Nuovi contratti nazionali di lavoro

Chiuso l’accordo sui quattro comparti nel pubblico impiego, si apre il fronte del rinnovo dei contratti 2016/2018.
Nel frattempo, un altro tribunale conferma che gli effetti dei nuovi CCNL devono partire dal 30 luglio 2015.

I dipendenti pubblici hanno diritto al rinnovo contrattuale dal 30 luglio 2015, cioè dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza 178/2015 in cui la Corte Costituzionale ha stabilito l’illegittimità di un ulteriore congelamento dei rinnovi contrattuali.
Stanno aumentando le pronunce dei tribunali che ribadiscono questo principio, in contrasto con i calcoli governativi che invece si orientano sul rinnovo dal 1° gennaio 2016.
Fra gli ultimi casi, quello del Tribunale di Parma sezione lavoro, che nella sentenza 114/2016, ha dichiarato «l’illegittimità del regime di sospensione della contrattazione collettiva a partire dal 30 luglio 2015», riprendendo un principio già espresso dai giudici di Reggio Emilia.
La decisione di Parma, che condanna al pagamento delle spese processuali il datore di lavoro pubblico, pone le premesse anche per un possibile riconoscimento del danno da mancato rinnovo dalla data indicata dalla Consulta.


La data di una raccomandata è importante per una causa, le Poste hanno l’obbligo di cercarla

Un cittadino non riusciva più a trovare la busta contenente una lettera speditagli dall’assicurazione con raccomandata A.R., nella quale era indicata la data di ricezione della stessa. Ma tale dato era per lui fondamentale, al fine di dimostrare l’intervenuta prescrizione della controversia pendente con l’assicurazione.

Il TAR del Piemonte, con la sentenza numero 207/2016, ha dichiarato che le Poste non possono legittimamente opporre un silenzio-rifiuto al cittadino, che si è loro rivolto per tentare di ricavare i dati relativi alla predetta raccomandata. Per il Tribunale, infatti, è fondamentale che all’interessato venga consegnata entro un mese la copia dei registri di consegna, dai quali emerge sia la data che il numero di identificazione della missiva.

Non importa che per soddisfare l’utente sia necessaria una specifica e laboriosa ricerca: la legge sulla trasparenza riconosce il diritto all’accesso ai documenti. Oltretutto la ricerca non sarebbe dovuta proseguire con un’elaborazione di dati, ma solo con una fotocopia delle pagine di interesse.

Tuttavia, nel caso di specie si trattava di un interesse qualificato, dato dalla sussistenza di una controversia giudiziaria ai fini della quale la data della raccomandata assumeva un’importanza fondamentale, dipendendo da essa la valutazione circa la permanenza o l’estinzione del diritto azionato.

Testo della sentenza

00207/2016 REG.PROV.COLL. N. 01096/2015 REG.RIC.

 R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 SENTENZA

 sul ricorso numero di registro generale 1096 del 2015, proposto da:

Piera Caravello, rappresentata e difesa dall’avv. Franco Scancarello, con domicilio eletto presso lo presso il suo studio, in Torino, Via Pietro Palmieri, 40;

contro

Poste Italiane, s.p.a. rappresentata e difesa dagli avv. Rossana Cataldi, Marco Filippetto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Rossana Cataldi in Torino, Corso Tazzoli, 235/4;

per lannullamento

del silenzio serbato da Poste Italiane Posta, Comunicazione e Logistica A.L. Nord Ovest – Qualità, in ordine all’istanza inoltrata dalla ricorrente in data 16 luglio 2015;

nonché degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Poste Italiane;

Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2016 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I) Con ricorso notificato in data 20 ottobre 2015 e depositato in data 23 ottobre 2015, la ricorrente ha chiesto l’annullamento del silenzio serbato da Poste Italiane in ordine alla sua istanza inoltrata in data 16 luglio 2015, con cui chiedeva copia di una lettera raccomandata inviatale dalla Società So.Ge.Sa in data successiva al 12 gennaio

Espone di aver ricevuto una raccomandata A.R.  dall’Assicurazione So.Ge.Sa datata 11 gennaio 2013, della quale ha smarrito la busta, con il timbro della data di ricevimento e il relativo numero di identificazione.

Una prima richiesta presentata in data 15.4.2015 all’Ufficio Postale è stata riscontrata con la nota delle Poste del 19.6.2015, in cui si informava l’interessata che in assenza di precise indicazione non era possibile effettuare una “verifica mirata”.

Ha quindi chiesto, in data 25 giugno 2015, tramite il legale, di poter avere copia della suddetta raccomandata, informazioni in ordine alla data di consegna della suddetta raccomandata.

La Posta ha riscontrato la richiesta con la nota del 28.8.2015 (in cui erroneamente è stato riportato l’anno 2014), rappresentando la necessità di indicare il numero della raccomandata e la data di spedizione.

Con nota del 16 luglio 2015 la ricorrente ha fatto presente l’impossibilità di trasmettere i dati richiesti, che erano proprio quelli per i quali aveva inviato la precedente istanza.

A tale scopo reiterava la domanda di accesso agli atti.

Non avendo ulteriore riscontro, ha notificato il seguente ricorso, chiedendo l’annullamento del silenzio serbato sulla domanda inoltrata il 16 luglio 2015, lamentando i seguenti profili di illegittimità:

  1. violazione di legge in riferimento all’art 2 L. 241/90; eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, carenza dei presupposti, contraddittorietà: Poste Italiane è tenuta a garantire l’accesso agli atti, per cui nel caso di specie avrebbe dovuto dare riscontro alla domanda volta ad ottenere copia degli atti e indicazioni in ordine alla data di avvenuta consegna della raccomandata inviata alla ricorrente;
  2. violazione dell’art 3 L. 241/90, essendo l’inerzia dell’Amministrazione immotivata.

In via istruttoria viene chiesta l’acquisizione degli atti del procedimento conclusosi con l’adozione dell’atto impugnato e nel merito, l’accoglimento del ricorso,  con ordine alle Poste Italiane di comunicare alla ricorrente eventualmente consegnando copia dei registri  di consegna e dunque di avvenuto ricevimento della raccomandata della Società So.Ge.S.A. datata 11 gennaio 2013.

Si è costituita in giudizio la Società Poste Italiane spa, rilevando l’inammissibilità del ricorso, in quanto il diritto di accesso non è mai stato rifiutato, ma solo subordinato alla presentazione di dati necessari per consentire il rilascio dell’informazione richiesta.

Nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso poiché ai sensi dell’art 5 comma 2 del DPR n. 184/2006, il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l’individuazione, specificare e ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta; pertanto la domanda non poteva essere accolta, in assenza di dette indicazioni.

Alla camera di consiglio del 13 gennaio 2016 il difensore di parte ricorrente ha prodotto una nota di Poste Italiane, in cui si dichiara che i documenti relativi all’accettazione e alla consegna sono conservati in giacenza per tre anni. Trascorso tale periodo non è più possibile effettuare verifiche  e fornire le relative informazioni.

La difesa di Poste Italiane si è opposto alla produzione di detto documento. Alla medesima camera di consiglio, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

II) Il Collegio osserva in via preliminare che la ricorrente ha chiesto l’annullamento del silenzio serbato sulla domanda di accesso, e per l’effetto l’ordine alle Poste di comunicare alla ricorrente la data di consegna della raccomandata, consegnando quindi copia dei registri di consegna.

Si osserva tuttavia che le istanze sono state riscontrate, per cui non si può parlare di azione avverso il silenzio, ma il presente ricorso va qualificato come domanda di accertamento del diritto alla copia degli atti richiesti, e quindi come azione al fine di ottenere una risposta positiva sulla domanda di accesso.

Quindi l’esatto petitum è l’accertamento del diritto ad ottenere copia degli atti (presumibilmente copia del registro di consegna delle raccomandate), da cui ricavare il dato richiesto.

La ricorrente assume che non poteva essere posto a suo carico l’onere di specificare gli estremi della raccomandata e che dall’istanza sarebbero stati comunque ricavabili elementi idonei a individuare i documenti di interesse. Il ricorso è fondato, nei limiti che verranno precisati.

Va premesso che la ricorrente chiede l’accesso ad una raccomandata, al fine di dimostrare l’intervenuta interruzione dei termini di prescrizioni nell’ambito di una causa in materia assicurativa.

Ricopre quindi una posizione qualificata all’esercizio del diritto di accesso, a tutela di un interesse evidentemente funzionale ad una eventuale azione giudiziaria.

Va ricordato che secondo l’orientamento prevalente l’accesso deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile; la domanda non può essere generica e deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta.

Se non può in linea di principio pretendersi che l’istante in sede di accesso agli atti indichi specifici dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso, deve in ogni caso rilevarsi come l’Amministrazione, in detta sede, sia tenuta a produrre documenti individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi.

Ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività.

Richieste generiche, infatti, sottoporrebbero l’Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa.

In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v’è dubbio come l’accesso non possa costringere l’Amministrazione ad attività di elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati.

Nel caso di specie la difficoltà risiede proprio nel fatto che la ricorrente chiede copia di un documento, proprio perché interessata a conoscere i dati identificativi dello stesso, mentre l’Amministrazione ritiene di non poter risalire all’atto senza detti elementi identificativi.

Si poneva quindi in capo all’Amministrazione l’obbligo di avviare una ricerca, presumibilmente consultando un registro in cui sono trascritti giornalmente i dati della corrispondenza (mittente, destinatario, data di consegna), quindi di porre in essere una attività non di elaborazione, ma di ricerca, consistente nel consultare il registro, estrarre il dato richiesto, anche effettuando semplicemente la fotocopia della pagine in cui sono stati trascritti i dati.

In tal senso probabilmente la domanda di accesso poteva essere soddisfatta, poiché non richiedeva una attività di elaborazione di dati, ma solo una attività di ricerca, fase connaturale ad ogni domanda di accesso.

Per tale ragione il ricorso va accolto, poiché il diniego all’accesso è illegittimo in quanto sorretto da un interesse giuridicamente rilevante e diretto ad ottenere un atto, il cui rinvenimento non implica una attività elaborativa.

