Linee guida dell’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e dei professionisti, vers. 2.0

La versione 1.0 delle Linee Guida dell’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese, era stata pubblicata da AgID in data 15 settembre 2021 con determinazione 529/2021; il 7 luglio 2022, con determina 191/2022, AgID ha pubblicato la versione 2.0 delle citate linee guida contenente le integrazioni derivanti dall’art. 27, comma 1, lett. a) e c) del D.L. 6 novembre 2021, n. 152.
Le Linee Guida sono, naturalmente, adottate ai sensi dell’art. 71 del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e s.m.i. recante il “Codice dell’Amministrazione digitale” (CAD) e della Determina AgID n. 160 del 2018 recante il “Regolamento per l’adozione di linee guida per l’attuazione del Codice dell’Amministrazione Digitale”; le stesse stabiliscono, come detto, le modalità di realizzazione e gestione operativa dell’INAD (Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese) nonché le modalità di accesso allo stesso, il tutto ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 quater del CAD.
Si riportano alcuni degli aspetti più singolari e importanti delle nuove linee guida del domicilio digitale.
1) Il domicilio digitale:
Il domicilio digitale è l’indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata (di seguito PEC) o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal Regolamento eIDAS, valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera n-ter del CAD.
2) Chi può eleggere il proprio domicilio digitale mediante nell’INAD:
a) le persone fisiche che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età e che abbiano la capacità di agire;
b) i professionisti che svolgono una professione non organizzata in ordini, albi o collegi ai sensi della legge n. 4/2013 (di seguito Professionisti);
c) gli enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione nell’INI-PEC.
Tutti i soggetti sopra indicati che intendono eleggere il proprio domicilio digitale, devono preventivamente registrarsi all’INAD accedendo tramite il relativo portale web e identificandosi mediante il sistema pubblico di identità digitale (SPID) o la carta d’identità elettronica (CIE) o la carta nazionale dei servizi (CNS).
La registrazione dei Professionisti nell’INAD è soggetta alla verifica (automatizzata), dell’assenza del soggetto all’interno dell’INI-PEC.
Nel caso in cui il Professionista risulti già presente nell’INI-PEC, non gli sarà consentita la registrazione all’INAD e, conseguentemente, gli sarà preclusa la possibilità di eleggere, in tale sistema, il domicilio digitale in qualità di Professionista, ferma restando, in ogni caso, la facoltà di registrazione nell’INAD in qualità di persona fisica.
3) Per i professionisti: domicilio digitale professionale o domicilio digitale personale?
i professionisti hanno facoltà di eleggere nell’INAD sia un domicilio digitale professionale sia un domicilio digitale personale e la distinzione tra i due domicili digitali, appartenenti al medesimo soggetto, è resa evidente all’interno dell’INAD sia al diretto interessato, al momento dell’elezione del domicilio, sia agli utenti al momento della consultazione dell’INAD.
Resta ferma, in ogni caso, la facoltà di eleggere al di fuori dell’INAD un domicilio speciale per determinati atti o affari, ai sensi dell’articolo 47 c.c.
Il domicilio eletto dalle persone fisiche può essere utilizzato anche per le comunicazioni aventi valore legale a loro dirette nella qualità di tutori, curatori, procuratori o altre forme di rappresentanza di altre persone fisiche, previste dalla legge.
4) Può essere volontariamente dismesso il domicilio digitale in uso?
Le linee guida prevedono la facoltà di cessazione del domicilio digitale in uso da parte del titolare senza elezione di un nuovo domicilio digitale; ciò però non sempre è possibile in quanto la cessazione volontaria, non è consentita a coloro che risultano contemporaneamente iscritti nell’INI-PEC in qualità di professionisti, ai sensi dell’art. 6-quater, comma 2 del CAD.
5) Il professionista può modificare o eliminare la propria attività professionale o le proprie attività professionali indicate nell’INAD?
Con specifico riferimento alla figura del professionista, è altresì prevista la facoltà del medesimo di modificare o eliminare la propria attività professionale o le proprie attività professionali indicate nell’INAD. Qualora il professionista non svolga più alcuna attività professionale e, pertanto, proceda all’eliminazione di tale indicazione, l’INAD procede alla cessazione del domicilio digitale e della posizione associata al Professionista, mantenendo, ove già presente, la differente posizione dello stesso soggetto quale persona fisica.
6) È prevista in INAD la storicizzazione delle operazioni sul domicilio digitale?
Le linee guida prevedono che, al fine di dare evidenza delle operazioni effettuate durante le fasi di elezione, modifica e cessazione del domicilio digitale, anche d’ufficio e in casi particolari, viene generata, ai soli fini probatori, la tracciatura di tali operazioni, mediante registrazione su supporto informatico:
a) della modalità di identificazione dell’utente per le operazioni richieste;
b) della data e dell’ora di accesso all’INAD;
c) della data, dell’ora e del tipo di operazione effettuata (elezione, modifica, conferimento e revoca della delega, cessazione volontaria e cessazione in casi particolari) e del domicilio digitale a cui è riferita l’azione;
d) della data e dell’ora di validazione o annullamento della richiesta telematica al Gestore INAD.
I dati della tracciatura sono associati al soggetto richiedente e inviati in conservazione ove resteranno disponibili per dieci anni dalla trasmissione al sistema di conservazione, a garanzia di eventuali esigenze probatorie nell’ordinario termine di prescrizione dei diritti, in considerazione delle finalità del domicilio digitale.
7) INAD e domicilio digitale dei professionisti già presenti in INI-PEC:
il domicilio digitale dei professionisti iscritti nell’INI-PEC sarà inserito anche nell’INAD quale domicilio digitale in qualità di persone fisiche, fermo restando il diritto di eleggerne uno diverso; ciò in ottemperanza a quanto disposto dall’articolo 6-quater, comma 2 del CAD.
Il Ministero per lo Sviluppo Economico, avvalendosi del Gestore di INIPEC, renderà disponibili al Gestore dell’INAD gli indirizzi e i nominativi dei professionisti presenti nell’INI-PEC, tramite servizi informatici le cui specifiche tecniche sono definite in fase di sviluppo dell’INAD.
L’inserimento nell’INAD degli indirizzi elettronici presenti nell’INI-PEC consta delle seguenti fasi:
a) recupero, tramite i suddetti servizi, dei domicili digitali e dei nominativi dei professionisti inseriti nell’INI-PEC, messi a disposizione dal Gestore dell’INIPEC al Gestore dell’INAD;
b) inserimento provvisorio nell’INAD per 30 giorni, senza pubblicazione, dei domicili digitali e dei relativi nominativi. Nel caso di professionisti iscritti a più ordini o collegi professionali è inserito nell’INAD l’ultimo domicilio digitale cronologicamente dichiarato nell’INI-PEC.
c) il Gestore INAD, provvederà a fornire ai professionisti iscritti in INI-PEC le istruzioni utili al completamento della procedura di registrazione all’INAD, necessaria all’abilitazione delle funzioni di gestione del proprio domicilio.
Qualora, entro 30 giorni dall’inserimento provvisorio di cui sopra, il professionista non abbia usufruito della propria facoltà di modifica del domicilio digitale trasmesso dall’INI-PEC, il Gestore INAD provvederà alla pubblicazione del domicilio digitale e del relativo nominativo del professionista.
Qualora il professionista abbia optato per la modifica del domicilio digitale, al fine di eleggerne uno personale in INAD diverso da quello presente in INI-PEC, il Gestore INAD procede alla cancellazione del domicilio digitale inizialmente trasmesso dall’INI-PEC.
8) L’ambito di utilizzo del domicilio digitale:
a) l’utilizzo del domicilio digitale è disciplinato dagli articoli 3-bis, 6 e 6-quinquies del CAD.
b) I domicili digitali presenti nell’INAD sono utilizzabili per l’invio di comunicazioni elettroniche aventi valore legale ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera n-ter) del CAD.
Codice dell’amministrazione digitale – Art. 6 – Utilizzo del domicilio digitale
1. Le comunicazioni tramite i domicili digitali sono effettuate agli indirizzi inseriti negli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater, o a quello eletto come domicilio speciale per determinati atti o affari ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 4-quinquies. Le comunicazioni elettroniche trasmesse ad uno dei domicili digitali di cui all’articolo 3-bis producono, quanto al momento della spedizione e del ricevimento, gli stessi effetti giuridici delle comunicazioni a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno ed equivalgono alla notificazione per mezzo della posta salvo che la legge disponga diversamente. Le suddette comunicazioni si intendono spedite dal mittente se inviate al proprio gestore e si intendono consegnate se rese disponibili al domicilio digitale del destinatario, salva la prova che la mancata consegna sia dovuta a fatto non imputabile al destinatario medesimo. La data e l’ora di trasmissione e ricezione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida.
1-bis. COMMA ABROGATO DAL D.LGS. 13 DICEMBRE 2017, N. 217.
1-ter. L’elenco dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti è l’Indice nazionale dei domicili digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti di cui all’articolo 6-bis.
L’elenco dei domicili digitali dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettere a) e b), è l’Indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi, di cui all’articolo 6-ter. L’elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato diversi da quelli di cui al primo e al secondo periodo è l’Indice degli indirizzi delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato di cui all’articolo 6-quater.
1-quater. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, notificano direttamente presso i domicili digitali di cui all’articolo 3-bis i propri atti, compresi i verbali relativi alle sanzioni amministrative, gli atti impositivi di accertamento e di riscossione e le ingiunzioni di cui all’articolo 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, fatte salve le specifiche disposizioni in ambito tributario. La conformità della copia informatica del documento notificato all’originale è attestata dal responsabile del procedimento in conformità a quanto disposto agli articoli 22 e 23-bis.
Art. 6-quinquies – Consultazione e accesso
1. La consultazione on-line degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater è consentita a chiunque senza necessità di autenticazione. Gli elenchi sono realizzati in formato aperto.
2. L’estrazione dei domicili digitali dagli elenchi, di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater, è effettuata secondo le modalità fissate da AgID nelle Linee guida.
3. In assenza di preventiva autorizzazione del titolare dell’indirizzo, è vietato l’utilizzo dei domicili digitali di cui al presente articolo ((per l’invio di comunicazioni commerciali, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera f, del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70).
4. Gli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater contengono le informazioni relative alla elezione, modifica o cessazione del domicilio digitale.


