, il collegio ritiene di dare continuità ai principi di recente sanciti da questa stessa Sezione (Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 701, Rv. 652456-01, e Cass. sez. 5, 15/01/2019, n. 702, in motivazione), alla luce di una lettura dei citati approdi delle Sezioni Unite nel quadro costituzionale ed Eurounitario di riferimento e, quindi, in applicazione dei due principi cardine del diritto comunitario regolanti il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale. Tali sono il principio di equivalenza, in virtù del quale le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura interna, ed il principio di effettività, non dovendo la disciplina nazionale rendere in concreto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, derivandone che il contribuente deve essere posto nelle condizioni di esercitare il contraddittorio (si vedano: CGUE 18 dicembre 2008 C-349/07 Sopropè – Organizacoes de Calgado Lda contro Fazenda Pública; CGUE 3 luglio 2014 C-129 e 130/13 Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financien, p. 75; CGUE 8 marzo 2017, Euro Park Service C-14/16 p. 36, in materia di rimborsi; CGUE 9 novembre 2017, Ispas C-298/16 p.p. 30,31, resa proprio sull’IVA; CGUE 20 dicembre 2017, Preqù Italia srl C-276/16, p. 45 sul diritto al contraddittorio in materia doganale).

Orbene, proprio dando continuità ai principi giurisprudenziali sopra esposti, ai fini dell’interpretazione dell’art. 12, comma 7, in oggetto questa Corte ha osservato, in primo luogo, che la norma non a caso non distingue tra tributi armonizzati e non. In via generale, infatti, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria espressa di nullità dell’atto impositivo nel caso di mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, a far data dalla conclusione delle operazioni di controllo. Tale disciplina nazionale, quindi, già a monte, ingloba la “prova di resistenza”, nel pieno rispetto della giurisprudenza della CGUE (Kamino, cit., p. 80; Sopropè, cit., p. 37).

Siffatta interpretazione è al tempo stesso rispettosa anche dei principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale civile, amministrativo e tributario, secondo cui la regola della strumentalità delle forme, ai fini del rispetto del contraddittorio, viene meno in presenza di un’espressa sanzione di nullità comminata dalla legge per la violazione in questione.

In secondo luogo, coerentemente con quanto precede, è stato da questa Corte evidenziato che l’operatività della “prova di resistenza”, di cui alle citate Sezioni Unite del 2015, non può che essere circoscritta al caso di assenza di un’espressa previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio. Solo in assenza di un’espressa sanzione di nullità introdotta dal legislatore per il caso di violazione del contraddittorio, vi può difatti essere spazio per il giudice affinchè possa operare una valutazione ex post, caso per caso, sull’intervenuto rispetto del contraddittorio o meno.

A quanto innanzi si è aggiunta, quale ulteriore logica conseguenza, che, anche per i tributi armonizzati, scatta la prova di resistenza ai fini del contraddittorio endoprocedimentale nel solo caso in cui la normativa interna non preveda la sanzione della nullità. Specularmente, ove il legislatore già preveda tale sanzione non opera il riferimento alla prova di resistenza.

In conclusione, ai fini delle imposte armonizzate, la prova di resistenza non si deve applicare nelle tre ipotesi in cui nei confronti del contribuente sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, dovendosi applicare solo nel caso di verifiche a tavolino.

Ne consegue in definitiva che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 effettua, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio già operata dal legislatore, attraverso la previsione espressa di una nullità per mancato rispetto del termine dilatorio che già, a monte, ingloba la “prova di resistenza”, sia con riferimento ai tributi armonizzati che in ordine a quelli non armonizzati (non effettuando la norma alcuna distinzione in merito alle conseguenze sanzionatorie).

Sicchè, anche per i tributi armonizzati, tra i quali, come nella specie, l’IVA, scatta la prova di resistenza, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, solo nel caso di mancata previsione da parte della normativa interna della sanzione della nullità, invece prevista dal citato art. 12, comma 7, per l’ipotesi della violazione del termine dilatorio.

3.2. L’applicazione alla fattispecie concreta dei principi di cui innanzi implica l’accoglimento del motivo di ricorso, trattandosi di provvedimento impositivo, avviso di accertamento per recupero di IVA indebitamente detratta, emesso in violazione del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, come pacificamente ammesso dalle parti processuali oltre che emergente dalla stessa sentenza impugnata.

Nella specie, difatti, non rileva, per quanto innanzi argomentato, l’omessa prova di resistenza da parte del contribuente, trattandosi di illegittimità derivante dalla detta citata norma, ed in assenza di valide ragioni d’urgenza fondanti il non rispetto del termine dilatorio. Sotto tale ultimo profilo, in particolare, l’A.E. a fondamento della violazione del termine dilatorio ha dedotto, anche in sede processuale, l’imminenza della scadenza del termine decadenziale. La CTR non correttamente ha poi ritenuto tale circostanza valida ragione d’urgenza ai sensi del citato art. 12, in assenza di valide ragioni tali da giustificare il perchè l’Amministrazione abbia esercitato il potere nell’imminenza della scadenza del termine, argomentabili da elementi di fatto che esulino dalla sfera dell’Ente impositore e fuoriescano dalla sua diretta responsabilità (in tal senso, ex plurimis: Cass. sez. 6-5, 10/04/2018, n. 6416, Rv. 647732-01; Cass. sez. 5, 16/03/2016, n. 5149, Rv. 639141-01; Cass. sez. 6-5, 09/11/2015, n. 22786, Rv. 637204-01; Cass. sez. 5, 05/12/2014, n. 25759, Rv. 633713-01).

4. In conclusione, deve essere accolto il motivo n. 1 del ricorso, con assorbimento nella relativa decisione degli altri motivi di ricorso, e cassata la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, con decisione nel merito, non essendovi circostanze fattuali da accertare, e conseguente accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente. Devono compensarsi non solo le spese del presente giudizio di legittimità ma anche quelle dei precedenti gradi di merito, in forza della descritta evoluzione (anche temporale) del quadro interpretativo della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

P.Q.M.
accoglie il motivo n. 1 del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo del contribuente; e dichiara compensate le spese processuali inerenti il presente giudizio di legittimità ed i precedenti gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2019


Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 23-05-2019) 05-09-2019, n. 22167

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29542-2016 proposto da:

P.F., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARILENA VICICONTE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FIRENZE, EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

COMUNE DI FIRENZE in persona del Sindaco N.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA SANSONI;

– ricorrente incidentale –

contro

P.F., EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1845/2016 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 12/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale assorbito il ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato MARIA IMMACOLATA AMOROSO per delega.

Svolgimento del processo
1. Nel 2007 il Comune di Firenze irrogò a P.F. due sanzioni amministrative per altrettante violazioni del codice della strada, per l’importo complessivo di Euro 239,70.

Rimaste impagate le suddette sanzioni, il 12.2.2010 il Comune di Firenze notificò a P.F. una cartella di pagamento, per recuperare coattivamente il suddetto importo.

2. In data non indicata nè nella sentenza, nè nel ricorso, nè nel controricorso, P.F. propose opposizione dinanzi al Giudice di pace di Firenze avverso la suddetta cartella esattoriale.

A fondamento dell’opposizione dedusse:

-) di non avere mai ricevuto la notifica dei due verbali accertamento dell’infrazione;

-) che comunque la notifica di essi era viziata sotto vari aspetti: sia perchè eseguita da un privato, e non dal messo comunaleò; sia perchè eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., senza che il piego fosse depositato nella casa comunale, ma in un luogo diverso; sia perchè l’avviso dell’avvenuto deposito del piego venne spedito al destinatario da un privato.

3. Con sentenza 7523 del 2012 il Giudice di pace di rigettò la domanda.

Il Tribunale di Firenze, con sentenza 12.5.2016 n. 1845, rigettò il gravame proposto da P.F..

Ritenne il Tribunale che la notifica era stata eseguita validamente da un messo comunale, per tale dovendosi intendere anche il soggetto privato cui il Comune abbia conferito apposito incarico; che la spedizione dell’avviso di cui all’art. 140 c.p.c. poteva essere compiuta anche da un privato, cui la p.a. avesse conferito tale incarico; che il deposito del piego era avvenuto nel luogo a ciò deputato dall’amministrazione comunale, a nulla rilevando che fosse diverso dalla sede storica del Comune di Firenze, in Palazzo Vecchio; che l’avviso di ricevimento della raccomandata di comunicazione dell’avvenuto deposito del piego nella casa comunale non presentava vizi formali di sorta.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da P.F., con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito il Comune di Firenze con controricorso, e proposto ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 140 c.p.c..

Sostiene che il Tribunale ha errato nel ritenere valida la notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., nonostante il deposito del piego, non potuto consegnare per temporanea assenza del destinatario, fosse avvenuto non nella casa comunale, ma “in un ufficio privato indicato come sede sussidiaria della Casa del Comune di Firenze”.

Deduce che l’art. 140 c.p.c., là dove stabilisce che il piego non potuto consegnare sia depositato nella “casa del comune”, non può che essere “un luogo pubblico ufficiale, certo e stabile, non certo un ufficio privato estemporaneamente indicato in un provvedimento” dell’amministrazione comunale.

Ne trae la conclusione che, non essendo ritualmente avvenuta la notifica dei verbali di contestazione (o accertamento)e delle violazioni al codice della strada, ne era derivata la nullità della cartella esattoriale su quei verbali fondata.

1.2. Il Comune di Firenze ha eccepito l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, “in quanto contenente doglianze, nonchè riferimenti a fatti e circostanze assenti nel ricorso originario”.

Sostiene l’amministrazione controricorrente che la questione della nullità della notifica del verbale di contestazione (o accertamento)e, derivante dal deposito del piego in un luogo diverso dalla casa comunale, venne sollevata dall’odierno ricorrente soltanto all’udienza di discussione del giudizio di primo grado, e perciò non esaminata dal giudice di pace, che la ritenne tardiva.

Il Tribunale, invece, esaminò la questione nel merito e la rigettò, ma non avrebbe potuto farlo a causa della tardività con cui venne introdotta nel giudizio.

1.3. L’eccezione è inammissibile.

Se, infatti, il giudice d’appello esamina e decide una questione tardivamente introdotta, chi intenda dolersi di quest’errore, ancorchè vittorioso all’esito del giudizio di appello, in sede di legittimità non può reintrodurre la questione con una semplice eccezione, ma deve proporre appello incidentale sul punto, in virtù del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione: principio del quale la stessa amministrazione comunale si dimostra del resto edotta, avendo per l’appunto proposto un appello incidentale esattamente coincidente con l’eccezione di inammissibilità sollevata alle pagine 4 e 5 del proprio ricorso.

1.4. Nel merito, il primo motivo di ricorso è infondato.

Circostanze di fatto pacifiche, di cui non è adeguatamente contestata la rituale acquisizione al materiale di causa, sono le seguenti:

-) la notificazione al debitore del verbale di accertamento dell’infrazione al codice stradale avvenne ai sensi dell’art. 140 c.p.c.;

-) a causa dell’assenza del destinatario, il piego venne depositato in via (OMISSIS);

-) il luogo di deposito del piego non fu la sede storica del Comune di Firenze (Palazzo Vecchio), ma un luogo indicato dall’amministrazione comunale come “casa comunale” sussidiaria, a tal fine designata con determinazione dirigenziale del 10.10.2005 n. 8946;

-) la suddetta determinazione dirigenziale venne adottata due anni prima della notifica dei verbali di contestazione (o accertamento)e dell’infrazione.

1.5. La notifica effettuata con le suddette modalità è valida ed efficace.

Il piego da notificare, infatti, è stato depositato in un luogo designato dalla stessa amministrazione comunale come equipollente alla “casa comunale”, e tanto basta per escludere il denunciato vizio di notifica.

Non è infatti inibito all’amministrazione comunale designare quali “case comunali” luoghi ulteriori ed anche plurimi rispetto al municipio; ed ove l’amministrazione si avvalga di tale facoltà, il luogo a tal fine designato sarà a tutti gli effetti di legge equipollente alla “casa comunale”.

1.6. Tanto si desume dall’interpretazione storica e da quella sistematica del testo normativo.

L’espressione “casa comunale”, nell’ordinamento postunitario, comparve per la prima volta nell’art. 173 del R.d. 14.12.1865 n. 2641 (“Regio Decreto col quale è approvato il regolamento generale giudiziario per l’esecuzione del codice di procedura civile, di quello di procedura penale, e della legge sull’ordinamento giudiziario”), il quale stabiliva che “i conciliatori tengono le ordinarie loro udienze nella casa comunale o in quell’altra che sia dal municipio destinata”.

Già nel regolamento di procedura del 1865, dunque, si lasciava al Comune la facoltà di destinare un luogo diverso dalla casa comunale a sede degli uffici di conciliazione.

Analogamente, il R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 9 (“che approva il regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato”), nel disciplinare le notificazioni, stabiliva che “ove nessuno si trovi nell’abitazione, o in caso di rifiuto di ricevere il ricorso che si notifica, l’ufficiale giudiziario o il messo comunale lascia avviso, in carta libera, affisso alla porta dell’abitazione e deposita la copia dell’atto nella casa comunale o la consegna al sindaco o a chi ne fa le veci, o all’impiegato delegato a ricevere gli atti”.

Analoga previsione era contenuta nell’”Annesso A” al R.D. 17 agosto 1907, n. 643, recante l’approvazione del regolamento di procedura di giudizi dinanzi la giunta provinciale.

In ambedue tali previsioni l’uso della particella disgiuntiva “o” rendeva evidente che il deposito nella casa comunale non era un atto ineludibile, poteva essere sostituito dalla consegna a mani al sindaco o ad un suo delegato, ovviamente anche in luogo diverso dalla casa comunale.

Ancora, l’art. 7 dell’”Annesso A” al R.D. 20 dicembre 1909, n. 830 (“che approva l’annesso regolamento sulla pesca e sui pescatori”), dopo aver stabilito che ogni sindacato di pescatori aveva sede nella casa comunale, aggiungeva “o nei locali di una delle associazioni che lo compongono”, così dimostrando anche in questo caso come la designazione della casa comunale non fosse assoluta.

