Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 18/10/2022) 16/12/2022, n. 36894

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3908-2021 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (Omissis), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

MAXIMILIANKAUTOMOBILI Srl IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1450/16/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata il 02/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/10/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

Svolgimento del processo
L’Agenzia delle entrate ricorre avverso la sentenza della CTR per la Lombardia che ha confermato la pronuncia della CTP di Milano, ove sono state accolte le ragioni della parte contribuente in tema di firma digitale. Più in particolare, entrambi i collegi di merito rilevavano il vizio di sottoscrizione dell’atto impositivo, privo di autografo, ma indicato come copia conforme ad originale informatico sottoscritto digitalmente ed archiviato su supporto parimenti digitale di conservazione.

Il ricorso è affidato ad unico motivo, mentre è rimasta intimata la parte contribuente.

Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.Lgs. n. 82 del 2005, artt. 2 e 23 in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56. Più in particolare, il patrono erariale censura l’interpretazione degli articoli precitati che ritiene inapplicabili le disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale e della relativa sottoscrizione “all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e controllo fiscale”, intendendo con ciò anche gli atti impositivi e non solo quelli prodromici di ispezione e controllo.

Sul punto è intervenuta questa Corte, affermando che la citata disposizione limitativa riguarda solo le attività di controllo, ma non quelle di accertamento ovvero l’atto impositivo. Ed infatti, rileva, innanzitutto, sul piano terminologico che gli atti impositivi non rientrano tra gli atti emessi “nell’esercizio” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive propedeutiche all’esercizio del potere di accertamento e di irrogazione di sanzioni, bensì tra gli atti eventualmente emessi “all’esito” delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, attività che potrebbero anche concludersi con un esito favorevole per il contribuente, e quindi senza l’emissione di un atto impositivo.

La distinzione tra l’attività accertativa e quella preliminare di verifica e controllo risulta poi immanente nella normativa fiscale vigente.

In tema di imposte dirette, la definizione in termini distintivi è presente già nella rubrica del titolo quarto del D.P.R. n. 600 del 1973, denominato “Accertamento e controllo”; le attività di controllo sono autonomamente regolate agli artt. 32 e 33 dello stesso decreto, si realizzano attraverso accessi, ispezioni e verifiche, inviti a comparire e richieste di documentazione che richiedono una diretta interlocuzione con il contribuente, prevedono la cooperazione della Guardia di Finanza nonchè di qualsiasi altro soggetto pubblico incaricato istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza. Prerogativa esclusiva dell’Amministrazione finanziaria è invece l’adozione degli atti impositivi, di cui agli artt. 36-bis, 36-ter, 38, 39 ecc., che hanno ad oggetto la liquidazione delle imposte o delle maggiori imposte e delle eventuali sanzioni. Anche il D.P.R. n. 633 del 1972, in tema di IVA, regola separatamente all’art. 52 gli accessi, ispezioni e verifiche ed agli artt. 54 e ss. le rettifiche e gli accertamenti. Lo Statuto del contribuente, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, all’art. 12, comma 7, conferma la distinzione delle due attività imponendo, a pena di illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, l’osservanza di un termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al soggetto nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.

Correttamente la rado dell’esclusione degli atti propedeutici all’esercizio del potere di accertamento è stata rinvenuta nel fatto che nell’ambito di tali attività di verifica si impone la partecipazione del contribuente che potrebbe non essere munito di firma digitale, sicchè l’applicazione del CAD determinerebbe un aggravio dei suoi diritti di difesa ed un ostacolo al rapporto di collaborazione che dovrebbe sempre ispirare tali incombenti.

Non da ultimo va evidenziato che l’interpretazione contraria proposta dalla CTR si porrebbe in disarmonia con la volontà del legislatore come manifestata negli interventi normativi successivi (cfr. Cass. V, n. 1557/2021).

L’orientamento ha trovato continuità, affermandosi che l’avviso di accertamento firmato digitalmente nel regime di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 2, comma 6, (“ratione temporis” vigente dal 14 settembre 2016 fino al 26 gennaio 2018), non è nullo per difetto di sottoscrizione, posto che l’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi (cfr. Cass. VI-5, n. 32692/2021).

Pertanto, il ricorso è fondato e merita accoglimento.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo grado per la Regione Lombardia in diversa composizione, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2022


Il Garante per la protezione dei dati personali; provvedimento n. 419 del 15.12.2022

Leggi: garante-privacy-provvedimento-419-2022 pdf


BUONE FESTE!!!


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 13/10/2022) 29/11/2022, n. 35022

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22607/2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Filippo Corridoni 19 presso lo studio dell’avvocato De Francesco Giandomenico, che si rappresenta e difende in proprio;

– ricorrente –

contro

B.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Scrofa 47 presso lo studio dell’avvocato Lucio Anelli, che lo rappresenta e difende unitamente gli avvocati Michael Longo e Gianluca Tessier;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2117/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 23/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2022 dal cons. Lina RUBINO.

Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c. l’avv. A.A. convenne in giudizio il sig. B.B. in qualità di liquidatore della società Jesoloestate Srl , per sentirlo condannare al risarcimento del danno ex art. 2941 c.c., (rectius, art. 2491), u.c., in ragione del credito vantato dall’attore nei confronti della società in liquidazione.

2. Espose l’attore di essere creditore della società in liquidazione per la somma di Euro 26.599,78 e di aver inutilmente esperito l’azione esecutiva presso terzi; agì, pertanto, per l’accertamento della responsabilità personale del liquidatore per aver provveduto allo scioglimento e alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese senza aver preventivamente provveduto al pagamento del credito del A.A., avendogli reso in tal modo impossibile il recupero del credito dalla società estinta.

3. Il convenuto rimase contumace.

4. Il Tribunale di Venezia, in accoglimento della domanda attorea, accertò con la sentenza n. 567/2017 la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2495 c.c. in relazione all’art. 2491 c.c., u.c., ritenendo che il liquidatore, già socio e amministratore unico della società debitrice, non potesse non essere a conoscenza dell’esposizione debitoria della società verso l’attore al momento della richiesta della cancellazione dal Registro delle Imprese. Per l’effetto, condannò il sig. B.B. al pagamento della somma di Euro 26.599,78 oltre interessi legali ed al rimborso delle spese di lite.

5.Avverso tale decisione ha proposto appello l’B.B., deducendo preliminarmente la nullità della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado nonchè della sentenza di primo grado e, nel merito, l’assenza di responsabilità in capo al liquidatore medesimo con riferimento alla cancellazione della società debitrice dal registro delle imprese.

6.La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 2117/2019, pubblicata il 23.5.2019, notificata il 30.5.2019, qui impugnata, ha dichiarato la nullità della notificazione della sentenza n. 567/2017 munita della formula esecutiva e del contestuale atto di precetto, nonchè della notifica dell’atto di citazione di primo grado e degli atti conseguenti. Per l’effetto, ha rimesso la causa avanti al Tribunale di Venezia.

7.L’avv. A.A. propone ricorso per cassazione notificato il 24 luglio 2019, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso illustrato da memoria il sig. B.B.. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. Il Pubblico Ministero non ha presentato conclusioni scritte.

Motivi della decisione
1.Preliminarmente, il controricorrente deduce l’inammissibilità del ricorso, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero per mancanza della sommaria esposizione dei fatti di causa, segnalando che il ricorrente non ne elabora una propria, autonoma ricostruzione, ma si limita a riportare testualmente la parte di esposizione dedicata al fatto contenuta nella sentenza di appello.

2. Il controricorrente eccepisce inoltre, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per omessa indicazione degli atti e dei documenti su cui si fonda il ricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso, prospettando la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 143 c.p.c., il ricorrente censura la gravata decisione nella parte in cui ha ritenuto non rispettose dei precetti normativi tanto la notificazione ex art. 143 c.p.c. della sentenza di primo grado in forma esecutiva e dell’atto di precetto, quanto la notificazione, anch’ essa eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c., dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado. Sottolinea, in particolare, l’adeguatezza delle ricerche svolte al fine di reperire le informazioni relative alla residenza, al domicilio ed alla dimora del convenuto, avuto riguardo al criterio dell’ordinaria diligenza richiesta al notificante valutata in relazione ai parametri di normalità e buona fede di cui all’art. 1147 c.c., avendo richiesto, e poi fornito all’ufficiale giudiziario, il certificato di residenza dell’B.B., indicante la sua ultima residenza conosciuta, ed avendo l’ufficiale giudiziario ivi tentato la notifica, non giunta a buon fine in quanto il destinatario risultava trasferito, nonchè acquisito informazioni dai vicini, delle quali aveva verbalizzato l’esito negativo, in ordine al luogo di trasferimento del destinatario (v. pag. 12 del ricorso), e solo dopo il compimento di tali adempimenti avendo provveduto ad eseguire la notifica ex art. 143 c.p.c..

Precisa, altresì, che il rapporto professionale pregresso tra le parti, cessato molti anni addietro, non può essere considerato indice della possibilità di effettuare ricerche maggiormente accurate atteso il lungo periodo intercorso tra la cessazione del rapporto professionale e l’avvio del procedimento.

Evidenzia, parimenti, che il fatto che il ricorrente avesse proceduto a costituire in pegno le quote sociali della società di cui il resistente risultava amministratore unico ed unico socio e che quest’ultimo avesse attivato il servizio “seguimi” di Poste Italiane a nulla rileva ai fini della corretta individuazione della sua effettiva dimora o domicilio.

4. Con il secondo motivo, prospettando la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 326 e 327 c.p.c., il ricorrente si duole della tardività dell’appello, notificato in data 25.9.2017, a fronte della notifica della sentenza di primo grado avvenuta ex art. 143 c.p.c. il 30.5.2017, oltre il termine breve di impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c. ed in ogni caso, oltre il termine lungo di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., erroneamente indicato in un anno dalla Corte di Appello di Venezia.

5. Il rilievo relativo alla violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per omissione della sommaria esposizione dei fatti di causa, è infondato.

Non può ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione che, in luogo di formulare una autonoma ricostruzione dei fatti di causa, ai fini della sommaria esposizione di essi, riproduca l’esposizione in fatto contenuta nella sentenza d’appello laddove, come nella specie, essa sia funzionale all’uso cui la esposizione sommaria è destinata, ovvero se la predetta esposizione dei fatti non è sovrabbondante ed è sufficientemente chiara allo scopo di ricostruire la vicenda processuale.

6.Il rilevo preliminare denunciante l’omessa indicazione degli atti e documenti su cui si fonda il ricorso e della loro collocazione, deve ritenersi privo di pregnanza, per le ragioni che seguono.

Il primo motivo di ricorso è volto in principalità a censurare la decisione della corte territoriale in ordine alla tempestività dell’appello, in quanto l’appello proposto è stato ritenuto tempestivo sul presupposto che la notifica della sentenza di primo grado fosse invalida.

L’esposizione in fatto contenuta nella sentenza impugnata, riprodotta – legittimamente, come si è detto – nel ricorso, consente di esaminare il motivo senza aver bisogno di esaminare la relata di notifica della sentenza unitamente al precetto, in quanto dalla testuale riproduzione della esposizione in fatto del provvedimento impugnato emerge che la prospettazione della nullità sia della notificazione della citazione sia della nullità della notificazione della sentenza di primo grado era stata fatta dalla parte qui resistente adducendo che “le minimali informazioni assunte dall’Ufficiale giudiziario all’atto delle notifiche ex art. 143 c.p.c. non appaiono soddisfare il criterio di normale diligenza alla luce, etc.”.