AGID 7 luglio 2022, determina n. 191-2022

AGID 7 luglio 2022, determina 191-2022


Cartelle esattoriali: nulla la notifica se da PEC non ufficiale

Notifica delle cartelle esattoriali solo da PEC ufficiale. In caso contrario si considera nulla. A stabilirlo diverse pronunce giurisprudenziali, ed è quindi importante per il contribuente verificare l’indirizzo di posta elettronica certificata del mittente.
Sono diverse le pronunce giurisprudenziali sul tema accomunate dall’aver evidenziato la nullità delle attività di notifica mediante caselle di posta elettronica certificata non inserite nei pubblici registri.
Questo è quanto stabilito ad esempio dalla ventesima Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Roma con l’ordinanza numero 10571 del 16 dicembre 2020.
In buona sostanza, a conferma fra l’altro dell’orientamento giurisprudenziale, secondo i giudici tributari risulta priva di effetto ab origine, e quindi inesistente e non suscettibile di sanatoria, la notifica dell’Agenzia delle Entrate proveniente da questo indirizzo:
notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it
Nel caso di specie, infatti, l’Ente della Riscossione in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato una delle PEC riferite all’Agenzia delle Entrate Riscossione riportate nel pubblico registro (Indice delle Pubbliche Amministrazioni).
La sentenza numero 10571 del 16 dicembre 2020 della ventesima CTP ha confermato l’orientamento ormai consolidato secondo cui la notificazione via PEC, per considerarsi valida, deve essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che risulti da pubblici elenchi.
Nel in cui il contribuente si ritrovi nella casella di posta una cartella proveniente da un qualsiasi altro indirizzo, deve reputare quella notifica priva di efficacia perché inesistente.
Non si potrà, per tale ragione, invocare la “sanatoria per raggiungimento dello scopo” prevista dall’articolo 156 del Codice di Procedura Civile, perché la notifica irrituale degli atti tributari, ancor prima che nulla, è inesistente.
L’articolo 156 citato, in tema di rilevanza delle nullità, stabilisce infatti quanto segue:
“Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge.
Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
Ciò significa che, secondo il principio di tassatività, l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento determina la nullità solamente nei casi previsti dalla legge.
La fattispecie richiamata, tra l’altro, fa riferimento alle cosiddette nullità formali che intervengono soltanto in casi eccezionali perché, in ipotesi di raggiungimento dello scopo, il relativo vizio viene sanato.
Ebbene, i giudici tributari hanno escluso l’applicazione di questo principio al caso di specie ed hanno ritenuto insanabile l’irregolarità della notifica.
Secondo quanto stabilito dall’ordinanza in commento, infatti, la Commissione Tributaria ha considerato la notifica per mezzo di una PEC non ufficiale, ancor prima che nulla, inesistente.
Non è quindi da ricomprendere nei vizi sanabili nel caso di raggiungimento dello scopo, così come disposto dal citato articolo 156, ossia nel caso di avvenuta conoscenza dell’atto notificato (le cartelle esattoriali).
Vi è infatti una fondamentale differenza tra inesistenza e nullità di un atto, i cui caratteri sono spesso oggetto di diatribe dottrinali e giurisprudenziali.
In estrema sintesi, la prima consiste nella più grave forma di invalidità, comminata laddove sussista una anomalia dell’atto nella sua formazione, perché privo di uno degli elementi essenziali o comunque illecito.
Nullità che, fra l’altro, in alcuni casi può essere sanata (nullità relativa) e in altri persiste definitivamente (nullità assoluta).
La seconda, viceversa, interviene quando il vizio è talmente grave da non consentire nemmeno di identificare l’atto, nemmeno nei suoi requisiti minimi essenziali.
D’altronde, l’articolo 16 ter del D.L. 179/2012 definisce pubblici elenchi quelli previsti gli articoli 4 e 16, comma 12, dello stesso decreto, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.
Ecco, quindi, che l’indirizzo da cui è giunta la cartella impugnata non è oggettivamente e con certezza riferibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione, non risultando nell’elenco del Reginde (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), né nella pagina ufficiale del sito internet dell’Agenzia Entrate Riscossione, né tantomeno nella pagina della CCIAA (Camera di Commercio di Roma).
È l’articolo 3-bis della legge n. 53/1994 a definire le regole in materia di notifica di atti tramite PEC e, in particolare, il comma 1 prevede che:
“La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.”
Gli elenchi pubblici a cui si fa riferimento nell’ambito delle attività di notifica delle cartelle esattoriali sono quindi quelli sopra individuati: Reginde, INIPEC e IPA. In caso di indirizzi di posta elettronica certificata non inclusi, la notifica è quindi ritenuta nulla.
Questo è l’orientamento che ha caratterizzato le ultime pronunce in materia, e oltre a quella sopra analizzata si cita, a titolo esemplificativo, il recente intervento della CTR del Lazio con la sentenza n. 3514 del 2 agosto 2022, secondo il quale le notifiche effettuate tramite PEC non incluse in elenchi pubblici sono nulle e si considerano inesistenti.
Gli esempi di cui sopra consolidano quindi un orientamento ormai diffuso, a tutela dei diritti dei contribuenti.


Modulistica aggiornata anno 2022

«Ai fini della ritualità e validità della relazione di notifica si rivela del tutto irrilevante l’uso di un timbro anziché della scrittura al fine di descrivere le operazioni svolte, dovendo tenersi conto delle operazioni indicate dal pubblico ufficiale, indipendentemente dallo strumento utilizzato per indicarle» (Cass. civ., sez. I, 12.5.1998, n. 4762). Le relate di notifica devono essere correttamente compilate (complete del Cognome e Nome del notificatore e della sua qualifica, possibilmente a stampa o con timbro, oltre che della di lui sottoscrizione) sia sull’originale che sulla copia che è consegnata al destinatario o chi per lui o depositata nella Casa Comunale.

Si ricorda che la relata di notifica deve essere apposta in calce all’atto, cioè in fondo (od al limite dietro l’ultima pagina) e non davanti o dove vi è spazio nel corpo dell’atto.

Leggi: MODULISTICA 2022


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 05/07/2022) 02/09/2022, n. 25910

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 851-2021 R.G. proposto da:

SICIL TOURING s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, P.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dagli avv.ti Luigi Piergiuseppe MURCIANO, e Valerio CIONI, ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale del predetto ultimo difensore, sito in Roma, alla via degli Scipioni, n. 268/a;

– ricorrente –

contro

COMUNE di ERICE, in persona del Sindaco in carica;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2951/12/2020 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata in data 26/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/07/2022 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IMU per l’anno d’imposta (OMISSIS), con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Sicilia rigettava l’appello della Sicil Touring s.r.l. avverso la sfavorevole sentenza di primo grado dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado rilevando la regolarità della notifica dell’atto impositivo effettuata a mezzo posta elettronica certificata che comunque aveva raggiunto lo scopo essendo stato regolarmente impugnato; nel merito, sosteneva che l’avviso di accertamento era congruamente motivato e “la doglianza inerente ai valori dell’immobile introdotta in primo grado e qui riproposta è del tutto generica e priva di prova”;

– avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui non replica l’intimato;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 6 e 22 e art. 156 c.p.c. sostenendo che nel caso di specie non poteva operare la sanatoria della irregolarità della notifica dell’avviso di accertamento effettuata a mezzo posta elettronica certificata perchè recante allegazione al messaggio di una copia informatica di un documento analogico, senza alcuna attestazione di conformità e firma digitale, tale da integrare, quindi, un’ipotesi di inesistenza della notifica.

2. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato.

3. Va premesso che le disposizioni del D.Lgs. n. 82 del 2005 (c.d. Codice dell’amministrazione digitale – CAD) si applicano, ai sensi dell’art. 2, comma 2, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 217 del 2017, “alle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2”, nelle quali sono ricompresi anche i comuni (l’appena citato comma 2 prevede, infatti, che “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi (…) i Comuni”).

3.1. il D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 5-bis, comma 1, seconda parte, prevede, inoltre, che “Con le medesime modalità”, ovvero “esclusivamente utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, “le amministrazioni pubbliche”, tra cui appunto gli enti locali, “adottano e comunicano atti e provvedimenti amministrativi nei confronti delle imprese”. Al riguardo va precisato che il D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 6, convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009, ha previsto l’obbligo, per le imprese costituite in forma societaria, di dotarsi di un indirizzo di PEC. 3.2. L’art. 6 del CAD, nella versione anteriore alla modifica apportata dal D.Lgs. n. 217 del 2017 (con efficacia dal 28/01/2018), prevedeva che “Fino alla piena attuazione delle disposizioni di cui all’art. 3-bis, per le comunicazioni di cui all’art. 48, comma 1”, ovvero quelle telematiche, “con i soggetti che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo ai sensi della vigente normativa tecnica, le pubbliche amministrazioni utilizzano la posta elettronica certificata”.

3.3. Il comma 2 dell’art. 48 CAD prevede poi espressamente che “La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta”.

4. Successivamente, il D.Lgs. n. 217 del 2017, art. 7 ha apportato modifiche al D.Lgs. n. 82 del 2005 (CAD) tra cui, per quanto qui di interesse, agli artt. 2 e 6.

4.1. L’art. 2, nel cui comma 2 l’indicazione dei soggetti cui si applicano le disposizioni del CAD sono ora suddivise in lettere, è rimasto invariato quanto alla previsione di applicazione del CAD “alle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2”, tra cui si è detto (precedente par. 3) essere ricompresi anche gli enti locali.

4.2. L’art. 6 del CAD (D.Lgs. n. 82 del 2005), all’art. 1-quater, introdotto dalla legge di modifica del 2017, prevede che “I soggetti di cui all’art. 2, comma 2, notificano direttamente presso i domicili digitali di cui all’art. 3-bis i propri atti, compresi i verbali relativi alle sanzioni amministrative, gli atti impositivi di accertamento e di riscossione e le ingiunzioni di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 2 fatte salve le specifiche disposizioni in ambito tributario. La conformità della copia informatica del documento notificato all’originale è attestata dal responsabile del procedimento in conformità a quanto disposto agli artt. 22 e 23-bis”.