In seguito, in circostanze ben più tragiche, il R.D. 31 ottobre 1942, n. 1612, art. 42 (recante “regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi sulla disciplina dei cittadini in tempo di guerra”), nel prevedere la facoltà del ministro per le corporazioni di chiamare al lavoro i cittadini per esigenze di guerra, stabilì che il “manifesto di chiamata” dovesse essere affisso “all’esterno della casa comunale ed in altri principali luoghi pubblici”.

Questo breve excursus dimostra come il legislatore, già molto tempo prima dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura civile, aveva indicato nella casa comunale il luogo deputato allo svolgimento delle più svariate attività: il deposito degli atti non potuti notificare, la sede degli uffici di conciliazione, la sede dei consigli di associazioni professionali, il luogo di affissione dei pubblici proclami.

Tuttavia da un lato la eterogeneità di tali previsioni, e dall’altro l’attribuzione alle autorità amministrative della facoltà di designare luoghi diversi ed equipollenti rispetto alla casa comunale, rendono palese che la scelta quest’ultima come luogo deputato al compimento di determinati atti si giustificava non per una indimostrabile “prevalenza” del municipio su altri luoghi, ma soltanto per il fatto che, in una società ancora largamente preindustriale e scarsamente alfabetizzata (nel 1865 nel nostro Paese era analfabeta il 72,96% della popolazione, ed ancora il 21% nel 1931), la sede del Comune era un luogo che consentiva una individuazione inequivoca.

Era la facilità di individuazione la ratio legis sottesa dalle norme che imponevano il compimento di determinati atti giuridici nella casa comunale.

Quella ratio è, da tempo, venuta meno.

La drastica riduzione dell’analfabetismo, la facilità delle comunicazioni e degli spostamenti, le moltiplicate possibilità della p.a. di far pervenire le proprie deliberazioni ai cittadini, rendono puramente teorica la possibilità che questi ultimi siano tratti in errore nell’individuazione della “casa comunale”, o dei luoghi destinati a sostituirla.

Ne consegue che, anche ad ammettere che l’art. 140 c.p.c. sia ambiguo – il che, per quanto si dirà, non è -, la norma andrebbe comunque interpretata alla luce del mutato contesto socioeconomico sopra tratteggiato.

Essa, pertanto, in applicazione del principio cessante ratione legis, cessat et ipsa lex, va interpretata nel senso che l’espressione “casa del comune” presente nell’art. 140 c.p.c., così come l’espressione “casa comunale”, che compare nell’art. 143 c.p.c., vadano intese come sinonimi di “municipio od altro luogo a tal fine designato dall’amministrazione comunale”.

1.7. Ad esiti analoghi conduce l’interpretazione sistematica.

Le espressioni “casa del comune” o “casa comunale” compaiono in numerose norme, sostanziali e processuali.

In materia processuale, compaiono – tra gli altri – negli artt. 140, 143 e 150 c.p.c.; nell’art. 155 c.p.p.; nel D.P.R. 29 settembre 1973, art. 66. In tutte queste norme la casa comunale è indicata quale luogo del deposito di atti o dell’affissione di avvisi.

In materia sostanziale, l’espressione “casa comunale” compare nell’art. 106 c.c. (che la designa quale luogo di celebrazione del matrimonio; affine è la previsione del D.P.R. 3 novembre 2000, art. 70 novies, che designa la “casa comunale” a sede della celebrazione delle unioni civili); nel medesimo D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, artt. 55 (che impone la pubblicazione di matrimonio “presso la porta della casa comunale”).

Tuttavia il citato D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 3 (recante “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile”) accorda ai Comuni la facoltà di “disporre, anche per singole funzioni, l’istituzione di uno o più separati uffici dello stato civile”. Ed il Consiglio di Stato, richiesto dal Ministero dell’Interno d’un parere sull’interpretazione di tale norma, ha chiarito che “casa comunale può essere considerata qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica del Comune, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali”(Cons. di Stato, sez. I, parere 22.1.2014 n. 196).

Vero è che la suddetta norma (D.P.R. n. 396 del 2000, art. 3) e il suddetto parere del Consiglio di Stato avevano ad oggetto la “casa comunale” quale luogo di celebrazione del matrimonio. Ma se la legge consente la delocalizzazione – rispetto alla sede storica del municipio – della celebrazione del matrimonio civile, a maggior ragione dovrà ritenersi consentita la istituzione di “case comunali” alternative per il deposito degli atti notificati ai sensi dell’art. 140 c.p.c.: se così non fosse si perverrebbe all’assurdo, incoerente col tradizionale canone ermeneutico dell’a fortiori, per cui la legge richiederebbe oneri formali meno rigorosi per l’atto di preminente importanza sociale, giuridica e costituzionale (il matrimonio), mentre esigerebbe oneri formali ben maggiori, per il compimento di atti di minor rilievo (il deposito d’un verbale di accertamento d’una contravvenzione stradale, non potuto consegnare al destinatario della notifica).

1.8. Resta da aggiungere come non ostino alle conclusioni sopra raggiunte i due precedenti di questa Corte invocati dalla ricorrente: e cioè Sez. 2, Sentenza n. 1321 del 03/02/1993, Rv. 480653 – 01, e Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 16817 del 03/10/2012, Rv. 624022 – 01.

La prima di tali decisioni aveva ad oggetto un caso in cui l’ufficiale giudiziario, non rinvenuto il destinatario dell’atto, depositò il piego, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., nella “casa comunale” di una frazione del Comune.

Questa Corte ritenne nulla quella notifica, ma non perchè all’amministrazione fosse inibito designare luoghi equipollenti alla casa comunale; ma per la diversa considerazione che le frazioni comunali non hanno una “casa comunale”, nè nel caso di specie era stato dimostrato che il Comune avesse deputato un luogo equipollente nel territorio della frazione.

Quanto alla decisione pronunciata ad Cass. 16817/12, cit., essa aveva ad oggetto una fattispecie analoga a quella oggi in esame. Tuttavia in quel caso il Collegio giudicante ritenne nulla la notifica non perchè il piego venne depositato nel luogo designato dal Comune quale equivalente alla casa comunale, ma per la diversa ragione che la designazione di quel luogo era avvenuta sulla base di un provvedimento amministrativo adottato dopo l’esecuzione della notifica.

Non sarà superfluo aggiungere che:

-) le argomentazioni trascritte dal ricorrente a p. 6-7 del proprio ricorso, ed estratte dalla motivazione di Cass. 16871/12, erano contenute nella proposta di decisione ex art. 380 bis c.p.c., trascritta in sentenza, e non nella parte decisoria vera e propria della sentenza;

-) quelle motivazioni, in ogni caso, erano state mutuate alla lettera dalla precedente sentenza 1321/93, che aveva ad oggetto un caso del tutto diverso da quello oggi in esame;

-) nessuna delle due decisioni si confronta col testo inequivoco del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 3;

-) neppure è dedotto che la designazione del luogo diverso dalla casa comunale, nel quale il deposito ha avuto luogo, sia avvenuta in modo irrituale o comunque con modalità tali da sorprendere o limitare il diritto di difesa del destinatario della notifica (ad esempio, perchè non menzionata chiaramente nell’avviso di avvenuto deposito previsto dallo stesso art. 140 c.p.c.).

1.9. Per queste e per le altre ragioni sopra indicate, ai due precedenti invocati dal ricorrente, anche ad ammettere che fossero pertinenti rispetto al caso di specie, ritiene questo Collegio di non potere dare continuità, in applicazione del seguente principio di diritto: “in materia di notificazione di atti e quindi anche di verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, la “casa del comune” in cui l’ufficiale notificante deve depositare la copia dell’atto da notificare si identifica, in alternativa alla sede principale del Comune, anche in qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica di questo, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali con provvedimento adottato prima della notificazione e chiaramente menzionata nell’avviso di avvenuto deposito”.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione da parte del Tribunale della L. n. 689 del 1981, art. 14; del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201, comma 3; della L. n. 890 del 1982, artt. 3, 7 ed 8; della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 158 e 159.

Nell’illustrazione della censura il ricorrente deduce che erroneamente il Tribunale ha ritenuto valida la notifica dei verbali di contestazione (o accertamento)e della violazione amministrativa, effettuata dagli incaricati di una società privata. Espone che l’attività notificatoria nel caso di specie venne eseguita da incaricati della società ATI TNT Poste; che tale attività non può essere affidata dall’ente accertatore della violazione ad agenzie o società private; che tale facoltà venne concessa alle amministrazioni comunali soltanto dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, emanata nove mesi dopo che il Comune di Firenze, con provvedimento del sindaco, aveva già attribuito il potere notificatorio a soggetti privati; che la nullità della notifica dei verbali rendeva nulla la susseguente cartella di pagamento.

2.2. Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della sentenza impugnata debba essere, in parte, emendata.

All’epoca in cui i verbali di accertamento della violazione vennero notificati a P.F., la materia era disciplinata dall’art. 201 C.d.S., comma 3, rimasto da allora invariato.

Tale norma elenca quattro diversi soggetti cui può essere affidata la notificazione del verbale di contestazione (o accertamento)e dell’infrazione al codice della strada, ovvero:

a) gli organi incaricati dei servizi di polizia stradale (Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza, Polizia penitenziaria, Polizia Municipale);

b) i messi comunali;

c) un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione;

d) il servizio postale.

Quale che sia la modalità prescelta, la legge prevede poi una norma di chiusura, la quale stabilisce che “comunque” (e dunque anche nel caso di notificazioni eseguite senza il rispetto delle suddette previsioni) le notificazioni si intendono validamente eseguite quando siano fatte alla residenza, domicilio o sede dell’obbligato, risultante dalla carta di circolazione, o dall’archivio nazionale dei veicoli, o dal P.R.A. o dalla patente di guida del conducente autore dell’infrazione.

La legge, dunque, consente che il verbale di contestazione (o accertamento) sia notificato da “messi comunali”.

La nozione di “messo comunale” era, in passato, prevista in linea generale dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 273 (testo unico della legge comunale e provinciale). Tale norma venne in seguito abrogata dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 64 (e l’abrogazione venne, inutilmente, ribadita dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 274).

Nondimeno, sono ancora molte le norme tuttora in vigore che continuano a fare riferimento alla figura del “messo comunale”: ad es. l’art. 201 C.d.S., già citato, o la L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 10, che consente alle pubbliche amministrazionì di ricorrere ai messi comunali per l’esecuzione di notifiche.

Poichè dunque la legge continua a prevedere la possibilità che le notificazioni siano eseguite da “messi comunali”, ma non ne dà una definizione generale, questa Corte ne ha tratto la conclusione che la qualifica di “messo comunale” prescinde dal rapporto giuridico che lega il messo al Comune. Potranno dunque aversi messi che siano dipendenti della p.a.; messi che siano funzionari non dipendenti; messi che siano mandatari dell’amministrazione; messi che siano appaltatori di servizi per l’amministrazione.

Come già ritenuto da questa Corte, infatti, qualsiasi attività umana può formare oggetto sia di un rapporto di lavoro autonomo, sia di un rapporto di lavoro subordinato (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 10262 del 15/07/2002, Rv. 555755 01, in motivazione), sicchè in mancanza di norme di legge che impongano l’adozione dell’uno piuttosto che dell’altro tipo di rapporto, l’amministrazione comunale resta libera di scegliere la formula contrattuale più consona al pubblico interesse.

2.3. E’ consentito quindi all’amministrazione comunale appaltare a soggetti privati l’esecuzione dei compiti del messo comunale, ivi compresa la notificazione dei verbali di accertamento delle infrazioni al codice della strada.

Nel caso di specie, è la stessa ricorrente ad allegare che il Comune di Firenze ha appaltato ad un soggetto privato il servizio di notificazione dei verbali di accertamento delle sanzioni amministrative: e, per quanto detto, ciò era consentito al Comune dalla sua autonomia decisionale, e le notificazioni eseguite dai soggetti così nominati sono conformi al dettato dell’art. 201 C.d.S..

2.4. Non è, invece, corretto quanto ritenuto dal Tribunale, e cioè che la notificazione del verbale di accertamento della violazione al codice della strada potesse essere effettuata da privati ai sensi della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 158 e 159.

Tali previsioni infatti, non hanno attribuito alcun ulteriore potere ai Comuni in tema di messi comunali (attribuzione della quale non v’era bisogno, alla luce ella previsione di cui all’art. 201 C.d.S.), ma hanno istituito la diversa figura del “messo notificatore”, competente ad eseguire le notificazioni di soli tre gruppi di atti:

-) gli atti di accertamento dei tributi locali;

-) gli atti delle procedure esecutive di cui al testo unico sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639;

-) gli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie dei comuni.

Tuttavia l’errore in cui è incorso il Tribunale, per quanto detto, è stato ininfluente, in quanto il dispositivo della sentenza impugnata fu comunque conforme a diritto, per le ragioni già esposte.

2.5. Resta solo da aggiungere che i precedenti giurisprudenziali invocati dalla parte ricorrente non sono pertinenti rispetto al caso di specie.

Quei precedenti infatti (richiamati a p. 10 del ricorso) riguardavano l’ipotesi in cui una pubblica amministrazione aveva affidato a privati l’esecuzione di notificazioni o comunicazioni che, per legge, andavano eseguite a mezzo del servizio postale. La nullità, in quel caso, derivava dunque non dalla circostanza che la notifica venne eseguita da un privato, ma dal fatto che venne eseguita da un privato che si sostituì al servizio postale universale.

Ben diverso è il caso di specie, nel quale nessuna norma riserva al servizio postale la notifica dei verbali di accertamento, ma anzi l’art. 201 C.d.S. espressamente parifica la notifica effettuata dal messo comunale a quella effettuata per il tramite del servizio postale.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 140 c.p.c. e art. 201 C.d.S..

Deduce, al riguardo, che:

-) il primo dei due verbali di accertamento dell’infrazione era stato irritualmente notificato, perchè l’avviso di avvenuto deposito del piego presso la casa comunale era stato spedito da soggetto diverso dal messo comunale, e comunque il relativo avviso di ricevimento non recava alcun timbro postale;

-) quanto al secondo verbale, la relata di notifica di esso era stata redatta da persona, qualificatasi “messo comunale”, diversa da quella che aveva poi spedito a mezzo raccomandata l’avviso di avvenuto deposito del piego nella casa comunale, e cioè la ATI TNT Poste s.p.a..