La particolarità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto ordina alle Poste Italiane di rilasciare copia degli atti oggetto della richiesta del 25.6.2015, entro il termine di giorni trenta dalla comunicazione o notifica della presente sentenza.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2016 e del giorno 3 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Silvana Bini, Presidente FF, Estensore Ofelia Fratamico, Primo Referendario Giovanni Pescatore, Referendario

 IL PRESIDENTE, ESTENSORE

 DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 18/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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Lo rende noto l’Inps nel comunicato del 15 marzo 2016 nel quale si precisa che gli utenti potranno richiedere SPID agli Identity Provider che attualmente sono: InfoCert S.p.a, Poste Italiane S.p.a e Telecom Italia Trust Technologies Srl.

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Buona Pasqua 2016

Pubblicazione1


Le responsabilità dei Messi Comunali

LE RESPONSABILITÀ DEI MESSI COMUNALI IN RELAZIONE AI DOVERI PROPRI DELLA FUNZIONE ED ALLE PATOLOGIE DELL’ATTO(1)

La figura del Messo Comunale è stata delineata fin dal 1911 (reg. 12/2/1911 n. 297) ma è con il Testo Unico della Legge 1934 n. 383 che acquisisce una specifica connotazione. L’art. 273 del t.u. appena citato stabilisce in primis che ogni comune o provincia deve avere uno o più messi indicando altresì le condizioni di nomina di questa categoria, il valore e l’efficacia degli atti che compie.

L’attenzione riservata dal legislatore a tale figura fin dalla sua istituzione è indicativa della importanza e della delicatezza della mansione che lo stesso è chiamato a svolgere. Messo, cioè mandato, delegato, incaricato di un pubblico servizio è colui che è autorizzato a notificare gli atti del proprio comune o provincia ovvero nell’interesse di altre Amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta a quella da cui i messi stessi dipendano(2).

Nella formulazione originaria, dunque, la qualifica del messo era legata al possesso di particolari requisiti (maggiore età, buona condotta, capacità di intendere e volere – tipici del mandatario), poiché comportava l’esercizio di mansioni delicate ma non particolarmente gravose, stante il dettato normativo che precisava che si trattava di atti per i quali non erano prescritte particolari formalità. Per alcuni atti non si è mai trattato di notifica ma di una vera e propria consegna, per altri invece si è in presenza di una notifica (ordinanze del Sindaco in materia edilizia, polizia locale…). Rileva il fatto che la relata del messo ha importanza ai fini della decorrenza del periodo assegnato oltre il quale determinati lavori saranno eseguiti d’Ufficio.

Ed ancora si pensi alla notifica dell’intimazione a pagare mediante messa in mora, oppure di fissazione del termine e di adempimento di una obbligazione e di esercizio di un diritto. Si tratta come si può vedere di un’attività che si colloca nell’iter del procedimento amministrativo volto all’emanazione di un atto amministrativo- nella fase “integrativa dell’efficacia producendo proprio l’effetto giuridico della conoscenza piena per il soggetto ricevente e la possibilità di reazione all’atto stesso se lesivo di diritti od interessi per il destinatario”.

La disposizione citata prevede anche la possibilità per i Consorzi di avvalersi di messi dei Comuni che facciano parte del Consorzio e di messi di Comuni nel cui territorio l’atto deve essere notificato e sempre in relazione ad atti che non richiedono particolari formalità. Quindi fin dal suo sorgere questa figura, così come tratteggiata da quel lontano legislatore, doveva presentare alcune caratteristiche tipiche da consentirgli di svolgere un servizio importante ma non particolarmente impegnativo, come invece vedremo, oggi è accaduto lì dove l’art. 38 DPR 29/1/1958 n. 645 e poi successivamente l’art. 60 DPR n. 600 del 29/9/1973 che detta disposizioni dettagliate e puntuali in merito all’attività di notificazione i merito all’accertamento delle imposte sui redditi.

Ripercorrendo l’iter storico e normativo di riferimento di questa figura si nota che non solo non ha perso importanza ma ha acquisito un maggiore spessore proprio con la formulazione di cui all’art. 2 del D.P. del 11.2.64 n. 264, lì dove si dispone che l’opera di questi messi può essere richiesta dall’Ufficiale sanitario e da ultimo dall’Amministrazione finanziaria ai sensi degli articoli citati. Per quanto riguarda proprio questa ultima Amministrazione la gravosità e la serietà del compito affidato è tale da aver indotto il legislatore più recente a disporre tutta una serie di adempimenti (che superano il dettato originario che non richiedeva per alcuni tipi di atti particolari formalità) e fa acquistare a questa ultima normazione carattere speciale e derogatorio rispetto a quello più generale del c.p.c. che non viene applicato in queste fattispecie specifiche (art. 142, 143, 146, 150, e 151 c.p.c.) Proprio questa attività di notificazione svolta per conto di altre Amministrazioni (v. Amministrazione Finanziaria) ha suscitato un nuovo interesse per questa figura da parte della giurisprudenza contabile. Quest’ultima già negli anni passati aveva avuto modo di affermare la sottoposizione alla propria giurisdizione della responsabilità del messo comunale muovendo dall’assunto che lo stesso inserendosi nella fase conclusiva del procedimento di accertamento tributario, si poneva alla dipendenza funzionale dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, poiché il soggetto veniva ad essere incardinato nell’organizzazione dell’Ente si configurava, così, un rapporto di servizio (Corte dei Conti sez. I, 9/2/1989, n. 58, Corte dei Conti sez. II, 29/2/1988 n. 36, Sezioni Riunite, 24/7/1987 n. 549, sez. I 19/6/1989 n. 222)

Più di recente la Corte dei Conti ha riaffermato la propria giurisdizione in materia di responsabilità del messo notificatore riconoscendo che il fondamento normativo e proprio l’art. 58 Legge 8/6/1990 n. 142 che ha disposto anche per gli enti locali territoriali la regola dell’assoggettamento alla disciplina statale e realizzando così, un sistema unico della responsabilità in tutto il settore pubblico (Sez. II 18/1/93 n. 13)(3). Le patologie dichiarate sono quelle classiche della nullità (o invalidità assoluta) e d’irregolarità. Nella prima s’inquadra l’omessa o ritardata notifica ovvero eseguita in violazione delle norme che prescrivono determinati adempimenti, la seconda l’irregolarità si distingue dalla prima poiché è suscettibile sempre di essere sanata e comporta l’esclusione conseguente della responsabilità del messo comunale per i danni derivanti all’Amministrazione finanziaria per esempio d’irregolare notifica dell’avviso di accertamento; irregolarità non sanata (tramite rinnovo di notifica) per fatto imputabile all’Amministrazione Finanziaria.

NOTE:

(1) Testo riveduto dell’intervento al corso FORMEL – Milano – maggio 1999.

(2) V. TENDOLINI, in Nuovissimo Digesto, voce “Messo comunale e provinciale”.

(3) Contra Cass. Civ. Sez. Un. 1991 n. 1341 che sottraendo alla competenza della Corte dei Conti la responsabilità relativa del messo la devolveva al giudice ordinario in quanto attività compiuta in qualità di dipendente non dell’Amministrazione danneggiata ma del Comune.

——-

Il Messo Comunale svolge un’attività complessa e d’elevata responsabilità ed è chiamato a rispondere personalmente di eventuali azioni illecite o dannose per l’amministrazione dalla quale dipende o per terzi.

Responsabilità penale

Il Messo Comunale risponde penalmente di tutte quelle azioni od omissioni che costituiscono fatti puniti dalla legge penale (es. l’omissione o il rifiuto di atti d’ufficio, puniti dall’art. 328 del c.p.).

Responsabilità civile

Il Messo Comunale può essere civilmente responsabile per i danni provocati a terzi. Può rispondere direttamente ai terzi ovvero in- direttamente, quando risarcisce l’amministrazione da cui dipende, chiamata a propria volta a rispondere di fronte ai terzi per il danno provocato dal Messo Comunale. La responsabilità si concretizza solo quando il danno è provocato con dolo o colpa grave. La colpa lieve non comporta responsabilità. L’obbligo di risarcimento discende dal principio generale per il quale chiunque provoca un danno deve risarcirlo (art. 2043 c.c.).

Responsabilità contabile e patrimoniale

Particolare rilevanza assume la responsabilità connessa alla condotta che il Messo Comunale deve osservare nell’espletamento degli atti del suo ufficio. La giurisprudenza amministrativa si è interessata del particolare rapporto che si instaura tra il Messo Comunale e gli uffici della amministrazione finanziaria dello Stato, relativamente alla notificazione degli atti di accertamento tributario. È in vigore il principio secondo cui la notificazione degli atti di altre amministrazioni (Stato, Enti pubblici, Regioni, Province, altri Comuni, ecc.) deve avere luogo tramite l’amministrazione da cui dipende il Messo Comunale e non con rapporto diretto con questo ultimo. La Corte dei Conti, sez. I, con decisione 28 ottobre 1983, n. 145, ha ritenuto che «pur in carenza di un rapporto di pubblico impiego fra l’amministrazione finanziaria e il Messo Comunale, sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti del secondo per il danno patrimoniale che si assume arrecato alla prima in conseguenza alla tardiva notificazione di avvisi di accertamento tributario; invero l’art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con lo stabilire che la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente […] è eseguita dai Messi Comunali, viene ad inserire questi ultimi nella fase conclusiva del procedimento di accertamento delle imposte, di competenza appunto dell’amministrazione finanzia- ria, realizzando in tal modo una dipendenza funzionale dei Messi Comunali stessi dalla stessa amministrazione e dando vita conseguente- mente ad un rapporto di servizio fra i primi e la seconda, di per sé sufficiente ad incarnare la giurisdizione contabile della Corte dei Conti».

Responsabilità disciplinare: sanzioni e procedure disciplinari

Il Messo Comunale risponde sul piano disciplinare, quando la propria condotta ha violato gli obblighi ed i doveri d’ufficio (artt. 23 ss. del C.C.N.L. del 6.7.1995 modificati dal Titolo IV del C.C.N.L. 22.1.2004 e dagli artt. 3, 4, 5 del C.C.N.L. 11.4.2008, nonché dal Titolo IV del d.lgs. 165/2001 come modificato dal d.lgs. 150/2009). Il Messo Comunale, come ogni altro dipendente del Comune che viene meno ai propri doveri, può incorrere in responsabilità di carattere disciplinare. Le violazioni, da parte dei lavoratori, dei doveri di cui al codice disciplinare, danno luogo, secondo la gravità dell’infrazione, previo relativo procedimento, all’applicazione delle sanzioni disciplinari. L’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, dopo aver fatto la contestazione degli addebiti, sulla base degli accertamenti effettuati e delle giustificazioni addotte dal dipendente, irroga la sanzione applicabile. Quando il medesimo ufficio ritenga che non vi sia luogo a procedere disciplinarmente dispone la chiusura del procedimento, comunicandolo all’interessato. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione. Si ritiene, infine, utile richiamare l’attenzione sulle norme comportamentali contenute nel codice comportamentale delle pubbliche amministrazioni, che contiene specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà ed imparzialità.