4.3. La disposizione da ultimo citata non si riferisce soltanto agli enti locali ma a tutte le amministrazioni pubbliche indicate nell’art. 2, comma 2, prevedendo per queste una generale facoltà di notifica a mezzo PEC degli atti emessi dalle singole amministrazioni pubbliche, con salvezza di eventuali disposizioni speciali che impongano forme diverse.

5. Pertanto, anche ove si volesse ritenere che agli enti locali solo a decorrere dal 27 gennaio 2018, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 217 del 2017, è stata attribuita la facoltà di avvalersi della posta elettronica certificata per la notifica degli atti impositivi, la notifica degli atti impositivi effettuata in data anteriore non può ritenersi affetta da inesistenza ma, al più, da nullità sanabile.

6. A tale soluzione è, peraltro, pervenuta questa Corte con riferimento agli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate in formato elettronico, e sottoscritti con firma digitale, nel periodo di vigenza del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 2, comma 6 (cd CAD – Codice dell’Amministrazione digitale), come modificato dal D.Lgs. n. 179 del 2016, art. 2, comma 1, lett. c), entrato in vigore a decorrere dal 14 settembre 2016, sino alle ulteriori modifiche apportate allo stesso art. 2, comma 6, con l’aggiunta altresì del comma 6-bis, ad opera del D.Lgs. n. 217 del 2017, art. 2, lett. d) ed e), entrato in vigore dal 27 gennaio 2018.

7. Interpretando il citato art. 2, comma 6, prima parte, CAD (D.Lgs. n. 82 del 2005), nel testo vigente in detto arco temporale (secondo cui “Le disposizioni del presente Codice non si applicano limitatamente all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria e consultazioni elettorali”), questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 32692 del 2021; v. anche Cass. n. 13137 del 2022), sulla premessa “che la normativa in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in conseguenza degli obblighi di adeguamento al Regolamento comunitario noto con l’acronimo e-IDAS, entrato in vigore direttamente in tutti gli Stati Membri UE, senza necessità di atti di recepimento,/2 il 17 settembre 2014, e divenuto applicabile a decorrere dal 1 luglio 2016, impone ormai come regola generale l’adozione dei documenti informatici, residuando ad eccezione il mantenimento dei documenti analogici” e che, “Ai sensi dell’art. 40 CAD, le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti con mezzi informatici secondo le regole tecniche fissate dal D.P.C.M. 13 novembre 2014”, ha rilevato che “la regola generale è divenuta il ricorso ai documenti informatici”, esclusa soltanto per “gli atti emessi “nell’esercizio” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive propedeutiche all’esercizio del potere di accertamento e di irrogazione di sanzioni” ma non per gli atti impositivi ovvero, quelli “eventualmente emessi “all’esito” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale”.- 8. Ad analoga conclusione, stante a quanto sopra detto circa l’inclusione degli enti locali tra le amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, cui si applicano le disposizioni del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 2, comma 2), deve pervenirsi per gli atti impositivi notificati dagli enti locali antecedentemente all’introduzione, a decorrere dal 27 gennaio 2018, dell’art. 6, comma 1-quater CAD. 9. Pare opportuno ricordare al riguardo che secondo la giurisprudenza di questa Corte “L’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dell’atto ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale. (Nella specie la S.C. ha escluso che la notifica a mezzo PEC attuata prima del 15 maggio 2014, giorno di entrata in vigore delle norme tecniche di cui al D.M. n. 44 del 2011, art. 18 che secondo i ricorrenti rendevano attuabile la notificazione a mezzo PEC, fosse inesistente, riscontrandone la nullità e il successivo raggiungimento dello scopo)” (Cass. n. 20625 del 2017; v. anche Cass. n. 12217 del 2022).

10. Pertanto, anche ove si volesse accedere alla tesi dell’irregolarità della notifica, la stessa sarebbe affetta da nullità e non certo dalla più grave forma di invalidità indicata dalla ricorrente.

11. Nullità che nella specie sarebbe indubbiamente sanata dalla regolare e tempestiva notifica dell’atto impositivo, ex art. 156 c.p.c. (cfr. Cass. n. 11043 del 2018 e n. 21071 del 2018).

12. Sanatoria che copre anche gli ulteriori vizi dedotti dalla ricorrente, quanto a formato e sottoscrizione dell’atto trasmesso a mezzo PEC. 13. Al riguardo pare opportuno precisare che il D.P.R. n. 68 del 2005, art. 1, lett. f), definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come “un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati”. La lett. i-ter), dell’art. 1 del CAD – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), -, poi, definisce “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” come “il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico”, mentre la lett. lett. i-quinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), -, nel definire il “duplicato informatico” parla di “documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”. Dunque, alla luce della disciplina surriferita, la notifica della cartella di pagamento (può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC: un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”)”. Nel caso esaminato dalla Corte nell’ordinanza n. 30948 del 2019 in tema di notifica a mezzo PEC di una cartella di pagamento, il concessionario della riscossione aveva “provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta”. La Corte, sulla base della predetta normativa ha escluso la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, “per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico”.

13.1. Non è quindi necessaria alcuna attestazione di conformità del documento informatico a quello analogico.

13.2. Al riguardo deve poi osservarsi che nel caso di specie la società contribuente non ha neppure dedotto nè provato di avere disconosciuto la conformità del documento notificatole a quello originale.

14. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso è infondato e va rigettato.

15. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 sostenendo che aveva errato la CTR a ritenere “la doglianza inerente i valori dell’immobile” avanzata dalla società contribuente “generica e priva di prova” e quindi “congruamente motivato” l’atto impositivo.

15.1. Sostiene al riguardo la società ricorrente che il Comune aveva attribuito agli immobili “valori di stima del tutto arbitrari, senza alcuna esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a supporto di ciò”, con conseguente difetto di motivazione dell’atto impositivo, e che la pretesa impositiva era “illegittima ed infondata anche perchè afferente a c.d. beni merce”, come tali non assoggettabili ad IMU. 16. Il motivo è manifestamente inammissibile sia per genericità della censura con cui la ricorrente lamenta l’arbitrarietà dei valori di stima degli immobili adottati dall’ente impositore, che si sarebbe tradotto, a suo dire, in un difetto di motivazione dell’atto impositivo, sia perchè omette di censurare l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito che ha rilevato che “la doglianza inerente ai valori dell’immobile (…) è del tutto generica e priva di prova”. Inoltre il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per non avere la ricorrente riprodotto, neppure per estratto, il contenuto dell’avviso di accertamento e per novità della questione dedotta con riferimento alla natura di beni-merce degli immobili assoggettati ad IMU. Non emergendo tale ultima questione dalla sentenza impugnata, era onere di parte ricorrente, nella specie non adempiuto, indicare specificamente il luogo in cui la relativa questione era stata dedotta nei giudizi di merito.

17. Al riguardo va ricordato che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (tra le altre: Cass., Sez. 5″, 15 luglio 2015, n. 14784; Cass., Sez. 6″-1, 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 34593; Cass., Sez. 6-5, 15 dicembre 2020, n. 28537; Cass., Sez. 5, 21 luglio 2021, n. 20974; Cass., Sez. 5, 28 settembre 2021, n. 26220).

18. E’ ben vero che “Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito” (Cass., Sez. U, n. 8950 del 2022), ma resta il fatto che la ricorrente era comunque tenuta ad indicare in maniera specifica il luogo in cui aveva posto la questione, non potendo limitarsi ad effettuare, come in concreto ha fatto, un generico riferimento agli atti processuali (ricorso di primo grado e d’appello) demandando alla Corte il compito di individuare esattamente nel corpo degli atti processuali la domanda che si assume essere stata pretermessa dal giudice di merito, con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le funzioni del giudice di legittimità.

19. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese processuali in mancanza di costituzione in giudizio dell’ente intimato.

P.Q.M.
rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore, importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2022


Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., (data ud. 25/05/2022) 01/09/2022, n. 25848

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20180/2015 proposto da:

COMUNE (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato PAOLA COCCOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO GIORGINO;

ricorrente contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato SANTE ASSENNATO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI RENNA;

avverso la sentenza n. 855/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 12/05/2015 R.G.N. 1125/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/05/2022 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di Lecce ha accolto l’appello di C.D. e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il COMUNE (OMISSIS) al pagamento delle differenze stipendiali tra il trattamento spettante al lavoratore in base alla categoria C, posizione 1, e quello relativo alla categoria B formalmente rivestita, di cui al c.c.n.l. enti locali, per il periodo ottobre 2003 – dicembre 2008, oltre interessi legali.

2. Avverso tale sentenza il COMUNE (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. C.D. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
3. Con il primo motivo del ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 387 del 1998 art. 15 e del D.Lgs. 165 del 2001 art.52 nonchè dei contratti collettivi di lavoro.

4. Si sostiene, richiamando la giurisprudenza amministrativa, che il trattamento economico per lo svolgimento di mansioni superiori è subordinato alle seguenti condizioni giuridiche e di fatto: le mansioni devono essere svolte su un posto esistente in pianta organica vacante e disponibile; non deve essere stato bandito alcun concorso per tale posto; l’incarico deve essere stato conferito con atto deliberativo dell’organo competente con la verifica dei presupposti e l’assunzione delle responsabilità. Tali requisiti difetterebbero nel caso in esame poichè non esisteva nella pianta organica dell’ente comunale un posto con qualifiche e mansioni come quelle rivendicate dal C.; nessun concorso era stato bandito per tale posto; non esisteva alcun atto deliberativo, collettivo o dirigenziale, conferente al lavoratore le mansioni superiori.

5. Si assume che la sentenza d’appello sia stata resa in violazione del contratto collettivo di categoria enti locali, che ha previsto un nuovo sistema di classificazione del personale fondato sull’accorpamento delle precedenti qualifiche prima applicazione l’inquadramento nell’area è effettuato in base all’ex qualifica di appartenenza, secondo la corrispondenza indicata nel contratto; che la adibizione dei dipendenti appartenenti a fasce diverse a mansioni ricomprese nella medesima area professionale non comporta il diritto alla retribuzione corrispondente alle superiori mansioni; che il C. ha svolto mansioni rientranti sempre nello stesso livello economico di appartenenza; che non ha svolto mansioni superiori di competenza dei funzionari comunali inquadrati in un superiore livello poichè non è mai esistita nella pianta organica del comune un posto con qualifica e livello come quelli rivendicati dal predetto.

6. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione.

7. Si osserva che la Corte d’appello ha fondato il proprio convincimento solo sui dati documentali, omettendo di esaminare le deposizioni testimoniali rese dal dottor P. e dalla dottoressa F. (di cui ai verbali di udienza del 17.1.11 e del 14.11.11 del giudizio di primo grado) che avrebbero potuto determinare un esito diverso della controversia.

8. Deve preliminarmente rilevarsi come la parte controricorrente non abbia fornito prova della notifica del controricorso. E’ stata unicamente depositata la ricevuta di spedizione della raccomandata, peraltro con data non leggibile, ma nessuna prova della ricezione da parte del destinatario. Non si procede quindi all’esame delle eccezioni sollevate nel controricorso.

9. Il primo motivo di ricorso non può trovate accoglimento.

10. La Corte d’appello, all’esito di un rigoroso accertamento fattuale, ha riconosciuto lo svolgimento da parte del C., negli anni in contestazione, di mansioni corrispondenti al superiore inquadramento ed il conseguente diritto del medesimo alle differenze retributive.

11. La sentenza impugnata si è attenuta all’orientamento consolidato di questa S.C. secondo cui, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001 art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, nè all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (v. Cass. n. 2102 del 2019; Cass. n. 18808 del 2013). Si è ulteriormente precisato che, in tema di impiego pubblico contrattualizzato, il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla legittimità, nè all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (v. Cass. n. 24266 del 2016).

12. Il motivo di ricorso in esame non solo ignora i principi di diritto enunciati da questa Corte nella materia del pubblico impiego contrattualizzato e richiama una non pertinente giurisprudenza del Consiglio di Stato, ma non si confronta in alcun modo con l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello sul contenuto delle mansioni svolte dal lavoratore nel periodo oggetto di causa, e risulta pertanto inammissibile.

13. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso perchè attiene non all’omesso esame di un fatto intenso in senso storico fenomenico e decisivo, cioè idoneo a incidere sull’esito della controversia, bensì alla valutazione di elementi istruttori (nello specifico, le prove testimoniali) e si colloca pertanto all’esterno del perimetro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, come delineato dalle S.U. di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.

14. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

15. Non si provvede sulle spese in difetto di prova della notifica del controricorso.

16. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2022


COMUNICATO RINNOVO CCNL FUNZIONI LOCALI

Sottoscritta il 4 agosto l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto dei 430.000 dipendenti delle Funzioni Locali per il triennio 2019-2021.

Il testo sottoscritto è ora sottoposto alla certificazione della Corte dei Conti e alla valutazione dei lavoratori e lavoratrici nelle assemblee. Il percorso si concluderà prevedibilmente entro il mese di settembre, consentendo agli enti di adeguare i salari ed erogare gli arretrati entro la fine dell’anno.
Riservandoci un giudizio più articolato sui risultati complessivi ottenuti dal sindacato con questo rinnovo anticipiamo alcune valutazioni sul capitolo relativo al nuovo ordinamento professionale, argomento che riveste particolare interesse tra i nostri associati e sul quale A.N.N.A. conduce da tempo una battaglia per il giusto riconoscimento del ruolo dell’agente notificatore in termini di professionalità e responsabilità.
Il nostro impegno per la valorizzazione della figura del messo comunale ha sempre caratterizzato la nostra iniziativa, fin dai primi passi compiuti dall’associazione: senza mai indulgere in posizioni corporative, abbiamo perseguito l’obiettivo del corretto inquadramento contrattuale, rivolgendo le nostre istanze ai vari livelli istituzionali e mediante un proficuo rapporto con il sindacato. Ricordiamo, per tutti, il convegno di Roma del 2008, che ha visto la qualificata presenza dei segretari nazionali di categoria di Cgil, Cisl e Uil; l’interlocuzione con il sindacato non è mai venuta meno e si è intensificata nell’occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale, allorchè abbiamo rinnovato le nostre richieste per la categoria trovando ascolto e interesse anche se, a volte, con dei distinguo.
Sinceramente ci aspettavamo decisioni più incisive. Registriamo, però, alcune novità di rilievo: il nuovo ordinamento introduce un sistema di classificazione basato non più sulle Categorie A, B, C e D, ma su Aree Professionali (Area degli Operatori, Area degli Operatori Esperti, Area degli Istruttori, Area dei Funzionari e delle Elevate Qualificazioni), con nuove possibilità di progressione orizzontale con il sistema dei differenziali economici, per un numero massimo stabilito nella Tabella A e di progressione verticale tra aree. Nell’area che interessa in particolare la nostra categoria, oggi collocata prevalentemente in Cat. B, in fase di prima applicazione, e cioè fino al 31/12/2025, la progressione verticale può aver luogo con procedure valutative, superando lo sbarramento rigido del possesso del titolo di studio, che rappresentava, per diversi Messi Comunali, un ostacolo insormontabile per gli sviluppi di carriera verso la Cat. C. Tali progressioni, inoltre, sono specificamente finanziate con risorse aggiuntive fino allo 0,55% del monte salari del 2018.
Il personale in servizio sarà inquadrato secondo la Tabella B di trasposizione dal 5° mese successivo alla sottoscrizione del nuovo contratto; all’interno dell’Area, come già accennato, al dipendente possono essere attribuiti uno o più differenziali stipendiali, con procedura selettiva attivabile annualmente in relazione alle risorse disponibili nel Fondo Risorse Decentrate. Ciò consentirà di remunerare il maggior grado di professionalità acquisito, in aggiunta alla retribuzione maturata nella posizione economica già conseguita, anche ai dipendenti che avevano raggiunto le posizioni economiche più elevate (es. i B7).
È inoltre prevista la progressione (verticale) tra aree, da attuarsi con procedura comparativa basata su valutazione, assenza di provvedimenti disciplinari, possesso di titoli o competenze professionali, incarichi rivestiti, così come disciplinato dagli enti.
Spetta infatti agli enti, in relazione al proprio modello organizzativo, identificare i profili professionali e collocarli nella corrispondente area. Le declaratorie di cui all’All. A indicano l’insieme dei requisiti indispensabili per l’inquadramento in ciascuna di esse; i profili professionali descrivono il contenuto professionale delle attribuzioni proprie dell’area. Saranno quindi gli enti a identificare i singoli profili professionali, come ad esempio il messo, collocandoli nelle rispettive aree nel rispetto delle declaratorie (art. 12 c. 6). Dalla data di entrata in vigore del nuovo ordinamento è disapplicato l’All. A del ccnl 31/03/1999, le cui declaratorie collocavano in modo alquanto rigido il messo in Cat. B (già IV q.f.). Viene meno, pertanto, l’ostacolo che impediva agli enti di inquadrare il messo in una categoria superiore e viene demandato alla scelta responsabile degli Enti la corretta definizione del profilo del messo che dovrebbe, a nostro avviso, fare riferimento alle caratteristiche dei profili dell’Area degli Istruttori. L’accesso a questa area è possibile per chi:

  • sia in possesso del diploma della scuola secondaria di 2° grado e almeno 5 anni di esperienza maturata nell’area di provenienza,

oppure

  • abbia assolto l’obbligo scolastico e abbia maturato almeno 8 anni nell’area degli operatori esperti.

Resta in vigore il sistema delle indennità quali l’indennità condizioni di lavoro (art. 70 bis), l’indennità per specifiche responsabilità (art. 84) fino ad un importo massimo di € 3.000,00 annui.

L’individuazione dei profili professionali e la loro collocazione in una determinata area compete, come sopra accennato, alle amministrazioni, ma sarà necessariamente oggetto di confronto con la RSU, come previsto nell’art. 5.
Si aprono dunque nuove possibilità di far valere le giuste istanze della categoria, riguardo ad un inquadramento più consono all’evoluzione del ruolo e della figura del messo comunale/notificatore che, realisticamente, dovrebbe rientrare nella declaratoria dell’Area degli Istruttori per come descritta nell’All. A che sotto trascriviamo:
“Appartengono a quest’area i lavoratori strutturalmente inseriti nei processi amministrativi-contabili e tecnici e nei sistemi di erogazione dei servizi e che ne svolgono fasi di processo e/o processi, nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, anche attraverso la gestione di strumentazioni tecnologiche. Tale personale è chiamato a valutare nel merito i casi concreti e ad interpretare le istruzioni operative. Risponde, inoltre, dei risultati nel proprio contesto di lavoro.
Specifiche professionali:

  • Conoscenze tecniche esaurienti;
  • Capacità pratiche necessarie a risolvere problemi di media complessità, in un ambito specializzato di lavoro;
         Responsabilità di procedimento o infraprocedimentale, con eventuale responsabilità di coordinare il lavoro dei colleghi”.

Si aprirà quindi, dopo la sottoscrizione definitiva, una stagione non facile di contrattazione decentrata. Da parte nostra, come Associazione, seguiremo con attenzione l’andamento del confronto tra le parti, con l’obiettivo di monitorare l’applicazione delle norme e per raggiungere l’obiettivo abbiamo ed avremo bisogno della massima partecipazione e del sostegno dei nostri iscritti che rappresentano la nostra forza.

L’auspicio è che si raggiunga uniformità di trattamento sui territori e che l’inquadramento possa essere il più vantaggioso possibile per i messi, nel rispetto dei diritti dei lavoratori nostri associati.