La corte d’appello ha dunque giudicato sulla base di una prospettazione in fatto che presupponeva l’avvenuta notifica della sentenza (ed anche della citazione: questione, peraltro, che la sentenza esamina negli stessi termini solo a pag. 14, per rilevare la nullità della notificazione della citazione) ai sensi dell’art. 143 c.p.c., sulla base di informazioni assunte dall’Ufficiale Giudiziario, sebbene prospettate come “minimali”. Quella corte ha dunque giudicato della validità delle notifiche effettuate ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in una situazione in cui l’Ufficiale Giudiziario si era recato nella località di ultima residenza del destinatario, aveva tentato la notifica, aveva riscontrato che il destinatario non abitava più sul posto ed aveva effettuato delle ricerche in loco, per appurare il luogo di trasferimento. Aveva dunque svolto adeguatamente il suo compito, nè la notifica, successivamente effettuata ex art. 143 c.p.c. poteva ritenersi invalida.

Il primo motivo è fondato, non avendo la corte di merito fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale “Il ricorso alle formalità di notificazione previste dall’art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la invalidità di una notificazione ex art. 143 c.p.c. la cui relata recava la mera indicazione di “vane ricerche eseguite sul posto” dall’ufficiale giudiziario, senza la specificazione delle concrete attività a tal fine compiute)” (Cass. n. 40467 del 2021).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini della notificazione ex art. 143 c.p.c., l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (Cass. n. 8638 del 2017). Il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Cass. n. 24107 del 2016), il che val quanto dire, come affermato da Cass. n. 18385 del 2003, che “l’ufficiale giudiziario debba comunque preliminarmente concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione.

La notifica della sentenza di primo grado doveva ritenersi regolarmente eseguita, alla luce dei principi che precedono. Il primo motivo che in realtà si occupa solo della notifica della sentenza quanto alla motivazione anche critica è pertanto fondato.

Dall’accoglimento del primo motivo discende l’assorbimento del secondo, nonchè ai sensi dell’art. 382 c.p.c., la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, in quanto l’appello, notificato in data 25.9.2017 avverso la sentenza notificata in data 30 maggio 2017, era tardivo, essendo stato notificato ampiamente oltre il termine breve di trenta giorni fissato dall’art. 325 c.p.c..

Le spese di lite, del giudizio di legittimità e del giudizio di appello, seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Pone le spese di lite a carico del controricorrente e le liquida, quanto al giudizio di appello, in Euro 3.000,00 oltre 200,00 per esborsi, e quanto al giudizio di legittimità in Euro 4.200,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali, iva ed accessori.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 13 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2022


Notifica tardiva del verbale: l’indirizzo errato al PRA non giustifica la PA

ll GdP di Alessandria accoglie il ricorso del contravventore perché il verbale gli è stato notificato oltre il termine di 90 giorni, non si può giustificare la PA che adduce a sua giustificazione l’indirizzo errato al PRA.
Non è certo colpa della ricorrente a cui è stata contestata la violazione del superamento del semaforo rosso, se la PA ha tardato nel notificargli il verbale. Il cambio di residenza è stato comunicato regolarmente dalla stessa al PRA, per cui il ritardo è da imputare solo alla Pubblica Amministrazione.
Questo quanto sancito dal Giudice di Pace di Alessandria nella sentenza n. 478/2022 (sotto riportata) che ha accolto il ricorso intrapreso dalla ricorrente.
Spetta alla PA attivarsi per verificare l’indirizzo di notifica
La conducente di un autoveicolo ricorre contro il verbale con il quale le è stata contestata la violazione dell’art. 146 comma 3 CdS, per essere passata nonostante il semaforo rosso. Violazione accertata tramite apparecchiatura elettronica.
Nel ricorso la donna contesta in via preliminare la tardività della notifica.
Il Giudice di Pace accoglie il ricorso in quanto lo stesso è stato portato alla notifica oltre il termine dei 90 giorni previsto dall’art. 201 del Codice della Strada a pena di decadenza.
Non regge la giustificazione addotta dalla PA, ossia che al PRA l’indirizzo a cui notificare il verbale risultasse errato.
La ricorrente ha infatti dimostrato, producendo il certificato storico di residenza, che la stessa ha provveduto a comunicare la variazione anagrafica in data 15.03.2021, per cui il ritardo nella trasmissione del cambio della residenza al PRA è attribuibile alla Pubblica Amministrazione.

Leggi: Giudice di Pace n. 478-2022 Alessandria


Sottoscritto il testo definitivo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Comparto Funzioni locali per il triennio 2019-2021

Il 16 novembre è stato sottoscritto in via definitiva il contratto per gli oltre 430.000 dipendenti degli Enti Locali, relativo al triennio 2019-2021.

Già dal prossimo mese di dicembre i lavoratori e le lavoratrici riceveranno in busta paga gli arretrati relativi agli incrementi salariali decorrenti dall’1-1-2019, pari complessivamente a circa il 5%, di cui il 3,78% sul tabellare.

Oltre all’aumento salariale, i punti salienti del rinnovo si possono identificare nel rafforzamento delle relazioni sindacali, nel miglioramento di alcuni istituti relativi ai congedi, nella disciplina del lavoro agile e da remoto e, soprattutto, nella riforma dell’ordinamento professionale e nel nuovo sistema di classificazione; di rilievo è anche l’introduzione dei differenziali stipendiali, in sostituzione del vecchio sistema delle fasce economiche all’interno delle categorie; per l’Area degli Operatori Esperti (già Cat. B) tali differenziali sono in numero massimo di 5 per un valore di € 650 ciascuno. Per i messi comunali e notificatori, prevalentemente ancora inquadrati in categoria B, il nuovo sistema di classificazione riveste particolare interesse: aldilà della trasposizione automatica dalla cat. B (1 e 3) all’area degli operatori esperti, per il personale in servizio c’è il vantaggio di poter accedere ai differenziali economici mantenendo la differenza retributiva di maggior favore già acquisita, cui andranno a sommarsi le quote di salario (differenziali) derivanti dalle successive progressioni economiche.

Da sottolineare anche le modifiche al sistema di accesso: per l’area degli operatori esperti è richiesto il possesso di un titolo (ad esempio una specifica qualificazione professionale) superiore a quello oggi previsto per l’accesso alla cat. B che è la scuola dell’obbligo; così pure il passaggio dall’area degli Operatori Esperti a quella degli Istruttori (ex cat. C) potrà avvenire, oltre che col possesso del titolo di scuola superiore di 2° grado e 5 anni di esperienza, con l’assolvimento dell’obbligo scolastico e una esperienza di almeno 8 anni nella categoria/area inferiore. In sede di contrattazione aziendale, compatibilmente con le risorse a tal fine destinate, saranno stabilite col confronto le modalità e le percentuali dei passaggi. Le graduatorie per l’accesso all’area superiore saranno formulate tenendo conto del titolo di studio, dell’esperienza maturata nell’area di provenienza e delle competenze professionali acquisite nei contesti lavorativi e mediante percorsi formativi.

Il nostro auspicio è che, in sede di confronto, le delegazioni sindacali svolgano un’adeguata azione nei confronti delle controparti, affinché le amministrazioni comunali riconoscano che la figura dell’agente notificatore, a seguito della evoluzione anche relativa alle nuove tecnologie, possa essere definitivamente collocata, nelle rispettive dotazioni organiche, nell’ Area degli Istruttori, posto anche il venir meno della declaratoria ex d.p.r. 347/83 che, inserendo il messo comunale nella esemplificazione degli appartenenti alla IV^ q.f., aveva in qualche modo limitato la scelta nell’inquadramento di tale profilo professionale.

Leggi: CCNL Comparto Funzioni Locali 2019-2021 – 16.11.2022


Riunione del Consiglio Generale del 17.12.2022

Ai sensi dell’art. 15 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà sabato 17 dicembre 2022 in modalità webinar alle ore 8:30 in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2022/2023;
  2. Attività formativa 2022/2023;
  3. Attività amministrativa;
  4. Piattaforma Nazionale delle notifiche;
  5. Varie ed eventuali.

Le modalità di accesso alla riunione verranno comunicate tramite mail 3 giorni prima dell’evento.
Leggi: Documentazione Riunione on line del GE e CG 17 12 2022
Leggi: CG 17 12 2022 Verbale


Cabina regia riunione


Art. 213 Misura cautelare del sequestro e sanzione accessoria della confisca amministrativa

Decreto legislativo 30/04/1992, n. 285
Nuovo codice della strada.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 maggio 1992, n. 114, S.O.

Art. 213 Misura cautelare del sequestro e sanzione accessoria della confisca amministrativa 1414