Messo non puntuale, la notifica tardiva si paga a caro prezzo

Il Comune deve risarcire il danno per la mancata o intempestiva consegna di un atto tributario in scadenza. Sussiste responsabilità contrattuale in capo al Comune per l’ipotesi in cui un suo messo non abbia correttamente svolto l’incarico – da qualificarsi come mandato ex lege – attribuitogli dall’Amministrazione statale di notifica di un avviso di rettifica in scadenza. In questa ipotesi, il danno potrà quantificarsi, in presenza di determinati presupposti, in misura pari all’ammontare delle imposte e degli accessori al cui recupero l’atto tributario era diretto. Queste le conclusioni della Cassazione con la sentenza n. 26118 del 30 ottobre 2008.

La vicenda tributaria

Un ufficio dell’ex ministero delle Finanze richiedeva a un Comune di procedere alla notificazione di un avviso di rettifica Iva. Alla richiesta, pervenuta all’ente locale il 22 dicembre 1989, il messo comunale dava attuazione secondo modalità estranee a quelle indicate nell’articolo 60 del Dpr 600/1973, provvedendo, tra l’altro, all’inoltro al destinatario di una lettera raccomandata soltanto in data 12 gennaio 1990, successivamente cioè alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere impositivo (il 31 dicembre 1989). A seguito dell’impugnazione proposta dall’interessato avverso l’atto impositivo, il giudice tributario – sia di primo che di secondo grado – riconosceva fondata l’eccezione del contribuente di tardività della notificazione e la conseguente decadenza dell’Amministrazione finanziaria dalla pretesa fiscale.

Il giudizio civile di merito

Con atto di citazione dinanzi al Tribunale di Brescia, l’Amministrazione finanziaria conveniva in giudizio il Comune per ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla erronea e tardiva notificazione dell’atto in questione. Il Tribunale rigettava il ricorso, ritenendo che con riferimento alle notificazioni di atti nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria, il Comune non fosse tenuto a rispondere dei danni arrecati dal messo, ancorché quest’ultimo fosse dipendente dell’ente locale. In secondo grado, tuttavia, la Corte di appello di Brescia ribaltava l’esito della prima pronuncia, condannando il Comune al risarcimento dei danni richiesti. Secondo i giudici, l’ente territoriale avrebbe dovuto rispondere del danno, in ragione della violazione del rapporto di preposizione gestoria intercorrente con l’Amministrazione finanziaria e qualificabile in termini di mandato ex lege: veniva invece escluso che, nella fattispecie, si fosse instaurato un rapporto di servizio diretto tra la stessa A.F. e il messo, operante alle esclusive dipendenze dell’ente locale.

Il giudizio di legittimità

Avverso la sfavorevole sentenza d’appello, il Comune proponeva ricorso per cassazione contestando, in particolare, l’applicabilità del principio secondo cui avrebbe dovuto rispondere dell’operato del proprio messo anche quando la notificazione fosse avvenuta a istanza di diverso ente pubblico e, in questo caso, dell’Amministrazione finanziaria. Sosteneva, inoltre, che la notificazione era avvenuta nel rispetto delle disposizioni contenute nel richiamato articolo 60. Il motivo d’impugnazione è stato disatteso dalla Suprema corte che, innanzitutto, ha confermato l’inquadramento – operato in sede di merito – del conferimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria al Comune, del compito di procedere tramite i messi municipali alla notificazione dell’avviso tributario come mandato ex lege. In tali ipotesi, infatti la richiesta da parte del Fisco di notifica di un atto impositivo non determina l’inquadramento del messo comunale nell’organizzazione dello stesso richiedente. Piuttosto, precisa la sentenza 26118/2008, i messi municipali rimangono comunque dipendenti dell’ente locale e quindi agiscono, anche nell’esecuzione del compito in questione, “in adempimento degli obblighi derivanti dal loro rapporto d’impiego con il Comune …”.

Da tali premesse, la Cassazione fa scaturire la responsabilità contrattuale del Comune verso l’Amministrazione statale, connessa – per l’accertata mancata osservanza delle regole in tema di notifiche di atti tributari – al negligente svolgimento del conferito mandato ex lege. Circa la quantificazione del danno subito, la Suprema corte ha avallato la conclusione raggiunta dai giudici di merito, secondo i quali l’ufficio finanziario poteva legittimamente giovarsi della presunzione di corrispondenza del danno stesso all’ammontare delle imposte e degli accessori al cui recupero l’avviso di rettifica era volto. A tale conclusione si era pervenuti anche sul duplice rilievo che, da un lato, nel ricorso proposto alla Commissione tributaria il contribuente si era limitato a eccepire la tardività della notificazione dell’avviso, senza sollevare alcuna eccezione di merito avverso la pretesa impositiva, dall’altro, perché nel giudizio civile il Comune aveva opposto soltanto una generica contestazione, omettendo di dedurre e provare l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’obbligazione tributaria. Infine, la Cassazione ha ritenuto ineccepibile la qualificazione operata in sede di merito del risarcimento dovuto dall’ente locale come debito non di valuta ma di valore “soggetto, dunque, anche al cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi, trattandosi di debito d’indole risarcitoria da inadempimento di un’obbligazione non pecuniaria (ma ex mandato) e non per legge direttamente rapportato all’entità della pretesa fiscale pregiudicata, ma a questa solo commisurato per equivalente pecuniario”.


Giornata di Studio in house – Argenta (FE) 04.04.2016

Locandina Argenta 2016LA NOTIFICA ON LINE

Lunedì 4 aprile 2016

Giornata di Studio in house

Comune di Argenta (FE)

Municipio
Piazza Garibaldi 1
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

in collaborazione con il Comune di Argenta (FE)

 Docente:

Asirelli Corrado 6Asirelli Corrado

Resp. Messi Comunali del Comune di Cesena (FC)

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Vedi: Attività di formazione anno 2016

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2016
  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

Giornata di Studio San Giuseppe Jato (PA) – 06.05.2016

Locandina San Giuseppe Jato 2016NOTIFICA ON LINE

Venerdì 6 maggio 2016

Comune di San Giuseppe Jato (PA)

Casa del Fanciullo
Aula Multimediale “Pio La Torre”
Via Vittorio Emanuele
Orario: 9:00 – 13:00 e 14:00 – 17:00

con il patrocinio del Comune di San Giuseppe Jato (PA)

Quote di Iscrizione alla giornata di studio:

€ 132.00(*) (**) se il partecipante alla giornata di studio è già socio A.N.N.A. (persona fisica già iscritta all’Associazione alla data del 31.12.2015 con rinnovo anno 2016 già pagato al 31.12.2015. Tale requisito attiene esclusivamente alle persone fisiche. L’iscrizione ad ANNA del solo ente di appartenenza non soddisfa tale condizione per i propri dipendenti.
€ 202.00(*) (**) (***) se il partecipante NON è ancora socio A.N.N.A ma intende iscriversi per l’anno 2016 pagando la quota insieme a quella della giornata di studio. Tra i servizi che l’Associazione offre ai propri Iscritti vi è anche l’accesso all’area riservata del sito www.annamessi.it ed un’assicurazione per colpa grave.
€ 272,00 più I.V.A se dovuta (*) (**), per chi vuole frequentare solo la giornata di studio (NON è iscritto ad A.N.N.A. e NON vuole iscriversi).


 Partecipazione di 2 o più dipendenti dello stesso Ente:

  • € 200,00 (*) (**) (***) per il primo partecipante
  • € 150,00 (*) (**) (***) per il secondo partecipante
  • € 65,00 (*) (**) (***) per il terzo e oltre partecipante

Tali quote comprendono l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2016 a cui si deve aggiungere € 2,00 (Marca da Bollo) sull’unica fattura emessa. Tale promozione non è assimilabile alle Quote di Iscrizione sopra descritte (Quote di Iscrizione alla giornata di studio)


La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

Le quote d’iscrizione dovranno essere pagate, al netto delle spese bancarie e/o postali,   comprensive  dell’imposta di bollo di € 2,00, tramite:

Versamento in Banca sul Conto Corrente Bancario:

  • Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Banco Posta di Poste Italiane]
  • Versamento in Posta sul Conto Corrente Postale n. 55115356
  • Versamento per contanti presso la Segreteria della giornata di studio

Intestazione : Associazione Nazionale Notifiche Atti
Causale: Giornata Jato 2016 o numero fattura
(*) Se la fattura è intestata ad un Ente Pubblico la quota è esente da IVA ai sensi ai sensi dell’Art. 10 DPR n. 633/1972 così come dispone l’art. 14, comma 10 legge 537 del 24/12/1993 – comprensivo di  € 2,00 (Marca da Bollo)

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.
(***) Se la giornata di studio si effettua negli ultimi 3 mesi dell’anno la eventuale quota di iscrizione all’Associazione A.N.N.A. deve intendersi versata per l’annualità successiva.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.

L’iscrizione alla giornata di studio potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo pagina cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione alla giornata di studio.
I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

I corsi / seminari / convegni / giornate di studio non sono configurabili come appalti di servizi.

Pertanto per il loro acquisto non è necessario transitare dalle Centrali di Committenza (nazionale o regionale), né è prevista la richiesta del CIG. Si veda anche paragrafo 3.9 della Determinazione dell’AVCP n. 4 del 7 luglio 2011.

La formazione in materia di appalti e contratti pubblici, se prevista dal Piano triennale per la prevenzione della corruzione del singolo Ente, non è soggetta al tetto di spesa definito dall’art. 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010. Si tratta infatti di formazione obbligatoria prevista dalla Legge n. 190/2012 (cfr. Corte dei conti: sez. reg.le di controllo Emilia Romagna n. 276/2013; sez. reg.le di controllo Liguria n. 75/2013; sez. reg.le di controllo Lombardia n. 116/2011)

Docente:

Durì Francesco

Resp. Messi Comunali del Comune di Udine

Membro della Giunta Esecutiva  di A.N.N.A.

Membro della Commissione Normativa di A.N.N.A.

Programma:

Il Messo Comunale

· Obblighi e competenze e responsabilità

Il procedimento di notificazione

  • Art. 137 c.p.c.: norme introduttive sulla notificazione degli atti
  • Art. 138 c.p.c.: notificazione in mani proprie
  • Art. 139 c.p.c.: notificazione nella residenza, dimora e domicilio

· Concetto di dimora, residenza e domicilio

  • Art. 140 c.p.c. Notifica agli irreperibili relativi
  • La sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010
  • Art. 141 c.p.c. Notificazione presso il domiciliatario
  • Art. 142 c.p.c. Notificazione a persone non residenti né dimoranti né domiciliate nella Repubblica
  • Art. 143 c.p.c. Notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti
  • Art. 145 c.p.c. Notificazione alle persone giuridiche

La notificazione a mezzo posta “tradizionale

  • Ambito di applicazione della L. 890/1982
  • Attività del Messo Comunale e attività dell’Ufficiale Postale

Le notifiche degli atti pervenuti tramite P.E.C.

  • Art. 137, 3° comma, c.p.c.: problemi applicativi

La notificazione a mezzo posta elettronica

  • Art. 48 D.Lgs 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
  • La PEC
  • La firma digitale
  • La notificazione a mezzo posta elettronica
  • “Legge di Stabilità” 2013 (L. 228/2012)
  • Art. 149 bis c.p.c.

La notificazione degli atti tributari

  • Il D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 60 del D.P.R. 600/1973
  •             L’Art. 65 del D.P.R. 600/1973 (Eredi)
  • Le notifiche ai soggetti A.I.R.E.
  • L’Art. 26 del D.P.R. 602/1973 e sentenza della Corte Costituzionale 258/2012

Casa Comunale

  • · La consegna degli atti presso la Casa Comunale (al destinatario ed a persone delegate)

Cenni sull’Albo on Line

  • Le raccomandazioni del Garante della privacy

· Il diritto “all’oblio”

Risposte a quesiti

 Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le ultime novità normative e giurisprudenziali in materia di notificazioni

L’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate dall’Amm.ne, al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007  (L. 296/2006, Art. 1, comma 158 e ss.)

Nota bene: Qualora l’annullamento dell’iscrizione venga comunicato meno di cinque giorni prima dell’iniziativa, l’organizzazione si riserva la facoltà di fatturare la relativa quota, anche nel caso di non partecipazione alla giornata di studio.

Vedi: Attività di formazione anno 2016

Scarica: MODULO DI PARTECIPAZIONE San Giuseppe Jato 2016 

Vedi: Video della Giornata di Studio

Sul modulo dovranno obbligatoriamente essere indicati tutti i codici (CUU, CIG ecc.) che dovranno comparire nella fattura

Scarica: Autocertificazioni Fiscali 2016

  1. Dichiarazione DURC
  2. Dichiarazione sulla tracciabilità dei pagamenti, L. 136/2010
  3. Documento d’Identità personale del Legale Rappresentante di A.N.N.A.
  4. Dichiarazione sostitutiva del certificato generale del casellario giudiziale e dei carichi pendenti
  5. Dichiarazione relativa alla fase di liquidazione delle fatture di competenza

Modulistica – Aggiornamento marzo 2016

Modulistica«Ai fini della ritualità e validità della relazione di notifica si rivela del tutto irrilevante l’uso di un timbro anziché della scrittura al fine di descrivere le operazioni svolte, dovendo tenersi conto delle operazioni indicate dal pubblico ufficiale, indipendentemente dallo strumento utilizzato per indicarle» (Cass. civ., sez. I, 12.5.1998, n. 4762). Le relate di notifica devono essere correttamente compilate (complete del Cognome e Nome del notificatore e della sua qualifica, possibilmente a stampa o con timbro, oltre che della di lui sottoscrizione) sia sull’originale che sulla copia che è consegnata al destinatario o chi per lui o depositata nella Casa Comunale. Si ricorda che la relata di notifica deve essere apposta in calce all’atto, cioè in fondo (od al limite dietro l’ultima pagina) e non davanti o dove vi è spazio nel corpo dell’atto.

MODULISTICA 2016


8 marzo: Festa della donna

8 marzo 2015Per tutte le violenze consumate su di Lei,

per tutte le umiliazioni che ha subito,

per il suo corpo che avete sfruttato,

per la sua intelligenza che avete calpestato,

per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,

per la libertà che le avete negato,

per la bocca che le avete tappato,

per le ali che le avete tagliato,

per tutto questo:

in piedi, Signori, davanti ad una Donna.

(William Shakespeare)

 


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 30-09-2015) 09-03-2016, n. 4609

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26036/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ESA SERRAMENTI SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 411/2009 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO, depositata il 10/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
La Commissione tributaria della regione Lazio con sentenza in data 10.9.2009 n. 411, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio di Roma della Agenzia delle Entrate e confermava la decisione di prime cure che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti di ESA Serramenti s.r.l. avente ad oggetto il recupero della maggiore IVA, IRPEG ed IRAP dovuta dalla società per l’anno 2002 in relazione ad indebita applicazione dell’aliquota ridotta al 10% sulla fattura emessa per la esecuzione di lavori di manutenzione straordinario di un edificio adibito a casa di cura e riabilitazione di proprietà di Medicus Hotel Monteripoli s.r.l., nonchè per omessa fatturazione di una quota parte di lavori effettuati nell’anno 2002 alla committente Nuova Script.

I Giudici di appello rilevavano che l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta era da ritenere corretta in quanto i lavori avevano interessato una casa di cura e quindi beneficiavano delle agevolazioni fiscali di cui dalla L. 2 luglio 1949, n. 408, artt. 13, 14, 16 e 18, estese agli edifici contemplati dal R.D. 21 giugno 1938, n. 1094, art. 2, comma 2, convertito nella L. 5 gennaio 1939, n. 35, (tra cui erano ricomprese anche le case di cura). Quanto alla omessa fatturazione della prestazioni di servizi, ritenevano infondata la pretesa tributaria, atteso che dai documenti non risultava “l’epoca certa della operazione da fatturare” e pertanto non poteva escludersi che la stessa fosse stata eseguita nell’anno 2001.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate, che ha dedotto due censure, per vizi di violazione di norme di diritto.

La parte intimata non si è costituita.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile non essendo stato instaurato il contraddittorio nei confronti di ESA Serramenti s.r.l..

Occorre premettere che, nella notifica eseguita a mezzo del servizio postale, sia nelle forme di cui all’art. 149 c.p.c., e della L. n. 890 del 1982, avvalendosi dell’Ufficiale giudiziario o dei messi notificatori autorizzati dalla legge, sia nelle forme previste dalla L. n. 53 del 1994, direttamente dal procuratore ad litem, disciplina estesa all’Avvocatura Generale dello Stato dall’art. 55 n. 69 del 2009, costituisce principio ripetutamente affermato da questa Corte che la notifica non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario, e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 c.p.c., e dalle disposizioni della L. 20 novembre 1982, n. 890, è il solo documento idoneo a dimostrare sia l’intervenuta consegna che la data di essa e l’identità e l’idoneità della persona a mani della quale è stata eseguita (cfr. Corte cass. sez. lav. 24.7.2007 n. 16354). Pertanto, la mancata produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento comporta, non la mera nullità, ma la insussistenza della conoscibilità legale dell’atto cui tende la notificazione (della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c.) con la conseguente inammissibilità del ricorso medesimo, in quanto non può accertarsi, in caso di mancata costituzione in giudizio della controparte, l’effettiva e valida instaurazione del contraddittorio, anche se risulta provata la tempestività della proposizione dell’impugnazione (cfr. Corte Cass. sez. lav. 29.3.1995 n. 3764; id. 2^ sez. 18.7.2003 n. 11257; id. 1^ sez. 10.2.2005 n. 2722 – con riferimento alla notifica del ricorso per cassazione -; id. 5^ sez. 8.5.2006 n. 10506, con riferimento alla notifica dell’atto di appello; vedi sez. lav. 24.7.2007 n. 16354).

Tuttavia, la parte notificante può domandare di essere rimessa in termini, ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., (norma attualmente inserita nell’art. 153 c.p.c., comma 2, in seguito alla novella della L. n. 69 del 2009), per il deposito dell’avviso che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivata nel richiedere all’amministrazione postale un duplicato dell’avviso stesso, secondo quanto previsto dal L. n. 890 del 1982, art. 6, comma 1, (cfr. Corte Cass. SU 14.1.2008 n. 627, con riferimento al giudizio di cassazione; cfr. da ultimo Corte Cass. 2^ sez. ord. interl. 4.1.2011 n. 98).

Il difensore della Agenzia ricorrente ha depositato in allegato alla memoria prova della notifica del ricorso per cassazione a mezzo di posta certificata (PEC), in data 10.8.2015, al dott. S. G. difensori abilitato della società contribuente nominato ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, ed alla udienza di discussione ha chiesto ritenersi ritualmente costituito il contraddittorio e in subordine rinvio a nuovo molo con assegnazione di termine per il rinnovo della notifica del ricorso.

La istanza non può trovare accoglimento dovendo ribadirsi il principio di diritto affermato da questa Corte in ripetute pronunce secondo cui “in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio di ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificato rio e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie” (cfr.

Corte Cass. SU 24.7.2009 n. 17352; id. 5^ sez. ord. 15.1.2010 n. 586;

id. sez. lav. 22.3.2010 n. 6846; id. 3^ sez. 15.4.2010 n. 9046: id.

sez. lav. 13.10.2010 n. 21154).

Nella specie risulta dagli atti che:

– in data 2.11.2010, è stata eseguita la notifica del ricorso mediante spedizione postale L. n. 69 del 2009, ex art. 55, indirizzata alla società presso la sede legale (OMISSIS) (la impugnazione deve quindi ritenersi tempestiva, tenuto conto della doppia festività consecutiva del giorno di scadenza 31 ottobre – domenica – e del 1 novembre 2010): la cartolina AR restituita in data 5.11.2010, reca mancata consegna per “irreperibilità del destinatario”. – in data 30.11.2010 il ricorso risulta consegnato anche all’Ufficiale Giudiziario, per la notifica a mani proprie alla medesima sede legale di (OMISSIS) con l’indicazione “cfr. allegata visura camerale 29.11-2010 CCIAA di Roma”: dalla visura camerale, tuttavia, risultava che la originaria sede legale in (OMISSIS) era stata trasferita in “(OMISSIS)” con delibera assembleare 14.3.2008: la notifica a “mani proprie” dell’Uff. Giud., eseguita in data 1.12.2010, presso la vecchia sede legale, riporta nella relata “non rintracciata la notificanda all’indicato indirizzo. Il nominativo della stessa non figura nei citofoni e sulle cassette e la medesima risulta sconosciuta nello stabile privo di portiere”. – il ricorso per cassazione risulta consegnato nuovamente all’Ufficiale Giudiziario in data 5.1.2011 ma, stavolta, per essere notificato ex art. 149 c.p.c. “presso lo studio del dott. S. G. a (OMISSIS)” (nominato in primo grado, mentre la società risulta non costituita in grado appello:

sic sent. CTR) e l’atto risulta spedito a mezzo posta il successivo 6.1.2011: la relata di notifica risulta negativa, essendo stata restituita la busta contenente il ricorso in data 7.1.2011 con l’annotazione “trasferito”.

Da quest’ultima data non risultano compiute ulteriori ricerche e riprese dell’attività notificatoria, fino alla data 7.8.2015 in cui l’Avvocatura dello Stato richiede all’Ordine dei Commercialisti di Tivoli di conoscere l’indirizzo dello studio professionale del dott. Sorbara, ed in data 10.8.2015 acquisisce l’estratto del registro delle imprese della CCIAA di Roma, relativo alla società contribuente, dal quale risulta la modifica statutaria della sede legale deliberata nel marzo 2008.

Il quadriennio trascorso inutilmente trascorso dall’ultima relata di notifica negativa fino alla ripresa delle indagini sulla sede e residenza dei destinatari della notifica, si palesa come evento ostativo all’accertamento di un “continuum” nello svolgimento dell’attività notificatoria, cui è tenuta diligentemente la parte notificante nel caso in cui la notifica dell’atto risulti impedita per fatti ad essa non imputabili.

Orbene il difensore della Agenzia fiscale non ha allegato di aver avuto conoscenza solo in ritardo – per cause allo stesso non imputabili – delle informazioni necessarie a rinnovare tempestivamente la notifica del ricorso per cassazione, e dunque non ha fornito valide ragioni giustificative della prolungata inerzia protrattasi fino alla ripresa, nell’anno 2015, del procedimento notificatorio, tanto più che la conoscenza – a far data almeno dal 30 novembre 2010 – della modifica statutaria, risalente al 2008, della sede legale della società, non consente di ravvisare quel minimo di diligenza richiesta, venendo meno in conseguenza la condizione essenziale per giustificare il ritardo nella notifica e cioè che la iniziativa diretta del richiedente sia svolta in un ragionevole lasso di tempo e comunque in tempo utile rispetto alla trattazione del ricorso alla data fissata per la pubblica udienza.

Il ricorso deve in conseguenza essere dichiarato inammissibile non dovendo procedersi a liquidazione delle spese di lite in considerazione della contumacia della società intimata.

P.Q.M.
La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2016


Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 22-09-2015) 04-03-2016, n. 4248

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3776/2009 proposto da:

G.M.T. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio degli avvocati MIGLINO FRANCO, ARNALDO MIGLINO e CHIARA GAMBARDELLA, che la rappresentano e difendono, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.D. (OMISSIS), in persona del procuratore speciale A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MONTESANTO COSTANTINO, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

G.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 449/2008 della CORTE D’APPET LO di SALERNO, depositata il 29/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/2015 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Arnaldo MIGLINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per la ritrasmissione degli atti alla Sezione per consentire la eventuale produzione della procura.

Svolgimento del processo
1) Con sentenza n. 3263/2005 il Tribunale di Salerno – adito da A. D., rappresentato dal suo procuratore speciale A.G., nei confronti di G.M.T. e R. – accolse le domande dell’attore, dirette ad ottenere l’accertamento dell’avvenuta usucapione di un locale terraneo in (OMISSIS) e la dichiarazione di nullità dell’atto di divisione intercorso tra le convenute il 20 maggio 1992, nella parte in cui il bene in questione era stato assegnato alla prima di loro.

Il Tribunale rigettò la domanda riconvenzionale, avente per oggetto la condanna dell’attore alla rimozione di un lucchetto che aveva apposto a chiusura dell’immobile, al rilascio di questo, al risarcimento di danni. Impugnata da G.M.T., la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Salerno, che con sentenza n. 449 del 29 aprile 2008 ha rigettato il gravame.

G. nel febbraio 2009 ha proposto ricorso per cassazione, in base a undici motivi.

A.G., in rappresentanza di A.D., si è costituito con controricorso.

G.R. non ha svolto attività difensiva.

Con ordinanza n. 25353 del 2014 la Seconda sezione civile ha trasmesso gli atti al Primo Presidente della Corte, il quale ha assegnato la causa alle Sezioni Unite, affinchè in relazione al primo motivo sia risolto un contrasto di giurisprudenza rilevante per la decisione.

La causa è stata nuovamente discussa alla odierna udienza.

E’ stato dato avviso al difensore del controricorrente, che ha eletto domicilio in (OMISSIS), sia con comunicazione presso la cancelleria della Corte di Cassazione, sia al numero di fax (Cass. SU 10143/12; 7658/13).

Motivi della decisione
2) Con il primo motivo (“inosservanza, violazione, falsa applicazione degli artt. 77 e 100 c.p.c.”) viene denunciato che il procuratore A.G. non ha prodotto in nessun grado di giudizio la procura notaio Barela del 2001 dalla quale dovrebbe derivare il suo potere sostanziale e processuale di rappresentare il sig. D..

Parte ricorrente ne inferisce la mancanza in capo all’istante di un “potere rappresentativo di natura sostanziale” e ne chiede la verifica.

2.1) L’ordinanza 25353/14 ha rilevato:

che il resistente ha replicato che l’eccezione di cui si tratta non può avere ingresso in questa sede, in quanto è stata sollevata per la prima volta in sede di legittimità e implica la necessità di accertamenti e valutazioni di merito;

che “l’obiezione del controricorrente” non è fondata quanto a quest’ultimo profilo, “essendo stato dedotto un vizio di natura processuale, in relazione al quale la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto”; che con riguardo al profilo relativo alla “novità” della questione – non prospettata e non rilevata nei gradi di giudizio di merito – la giurisprudenza di legittimità non è univoca.

In particolare la Seconda sezione ha ricordato che (SU 24179/09) “in tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante, il cui accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere rappresentativo”.

La Sezione ha osservato che le Sezioni Unite non hanno però precisato se la formazione del “giudicato sul punto” debba derivare dall’affermazione del giudice circa la sussistenza del potere rappresentativo in chi agisce in giudizio in nome altrui, o “se possa desumersi senz’altro dall’avvenuta decisione nel merito della causa”.

L’ordinanza di rimessione ha aggiunto che “in proposito, nell’ambito delle sezioni semplici, si è delineato un contrasto di giurisprudenza poichè la Prima sezione con la sentenza 30 ottobre 2009 n. 23035 e la sezione Lavoro con la sentenza 21 dicembre 2011 n. 28078 si sono orientate, rispettivamente, nel senso della sufficienza di giudicato “implicito” e nel senso della necessità del giudicato “esplicito”.

In particolare la sentenza 23035/09 ha affermato che “il limite della rilevanza del difetto di valida rappresentanza processuale è costituito dal formarsi del giudicato, il quale impedisce il riesame non solo delle ragioni o questioni giuridiche che sono state proposte e fatte valere in giudizio, ma anche di quelle che, seppure non espressamente dedotte o rilevate, costituiscono il necessario presupposto, anche di ordine processuale, della pronuncia di merito (cd. giudicato implicito); conseguentemente, è inammissibile nel giudizio di legittimità il motivo di ricorso con il quale si deduce il vizio di rappresentanza di un ente collettivo nei precedenti gradi del giudizio, quando lo stesso non sia stato mai dedotto nel corso dei medesimi”.

Per contro, secondo la massima della citata sentenza della Sezione Lavoro (n. 28078/11): “poichè la delega del presidente dell’Inpdap ad un direttore di sede periferica, per agire in giudizio, attiene al momento genetico del processo e alla valida instaurazione del contraddittorio, la procura da questi conferita al difensore dichiarando di agire per l’Inpdap, senza neppure dedurre di averne ricevuto i poteri rappresentativi in base alla suddetta delega, determina la nullità del giudizio, rilevabile d’ufficio semprechè, sulla specifica questione, non si sia formato il giudicato interno, che si determina allorchè la carenza del potere rappresentativo sia stata appositamente denunciata e, quindi, sia stata espressamente negata dal giudice di merito ovvero sia rimasta senza esplicita risposta e tale omessa pronuncia non sia stata poi oggetto di appello”.

3) Il quesito posto dalla Seconda Sezione va esaminato, giacchè la questione, che è anche rilevabile d’ufficio, consente alla Corte le verifiche di fatto indispensabili allo scopo, in quanto ha natura processuale (cfr. tra le tante: Cass. 17653/12; 12664/12; 8077/12;

1221/06).

Consta pertanto, dall’esame del fascicolo, che parte controricorrente non ha versato in atti la procura generale con la quale A.D. avrebbe investito il figlio G. del potere rappresentativo ora contestato dal ricorrente.

Lo stesso controricorso, che tace sul punto, e si trincera dietro la novità della questione sollevata con il primo motivo, non ha negato la mancanza della produzione.

Neanche in corso di trattazione il controricorrente, che era gravato dell’onere di documentare la esistenza dei propri poteri di rappresentanza, ha provveduto a darne documentazione o a dedurre in ordine al testo della procura o alle modalità di rilascio.

4) Il tema del giudicato implicito sulle questioni processuali ha trovato rinnovata ampia trattazione a partire dalla svolta giurisprudenziale, concretizzatasi con Cass. Sez. Un. 24883/08, in tema di applicazione dell’art. 37 c.p.c., norma secondo la quale il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”.

La Corte ha in quella circostanza stabilito che: “1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 c.p.c., (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito.

In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito”.

4.1) Questo orientamento è stato tenuto fermo dalle Sezioni Unite (SU 8075/15; 22745/14; 9693/13; 9594/12), nonostante le opinioni dottrinali, restie ad accettare un “uso improprio del giudicato implicito” e in particolare che il “vincolo dei principi” prevalga su quanto desunto dalle regole positivamente stabilite.

Esso costituisce ormai diritto vivente (cfr. Cass. SU 29/2016) ed è stato recepito dal codice del processo amministrativo all’art. 9.

4.1.1) Le Sezioni Unite, poche settimane dopo aver reso la sentenza 24883/08, hanno precisato la portata della novità immessa nel sistema.

Nei paragrafi da 3.5) a 3.11), la sentenza 26019/2008 ha affermato che il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della Corte di Cassazione, va ritenuto compatibile con la prospettiva del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., allorchè si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio – in quanto tale sistema di verifica consente di evitare che la vicenda si protragga oltre il giudicato, attraverso la successiva proposizione dell’actio nullitatis o del rimedio impugnatorio straordinario ex art. 404 c.p.c., da parte del litisconsorte pretermesso – ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di potestas iudicandi, come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell’azione, la decadenza sostanziale dall’azione per il decorso di termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa di prestazione previdenziale, od il divieto di frazionamento delle domande, in materia di previdenza ed assistenza sociale.

La Corte ha osservato che in tutte queste ipotesi si prescinde “dal vizio relativo all’individuazione del giudice”, poichè si tratta non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, “difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio”.

4.2) La dottrina ha colto, nel trittico di sentenze del 2008 (va ricordata anche la n. 29523/08) e nella approfondita pronuncia in tema di ricorso incidentale (SU n. 5456/09), la quale pure ha escluso (10.2) che sussista una decisione implicita sulle questioni processuali diverse dalla giurisdizione, i segni dell’adesione alla teoria del c.d. doppio oggetto del processo, descritta da SU n. 6737/02, in un passo testualmente ripreso da SU n. 24883/08.

Non è qui il caso di soffermarsi su questo profilo teorico: giova ai nostri fini rilevare che è stato comunque confermato, al di là dei perduranti dissensi dottrinali sul giudicato implicito in ordine alla giurisdizione, che ha pregio la distinzione tra diverse soluzioni:

quella riservata alla questione di giurisdizione e quella che è prospettata da SU n. 26019/08 per le questioni processuali “fondanti”.

Queste ultime non si possono considerare implicitamente risolte, ma sono soggette alla verifica dei giudici delle impugnazioni, perchè servono a salvaguardare l’ordinamento dal disvalore “di sistema” costituito dall’emissione di sentenze inutiliter datae.

E’ stato prospettato che solo per le questioni pregiudiziali di rito di minor rilievo, che non condizionino cioè “l’efficacia e l’utilità stessa della decisione”, vi sarebbe materia per un ripensamento a livello normativo, che muova dalla riscrittura dell’art. 37.

Resta invece consolidato l’insegnamento che vuole sempre riesaminabili, salvo che in sede di rinvio, le questioni vitali (capacità di agire, litisconsorzio, giudicato, etc.) individuate da Cass. 26019/08, non esplicitamente risolte.

Una malintesa visione della ragionevole durata del processo non deve condurre a sormontare la “giustezza” del processo, che è tale se si evita di far nascere occasionalmente una sentenza instabile, perchè facilmente sottomessa alle folgori dell’opposizione ex art. 404 c.p.c. o del contrasto con il precedente giudicato (cfr supra, SU 26019/08, 3.5).

4.3) In questa direzione cospira, se ve ne fosse bisogno, anche quanto le Sezioni Unite hanno avuto modo di osservare, occupandosi delle impugnative negoziali (SU 26242/14), sul tema del giudicato implicito.

Ivi è stato affermato che nel nostro sistema positivo non è riconosciuta l’idea di “un giudicato implicito che postuli il rigoroso e ineludibile rispetto dell’ordine logico-giuridico delle questioni”.

E se questa considerazione cadeva a proposito di una questione di merito e si riferiva al controverso operare del meccanismo del c.d.

dedotto e deducibile, rivisto alla luce delle dottrine di matrice tedesca sul motivo portante del giudicato, ancor più appropriata suona con riguardo alle questioni processuali tra le quali si pone quella esaminata, che concerne la sussistenza del potere di rappresentanza in capo a colui che abbia agito in giudizio in nome di altri.

5) La mancanza del potere di rappresentanza, essendo quest’ultima una delle condizioni di esistenza del potere di azione, giustifica il rilievo officioso in sede di legittimità1anche se non vi sia stata contestazione nei gradi di merito.

Va dunque ribadito quanto già appartiene all’insegnamento manualistico: all’indispensabilità della qualità di rappresentante sostanziale (oltre a SU 24179/09 cit., v. Cass. 16274/15 e 4248/13) fa riscontro anche la necessità di conferire per iscritto (art. 77 c.p.c.) la legittimazione processuale, così come quest’ultima non può esistere senza la prima.

E’ utile ricordare che proprio con una giustificazione di sicuro taglio processuale le Sezioni Unite hanno rivisto l’inquadramento del rilievo della inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator.

A tutela della sicurezza dei traffici giuridici, si è osservato, è stato posto nell’ambito delle mere difese il potere della parte di rilevare il difetto di rappresentanza, della cui assenza, risultante dagli atti, il giudice deve peraltro tener conto anche in mancanza di una specifica richiesta di parte (SU 11377/15).

5.1) A questo inevitabile rigore fa da riscontro simmetricamente, come vuole parte della dottrina, la ampia sanabilità del vizio della rappresentanza volontaria di cui qui si tratta – l’odierna sentenza non tratta infatti dei vizi della procura – ammessa dall’art. 182 c.p.c..

Deve essere in proposito rammentato che secondo le Sezioni unite (Cass. 9217/10), già in controversia instaurata prima della novella n. 69 del 2009, “l’art. 182 c.p.c., comma 2, secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione può assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali”.

5.1.1) Questo principio va in linea di principio confermato, con la precisazione che qualora il rilievo del vizio non sia officioso, ma venga per la prima volta sollevato in sede di legittimità dalla controparte, sorge immediatamente per il rappresentato l’onere di procedere alla sanatoria, con la produzione necessaria allo scopo.

Non v’è infatti luogo per assegnare un termine, a meno che non sia motivatamente richiesto, allorquando il rilievo non sia officioso (e quindi nuovo), perchè il giudice è stato preceduto dal rilievo di parte, sul quale l’avversario è chiamato a contraddire (cfr infra sub 5.3).

5.2) La opzione interpretativa avviata nel 2010 (riconosciuta anche da Cass. 23670/08; 7529/09; più di recente cfr Cass. 11898 del 28/05/2014), che è intesa a favorire la celebrazione del processo al fine di giungere a una stabile soluzione di merito, è sicuramente nel senso che si può desumere dal disposto vecchio e nuovo dell’art. 182 c.p.c..

Esso mira, oggi più esplicitamente, a consentire che sia posto rimedio alla nullità rilevante.

Occorre perciò evitare per quanto possibile, in funzione della pienezza del rimedio, disarticolazioni nei vari gradi di giudizio “fra rilevabilità e sanabilità del difetto”.

E’ stato sostenuto in dottrina, per contestare la sanabilità in sede di impugnazione del difetto di legittimazione processuale che il rilievo in appello potrebbe incidere sul principio di parità delle parti. Sarebbe infatti consentito al falso rappresentato, e non all’altra parte, di giovarsi, con la ratifica, solo dei giudizi in cui la sua posizione sia risultata vittoriosa, rigettando le conseguenze della soccombenza.

L’osservazione non è convincente: l’altra parte ha comunque interesse ad una pronuncia che non sia esposta a impugnazioni straordinarie, ma venga utilmente reincanalata; inoltre potrà pur sempre rivalersi sul falso rappresentante, se ve ne sono le condizioni.

Peraltro anche la dottrina più perplessa (ma le perplessità concernono soprattutto la diversa materia dei vizi della procura) riconosce che le situazioni contemplate dall’art. 182, sono molteplici: non è questa l’occasione per compilarne una mappa, ognuna potendo meritare una riflessione, pur alla luce del principio generale adottato.

5.3) Tirando le fila del discorso che si è condotto, occorre quindi respingere le posizioni rispecchiate in precedenza da Cass. 17893/09 e Cass. SU 23019/05, restie alla sanatoria in grado di impugnazione, e riaffermare l’opposto principio, secondo il quale è possibile la sanatoria del difetto di rappresentanza, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie (v. Cass. 22099/13; 798/13).

Giova chiarire che qualora sorga in sede di legittimità la contestazione esplicita del potere rappresentativo del soggetto che ha agito in giudizio, o stia resistendo, la prova (documentale) della sussistenza della legittimazione processuale puoi essere fornita anche in questa sede, ai sensi dell’art. 372 c.p.c.. (v. Cass. 12547/03; 24813/13).

La mancanza di ogni produzione impone, nel caso odierno, di adottare la soluzione in rito di cassazione della sentenza impugnata, dichiarando la nullità di tutti gli atti del giudizio svoltosi su impulso processuale viziato.

6) Resta assorbito l’esame degli altri motivi di ricorso.

Le spese dei giudizi di merito possono essere equamente compensate tra le parti, poichè parte G. non ha verificato in quella sede il potere rappresentativo dell’attore, pervenendo all’eccezionale situazione della contestazione tardiva.

Le spese di questo grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, in relazione al valore della controversia.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara la nullità di tutti gli atti del giudizio.

Dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Condanna parte resistente alla refusione delle spese di questo grado di giudizio liquidate in Euro 3.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 22 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2016


Notifica per posta

Il testo del disegno di legge sulla Concorrenza è stato varato dal Governo nel febbraio 2015. In ottobre dello stesso anno la Camera dei Deputati lo ha approvato e ora è all’esame della Commissione Industria del Senato.

Nel disegno di legge  vengono affrontati vari temi tra i quali i servizi postali nel quale dal giugno 2017 Poste Italiane perderà l’esclusiva sugli atti giudiziari.


La notifica a mezzo PEC nel processo amministrativo è inesistente

Il Consiglio di Stato ritorna sui suoi (recenti) passi come una specie di gambero, per lo più incerto sulla direzione da seguire. Con la sentenza 20 gennaio 2016, n. 189 la Terza Sezione affronta la questione trita e ritrita della possibilità di notificare il ricorso introduttivo a mezzo posta elettronica certificata. Lo fa con uno straordinario revirement rispetto al proprio precedente arresto di settembre scorso, con il quale, rifacendosi ad altri precedenti, sembrava avesse definitivamente sopito il dibattito PEC si, PEC no, per l’ammissibilità di tale forma di notificazione anche nel processo amministrativo.
Nella sentenza del 14 settembre 2015 n. 4270, il Collegio ritiene di dover essere coerente con i suoi precedenti aderendo per relationem allo stesso Consiglio di Stato, Sez. VI n. 2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: “La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, c o. 2, del c.p.a. non può considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (ed in particolare… gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall’art. 25 co. 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale… a mezzo della posta elettronica certificata”.
“Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile.
“Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico –operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a. , ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC”.
Con la sentenza di cui trattasi, invece, gli Inquilini di Palazzo Spada considerano le notificazioni a mezzo PEC nel processo amministrativo tamquam non esset, giustificando tale differenza rispetto al processo civile con la specialità del rito rinvenibile nelle disposizioni dettate in materia dal CPA, le quali rinviano, per l’ammissibilità, ad una regolamentazione specifica sulla quale vi è la mora del legislatore. Solo il Presidente del Collegio può rendere “esistente” la notifica a mezzo PEC attraverso una sua autorizzazione preventiva ex art. 52 del Codice del Processo Amministrativo, mancante nel caso di specie.
L’inesistenza, è una categoria non armonizzabile con il principio processualistico del raggiungimento dello scopo, proprio per via della mancanza della materia prima…l’esistenza dell’atto in nuce, che in tale ipotesi è negata. Con la conseguenza che anche l’eventuale costituzione in giudizio del destinatario dell’atto non varrebbe a sanarne il vizio.
Il Collegio ammette (e non concede) che anche vertendo in tema di nullità, la costituzione del notificato – diversamente dal processo civile – produrrebbe effetto ex nunc, restando quindi salve le decadenze già maturate, ivi compresa la scadenza del termine di impugnazione, che renderebbe irricevibile il ricorso per tardività qualora la costituzione del notificato avvenisse in data posteriore alla stessa.
Ma tale sentenza alimenta il disvalore dell’incertezza del diritto, considerando che il Collegio contraddice se stesso utilizzando le identiche disposizioni di legge in una specie di ossimoro ermeneutico, ora esaltando la portata dell’art. 1 della Legge n. 53/94 il quale, nel testo modificato dopo l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo (dunque applicando il criterio cronologico per giustificarne la sopravvenuta vigenza rispetto alle disposizioni del CPA difformi) consente in via generale le notificazioni a mezzo PEC “in materia civile, amministrativa e stragiudiziale”, ora negandone l’applicazione al processo amministrativo in virtù di una autoreferenziale specificità, che nel diritto processuale ha meno ragione di esistere, visti i sempre maggiori punti di contatto tra i due riti.
Anche la necessità, invocata dal Collegio, di specifiche disposizioni tecniche ancora da approvare per il processo amministrativo appare debole come elezione unica ed esclusiva della sedes materiae, e trascura di considerare che la notificazione a mezzo posta elettronica certificata è già compiutamente disciplinata e pacificamente ammissibile, inserendosi in quella inarrestabile tendenza evolutiva dei canali di comunicazione.

Leggi: Consiglio di Stato, sez. III – sentenza 20 gennaio 2016 n. 189


Equitalia: la nuova cartella di pagamento

EquitaliaUna riprogettazione globale stilata dalla necessità di garantire “una migliore fruibilità del contenuto informativo allo scopo di assicurare maggiore chiarezza e trasparenza al contribuente”. Queste le motivazioni che si leggono nel provvedimento n. 27036/2016 con il quale l’Agenzia delle entrate ha approvato il nuovo modello delle cartelle di pagamento con i relativi fogli avvertenza (leggi a fondo pagina).
La riprogettazione, resasi obbligatoria anche a seguito della riforma del contenzioso tributario, renderà più chiare le indicazioni sulle cartelle notificate ai cittadini sia relativamente agli importi che alle modalità di assolvimento del debito.
Ad essere oggetto di intervento di razionalizzazione, infatti, oltre alla sezione “Dove e come pagare”, comprensiva di tutte le modalità di pagamento prima illustrate in due sezioni distinte, è anche la terminologia attinente alle somme spettanti ad Equitalia, con la sostituzione degli “oneri di riscossione” alla precedente parola “compensi”, nonché la sezione relativa al reclamo-mediazione.
In particolare, “per effetto della riformulazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 che disciplina l’istituto del reclamo-mediazione, è stata ridenominata la sezione ‘Presentazione del reclamo-mediazione e del ricorso’ in ‘Presentazione del ricorso’ ed è stato eliminato ogni riferimento alla pregressa disciplina che imponeva al contribuente di presentare, in via preliminare, un’istanza di reclamo-mediazione”.
In base alla nuova previsione normativa, infatti, per le controversie di valore non superiore a 20.000,00 euro, la presentazione del ricorso giurisdizionale produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.
Ad essere adeguato è, altresì, il riferimento al limite di valore della controversia, ai fini della costituzione in giudizio senza l’assistenza di un avvocato, elevato dai precedenti € 2.582,28 a € 3.000,00.
L’adozione del modello è obbligatoria per tutte le cartelle notificate ai contribuenti da parte di Equitalia, che proprio in questi giorni ha ufficializzato la modifica della propria struttura, attraverso la fusione delle tre aziende del gruppo (Equitalia Nord, Centro e Sud) in un’unica società, a decorrere con decorrenza 1 gennaio 2016.

Agenzia delle Entrate 27036-2016 Approvazione del nuovo modello di cartella di pagamento

Cartella esattoriale 2016


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 19-11-2015) 17-02-2016, n. 3067

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3344/2013 proposto da:

C.P. C.F. (OMISSIS), rappresentato e difeso da sè medesimo, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRO MENOTTI 24, presso il suo studio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza definitiva n. 13621/2012 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 04/07/2012 R.G.N. 66698/2008;

avverso l’ordinanza definitiva della CORTE DI APPELLO DI ROMA, depositata il 11/01/2013 R.G.N. 5391/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2015 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
Il Ministero della Giustizia, vittorioso in giudizio d’appello, ha notificato all’avv. C.P. un’ingiunzione di pagamento R.D. n. 639 del 1910, ex art. 3, per ottenere la restituzione delle spese processuali allo stesso corrisposte quale procuratore antistatario in base alla sentenza del Tribunale.

L’avv. C. ha proposto opposizione all’ingiunzione del Ministero ed il Tribunale, con sentenza del 4/7/2012, ha rigettato l’opposizione.

Con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., dell’11/1/2013 la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’avv. C. in quanto privo di ragionevole probabilità di accoglimento.

La Corte territoriale ha affermato la legittimità formale dell’ordinanza ingiunzione, essendo la firma riferibile al soggetto indicato quale direttore dell’ufficio che aveva emanato l’atto e comunque stante l’inessenzialità della sottoscrizione autografa come desumibile dalla possibilità che la firma autografa potesse essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del responsabile.

Ha rilevato, altresì, che l’ingiunzione era basata su sentenza di secondo grado esecutiva; che era irrilevante la circostanza della successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma su cui era fondata la sentenza posta a base dell’ingiunzione.

Ha osservato altresì, che legittimato passivo alla restituzione delle somme era l’avv. C. quale procuratore antistatario e che l’eccezione di compensazione sollevata dall’avv. C. per un dedotto mancato compenso per l’attività di vicepretore da lui svolta era basata su circostanze generiche.

Avverso l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., nonchè avverso la sentenza del Tribunale ricorre in Cassazione l’avv. C..

Il Ministero è rimasto intimato.

Motivi della decisione
Il ricorrente deduce, in primo luogo, che l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., è impugnabile ai sensi dell’art. 111 Cost e art. 360 c.p.c., u.c., pur nel silenzio del legislatore in quanto provvedimento decisorio, incidente su diritti tra cui quello all’impugnazione ed è definitivo.

Denuncia vizi propri di detta ordinanza ed in particolare con un primo motivo violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 348 ter c.p.c.. Lamenta la violazione del contraddittorio stante il mancato rinvio della causa davanti alla Corte d’appello per consentire all’appellante di esaminare la comparsa del Ministero, costituitosi il giorno prima della prima udienza con un fascicolo asserito quale “duplicato” di quello di primo grado corredato di nuovi documenti sui quali non c’era stato contraddittorio.

Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 348 ter c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto detta norma prevedeva che l’ordinanza dovesse essere succintamente motivata e che nella specie il provvedimento non aveva soddisfatto tale esigenza.

Ripropone le censure circa la regolarità formale dell’ordinanza ingiunzione, la mancanza di un capo condannatorio nella sentenza posta a base dell’ingiunzione e l’affermata irrilevanza del suo passaggio in giudicato, il difetto di legittimazione passiva del procuratore antistatario e, infine, l’infondatezza della motivazione di rigetto dell’eccezione di compensazione.

Il ricorrente poi propone contestualmente sette motivi avverso la sentenza del Tribunale. Logicamente prioritario è l’esame del ricorso proposto avverso l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c..

A seguito del manifestarsi di un contrasto in seno a questa Corte (tra l’orientamento espresso da Cass. n. 7273 del 2014 – secondo la quale l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter c.p.c., non è ricorribile per cassazione per difetto di definitività se emessa nell’ambito suo proprio, cioè per manifesta infondatezza nel merito, ma deve ritenersi ricorribile ove dichiari l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, avendo in tal caso carattere definitivo e valore di sentenza – ed il diverso orientamento espresso da Cass. n. 8940 del 2014, secondo la quale il ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, non è mai esperibile avverso l’ordinanza che dichiari l’inammissibilità dell’appello ex artt. 348 bis e ter c.p.c., a prescindere dalla circostanza che essa sia stata emessa nei casi in cui ne è consentita l’adozione ovvero al di fuori di essi, ostando, quanto all’esperibilità del ricorso straordinario, la non definitività dell’ordinanza, dovendosi valutare tale carattere con esclusivo riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio non anche a situazioni aventi mero rilievo processuale, quali il diritto a che l’appello sta deciso con ordinanza soltanto nei casi consentiti nonchè al rispetto delle regole processuali fissate dagli articoli sopra richiamati) le SSUU di questa Corte con la recente sentenza n 1914/2016, cui questo Collegio intende dare continuità ed alla cui ampia ed esauriente motivazione ci si riporta, ha ritenuto l’impugnabilità ex art. 111 Cost., dell’ordinanza suddetta per vizi suoi propri consistenti in violazione della normativa processuale.

Con la sentenza citata le sezioni unite hanno affermato che, “avuto riguardo ai presupposti del ricorso per violazione di legge previsto dall’art. 111 Cost., comma 7, deve altresì escludersi che l’ordinanza in esame sia impugnabile con censure riguardanti il “merito” della controversia, giusta la previsione di ricorribilità per cassazione della sentenza di primo grado e quindi la non definitività, sotto questo profilo, dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.. La questione resta circoscritta pertanto alla ricorribilità (o meno) dell’ordinanza suddetta per vizi propri di carattere processuale, cioè alle ipotesi in cui, non essendo l’errore del giudice d’appello deducibile come motivo di impugnazione del provvedimento di primo grado, manca la possibilità di rimettere in discussione la tutela che compete alla situazione giuridica dedotta nel processo attraverso il ricorso per cassazione avverso la pronuncia di primo grado”.

Ciò premesso i due motivi d’impugnazione sopra esposti possono essere esaminati ma nei limiti sopra precisati.

Con riferimento al primo motivo nessuna violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa risulta verificatasi nella fattispecie in esame considerato che la decisione è stata emessa dalla Corte d’appello all’esito dell’udienza di trattazione nella quale le parti sono comparse ed hanno potuto esporre le loro richieste e difese come risulta da quanto riferito dallo stesso ricorrente, che ha affermato di aver anche eccepito la nullità del deposito di nuovi documenti da parte del Ministero.

Per quanto attiene, in particolare, alla produzione di detta documentazione di cui si duole il ricorrente la censura risulta del tutto generica non essendosi precisato neppure se e in che modo tale documentazione abbia inciso sulla decisione assunta dalla Corte o se sia stata esaminata.

In relazione al secondo motivo secondo cui l’ordinanza non sarebbe motivata occorre ribadire che, essendo il merito ridiscutibile attraverso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado e non essendo pertanto in proposito configurabile la definitività richiesta per il ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, le problematiche concernenti la motivazione dell’ordinanza impugnata possono essere affrontate in sede di impugnazione dell’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., non attraverso la denuncia di un errar in iudicando, quindi di un “vizio di motivazione” – o quel che resta di esso dopo l’ultima riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – bensì solo attraverso la denuncia di violazione della legge processuale che sancisce l’obbligo di motivazione, denuncia che è stata peraltro ammissibilmente proposta nei suddetti termini dall’odierno ricorrente. Sulla base della univoca giurisprudenza di queste sezioni unite, sia remota che più recente, non può pertanto esservi dubbio che la violazione del dovere di motivazione è riscontrabile solo nelle ipotesi di totale mancanza della motivazione dal punto di vista materiale e grafico ovvero nelle ipotesi ad esse assimilabili, ossia quando, pur essendovi una motivazione in senso materiale e grafico, essa non contiene una effettiva esposizione delle ragioni poste a base della decisione perchè propone contrasti irriducibili fra affermazioni inconciliabili ovvero si presenta perplessa o comunque risulta obiettivamente incomprensibile e quindi non idonea a rivelare la ratio decidendi, essendo peraltro necessario che tale situazione risulti esclusivamente dal medesimo testo della sentenza senza che sia necessario il raffronto con uno o più atti processuali” (cfr.

SSUUU citata).

Alla stregua di quanto sopra esposto deve affermarsi l’infondatezza del motivo di ricorso in esame, in quanto nella specie oggettivamente sussiste, dal punto di vista materiale e grafico, una motivazione della ordinanza impugnata, e tale motivazione non risulta di per sè (perciò prescindendo dal raffronto con la sentenza di primo grado e l’atto d’appello) illogica, contraddittoria o perplessa al punto di renderla incomprensibile.

Il secondo motivo deve essere pertanto, rigettato e, per quanto sopra espostoci motivo è inammissibile nella parte in cui censura la decisione della Corte d’appello nel merito. L’infondatezza dei motivi sopra esposti comporta il rigetto del ricorso proposto avverso l’ordinanza pronunciata dai giudici d’appello.

Il ricorrente ha, altresì, proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale formulando sette motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa motivazione ovvero motivazione solo apparente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Rileva che, contrariamente a quanto affermato dal giudice, l’ingiunzione non era formalmente legittima per la mancanza della vidimazione, la mancata individuazione del soggetto che l’aveva emessa nonchè del responsabile del procedimento.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Deduce che la sentenza posta a base dell’ingiunzione non era passata in giudicato con la conseguenza che il credito non era liquido ed esigibile e che inoltre detta sentenza era priva di un capo di condanna restitutorio contenendo soltanto una pronuncia di incompetenza del giudice, ma il Tribunale nulla aveva osservato in merito.

Con il terzo motivo denuncia violazione dell’art 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n 3). Lamenta che la sentenza posta a base dell’ingiunzione era stata emessa tra soggetti diversi ai quali egli era estraneo.

Con il quarto motivo l’avv. C. denuncia “falsità dei presupposti argomentativi, con vizio di motivazione che è solo apparente ed abnorme, mancata pronuncia su un punto centrale del processo in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Lamenta che la Corte non si era pronunciata su motivi specifici ed in particolare che nelle more era intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimità della L. n. 254 del 1975, art. 69, comma 6, circa la competenza del giudice di sorveglianza; che nella specie il rapporto era ancora sub iudice e dunque era applicabile al giudizio, con la conseguenza dell’infondatezza della sentenza della Corte d’appello posta a base dell’ingiunzione.

Con il quinto motivo denuncia ulteriore illogicità della motivazione, violazione dell’art. 1173 c.c.. Lamenta che la Corte, pur dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 341/2006, aveva ancora utilizzato una sentenza che poggiava soltanto su una norma dichiarata incostituzionale.

Con il sesto motivo rileva che il difensore anche se antistatario non è parte del giudizio e dunque nei suoi confronti non può fare stato una sentenza emessa tra altri.

Con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione relativa all’eccezione di compensazione.

I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono inammissibili e comunque infondati.

I motivi attinenti alla regolarità formale dell’ordinanza ingiunzione risultano inammissibili non avendo il ricorrente depositato detta ordinanza in violazione dell’art. 369 c.p.c., produzione tanto più necessaria considerato che il Tribunale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha ritenuto che l’ordinanza indicasse il soggetto che l’aveva sottoscritta, i responsabile del procedimento, il destinatario dell’atto, i termini entro cui ottemperare e come ricorrere e dunque i dati identificativi previsti dalla legge tali da consentire una difesa al destinatario.

Sono ugualmente inammissibili le censure che hanno quale presupposto l’esame della sentenza della Corte d’appello di Roma posta a base dell’ingiunzione in violazione dell’art. 369 c.p.c.. Il Tribunale ha, peraltro, fornito corretta motivazione della sua decisione osservando che l’eccezione di mancanza di un capo condannatorio era irrilevante trattandosi, comunque, di sentenza esecutiva di secondo grado e che la circostanza che la sentenza era fondata su norma (L. n. 354 del 1975, art. 69, comma 6) poi dichiarata incostituzionale (sent. Corte Cost. n. 341/2006) non ne faceva venire meno l’efficacia nè poteva essere messa in discussione in questa sede. Le doglianza del ricorrente sono, del resto, infondate poichè il credito del Ministero era ben individuato nella sentenza del Tribunale di Roma, poi riformata, e dunque si trattava di credito restitutorio, a seguito della riforma della sentenza del Tribunale, certo senza la necessità di ulteriori accertamenti. Deve rilevarsi, inoltre, che qualora la sentenza della Corte d’appello con cui era stata dichiarata l’incompetenza del giudice adito ai sensi dell’art. 69 citato avesse già contenuto un capo restitutorio relativo alle spese processuali liquidate dal Tribunale, il Ministero avrebbe potuto procedere direttamente all’esecuzione, senza la necessità di dover ricorrere alla procedura di cui al R.D. citato ed emettere un’ordinanza ingiunzione opponibile.

Deve osservarsi, altresì, che non esiste alcun vizio di motivazione o di omessa pronuncia con riferimento alla intervenuta sentenza della Corte Costituzionale di dichiarazione di illegittimità dell’art. 69 citato avendo il Tribunale esaminato la questione ed escluso qualsiasi rilevanza nel presente giudizio dell’avvenuta pronuncia di illegittimità costituzionale poichè questa non faceva venire meno l’efficacia della sentenza della Corte d’appello fino all’eventuale diverso esitò nell’ulteriore grado del giudizio.

Quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva non essendo l’avv. C. parte del giudizio va rilevato che il Tribunale ha correttamente rilevato che il ricorrente, quale procuratore antistatario, era tenuto alla restituzione delle somme pagate per spese processuali. Tale decisione è conforme ai principi affermati da questa Corte (cfr. Cass. n., 10827/2007, n. 8215/2013) secondo cui “In tema di distrazione delle spese, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., allorchè sia riformata la sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna alle spese in favore del difensore della parte vittoriosa dichiaratosi antistatario, ad essere tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è il medesimo difensore distrattario, come titolare di un rapporto instauratosi con la parte già soccombente”.

Infine il settimo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza il Tribunale ha affermato che l’eccezione di compensazione era fondata su circostanze generiche relative ad un dedotto mancato compenso per l’attività di vicepretore svolta dall’avv. C. non meglio specificate e documentate nè suscettibili di prova testimoniale.

A fronte di tali rilievi il ricorrente ha omesso di riportare il contenuto dei propri scritti fin dal primo grado al fine di dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, egli aveva allegato e provato tutti i fatti posti a fondamento dell’eccezione di compensazione; non riporta neppure il contenuto, quantomeno nei tratti salienti, dei documenti dai quali, a suo dire, sarebbe stato possibile ricavare l’attività dallo stesso svolta, non quantifica le somme che a suo dire aveva diritto a percepire, nè indica i criteri per la determinazione.

Per le considerazioni che precedono i ricorsi devono essere rigettati. Nulla per spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi, nulla per spese Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2016