Leggi: Comunicato A.N.N.A. sulla preintesa 2022

Leggi: Ipotesi CCNL Funzioni locali 2019 2021


Sempre ok la notifica postale dell’accertamento Impoesattivo

Via libera da parte della Corte Suprema di Cassazione all’amministrazione finanziaria, al recapito, anche per questo tipo di atti, tramite raccomanda con avviso di ricevimento L’articolo 29 del Dl n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, seppure abbia previsto che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto, non ha invece introdotto deroghe all’ordinaria disciplina in tema di notificazione postale degli avvisi di recupero tributario che, di conseguenza, possono legittimamente essere notificati dall’ufficio anche in via diretta a mezzo del servizio postale.
Così si è espressa la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 23435 del 27 luglio 2022, che ha confermato un principio sempre più consolidato presso il Giudice di legittimità.
Un contribuente impugnava dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale l’atto “impoesattivo” con il quale erano stati accertati a suo carico maggiori redditi d’impresa.
Il verdetto di prime cure, sfavorevole all’interessato, veniva confermato dal Collegio regionale della Sicilia con sentenza n. 2630/08/2021 del 10 febbraio 2021 veniva ribadita la regolarità della notifica dell’atto impositivo, contestata dal contribuente in quanto effettuata dall’ufficio in via diretta a mezzo del servizio postale.
Ricorrendo in sede di legittimità, la parte privata riproponeva la doglianza relativa all’asserito vizio della notificazione, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 14 della legge n. 890/1982 e 60 del Dpr n. 600/1973, nonché degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile.
In breve, secondo il ricorrente, la notifica dell’atto tributario doveva ritenersi giuridicamente inesistente perché effettuata da un soggetto non autorizzato dall’ufficio, ovvero tramite un agente postale e non da un messo notificatore speciale.
La Corte Suprema di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando la piena legittimità dell’iter notificatorio utilizzato dall’ufficio e precisando che l’articolo 29, comma 1, lettera a), del Dl n. 78/2010 “nulla ha innovato riguardo alla notifica dell’atto impositivo, limitandosi a prevedere, in considerazione della necessità di operare la «concentrazione della riscossione nell’accertamento», che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto c.d. impoesattivo”.
In particolare, si legge nella pronuncia in commento, nessuna modifica è stata apportata all’articolo 14 della legge n. 890/1982 “che continua a prevedere «la notificazione degli avvisi […] che per legge devono essere notificati al contribuente», «a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari», senza alcuna distinzione tra i vari tipi di atti, impositivi o impoesattivi”.
La notificazione – vale a dire il procedimento, le cui forme e modalità sono prestabilite dalla legge, che si sostanzia in una serie di attività finalizzate a determinare la “conoscenza legale” di un atto in capo ad un soggetto specificamente individuato – è prevista da una pluralità di norme con riguardo a tutti gli atti attraverso i quali l’amministrazione finanziaria esplica la potestà impositiva nei confronti del contribuente.
La disposizione generale di riferimento in materia è costituita dall’articolo 60 del Dpr n. 600/1973, il quale al primo comma prevede che la notificazione è eseguita “secondo le norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile…”, con alcune modifiche ivi espressamente disciplinate.
Detto articolo 60 concerne essenzialmente le notificazioni eseguite in via “personale”, vale a dire quelle effettuate tramite un ufficiale notificatore, categoria che in ambito tributario ricomprende anche i messi comunali e i messi speciali autorizzati dell’ufficio finanziario (articolo 60, primo comma, lettera a), del Dpr n. 600/1973), nonché le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata (settimo comma della norma in questione).
In materia tributaria, peraltro, in virtù di quanto previsto dall’articolo 14, primo comma, della legge n. 890/1982, la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente può avvenire anche a mezzo del servizio postale, con l’impiego di plico sigillato, e “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonché, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge”.
Al riguardo, la Corte Suprema di Cassazione ha precisato che l’articolo 14 della legge n. 890 “consente in via generale la notifica diretta degli atti dell’Amm.ne Finanziaria mediante ricorso diretto, cioè senza l’intervento di ufficiali giudiziari o messi notificatori, al servizio postale” (Cassazione, n. 21797/2020) e che la facoltà di utilizzo di tale modalità di notificazione è operativa dal 15 maggio 1998, data di entrata in vigore dell’articolo 20 della legge n. 146/1998, che ha modificato in tali termini il ridetto articolo 14 (Cassazione, nn. 2365/2022, 35640/2021 e 14745/2021).
Tanto precisato, va ricordato che, relativamente agli accertamenti “esecutivi” o “impoesattivi” di cui all’articolo 29 del Dl n. 78/2010, era stata sostenuta la tesi secondo cui gli stessi dovessero essere portati a conoscenza dell’interessato esclusivamente attraverso le modalità di notificazione “personale”, vale a dire attraverso un pubblico ufficiale notificatore quale il messo comunale o il messo speciale autorizzato dell’ufficio.
Intervenendo sulla problematica, peraltro, la Corte Suprema di Cassazione (sentenza n. 16679/2016) aveva smentito questa ricostruzione, riconoscendo invece la possibilità per l’ufficio di procedere anche mediante utilizzo diretto del servizio postale.
Sulla stessa linea interpretativa è successivamente intervenuta Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 38010/2021, ove si legge in particolare che “non può ritenersi che tale disposizione legislativa (il ridetto articolo 29 del Dl n. 78/2010) abbia un qualsiasi effetto abrogante dell’art. 14, legge 890/1982, che appunto prevede, senza alcuna distinzione tra gli atti ivi indicati, la facoltà degli Enti impositori di procedere alla notificazione a mezzo posta senza intermediazione alcuna, se non appunto quella dell’agente postale”.
L’ordinanza in esame ribadisce, dunque, una regola che appare consolidata sottolineando che anche laddove l’articolo 29 richiamato letteralmente prevede che la notificazione a mezzo posta è consentita per gli atti “successivi” all’avviso di accertamento, tale disposizione non si pone su un piano di incompatibilità logica o di implicita contraddizione con la più generale previsione di cui all’articolo 14 della legge n. 890/1982, ma, piuttosto, “rende evidente l’intento del Legislatore di specificare che anche per queste nuove tipologie di atti, ovvero i c.d. “atti successivi” … è attribuita all’amministrazione fiscale la facoltà di procedere alla loro notificazione mediante l’utilizzo della più snella modalità costituita dall’invio diretto a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento”.


Sanzioni amministrative tributarie non trasmissibili agli eredi

L’obbligazione al pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie non si trasmette agli eredi. È quanto sancito dall’art. 8 del D. Lgs. n. 472/1997 segnato “Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi”.
Lo ha rammentato la Corte di cassazione con sentenza n. 25315 del 24 agosto 2022.
Violazione di norme tributarie: intrasmissibilità delle sanzioni
Difatti, diversamente dalle sanzioni civili, che si sostanziano in sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative e quelle tributarie hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale.
Rientra, quindi, nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro.
A questa scelta si ricollega anche il regime applicabile per quanto riguarda la trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità.
La Corte Suprema di Cassazione ha accolto il motivo di doglianza con cui gli eredi di una contribuente avevano lamentano l’error in iudicando in cui era incorsa la CTR nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non aveva motivato sull’invocata questione dell’intrasmissibilità delle sanzioni tributarie.
Nella specie, costituiva dato pacifico in causa il fatto che la controversia promossa dalla contribuente in opposizione di una cartella esattoriale era stata proseguita dai figli, quali eredi della medesima.
Alla luce, quindi, di quanto disposto dall’art. 8 del D. Lgs. n. 472/1997, l’obbligazione al pagamento delle sanzioni per violazioni tributarie non spettava loro, non essendosi trasmessa in via di successione.
Ne discendeva, quanto alle sanzioni, l’annullamento della cartella di pagamento impugnata.


Compiuta giacenza: quando la notifica è nulla

Nonostante siano trascorsi 10 giorni senza che l’atto sia stato ritirato, la notifica non si perfeziona se non sono eseguiti gli adempimenti di cui all’art. 140
La compiuta giacenza di un atto giudiziario non consegnato al destinatario per assenza dello stesso o per rifiuto a riceverlo comporta il perfezionamento della relativa notifica una volta che siano decorsi dieci giorni senza che l’atto stesso sia stato ritirato dal soggetto interessato.
È tuttavia necessario che nel procedimento notificatorio non siano state omesse le formalità richieste dall’articolo 140 del codice di procedura civile.
Tale norma, in particolare, prevede che nel caso in cui non sia possibile eseguire la consegna dell’atto da notificare in quanto le persone individuate dal precedente articolo 139 c.p.c. sono irreperibili o incapaci o rifiutino di ritirarla, l’ufficiale giudiziario deve in primo luogo depositare la copia dell’atto nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi.
Egli, poi, deve affiggere un avviso di deposito sulla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario dell’atto. In tale avviso devono necessariamente essere indicati il nome della persona che ha chiesto la notificazione, il nome del destinatario, la natura dell’atto, il giudice che ha pronunciato il provvedimento, la data o il termine di comparizione e la data e la firma dell’ufficiale giudiziario.
L’ultima incombenza alla quale è tenuto l’ufficiale giudiziario è quella di dare notizia del deposito al destinatario mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
Nel caso in cui una di tali formalità manchino, la notifica, nonostante la compiuta giacenza, si considera nulla.
Peraltro, l’ufficiale giudiziario che esegue il deposito deve stare particolarmente attento: se esso avviene presso l’ufficio di una frazione del comune, considerato impropriamente come casa comunale, vi è comunque nullità della notifica (Cass. n. 1321/1993).
Sempre in materia di nullità è inoltre interessante sottolineare che la Corte Suprema di cassazione con la sentenza numero 7809/2010 ha sancito che, a seguito della sentenza numero 3/2010 della Corte costituzionale con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 140 c.p.c. laddove prevedeva che la notifica si perfezionasse per il destinatario con la spedizione della raccomandata informativa e non con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione, è oggi necessario che il notificante comprovi tale ulteriore circostanza. In caso contrario la notificazione deve ritenersi nulla.
Ancor più interessante la sentenza numero 24416/2006 della Corte Suprema di Cassazione che si è occupata di un particolare caso di nullità della notifica. In essa si è infatti chiarito che “qualora sussistano i requisiti richiesti dalla legge, ai sensi degli art. 44 c.c. e 31 att. c.c., per opporre il trasferimento di residenza ai terzi di buona fede, ovvero la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona e a quello di nuova residenza, con consequenziale cancellazione dall’anagrafe del comune di provenienza e iscrizione nell’anagrafe del comune di nuova residenza, aventi la stessa decorrenza, la notifica effettuata ex art. 140 c.p.c., in cui il piego relativo alla raccomandata ed attestante l’avvenuto compimento delle formalità previste dalla legge sia stato restituito al mittente per compiuta giacenza, è nulla, in quanto la notifica ex art. 140 c.p.c. non esclude ma al contrario postula che sia stato esattamente individuato il luogo di residenza, domicilio o dimora del destinatario, e che la copia non sia stata consegnata per mere difficoltà di ordine materiale, quali la momentanea assenza, l’incapacità o il rifiuto delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c. di ricevere l’atto”.