In vigore dal 10 novembre 2021

  1. Nell’ipotesi in cui il presente codice prevede la sanzione accessoria della confisca amministrativa, l’organo di polizia che accerta la violazione provvede al sequestro del veicolo o delle altre cose oggetto della violazione facendone menzione nel verbale di contestazione della violazione.
  2. Nelle ipotesi di cui al comma 1, il proprietario o, in caso di sua assenza, il conducente del veicolo o altro soggetto obbligato in solido, è sempre nominato custode con l’obbligo di depositare il veicolo in un luogo di cui abbia la disponibilità o di custodirlo, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio, provvedendo al trasporto in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale. Il documento di circolazione è trattenuto presso l’ufficio di appartenenza dell’organo di polizia che ha accertato la violazione. Il veicolo deve recare segnalazione visibile dello stato di sequestro con le modalità stabilite nel regolamento. Di ciò è fatta menzione nel verbale di contestazione della violazione.
  3. Nelle ipotesi di cui al comma 5, qualora il soggetto che ha eseguito il sequestro non appartenga ad una delle Forze di polizia di cui all’articolo 16 della legge 1° aprile 1981, n. 121, le spese di custodia sono anticipate dall’amministrazione di appartenenza. La liquidazione delle somme dovute alla depositeria spetta alla prefettura-ufficio territoriale del Governo. Divenuto definitivo il provvedimento di confisca, la liquidazione degli importi spetta all’Agenzia del demanio, a decorrere dalla data di ricezione del provvedimento adottato dal prefetto.1417
  4. È sempre disposta la confisca del veicolo in tutti i casi in cui questo sia stato adoperato per commettere un reato, diverso da quelli previsti nel presente codice, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne.
  5. All’autore della violazione o ad uno dei soggetti con il medesimo solidalmente obbligati che rifiutino ovvero omettano di trasportare o custodire, a proprie spese, il veicolo, secondo le prescrizioni fornite dall’organo di polizia, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.8141416 ad euro 7.2611416, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi. In caso di violazione commessa da minorenne, il veicolo è affidato in custodia ai genitori o a chi ne fa le veci o a persona maggiorenne appositamente delegata, previo pagamento delle spese di trasporto e custodia. Quando i soggetti sopra indicati si rifiutino di assumere la custodia del veicolo o non siano comunque in grado di assumerla, l’organo di polizia dispone l’immediata rimozione del veicolo e il suo trasporto presso uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis. Di ciò è fatta menzione nel verbale di contestazione della violazione. Il veicolo è trasferito in proprietà al soggetto a cui è consegnato, senza oneri per l’erario, quando, decorsi cinque giorni dalla comunicazione di cui al periodo seguente, l’avente diritto non ne abbia assunto la custodia, pagando i relativi oneri di recupero e trasporto. Del deposito del veicolo è data comunicazione mediante pubblicazione nel sito internet istituzionale della prefettura-ufficio territoriale del Governo competente; la medesima comunicazione reca altresì l’avviso che, se l’avente diritto non assumerà la custodia del veicolo nei successivi cinque giorni, previo pagamento dei relativi oneri di recupero e custodia, il veicolo sarà alienato anche ai soli fini della sua rottamazione. La somma ricavata dall’alienazione è depositata, sino alla definizione del procedimento in relazione al quale è stato disposto il sequestro, in un autonomo conto fruttifero presso la tesoreria dello Stato. In caso di confisca, questa ha ad oggetto la somma depositata; in ogni altro caso la medesima somma è restituita all’avente diritto. Nel caso di veicoli sequestrati in assenza dell’autore della violazione, per i quali non sia stato possibile rintracciare contestualmente il proprietario o altro obbligato in solido, e affidati a uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis, il verbale di contestazione, unitamente a quello di sequestro recante l’avviso ad assumerne la custodia, è notificato senza ritardo dall’organo di polizia che ha eseguito il sequestro. Contestualmente, il medesimo organo di polizia provvede altresì a dare comunicazione del deposito del veicolo presso il soggetto di cui all’articolo 214-bis mediante pubblicazione di apposito avviso nell’albo pretorio del comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione. Qualora, per comprovate difficoltà oggettive, non sia stato possibile eseguire la notifica e il veicolo risulti ancora affidato a uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis, la notifica si ha per eseguita nel trentesimo giorno successivo a quello di pubblicazione della comunicazione di deposito del veicolo nell’albo pretorio del comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione.1418
  6. Fuori dei casi indicati al comma 5, entro i trenta giorni successivi alla data in cui, esauriti i ricorsi anche giurisdizionali proposti dall’interessato o decorsi inutilmente i termini per la loro proposizione, è divenuto definitivo il provvedimento di confisca, il custode del veicolo trasferisce il mezzo, a proprie spese e in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale, presso il luogo individuato dal prefetto ai sensi delle disposizioni dell’articolo 214-bis. Decorso inutilmente il suddetto termine, il trasferimento del veicolo è effettuato a cura dell’organo accertatore e a spese del custode, fatta salva l’eventuale denuncia di quest’ultimo all’autorità giudiziaria qualora si configurino a suo carico estremi di reato. Le cose confiscate sono contrassegnate dal sigillo dell’ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale che ha proceduto al sequestro. Con decreto dirigenziale, di concerto fra il Ministero dell’interno e l’Agenzia del demanio, sono stabilite le modalità di comunicazione, tra gli uffici interessati, dei dati necessari all’espletamento delle procedure di cui al presente articolo.
  7. Avverso il provvedimento di sequestro è ammesso ricorso al prefetto ai sensi dell’articolo 203. Nel caso di rigetto del ricorso, il sequestro è confermato. La declaratoria di infondatezza dell’accertamento si estende alla misura cautelare ed importa il dissequestro del veicolo ovvero, nei casi indicati al comma 5, la restituzione della somma ricavata dall’alienazione. Quando ne ricorrono i presupposti, il prefetto dispone la confisca con l’ordinanza ingiunzione di cui all’articolo 204, ovvero con distinta ordinanza, stabilendo, in ogni caso, le necessarie prescrizioni relative alla sanzione accessoria. Il prefetto dispone la confisca del veicolo ovvero, nel caso in cui questo sia stato alienato, della somma ricavata. Il provvedimento di confisca costituisce titolo esecutivo anche per il recupero delle spese di trasporto e di custodia del veicolo.1419
  8. Il soggetto che ha assunto la custodia il quale, durante il periodo in cui il veicolo è sottoposto al sequestro, circola abusivamente con il veicolo stesso o consente che altri vi circolino abusivamente è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.9841416 ad euro 7.9371416. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente. L’organo di polizia dispone l’immediata rimozione del veicolo e il suo trasporto presso uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis. Il veicolo è trasferito in proprietà al soggetto a cui è consegnato, senza oneri per l’erario. 1421
  9. La sanzione stabilita nel comma 1 non si applica se il veicolo appartiene a persone estranee alla violazione amministrativa.
  10. Il provvedimento con il quale è stata disposta la confisca del veicolo è comunicato dal prefetto all’ufficio competente del Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali e del personale per l’annotazione al P.R.A.1415

10-bis. Il provvedimento con il quale è disposto il sequestro del veicolo è comunicato dall’organo di polizia procedente ai competenti uffici del Dipartimento per la mobilità sostenibile di cui al comma 10 per l’annotazione al PRA. In caso di dissequestro, il medesimo organo di polizia provvede alla comunicazione per la cancellazione dell’annotazione nell’Archivio nazionale dei veicoli e al PRA.1420

________

1414Articolo modificato dall’art. 112, comma 1, lett. a), D.Lgs. 10 settembre 1993, n. 360, a decorrere dal 1° ottobre 1993, dall’art. 19, comma 5, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, dall’art. 1, D.M. 24 dicembre 2002, a decorrere dal 1° gennaio 2003, dall’art. 38, comma 1, lett. a), nn. 1), 2), 3) e 4), D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, dall’art. 1, D.M. 22 dicembre 2004, dall’art. 195, comma 3-bis del presente codice, a decorrere dal 1° gennaio 2005, dall’art. 5-bis, comma 1, lett. c), nn. 1) e 2), D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 agosto 2005, n. 168, dall’art. 2, comma 169, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, dall’art. 1, comma 1, D.M. 29 dicembre 2006, a decorrere dal 1° gennaio 2007, dall’art. 1, comma 1, D.M. 17 dicembre 2008, a decorrere dal 1° gennaio 2009, dall’art. 1, comma 1, D.M. 22 dicembre 2010, a decorrere dal 1° gennaio 2011, dall’art. 1, comma 1, D.M. 19 dicembre 2012, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dall’art. 1, comma 1, D.M. 16 dicembre 2014, a decorrere dal 1° gennaio 2015, e dall’art. 1, comma 1, D.M. 20 dicembre 2016, a decorrere dal 1° gennaio 2017. Successivamente, il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 23-bis, comma 1, lett. a), D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla L. 1° dicembre 2018, n. 132.

1415Comma così modificato dall’art. 5, comma 1, lett. i), D.Lgs. 29 maggio 2017, n. 98, a decorrere dal 1° gennaio 2020 ai sensi di quanto disposto dall’art. 7, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 98/2017, come modificato dall’art. 1, comma 1140, lett. b), L. 27 dicembre 2017, n. 205 e dall’art. 1, comma 1135, lett. b), n. 2), L. 30 dicembre 2018, n. 145.

1416Importo escluso dall’adeguamento previsto dall’art. 1, comma 1, D.M. 27 dicembre 2018, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del medesimo D.M. 27 dicembre 2018. Successivamente, il presente importo è stato così aggiornato dall’art. 1, comma 1, D.M. 31 dicembre 2020, a decorrere dal 1° gennaio 2021.

1417Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), n. 1), D.L. 10 settembre 2021, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 novembre 2021, n. 156.

1418Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), nn. 2.1) e 2.2), D.L. 10 settembre 2021, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 novembre 2021, n. 156.

1419Comma così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), n. 3), D.L. 10 settembre 2021, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 novembre 2021, n. 156.

1420Comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), n. 4), D.L. 10 settembre 2021, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 novembre 2021, n. 156.

1421La Corte costituzionale, con ordinanza 24 giugno – 20 luglio 2021, n. 159 (Gazz. Uff. 21 luglio 2021, n. 29, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 8, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.


Nuovo art. 213 del c.d.s.

Circolare A.N.N.A. 2022-003
Codice della strada –
Art. 213

Misura cautelare del sequestro e sanzione accessoria della confisca amministrativa

Nel 2003 è stato modificato l’art. 213 del Codice della Strada con l’introduzione del comma 2 quater, sollevando molte perplessità tra gli addetti di Polizia Stradale e tra coloro che dovevano notificare gli atti relativi, ovvero disporre la pubblicazione di quanto inviavano gli organi di polizia ai Comuni.

Prendiamo atto che nel dicembre 2018 tali modifiche sono state abrogate dal D.L. n. 113 del 04/10/2018 (il c.d. decreto sicurezza 1), convertito con modificazioni dalla L. n. 132 dell’01/12/2018, n. 132.

Per alcuni anni non è esistita più una norma che prevedesse la pubblicazione di qualsivoglia tipologia di documento all’Albo on Line del Comune sede della depositeria che “ospitava” il veicolo sequestrato.

Nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 10.9.2021, convertito in L. 9.11.2021, n. 156 si prevede:

  1. Nell’ipotesi in cui il presente codice prevede la sanzione accessoria della confisca amministrativa, l’organo di polizia che accerta la violazione provvede al sequestro del veicolo o delle altre cose oggetto della violazione facendone menzione nel verbale di contestazione della violazione.
  2. Nelle ipotesi di cui al comma 1, il proprietario o, in caso di sua assenza, il conducente del veicolo o altro soggetto obbligato in solido, è sempre nominato custode con l’obbligo di depositare il veicolo in un luogo di cui abbia la disponibilità o di custodirlo, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio, provvedendo al trasporto in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale. Il documento di circolazione è trattenuto presso l’ufficio di appartenenza dell’organo di polizia che ha accertato la violazione. Il veicolo deve recare segnalazione visibile dello stato di sequestro con le modalità stabilite nel regolamento. Di ciò è fatta menzione nel verbale di contestazione della violazione.
  3. Nelle ipotesi di cui al comma 5, qualora il soggetto che ha eseguito il sequestro non appartenga ad una delle Forze di polizia di cui all’articolo 16 della legge 1° aprile 1981, n. 121, le spese di custodia sono anticipate dall’amministrazione di appartenenza. La liquidazione delle somme dovute alla depositeria spetta alla prefettura-ufficio territoriale del Governo. Divenuto definitivo il provvedimento di confisca, la liquidazione degli importi spetta all’Agenzia del demanio, a decorrere dalla data di ricezione del provvedimento adottato dal prefetto.
  4. È sempre disposta la confisca del veicolo in tutti i casi in cui questo sia stato adoperato per commettere un reato, diverso da quelli previsti nel presente codice, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne.
  5. All’autore della violazione o ad uno dei soggetti con il medesimo solidalmente obbligati che rifiutino ovvero omettano di trasportare o custodire, a proprie spese, il veicolo, secondo le prescrizioni fornite dall’organo di polizia, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.814 a euro 7.261, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre mesi. In caso di violazione commessa da minorenne, il veicolo è affidato in custodia ai genitori o a chi ne fa le veci o a persona maggiorenne appositamente delegata, previo pagamento delle spese di trasporto e custodia. Quando i soggetti sopra indicati si rifiutino di assumere la custodia del veicolo o non siano comunque in grado di assumerla, l’organo di polizia dispone l’immediata rimozione del veicolo e il suo trasporto presso uno dei soggetti di cui all’articolo 214 bis. Di ciò è fatta menzione nel verbale di contestazione della violazione. Il veicolo è trasferito in proprietà al soggetto a cui è consegnato, senza oneri per l’erario, quando, decorsi cinque giorni dalla comunicazione di cui al periodo seguente, l’avente diritto non ne abbia assunto la custodia, pagando i relativi oneri di recupero e trasporto. Del deposito del veicolo è data comunicazione mediante pubblicazione nel sito internet istituzionale della prefettura-ufficio territoriale del Governo competente; la medesima comunicazione reca altresì l’avviso che, se l’avente diritto non assumerà la custodia del veicolo nei successivi cinque giorni, previo pagamento dei relativi oneri di recupero e custodia, il veicolo sarà alienato anche ai soli fini della sua rottamazione. La somma ricavata dall’alienazione è depositata, sino alla definizione del procedimento in relazione al quale è stato disposto il sequestro, in un autonomo conto fruttifero presso la tesoreria dello Stato. In caso di confisca, questa ha ad oggetto la somma depositata; in ogni altro caso la medesima somma è restituita all’avente diritto. Nel caso di veicoli sequestrati in assenza dell’autore della violazione, per i quali non sia stato possibile rintracciare contestualmente il proprietario o altro obbligato in solido, e affidati a uno dei soggetti di cui all’articolo 214 bis, il verbale di contestazione, unitamente a quello di sequestro recante l’avviso ad assumerne la custodia, è notificato senza ritardo dall’organo di polizia che ha eseguito il sequestro. Contestualmente, il medesimo organo di polizia provvede altresì a dare comunicazione del deposito del veicolo presso il soggetto di cui all’articolo 214 bis mediante pubblicazione di apposito avviso nell’albo pretorio del comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione. Qualora, per comprovate difficoltà oggettive, non sia stato possibile eseguire la notifica e il veicolo risulti ancora affidato a uno dei soggetti di cui all’articolo 214 bis, la notifica si ha per eseguita nel trentesimo giorno successivo a quello di pubblicazione della comunicazione di deposito del veicolo nell’albo pretorio del comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione.
  6. Fuori dei casi indicati al comma 5, entro i trenta giorni successivi alla data in cui, esauriti i ricorsi anche giurisdizionali proposti dall’interessato o decorsi inutilmente i termini per la loro proposizione, è divenuto definitivo il provvedimento di confisca, il custode del veicolo trasferisce il mezzo, a proprie spese e in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale, presso il luogo individuato dal prefetto ai sensi delle disposizioni dell’articolo 214 bis. Decorso inutilmente il suddetto termine, il trasferimento del veicolo è effettuato a cura dell’organo accertatore e a spese del custode, fatta salva l’eventuale denuncia di quest’ultimo all’autorità giudiziaria qualora si configurino a suo carico estremi di reato. Le cose confiscate sono contrassegnate dal sigillo dell’ufficio cui appartiene il pubblico ufficiale che ha proceduto al sequestro. Con decreto dirigenziale, di concerto fra il Ministero dell’interno e l’Agenzia del demanio, sono stabilite le modalità di comunicazione, tra gli uffici interessati, dei dati necessari all’espletamento delle procedure di cui al presente articolo.
  7. Avverso il provvedimento di sequestro è ammesso ricorso al prefetto ai sensi dell’articolo 203. Nel caso di rigetto del ricorso, il sequestro è confermato. La declaratoria di infondatezza dell’accertamento si estende alla misura cautelare ed importa il dissequestro del veicolo ovvero, nei casi indicati al comma 5, la restituzione della somma ricavata dall’alienazione. Quando ne ricorrono i presupposti, il prefetto dispone la confisca con l’ordinanza ingiunzione di cui all’articolo 204, ovvero con distinta ordinanza, stabilendo, in ogni caso, le necessarie prescrizioni relative alla sanzione accessoria. Il prefetto dispone la confisca del veicolo ovvero, nel caso in cui questo sia stato alienato, della somma ricavata. Il provvedimento di confisca costituisce titolo esecutivo anche per il recupero delle spese di trasporto e di custodia del veicolo.
  8. Il soggetto che ha assunto la custodia il quale, durante il periodo in cui il veicolo è sottoposto al sequestro, circola abusivamente con il veicolo stesso o consente che altri vi circolino abusivamente è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.984 a euro 7.937. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente. L’organo di polizia dispone l’immediata rimozione del veicolo e il suo trasporto presso uno dei soggetti di cui all’articolo 214 bis. Il veicolo è trasferito in proprietà al soggetto a cui è consegnato, senza oneri per l’erario.
  9. La sanzione stabilita nel comma 1 non si applica se il veicolo appartiene a persone estranee alla violazione amministrativa.
  10. Il provvedimento con il quale è stata disposta la confisca del veicolo è comunicato dal prefetto al P.R.A. per l’annotazione nei propri registri.

10-bis. Il provvedimento con il quale è disposto il sequestro del veicolo è comunicato dall’organo di polizia procedente ai competenti uffici del Dipartimento per la mobilità sostenibile di cui al comma 10 per l’annotazione al PRA. In caso di dissequestro, il medesimo organo di polizia provvede alla comunicazione per la cancellazione dell’annotazione nell’Archivio nazionale dei veicoli e al PRA.

Pertanto, NON SI DEVE PUBBLICARE all’Albo on Line la copia del verbale di accertamento (il verbale ove è indicata la sanzione pecuniaria amministrativa), la copia del verbale di sequestro del veicolo e neppure l’avviso con il quale l’Organo di Polizia comunica al proprietario di detto veicolo che se entro un predeterminato numero di giorni non ritira/non da disposizioni relative allo stesso il medesimo viene confiscato e ceduto al custode/acquirente.

Si segnala che la pubblicazione all’Albo on Line è attualmente prevista in relazione a un UNICO AVVISO PUBBLICO che deve contenere solo i DATI ESSENZIALI (per rispettare la normativa sulla Privacy) indicati solitamente, insieme ad altri, nei tre documenti precitati (li ricordiamo: verbale sanzionatorio, verbale di sequestro ed avviso con il quale si comunica ____).

Detto UNICO AVVISO PUBBLICO deve essere compilato e fatto pervenire dall’Organo di Polizia che ha accertato la violazione in questione; qualora ciò non avvenga e siano inviati “solo” i tre documenti precitati, riteniamo NON POSSIBILE (o, per dirla in altro modo, è vietata) la pubblicazione di tali tre documenti all’Albo on Line, anche se questa è esplicitamente richiesta dall’Organo di Polizia, perché tale pubblicazione NON è prevista da nessuna norma di legge o di regolamento e violerebbe le norme vigenti sulla privacy.

Si ritiene, pertanto, che il Messo Comunale/Addetto all’Albo, qualora riceva una richiesta di pubblicazione all’Albo on line del Comune del verbale di sequestro, debba RESTITUIRE l’atto all’Ente richiedente precisando che deve essere pubblicato un avviso.

Tale avviso deve essere redatto dall’Ente emittente e NON dal Messo Comunale. Esso dovrà contenere i dati previsti dal decreto dirigenziale previsto dal comma 6.

Attualmente tale decreto non è stato ancora emesso.

In assenza di un apposito modulo predisposto a livello ministeriale l’Associazione A.N.N.A. suggerisce, a puro scopo esemplificativo, il sotto riportato fac-simile di COMUNICAZIONE/AVVISO PUBBLICO DI AVVENUTO DEPOSITO.

Ad ogni buon fine si precisa che la pubblicazione all’Albo Pretorio (on Line) della COMUNICAZIONE/AVVISO PUBBLICO DI AVVENUTO DEPOSITO va fatta per il numero di giorni previsto (30 giorni pieni, escludendo quello di pubblicazione e quello di defissione), nel Comune ove è stato effettuato il sequestro (indipendentemente da quello ove il veicolo è depositato/custodito) e che la referta di detta pubblicazione va inviata all’Organo di Polizia che la ha richiesta allegando copia analogica (cioè cartacea), od ancor meglio digitale, dell’AVVISO PUBBLICO pubblicato all’Albo Pretorio (on Line).

 FAC-SIMILE DELL’AVVISO PUBBLICO/COMUNICAZIONE DI AVVENUTO DEPOSITO

AVVISO PUBBLICO/COMUNICAZIONE DI AVVENUTO DEPOSITO (*)

DA PUBBLICARE PER TRENTA GIORNI ALL’ALBO PRETORIO (ON LINE) DEL COMUNE DI ________ (__)

AI SENSI E PER GLI EFFETTI DELL’ART. 213 COMMA 5 DEL VIGENTE CODICE DELLA STRADA.

Il Comandante della ______________ (___)

COMUNICA

che in data ______ si è proceduto a depositare presso il custode-acquirente (articolo 214-bis CdS)  _____ il veicolo marca ____, targato ____, telaio ____, di colore ____ sequestrato con verbale n° ____/____ ai sensi dell’art. ______ del CdS a seguito del verbale n° _____/____ di contestazione della violazione (__________________) prevista e punita dall’art. _____ del CdS – il veicolo è stato sequestrato in assenza dell’autore della violazione.

Ad ogni buon fine

SI AVVISA

che qualora la notifica “ordinaria” del verbale di contestazione, unitamente a quello di sequestro recante l’avviso ad assumerne la custodia, per comprovate difficoltà oggettive non sia stata possibile ed il veicolo risulti ancora affidato ad uno dei soggetti di cui all’ articolo 214-bis CdS, LA NOTIFICA SI HA, COMUNQUE, PER ESEGUITA nel trentesimo giorno successivo a quello della pubblicazione nell’Albo Pretorio (on Line) del Comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione della presente comunicazione di avvenuto deposito del sopracitato veicolo.

Luogo e data __________                                                                IL COMANDANTE

                                                                                                         ___________________ 

 

(*) Avviso da pubblicare per trenta giorni consecutivi all’Albo Pretorio (on Line) del comune ai sensi e per gli effetti dell’art. 213 comma 5 del vigente Codice della Strada.

Novembre 2022

Scarica: Circolare A.N.N.A. 2022-003 Codice della strada – Art. 213


Assenza temporanea del destinatario, senza prove la notifica è inesistente

La Commissione tributaria regionale della Puglia con la sentenza n. 2387/26/2022 (presidente e relatore Ventura) ha affermato che la notifica delle cartelle di pagamento in caso di irreperibilità relativa del destinatario, temporaneamente assente al momento della consegna, è inesistente se nel corso del giudizio l’amministrazione finanziaria non fornisce la prova di aver rispettato la sequenza procedurale normativa.


Circolare 2022-004: Decreto di esproprio: competenza notificatoria

 

 

Leggi: Circolare 2022-004 Decreto di esproprio-Competenza notificatoria


Corte cost., Sent., (data ud. 12/09/2022) 13/10/2022, n. 209

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

Svolgimento del processo

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto e quinto periodo, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. 27 dicembre 2013, n. 147, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)”, promossi complessivamente dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli con ordinanza del 22 novembre 2021 e dalla Corte costituzionale con ordinanza del 12 aprile 2022, iscritte, rispettivamente, ai numeri 3 e 50 del registro ordinanze 2022 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 4 e 19, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 settembre 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio del 12 settembre 2022.

1.- Con ordinanza del 22 novembre 2021, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2022, la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. 27 dicembre 2013, n. 147, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)”, nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare, nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune.