3.2. Il motivo è infondato.

Quanto alla prima censura, essa è infondata poichè la spedizione dell’avviso di ricevimento dell’avvenuto deposito del piego nella casa comunale avvenne a cura delle Poste Italiane; solo la consegna dell’atto alle Poste avvenne a cura della ATI TNT Poste, e ciò le era certamente consentito come già ritenuto da questa Corte (ex multis, Sez. 2 -, Sentenza n. 462 del 11/01/2017, Rv. 642211 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7177 del 10/05/2012, Rv. 622484 – 01).

Quanto alla seconda censura, essa è infondata poichè è ovvio che la persona fisica incaricata dalla ATI TNT Poste s.p.a. di eseguire la notifica, agendo in nome e per conto della società mandante, si identifica organicamente con quest’ultima, e non vi fu dunque alcuna dissociazione tra chi eseguì la notifica, e chi spedì l’avviso di avvenuto deposito del piego nella casa comunale.

4. Il ricorso incidentale.

4.1. Il ricorso incidentale, da qualificare come sostanzialmente condizionato all’accoglimento del ricorso principale, resta assorbito dal rigetto di quest’ultimo.

5. Le spese.

5.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.
la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale;

(-) condanna P.F. alla rifusione in favore del Comune di Firenze delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di P.F. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 04-06-2019) 22-07-2019, n. 19681

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di Sezione –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sezione –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27988/2016 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE, rappresentato e difeso dall’avvocato PIERGIORGIO PIRODDI;

– ricorrente –

contro

UNIONE SARDA S.P.A., in persona del Presidente pro tempore, C.M.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso la sig.ra ANTONIA DE ANGELIS, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO MENNE e CARLA VALENTINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 392/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 16/05/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2019 dal Consigliere FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

uditi gli avvocati Cristina Della Valle per delega dell’avvocato Piergiorgio Piroddi, Carla Valentino ed Antonino Menne.

Svolgimento del processo
1. S.G. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Cagliari, il quotidiano l’Unione Sarda s.p.a. e la giornalista C.M.F., chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni da lui subiti a seguito della pubblicazione su detto quotidiano, in data (OMISSIS), di un articolo con il titolo: “(OMISSIS)” e con il sottotitolo “(OMISSIS)”.

Espose, a sostegno della domanda, che in quell’articolo era stato rievocato un episodio di cronaca nera accaduto nel lontano (OMISSIS), che lo aveva visto come protagonista, in quanto responsabile dell’omicidio della propria moglie P.C., omicidio per il quale era stato condannato ed aveva espiato dodici anni di reclusione. La pubblicazione dell’articolo, dopo un lunghissimo lasso di tempo dall’episodio, non soltanto aveva determinato in lui un profondo senso di angoscia e prostrazione che si era riflesso sul suo stato di salute piuttosto precario, ma aveva anche causato un notevole danno per la sua immagine e per la sua reputazione, in quanto egli era stato esposto ad una nuova “gogna mediatica” quando ormai, con lo svolgimento della sua apprezzata attività di artigiano, era riuscito a ricostruirsi una nuova vita e a reinserirsi nel contesto della società, rimuovendo il triste episodio. Tale situazione aveva rappresentato una palese violazione del suo diritto all’oblio, arrecandogli gravi danni, di natura patrimoniale e non patrimoniale, anche conseguenti alla cessazione dell’attività, dei quali chiedeva il risarcimento.

Si costituirono in giudizio l’Unione sarda e la giornalista convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.

Rilevarono i predetti che l’articolo in esame faceva parte di una rubrica settimanale, intitolata “(OMISSIS)”, pubblicata ogni domenica dal (OMISSIS) al (OMISSIS), rubrica nella quale il giornale aveva inteso rievocare alcuni fatti di cronaca nera (in particolare alcuni omicidi) avvenuti nella città di Cagliari, che per diverse ragioni avevano profondamente colpito e turbato la collettività della piccola città di Cagliari; per cui la rievocazione dell’avvenimento, benchè a distanza di ventisette anni, non poteva ritenersi illecita, neppure sotto il profilo della violazione del diritto all’oblio, proprio perchè avvenuta nell’ambito di una rubrica settimanale dedicata agli avvenimenti più rilevanti della città accaduti negli ultimi quaranta anni.

Il Tribunale rigettò la domanda, condannando l’attore al pagamento delle spese di giudizio.

2. La sentenza è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 16 maggio 2016, ha rigettato l’appello, compensando le spese dell’ulteriore grado.

2.1. Ha premesso la Corte territoriale, ai fini di un corretto inquadramento storico della vicenda, che l’articolo in oggetto si inseriva in una rubrica settimanale che aveva rievocato il racconto di diciannove omicidi particolarmente efferati sui quali l’opinione pubblica locale si era a lungo confrontata.

L’omicidio commesso dal S., in particolare, era stato descritto “senza accostamenti suggestionanti e/o fuorvianti sottintesi”, tanto che il nome del colpevole risultava solo nel corpo dell’articolo e non nel titolo in grassetto, mentre in testa all’articolo, e con caratteri più piccoli, era scritto il riferimento ai coniugi S.. Dal testo complessivo emergeva che la vicenda andava ad inserirsi in un contesto familiare difficile, tanto che l’omicida aveva reso una piena confessione del delitto e la Corte d’assise aveva mostrato benevolenza nei suoi confronti. Da tanto conseguiva, secondo la Corte di merito, che non vi era stata “nessuna gratuita e strumentale rievocazione del delitto P., nessuna ricerca di volontaria spettacolarizzazione”, così come “nessuna offesa triviale o irridente del sentimento umano”.

2.2. Tanto premesso in punto di fatto, la Corte cagliaritana richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’esercizio del diritto di cronaca e di critica – ha rilevato che il diritto all’oblio del quale l’appellante chiedeva la tutela non poteva, nel caso di specie, essere considerato prevalente rispetto al diritto di cronaca. La pubblicazione del contestato articolo, infatti, non era avvenuta “per il solo fine di “riempire” strumentalmente una pagina della edizione della domenica”, bensì allo scopo di “offrire, all’interno di una rubrica ben definita e strutturata nel tempo, una sponda di riflessione per i lettori su temi delicati quali l’emarginazione, la gelosia, la depressione, la prostituzione, con tutti i risvolti e le implicazioni che queste realtà possono determinare nella vita quotidiana”. Nessun desiderio, quindi, di “una rinnovata condanna mediatica e sociale in danno del S.”, quanto, piuttosto, un progetto editoriale che “indiscutibilmente rientra nel costituzionale diritto di cronaca, di libertà di stampa e di espressione”.

Ha aggiunto la Corte di merito che la cronaca, “se inserita in un preciso disegno editoriale non può mai dirsi superata”, in quanto “il tempo non cancella ogni cosa e la memoria, anche se dura e crudele, può svolgere un ruolo nel sociale, in una assoluta attualità che ne giustifica il ricordo”. La figura del S., inoltre, veniva tratteggiata nell’articolo piuttosto come la vittima di un certo contesto di disagio psicologico, per cui il corretto bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio portava a condividere la tesi del Tribunale, espressione di un punto di equilibrio tra l’art. 2, e l’art. 21 Cost..

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Cagliari propone ricorso S.G. con atto affidato a tre motivi.

Resistono il quotidiano l’Unione Sarda s.p.a. e la giornalista C.M.F. con un unico controricorso affiancato da memoria.

4. A seguito della discussione del ricorso, avvenuta nell’udienza pubblica del 26 giugno 2018, la Terza Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria 5 novembre 2018, n. 28084, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza costituita dalla necessità di stabilire i precisi confini tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca.

Il Primo Presidente ha disposto in conformità.

Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni per iscritto, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione
I motivi di ricorso.

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 2 Cost..

Dopo aver richiamato alcuni specifici passaggi della sentenza impugnata, il ricorrente osserva che essa avrebbe erroneamente finito per considerare il diritto di cronaca sempre prevalente sui diritti individuali previsti dall’art. 2 Cost., tra i quali il diritto all’oblio. Precisa il ricorrente di non aver mai affermato che le notizie pubblicate fossero di contenuto ingiurioso o diffamatorio ovvero prive di fondamento. Il punto centrale risiederebbe, invece, nella necessità di stabilire se sia legittimo pubblicare, o meglio ripubblicare, dopo ventisette anni, la notizia di un tragico avvenimento con modalità tali da rendere facile e sicura l’individuazione dell’omicida. Il che, ad avviso del ricorrente, è realmente avvenuto, con conseguente sua esposizione ad una rinnovata notorietà che gli aveva portato gravi danni.

2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 3 Cost..

La doglianza si rivolge nei confronti della motivazione della sentenza impugnata là dove essa afferma che la pubblicazione di una notizia risalente nel tempo può fondarsi sulla necessità di un’informazione volta a concorrere con l’evoluzione sociale. Una simile interpretazione dell’art. 21 Cost., secondo il ricorrente, è in contrasto col principio costituzionale di uguaglianza. Il ricorrente ricorda di aver commesso il delitto ma di avere anche scontato la pena e di essersi reinserito nel contesto sociale, mentre la pubblicazione dell’articolo avrebbe compromesso tale reinserimento andando a colpire la sua dignità personale; e la sentenza impugnata avrebbe leso anche l’art. 27 Cost., perchè la ripubblicazione nel (OMISSIS) di un articolo risalente al (OMISSIS) costituirebbe “una pena disumana per qualsiasi persona, per quanto colpevole di un grave delitto”.

3. Col terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000.

Ricorda il ricorrente che l’art. 7 cit. impone che venga rispettato, per ciascun individuo, il diritto alla propria vita privata e familiare, mentre l’art. 8 cit. garantisce il diritto alla protezione dei dati che riguardano ciascun individuo. Ad avviso del ricorrente, considerare lecito, o addirittura doveroso, il mantenimento in vita del ricordo di un fatto tanto doloroso avvenuto molti anni prima violerebbe entrambe le norme sovranazionali ora richiamate.

L’ordinanza interlocutoria.

4. L’ordinanza interlocutoria chiarisce, innanzitutto, che l’esame dei motivi di ricorso impone di affrontare il problema del bilanciamento tra il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, e il diritto all’oblio, finalizzato alla tutela della riservatezza della persona; ed aggiunge che, in considerazione della specifica concreta vicenda, non viene in esame il problema del diritto all’oblio connesso con la realizzazione di archivi di notizie digitalizzati e fruibili direttamente on line.

Tanto premesso, l’ordinanza rammenta che il diritto di cronaca, per pacifica e risalente acquisizione della giurisprudenza sia civile che penale, è un diritto pubblico soggettivo fondato sulla previsione dell’art. 21 Cost., che sancisce il principio della libera manifestazione del pensiero e della libertà di stampa. Tale diritto non è, peraltro, senza limiti, come la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto, indicando la necessità della sussistenza di tre condizioni, costituite dall’utilità sociale dell’informazione, della verità oggettiva o anche solo putativa dei fatti e della forma civile dell’esposizione, che deve essere sempre rispettosa della dignità della persona. Il diritto all’oblio “è collegato, in coppia dialettica, al diritto di cronaca”, posto che esso sussiste quando “non vi sia più un’apprezzabile utilità sociale ad informare il pubblico; ovvero la notizia sia diventata “falsa” in quanto non aggiornata o, infine, quando l’esposizione dei fatti non sia stata commisurata all’esigenza informativa ed abbia arrecato un vulnus alla dignità dell’interessato”.

Richiamate alcune pronunce della Terza Sezione Civile, l’ordinanza interlocutoria osserva che il diritto all’oblio è stato oggetto di alcune recenti pronunce della Prima Sezione Civile le quali hanno riconosciuto, a determinate condizioni, la prevalenza del medesimo sul diritto all’informazione. In particolare, l’ordinanza interlocutoria si sofferma sui principi enunciati dall’ordinanza 20 marzo 2018, n. 6919, la quale ha affermato che il diritto all’oblio può essere recessivo, rispetto al diritto di cronaca, solo in presenza di determinate condizioni, fra le quali il contributo arrecato dalla diffusione della notizia ad un dibattito di interesse pubblico, l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione, la grande notorietà del soggetto rappresentato, le modalità in concreto impiegate e la preventiva informazione dell’interessato finalizzata a consentirgli il diritto di replica prima della divulgazione. D’altra parte, la materia è stata oggetto anche di un recente intervento della legislazione Europea, con il Regolamento UE n. 2016/679, il cui art. 17 prevede che, a determinate condizioni, l’interessato abbia diritto a chiedere la rimozione dei dati personali che lo riguardano e che siano stati resi pubblici.

Rileva l’ordinanza, in conclusione, come paia “ormai indifferibile l’individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente i presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sè relativa, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione”.

Cenni al quadro normativo interno ed Europeo.

5. La materia in questione, come rileva l’ordinanza interlocutoria, viene ad intrecciarsi con un complesso quadro normativo che involge sia la normativa nazionale che quella Europea.

Imprescindibile punto di partenza sono le disposizioni della nostra Costituzione e, in particolare, gli artt. 2, 3 e 21 della medesima, che hanno ad oggetto i diritti inviolabili, la tutela della persona, il principio di uguaglianza e il diritto di cronaca inteso, secondo la formula costituzionale, come “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”.

Deve poi essere richiamata, anche solo nei suoi punti essenziali, la normativa interna contenuta nella legislazione ordinaria: la L. 8 febbraio 1948, n. 47, sulla stampa, le norme del codice penale sulla diffamazione e quelle sulla tutela della riservatezza (originariamente contenute nella L. 31 dicembre 1996, n. 675, e oggi trasfuse nel codice in materia di dati personali di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196); così come vanno menzionate altre fonti che hanno una grande importanza nel caso odierno, e cioè il codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (emanato per la prima volta in data 29 luglio 1998 con provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali e poi in ultimo ribadito con il recente provvedimento del 29 novembre 2018 della medesima Autorità, sulla scia delle numerose modifiche introdotte dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101). Deve essere poi citato anche il Testo unico dei doveri del giornalista che il Consiglio nazionale dell’ordine ha approvato in data 27 gennaio 2016, il quale contiene una serie di preziose indicazioni sulle quali in seguito si tornerà.

La normativa interna va poi letta in coordinamento con quella sovranaziona le.

In particolare, l’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata nel nostro Paese con la L. 4 agosto 1955, n. 848, dispone che ogni persona “ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”; l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nel ribadire la formula del citato art. 8, sostituisce al termine “corrispondenza” quello più moderno di “comunicazioni”, mentre l’art. 8 della medesima Carta prevede il diritto di ogni persona “alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano” e dispone che tali dati siano trattati “secondo il principio di lealtà”, sotto il controllo di un’autorità indipendente. Ed anche l’art. 16 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nella versione consolidata risultante dal Trattato di Lisbona, prevede il diritto di ogni persona “alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”. Assai di recente, infine, l’Unione Europea è tornata ad occuparsi della materia emanando il Regolamento 2016/679/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che ha ad oggetto la “protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati”, atto che abroga la precedente direttiva 95/46/CE e che contiene, nel suo art. 17, un preciso riferimento al diritto alla “cancellazione” (tra parentesi definito come “diritto all’oblio”). Tale Regolamento ha reso necessaria l’emanazione del citato D.Lgs. n. 101 del 2018.

La giurisprudenza di questa Corte.

6. Giova premettere, nelle sue linee essenziali, una rapida panoramica dell’evoluzione della giurisprudenza sull’argomento.

E’ opportuno considerare che i limiti al corretto esercizio del diritto di cronaca sono stati fissati, almeno nelle linee fondamentali, già in un’epoca ormai lontana (v., tra tutte, la nota sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259, contenente il c.d. decalogo del giornalista).

Il diritto all’oblio, invece, che aveva dato luogo ad alcune famose pronunce in altri Stati (leading cases) e che era stato affrontato, sia pure per una vicenda molto particolare, nella sentenza 13 maggio 1958, n. 1563 (per il caso del Questore di Roma coinvolto nella strage delle Fosse Ardeatine), ha fatto la sua comparsa “ufficiale”, se così può dirsi, nella sentenza 9 aprile 1998, n. 3679. In quell’occasione la Corte – richiamando la propria precedente elaborazione sul diritto di cronaca e, in particolare, sottolineando l’importanza rivestita dalla “attualità della notizia” – ebbe ad evidenziare l’emergere di un “nuovo profilo del diritto alla riservatezza, recentemente definito anche come diritto all’oblio, inteso come giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”; e già in quel caso la sentenza aggiunse che “quando il fatto precedente per altri eventi sopravvenuti ritorna di attualità, rinasce un nuovo interesse pubblico all’informazione, non strettamente legato alla contemporaneità tra divulgazione e fatto pubblico”. La sentenza qui richiamata, quindi, nel far rientrare il diritto all’oblio nell’ambito della più vasta categoria del diritto alla riservatezza (già individuato dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dal noto caso di cui alla sentenza 27 maggio 1975, n. 2129), fece comprendere che il primo si differenzia dal secondo perchè ha ad oggetto il diritto della persona a che certe notizie, già a suo tempo diffuse, non vengano ulteriormente diffuse a distanza di tempo.

La giurisprudenza successiva è tornata più volte sul rapporto esistente tra il diritto di cronaca e il diritto alla riservatezza, anche senza fare riferimento al diritto all’oblio.

La sentenza 9 giugno 1998, n. 5658, dopo aver riconosciuto il fondamento costituzionale del diritto alla riservatezza (art. 2 Cost.), osservò che esso ha un contenuto più ampio del diritto alla reputazione e che, nel bilanciamento con il diritto di cronaca, è recessivo a condizione che ricorrano tre condizioni, costituite dalla utilità sociale della notizia, dalla verità dei fatti divulgati e dalla forma civile dell’espressione.

In tempi più recenti, la sentenza 24 aprile 2008, n. 10690, ha ricordato che “il diritto alla riservatezza, il quale tutela l’esigenza della persona a che i fatti della sua vita privata non siano pubblicamente divulgati, è confluito nel diritto alla protezione dei dati personali a seguito della disciplina contenuta nella L. 31 dicembre 1996, n. 675”; dopo aver chiarito che la sua violazione è fonte di illecito civile ai sensi dell’art. 2 Cost., la sentenza ha aggiunto che “la libertà di stampa prevale sul diritto alla riservatezza e all’onore, purchè la pubblicazione sia giustificata dalla funzione dell’informazione e sia conforme ai canoni della correttezza professionale”. In particolare, deve sussistere “un apprezzabile interesse del pubblico alla conoscenza dei fatti privati”, in considerazione di finalità culturali o didattiche e, comunque, di una rilevanza sociale dei fatti stessi.

In continuità con i menzionati precedenti, questa Corte ha stabilito che al giornalista è consentito divulgare dati sensibili senza il consenso del titolare nè l’autorizzazione del Garante per la tutela dei dati personali, a condizione che la divulgazione sia “essenziale” ai sensi dell’art. 6 del codice deontologico dei giornalisti, e cioè indispensabile in considerazione dell’originalità del fatto o dei modi in cui è avvenuto; valutazione che costituisce accertamento in fatto rimesso al giudice di merito (sentenza 12 ottobre 2012, n. 17408; si trattava, in quel caso, della rivelazione delle abitudini sessuali di una persona divenuta pubblicamente nota a causa di un gravissimo fatto di sangue che l’aveva vista come imputata).

Occorre poi ricordare la sentenza 5 aprile 2012, n. 5525, nella quale per la prima volta questa Corte è stata chiamata ad affrontare il problema dei rapporti esistenti tra le notizie già pubblicate in passato in quanto attinenti a fatti di interesse pubblico (anche in quel caso di trattava di una vicenda giudiziaria) ed il permanere delle stesse nella rete internet (nella specie, il permanere della notizia nell’archivio informatico di un grande quotidiano di rilevanza nazionale). Nel tracciare i confini di un concreto bilanciamento degli interessi tra valori contrapposti, tutti di rilevanza costituzionale, la sentenza in esame ha ribadito che se “l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio, e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”. In quella pronuncia la Corte ha posto in luce che rispetto all’interesse del soggetto “a non vedere ulteriormente divulgate notizie di cronaca che lo riguardano, si pone peraltro l’ipotesi che sussista o subentri l’interesse pubblico alla relativa conoscenza o divulgazione per particolari esigenze di carattere storico, didattico, culturale”; ciò in quanto un fatto di cronaca può “assumere rilevanza come fatto storico”, giustificando in tal modo il permanere dell’interesse della collettività alla fruizione di quel fatto. Il trascorrere del tempo, però, impone che la notizia sia anche aggiornata, posto che la sua diffusione negli stessi termini in cui aveva avuto luogo in origine potrebbe fare sì che essa risulti “sostanzialmente non vera”.

La difficoltà di stabilire un’esatta linea di confine tra il diritto di cronaca e quello alla riservatezza inteso come diritto all’oblio è evidente nella sentenza 26 giugno 2013, n. 16111, la cui vicenda, benchè molto diversa da quella oggi all’esame delle Sezioni Unite, contiene tuttavia alcuni evidenti punti di contatto. Chiamata ad esaminare il caso della pubblicazione di un articolo di giornale nel quale la vicenda personale di un ex terrorista era stata accostata al ritrovamento di un arsenale di armi in luoghi non lontani dalla residenza dello stesso, questa Corte ha osservato che l’ex terrorista essendo stato condannato a pena detentiva ed avendola espiata, con conseguente faticoso reinserimento nel contesto sociale – desiderava soltanto di essere dimenticato, affinchè la sua drammatica storia personale, appartenente ormai al passato, non risultasse un macigno così ingombrante da precludergli la ripresa di una vita normale. In quella sentenza la Corte, pur riconoscendo che le vicende relative ai c.d. anni di piombo “appartengono certamente alla memoria storica del nostro Paese”, ha spiegato che “ciò non si traduce nell’automatica sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza di eventi che non hanno più, se non in via del tutto ipotetica e non dimostrata, alcun oggettivo collegamento con quei fatti e con quell’epoca”. Ragione per cui “la diffusione di notizie personali in una determinata epoca ed in un determinato contesto non legittima, di per sè, che le medesime vengano utilizzate molti anni dopo, in una situazione del tutto diversa e priva di ogni collegamento col passato”.

La giurisprudenza più recente ha ulteriormente consolidato gli approdi raggiunti. E così la sentenza 6 giugno 2014, n. 12834, affrontando il problema del rapporto tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine – si trattava, in quel caso, della pubblicazione di un articolo relativo all’esecuzione della misura degli arresti domiciliari a carico di una persona poi assolta con formula piena – ha ribadito che la pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona in coincidenza cronologica col momento del suo arresto deve rispettare non solo le condizioni, ormai ben note, per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, ma anche le particolari cautele imposte dalla tutela della dignità della persona, che viene colta in un frangente di particolare debolezza. La sentenza ha anche aggiunto che l’accertamento sulla legittimità della pubblicazione è indagine che va condotta caso per caso, tenendo presente la previsione dell’art. 8 del codice deontologico dei giornalisti.

Da ultimo, come richiamata dall’ordinanza interlocutoria, va citata l’ordinanza 20 marzo 2018, n. 6919, nella quale la Corte, in relazione ad una vicenda molto particolare che aveva ad oggetto un noto cantante, ha cercato di ricapitolare i termini del problema, anche alla luce del suindicato Regolamento UE che nel frattempo era stato emanato. Dopo aver ricordato come l’esistenza del diritto all’oblio sia stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza sovranazionale, la pronuncia ha osservato che il trascorrere del tempo viene a mutare il rapporto tra i contrapposti diritti; per cui, fatta eccezione per il caso di una persona che rivesta un ruolo pubblico particolare o per quello in cui la notizia mantenga nel tempo un interesse pubblico, “la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare la violazione del fondamentale diritto all’oblio”.

Interessanti contributi provengono anche dalla giurisprudenza penale.

Deve essere menzionata, in particolare, la sentenza 22 giugno 2017 (3 agosto 2017), n. 38747, pronunciata in un processo per diffamazione a carico del direttore e di un giornalista di un noto quotidiano nazionale, a seguito della pubblicazione di un articolo riguardante Vittorio Emanuele di Savoia. In quella pronuncia la Corte ha rilevato che era indubbia la rilevanza pubblica della notizia rievocata (nella specie, l’uccisione di un uomo all’isola di Cavallo per mano di Vittorio Emanuele di Savoia, benchè avvenuta molti anni prima), perchè l’articolo era stato scritto in occasione della cerimonia di riapertura della reggia di Venaria, alla quale aveva partecipato Vittorio Emanuele di Savoia, così com’era indubbia l’esistenza di un pubblico interesse a conoscere le vicende di un soggetto che “è figlio dell’ultimo re d’Italia e, secondo il suo dire, erede al trono d’Italia”; per cui il diritto all’oblio doveva nella specie cedere di fronte al diritto della collettività “ad essere informata e aggiornata sui fatti da cui dipende la formazione dei propri convincimenti”.

Alcune pronunce della giurisprudenza Europea.

7. Ai fini di un corretto inquadramento della vicenda odierna occorre anche dare conto di alcune pronunce che negli ultimi anni sono state emesse dalle Corti Europee.

Va innanzitutto menzionata la sentenza 13 maggio 2014 della Corte di giustizia dell’Unione Europea (in causa C-131/12 Google Spain).

Si tratta di una vicenda che aveva ad oggetto il problema dell’accesso ai dati esistenti sulla rete internet alla luce dell’allora vigente direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, poi abrogata, come s’è detto, dal Regolamento 2016/679/UE; in particolare, la terza questione esaminata (punti 89 e ss.) riguardava il diritto dell’interessato ad ottenere che il motore di ricerca sopprimesse determinati dati dall’elenco dei risultati reperibili sulla rete. Non è il caso di soffermarsi sui particolari del caso, ma sono importanti i principi enunciati. La Corte di giustizia ha premesso (punto 92) che il trattamento dei dati personali può risultare incompatibile con l’art. 12, lett. b), della direttiva non soltanto se i dati sono inesatti, ma anche se essi sono inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, oppure non aggiornati o conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, “a meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici, statistici o scientifici”. Ha altresì affermato la Corte che il diritto dell’interessato, derivante dagli artt. 7 e 8 della Carta, a chiedere “che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico” mediante la sua inclusione in un elenco accessibile tramite internet prevale, in linea di massima, sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca ed anche su quello del pubblico a reperire tale informazione in rete; a meno che non risultino ragioni particolari, “come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica”, tali da rendere preponderante e giustificato l’interesse del pubblico ad avere accesso a tale informazione (punto 97). Risolvendo il caso specifico – nel quale l’attore aveva chiesto l’eliminazione del dato che collegava la sua persona ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali – la Corte ha affermato che sussisteva il diritto alla soppressione dei link corrispondenti esistenti nella rete, in quanto anche in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso (sedici anni dalla pubblicazione originaria), l’interessato aveva diritto a che quelle informazioni non fossero più collegate alla sua persona.

A conclusioni non dissimili, sia pure in relazione ad un diverso contesto, è pervenuta la Corte Europea dei diritti dell’uomo nella nota sentenza 19 ottobre 2017.

Si trattava, in quel caso, della vicenda di un uomo d’affari ucraino residente in Germania, amministratore di società televisive. Pubblicato su di un quotidiano di larga diffusione un articolo relativo al suo coinvolgimento in vicende di corruzione finalizzate ad ottenere licenze televisive in Ucraina, l’interessato aveva chiesto ai giudici tedeschi che il contenuto dell’articolo on line venisse rimosso. I giudici tedeschi avevano respinto la richiesta, in considerazione dell’influenza del soggetto all’interno della società tedesca e dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto reato.

Adita dall’interessato per presunta violazione, da parte delle autorità tedesche, dell’art. 8 della CEDU, la Corte di Strasburgo ha escluso che potesse, nella specie, ritenersi violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare; e, dando atto dell’avvenuto bilanciamento, da parte dei giudici nazionali, dei due interessi in conflitto, la sentenza ha dichiarato di concordare con il ragionamento svolto dai giudici tedeschi, nel senso che l’articolo contestato aveva contribuito ad un dibattito di interesse generale e che c’era un interesse pubblico nel presunto coinvolgimento del richiedente e nel fatto di averlo menzionato per nome (punto 37). Ragioni, queste, considerate sufficienti a far prevalere il diritto della generalità dei consociati alla conoscenza dei fatti rispetto a quello del privato all’oblio sui medesimi.