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 24/06/2022) 24/08/2022, n. 25315

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – rel. Consigliere –

Dott. LENOCI Valentino – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12189/14 R.G. proposto da:

P.A., e P.B., nella qualità di eredi della sig.ra C.L. in P., elettivamente domiciliati in Roma Via Nizza n. 59, presso lo studio dell’avvocato Giorgio Pierantoni che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A, elettivamente domiciliata in Roma Via Fulcieri Paulucci Dè Calboli n. 60, presso lo studio dell’avvocato Sebastiano Di Betta, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 396/29/13 depositata in data 10 dicembre 2013:

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 giugno 2022, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal consigliere Maria Luisa De Rosa;

Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’accoglimento del quinto motivo di ricorso ed il rigetto, nel resto;

Dato atto che non sono state presentate memorie.

Svolgimento del processo
1. In data 28/04/2010 veniva notificata a C.L. la cartella di pagamento n. (OMISSIS) emessa da Equitalia Gerit s.p.a. per un importo di Euro 8.142,57 per presunti plurimi omessi o ritardati versamenti IRPEF, per il periodo d’imposta 2006.

2. Avverso tale cartella la contribuente proponeva ricorso per vizi afferenti alla notifica e la legittimità della pretesa; nel giudizio così instaurato, si costituiva l’Agenzia delle Entrate che instava per il rigetto del ricorso.

3. La C.t.p. di Roma accoglieva il ricorso per illegittimità della pretesa e nullità della cartella per intervenuto pagamento per essere stata fornita la prova della corresponsione di quanto preteso. Va rilevato che, in data antecedente al deposito della sentenza di primo grado, ossia il 10/02/2012 decedeva C.L. e assumevano qualità di eredi i figli P.A. e P.B.; tale evento veniva dichiarato da P.A. in data 10 maggio 2012 all’Agenzia delle Entrate mediante la presentazione della dichiarazione di successione.

4. Avverso la sentenza della C.t.p. di Roma, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello e gli eredi P.A. P.B. si costituivano chiedendo il rigetto dell’appello.

5. Con sentenza n. 396/29/13, depositata il 10/12/2013, la C.t.r. del Lazio, in parziale accoglimento dell’appello, decideva la riduzione delle violazioni accertate di 1/3, comprese le sanzioni.

La sentenza della C.t.r. della Lombardia è stata impugnata da P.A. e B. sulla scorta di sei motivi.

Si è costituito in giudizio con controricorso Equitalia Sud s.p.a. (già Equitalia Gerit s.p.a.), chiedendo il rigetto del ricorso.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata non avendo notificato alcun controricorso, ma depositato solo una “nota di costituzione”.

Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

1.2 Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 2 e 6, artt. 101 291, 327 e 330 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.3 Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 24, e art. 149 c.p.c., e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.4 Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

1.5 Con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2”.

1.6 Con il sesto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1996, n. 546, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

2. Il primo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si dia contezza degli importi non corrisposti dalla originaria contribuente C.L. sì da pervenire al convincimento che l’originaria pretesa erariale non era stata soddisfatta.

Come da ultimo ribadito da Cass. 3 marzo 2022, n. 7090, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno, n. 83, art. 54, conv. con modif. dalla legge. 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purchè il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Nel caso di specie dalla motivazione, sia pure obiettivamente scarna, si ricava l’iter decisorio seguito dalla C.t.r. nel ritenere non soddisfatta la pretesa tributaria azionata atteso che il giudice perviene a tale convincimento dopo aver constatato che i pagamenti erano stati effettuati in maniera frazionata e non nel rispetto dei termini e dei modi normativamente prescritti.

3. Anche il secondo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si è riscontrata l’inammissibilità dell’appello siccome non effettuata impersonalmente e collettivamente nel luogo di ultimo domicilio del defunto ma presso gli avvocati di C.L. nonostante, in data 10/05/2012, l’Agenzia delle Entrate avesse ricevuto formalmente la conoscenza del decesso della contribuente.

In realtà, con la doglianza ivi esposta, si oblitera la fondamentale considerazione in ordine alla sanatoria conseguita dalla costituzione degli eredi della stessa (in tal senso, da ultimo Cass. 08/10/2020, n. 21742) e della regola dell’ultrattività del mandato come declinata da Cass. Sez. U. 04/07/2014, n. 15295 secondo cui “l’incidenza sul processo degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c., (morte o perdita della capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione” 4. Il terzo motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia delibata l’eccezione, proposta in entrambi i gradi di giudizio, circa l’inesistenza della notifica della cartella siccome effettuata da una società privata Romana Recapiti e non da Poste Italiane s.p.a.

In proposito soccorre il principio, declinato dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 10/01/2020 n. 299) secondo cui, in tema di notificazioni di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva ed il regime introdotto dalla L. 4 agosto 2017, n. 124.

A seguito della direttiva n. 2008/6/CE, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 27 febbraio 2008, il diritto unionale è di ostacolo al riconoscimento di diritti speciali o esclusivi a un operatore postale (in termini, Corte giust. in causa C-545/17, cit., punti 67-68); sicchè non può essere riconosciuta a un operatore una tutela particolare idonea a incidere sulla capacità delle altre imprese di esercitare l’attività economica consistente nell’instaurazione e nella fornitura di servizi postali nello stesso territorio, in circostanze sostanzialmente equivalenti. Il principio ha portata generale: “il fatto che uno Stato membro riservi un servizio postale, che questo rientri o no nel servizio universale, a uno o a più fornitori incaricati del servizio universale costituisce un modo vietato per garantire il finanziamento del servizio universale” (Corte giust. in causa C-545/17, cit., punto 53).

Ne consegue che l’art. 8 della direttiva, che non è stato novellato, va interpretato restrittivamente (con riferimento, peraltro, ai soli invii raccomandati e non già a quelli ordinari), perchè introduce una deroga al principio. In questa logica non incide la circostanza che il diritto esclusivo o speciale per l’instaurazione e la fornitura di servizi postali sia concesso a un fornitore del servizio universale nel rispetto dei canoni di obiettività, di proporzionalità, di non discriminazione e di trasparenza, altrimenti pervenendosi a circoscrivere la portata del divieto posto dall’art. 7, paragrafo 1, prima frase, della direttiva modificata e, pertanto, a compromettere la realizzazione dell’obiettivo, ivi perseguito, di completare il mercato interno dei servizi postali.

5. Anche il quarto motivo è infondato.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia delibata l’eccezione, proposta in entrambi i gradi di giudizio, circa la nullità della cartella per mancata preventiva notifica alla contribuente di alcun invito bonario di pagamento.

Invero, costituisce principio pacifico quello secondo cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione dell’avviso bonario D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, comma 3, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; nè il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti al citato art. 36 bis, che implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo.

” In materia di riscossione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2″, (Cass. 06/07/2016, n. 13759, conforme, Cass. 28/06/2019, n. 17479; nello stesso senso, altresì, Cass. 10/06/2015, n. 12023, con riferimento alle sanzioni).

Quindi, in tema di riscossione delle imposte, la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre nel caso in cui nella dichiarazione vi sia un mero errore materiale, che è l’ipotesi tipica disciplinata dall’art. 36 bis citato, poichè in tal caso non v’è necessità di chiarire nulla e, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi, non avrebbe indicato quale presupposto di esso l’incertezza riguardante aspetti rilevanti della dichiarazione. (Cass. 27/04/2022, n. 13219).

6. E’, invece, fondato il quinto motivo.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non vi è motivazione sull’invocata questione dell’intrasmissibilità delle sanzioni.

Costituisce dato pacifico in causa il fatto che la controversia è stata proseguita dai predetti P.A., P.B., quali eredi della sig.ra C.L. in P.. Come noto, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, (rubricato “Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi”) prevede testualmente che “L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi”.

Questa Corte ha chiarito, con riferimento al diverso regime successorio delle sanzioni civili rispetto a quelle amministrative, che, mentre le sanzioni civili sono sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative (di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689) e quelle tributarie (di cui alla L. n. 472 del 1997) hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale, sicchè rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro. A tale scelta si ricollega il regime applicabile, anche con riferimento alla trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità (Cass. 6/06/2008, n. 15067).

7. Il sesto motivo è inammissibile.

Con esso, i ricorrenti lamentano l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si valuta l’eccezione sollevata di inammissibilità dell’appello per incertezza assoluta dell’oggetto dell’appello.

Invero, nel processo tributario, gli elementi di specificità dei motivi possono essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni.

L’inammissibilità, per difetto di specificità dei motivi, dell’atto di appello è, nel contenzioso tributario, limitata al solo caso in cui nell’appello si ometta il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, ovvero a quello in cui il gravame non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante la censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata e ciò perchè, nel processo tributario, la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, tutte le volte in cui, nell’atto, sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass. 15/01/2019, n. 707).

8. In conclusione la Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta nel resto con conseguente annullamento della cartella di pagamento impugnata quanto alle sanzioni.

La peculiarità delle questioni trattate impone la compensazione delle spese di lite, anche nei gradi di merito.

P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta nel resto con conseguente annullamento della cartella di pagamento impugnata quanto alle sanzioni.