1.1.- Il rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio d’impugnativa avverso avvisi di accertamento con i quali il Comune di Napoli contestava a M. M. il mancato pagamento dell’IMU (anni dal 2015 al 2018) in relazione alla sua abitazione principale in Napoli.

Più precisamente, la CTP espone che: a) il contribuente, “assumendo di possedere i requisiti di legge e provandoli documentalmente”, avrebbe rivendicato il diritto all’esenzione sul presupposto che l’immobile costituisse residenza anagrafica e dimora abituale dell’intero nucleo familiare; b) il Comune di Napoli avrebbe negato tale diritto perché il nucleo familiare non risiederebbe “interamente” nel medesimo immobile, atteso che il coniuge risulterebbe aver trasferito la propria residenza nel Comune di Scanno.

1.2.- Ad avviso del giudice a quo, alla spettanza dell’agevolazione, come pure alla praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, osterebbe la “presenza di un “diritto vivente” espresso dall’organo istituzionalmente titolare della funzione nomofilattica” (sono citate Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 19 febbraio 2020, n. 4166; sezione quinta civile, ordinanza 17 giugno 2021, n. 17408), che, con “un univoco indirizzo interpretativo”, riterrebbe preclusivo del beneficio “il solo fatto che un componente della famiglia risieda in altro Comune”; ciò, peraltro, nonostante la diversa interpretazione sostenuta dal Ministero dell’economia e delle finanze (circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012) secondo cui, in caso di residenza e dimora di un componente il nucleo familiare in un comune diverso, l’agevolazione sarebbe dovuta, poiché “il limite quantitativo”, stabilito dalla norma censurata, sarebbe espressamente riferito ai soli immobili nel medesimo comune.

1.3.- In punto di rilevanza, il rimettente afferma che dall’accoglimento della prospettata questione di legittimità costituzionale dipenderebbe l’esito della controversia della quale è investito.

1.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la CTP ritiene che l’art. 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato, così come interpretato dalla Corte di cassazione, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto determinerebbe un’irragionevole, ingiustificata, contraddittoria e incoerente disparità di trattamento “fondata su un neutro dato geografico … a parità di situazione sostanziale” tra il possessore componente di un nucleo familiare residente e dimorante in due diversi immobili dello stesso comune e quello il cui nucleo familiare, invece, risieda e dimori in distinti immobili ubicati in comuni diversi.

La norma censurata, inoltre, lederebbe: la “parità dei diritti dei lavoratori costretti a lavorare fuori dalla sede familiare” (artt. 1, 3, 4 e 35 Cost.); il “diritto alla parità dei contribuenti coniugati rispetto a partner di fatto” (artt. 3, 29 e 31 Cost.); i principi di capacità contributiva e progressività dell’imposizione (art. 53 Cost.); la famiglia quale società naturale (art. 29 Cost.); l’”aspettativa rispetto alle provvidenze per la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi” (art. 31 Cost.); infine, la tutela del risparmio (art. 47 Cost.).

1.5.- Con atto depositato il 15 febbraio 2022, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.

1.6.- In data 15 febbraio 2022, in applicazione dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, è stata depositata un’opinione scritta a cura dell’associazione Camera degli avvocati tributaristi del Veneto, ammessa con decreto del Presidente del 17 febbraio 2022.

2.- Nel corso del giudizio, questa Corte, con ordinanza n. 94 del 12 aprile 2022, iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2022, ha sollevato innanzi a sé questioni di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato, in riferimento agli artt. 3, 31 e 53, primo comma, Cost., nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della relativa agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare.

Segnatamente, nella suddetta ordinanza questa Corte anzitutto ha precisato – dopo aver dichiarato non fondate le relative eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa statale – che il petitum della CTP è circoscritto a un intervento additivo sul quinto periodo del citato art. 13, comma 2, al fine di attingere al riconoscimento, attualmente precluso dal diritto vivente, dell’esenzione IMU per l’abitazione principale del nucleo familiare situata in un determinato comune, anche quando la residenza anagrafica di uno dei suoi componenti sia stata stabilita in un immobile ubicato in altro comune.

Quindi, questa Corte ha rilevato che, tuttavia, “le questioni sollevate dal giudice a quo in relazione a tale specifica norma sono strettamente connesse alla più ampia e pregiudiziale questione derivante dalla regola generale stabilita dal quarto periodo del medesimo art. 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, che, ai fini del riconoscimento della suddetta agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore ma anche del suo nucleo familiare”.

Infatti, in forza di tale disciplina “la possibilità di accesso all’agevolazione per ciascun possessore dell’immobile adibito ad abitazione principale viene meno al verificarsi della mera costituzione del nucleo familiare, nonostante effettive esigenze possano condurre i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti”.

Pertanto, sarebbe tale previsione a determinare un trattamento diverso del nucleo familiare rispetto non solo alle persone singole ma anche alle coppie di mero fatto, poiché, sino a che il rapporto non si stabilizzi nel matrimonio o nell’unione civile, la struttura della norma consentirebbe a ciascuno dei partner di accedere all’esenzione IMU per la rispettiva abitazione principale.

Da qui la conclusione che “la risoluzione della questione avente ad oggetto la regola generale stabilita dal quarto periodo del medesimo art. 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, nella parte in cui stabilisce il descritto nesso tra il riconoscimento della agevolazione IMU per l’abitazione principale e la residenza anagrafica e la dimora abituale del nucleo familiare, si configura come logicamente pregiudiziale e strumentale per definire le questioni sollevate dal giudice a quo (ex multis, ordinanza n. 18 del 2021)”.

2.1.- Quanto alla non manifesta infondatezza, l’ordinanza iscritta al n. 50 del reg. ord. 2022 ha ravvisato la sussistenza di un contrasto della indicata regola generale con gli artt. 3, 31 e 53, primo comma, Cost.

In particolare, quanto al primo dei suddetti parametri, nella fattispecie in esame questa Corte ha dubitato “dell’esistenza di un ragionevole motivo di differenziazione tra la situazione dei possessori degli immobili in quanto tali e quella dei possessori degli stessi in riferimento al nucleo familiare, quando, come spesso accade nell’attuale contesto sociale, effettive esigenze comportino la fissazione di differenti residenze anagrafiche e dimore abituali da parte dei relativi componenti del nucleo familiare”.

Quanto, poi, al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, primo comma, Cost., si è parimenti dubitato “della maggiore capacità contributiva, peraltro in relazione a un’imposta di tipo reale quale l’IMU, del nucleo familiare rispetto alle persone singole”; ciò anche richiamando la sentenza n. 179 del 1976, con la quale questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni dell’imposta complementare e dell’imposta sui redditi sul cumulo dei redditi dei coniugi.

Infine, quanto all’art. 31 Cost., si è osservato che la disciplina in oggetto non agevolerebbe “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi”, ma anzi comporterebbe per i nuclei familiari un trattamento deteriore rispetto a quello delle persone singole e dei conviventi di mero fatto.

2.2.- Di conseguenza, questa Corte ha disposto la sospensione del giudizio sollevato dalla CTP con l’ordinanza iscritta al n. 3 del reg. ord. 2022.

2.3.- Nel giudizio introdotto dall’ordinanza iscritta al n. 50 del reg. ord. n. 2022, in data 3 maggio 2022 la Confederazione italiana della proprietà edilizia (Confedilizia) ha depositato, in qualità di amicus curiae, un’opinione scritta – ammessa con decreto del Presidente del 16 giugno 2022 – argomentando a sostegno dell’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale.

In particolare, ad avviso dell’associazione, nella disciplina dell’IMU il sintagma “nucleo familiare” mancherebbe di un preciso significato, così da costituire un elemento di irragionevolezza nell’ordinamento tributario. Sarebbero, pertanto, del tutto replicabili le motivazioni poste a fondamento della già citata sentenza n. 179 del 1976 che – seppure in tema di imposizione diretta – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle norme che, in violazione degli artt. 3, 31 e 53 Cost., irragionevolmente avevano riservato ai “coniugi conviventi un trattamento fiscale più oneroso rispetto a quello previsto per conviventi non uniti in matrimonio”.

Inoltre, secondo la Confedilizia, lungi dall’introdurre ragionevolmente un “nuovo soggetto passivo” – quale cambiamento sistemico sulla scorta delle esperienze straniere – il riferimento al nucleo familiare sarebbe stato introdotto in funzione di “mere esigenze contabili”, tralasciando del tutto la considerazione dell’evidente evoluzione sociale e delle esigenze di mobilità nel mondo del lavoro, ciò che renderebbe sterile qualsiasi tentativo di giustificare la disposizione censurata con finalità antielusive (anche in ragione del potere di vigilanza e controllo demandato ai comuni impositori).

Motivi della decisione
1.- Con ordinanza del 22 novembre 2021, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2022, la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del D.L. n. 201 del 2011, convertito nella L. n. 214 del 2011, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. n. 147 del 2013, nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta municipale propria (IMU) per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare, nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune.

Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata, così come interpretata dalla Corte di cassazione, violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto determinerebbe un’irragionevole, ingiustificata, contraddittoria e incoerente disparità di trattamento “fondata su un neutro dato geografico … a parità di situazione sostanziale” tra il possessore componente di un nucleo familiare residente e dimorante in due diversi immobili dello stesso comune e quello il cui nucleo familiare, invece, risieda e dimori in distinti immobili ubicati in comuni diversi.

Essa inoltre lederebbe: la “parità dei diritti dei lavoratori costretti a lavorare fuori dalla sede familiare” (artt. 1, 3, 4 e 35 Cost.); il “diritto alla parità dei contribuenti coniugati rispetto a partner di fatto” (artt. 3, 29 e 31 Cost.); i principi di capacità contributiva e progressività dell’imposizione (art. 53 Cost.); la famiglia quale società naturale (art. 29 Cost.); l’”aspettativa rispetto alla provvidenze per la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi” (art. 31 Cost.); infine, la tutela del risparmio (art. 47 Cost.).

2.- Nel corso del citato giudizio, questa Corte, con ordinanza n. 94 del 12 aprile 2022, iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2022, ha sollevato innanzi a sé le questioni di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato, in riferimento agli artt. 3, 31 e 53, primo comma, Cost., nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della relativa agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare. Ciò nel presupposto che le questioni sollevate dalla CTP di Napoli sono “strettamente connesse alla più ampia e pregiudiziale questione derivante dalla regola generale” stabilita appunto dal censurato quarto periodo.

Segnatamente, la norma censurata, facendo venire meno la possibilità di accesso all’agevolazione per ciascun possessore dell’immobile adibito ad abitazione principale “al verificarsi della mera costituzione del nucleo familiare, nonostante effettive esigenze possano condurre i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti”, irragionevolmente ne discriminerebbe il trattamento rispetto non solo alle persone singole, ma anche alle coppie di mero fatto.

La disciplina contrasterebbe poi con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, primo comma, Cost., posto che non sarebbe riscontrabile una “maggiore capacità contributiva, peraltro in relazione a un’imposta di tipo reale quale l’IMU, del nucleo familiare rispetto alle persone singole”.

Il citato art. 13, comma 2, quarto periodo, lederebbe, infine, l’art. 31 Cost., in quanto non agevolerebbe “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi”, ma anzi comporterebbe per i nuclei familiari un trattamento deteriore rispetto a quello delle persone singole e dei conviventi di mero fatto.

3.- Preliminarmente, i giudizi promossi dalla CTP di Napoli con ordinanza iscritta al n. 3 del reg. ord. 2022 e da questa Corte con ordinanza iscritta al n. 50 del reg. ord. 2022 possono essere riuniti e decisi con unica sentenza, poiché hanno ad oggetto questioni fra loro connesse, anche in considerazione dello stretto rapporto tra le previsioni coinvolte, riguardanti, rispettivamente, i periodi quinto e quarto del medesimo art. 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato.

3.1.- Il carattere pregiudiziale delle questioni di legittimità costituzionale sollevate da questa Corte rispetto alla decisione di quelle sollevate dalla CTP di Napoli ne impone la previa trattazione.

4.- Le questioni sollevate da questa Corte con ordinanza iscritta al n. 50 del reg. ord. 2022 sono fondate.

Nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile.

Tale è invece proprio l’effetto prodotto dal censurato quarto periodo dell’art. 13, comma 2, perché, in conseguenza del riferimento al nucleo familiare ivi contenuto, sino a che non avviene la costituzione di tale nucleo, la norma consente a ciascun possessore di immobile che vi risieda anagraficamente e dimori abitualmente, di fruire pacificamente dell’esenzione IMU sull’abitazione principale, anche se unito in una convivenza di fatto: i partner in tal caso avranno diritto a una doppia esenzione, perché ciascuno di questi potrà considerare il rispettivo immobile come abitazione familiare.

La scelta di accettare che il proprio rapporto affettivo sia regolato dalla disciplina legale del matrimonio o dell’unione civile determina, invece, l’effetto di precludere la possibilità di mantenere la doppia esenzione anche quando effettive esigenze, come possono essere in particolare quelle lavorative, impongano la scelta di residenze anagrafiche e dimore abituali differenti.

Soprattutto, poi, nel diritto vivente, il suddetto riferimento al nucleo familiare è interpretato nel senso di precludere addirittura ogni esenzione ai coniugi che abbiano stabilito la residenza anagrafica in due abitazioni site in comuni diversi; secondo questa interpretazione, in tal caso, infatti, nessuno dei loro immobili potrà essere considerato abitazione principale e beneficiare dell’esenzione.

Per comprendere come si sia giunti a tale esito, criticato in dottrina, è opportuno ricostruire l’evoluzione del quadro normativo che ha caratterizzato il beneficio in questione (che, nelle varie fasi della sua esistenza giuridica, ha assunto anche il carattere di semplice agevolazione, oltre quello, più recente, di completa esenzione dall’IMU).

5.- Il riferimento al nucleo familiare non era presente nell’originaria disciplina dell’IMU (istituita dall’art. 8 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, recante “Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale”), che subordinava il riconoscimento dell’esenzione per l’abitazione principale alla sussistenza del solo requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale del possessore dell’immobile: a questi veniva riconosciuto il diritto all’esenzione in termini oggettivi, del tutto a prescindere dal suo status soggettivo di coniugato. Ciò che rilevava, ai fini della identificazione della abitazione principale, era, infatti, che egli si trovasse a risiedere e dimorare abitualmente in un determinato immobile.

Il riferimento al nucleo familiare nemmeno figurava nella successiva formulazione, con la quale “è stata disposta l’anticipazione dell’introduzione dell’IMU al 2012” (sentenza n. 262 del 2020), ovvero l’art. 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito, dove l’agevolazione – consistente non più in un’esenzione, ma in una riduzione dell’aliquota – era riconosciuta, anche in questo caso, per l’immobile nel quale “il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.

Pertanto, sino a quel momento, se due persone unite in matrimonio avevano residenze e dimore abituali differenti, a ciascuna spettava l’agevolazione per l’abitazione principale.

5.1.- Solo con l’art. 4, comma 5, lettera a), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, nella L. 26 aprile 2012, n. 44, che è intervenuto su diversi aspetti della disciplina dell’IMU, è stata modificata la definizione di abitazione principale, introducendo, in particolare, il riferimento al nucleo familiare ai fini di individuare l’immobile destinatario dell’agevolazione.

Segnatamente, il comma 2 dell’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011, come convertito, è stato così modificato e integrato: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

Tale disciplina è stata poi confermata dalla L. n. 147 del 2013 che ha reintrodotto la completa esenzione dell’abitazione principale dal 1 gennaio 2014 per tutte le categorie catastali abitative, tranne quelle cosiddette di lusso (A/1, A/8 e A/9), ed è stata quindi ribadita nel comma 741, lettera b), dell’art. 1 della L. 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022) all’interno della disciplina della cosiddetta “nuova IMU”, divenuta sostanzialmente comprensiva anche del tributo sui servizi indivisibili (TASI).

5.2.- La nuova formulazione introdotta con il D.L. n. 16 del 2012, come convertito, è stata interpretata in senso vieppiù restrittivo dalla giurisprudenza di legittimità, applicando il criterio “di stretta interpretazione delle norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, più di recente, cfr. Cass. sez. 5, 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, n. 3011), condiviso anche dalla Corte costituzionale (cfr. Corte Cost. 20 novembre 2017, n. 242)” (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 24 settembre 2020, n. 20130).

La Corte di cassazione, infatti, in una prima fase, disattendendo una diversa interpretazione inizialmente proposta dal Ministero dell’economia e delle finanze con la circolare n. 3/DF del 2012 (diretta a riconoscere, nel silenzio della norma, il beneficio per ciascuno degli immobili, ubicati in comuni diversi, adibiti a residenza e dimora), ha ritenuto che l’agevolazione spettasse per un solo immobile per nucleo familiare, non solo nel caso di immobili siti nel medesimo comune, come del resto espressamente recita il suddetto comma 2 dell’art. 13, ma anche in caso di immobili situati in comuni diversi (situazione non espressamente regolata dalla disposizione in oggetto); ciò a meno che non fosse fornita la prova della rottura dell’unità familiare. Infatti solo “la frattura” del rapporto di convivenza comporta “una disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l’abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale (vedi da ultimo: Cass., Sez. 5, n. 15439/2019)” (Corte di cassazione, ordinanza n. 17408 del 2021).

La giurisprudenza di legittimità ha poi compiuto un ulteriore passaggio ed è giunta a negare ogni agevolazione ai coniugi che risiedono in comuni diversi, facendo leva sulla necessità della coabitazione abituale dell’intero nucleo familiare nel luogo di residenza anagrafica della casa coniugale (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanze 19 febbraio 2020, n. 4170 e n. 4166 del 2020, poi confermate dall’ordinanza n. 17408 del 2021). Dunque, “nel caso in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed autonoma rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare” (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 17 gennaio 2022, n. 1199).

In altri termini, si è ritenuto che per fruire del beneficio in riferimento a una determinata unità immobiliare sia necessario che “tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente” (Corte di cassazione, ordinanza n. 4166 del 2020; ribadita in ordinanze n. 17408 del 2021 e n. 4170 del 2020): l’esenzione è stata quindi subordinata alla contestuale residenza e dimora unitaria del contribuente e del suo nucleo familiare.

Il diritto vivente è pertanto giunto alla conclusione, prima anticipata, di negarne ogni riconoscimento nel caso contrario, “in cui i componenti del nucleo familiare hanno stabilito la residenza in due distinti Comuni perché quello che consente di usufruire del beneficio fiscale è la sussistenza del doppio requisito della comunanza della residenza e della dimora abituale di tutto il nucleo familiare nell’immobile per il quale si chiede l’agevolazione” (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 25 novembre 2021, n. 36676).

5.3.- È in reazione a tale approdo della giurisprudenza di legittimità, giunto quindi a negare ogni esenzione sull’abitazione principale se un componente del nucleo familiare risiede in un comune diverso da quello del possessore dell’immobile, che il legislatore è intervenuto con l’art. 5-decies, comma 1, del D.L. 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2021, n. 215. La relazione illustrativa all’emendamento governativo che ha introdotto tale disposizione espressamente precisa, infatti, l’intenzione di superare gli ultimi orientamenti della Corte di cassazione (sono citate le ordinanze della Corte di cassazione n. 4170 e n. 4166 del 2020).

L’art. 1, comma 741, lettera b), della L. n. 160 del 2019 è stato pertanto integrato prevedendo che: “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare”.

6.- La ricostruzione dell’evoluzione normativa mette in evidenza, in sintesi, come si sia realizzato, nella struttura della misura fiscale in oggetto, il passaggio dalla considerazione di una situazione meramente oggettiva (la residenza e la dimora abituale del possessore dell’immobile, prescindendo dalla circostanza che si trattasse di soggetti singoli, coabitanti, coniugati o uniti civilmente) al rilievo dato a un elemento soggettivo (la relazione del possessore dell’immobile con il proprio nucleo familiare).

La descrizione dello sviluppo giurisprudenziale ha poi evidenziato come l’introduzione di questo elemento soggettivo si sia risolta, infine, nell’esito di una radicale penalizzazione dei possessori di immobili che hanno costituito un nucleo familiare, i quali, se residenti in comuni diversi, si sono visti escludere dal regime agevolativo entrambi gli immobili che invece sarebbero stati candidati a fruirne con la originaria formulazione prevista nel D.Lgs. n. 23 del 2011.

A tale esito il diritto vivente sembra essere pervenuto per un duplice motivo.

Da un lato l’assenza, nella disciplina dell’IMU, di una specifica definizione di “nucleo familiare”, a fronte di diversi riferimenti presenti – a vario titolo e oltre quelli civilistici – nell’ordinamento. Si pensi, ad esempio, a quello stabilito ai fini dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) dall’art. 3 del D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, recante “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”, oppure a quello, stabilito però esclusivamente con riguardo all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) dall’art. 5, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi). Dall’altro la dichiarata esigenza di interpretare restrittivamente le agevolazioni tributarie; esigenza che peraltro non appare contestabile in riferimento a un’agevolazione del tipo di quella in esame (si veda al riguardo il punto successivo).

Ciò che, nell’insieme, conferma come l’effettiva origine dei problemi applicativi determinati dagli approdi del diritto vivente si ponga, in realtà, a monte, ovvero nel censurato quarto periodo del comma 2, dell’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011, come convertito, che ha introdotto nella fattispecie generale dell’agevolazione il riferimento al nucleo familiare, piuttosto che nel quinto periodo del medesimo comma censurato dalla CTP di Napoli, che ne disciplina, invece, solo una specifica ipotesi.

È per tale motivo che questa Corte ha ritenuto, dato il “rapporto di presupposizione” tra le questioni (ordinanza n. 94 del 2022), di sollevare dinanzi a se stessa quella sulla disciplina, appunto, a monte.

7.- Ciò precisato, è fondata la questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost.

Va, in primo luogo, chiarito che l’agevolazione in oggetto non rientra tra quelle strutturali, essendo senza dubbio inquadrabile tra quelle in senso proprio (sentenza n. 120 del 2020). Inoltre, se da un lato, essa si può ritenere rivolta a perseguire la finalità di favorire “l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione” (art. 47, secondo comma, Cost.), dall’altro esenta le abitazioni principali dei residenti dalla più importante imposta municipale (l’IMU), determinando un effetto poco lineare rispetto ai principi che giustificano l’autonomia fiscale locale: se gran parte dei residenti è esentata dall’imposta, questa finirà per risultare a carico di chi non vota nel comune che stabilisce l’imposta.

In difetto di una chiara causa costituzionale l’esenzione in oggetto è pertanto riconducibile a una scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore; ciò che evoca per costante giurisprudenza un sindacato particolarmente rigoroso sulla sussistenza di una eadem ratio (sentenza n. 120 del 2020).

8.- Nella questione che questa Corte si è autorimessa, tuttavia, viene direttamente in rilievo il contrasto della norma censurata con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 31 e 53 Cost. e solo indirettamente il tema dell’estensione di un’agevolazione a soggetti esclusi.

In altri termini, nonostante una eadem ratio sia comunque identificabile nelle varie situazioni in comparazione – perché se la logica dell’esenzione dall’IMU è quella di riferire il beneficio fiscale all’abitazione in cui il possessore dell’immobile ha stabilito la residenza e la dimora abituale, dovrebbe risultare irrilevante, al realizzarsi di quella duplice condizione, il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di una unione civile, convivente o singolo -, la questione non è direttamente rivolta a estendere l’esenzione, quanto piuttosto a rimuovere degli elementi di contrasto con i suddetti principi costituzionali quando tali status in sostanza vengono, attraverso il riferimento al nucleo familiare, invece assunti per negare il diritto al beneficio.

9.- In un contesto come quello attuale, infatti, caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale.

In tal caso, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dell’abitazione principale, non ritenere sufficiente la residenza e – si noti bene – la dimora abituale in un determinato immobile (cioè un dato facilmente accertabile, come si preciserà di seguito, attraverso i dovuti controlli) determina una evidente discriminazione rispetto a chi, in quanto singolo o convivente di fatto, si vede riconosciuto il suddetto beneficio al semplice sussistere del doppio contestuale requisito della residenza e della dimora abituale nell’immobile di cui sia possessore.

Non vi è ragionevole motivo per discriminare tali situazioni: non può, infatti, essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 del codice civile, dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l’affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 28 gennaio 2021, n. 1785). Né a tale possibilità si oppongono le norme sulla “residenza familiare” dei coniugi (art. 144 cod. civ.) o “comune” degli uniti civilmente (art. 1, comma 12, della L. 20 maggio 2016, n. 76, recante “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”).

Inoltre, il secondo comma dell’art. 45 cod. civ., contemplando l’ipotesi di residenze disgiunte, conferma la possibilità per i genitori di avere una propria residenza personale.

Nella norma censurata, invece, attraverso il riferimento al nucleo familiare, tale ipotesi finisce per determinare il venir meno del beneficio, deteriorando così, in senso discriminatorio, la logica che consente al singolo o ai conviventi di fatto di godere pro capite delle esenzioni per i rispettivi immobili dove si realizza il requisito della dimora e della residenza abituale.

D’altra parte, a difesa della struttura della norma censurata nemmeno può essere invocata una giustificazione in termini antielusivi, motivata sul rischio che le cosiddette seconde case vengano iscritte come abitazioni principali.

In disparte che tale rischio esiste anche per i conviventi di fatto, va precisato che i comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 10, lettera c), punto 2, del D.Lgs. n. 23 del 2011, anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l’esistenza o meno di una dimora abituale.

In conclusione, la norma censurata, disciplinando situazioni omogenee “in modo ingiustificatamente diverso” (ex plurimis, sentenza n. 165 del 2020), si dimostra quindi in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. nella parte in cui introduce il riferimento al nucleo familiare nel definire l’abitazione principale.

10.- Altresì fondata è la censura riferita all’art. 31 Cost.

Va premesso che, come hanno rilevato numerosi studi dottrinali, il sistema fiscale italiano si dimostra avaro nel sostegno alle famiglie. E ciò nonostante la generosità con cui la Costituzione italiana ne riconosce il valore, come leva in grado di accompagnare lo sviluppo sociale, economico e civile, dedicando ben tre disposizioni a tutela della famiglia, con un’attenzione che raramente si ritrova in altri ordinamenti.

In tale contesto l’art. 31 Cost., statuisce: “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”.

In questo modo tale norma suggerisce ma non impone trattamenti, anche fiscali, a favore della famiglia; li giustifica, quindi, ove introdotti dal legislatore; senz’altro si oppone, in ogni caso, a quelli che si risolvono in una penalizzazione della famiglia.

Di qui la violazione anche dell’art. 31 Cost. da parte della norma censurata in quanto ricollega l’abitazione principale alla contestuale residenza anagrafica e dimora abituale del possessore e del nucleo familiare, secondo una logica che, come si è visto, ha condotto il diritto vivente a riconoscere il diritto all’esenzione IMU (o alla doppia esenzione) solo in caso di “frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi” e conseguente “disgregazione del nucleo familiare”.

11.- Fondata, infine, è anche la censura relativa all’art. 53 Cost.

Avendo come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale in relazione a beni immobili, l’IMU riveste la natura di imposta reale e non ricade nell’ambito delle imposte di tipo personale, quali quelle sul reddito.

Appare pertanto con ciò coerente il fatto che nella sua articolazione normativa rilevino elementi come la natura, la destinazione o lo stato dell’immobile, ma non le relazioni del soggetto con il nucleo familiare e, dunque, lo status personale del contribuente.

Ciò salvo, in via di eccezione, una ragionevole giustificazione, che nel caso però non sussiste: qualora, infatti, l’organizzazione della convivenza imponga ai coniugi o ai componenti di una unione civile l’effettiva dimora abituale e residenza anagrafica in due immobili distinti, viene ovviamente meno la maggiore economia di scala che la residenza comune potrebbe determinare, ovvero la convivenza in un unico immobile, fattispecie che per tabulas nel caso in considerazione non si verifica.

Sotto tale profilo, le ragioni che spingono ad accogliere la censura formulata in relazione all’art. 53 Cost. rafforzano l’illegittimità costituzionale in riferimento anche all’art. 3 Cost.; infatti “ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione” (sentenza n. 10 del 2015).

12.- Conclusivamente deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale del quarto periodo del comma 2 dell’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato dalla L. n. 147 del 2013, nella parte in cui stabilisce: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, anziché disporre: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.

13.- L’illegittimità costituzionale del censurato quarto periodo del comma 2 dell’art. 13, nei termini descritti, determina, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), quella di ulteriori norme.

13.1.- Innanzitutto comporta l’illegittimità costituzionale consequenziale del quinto periodo del medesimo comma 2 dell’art. 13 del D.L. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato, che stabilisce: “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

Tale disposizione, infatti, risulta incompatibile con la ratio della decisione di questa Corte sul quarto periodo del medesimo comma 2, poiché lascerebbe in essere le descritte violazioni costituzionali all’interno dello stesso comune, dove, in caso di residenze e dimore abituali disgiunte, una coppia di fatto godrebbe di un doppio beneficio, che risulterebbe invece precluso, senza apprezzabile motivo, a quella unita in matrimonio o unione civile.

È ben vero che la necessità di residenza disgiunta all’interno del medesimo comune rappresenta una ipotesi del tutto eccezionale (e che come tale dovrà essere oggetto di accurati e specifici controlli da parte delle amministrazioni comunali), ma, da un lato, date sia le grandi dimensioni di alcuni comuni italiani, sia la complessità delle situazioni della vita, essa non può essere esclusa a priori; dall’altro, mantenere in vita la norma determinerebbe un accesso al beneficio del tutto casuale, in ipotesi favorendo i nuclei familiari che magari per poche decine di metri hanno stabilito una residenza al di fuori del confine comunale e discriminando quelli che invece l’hanno stabilita all’interno dello stesso.

13.2.- L’illegittimità costituzionale in via consequenziale va dichiarata anche con riguardo alla lettera b) del comma 741, dell’art. 1 della L. n. 160 del 2019, dove, in relazione alla cosiddetta “nuova IMU”, è stato identicamente ribadito che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

Con riferimento al primo periodo di tale disposizione la dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale va dichiarata nella parte in cui stabilisce: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, anziché disporre: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.

Con riferimento al secondo periodo essa investe, invece, l’intera disposizione.

13.3.- Deve, infine, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale anche dell’ultima formulazione del medesimo comma 741, lettera b), secondo periodo, all’esito delle modifiche apportate con l’art. 5-decies, comma 1, del D.L. n. 146 del 2021, come convertito, che dispone: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare”.

Rispetto a tale disciplina risultano replicabili le motivazioni, sopra esposte, che hanno condotto all’accoglimento delle questioni che questa Corte si è autorimessa.

Infatti, consentendo alla scelta dei contribuenti l’individuazione dell’unico immobile da esentare, la novella disancora, ancora una volta, la spettanza del beneficio dall’effettività del luogo di dimora abituale, negando così una doppia esenzione per ciascuno degli immobili nei quali i coniugi o i componenti di una unione civile abbiano avuto l’esigenza, in forza delle necessità della vita, di stabilirla, assieme, ovviamente, alla residenza anagrafica.

14.- Da ultimo questa Corte, ritiene opportuno chiarire che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale ora pronunciate valgono a rimuovere i vulnera agli artt. 3, 31 e 53 Cost. imputabili all’attuale disciplina dell’esenzione IMU con riguardo alle abitazioni principali, ma non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” delle coppie unite in matrimonio o in unione civile ne possano usufruire. Ove queste abbiano la stessa dimora abituale (e quindi principale) l’esenzione spetta una sola volta.

Da questo punto di vista il venir meno di automatismi, ritenuti incompatibili con i suddetti parametri, responsabilizza i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli al riguardo; controlli che, come si è visto, la legislazione vigente consente in termini senz’altro efficaci.

15.- L’accoglimento delle questioni riferite al quarto periodo dell’art. 13, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato, e la dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale del successivo quinto periodo del medesimo comma, determinano l’inammissibilità per sopravvenuta carenza di oggetto delle questioni sollevate con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 3 del 2022 dalla CTP di Napoli (ex multis, ordinanze n. 102 del 2022, n. 206 e n. 93 del 2021, n. 125 e n. 105 del 2020, n. 71 del 2017).

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. 27 dicembre 2013, n. 147, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)”, nella parte in cui stabilisce: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, anziché disporre: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”;

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. n. 147 del 2013;

3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della L. n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo, della L. 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), nella parte in cui stabilisce: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, anziché disporre: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”;

4) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della L. n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della L. n. 160 del 2019;

5) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della L. n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 741, lettera b), secondo periodo, della L. n. 160 del 2019, come successivamente modificato dall’art. 5-decies, comma 1, del D.L. 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2021, n. 215;

6) dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della L. n. 147 del 2013, sollevate, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli con l’ordinanza in epigrafe.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 settembre 2022.

Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2022.