Potrebbero essere richiamate anche altre pronunce, i cui principi comunque non si discostano da quelli già riassunti. Giova tuttavia ricordare, nel tentativo di enucleare una sintesi dei criteri indicati dalle Corti Europee, che il bilanciamento tra l’interesse del singolo ad essere dimenticato e quello opposto della collettività a mantenere viva la memoria di fatti a suo tempo legittimamente divulgati presuppone un complesso giudizio nel quale assumono rilievo decisivo la notorietà dell’interessato, il suo coinvolgimento nella vita pubblica, il contributo ad un dibattito di interesse generale, l’oggetto della notizia, la forma della pubblicazione ed il tempo trascorso dal momento in cui i fatti si sono effettivamente verificati.

Delimitazione del campo di indagine in relazione alla concreta vicenda.

8. Così inquadrato, nelle sue linee normative e giurisprudenziali generali, il problema giuridico posto dall’ordinanza interlocutoria, ritengono le Sezioni Unite di dover innanzitutto compiere una delimitazione del campo di indagine della presente pronuncia.

Come risulta dalla tracciata panoramica della giurisprudenza nazionale ed Europea e come è stato illustrato con chiarezza anche dalla dottrina, quando si parla di diritto all’oblio ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni: quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione; quella, connessa all’uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale (è il caso della sentenza n. 5525 del 2012); e quella, infine, trattata nella citata sentenza Google Spain della Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati.

Il caso oggi in esame corrisponde alla prima delle tre ipotesi suindicate e rappresenta, per così dire, un caso classico, cioè un caso connesso col problema della libertà di stampa e la diffusione della notizia a mezzo giornalistico, rimanendo perciò escluso ogni collegamento con i problemi posti dalla moderna tecnologia e dall’uso della rete internet. Si tratta cioè dell’ipotesi in cui non si discute della legittimità della pubblicazione, quanto, invece, della legittimità della ripubblicazione di quanto è stato già a suo tempo diffuso senza contestazioni.

La presente sentenza, quindi, si soffermerà soltanto su questo aspetto e la scelta di delimitare il campo di indagine non è frutto di un arbitrio decisionale, ma della semplice constatazione per cui ogni pronuncia giudiziaria trova il proprio limite nel collegamento con una vicenda concreta. Com’è stato incisivamente detto nelle note sentenze sulla compensatio lucri cum damno, alle Sezioni Unite non è affidata “l’enunciazione di principi generali e astratti o di verità dogmatiche sul diritto, ma la soluzione di questioni di principio di valenza nomofilattica pur sempre riferibili alla specificità del singolo caso della vita” (sentenze 22 maggio 2018, n. 12564, n. 12565, n. 12566 e n. 12567). In coerenza, quindi, con i limiti del petitum e con le funzioni istituzionali della Suprema Corte, la presente decisione si atterrà ai confini ora indicati.

E’ appena il caso di rilevare, del resto, che l’ordinanza interlocutoria ha posto il problema dei rapporti tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio; ora, se è vero che questo rapporto può risultare conflittuale anche in relazione a fattispecie nelle quali si discute della permanenza o della cancellazione dei dati sulla rete internet, è anche vero che i problemi che derivano dall’uso di tale strumento non sempre sono connessi con l’esercizio del diritto di cronaca (indicativo in tal senso è il caso affrontato nell’ordinanza 9 agosto 2017, n. 19761, dove si discuteva del diritto dell’interessato ad impedire la permanente circolazione on line di una serie di informazioni di carattere commerciale, senza che venisse in alcun modo in esame il diritto di cronaca).

Il problema in esame e la sua soluzione.

9. Ai fini della soluzione del problema in esame, le Sezioni Unite ritengono di dover innanzitutto spostare la prospettiva dell’indagine rispetto all’ordinanza interlocutoria la quale, come detto, ha chiesto di indicare quale sia la linea di confine tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio.

La corretta premessa dalla quale bisogna muovere è che quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di un lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata – la quale, all’epoca, rivestiva un interesse pubblico – egli non sta esercitando il diritto di cronaca, quanto il diritto alla rievocazione storica (storiografica) di quei fatti. Lo stesso termine “diritto di cronaca”, infatti, trae la propria etimologia dalla parola greca Kpovoc, che significa, appunto, tempo; il che vuol dire che si tratta di un diritto avente ad oggetto il racconto, con la stampa o altri mezzi di diffusione, di un qualcosa che attiene a quel tempo ed è, perciò, collegato con un determinato contesto. Ciò non esclude, naturalmente, che in relazione ad un evento del passato possano intervenire elementi nuovi tali per cui la notizia ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifestazione del diritto di cronaca (in tal senso già la citata sentenza n. 3679 del 1998); in assenza di questi elementi, però, tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicura importanza in allora, costituisce esplicazione di un’attività storiografica che non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca.

Va detto subito, per evitare fraintendimenti, che l’attività storiografica, intesa appunto come rievocazione di fatti ed eventi che hanno segnato la vita di una collettività, fa parte della storia di un popolo, ne rappresenta l’anima ed è, perciò, un’attività preziosa. Ma proprio perchè essa è “storia”, non può essere considerata “cronaca”. Ne deriva che simile rievocazione, a meno che non riguardi personaggi che hanno rivestito o rivestono tuttora un ruolo pubblico, ovvero fatti che per il loro stesso concreto svolgersi implichino il richiamo necessario ai nomi dei protagonisti, deve svolgersi in forma anonima, perchè nessuna particolare utilità può trarre chi fruisce di quell’informazione dalla circostanza che siano individuati in modo preciso coloro i quali tali atti hanno compiuto. In altre parole, l’interesse alla conoscenza di un fatto, che costituisce manifestazione del diritto ad informare e ad essere informati e che rappresenta la spinta ideale che muove ogni ricostruzione storica, non necessariamente implica la sussistenza di un analogo interesse alla conoscenza dell’identità della singola persona che quel fatto ha compiuto.

Un’altra importante precisazione è necessaria. La decisione di un quotidiano, di un settimanale o comunque di una testata giornalistica di procedere alla rievocazione storica di fatti ritenuti importanti in un determinato contesto sociale e territoriale non può essere messa in discussione in termini di opportunità. La scelta di una linea editoriale o piuttosto di un’altra rappresenta una delle forme in cui si manifesta la libertà di stampa e di informazione tutelata dalla Costituzione; per cui non può essere sindacata la decisione – tanto per fare un riferimento al caso oggi in esame – di pubblicare con cadenza settimanale, nell’arco di un certo periodo di tempo, la ricostruzione storica di una serie di fatti criminosi che hanno coinvolto e impressionato in modo particolare la vita di una collettività in un determinato periodo. Ciò che, al contrario, può e deve essere verificato dal giudice di merito è se, pacifico essendo il diritto alla ripubblicazione di una certa notizia, sussista o meno un interesse qualificato a che essa venga diffusa con riferimenti precisi alla persona che di quella vicenda fu protagonista in un passato più o meno remoto; perchè l’identificazione personale, che rivestiva un sicuro interesse pubblico nel momento in cui il fatto avvenne, potrebbe divenire irrilevante, per i destinatari dell’informazione, una volta che il tempo sia trascorso e i fatti, anche se gravi, si siano sbiaditi nella memoria collettiva. Il che significa che il diritto ad informare, che sussiste anche rispetto a fatti molto lontani, non equivale in automatico al diritto alla nuova e ripetuta diffusione dei dati personali.

E’ questo, in definitiva, il costante filo rosso che tiene unita la giurisprudenza nazionale ed Europea richiamata in precedenza. Ed è questo il senso dell’affermazione, più volte rintracciabile nella citata giurisprudenza, secondo cui il trascorrere del tempo modifica l’esito del bilanciamento tra i contrapposti diritti e porta il protagonista di un fatto come quello di cui oggi si discute – che nessun diritto alla riservatezza avrebbe potuto opporre nel momento in cui il fatto avvenne – a riappropriarsi della propria storia personale. L’ormai lontana sentenza n. 1563 del 1958 coniò, in relazione alla drammatica vicenda del Questore di Roma, la cupa ma felice espressione di “diritto al segreto del disonore”. Tale espressione rappresenta in modo plastico il fatto che la notizia della quale il soggetto si riappropria potrebbe essere anche – e sovente ciò accade, specie quando il diritto di cronaca ha ad oggetto vicende giudiziarie, come nel caso odierno – vergognosa o comunque tale da far sorgere il legittimo desiderio del silenzio.

In questa linea vanno lette la sentenza n. 5525 del 2012 – la quale evidenzia l’importanza che il trascorrere del tempo assume rispetto alle posizioni degli interessati ed alla necessità che la notizia venga aggiornata – nonchè la sentenza n. 16111 del 2013 la quale, come si è detto, ha sottolineato la circostanza, decisiva anche nel caso odierno, secondo cui una notizia che rivestiva un interesse pubblico in un certo contesto non necessariamente continua a poter essere divulgata con tutti i suoi riferimenti personali quando il lungo tempo trascorso ha reso ormai inesistente quell’interesse. Nella stessa linea va letto il caso di Vittorio Emanuele di Savoia, in cui l’interesse pubblico alla rievocazione del fatto di cronaca nasceva dall’evidente notorietà pubblica della persona; e un’ulteriore conferma viene anche dalla citata sentenza 19 ottobre 2017 là dove la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha posto in evidenza che la notorietà pubblica del soggetto dava ragione dell’interesse della collettività alla conoscenza della sua vicenda personale, da ritenere prevalente rispetto al contrapposto interesse di chi voleva mantenere il riserbo sulla medesima.

Ritengono queste Sezioni Unite che in una simile risoluzione dei contrapposti interessi si inseriscano in modo armonioso anche le regole di cui al citato Testo unico dei doveri del giornalista, di recente approvazione. Proprio questo testo, nel ribadire (art. 1) che l’attività del giornalista “si ispira alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione italiana” è che è “diritto insopprimibile del giornalista la libertà di informazione e di critica”, aggiunge poi, nel successivo art. 3, comma 1, che il giornalista “rispetta il diritto all’identità personale ed evita di far riferimento a particolari relativi al passato, salvo quando essi risultino essenziali per la completezza dell’informazione”.

Mentre l’art. 3, comma 2, aggiunge, dimostrando una lodevole attenzione verso i destinatari, che il giornalista, “nel diffondere a distanza di tempo dati identificativi del condannato, valuta anche l’incidenza della pubblicazione sul percorso di reinserimento sociale dell’interessato e sulla famiglia”, tenendo presente (comma 3) che “il reinserimento sociale è un passaggio complesso, che può avvenire a fine pena oppure gradualmente”.

Risulta anche dal codice di autoregolamentazione della categoria, dunque, l’avvertita necessità di tutelare il diritto prezioso alla informazione ma anche di proteggere chi può ricevere danni, come nella specie, dalla rievocazione di fatti ormai sopiti nella memoria collettiva.

Ritengono, pertanto, le Sezioni Unite che debba essere ribadita la rilevanza costituzionale sia del diritto di cronaca che del diritto all’oblio; quando, però, una notizia del passato, a suo tempo diffusa nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, venga ad essere nuovamente diffusa a distanza di un lasso di tempo significativo, sulla base di una libera scelta editoriale, l’attività svolta dal giornalista riveste un carattere storiografico; per cui il diritto dell’interessato al mantenimento dell’anonimato sulla sua identità personale è prevalente, a meno che non sussista un rinnovato interesse pubblico ai fatti ovvero il protagonista abbia ricoperto o ricopra una funzione che lo renda pubblicamente noto.

E’ opportuno sottolineare, infine, che la materia in esame di per sè sfugge ad una precisa catalogazione e richiede di volta in volta, invece, la paziente e sofferta valutazione dei giudici di merito.

La decisione del caso in esame.

10. Alla luce delle riflessioni svolte fin qui, può essere affrontata la decisione del caso concreto.

La sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi enunciati e deve, pertanto, essere cassata, in accoglimento dei motivi dell’odierno ricorso.

Essa, infatti, ha commesso un primo errore là dove ha richiamato il diritto di cronaca e l’ha posto a confronto con il diritto all’oblio. Nel caso in esame è invece evidente che l’iniziativa editoriale assunta dal quotidiano l’Unione sarda di avviare una rubrica settimanale intitolata “(OMISSIS)”, nella quale venivano ripercorsi diciannove omicidi “particolarmente efferati” che avevano determinato un intenso dibattito nell’opinione pubblica locale, è un’iniziativa che assume un carattere storiografico. Iniziativa del tutto legittima alla luce dei criteri che la Corte d’appello ha richiamato, e cioè l’avvertita necessità di avviare una riflessione su temi delicati e di attualità, “quali l’emarginazione, la gelosia, la depressione, la prostituzione”. Ma la riconosciuta sussistenza dell’utilità di un pubblico dibattito su questi temi non dà ragione – e qui sta la seconda, decisiva, manchevolezza della pronuncia in esame – del perchè tale rievocazione sia stata fatta riportando il nome e il cognome dei protagonisti, in tal modo rendendo il colpevole facilmente individuabile in una comunità locale di non grandissime dimensioni. La sentenza, cioè, non ha illustrato per quale ragione il risorgere dell’interesse a ricordare fatti di sangue di tanti anni prima richiedesse necessariamente l’indicazione del nome del S. e della sua defunta moglie; tanto più che l’odierno ricorrente non è certamente – o, almeno, la sentenza nulla dice su questo punto – una persona pubblicamente nota, il cui comportamento privato rivesta un interesse per il grande pubblico. Deve essere poi ulteriormente rilevato che la sentenza impugnata non ha neppure considerato, nel bilanciamento delle contrapposte tutele, la bontà del percorso di riabilitazione che il S. aveva compiuto nei ventisette anni intercorsi tra la prima e la seconda pubblicazione, scontando una lunga pena detentiva e reinserendosi, con tutte le comprensibili difficoltà che questo comporta, nel tessuto sociale produttivo.

Il compito di una nuova valutazione della vicenda, alla luce delle indicazioni contenute nella presente sentenza, è rimesso al giudice di rinvio.

11. In conclusione, il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata.

Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi al seguente principio di diritto:

“In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (nella specie, un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale)”.

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2019


Giornata di Studio Cesena (FC) – 8.11.2019

Locandina GdS Cesena FC 2019LA NOTIFICA ON LINE e del documento informatico

Venerdì 8 novembre 2019

Comune di Cesena
Sala del Consiglio Comunale
Piazza del Popolo 10

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il Patrocinio del Comune di Cesena
Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 142.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già è socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2018 con rinnovo anno 2019 già pagato al 31.12.2018. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.

€ 212.00(*) (**) (***) se il partecipante NON E’ ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi all’Associazione per l’anno 2020 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.

€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON E’ iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi all’Associazione).

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie, comprensive dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: Codice IBAN: IT06 T030 6234 2100 0000 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento sul Conto Corrente n. 1790 603 (Banca Mediolanum)
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio
Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti

Causale: G.d.S. Cesena 2019 o numero fattura elettronica

(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico, la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993, ed è comprensiva di € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.


Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 210,00 (**) (***) per il primo partecipante
  • € 180,00 (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 100,00 (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità  successiva.

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2019 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile e/o integrabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio) e per un massimo di numero 10 dipendenti. Dall’11° dipendente si riprende con la quota di € 210,00 ecc. 


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà  seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), non è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Fontana Lazzaro

Resp. Servizio Notifiche dell’Unione Colline Matildiche RE

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività formativa anno 2019

Scarica: Depliant G.d.S. Cesena FC 2019

Vedi: Fotografie della Giornata di Studio

Vedi: Video della Giornata di Studio

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Cesena 2019

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2019

  1. Comunicazione Associazione senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  4. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  5. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  6. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  7. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione.
  8. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  9. Dichiarazione Affidamento fornitura di beni/servizi
  10. Documento di identità del Legale Rappresentante protempore

Giornata di Studio in house Crotone KR – 06.09.2019

Locandina Giornata di Studio in house Crotone 2019LA NOTIFICA DEL DOCUMENTO INFORMATICO

Venerdì 6 Settembre 2019

Comune di Crotone

Piazza della Resistenza 1

Crotone KR

Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00
con il Patrocinio del Comune di Crotone KR

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata contattando l’Associazione. I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:

Durì Francesco

Resp. Servizio Notifiche del Comune di Udine

Membro della Giunta Esecutiva di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti ne dimoranti ne domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale”

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • Art. 149 bis c.p.c.
  • Le nuove disposizioni del C.A.D.
  • La PEC come strumento esclusivo di comunicazione e notifica della P.A. 

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  • L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

Il diritto all’oblio

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività formativa anno 2019

Scarica: Depliant Giornata di Studio in house Crotone 2019

Vedi: Immagini della Giornata di Studio

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE GdS Crotone 2019

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura elettronica allegando la Determina Dirigenziale di autorizzazione

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2019

  1. Comunicazione Associazione senza finalità di lucro
  2. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  3. Dichiarazione relativa all’esonero dall’obbligo di redazione del “DURC” con riferimento alla iscrizione a corsi di formazione/aggiornamento. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  4. Comunicazione di attivazione di conto corrente dedicato ai sensi dell’art. 3, comma 7, della legge n. 136/2010
  5. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti (D.P.R. 28/12/2000 N° 445)
  6. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza. (Dichiarazione redatta ai sensi degli art. n. 46 e 47 del DPR n. 445/2000).
  7. Dichiarazione insussistenza motivi di esclusione a contrattare con la Pubblica Amministrazione.
  8. Dichiarazione ai sensi dell’art. 53 comma 16-ter del D.Lgs. 165/2001 e s.m.
  9. Dichiarazione Affidamento fornitura di beni/servizi
  10. Documento di identità del Legale Rappresentante protempore

Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27-03-2019) 09-07-2019, n. 18383

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2799-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5434/19/2017 della COMMISSIONE TRIBTUARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 15/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Svolgimento del processo
Che:

Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione Tributarla Regionale della Campania, indicata in epigrafe, che aveva accolto l’appello di R.L. contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 8064/2015, la quale aveva respinto il ricorso proposto avverso l’avviso con cui era stato comunicato al contribuente che dai controlli delle dichiarazioni fiscali relative al 2011 era emerso il mancato pagamento di somme riportate nella dichiarazione con conseguente invito a regolarizzare la sua posizione fiscale mediante il versamento della relativa somma.

Il contribuente è rimasto intimato.

Motivi della decisione
Che:

1.1. va disatteso il primo motivo di ricorso, con cui l’Agenzia lamenta violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. d), n. 3 e art. 100 c.p.c.) per avere la CTR ritenuto atto autonomamente impugnabile la comunicazione di irregolarità, non rappresentando, invece, l’atto, secondo la ricorrente, alcuna pretesa impositiva;

1.2. è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, in “Tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ha natura tassativa, ma, in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., ogni atto adottato dall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al Giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa, con la conseguenza che è immediatamente impugnabile dal contribuente anche la comunicazione d’irregolarità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, comma 3, (cd. avviso bonario) (cfr. Cass. nn. 13963/2017, 3315/2016, 15957/2015);

2.1. va parimenti disatteso il secondo motivo di ricorso con cui Si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 56, per essersi l’appellante limitato a “contestare specificamente solo il profilo di inammissibilità pronunciato dalla CTP di Napoli (ndr. circa l’affermata inimpugnabilità della comunicazione in oggetto) e riportandosi, per il resto, genericamente alle eccezioni sollevate in primo grado, senza dssegnèLe correlate conclusioni”;

2.2. va richiamato l’orientamento di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui l’appellante che impugni la sentenza con la quale il Giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato su una domanda dallo stesso formulata (nella specie, mancata prova circa la delega di firma in capo al funzionario che aveva emesso l’atto), avendola ritenuta assorbita dalla decisione su una questione pregiudiziale di rito (nella specie, rilievo dell’atto come non autonomamente impugnabile), non ha l’onere di formulare uno specifico motivo di gravame sul merito della domanda medesima ma soltanto quello di riproporla nel rispetto dell’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. nn. 13768/2018, 17749/2017);

3.1. con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè della L. n. 241 del 1990, artt. 21 septies, 21 octies e 21 nonies, per aver affermato la nullità dell’atto impugnato per carenza di “un valido potere in capo a colui che aveva sottoscritto l’atto per delega del Direttore dell’Ufficio”, non essendo stata prodotta la delega di firma “onde riscontrare l’effettività del potere di sottoscrizione in capo al firmatario del provvedimento”;

3.2. La censura è fondata atteso che, rispetto all’impugnazione d avviso di accertamento, in diversi contesti fiscali – quali ad esempio la cartella esattoriale (cfr. Cass. n. 13461/2012), il diniego di condono (cfr. Cass. nn. 220/2014, 11458/2012), l’avviso di mora (cfr. Cass. n. 4283/2010), l’attribuzione di rendita (cfr. Cass. n. 8248/2006) – e in mancanza di una sanzione espressa, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato (cfr., in materia di lavoro e previdenza, Cass. n. 13375/2009, ordinanza ingiunzione, e n. 4310/2001, atto amministrativo), mentre, per i tributi locali, è valida anche la mera firma stampata, ex L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 87 (cfr. Cass. n. 9627/2012);

3.3. nella specie, la CTR non ha fatto dunque buon governo dei suddetti principi, in quanto anche con riguardo alla comunicazione di irregolarità di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, la suddetta sanzione di nullità non può trovare applicazione per difetto di una disposizione espressa;

4. all’accoglimento del terzo motivo di ricorso consegue l’assorbimento del quarto motivo, formulato in via subordinata al rigetto della suddetta censura;

5. in conclusione, va accolto il terzo motivo, assorbito il quarto e respinti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, affinchè decida il merito della vicenda.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbito il quarto e respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione Sesta Sezione, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019


L’attività formativa dell’Associazione – anno 2020

Formazione 17Il «Progetto per la valorizzazione del Messo Comunale» è una iniziativa dell’Associazione A.N.N.A. che ha come obbiettivo principale quello di riqualificare la figura ed il ruolo del Messo Comunale e tutte le figure che svolgono l’attività  di notificazione, attraverso la conoscenza dei principi fondamentali del Procedimento notificatorio.

L’Associazione attraverso tale iniziativa, che si svolge su tutto il territorio nazionale, intende dare il proprio contributo affinché l’applicazione delle norme che regolano il Procedimento notificatorio sia la più uniforme possibile .

L’informatizzazione della pubblica amministrazione è certamente una delle principali sfide che Stato, Regioni ed Enti locali si trovano ad affrontare in questo momento storico. L’impatto della tecnologia sull’amministrazione pubblica ed i servizi ai cittadini è di enorme portata, ma per risultare veramente efficace il processo di informatizzazione necessita di un gran numero di strumenti normativi, tecnici ed organizzativi. Gli effetti dello sviluppo e della diffusione dell’innovazione tecnologica sulla produzione documentaria sono oramai rilevanti (basti pensare a quelli derivanti dall’introduzione della firma elettronica e del servizio di posta elettronica certificata che hanno reso possibile la formazione, la trasmissione e la ricezione di documenti informatici a valenza giuridica e forza probatoria), il che rende necessari l’attivazione di sistemi di gestione elettronica e lo sviluppo di soluzioni di natura archivistica, organizzativa e tecnologica, capaci di garantire la conservazione nel tempo e la fruizione della memoria digitale.

Di fronte a tale situazione, A.N.N.A. si propone di fornire un contributo alla soluzione delle problematiche connesse alla produzione e conservazione dei documenti e degli archivi informatici; problematiche che, se non affrontate correttamente, rischiano di provocare la perdita irreversibile di gran parte del patrimonio archivistico che sarà  prodotto in futuro dalle amministrazioni pubbliche e dalle imprese.

Le giornate di studio, di carattere prevalentemente pratico, affrontano la materia delle notifiche attraverso l’analisi, lo sviluppo ed il coordinamento delle norme procedurali. Particolare attenzione viene prestata alla compilazione dei moduli operativi, anche in relazione alle conseguenze derivanti dall’evoluzione giurisprudenziale che spesso sopperisce a lacune legislative ovvero ne determina ulteriori dubbi e difficoltà  sull’applicabilità  delle norme. Si tratterrà , inoltre, in maniera approfondita della Notifica On Line

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà  ad effettuare l’esame di idoneità  per le persone che verranno indicate al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (Art. 1, comma 158 e ss.).

I docenti sono operatori di settore che, con una collaudata metodologia didattica, assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

PRIMO SEMESTRE  2020

Data Luogo Tipologia
 Mercoledì 19 Febbraio  Montecchio Emilia (RE) Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 20 Febbraio  Udine Giornata di Studio per Agenti Notificatori
       Almenno San Bartolomeo (BG) SOSPESA Giornata di Studio per Agenti Notificatori
       Frasso Sabino (RI) SOSPESA Giornata di Studio per Agenti Notificatori
       Cogoleto (GE) SOSPESA Giornata di Studio per Agenti Notificatori
       Iglesias (CI) SOSPESA Giornata di Studio per Agenti Notificatori

SECONDO SEMESTRE  2020

Data Luogo Tipologia
Venerdì 25 Settembre  Lendinara (RO) Giornata di Studio per Agenti Notificatori in presenza
 Martedì 13 Ottobre  Zola Predosa (BO)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori in presenza
 Martedì 10 Novembre  Marche Corso On Line per Agenti Notificatori
 Venerdì 13 Novembre  Emilia Romagna Corso On Line per Agenti Notificatori
 Lunedì 14 Dicembre  Sardegna Corso On Line per Agenti Notificatori

Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 16-04-2019) 04-07-2019, n. 17970

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Annamaria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2018/2014 R.G. proposto da:

S.M., elett.te domiciliato in Roma, alla P.zza Adriana n. 5, presso lo studio dell’avv. Roberto Masiani, unitamente all’avv. Riccardo Vianello, dai quali è rapp.to e difeso come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/8/13 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, depositata il 20/5/2013, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2019 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

Svolgimento del processo
che:

1. con sentenza n. 52/8/13, depositata il 20 maggio 2013, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dal ricorrente, avverso la sentenza n. 190/13/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Venezia e compensava le spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento, notificata il 29 novembre 2010, con cui veniva intimato a S.M. il pagamento dell’importo complessivo di Euro 80.397,54 a titolo di Iva, Irpef e Irap, oltre sanzioni, interessi e accessori, sulla base di due avvisi di accertamento, relativi alle annualità 2006 e 2007, notificati in data 18 aprile 2010; il contribuente ne eccepiva l’illegittimità derivata per la mancata notifica degli atti presupposti;

3. la CTR aveva rigettato l’appello, e confermato la decisione della CTP, ritenendo che gli avvisi di accertamento fossero stati ritualmente notificati ai sensi dell’art. 140 c.p.c.; secondo i giudici del gravame era irrilevante che la raccomandata informativa fosse stata restituita al mittente con la dicitura “sconosciuto” in quanto, dovendosi presumere la mancanza di elementi idonei a dimostrare che all’indirizzo indicato vi fosse la effettiva residenza del contribuente, l’omessa conoscenza dell’atto presupposto era una conseguenza della sua scelta di non indicare il proprio nominativo all’esterno dell’abitazione;

4. avverso la sentenza di appello, S.M. ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 7 gennaio 2014, affidato a due motivi, a cui l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
che:

1. con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 140 e 143 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, censurando l’impugnata sentenza per aver ritenuto sufficiente, ai fini del perfezionamento della notifica ex art. 140 c.p.c., la mera spedizione della raccomandata informativa, pacificamente non ricevuta, per non avergli consentito di far valere in giudizio il solo vizio di notifica dell’atto presupposto e per aver erroneamente applicato i criteri di verifica di legittimità della notifica cui all’art. 143 c.p.c.;

2. con il secondo motivo lamenta la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto se il destinatario fosse stato effettivamente sconosciuto non doveva ritenersi corretta la notifica ex art. 140 c.p.c..

Osserva che:

1. preliminarmente va ritenuta la tempestività del ricorso, consegnato per la notifica il 7-1-2014, e quindi respinta l’eccezione di inammissibilità formulata nel controricorso, in quanto il termine per l’impugnazione scadeva di domenica (5-1-2014) ed il giorno successivo era un festivo (6-1-2014).

2. Il primo motivo di ricorso merita accoglimento.

2.1 Sul tema, costituisce ius receptum di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 6788 del 2017 e Cass. n. 7523 e n. 19152 del 2016) il principio per cui “La notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 c.p.c., quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perché questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui all’art. 60 cit., lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perché risulta trasferito in luogo sconosciuto, accertamento, questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune” (Vedi anche Cass. n. 25436, n. 22796 e n. 23332 del 2015, n. 24260 del 2014 e n. 1440 del 2013).

2.2 Nella specie, risulta pacifico che il messo notificatore ha proceduto ai sensi dell’art. 140 c.p.c., presso la corretta residenza anagrafica del contribuente e, riscontratane la temporanea assenza, effettuato gli adempimenti previsti per le ipotesi di cd irreperibilità relativa.

Dall’avviso di ricevimento della raccomandata informativa, regolarmente esibito in giudizio, si evince tuttavia che tale raccomandata non è stata consegnata in quanto l’addetto postale ha ritenuto che a quell’indirizzo il destinatario fosse sconosciuto.

2.3 Occorre a questo punto verificare quali siano le conseguenze di una provata mancata consegna della raccomandata informativa.

Con riferimento alla raccomandata informativa di cui all’art. 140 c.p.c., è stato più volte affermato che “In tema di notificazione dell’accertamento tributario, qualora la notificazione sia stata effettuata nelle forme prescritte dall’art. 140 c.p.c., ai fini della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessaria la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata atteso che il messo notificatore, avvalendosi del servizio postale ex art. 140 c.p.c., può dare atto di aver consegnato all’ufficio postale l’avviso informativo ma non attestare anche l’effettivo inoltro dell’avviso da parte dell’Ufficio postale, trattandosi di operazioni non eseguite alla sua presenza e non assistite dal carattere fidefacente della relata di notifica. (vedi Cass. n. 21132 del 2009 e n. Cass. n. 25985 del 2014, ove ampi riferimenti alla giurisprudenza formatasi sia prima che dopo l’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, e la precisazione che gli elementi perfezionativi del procedimento notificatorio ex art. 140 c.p.c. non si atteggiano in diverso modo nel caso in cui oggetto della notifica sia un atto giudiziario o un provvedimento amministrativo (nella specie un atto impositivo), atteso che la maggiore garanzia voluta dal Legislatore, prescrivendo che la notifica degli atti tributari avvenga nelle forme previste dal codice di rito per notifica degli atti giudiziari, implica in assenza di deroghe espresse – l’applicazione del procedimento di notifica conforme al modello legale dell’art. 140 c.p.c. richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1).

Si è ritenuto ancora che “In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inesistente la notifica della cartella di pagamento, atteso che la raccomandata informativa non era pervenuta nella sfera di conoscenza del contribuente ed era stata restituita al mittente, avendo l’ufficiale giudiziario erroneamente apposto la dicitura “trasferito” sulla relata, nonostante fosse rimasta invariata la residenza del destinatario). (vedi Cass. n. 25079 del 2014; conformi Cass. n. 27825 e n. 9782 del 2018), mentre l’esibizione dell’avviso di ricevimento costituisce il presupposto per la verifica richiesta da Cass. n. 2683 del 2019 secondo cui, in tema di adempimenti prescritti dall’art. 140 c.p.c. nei casi di irreperibilità relativa, ai fini del perfezionamento del procedimento notificatorio, è necessario che l’avviso di ricevimento, relativo alla raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, rechi l’annotazione da parte dell’agente postale dell’accesso presso il domicilio del destinatario e delle ragioni della mancata consegna, senza che sia sufficiente la sola indicazione del deposito del plico presso l’ufficio postale.

In ordine poi al regime applicabile a tale raccomandata, al fine di verificare la regolarità della sua ricezione, si è già ritenuto che ” In tema d’imposte del reddito, la nullità della notificazione dell’atto impositivo, eseguita ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 140 c.p.c., che consegue alla mancata affissione dell’avviso di deposito presso la casa comunale, è sanata, per raggiungimento dello scopo, dal ricevimento della raccomandata con la quale viene data notizia del deposito, la quale, avendo finalità informativa e non tenendo luogo dell’atto da notificare, non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazione a mezzo posta ma solo al regolamento postale, sicché è sufficiente che il relativo avviso di ricevimento sia sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale, non dovendo risultare da esso la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario” (vedi Cass. n. 27479 del 2016); ed ancora che “In tema di notificazioni a mezzo posta, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14, l’avviso di accertamento o liquidazione senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla legge citata attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 c.p.c. Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato nella impossibilità senza sua colpa di prenderne cognizione.(Cass. n. 14501 del 2016); e da ultimo che “In tema di notificazione della cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali, eseguita ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 140 c.p.c., la raccomandata con la quale viene data notizia del deposito nella casa comunale, avendo finalità informativa e non tenendo luogo dell’atto da notificare, non è soggetta alle disposizioni in materia di notificazione a mezzo posta ma solo alle disposizioni relative alla raccomandata ordinaria disciplinate dal regolamento postale; pertanto, fatta salva querela di falso, non sussiste alcun profilo di nullità ove essa venga consegnata nel domicilio del destinatario e l’avviso di ricevimento venga sottoscritto dalla persona rinvenuta dall’ufficiale postale senza che risulti da esso la qualità del consegnatario o la sua relazione con il destinatario, con superabilità della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. solo se il destinatario provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del plico.” (Vedi Cass. n. 24780 del 2018).

2.4 In applicazione di tale principi, va dunque ribadito che il perfezionamento della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., necessita del compimento di tutti gli adempimenti stabiliti da tale norma, con la conseguenza che, in caso di omissione di uno di essi la notificazione è da considerarsi nulla.

La notificazione è, invece, inesistente quando essa manchi del tutto ovvero sia stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla legge, come, ad es., nel caso sia avvenuta in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano attinenza alcuna (o che non presentino alcun…. riferimento o collegamento) con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea.

2.5 Nella specie la notifica va necessariamente ritenuta nulla in quanto non può ritenersi che siano stati effettuati tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c. per il perfezionamento del procedimento notificatorio, né tale omissione è imputabile al destinatario.

La raccomandata, contenente la notizia del deposito presso la casa comunale dell’atto impositivo – atto che come risulta dalla relata non è stato consegnato al contribuente per una sua irreperibilità c.d. relativa – a causa di un errore o negligenza dell’ufficiale postale, che ha apposto sull’avviso di ricevimento la dicitura “sconosciuto” riferita al destinatario, pur essendone rimasta invariata la residenza, come già attestato dal messo notificatore che ne aveva constatato la temporanea assenza affiggendo anche l’avviso alla porta dell’abitazione, non è pervenuta senza sua colpa nella sua sfera di conoscibilità.

Come già affermato da questa Corte, infatti, non sussiste per legge alcun obbligo per i soggetti giuridici, di affiggere il proprio nominativo sui citofoni o sulla cassetta postale del luogo di abitazione (Vedi in Cass. n. 11183 del 2003 e Cass. n. 9798 del 2013), inoltre nella specie sussiste la prova che tale omissione non aveva impedito al messo notificatore di individuare in quel luogo la residenza del contribuente.

Poiché tale avviso è stato a sua volta restituito al mittente, e quindi sussiste la prova del mancato recapito, non possono neanche trovare applicazione i principi in tema di presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c.; neppure sussiste la prova dell’imputabilità al contribuente della mancata consegna, risultando al contrario attestato da un pubblico ufficiale che egli fosse reperibile presso quell’indirizzo e non ivi sconosciuto.

Né tanto meno, a fronte di una ipotesi di nullità della notifica, può ritenersi che tale vizio sia stato sanato per raggiungimento dello scopo, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto dimostrando di averne avuto in ogni caso conoscenza (da ultimo vedi Cass. n. 11043 e n. 11051 del 2018 e n. 265 del 2019), contestazioni che in questo caso non risultano articolate.

3. Quanto alle conseguenze della nullità della notifica degli avvisi di accertamento, si ricorda che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, consente al contribuente di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria; spetterà quindi al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta, con la conseguenza che, nel primo caso dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale, con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda della decorrenza dei termini di decadenza, mentre nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza o meno di tale pretesa (Sez. U, n. 5791/2008, Botta, Rv. 602254-01, conforme Sez. T, n. 1144/2018, Tricorni L., Rv. 646699-01).

Poiché il contribuente ha optato per la sola impugnazione dell’atto conseguenziale, ne va dichiarata l’illegittimità per la mancata notifica degli atti presupposti.

4. Da quanto esposto, accolto il primo motivo, assorbito il secondo, segue la cassazione della sentenza impugnata, e con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, l’accoglimento del ricorso introduttivo.

5. In considerazione dell’esito finale della lite, tenuto conto che la questione giuridica ha trovato soluzione alla luce di interventi legislativi e giurisprudenziali complessi e, per giunta, in parte sopravvenuti in corso di causa, va disposta la compensazione delle spese processuali dei gradi di merito; alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente;

compensa le spese dei giudizi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare al contribuente le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 4.100,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019


Circolare Prefettura di Udine su obbigatorietà della figura del Messo Comunale

E’ uscita una circolare prefettizia che, seppure in modo confuso e impreciso, richiama l’obbligatorietà della figura del Messo Comunale; questo a seguito di una serie di decisioni adottate da alcuni Sindaci del Friuli Venezia Giulia di non effettuare più il servizio di notificazione.

Numerose sono le imprecisioni, in primis, paradossalmente la mancata citazione della norma di riferimento principale relativa al messo comunale (legge 265/1999 art. 10), quindi la confusione fra messo notificatore e messo comunale per non parlare dell’indicazione del Sindaco ai fini della nomina a messo notificatore.

Leggi: Circolare Prefettura di Udine obbligatorietà della figura del Messo Comunale


Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 19-03-2019) 27-06-2019, n. 17346

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14327-2018 proposto da:

B.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI, 123, presso lo studio dell’avvocato MAIORANA ROBERTO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente-

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 818/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 04/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TERRUSI FRANCESCO.

Svolgimento del processo
Che:

B.I. ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello di Perugia che, decidendo sul gravame nei confronti dell’ordinanza che aveva negato la protezione internazionale e quella umanitaria, ha dichiarato estinto il processo d’impugnazione per omessa osservanza dell’ordine di rinnovazione della notifica della citazione all’avvocatura dello Stato;

la corte d’appello ha sottolineato che, constatata la mancata notifica all’avvocatura dello Stato, l’appellante aveva chiesto un termine per rinnovarla; dopodichè, però, non aveva provveduto al rinnovo affermando di ritenere valida la notifica precedentemente effettuata ai sensi del R.D. n. 1611 del 1910, art. 11;

il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 291 c.p.c. e del citato R.D. n. 1611 del 1910, art. 11;

il Ministero dell’interno non ha svolto difese.

Motivi della decisione
Che:

il ricorso è inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., n. 3);

secondo l’impugnata sentenza la notifica era stata fatta ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis;

la L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, prevede che “la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”;

l’impugnata sentenza riferisce che l’appellante aveva fatto la notificazione utilizzando un indirizzo “non risultante dai predetti elenchi”;

il ricorrente ha censurato la decisione in base a un ragionamento astratto: egli – come d’altronde espressamente riferito a pag. 6 del ricorso – si è limitato “a esporre una serie di pronunce e orientamenti” a suo dire finalizzati a “chiarire la questione”; orientamenti incentrati sull’affermazione che la notifica sarebbe da considerare valida “anche se il registro indicato fosse il registro Ipa”, ovvero sul rilievo che anche l’indice cd. Ini-Pec è un pubblico elenco, ovvero ancora sulla considerazione che la modalità di perfezionamento della notificazione telematica postula “che la notificazione provenga da un indirizzo Pec (..) a un altro indirizzo Pec, sempre risultante da pubblici elenchi” e che “giunga a compimento il meccanismo telematico che assicura la certezza della procedura di recapito”;

tutte queste considerazioni a niente servono, dal momento che nel ricorso non è specificato come sia stata in concreto eseguita la notificazione a fronte di quanto puntualmente affermato in ordine all’effettuazione “a un indirizzo non risultante dai predetti elenchi”; non deve farsi applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27-03-2019) 26-06-2019, n. 17198

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9460-2018 R.G. proposto da:

P.F.A.L., rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Giorgio SAGLIOCCO, presso il cui studio legale, sito in Caserta, alla via Roma, n. 96, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 611/18/2017 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, Sezione staccata di CATANIA, depositata il 22/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue:

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo di maggiori imposte risultanti da avvisi di accertamento emessi con riferimento agli anni d’imposta 2004, 2005 e 2006, rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sul rilievo che gli atti impostivi prodromici alla cartella di pagamento erano divenuti definitivi per essere stati regolarmente notificati al domicilio fiscale del medesimo, risultante dalle dichiarazioni fiscali presentate.

2. Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Il primo motivo di ricorso, incentrato sulla nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente è infondato e va rigettato in quanto la CTR nella sentenza impugnata non ha fatto alcun acritico rinvio al deliberato di primo grado ma ha espresso una ben identificabile ratio decidendi, là dove ha sostanzialmente ritenuto regolare la notifica degli avvisi di accertamento in quanto “effettuate al domicilio fiscale del contribuente risultante dalle sue comunicazioni fiscali e, quindi, dall’anagrafe tributaria”; non si rileva, pertanto, l’imperscrutabilità della ratio che rende nulla la sentenza per apparenza motivazionale (Cass. SU 22232/2016 Rv. 641526).

4. Anche il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce la nullità della sentenza per motivazione contraddittoria, è infondato e va rigettato. Invero, le due enunciazioni cui ha fatto riferimento il ricorrente non sono per nulla in contrasto tra loro, in quanto è ben evidente che la CTR, nell’individuazione del domicilio fiscale del contribuente, intendesse riferirsi a quello dal medesimo indicato nell’ultima dichiarazione presentata, ferma restando l’omessa presentazione delle successive, come peraltro emerge chiaramente dall’affermazione dei giudici di appello secondo cui “Restano, quindi, validi i dati fino ad allora forniti all’Amministrazione”. In ogni caso difetta il requisito della “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” (ex multis, Cass. n. 23940 del 2017) che solo giustificherebbe la dichiarazione di nullità del deliberato.

5. Con il terzo motivo, incentrato sulla questione della regolarità della notifica effettuata presso il domicilio fiscale risultane dall’ultima dichiarazione presentata, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 47 c.c., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60 nonché vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che aveva errato la CTR ad applicare le disposizioni censurate e omesso di esaminare la documentazione anagrafica prodotta in giudizio.

5.1. Il motivo è inammissibile perché con lo stesso il ricorrente prospetta un pluralità di censure, tra loro inestricabilmente connesse, in violazione del principio di chiarezza e specificità dei motivi di ricorso (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18021 del 14/09/2016). In ogni caso il motivo è infondato alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui “In tema di accertamento delle imposte dei redditi, in caso di originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo, atteso che l’indicazione del comune di domicilio fiscale e dell’indirizzo, da parte del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 4, va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento” (Cass. n. 15258 del 2015; coni. Cass. n. 25680 del 2016).

6. Pertanto, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 14-05-2019) 25-06-2019, n. 16956

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. RG. 2535/2017, proposto da:

Equitalia Servizi Riscossione S.p.A., (già Equitalia Sud S.p.A.), in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa dall’Avv.to Mario Signore, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n. 114/B, presso lo studio dell’Avv.to Coletta, giusta procura in calce al ricorso.

– ricorrente –

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’avvocatura generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12. – controricorrente adesivo –

I.C.;

– intimato-

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 3947/39/16 del 28/04/2016 non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2019 dal Consigliere Dott.ssa D’Angiolella Rosita;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore della Repubblica Dott.ssa Tassone Kate, che ha così concluso: “fondato il secondo motivo, assorbito il terzo”. Udito l’Avv.to Giancarlo Caselli, per l’avvocatura Generale dello Stato.

Svolgimento del processo
I fatti che hanno originato la presente controversia riguardano il ricorso proposto da I.C., avverso tre avvisi di intimazione di pagamento, per l’anno 2009, emessi da Equitalia Sud, relativi a cartelle esattoriali non notificate al contribuente.

La Commissione Tributaria Provinciale di Latina (di seguito, CTP), accoglieva il ricorso ritenendo l’invalidità del procedimento notificatorio.

La sentenza della CTP veniva impugnata da Equitalia innanzi alla CTR del Lazio la quale, con la sentenza in epigrafe, confermava la sentenza dei primi giudici, ritenendo l’irregolarità del procedimento di notifica al contribuente “posto che è stato effettuato il deposito alla casa comunale ma senza farlo precedere dall’affissione alla porta di casa dell’avviso nè è stato seguito dalla prescritta raccomandata. Va a tal proposito ricordato che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che in tema di notifica di cartella di pagamento nei casi di irreperibilità relativa del destinatario… va applicato l’art. 140 c.p.c…”.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 30752, depositata in data 23/11/2018 – pronunciata sul primo motivo di ricorso proposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, da Equitalia Servizi Riscossione S.p.A. (di seguito, per brevità, Equitalia) contro I.C., avverso la sentenza di cui in epigrafe, n. 3947 del 17/06/2016 della Commissione Tributaria Centrale del Lazio (di seguito, per brevità, CTR) – hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alla cartella di pagamento relativa a contributi previdenziali, trattandosi di credito non avente ad oggetto tributi, ed hanno, conseguentemente, rimesso a questa sezione tributaria la decisione sugli ulteriori motivi di ricorso proposti da Equitalia, in quanto riguardanti crediti di natura tributaria.

Questa Corte è dunque chiamata a decidere sui restanti due motivi di ricorso proposti da Equitalia, cui ha aderito con controricorso adesivo l’Agenzia delle Entrate, rimanendo il contribuente, I.C., intimato.

Il ricorso è stato chiamato all’odierna udienza pubblica a seguito di avviso notificato a mezzo PEC con invio telematico perfezionatosi in data 05/04/2019.

Motivi della decisione
1. Come esposto in narrativa, il ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a tre motivi. Poiché il primo motivo è stato già accolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 23/11/2018 n. 30752, che ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento alla cartella di pagamento, relativa a contributi previdenziali, (cartella n. (OMISSIS) e intimazione n. (OMISSIS)), l’oggetto della presente decisione riguarda i restanti due motivi di gravame.

2. Con il secondo motivo di ricorso (sub b)) l’Agenzia delle entrate deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per deficit strutturale della decisione sulla notifica della cartella n. (OMISSIS) (intimazione n. (OMISSIS)) e della cartella n. (OMISSIS) (intimazione n. (OMISSIS)), per aver la CTR dichiarato l’invalidità della notifica delle cartelle di pagamento, sottese alle intimazioni di pagamento, senza operare alcun distinguo in relazione alle diverse di modalità notificatorie degli atti in questione e per aver erroneamente applicato le regole riguardanti la cd. irreperibilità relativa e non, invece, quelle della irreperibilità assoluta.

3. Con il motivo terzo motivo (sub c)) deduce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, per l’omessa rilevazione dell’assenza di vizi propri delle tre intimazioni facenti capo alle tre cartelle, e quindi, per aver rigettato l’eccezione d’inammissibilità del ricorso introduttivo atteso che, essendo avvenuta rettamente la notifica delle cartelle, ogni contestazione avverso il merito del credito, sollevata averso le successive intimazioni, era da considerarsi inammissibile in quanto proposta oltre i termini perentori di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21. Tale motivo (sub c)), a seguito della pronuncia sulla giurisdizione, è limitato alle intimazioni n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS).

4. Il secondo motivo è fondato nei limiti qui di seguito esposti.

5. Va premesso, in fatto, che l’impugnazione del contribuente, per vizio di notifica delle cartelle e delle relative intimazioni, è stata accolta dai giudici di merito, sul rilievo che il procedimento di notifica era irregolare, in quanto era stato effettuato il deposito alla casa comunale, senza essere preceduto dall’affissione alla porta di casa dell’avviso, nè essere seguito dalla prescritta raccomandata. I giudici di merito, ritenendo sussistente un’ipotesi d’irreperibilità relativa, hanno dichiarato l’inesistenza della notifica della cartella, all’uopo richiamando la giurisprudenza di legittimità, con la pronuncia del 26/11/2014 n. 25079, Rv. 634229-01, come consolidatasi a seguito della pronuncia del 22/11/2012 n. 258 della Corte Costituzionale, evidenziando che la notifica della cartella di pagamento, per poter essere valida, va effettuata con tutte le formalità previste dall’art. 140 c.p.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, u.c., e art. 60, comma 1 alinea, e quindi incluso l’inoltro e l’effettiva ricezione del destinatario della raccomandata informativa del deposito presso la casa comunale.

6. Dagli atti allegati al ricorso risulta che:

– la cartella numero (OMISSIS) (intimazione n. (OMISSIS)) è stata notificata, a mezzo del servizio postale, con raccomandata indirizzata presso la sede/domicilio fiscale della società Autotrasporti I. s.n.c. di V.L., (OMISSIS), sottoscritta per ricevuta in data 8 giugno 2011 da soggetto qualificatosi destinatario ( V.L.), soggetto risultante, dalla visura camerale allegata, socia della società;

– la cartella n. 057200915158175 (intimazione n. (OMISSIS)), risulta, invece, notificata a mezzo di messo notificatore: dalla relata di notifica risulta che “oggi 24/06/2010 (OMISSIS) la società autotrasporti il I. snc non risulta” e che l’ufficiale notificatore ha depositato l’atto in Comune con affissione all’albo dell’avviso di deposito, in data 7/7/2010.

6. Orbene, con riguardo alla doglianza riguardante la verifica della regolarità del procedimento notificatorio, non v’è dubbio che, come assume la ricorrente, i secondi giudici hanno errato a non verificare la sussistenza dei presupposti di legge richiesti per la validità del procedimento notificatorio afferente a ciascuna cartella, dichiarando, cumulativamente, l’inesistenza di tutte le notifiche in quanto effettuate in violazione dall’art. 140 c.p.c..

6.1. Ciò che i secondi giudici non hanno considerato è che la notifica di una cartella esattoriale può legittimamente avvenire secondo le forme ordinarie o con messo notificatore, ovvero mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento (v. D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, anche nella formulazione vigente al tempo della notifica delle cartelle di cui trattasi e cioè nella formulazione in vigore dal 31/05/2010 a seguito delle modifiche intervenute con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 38), sicché è rispetto alla procedura notificatoria azionata che va riscontrato la validità e, quindi, il perfezionamento della notifica.

6.2. Quanto alla notifica avvenuta mediante invio, da parte dell’esattore, di una raccomandata con avviso di ricevimento, è ius receptum che la notifica si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza che sia necessario redigere un’apposita relata di notifica, in quanto il citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, prescrive solo l’onere per l’esattore di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con l’avviso di ricevimento. A conferma della regolarità di tale sistema notificatorio, è stato soggiunto che la consegna del plico al domicilio del destinatario perfeziona la notifica senza altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente, e ciò in quanto “l’avvenuta effettuazione della notificazione, su istanza del soggetto legittimato, e la relazione tra la persona cui è stato consegnato l’atto ed il destinatario della medesima costituiscono oggetto di una attestazione dell’agente postale assistita dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c.”. (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4275 del 21/02/2018, Rv. 647134-01; cfr. Cass. n. 16949 del 2014, Rv. 632505-01).

6.3. La giurisprudenza di questa Corte ha, altresì, precisato che qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. 20 novembre 1982, n. 890 e che, quindi, secondo le regole che riguardano la ricezione degli atti per posta ordinaria, l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. (cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 12083 del 13/06/2016, Rv. 64002501; Sez. 5, Sentenza n. 15315 del 04/07/2014, Rv. 63155101; Sez. 5, Sentenza n. 16528 del 22/06/2018, Rv. 64922702).

6.4. E’ opinione comune, che tale interpretazione poggia sulla finalità di rilievo costituzionale riguarda la funzione pubblicistica della pronta riscossione del credito fiscale posto a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato, finalità che, dunque, ha ispirato sia le decisioni di questa Corte che quella dei giudici delle leggi. (cfr. Sez. 5, n. 28872 del 12/11/2018, Rv. 651834-01; da ultimo, cfr. Corte Costituzionale 26/04/2019 n. 104, che sulla scia dei suoi precedenti pronunciati ribadito nei precedenti pronunciati della stessa Corte Costituzionale, nn. 175 e 90 del 2018 e n. 281 del 2011, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14 e della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 161, nella parte in cui consentono la notificazione diretta degli atti impositivi e dei ruoli a mezzo di servizio postale di raccomandata con ricevuta di ritorno).

7. Va da sé, dunque, che nel caso in cui la notifica venga effettuata nelle forme ordinarie, si pongono tutte le questioni che afferiscono al comune procedimento notificatorio.

7.1. In particolare è orientamento ormai consolidato quello secondo cui in caso di cd. “irreperibilità relativa” del destinatario – vale a dire, nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., come recita il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, – tenuto conto degli esiti della sentenza della corte Cost. 22 novembre 2012, n. 258, va applicato l’art. 140 c.p.c. in virtù del combinato disposto del citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea e, sicchè è necessario ai fini del suo perfezionamento che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario dell’effettiva ricezione della raccomandata/informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9782 del 19/04/2018, Rv. 647736 – 01).

7.2. Viceversa, in caso d’irreperibilità assoluta – ipotesi in cui non v’è alcun luogo conosciuto nell’ambito di quel comune in base all’ordinaria attività che deve essere svolta dal messo notificatore – è applicabile soltanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), a mente del quale il messo notificatore o l’ufficiale giudiziario, devono svolgere ricerche volte a verificare che ricorra l’irreperibilità assoluta del contribuente, ossia che quest’ultimo non abbia più nè l’abitazione, nè l’ufficio o l’azienda, nel Comune nel quale aveva il domicilio fiscale (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 6765 del 08/03/2019, Rv. 653075-01; n. 2877 del 2018, Rv. 647109-01, n. 9279 del 1998, Rv. 518986-01, n. 24260 del 2014).

8. Orbene, è evidente che la decisione dei secondi giudici è inadeguata strutturalmente, proprio perché ha dichiarato la nullità di tutte le cartelle e degli atti conseguenziali, per vizio del procedimento notifica di cui all’art. 140 c.p.c., senza alcuna verifica, né argomentazione che spiegasse le ragioni della ritenuta inesistenza e omettendo del tutto di considerare che la notifica della cartella di pagamento può ben avvenire, oltre che a mezzo messo notificatore, anche mediante invio di una raccomandata con avviso di ricevimento, che in questo caso la notifica si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario legittimato a riceverla; anche per la notifica a mezzo messo, ha omesso del tutto di verificare se trattavasi di irreperibilità assoluta o irreperibilità relativa, se il messo notificatore avesse svolto ricerche circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto e se fossero stati effettuati tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c. per il perfezionamento del procedimento- notificatorio.

9. In definitiva, la motivazione della sentenza qui impugnata appare molto al di sotto del cd. minimo costituzionale, in quanto ha compiuto, in maniera del tutto inadeguata la disamina logica e giuridica degli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento, rinviando genericamente e acriticamente alla normativa ritenuta applicabile senza sussunzione alcuna della fattispecie concreta al precetto generale, con conseguente nullità della sentenza (sui parametri minimi di motivazione, cfr. Cass., Sez. U., 07/04/2014 n. 8053 e 03/11/2016 n. 22232; cfr., altresì, per il vizio di motivazione collegato alla funzione dell’appello, Cass., 10/01/2003 n. 196).

10. Il terzo motivo di ricorso (sub c)), rimane assorbito dall’accoglimento del secondo.

11. Il ricorso va pertanto accolto in relazione al secondo motivo, l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, perché proceda ad un nuovo esame della controversia, sulla base dei principi esposti, nonchè perchè provveda sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2019