Compensa le spese, anche nei gradi di merito.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2022


Valida la notifica della sentenza all’ente presso la sede secondaria

Processo tributario 
È rituale la notifica effettuata dal contribuente tramite servizio postale all’ufficio comunale che ha emesso l’atto impugnato anche se diverso dal domicilio eletto.
Nel processo tributario, il regime della notifica dell’atto processuale è speciale rispetto a quello del rito ordinario ed è prevista anche la cosiddetta “notificazione diretta” che può essere effettuata con due modalità: la spedizione del plico tramite raccomandata o la consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
In ambito tributario, è rituale la notifica della sentenza di primo grado, effettuata direttamente a mezzo posta, presso un ufficio diverso rispetto al domicilio eletto?
La questione viene rimessa alla Corte di Cassazione Sezioni Unite la quale, con la sentenza dell’11 luglio 2022 n. 21884, risponde affermativamente. Infatti, è valida la notifica della sentenza in  prima istanza effettuata direttamente dal contribuente tramite il servizio postale, all’ente locale non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l’atto oggetto del contenzioso.
La decisione è espressione del principio di effettività della tutela giurisdizionale in virtù del quale occorre ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali; inoltre, si fonda sul carattere impugnatorio del processo tributario che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.
Una società agiva contro il Comune ritenendo illegittimo il silenzio-diniego avverso l’istanza di rimborso del canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità (versato ex art. 62 d.lgs. 446/1997) per gli anni da 2009 a 2013. In primo grado, la Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, mentre, in sede di gravame, la Commissione tributaria regionale riformava integralmente la decisione di prime cure considerando legittimo il silenzio-diniego dell’amministrazione comunale. In particolare, per quanto qui rileva, la Commissione tributaria regionale non accoglieva l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla società. Secondo l’appellata, il Comune avrebbe depositato l’appello ben oltre il termine di 60 giorni (termine breve) decorrente dalla notifica della sentenza di primo grado. Detta notifica era avvenuta non presso il domicilio eletto dal Comune, ma presso il servizio di polizia amministrativa, a mani proprie di un soggetto non individuato. Per il giudicante, la notifica era affetta da nullità e inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, pertanto, l’appello del Comune doveva considerarsi tempestivo.
È proprio sul tema della validità (o meno) della notifica effettuata presso un luogo diverso dal domicilio eletto che interviene la Corte di Cassazione nella sua più autorevole composizione.
Il processo tributario è disciplinato dal d.lgs. 546/1992, il cosiddetto Codice del processo tributario.
Per quanto riguarda le notifiche, l’art. 16 c. 2 d. lgs. cit. dispone che:
• le notificazioni sono fatte secondo le norme degli artt. 137 e seguenti del Codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall’ art. 17 d. lgs.
L’art. 16 c. 3 introduce due forme ulteriori di notificazione con modalità diretta che il contribuente può eseguire senza il ministero dell’ufficiale giudiziario o dell’avvocato autorizzato dall’ordine forense:
• direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto,
• oppure all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
Come si può notare, l’art. 16 c. 2 d. lgs. fa salvo quanto previsto dall’art. 17, la cui disciplina, quindi, prevale su quella prevista dal codice di rito ordinario.
Secondo l’art. 17 c. 1 d. lgs., le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio.
Per completezza espositiva, si ricorda che, anche nel processo tributario, sono state introdotte le notifiche telematiche (art. 16 bis d. lgs.).
Per quanto riguarda i termini per l’impugnazione, l’art. 51 dispone che il termine per impugnare la sentenza della commissione tributaria sia di 60 giorni (“termine breve”), decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall’ art. 38, comma 3.
L’art. 38 c. 3 prevede che, se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l’art. 327 c. 1 del Codice di procedura civile, ossia si applica il “termine lungo” di 6 mesi.
La questione rimessa alla Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite riguarda la notificazione dell’atto processuale e, in particolare, della sentenza di primo grado, effettuata ai sensi degli artt. 16 e 17 del d.lgs. 546/1992. In particolare, ci si domanda:
«se, in tema di notificazioni nel processo tributario, sia rituale, o meno, la consegna della sentenza di primo grado a un ufficio dell’ente locale che non sia ubicato anche nella sua sede principale indicata negli atti difensivi, ma sia comunque riconducibile all’ufficio che ha emanato l’atto impositivo impugnato o (come nella specie) non ha emanato l’atto richiesto».
Nel caso in oggetto:
• la notifica della sentenza di primo grado all’amministrazione comunale è stata effettuata direttamente a mezzo posta,
• non presso il domicilio eletto, ossia la sede dell’ufficio tributi in persona del cui dirigente l’ente si è costituito in giudizio,
• ma presso altro ufficio comunale, già destinatario dell’istanza di rimborso proposta dal contribuente e che non aveva emesso l’atto richiesto.
Secondo il giudice del gravame, la sentenza di primo grado andava notificata presso il domicilio eletto dal Comune. Infatti, l’art. 17 d. lgs. dispone che, solo nel caso di mancanza di elezione di domicilio, la notificazione possa avvenire presso la residenza o sede dichiarata nell’atto di costituzione. Per questa ragione, la notifica è stata considerata nulla – in quanto effettuata in luogo diverso dal domicilio eletto – e inidonea a far decorre il termine breve.
Invece, il ricorrente ritiene che l’art. 17 consenta la notifica tramite consegna a mani proprie, anche in luogo diverso dal domicilio eletto, infatti, la norma fa sempre salva tale modalità.
La Corte Suprema di Cassazione considera fondata la doglianza.
Per risolvere la questione sottoposta al suo scrutinio la Corte Suprema di Cassazione parte dal dettato normativo, ossia dal Codice del processo tributario (d.lgs. 546/1992). In particolare, ricorda che:
• i giudici tributari applicano le norme del processo tributario e per quanto da esse non disposto e con esse compatibili le norme del Codice di procedura civile (art. 1 c. 2 d.lgs. 546/1992),
• alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni sulle impugnazioni del Codice di procedura civile (titolo III, capo I, del libro II), e fatto salvo quanto disposto dal codice del processo tributario (art. 49 d.lgs. 546/1992).
Dal contesto normativo è agevole desumere la specialità del rito tributario. Le disposizioni che prevedono la prevalenza della norma processuale tributaria – ove esistente – su quella del codice di rito ordinario, che si applica solo in via sussidiaria e in quanto compatibile (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 8053/2014 e 14916/2016). Nel caso del ricorso alla Corte Suprema di Cassazione (art. 62 c. 1 d.lgs. 546/1992) è prevista la prevalenza delle norme processuali ordinarie dal momento che non esiste un “giudizio tributario di legittimità”.
Da quanto sopra emerge un regime differenziato tra:
• processo che si svolge dinnanzi alle commissioni tributarie,
• e giudizio civile di legittimità.
Tale differenza incide anche sull’individuazione della disciplina da applicare in caso di notificazione.
Come già ricordato, l’art. 16 c. 2 d. lgs. deroga alle regole disposte dal Codice di procedura civile, facendo salva la disciplina dell’art. 17 d.lgs.
Dal tenore letterale dell’art. 17 d. lgs. emerge che, nel processo tributario, rispetto alla notifica della sentenza di primo grado da eseguire presso il domicilio eletto dalla parte, o, in mancanza di elezione di domicilio, nella residenza o sede dichiarata dalla parte stessa, prevale la facoltà alternativa di eseguire la notifica con consegna in mani proprie quale modalità idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione (ex art. 38 d.lgs.).
Infatti, come sopra ricordato, la Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite ha già avuto modo di sottolineare la specialità del rito tributario rispetto a quello ordinario (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 14916/2016). La disciplina delle notificazioni si estende «con carattere di specialità e, quindi, di prevalenza» alla fase di impugnazione. Tale circostanza emerge anche dalla lettura dell’art. 38 c. 2 d. lgs. che è stato modificato nel 2010 (ex d.l. 40/2010) ed ha operato un espresso richiamo alla disciplina delle notificazioni previste dall’art. 16 d. lgs. cit. Pertanto, la notifica può avvenire:
• seguendo le regole dettate dall’art. 137 c.p.c. e seguenti
• ma anche tramite la notificazione cosiddetta “diretta” (ex art. 16 c. 3 d. lgs.).
Dalla notifica così effettuata decorre il termine di 60 giorni per proporre appello (termine breve) in difetto trova applicazione quanto disposto dall’art. 327 c.p.c. (termine lungo).
Le forme di notificazione diretta: diverse e alternative tra loro
Il regime di notificazione nel processo tributario è speciale rispetto a quello previsto dal codice di rito ordinario e ciò emerge:
• dal già citato art. 16 d. lgs. cit. che rinvia all’art. 17 come eccezione rispetto alla disciplina dettata dall’art. 137 e ss. c.p.c.,
• dalla previsione di una notificazione diretta (art. 16 c. 3 d. lgs. cit.) che può avvenire a) tramite raccomandata ordinaria senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario e non in base alle regole della legge 890/1982, e b) tramite consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
Le forme di notificazione diretta sono diverse e alternative tra loro (Corte Suprema di Cassazione SS.UU. 13452/2017 e 13453/2017; Corte Suprema di Cassazione 299/2020), infatti:
• nella prima (sub a) l’atto in plico è spedito per posta e la prova della ricezione è data dall’avviso di ricevimento;
• nella seconda (sub b) l’atto è consegnato all’impiegato addetto e la prova della consegna è data dalla “ricevuta sulla copia” rilasciata dal ricevente.
Per quanto riguarda, la notifica a mezzo posta nel processo tributario può avvenire:
• secondo le regole dettate dall’art. 149 c.p.c., nel rispetto della legge 890/1982, stante il richiamo operato dall’art. 16 d. lgs. cit all’art. 137 e ss. c.p.c.,
• oppure tramite la notifica diretta del plico raccomandato (art. 16 c. 3 d. lgs.).
La notifica diretta tramite servizio postale universale è caratterizzata da «modalità semplificate che, data anche la spiccata specificità del processo tributario non violano gli artt. 3 e 24 Cost.» (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 13452/2017 e 13453/2017).
Il principio di effettività della tutela giurisdizionale
Un solo precedente della Corte Suprema di Cassazione(1) ha considerato rituale la notificazione dell’atto processuale effettuata presso un ufficio periferico e non presso la sede principale (Corte Suprema di Cassazione 20851/2010). La giurisprudenza(2) considera valida la notifica effettuata presso un ufficio dell’Agenzia delle entrate non territorialmente competente in quanto diverso da quello che ha emesso l’atto impositivo. A tale conclusione si è giunti considerando il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate. «Al tempo stesso, si è dato risalto ai principi di collaborazione e buona fede, in forza dei quali, alla luce del principio di buon andamento (art. 97 Cost.), deve essere improntata l’azione dell’amministrazione pubblica, per cui l’atto del privato che venga indirizzato all’organo esattamente individuato, benché privo di competenza per esigenze organizzative specifiche ad esso, produce gli effetti che la legge gli riconnette, essendo onere dell’ufficio curarne la trasmissione a quello competente». Oltre a ciò, viene in rilievo il principio della tutela dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, in ambito tributario, è codificato dall’art. 10 dello statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000). Il citato orientamento giurisprudenziale ha fatto leva sul principio di effettività della tutela giurisdizionale in virtù del quale occorre ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali; inoltre, si fonda sul carattere impugnatorio del processo tributario che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.
La Corte Suprema di Cassazione mette in evidenza i diversi principi che vengono in rilievo al fine di risolvere la questione sottoposta al suo esame:
• il principio di affidamento del cittadino nel buon andamento della funzione pubblica,
• il carattere impugnatorio del processo tributario,
• la specialità del rito in tema di notificazioni degli atti del processo tributario e, in particolare, della sentenza emessa nel giudizio di merito,
• e il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, “nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito” (Corte Suprema di Cassazione SS.UU. 13453/2017).
In particolare, quest’ultimo principio impone all’interprete di evitare un eccessivo formalismo e trova il proprio punto fermo:
• nelle garanzie costituzionali (artt. 24 e 111 Cost.),
• nelle norme sovranazionali (art. 24 Carta di Nizza, art. 19 TUE, art. 6 CEDU).
I principi di cui sopra hanno trovato espressione nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la notifica della decisione ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso può essere effettuata all’Agenzia delle Entrate presso la sede centrale o presso un ufficio periferico. Infatti, è stata attribuita agli uffici periferici la stessa capacità di stare in giudizio già attribuita agli uffici che hanno emesso l’atto impugnato (Corte Suprema di Cassazione 1954/2020; Corte Suprema di Cassazione 27976/2020).
In relazione alla posizione dell’ente impositore occorre valorizzare quanto disposto dall’art. 11 c. 3 d. lgs. cit., infatti, «anche nel caso dell’ente locale la legge sul processo tributario viene a configurare una legittimazione passiva concorrente,
• sia in capo al legale rappresentante dell’ente stesso (per cui, nel caso del comune, essa farà capo, di norma, al sindaco, salvo diverse previsioni statutarie),
• sia in capo al dirigente ufficio tributi».
La Corte Suprema di Cassazione considera fondato il primo motivo di ricorso, in quanto la notifica effettuata dal contribuente è valida e l’appello del Comune risulta inammissibile perché proposto oltre il termine breve per formulare l’appello. La sentenza della Commissione tributaria regionale viene cassata senza rinvio e le spese compensate tra le parti in ragione della peculiarità della fattispecie oggetto di cognizione.
Infine, viene enunciano il seguente principio di diritto:
• «La notifica, effettuata dal contribuente direttamente tramite il servizio postale, ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, della sentenza di primo grado all’ente locale non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l’atto oggetto del contenzioso, è valida e, quindi, idonea, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma 2, e 51, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, a far decorrere il termine di sessanta giorni per impugnare».
NOTE
[1] La Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite evidenzia come, relativamente alla notifica della sentenza di primo grado effettuata presso l’ufficio periferico dell’ente comunale impositore si rinvenga un solo precedente (Cass. 20851/2010). Tale decisione ha ammesso la validità della notifica indirizzata all’amministrazione in una sede diversa da quella legale, nondimeno, non risolve il problema della validità della consegna a mani anche se non disposta al legale rappresentante dell’ente locale. Altre decisioni hanno dichiarato la nullità della notifica per violazione dell’art. 17 d. lgs. 546/1992 (Cass. 4222/2015; Cass. 4616/2018; Cass. 10776/2018; Cass. 27400/2020).
[2] Cass., 15 dicembre 2004, n. 23349; Cass., 26 gennaio 2008, n. 1925; Cass., 17 dicembre 2008, n. 29465; Cass., 3 luglio 2009, n. 15718; Cass., 30 dicembre 2011, n. 30753; Cass., 21 gennaio 2015, n. 1113; Cass., 11 marzo 2015, n. 4862; Cass., 24 settembre 2015, n. 18936; Cass., 23 ottobre 2015, n. 21593.