Notifica via pec si dimostra solo con la ricevuta di avvenuta consegna

Una sentenza del Tribunale di Latina, Sezione Lavoro, ribadisce che solo la ricevuta di avvenuta consegna (RDAC) costituisce prova della notificazione


Con la sentenza n. 982 del 04.10.2022, il Tribunale di Latina, Sezione Lavoro, nella persona del Giudice del Lavoro, Dott.ssa Valentina Avarello, ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal medesimo Tribunale per contributi previdenziali non assolti, attesa la prescrizione quinquennale.
Il Giudice, condividendo le argomentazioni dell’opponente, che disconosceva tempestivamente ex art. 2719 c.c. gli estratti in formato .pdf delle ricevute telematiche di notifica degli atti di messa in mora intervenuti medio tempore fino alla notifica del decreto ingiuntivo, ritiene che solo i file in formato .eml costituissero idonea prova della notifica.
Così si esprime il Giudice:
“Dalla documentazione in atti si evince che il credito rivendicato con il decreto ingiuntivo opposto riguarda i contributi afferenti alle annualità 1999, 2009, 2011, 2012, 2013.
Occorre esaminare la documentazione prodotta dalla Cassa al fine di verificare la sussistenza di validi atti interruttivi della prescrizione.
Con riferimento alla diffida asseritamente notificata alla parte opponente il 18.12.2013 (al. 5 in cui sono rivendicate annualità 1999; 2000; 2009; 2011; 2012), rileva il giudicante che la documentazione prodotta dalla Cassa ai doc. 5.1. e 5.2. (cfr. fasc. opposta) non è idonea ad attestare l’effettivo inoltro della pec alla sig…., trattandosi di mere stampe analogiche di avvenuta consegna della pec da cui sono evincibili come dati soltanto il giorno e la data, il mittente e il destinatario ma in assenza di una qualsiasi indicazione dell’oggetto, e quindi del contenuto del messaggio.
La mancata produzione dei file .eml della RDAC (pur disposto con ordinanza del 2.3.2021) impedisce pertanto ogni verifica in relazione al contenuto dalla pec e alla riferibilità della stessa all’atto di intimazione di cui al documento 5…
In assenza di validi atti interruttivi della prescrizione, ne consegue che i contributi dovuti per le annualità 1999, 2009, 2011, 2012, 2013 ingiunti con decreto ingiuntivo notificato in data 21.9.2020 devono ritenersi estinti per decorso del termine prescrizionale.
Il decreto ingiuntivo deve pertanto essere revocato e l’opposizione accolta.”
La normativa in tema di notifiche telematiche è chiara nell’affermare che la prova della notifica è data unicamente dalla ricevuta telematica di avvenuta consegna (c.d. RDAC).
A norma dell’art. 48 d.lgs. 82/2005 (c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale): “La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del Dpr n. 68/2005, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con le Linee guida.
La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta.
La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al Dpr n. 68/2005, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi alle Linee guida”.
L’art. 6 comma 3 d.p.r. 68/2005 prevede: “La ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione”.
Sulla base di tale quadro normativo di riferimento, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che in difetto della RDAC la notificazione è da considerarsi affetta addirittura da inesistenza:
“La notifica a mezzo posta elettronica certificata non si esaurisce con l’invio telematico dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del plico informatico nella casella di posta elettronica del destinatario, e la prova di tale consegna è costituita dalla ricevuta di avvenuta consegna. La mancata produzione della ricevuta di avvenuta consegna della notifica a mezzo p.e.c. del ricorso per cassazione, impedendo di ritenere perfezionato il procedimento notificatorio, determina quindi l’inesistenza della notificazione, con conseguente impossibilità per il giudice di disporne il rinnovo ai sensi dell’art. 291 c.p.c., in quanto la sanatoria ivi prevista è consentita nella sola ipotesi di notificazione esistente, sebbene affetta da nullità” (Cass. n. 20072/2015).


Piattaforma Notifiche Digitali: pubblicato il bando per i Comuni

È uscito l’Avviso per i Comuni Misura 1.4.5 del PNRR dedicata alla Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione. Il bando ha una dotazione complessiva di 80 milioni di euro.

L’obiettivo della Piattaforma delle notifiche è risolvere la situazione delle notifiche della pubblica amministrazione, attualmente gestito singolarmente da ogni ente (al meglio possibile per le proprie capacità), con costi di notifica e spesso di “investigazione” per individuare il notificato. È l’obiettivo dell’Avviso Misura 1.4.5 “Piattaforma Notifiche Digitali” Comuni (Settembre 2022), appena pubblicato e che permetterà ai comuni di collegarsi alla nuova Piattaforma delle Notifiche.
La Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione, istituita dalla legge di Bilancio 2020 e disciplinata dall’articolo 26 del Decreto “Semplificazioni”, consentirà alle PA di effettuare notificazioni con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni a persone fisiche e giuridiche residenti o aventi sede legale nel territorio italiano (o comunque titolari di codice fiscale).
La piattaforma delle notifiche permette di creare uno standard nazionale per le notifiche, sia per la PA che per il cittadino, di centralizzare l’eventuale postalizzazione, di sdoganare la notifica digitale.
Cosa prevede il Bando
I soggetti attuatori dell’avviso sono i Comuni (7904 municipalità in tutta Italia). Il bando ha una dotazione complessiva di 80 milioni di euro.
Il bando non ha “bandi precedenti” con cui relazionarsi, come invece gli avvisi pubblicati il 4 Aprile, che vanno valutati in relazione al Fondo Innovazione e Bando Piccoli Comuni. È quindi simile al bando Cloud ed Esperienza del cittadino da questo punto di vista.
Le attività finanziabili fanno riferimento:
• effettuare l’integrazione dei sistemi del Comune sulla Piattaforma Notifiche Digitali;
• attivare due servizi relativi a tipologie di atti di notifica, così come descritte nel dettaglio nell’Allegato 2 all’Avviso.
L’elenco delle attività ammissibili è esplicitato nell’allegato 2. Le date di riferimento del bando sono:
12/09/2022: data apertura
11/11/2022: data chiusura del bando
15/10/2022: data inizio richiesta erogazione contributo
In particolare, i lavori dovranno essere affidati al fornitore entro 3 mesi dalla data di notifica finanziamento, e completati entro 6 mesi (in base alla dimensione dell’ente) dalla data di stipula del contratto con il fornitore. La notifica del finanziamento viene data dopo esame delle richieste di finanziamento presentate dagli enti e valutate tra la data di apertura e chiusura del bando.

Non c’è un concetto di attività avviate a partire dalla data (retroattività), trattandosi di una piattaforma nuova.
I fondi disponibili per ogni ente
I fondi sono suddivisi tra gli enti secondo il criterio della fascia di abitanti:
1) per i Comuni fino a 5.000 abitanti: €23.147
2) per i Comuni 5.001 – 20.000 abitanti: €32.589
3) per i Comuni 20.001 – 100.000 abitanti: €59.966
4) per i Comuni 100.001 – 250.000 abitanti: €69.000
5) per i Comuni > 250.000 abitanti: €97.247.
I documenti
I documenti e artefatti associati al bando sono:
Testo dell’avviso
allegato 1: vocabolario
allegato 2: specifiche tecnico / economiche / procedurali dell’avviso
allegato 3: fac simile domanda di partecipazione
allegato 4: principi DNSH per il cloud
allegato 5: fac simile domanda di erogazione
mantenendo la struttura degli avvisi precedenti.
I servizi tra cui scegliere
Resta inteso che l’erogazione del contributo per PND è prevista solo ed esclusivamente nel caso in cui l’ente abbia rispettato quanto indicato in fase di adesione, ossia abbia completato il processo di integrazione e l’attivazione dei due servizi relativi alle due tipologie di atto indicate nel progetto.
Vanno scelti 2 servizi di cui 1 obbligatorio e uno a scelta:
(obbligatorio) – Polizia Locale – Notifiche Violazioni al Codice della Strada
uno a scelta tra:
• Polizia Locale Notifiche Violazioni extra Codice della Strada
• Tributi Notifiche Riscossione Tributi (con pagamento)
• Tributi Notifiche Riscossione Tributi (senza pagamento)
• Patrimonio Notifiche riscossione entrate patrimoniali (con pagamento)
• Patrimonio Notifiche riscossione entrate patrimoniali (senza pagamento)
• Scuola Notifiche per sollecito pagamento servizi scolastici
• Anagrafe Notifiche comunicazioni VL relative ad ufficio anagrafe
• Ufficio Tecnico / SUAP Notifiche comunicazioni VL Ufficio Tecnico / SUAP
• Ordinanze Comunali (con pagamento)
• Ordinanze Comunali (senza pagamento)
• Riscossione Coattiva Comunicazioni relative a riscossioni coattive e ingiunzioni fiscali
• Il procedimento per la candidatura
Per candidarsi è necessario:
 entrare con SPID in https://padigitale2026.gov.it/
 selezionare Avviso Misura 1.4.5 “Piattaforma Notifiche Digitali” Comuni (Settembre 2022)
 confermare dati comune e rappresentante legale
 accettare le responsabilità
 configurazione del pacchetto (vedi allegato)
 selezionare “integrazione piattaforma delle notifiche digitali”
 selezionare il servizio obbligatorio
 scegliere 1 servizio opzionale
 tutti i servizi (2 di cui uno a scelta e l’altro impostato di default) sono contrassegnati come “da attivare”
 Selezionare salva bozza o avanti
 Inviare la candidatura firmata dal rappresentante legale.
 Rendicontazione
Alla domanda di erogazione del finanziamento predisposta dal Soggetto Attuatore di cui al precedente comma 1, dovranno essere allegati:
o il certificato di regolare esecuzione del RUP;
o l’eventuale check list applicabile compilata secondo le linee guida di cui all’Allegato 4;
o la certificazione di completamento delle attività: al completamento delle attività viene prodotto nell’area privata un pdf da firmare digitalmente e allegare alla domanda di erogazione.
Interessante la novità di cui al punto 3: è la piattaforma stessa a certificare l’avvenuta esecuzione delle attività.
Ci riserviamo ulteriori approfondimenti.


Assicurazioni Generali S.p.a.

“Assicurazione per colpa grave”
La polizza è riservata a tutti i nostri iscritti, con esclusione di chi rivesta la qualifica dirigenziale, che beneficeranno di una copertura assicurativa per la responsabilità civile, amministrativa e contabile, per danno a cose e persone, derivante da comportamenti gravemente colposi posti in essere nello svolgimento delle proprie funzioni.
La colpa grave rappresenta una macroscopica violazione del dovere di diligenza; si tratta di uno sbaglio grossolano che fa scattare inevitabilmente la responsabilità professionale: la conseguenza è che il suo autore dovrà pagare i danni al destinatario.
La copertura assicurativa, che sarà attiva dal 1° gennaio 2023, vige nell’anno di iscrizione all’associazione e agisce retroattivamente per i comportamenti posti in essere nei 3 anni precedenti (retroattività) (Regime di claims made – Corte Suprema di Cassazione sentenza 9140/2016) ma non ancora emersi all’atto della sottoscrizione del contratto assicurativo. Per una migliore tutela, è quindi opportuno che coloro che cessano l’attività di notificazione per pensionamento, dimissioni o cambio di mansioni, mantengano l’iscrizione ad A.N.N.A. nei 3 anni successivi, per tutelarsi rispetto ad eventuali contestazioni insorte nel periodo indicato.
Il massimale previsto per ogni assicurato è di € 1.000.000,00, senza alcuna franchigia.
In caso di sinistro, l’assicurato deve darne avviso scritto con raccomandata A.R. all’assicuratore entro 15 giorni da quando ne ha avuta conoscenza, per tale intendendo:
– Comunicazione con la quale la struttura da cui dipende manifesta l’intenzione di ritenerlo responsabile di un danno con colpa grave
– Avviso dell’inchiesta giudiziaria promossa contro di lui in relazione alle responsabilità derivanti da comportamenti illeciti con colpa grave.

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