L’indirizzo P.E.C. non è valido, cartelle annullate: il pasticcio dell’Agenzia delle entrate

Gli atti che l’Agenzia delle entrate trasmette ai soggetti fiscali mediante posta elettronica certificata (pec) possono essere nulli se inviati da un indirizzo che non appare negli elenchi pubblici. I giudici tributari sono divisi in due, alcune volte danno ragione al contribuente, altre volte all’autorità.
Non è cosa nuova, se ne parla da diversi anni ma il tema ritorna occasionalmente agli onori delle cronache anche perché, con il passare del tempo, non si crea uniformità nel diritto.
La Legge 53/1994, all’articolo 3 bis, sancisce che le notifiche telematiche possono essere fatte soltanto da un indirizzo di posta elettronica certificato che compare negli elenchi pubblici. Nonostante ciò, le Commissioni tributarie italiane ricevono ricorsi basati proprio sulla non idoneità degli indirizzi pec mediante i quali le cartelle sono state inviate.
Il vizio di notifica ha indotto la Commissione tributaria di primo grado competente ad annullare il debito nei confronti dell’erario di un imprenditore assisano, 71 cartelle per un valore di 1,4 milioni di euro. Se gli atti provengono da un indirizzo pec diverso da quello ufficiale presente nei registri pubblici, è come se non fossero mai stati notificati.
I registri pubblici che fanno stato: Ipa, Reginde e Inpec. Un caso per spiegare meglio: lo scorso mese di luglio 2022 la Commissione tributaria di Napoli ha annullato una cartella esattoriale inviata al contribuente dall’indirizzo pec: notifica.acc.campania@pec.agenziariscossione.gov.it, diverso da quello presente nei registri, ossia: protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it.
I legali dei contribuenti, in fase di contestazione delle cartelle, fanno ricorso alla già citata legge 53/1994 e alle numerose sentenze che, di fatto, si limitano a ribadire il contenuto della legge medesima.
L’Agenzia delle entrate replica rispolverando l’articolo 26 del decreto del presidente della Repubblica 602/1973 (modificato nel 2017) nel quale viene specificato che è l’indirizzo pec del destinatario, quello che deve essere presente negli elenchi pubblici. Un ribaltamento di 360° accolto da diverse Commissioni tributarie che escludono la nullità degli atti.
Le Commissioni tributarie che danno ragione all’Agenzia delle entrate ignorano però la sentenza 17346/2019, mediante la quale, la Cassazione conferma la necessità che anche l’indirizzo pec del mittente debba essere inserito negli elenchi pubblici, in caso contrario la notifica al contribuente è viziata ed insanabile.
Manca quindi quell’uniformità che spinge la parte soccombente ad adire le Commissioni tributarie di grado superiore, causando perdite di tempo e costi che si potrebbero risparmiare, oltre alle perdite per l’erario.


Riunione Giunta Esecutiva del 20.08.2022

Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, viene convocata in PRESENZA la riunione della Giunta Esecutiva, che si svolgerà sabato 20 agosto 2022 alle ore 8:30, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1. Approvazione tesseramento 2022/2023;
2. Approvazione quote di iscrizione anno 2023;
3. Attività formativa 2022;
4. Polizza assicurativa;
5. Rinnovo CCNL funzioni locali 2019-2021;
6. Varie ed eventuali.

Leggi:  GE 20 08 2022 Documentazione

Leggi: GE 20 08 2022 Verbale


Sì al secondo lavoro ma non per gli statali.

Orario programmato o il dipendente potrà rifiutarsi di lavorare
l datore di lavoro non potrà impedire ai propri dipendenti di svolgere un’altra attività al di fuori dell’orario di lavoro. Ma attenzione, questa norma non si applicherà ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per i quali resterà valido quanto previsto dall’articolo 53 del decreto legislativo 165 del 2001 in materia di incompatibilità e cumulo di incarichi.
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 104 del 2022, che attua la Direttiva europea relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione. Un provvedimento denso di novità per i lavoratori sia pubblici che privati. Il decreto entrerà in vigore dal 13 agosto 2022, e le novità che introduce non sono affatto poche.
Lo scopo della direttiva recepita attraverso il decreto legislativo del governo è quello di migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più trasparente e soprattutto “prevedibile”. I lavoratori devono essere messi nelle condizioni di avere pieno accesso alle informazioni che riguardano il loro rapporto di lavoro. Dunque, il datore dovrà innanzitutto comunicare al dipendente, in modo chiaro e completo, una serie di informazioni che riguardano il rapporto di lavoro. Si tratta per molti versi di informazioni standard: l’inquadramento, la qualifica, la data di inizio del rapporto di lavoro, il periodo di prova, la durata delle ferie, i congedi retribuiti ai quali si ha diritto, la retribuzione, le modalità di pagamento. Ma ci sono alcune novità contenute nel decreto legislativo che attuano la direttiva europea, che non sono di poco conto. Come la “programmazione” dell’orario di lavoro.
Dunque, fra le informazioni “essenziali” da dare al dipendente, c’è quella della “programmazione dell’orario ordinario di lavoro”. Il provvedimento prevede che debba essere comunicata al lavoratore la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile. Se non è possibile prevedere un orario di lavoro programmato, il lavoratore dovrà essere informato sulla “variabilità” della programmazione del lavoro, sul periodo minimo di preavviso e sulle ore e i giorni di riferimento. Senza queste comunicazioni il dipendente può anche rifiutarsi di svolgere le proprie mansioni “senza subire pregiudizio”. Ed ancora. Il lavoratore dovrà poter pianificare la propria attività. Se gli viene affidato un incarico che poi viene revocato o non più richiesto, il datore dovrà dare un preavviso “congruo” della revoca. Senza un periodo “ragionevole” di preavviso, il dipendente avrà diritto a una somma a titolo di compensazione non inferiore al 50 per cento della cifra convenuta per la prestazione annullata. Inoltre, i lavoratori con anzianità di servizio di sei mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente e che abbia completato l’eventuale periodo di prova, può chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile. Ma anche per questa disposizione c’è una esclusione espressa per i dipendenti pubblici.
I dipendenti, come detto, potranno avere anche un secondo lavoro al di fuori dell’orario lavorativo alle dipendenze del proprio datore. Quest’ultimo non potrà vietarlo, a meno che questo secondo lavoro non comporti rischi per la salute e la sicurezza del dipendente o nel caso vi sia un conflitto di interessi tra le due attività.
La norma spiega poi che, per i dipendenti pubblici, resta in vigore quanto previsto dall’articolo 53 del decreto legislativo 165 del 2001. Il comma sette dell’articolo 53 del decreto 165 prevede che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione deve verificare l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi.