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Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 01/03/2023) 24/03/2023, n. 8463

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1720/2022 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO CALDERARO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PURPLE SPV Srl , quale mandataria di CERVED CREDIT MANAGEMENT Spa , elettivamente domiciliata in ROMA VIA C. POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO TROILO, e rappresentata difesa dall’avvocato GIUSEPPE CINELLI, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1833/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata l’11/12/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/03/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie delle parti.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con ordinanza emessa ex art. 702 bis, in data 09/04/2018 il Tribunale di Agrigento rigettava la domanda di Banca delle Marche Spa in amministrazione straordinaria – creditore procedente nella procedura esecutiva immobiliare n. 175/2013 pendente presso il Tribunale di Agrigento – di accertamento dell’avvenuta accettazione tacita, da parte del debitore esecutato, A.A., dell’eredità della defunta madre B.B., deceduta in (Omissis), tra i cui beni era ricompreso anche il bene pignorato.

Avverso detta ordinanza la Cerved Credit Management Spa quale procuratrice di PURPLE SPV, successore di Banca delle Marche Spa per effetto della cessione dei crediti posti a fondamento della procedura esecutiva, propose appello e, nella contumacia dell’appellato, A.A., la Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 1833 dell’11 dicembre 2020, in accoglimento del gravame, ha accertato che il convenuto era divenuto proprietario del bene pignorato, per avere tacitamente accettato l’eredità materna.

Il giudice di appello rilevava che l’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all’eredità compia un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può desumersi anche dal comportamento del chiamato che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare, sicchè mentre non sono idonei a tale scopo gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, l’accettazione tacita può evincersi dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale che nella specie il convenuto aveva posto in essere, quanto ad un bene caduto in successione.

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso A.A. sulla base di un motivo.

La Cerved Credit Management, nella qualità di mandataria della Purple SPV Srl , resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

3. Con il motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento di appello, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 330, 160 e 170 c.p.c., stante la nullità e/o inesistenza della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di appello, deducendosi altresì che il ricorso è proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza di appello, attesa la qualità di contumace involontario del ricorrente, che ha avuto conoscenza della sentenza della Corte d’Appello solo in data 18/11/2021, quando il proprio difensore nel giudizio di esecuzione immobiliare ha ricevuto comunicazione dell’ordinanza del GE del 15/11/2021, nella quale si faceva menzione della sentenza oggi gravata.

Assume il ricorrente la nullità e/o inesistenza della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di appello, perchè eseguita ad un indirizzo diverso dal proprio luogo di residenza, e con il quale quest’ultimo non aveva collegamento alcuno al tempo della notifica.

Si rileva che l’atto di citazione in appello è stato notificato presso l’indirizzo di (Omissis), sebbene il ricorrente a decorrere dal 30.09.2008 sia residente in (Omissis), come da certificato storico di residenza.

Per l’effetto, il plico raccomandato contenente la citazione non è stato recapitato ed è stato restituito al mittente per compiuta giacenza. Attesa la nullità e/o inesistenza della detta notifica anche il giudizio di appello e la relativa sentenza sono nulli.

Il motivo è infondato.

Ritiene la Corte che colgano nel segno le argomentazioni difensive spese da parte controricorrente.

La tesi che è a sostegno del ricorso è essenzialmente correlata alla divergenza tra la residenza anagrafica ed il luogo presso cui è stata effettuata la notifica dell’atto di appello, traendosi da tale divergenza la conclusione necessitata della prevalenza della prima, idonea quindi ad inficiare radicalmente la validità della notifica compiuta presso il diverso indirizzo.

Tuttavia, la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (Cass. n. 19387/2015; Cass. n. 11550/2013).

Pertanto, onde dimostrare la nullità della notifica della citazione, in quanto eseguita in luogo diverso dalla residenza effettiva del destinatario, non costituisce prova idonea la sola produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notifica (Cass. n. 19132/2004), essendosi anzi affermato che (Cass. n. 10107/2014) nell’ipotesi in cui la notifica venga eseguita, nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova (conf. Cass. n. 15200/2005).

E’ stato altresì specificato che (Cass. n. 26985/2009) la prova contraria, idonea a vincere la presunzione scaturente dalle risultanze anagrafiche, può essere desunta da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni, come quelle desunte dall’indicazione di dimora abituale quale emerge dall’esecuzione del contratto intercorso tra le parti (conf. Cass. n. 17040/2003; Cass. n. 26985/2009; Cass. n. 17021/2015).

Una volta richiamati tali principi, ed avuto riguardo alle puntuali osservazioni svolte in controricorso, emerge che in data anteriore al cambiamento di residenza avvenuto nel (Omissis), come attestato dalla certificazione anagrafica prodotta dal ricorrente, questi risiedeva proprio all’indirizzo ove è stata effettuata la notifica dell’atto di appello.

Ancora risulta che nel 2010, in occasione della sottoscrizione delle fideiussioni, dalle quali è scaturito il credito che poi ha fatto sorgere la procedura esecutiva, cui è funzionale l’accertamento della qualità di erede oggetto del presente giudizio, il A.A. ha indicato come proprio indirizzo quello ove è stato notificato l’appello, sebbene, secondo la certificazione anagrafica prodotta, si fosse trasferito presso il nuovo indirizzo già da due anni.

Ancora, emerge che varie missive, sempre relative al rapporto creditorio oggetto di causa, nonchè la notifica del precetto che ha preceduto l’esecuzione immobiliare, sono state inviate, sempre dopo il mutamento di residenza anagrafica, all’indirizzo in (Omissis), pervenendo nella disponibilità del ricorrente che ha provveduto alla sottoscrizione dei relativi avvisi di ricevimento.

Infine, anche la notifica dell’atto di appello, avvenuta a mezzo posta ai sensi della L. n. 53 del 1994, consente di rilevare dall’avviso di ricevimento, riprodotto in ricorso, come l’ufficiale postale non abbia riferito dell’irreperibilità del destinatario, ma solo della sua temporanea assenza, avendo reperito anche una cassetta postale, evidentemente recante il nominativo del destinatario, nella quale ha immesso l’avviso.

I plurimi e concordanti elementi ora riassunti permettono di affermare che, a dispetto delle risultanze anagrafiche, non possa negarsi come anche l’indirizzo presso cui è stata effettuata la notifica dell’appello avesse un evidente legame con il ricorrente, e che quindi la censura mossa, che si fonda sulla sola asserita prevalenza delle risultanze anagrafiche, non sia idonea ad inficiare la conclusione circa la validità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado.

Il ricorso è pertanto rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Poichè il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2023


Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 01/02/2023) 24/03/2023, n. 8453

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. ZULIANI Andrea – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CASCIARO Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 5847-2022 proposto da:

A.A., domiciliato ope legis in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avv.ti ZOBOLI LUIGI ALBERTO e MORONI ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (Omissis), in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato ope legis in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avv.ti GIANNINI MARCO e PIZZORNI CRISTINA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 307/2021 della CORTE D’APPELLO DI GENOVA, pubblicata il 23/12/2021 R.G. n. 153/2021;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza del 01/02/2023 dal Consigliere Dott. SALVATORE CASCIARO. il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA visto il D.L. n. 28 ottobre 2020 n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 23 dicembre 2021, la Corte d’appello di Genova respingeva il reclamo proposto da A.A., dipendente del Comune di (Omissis) con funzioni di coordinatrice dei Servizi educativi di prima infanzia (funzionario D5, profilo tecnico), avverso la sentenza del Tribunale di Sanremo, a sua volta reiettiva dell’impugnativa di licenziamento per giusta causa intimato in data (Omissis).

Il licenziamento in parola aveva fatto seguito a una contestazione del (Omissis), relativa a plurime irregolarità nella registrazione della presenza in servizio, e dei relativi orari di entrata e uscita, ritenuta adeguatamente comprovata alla stregua delle risultanze delle indagini della Guardia di finanza che avevano dato luogo anche a un giudizio penale chiusosi poi, per la A.A., con l’assoluzione.

2. Per quanto ancora in discussione, la Corte territoriale, riteneva che l’UPD avesse autonomamente valutato gli atti del procedimento penale, accertando la violazione degli obblighi di attestazione delle presenze, profilo (questo) di rilevanza oggettiva, senza che potesse configurarsi una commistione tra il procedimento disciplinare e quello penale, con violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis comma 4.

Osservava che gli episodi contestati erano in realtà quattro (17 gennaio, 5 febbraio, 11 giugno e 16 settembre 2014), ma aggiungeva che anche uno solo di essi avrebbe potuto valere a giustificare il licenziamento; le condotte addebitate erano rimaste tutte comprovate, e, previa verifica dell’elemento intenzionale o colposo (quest’ultimo “quanto meno” configurabile nella specie), nonchè dell’assenza di scriminanti, il giudice d’appello avrebbe dovuto tener conto del “rigore della norma”, che tipizzava le condotte in esame come atte a giustificare il recesso, misura disciplinare senz’altro adeguata e proporzionata alla gravità delle infrazioni.

3. Non rilevava il fatto che la A.A. potesse non avere tratto benefici economici dalla falsa attestazione degli orari di servizio, atteso che ciò avrebbe potuto riguardare solo alcuni degli episodi descritti e non certo il primo di essi, che era il più grave in considerazione dei ripetuti “tentativi della ricorrente di alterare la realtà dei fatti”, con sicura lesione, anche per tal guisa, dell’elemento fiduciario, qui particolarmente intenso per le “delicate e importanti funzioni” svolte, con espletamento anche all’esterno degli uffici comunali e, dunque, inevitabile difficoltà di controllo da parte datoriale.

4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza A.A., articolato in cinque motivi, assistiti da memoria, opposti dal Comune di (Omissis) con controricorso.

5. La Procura generale ha rassegnato conclusioni scritte ex D.L. n. 137/2020, art. 23, comma 8 bis, conv. dalla L. n. 176/2000, e ha concluso per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente, quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione in sede di memoria difensiva ex art. 378 c.p.c., va osservato che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della “regula iuris” alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue che va in questi casi ritenuta l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 c.p.c. (Cass. 27321 del 2021, Cass. 22376 del 2017, Cass. n. 23483 del 2010).

2. Con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis comma 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La Corte d’Appello ha ritenuto erroneamente che l’ingerenza indebita di militari della Guardia di finanza – e, dunque, di soggetti estranei all’UPD e non connotati da terzietà – nell’istruttoria disciplinare non costituirebbe violazione di legge, e aveva errato nel trascurare che il fatto costituente addebito disciplinare era stato, con sentenza penale di assoluzione (con formula “per insussistenza del fatto”), ritenuto insussistente.

2.1 Il motivo è infondato.

Il procedimento è stato instaurato, e concluso, dall’UPD competente e la dedotta nullità sarebbe al più seguita ove fosse stato instaurato da soggetto diverso rispetto al già menzionato ufficio (Cass. n. 17357/2019); sicchè, la lamentata partecipazione o l’indebita ingerenza di soggetti estranei non si riflette, come opina la difesa della ricorrente, in termini di nullità.

Aggiungasi, in proposito, che la Corte di merito ha affermato, con valutazione di fatto incensurabile in questa sede, che nella specie l’UPD ha operato con autonoma valutazione della vicenda disciplinare; nè può sostenersi, sotto altro verso, che occorreva attendere l’esito del giudizio penale: secondo principi ormai acquisiti nel pubblico impiego privatizzato il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-ter, inserito dal D.Lgs. n. 150 del 2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. n. 8410 del 2018; Cass. n. 29376 del 2018).

La censura è, nel resto, infondata.

Nella specie, la A.A. dà atto che, anche al momento della notifica del ricorso per cassazione, la sentenza della Corte d’appello di Genova non era ancora passata in giudicato (“passerà in giudicato, con ogni probabilità, nel corso del prossimo mese di giugno 2022”, così a a pag. 3 del ricorso), sicchè un problema di applicabilità della disposizione dell’art. 654 c.p.p. neppure si pone.

3. Con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La Corte d’Appello ha ritenuto provato un addebito in via presuntiva, fondando l’inferenza su fatti e presunzioni non connotati da gravità, precisione e concordanza ed anzi smentiti da prove testimoniali, completamente ignorate. La ricorrente sottopone a un analitico riesame tutte le risultanze dell’istruttoria, assumendo che la Corte le avrebbe travisate.

3.1 Il motivo è inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, n. 1785/2018) hanno precisato che la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 c.c. si può formulare quando il giudice di merito affermi che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice del merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. Cass. n. 9054/2022).

Non può avere ingresso in questa sede il tentativo di prospettare una diversa ricostruzione dei fatti e/o di sottoporre a revisione le risultanze istruttorie, atteso che, così facendo, le doglianze, sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge per violazione dei principi che sovrintendono alla prova per presunzioni, si rivelano più che altro finalizzate a un riesame del merito, chiaramente precluso in questa sede (Cass. n. 6960/2020).

4. Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) il motivo contesta la sussunzione nelle norme in rubrica di tre episodi. Quello del 5 febbraio 2014 in relazione al quale la Corte d’appello ha erroneamente affermato che non rilevasse accertare se la condotta sia stata colposa o dolosa. In realtà il fatto che la dipendente avesse avvertito il proprio dirigente del rientro anticipato a casa escluderebbe il dolo. Quello dell’11 giugno 2014 che non poteva essere sussunto nella fattispecie legale perchè connotato da assenza di danno per l’amministrazione e da mera colpa. Ed infine, quello de 16 settembre 2014 dove la Corte d’appello ha sussunto nella fattispecie legale un allontanamento estraneo all’orario di lavoro della ricorrente.

4.1 Il terzo motivo è inammissibile anzitutto per carenza di interesse.

Esso infatti censura le valutazioni del giudice d’appello in relazione a tre episodi: 5 febbraio 2014, 11 giugno 2014, 16 settembre 2014, non anche in riferimento a quello del 17.1.2014, peraltro ritenuto dal giudice d’appello come di maggiore gravità; eppure la Corte di merito, con passaggio argomentativo (si noti) non specificamente censurato e idoneo a sorreggere la motivazione, aveva rilevato in sentenza come comunque “anche un solo episodio di falsa attestazione delle presenze può valere a determinare il licenziamento”. Il motivo è comunque infondato per l’accertamento puntuale, contenuto nella sentenza impugnata, delle condotte contestate e l’assenza di circostanze scriminanti.

5. Con il quarto motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la sentenza impugnata ritenuto proporzionato il licenziamento, senza considerare che l’accertata presenza di un elemento soggettivo connotato da mera colpa, unitamente agli altri elementi emersi in causa, avrebbe dovuto portare a concludere per una valutazione di segno opposto.

5.1 La censura, là dove è formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non è conforme al testo dell’art. 360 c.p.c. n. 5 come novellato del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., norma introdotta dal medesimo D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a) e applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge.

6. Con il quinto mezzo lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) si censura l’incoerenza della decisione in relazione “agli standards conformi ai valori dell’ordinamento” perchè la Corte di merito non avrebbe compiutamente valutato i fatti nella loro componente oggettiva e soggettiva che ne sminuiva la gravità.

6.1 Anche tale critica va disattesa.

Non risponde al vero che la Corte territoriale non abbia valutato la gravità della condotta, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi. Si deve qui ribadire che, anche in presenza di uno degli illeciti tipizzati dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, va escluso qualsivoglia automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare (Cass. n. 1351/2016, Cass. n. 18326/2016, Cass. n. 18858/2016, Cass. n. 24574/2016), perchè della norma deve essere fornita un’interpretazione orientata al rispetto dei principi costituzionali.

Il Giudice delle leggi, infatti, esaminando diverse disposizioni legislative che prevedevano automatismi espulsivi, ha ritenuto che la privazione di una valutazione di graduazione della sanzione in riferimento al caso concreto vulnera i principi della tutela del lavoro (Cost., artt. 4 e 35), del buon andamento amministrativo (Cost., art. 97) e quelli fondamentali di ragionevolezza (i.e., art. 3 Cost., cfr. Corte Cost. n. 971/1988 e Corte Cost. n. 706/1996 in materia di destituzione di diritto; Corte Cost. n. 170/2015 in materia di trasferimento obbligatorio in caso di violazione di specifici doveri da parte dei magistrati).

E’ stato, però, evidenziato anche, in relazione all’assenza ingiustificata, che “la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa” (Cass. n. 18326/2016).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, dopo avere escluso, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, la fondatezza delle giustificazioni fornite dalla A.A., ha anche evidenziato che l’addebito contestato, per la sussistenza dell’elemento soggettivo (“quanto meno della colpa”) e per la sua gravità, era idoneo a integrare una giusta causa di licenziamento, non solo sulla base della previsione normativa, ma anche “per le delicate e importanti funzioni svolte dalla A.A.”, per il fatto che il suo servizio “si svolgeva in maniera rilevante all’esterno con minor possibilità di controllo del Comune”, vuoi per l’irrilevanza, in riferimento ad alcuni episodi, dell’assenza di benefici economici collegati alla falsa attestazione. La pronuncia risulta, pertanto, rispettosa del principio di diritto sopra enunciato.

7. Conclusivamente, alla stregua dei rilievi suesposti, il ricorso è da rigettare, con addebito alla parte soccombente delle spese processuali ex art. 91 c.p.c., liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro Euro. 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2023

 


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 17/03/2023) 22/03/2023, n. 8201

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15350-2018 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA Spa , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato GIANCARLO GRECO giusta procura speciale agli atti;

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 228/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA, depositata il 17/1/2018, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/3/2023 – tenutasi in modalità da remoto previo decreto di autorizzazione del Presidente del Collegio – dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Svolgimento del processo
la Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello di A.A. avverso la pronuncia n. 4595/2014 della Commissione tributaria provinciale di Palermo con cui era stato respinto il ricorso proposto avverso intimazione di pagamento e relative cartelle esattoriali ad essa sottesa;

avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale Riscossione Sicilia Spa propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi;

A.A. è rimasto intimato.

Motivi della decisione
1.2. con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56 e dell’art. 2719 c.c. e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente richiesto la produzione degli originali delle relate di notifica degli atti impugnati, pur non avendo il contribuente mai provveduto a disconoscere la conformità della documentazione prodotta in copia;

1.3. con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, seconda parte, e lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente affermato che, sulla base della citata norma, l’ente di riscossione abbia l’onere di esibire copia conforme della cartella impugnata “allorquando il contribuente ne richieda la copia”;

2.1. le doglianze, da esaminare congiuntamente, sono fondate;

2.2. in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, la prova del perfezionamento del procedimento di notifica e della relativa data è assolta, infatti, mediante la produzione della relazione di notificazione o dell’avviso di ricevimento, recanti il numero identificativo della cartella, non essendo necessaria la produzione in giudizio della copia della cartella stessa (cfr. Cass. 21/7/20121 n. 20769, Cass. 11/10/2018, n. 25292, Cass. n. 11/10/2017, n. 23902);

2.3. in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio non è necessaria, dunque, la produzione in giudizio dell’originale o della copia autentica della cartella, essendo altresì sufficiente la produzione della matrice o della copia della cartella con la relativa relazione di notifica;

2.4. nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale dà conto dell’avvenuta produzione, da parte dell’agente della riscossione, delle copie fotostatiche delle relate di notifica degli atti impugnati dal contribuente, e dei relativi estratti di ruolo, e la conformità delle copie agli originali non risulta essere stata posta in discussione da quest’ultimo in sede di appello (ritualmente trascritto nel ricorso);

2.5. l’estratto di ruolo, inoltre, è l’equipollente della matrice, in quanto è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale, che contiene tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (cfr. Cass. 14/6/2019, n. 16121, Cass. 24/4/2018, n. 33563, Cass. 11/10/2017, n. 23902);

3. i motivi in esame devono essere dunque accolti e la sentenza deve essere cassata;

4. atteso che nell’originario ricorso il contribuente aveva impugnato l’intimazione di pagamento e le cartelle unicamente facendo valere l’omessa notifica di queste ultime, la causa può essere decisa nel merito con rigetto dell’originario ricorso;

5. le spese del merito devono essere compensate in ragione dell’evolversi della vicenda processuale mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente; compensa le spese dei gradi di merito; condanna il contribuente a rifondere alla ricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.800,00 per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge ed oltre Euro 200,00 per esborsi.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 17 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2023


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 24/02/2023) 20/03/2023, n. 7994

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LUME Federico – Consigliere –

Dott. ANGARANO Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa in calce al ricorso, dagli Avv.ti Gianfilippo Elti di Rodeano e Andrea Recchi, che hanno indicato recapito PEC, avendo la ricorrente dichiarato domicilio presso lo studio del primo difensore, alla via Paolo Emilio n. 28 in Roma;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

E Contro

Equitalia Sud Spa , in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 2949, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 20.5.2015, e pubblicata il 25.5.2015; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio.

la Corte osserva.

Svolgimento del processo
1. L’Incaricato per la riscossione, Equitalia Sud Spa , notificava in data 12.5.2011 a A.A. la cartella di pagamento n. (Omissis) (Omissis) per l’importo di Euro 89.859,03, recante l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo degli avvisi di accertamento n. (Omissis), avente ad oggetto Irpef ed accessori in relazione all’anno 2004, e n. (Omissis), avente ad oggetto Irpef ed accessori con riferimento all’anno 2005, dichiaratamente notificati in data 30.12.2009.

2. L’odierna ricorrente impugnava la cartella esattoriale innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, contestando l’inefficacia dell’atto impugnato a causa dell’insussistenza del diritto dell’Ufficio a richiedere il pagamento di somme afferenti al tributo dell’Irpef, in riferimento agli anni 2004 e 2005, senza aver preliminarmente provveduto a notificare correttamente i prodromici avvisi di accertamento, peraltro non essendo da lei dovuta la somma richiesta. La contribuente comunque domandava, se del caso, di ridurre la pretesa di pagamento alla somma effettivamente dovuta. La CTP dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla contribuente, ritenendo che gli atti impositivi fossero stati regolarmente notificati.

3. A.A. spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Roma. La CTR rigettava l’impugnativa introdotta dalla contribuente e confermava la decisione assunta dalla CTP. 4. Avverso la pronuncia della CTR di Roma ha proposto ricorso per cassazione A.A., affidandosi a due motivi di impugnazione.

Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. Equitalia Sud Spa ha ricevuto la notificazione del ricorso in data 31.12.2015, ma non si è costituita nel giudizio di legittimità.

Motivi della decisione
1. Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contribuente contesta la violazione dell’art. 140 cod. proc. civ, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, in cui è incorsa la CTR nell’aver erroneamente applicato le regole legali in materia di adempimenti necessari per il perfezionarsi della notifica a soggetti irreperibili.

2. Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente contesta l’omesso esame dell’eccezione circa la mancata ricerca da parte dell’Ufficiale notificatore di persone idonee alla ricezione della notifica ai sensi dell’art. 139 c.p.c., e di richiesta di informazioni sull’eventuale trasferimento del contribuente.

3. Con il primo mezzo di impugnazione la ricorrente censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice del gravame, per non aver correttamente applicato il combinato disposto dagli artt. 140 c.p.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, 60, in ordine agli adempimenti relativi al procedimento di notificazione dei prodromici avvisi di accertamento in esame.

3.1. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 prevede che, in caso di irreperibilità del destinatario della notifica, non è applicabile l’art. 143 c.p.c., espressamente escluso dalla disposizione di cui alla lett. f) della norma, che non esclude, però, la necessità che si provveda agli adempimenti di cui all’art. 140 c.p.c..

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), offre comunque delle indicazioni specifiche sulla modalità di compimento del processo di notificazione di un atto tributario al contribuente irreperibile, e detta “e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 del codice di procedura civile, in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione”.

Siamo pertanto in presenza di un procedimento notificatorio che segue regole sue proprie e, (soltanto) per quanto non specificamente disciplinato, si svolge in applicazione delle previsioni di cui all’art. 140 c.p.c. ed alle norme dallo stesso richiamate, con particolare riferimento all’art. 139 c.p.c. ed alle ricerche del destinatario previste dalla disposizione.

3.2. La disciplina della notifica prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, prevede comunque deroghe significative rispetto alla disciplina prevista dall’art. 140 del codice di rito. Ai sensi della disciplina ordinaria, risultando irreperibile il destinatario, l’atto da notificare è depositato presso la casa comunale, con affissione di avviso, in busta chiusa e sigillata, alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e deve essergli data notizia mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), invece, l’avviso del deposito, sempre in busta chiusa e sigillata, non si affigge alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, bensì presso la casa comunale, e non è previsto l’invio della raccomandata informativa.

3.2.1. Tanto premesso il giudice del gravame ha osservato che “Nella fattispecie il Collegio evidenzia che l’Ufficio ha dimostrato l’intervenuta e regolare notifica degli atti sottesi alla cartella. Nel caso di effettuazione della notifica a soggetti assolutamente irreperibili il D.P.R. n. 600/73, art. 60, comma 1, lett. e) dispone che l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c. in busta chiusa e sigillata si affigge all’albo del comune e la notificazione si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello dell’affissione.

Pertanto, il provvedimento notificatorio si è concluso per compiuta giacenza non avendo il destinatario curato il ritiro.

Ritiene che la cartella di pagamento risulta ritualmente notificata” (sent. CTR, p. 4).

3.3. Dunque, pur dando atto la CTR che la questione relativa agli adempimenti necessari per la corretta notificazione degli avvisi di accertamento è risultata controversa sin dal primo grado del giudizio, il giudice dell’appello limita la sua analisi all’affissione dell’atto presso la casa comunale.

4. La pronuncia del giudice del gravame è sottoposta a specifica censura sul punto, perchè la ricorrente, richiamando plurima giurisprudenza di legittimità, evidenzia che “la notificazione ai sensi dell’art. 60, lett. e), è valida soltanto se non sia effettivamente possibile reperire l’abitazione, l’ufficio o l’azienda del contribuente nel comune ove il medesimo ha il domicilio fiscale, malgrado le ricerche del messo notificatore, sempre che queste, secondo giudizio insindacabile in sede di legittimità, siano state sufficienti… l’unica parte redatta e sottoscritta dall’ufficiale postale… è quella relativa alla cartolina dalla quale risulta la mancata consegna per ‘irreperibilità’ non meglio precisata… nulla riferisce l’Ufficiale Postale in ordine alle motivazioni dell’irreperibilità nè delle cause per le quali non sia stata eseguita la consegna sul perchè il destinatario o altro possibile consegnatario non è stato rinvenuto in detto indirizzo… Alcuna attività ai sensi dell’art. 140 c.p.c. risulta effettuata dall’Ufficiale notificatore…” (ric., p. 7).5. Può allora ricordarsi come questa Corte regolatrice abbia già avuto modo di statuire che “la notificazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e) è ritualmente eseguita solo nell’ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il messo notificatore deve svolgere nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, in esso non rinvenga l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente. Solo in questi casi la notificazione è ritualmente effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, nè di ulteriori ricerche al di fuori del detto Comune” (evidenza aggiuta), Cass. sez. V, 12.2.2020, n. 3378. Non si è del resto mancato di chiarire, ancor più specificamente con riferimento alla vicenda processuale in esame, che “la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi va eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. solo ove sia conosciuta la residenza o l’indirizzo del destinatario che, per temporanea irreperibilità, non sia stato rinvenuto al momento della consegna dell’atto, mentre va effettuata ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), quando il notificatore non reperisca il contribuente perchè trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato, previe ricerche, attestate nella relata, che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune del domicilio fiscale” (evidenza aggiunta), Cass. sez. V, 15.3.2017, n. 6788.Non si è attenuta a questi principi la impugnata CTR, ed il primo motivo di ricorso introdotto dalla contribuente deve essere pertanto accolto, cassandosi la decisione impugnata, con rinvio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio. Il secondo strumento di impugnazione rimane assorbito.

P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso proposto da A.A., assorbito il secondo, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio nel rispetto dei principi esposti, e provveda anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità tra le parti.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2023


Modulistica anno 2023

Modulistica aggiornata con le modifiche apportate dalla riforma “Cartabia 2022”

Scarica: MODULISTICA 2023


Corte d’Appello Catanzaro, Sez. lavoro, Sent., 09/03/2023, n. 157

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D’Appello di Catanzaro
SEZIONE LAVORO

La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta:

1. dott.ssa Barbara Fatale – Presidente rel.

2. dott. Rosario Murgida – Consigliere

3. dott.ssa Giuseppina Bonofiglio – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa in grado di appello iscritta al numero 138 del Ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2022 e vertente

TRA

M.A., con l’Avv. DURANTE EUGENIO, che lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine del ricorso di primo grado, presso il cui studio, sito in Lamezia Terme, via S. Miceli n. 24/O, è elettivamente domiciliato

appellante
E
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (INPS) (C.F.:.(…) – PIVA:(…)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Catanzaro, Via Milano, 9, presso l’ufficio legale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Teresa Pugliano, Giacinto Greco, Silvia Parisi e Francesco Muscari Tomaioli, giusta procura generale ad lites, ad atto Notaio Dott. P.C. ni, in R., lì (…), rep. (…), rogito (…)

appellato

e

AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, p.iva (…), in persona del Legale Rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Catanzaro, Via V. Cortese n. 12 presso lo Studio dell’Avv. Vincenzo GALLO, da cui è rappresentata e difesa, giusta procura allegata alla memoria di costituzione in appello

appellato

Avente ad oggetto: appello avverso sentenza del Tribunale di Lamezia Terme. Obbligo contributivo

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale di Lamezia Terme, Giudice del lavoro, il 23.1.2013, M.A. ha chiesto di annullare e/o dichiarare nullo e/o di risolvere e/o rescindere e/o rettificare, e, comunque di dichiarare inefficace, l’accordo di rateazione perfezionato a seguito dell’istanza presentata dal medesimo M. il 29.1.2012 ed accettata da Equitalia Sud Spa con comunicazione del 14.2.2012, avente ad oggetto “Accoglimento dell’istanza di rateazione protocollo n. (…) del 31/01/2012 presentata dal CF: (…)”. Ciò poiché nell’accettazione della rateazione: a) è stato erroneamente computato l’importo pari ad Euro 269.213,15, riportato attraverso l’espresso richiamo della cartella di pagamento n. (…) e del sotteso Decreto Ingiuntivo n. 44/2001, che è titolo giudiziale in verità emesso per un credito di gran lunga inferiore e pari a L. 2.211.877 (quindi poco oltre i 2 milioni di L.); b) è stato erroneamente computato anche l’importo di Euro 56.182,89, riportato attraverso l’espresso richiamo della cartella di pagamento n. (…). Le dette somme, ed i relativi titoli, sono stati erroneamente inseriti da Equitalia nel piano di rateazione, e non erano presenti nella istanza del M., la quale non conteneva alcun importo né il riferimento ad alcuna specifica cartella di pagamento. Invero il M. aveva formulato l’istanza di rateazione in modo del tutto generico al solo fine di eliminare ogni pendenza nei confronti dell’agente della riscossione, chiedendo semplicemente e genericamente di rateizzare tutti i debiti in quel momento esistenti. Sulla scorta di tali vizi ed errori, il ricorrente ha chiesto la condanna dei convenuti Equitalia e Inps, in solido tra loro, alla restituzione delle corrispondenti maggiori somme non dovute, medio tempore versate, maggiorate di interessi e rivalutazione, dal dì del dovuto sino all’integrale soddisfo. Sempre nel ricorso, l’istante ha chiesto al Tribunale di accertare la prescrizione di tutti i crediti riportati nelle due cartelle sopra indicate, e nella specie l’intervenuta prescrizione decennale del credito INPS contenuto nel citato D.I. n. 47 del 2001, emesso dal Tribunale del Lavoro di Lamezia Terme in data 1.9.2001 per il valore di L. 80.848,596 (quindi oltre 80 milioni di L.), che è titolo non compreso nella cartella impugnata, ove si fa invece espresso riferimento al diverso decreto ingiuntivo n. 44/2001. Ciò poiché il credito contenuto nel decreto ingiuntivo n. 47/2001 era stato azionato – da ultimo – con la notifica dell’atto di pignoramento avvenuta il 21.12.2001, e questo ha rappresentato l’ultimo atto interruttivo della prescrizione. Invero la procedura è stata dichiarata estinta e dunque non si è mai formato alcun successivo atto e/o provvedimento che abbia potuto interrompere – nuovamente – la prescrizione decennale. Il relativo credito si è pertanto prescritto il 21.12.2011, dunque in epoca antecedente alla istanza di rateazione del M. (del 29.1.2012) e della sua accettazione da parte di Equitalia, e quindi, è ovvio, in epoca anteriore all’instaurazione del presente giudizio. In ogni caso ed infine, il ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni cagionati in seguito e per l’effetto della erronea e/o colposa e/o dolosa iscrizione a ruolo da parte dell’INPS e di Equitalia delle somme di cui alla ripetuta cartella n. (…), e dunque della fittizia esposizione debitoria cagionata in danno al ricorrente, costretto ad accettare una rateazione a condizioni ben più svantaggiose di quelle di cui avrebbe usufruito se fosse stato invitato a rateizzare solo le somme – ben più modiche – effettivamente dovute. Allo stesso modo ha eccepito la prescrizione del credito INAIL riportato nella cartella di pagamento n. (…).

In giudizio si sono costituiti i resistenti Equitalia, INPS ed Inail, i quali hanno chiesto il rigetto delle domande del ricorrente.

Il processo è stato istruito tramite prova per testi ed in via documentale, ed è stato dichiarato interrotto in data 19/01/2018, a seguito dell’assorbimento di Equitalia in Agenzia delle Entrate Riscossione. Esso è stato poi riassunto dal ricorrente in data 11/4/2018 tramite il deposito di ricorso in riassunzione.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso alla luce delle seguenti argomentazioni:

“Ai fini della decisione ritiene opportuno questo Giudice che sia necessario fare alcune precisazioni. Riguardo al riconoscimento del debito e dell’effetto interruttivo della istanza di rateizzazione, la S.C. ha avuto modi confermare con decisioni dal n.12731 al 12735 del 2020 che “… Va rammentato che, in materia tributaria, non costituisce acquiescenza, da parte del contribuente, l’aver chiesto ed ottenuto, senza alcuna riserva, la rateizzazione degli importi indicati nella cartella di pagamento, atteso che non può attribuirsi al puro e semplice riconoscimento d’essere tenuto al pagamento di un tributo, contenuto in atti della procedura di accertamento e diriscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario (Cass. n. 3347 del 2017). Correttamente, pertanto, la CTR ha escluso che l’istanza di rateazione avanzata dalla contribuente costituisse acquiescenza, rilevando, altresì, ai fini del decorso del termine di impugnazione, che la presentazione di tale istanza non comportava l’effettiva conoscenza della cartella di pagamento, ben potendo il contribuente richiedere il pagamento rateale per finalità (evitare di subire un’esecuzione o misure cautelar’) che non presuppongono il riconoscimento del debito. …” . Già con precedenti decisioni la S.C. ha avuto modo di affermare che “… Considerato che la Corte territoriale, confermando la decisione del giudice di primo grado – premesso che l’atto di riconoscimento di debito per avere effetto interruttivo della prescrizione deve essere univoco e sorretto da specifica intenzione ricognitiva, dovendosi escludere tale effetto escludere quando abbia finalità diverse – ha ritenuto che tale valore non potesse nel caso attribuirsi alla richiesta di rateizzazione, valorizzando le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società – già valutate dal giudice di primo grado – a conferma di una diversa volontà da parte del debitore, confermata a pochi mesi di distanza dalla presentazione dell’istanza di trattazione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado in cui si faceva anche valere l’intervenuta prescrizione. Il primo motivo di ricorso di Equitalia Servizi di Riscossione è dunque inammissibile, in quanto valorizza solo la presentazione dell’istanza di rateizzazione ed il pagamento di alcune delle rate, senza confutare la motivazione della Corte che ha avuto riguardo alla volontà ivi espressa dalla parte, quale ricostruita anche in base al comportamento complessivo da questa tenuto, ritenuta non univocamente significativa della volontà ricognitiva. …” (S.C. n.13506/2018) ed ancora con Ordinanza n.16098/2018 ha avuto modo di precisare ulteriormente che “… Con il primo motivo la ricorrente denuncia in rubrica violazione dell’art. 100 c.p.c., artt. 2 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sviluppando nel corpo dell’articolazione della censura, in relazione alla giurisprudenza della Corte ivi richiamata, l’argomentazione anche in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, rilevando l’erroneità dell’impugnata pronuncia nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’originaria impugnazione proposta dal contribuente avverso le cartelle ed i ruoli in questione per il tramite di estratto di ruolo, quantunque le risultanze probatorie avessero dimostrato che il contribuente aveva acquisito piena conoscenza di tutte le cartelle in questione, la cui impugnazione doveva ritenersi quindi inammissibile perchè tardiva, non potendo assumersi – una volta notificate le cartelle – l’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo quale atto interno dell’Amministrazione. Il motivo è manifestamente fondato alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 2 ottobre 2015, n. 19704), che hanno chiarito che la tutela del contribuente può estendersi sì anche all’impugnazione delle cartelle e dei ruoli ad esse sottesi sempre che l’interesse all’impugnazione nasca effettivamente dalla conoscenza che se ne abbia, in assenza di notifica, solo per mezzo della consegna dell’estratto di ruolo, restando, al di fuori di detta ipotesi, non consentita l’impugnazione in sè dell’estratto di ruolo quale atto interno dell’Amministrazione. Di detto principio la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione, ritenendo che solo per una delle cartelle l’agente della riscossione avesse provato l’avvenuta rituale notifica. Per le altre cartelle per le quali l’agente della riscossione aveva prodotto documentazione comprovante la richiesta di rateizzazione del debito dalle stesse portato e finanche il pagamento di un certo numero di rate (17 su 72 del beneficio concesso), pur richiamando remoto precedente di questa Corte (Cass. sez. 1^, 19 giugno 1975, n. 2436), la sentenza impugnata se ne è in concreto discostata, perchè, se è vero che di per sè in materia tributaria, non può costituire acquiescenza da parte del contribuente l’avere chiesto ed ottenuto, senza riserva alcuna, la rateizzazione degli importi indicati nelle cartelle di pagamento, nondimeno il riconoscimento del debito comporta in ogni caso l’interruzione del decorso del termine di prescrizione e si pone quindi in maniera incompatibile con l’allegazione del contribuente di non avere ricevuto notifica delle cartelle. Ciò comporta, come chiarito più di recente anche da Cass. sez. 5, 8 febbraio 2017, n. 3347, che in tanto è possibile, comunque, la contestazione nell’an della pretesa tributaria, sempre che non siano scaduti i termini per la proposizione dell’impugnazione avverso le cartelle, nella fattispecie in esameampiamente decorsi all’atto della proposizione del ricorso in primo grado, avuto riguardo alla data del 15 gennaio 2012 dei provvedimenti che avevano autorizzato la rateizzazione del debito richiesta dal contribuente. Il ricorso è dunque fondato in relazione al primo motivo, ciò comportando l’assorbimento del terzo, e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., perché la causa non avrebbe potuto essere proposta. …”. Alla luce di quanto sinora esposto, quindi, vista la giurisprudenza, non si può non confermare il principio che sottoscrivere un piano di rateizzazione con Agenzia delle Entrate Riscossione non costituisce riconoscimento del debito, ma può comportare al limite una riapertura dei termini di prescrizione, salvo che non siano già decorsi ed in mancanza legittimando eventualmente l’ente ad intraprendere nuove azioni esecutive in danno del debitore. Valutazione quest’ultima che sarà, eventualmente, affrontata ove dovesse presentarsi l’esigenza d’analisi di una simile circostanza nel caso in specie. In aggiunta a quanto si rende necessario precisare che la S. C. a Sezioni Unite, con la sentenza n.23397/2016 ha affermato il principio, costante in giurisprudenza di legittimità, non per ultime la n.18360 e n.18362 del 20020, n.1088 e n.6888 del 2019, la n.23418/2018, di cui deve farsi applicazione, secondo il quale “… La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo sena determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 333 del 1993, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dal 1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010). …”. Orbene, nel caso in esame, parte ricorrente lamenta, l’intervenuta prescrizione dei crediti INPS contenuti nella Cartella Esattoriale n.(…) notificata in data 7.10.2010, e conseguentemente l’illegittimo inserimento della stessa nell’istanza di rateizzazione, in quanto non più riscuotibili per previsione normativa, evidenziando identica questione per l’altra cartella contenente crediti per premi INAIL, il cui esame però è stato demandato alla competenza del Giudice del Lavoro del Tribunale di Catanzaro. Inoltre, lamenta che all’interno della cartella è indicato come titolo il decreto ingiuntivo n.44/2001, mentre i contributi risultano riferirsi al decreto ingiuntivo n.47/2001, di cui non si fa menzione, per cui lo stesso risulta essersi prescritto insieme ai contributi in esso contenuti. Ritiene questo Giudice che il ricorso sulla base della documentazione in atti ed in applicazione proprio dei principi della S.C., non possa esser accolto.

Atteso che i contributi contenuti nei due decreti ingiuntivi n.44 e n.47 del 2001 risultano regolarmente azionati per stessa ammissione di parte ricorrente, con un’esecuzione terminata con l’estinzione della procedura esecutiva il 28.02.2002, e trattandosi di titoli giudiziari la prescrizione è decennale e questa inizia a decorrere certamente dal 01.03.2002 per cui sino al 28.02.2012 non poteva verificarsi alcuna prescrizione dei crediti in essi contenuti. A ciò si aggiunga che la Cartella Esattoriale n.(…) notificata in data 7.10.2010 al di là della corretta o meno indicazione del decreto ingiuntivo ritenuto azionato, indica in modo inequivocabile i contributi e gli anni richiesti in pagamento e non essendo stata opposta, pur essendo stata regolarmente notificata, per stessa ammissione di parte ricorrente che ne ha allegato l’originale in atti, ha fatto sì che questi siano divenuti intangibili, con la conseguenza che l’eventuale loro prescrizione, ove possibile, ha iniziato a decorrere dal 08.10.2010, ancorché quinquennale, per gli anni non contenuti correttamente nel decreto ingiuntivo n.44/2001, per cui la loro prescrizione al limite poteva verificarsi solo dopo il 08.10.2015 . Per cui pur ipotizzando la possibilità di eccepirne la prescrizione dei contributi in essa contenuti, questa doveva esser fatta valere con la tempestiva opposizione alla cartella esattoriale, ma così non è stato, rendendo il suo contenuto irretrattabile, come da giurisprudenza richiamata. Negli atti di causa, fascicolo INPS, vi è un atto di precetto, regolarmente notificato al M. inerente il decreto ingiuntivo n.47/2001, considerato che si intima il pagamento di £.80.848.596 più accessori ecorrispondente all’importo del decreto richiamato, e notificato il precetto il 02.12.2002, per cui anche in questo caso gli importi dei contributi contenuti in detto titolo esecutivo giudiziario, in mancanza di altri atti interruttivi, si sarebbero prescritti a decorrere dal 01.12.2012. Da quanto sopra, essendo l’istanza di rateizzazione è del 31.01.2012, l’Agente della Riscossione ha correttamente inserito la Cartella Esattoriale n.(…), la quale non risulta esser prescritta e ne lo sono i contributi in essa contenuti, per le ragioni su esposte. Conseguenza di quanto sopra è che il ricorso risulta privo di fondamento, non essendoci alcuna prescrizione contributiva, né tantomeno risulta fondata l’affermazione di un abuso dell’Agente per la Riscossione nell’inserire la cartella in questione in quelle da rateizzare, per le ragioni su esposte. Riguardo alla Cartella Esattoriale contenente i crediti INAIL, per come già evidenziato, si è già disposto con Ordinanza d’incompetenza territoriale in favore del Giudice del Lavoro di Catanzaro, conseguentemente, la valutazione ha riguardato solo ed esclusivamente la Cartella Esattoriale n.(…) notificata in data 07.10.2010, sulla cui avvenuta notifica e non opposizione, nel termine di 40 gg dalla sua notifica ai sensi dell’art. 24 del D.Lgs. n. 46 del 1999, non vi è contestazione. Riguardo all’eccezione di inammissibilità avanzata da parte ricorrente inerente il deposito della memoria di costituzione da parte dell’INPS dopo al riassunzione avvenuta cartaceamente e non già per via telematicamente, questa oltre a presentarsi tardiva, perchè proposta all’odierna udienza e non già alla prima utile dopo la riassunzione, risulta essere generica e priva di riferimenti normativi e quindi inammissibile. La domanda è rigettata, le spese di lite, seguono la soccombenza, le quali vengono liquidate anche in favore dell’INAIL, attesa la rinnovata chiamata in giudizio nella riassunzione, nonostante né fosse stata dichiarata l’estromissione per incompetenza territoriale, e che per tutti si liquidano come da dispositivo”.

La sentenza è gravata d’appello da M.A., nei soli confronti di Agenzia Entrate Riscossione e dell’Inps, con atto depositato il 25 febbraio 2022.

Costituitisi in giudizio, gli appellati hanno rassegnato le conclusioni sopra riportate.

La Corte, acquisito il fascicolo telematico di primo grado, alla fissata udienza, sentiti i procuratori delle parti, decide come da allegato dispositivo.

Con il proposto gravame, il sig. M. lamenta che:

1) Il Tribunale ha correttamente rilevato che la richiesta di rateizzazione formulata dal ricorrente non comporta acquiescenza e che ha effetto interruttivo della prescrizione solo quando in essa vi sia atto di riconoscimento del debito univoco e sorretto da specifica intenzione ricognitiva, citando, tra le tante, Cass. civ. n. 13506/2018, salvo che alla data di rateizzazione non siano già decorso il termine prescrizionale (pagg. 7, 8 e 9). Il Giudice di prime cure ha poi correttamente delineato i termini della questione ove ha dedotto “Orbene, nel caso in esame, parte ricorrente lamenta, l’intervenuta prescrizione dei crediti INPS contenuti nella Cartella Esattoriale n.(…) notificata in data 7.10.2010, e conseguentemente l’illegittimo inserimento della stessa nell’istanza di rateizzazione”. Esso ha poi fatto, però, mal governo del principio sopra esposto, omettendo di rilevare l’intervenuta prescrizione del credito riportato nella ripetuta cartella n.(…), afferente il decreto ingiuntivo n. 44/2011. Invero, a parere del Giudice, posto che il titolo è stato azionato con la procedura esecutiva dichiarata estinta in data 28.2.2002, solo dopo il provvedimento di estinzione sarebbe iniziato il nuovo decorso del termine prescrizionale interrotto con l’atto di pignoramento, in concreto il termine inziale per la prescrizione cadrebbe in data 1.3.2002 mentre quello finale in data 28.2.2012 (in realtà, secondo l’errata tesi qui censurata, il decorso della prescrizione si sarebbe compiuto il giorno seguente, ossia l’1.3.2012). “Atteso che i contributi contenuti nei due decreti ingiuntivi n.44 e n.47 del 2001 risultano regolarmente azionati per stessa ammissione di parte ricorrente, con un’esecuzione terminata con l’estinzione della procedura esecutiva il 28.02.2002, e trattandosi di titoli giudiziari la prescrizione è decennale e questa inizia a decorrere certamente dal 01.03.2002 per cui sino al 28.02.2012 non poteva verificarsi alcuna prescrizione dei crediti in essi contenuti” (pag. 10). Tale statuizione è del tutto errata posto che il Tribunale ha ritenuto che il termine di prescrizione sia rimasto sospeso fino alla dichiarazione di estinzione, allo stesso modo di quanto avviene per i giudizi regolarmente esitati con sentenza. Ed invece il Tribunale non ha affatto considerato che “In caso di estinzione del processo, solo l’atto introduttivo del giudizio ha efficacia interruttiva istantanea della prescrizione,che ricomincia a decorrere dalla data di tale atto, non avendo efficacia interruttiva le attività processuali svolte nei processo estinto” (Cass. civ. n. 11016/2003). Dunque, il Tribunale avrebbe dovuto accertare, quale ultimo atto interruttivo, il pignoramento notificato il 21.12.2001, e avrebbe dovuto accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione del credito contenuto risalente al 21.12.2011, dunque in epoca antecedente alla istanza di rateazione del M. (del 29.1.2012) e della sua accettazione da parte di Equitalia, e dunque in epoca anteriore all’instaurazione del presente giudizio;

2) Sempre nella sentenza impugnata, in maniera contraddittoria, il Tribunale ha poi aggiunto che essendo il medesimo credito riportato nella cartella n.(…) notificata il 7.10.2010, esso è divenuto intangibile e che la sua prescrizione ha iniziato a decorrere dal 8.10.2020, ovvero dal giorno seguente al termine per la sua impugnazione. Anche in parte qua la pronuncia si rivela errata, posto che la cartella non può in alcun modo rappresentare atto interruttivo della prescrizione posto che essa è del tutto errata, sebben riferita al d.i. 44/2017 contiene in realtà il credito di cui al d.i. n. 47/2017. Essa non rappresenta certo atto nel quale si richieda in modo chiaro e non equivoco il pagamento di una certa somma di denaro. Al contrario, esso è atto manifestamente errato non certo in grado produrre effetto interruttivo. Non può essere certo condivisibile quanto affermato dal Tribunale, secondo cui la cartella non risulta esser prescritta (come è noto però la prescrizione non riguarda la cartella ma il diritto di credito) e ne lo sono i contributi in essa contenuti.

In via preliminare, si osserva che l’appellante ha espressamente dichiarato di non volere impugnare la parte di sentenza nella parte riguardante l’Inail, sicché i relativi capi devono reputarsi coperti da giudicato; del resto, trattandosi di cause scindibili, non si pone l’esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti del suddetto ente previdenziale.

Nel merito, l’appello non si presta ad essere accolto

Orbene, dalla disamina dell’atto di pignoramento (cfr fascicolo di primo grado di parte ricorrente) notificato il 21.12.2001 si evince che questo si riferisce ad entrambi i decreti ingiuntivi (44/01 e 47/01); d’altro canto, la cartella n. (…) (prodotta dallo stesso ricorrente), riguarda il decreto ingiuntivo 44/01 (lo si legge nella causale della cartella); la sua notifica (è pacifico tra le parti), risale al 7.10.2011, ed è dunque antecedente alla presentazione dell’istanza di rateazione (31.1.2012); nell’istanza che risulta depositata dall’odierno appellante nel suo fascicolo di primo grado, non si indicano le cartelle cui l’istanza è riferita (nel relativo spazio si fa riferimento al prospetto allegato, che però non è stato prodotto); tale istanza, peraltro, non reca il timbro di deposito presso il concessionario, diversamente da quella depositata da Equitalia in primo grado, nel proprio fascicolo, che risulta completa dell’indicazione delle cartelle cui l’istanza si riferisce – tra le quali figura anche la cartella qui in contestazione -, e che reca la sottoscrizione del ricorrente e la data.

Tali notazioni consentono di disattendere le questioni prospettate dall’appellante/opponente inerenti alla mancata conoscenza del contenuto dell’accordo di rateazione; è infatti evidente che, allorché il sig. M. lo sottoscrive, è pienamente consapevole dei titoli cui è riferito, compreso quello del cui inserimento qui si lamenta – che era a lui noto, visto che gli era stato previamente notificato.

Quanto all’eccezione di prescrizione, è vero che dopo l’estinzione del processo esecutivo non inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione, come avviene ai sensi di secondo comma di art. 2945 c.c. allorquando il processo si chiude con sentenza, ma è altrettanto vero che la notifica (7.10.2011) della cartella, riferita al decreto ingiuntivo n. 44/2011, è intervenuta entro dieci anni dalla notifica (21.12.2001) dell’atto di pignoramento ed il termine di prescrizione è decennale, perché si tratta di titolo di formazione giudiziale (il decreto ingiuntivo, appunto).

Ne discende che, quando viene inserito nell’istanza di rateazione, non era ancora prescritto.

Le considerazioni che precedono conducono al rigetto dell’appello e alla conseguente conferma della sentenza gravata.

Le spese del grado di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da A.M., con ricorso in data 25 febbraio 2022, avverso la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, giudice del lavoro, n. 439/2021, resa in data 13 settembre 2021, così provvede:

1. rigetta l’appello;

2. condanna M.A. alla rifusione delle spese del grado di lite, che liquida, per ciascun appellato, in complessivi Euro 7120,00,00, oltre accessori come per legge dovuti;

3. dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato dovuto dall’appellante, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012, salva verifica del requisito soggettivo di esenzione.

Conclusione
Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio della Corte di appello, Sezione lavoro, 2 febbraio 2023.

Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.


8 marzo 2023

Oggi più che mai è importante lottare per i diritti delle donne: sono stati fatti grandi passi avanti ma non sono ancora abbastanza. Si sarà sicuramente sentito parlare del gender gap: si chiama così la differenza che c’è tra uomo e donna nella società, solo per il fatto di appartenere a due generi distinti. Gli uomini ricoprono ruoli professionali più importanti, le donne sono relegate alla cura. Basta aprire un giornale qualunque per capire che le donne vengono trattate diversamente: davanti al cognome (le poche volte che viene usato, più spesso si usa il nome di battesimo!) viene messo l’articolo “la”, oppure le professioni sono sempre declinate al maschile: il medico, il ministro, il presidente. Allo stesso modo, a parità di posizione professionale una donna guadagnerà meno, e quando nascono dei bambini questo divario si amplierà ulteriormente.

Per questo, anche se oggi le donne possono votare (in Italia) e partecipare a qualsiasi attività, iscriversi in qualsiasi università, non dare niente per scontato: la strada è ancora lunga ed è importante lottare ogni giorno per la parità, non soltanto regalare mimosa nel giorno della festa della donna!


Riunione Com.ne Normativa del 9 marzo 2023

Viene convocata la riunione della Commissione Normativa per giovedì 9 marzo 2023 alle ore 20:00 sul seguente Ordine del Giorno:
1) Riforma Cartabia 2022;
2) Varie ed eventuali

Leggi: RIUNIONE COMMISSIONE NORMATIVA del 09 03 2023: Considerazioni


Notifica nulla al difensore domiciliatario se non si accerta il rapporto

La Suprema Corte di Cassazione: è nulla la notifica al presunto difensore nel giudizio in cui è assente l’imputato, è nulla in via assoluta la notifica effettuata al difensore d’ufficio domiciliatario se prima non è stato accertato il rapporto tra i due soggetti.

È nulla la notifica eseguita al difensore d’ufficio domiciliatario dell’imputato se prima non si accerta che tra i due soggetti si è instaurato un rapporto effettivo. Lo ha ricordato la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 5897/2023.

Il difensore d’ufficio di un imputato ricorre presso la Suprema Corte di Cassazione sollevando diversi motivi aventi a che fare con violazioni procedurali:

  • mancato rilievo della nullità della elezione di domicilio effettuata da persona sordomuta in violazione dell’art. 119 c.p.c.;
  • omessa dichiarazione di nullità della sentenza di 1° grado perché, stante la mancata presenza dell’imputato, il giudice non ha rinviato l’udienza e non ha disposto la notifica dell’avviso all’imputato personalmente o la sospensione del processo in caso di impossibilità della notifica;
  • mancato rispetto dell’art. 420 quater c.p.p. poiché è stato disposto di procedersi nonostante l’assenza dell’imputato, senza prima rinviare l’udienza o notificare l’avviso personalmente all’imputato da parte della polizia giudiziaria.

Per la Suprema Corte di Cassazione, se il primo motivo è inammissibile, il secondo e il terzo sono fondati.

Al termine di una disamina assai complessa della normativa e della giurisprudenza in materia nella motivazione, ai fini del decidere, gli Ermellini ricordano e condividono infatti il principio di cui alla pronuncia della Sezione V della Suprema Corte di Cassazione n. 22752/2021, la quale ha sancito in sostanza che nel giudizio in assenza dell’imputato, è affetta da nullità assoluta la notifica del decreto di citazione a giudizio dell’imputato che viene eseguita presso il difensore d’ufficio domiciliatario, se prima non è si è provveduto ad accertare l’instaurazione effettiva del rapporto tra il difensore e l’imputato.


Comune invia PEC con destinatari in chiaro: ammonizione del Garante

L’invio con tale modalità ha comportato una comunicazione di dati personali in maniera non conforme al principio di liceità, correttezza e trasparenza e in assenza di una base giuridica

Tizia e Caia, entrambe partecipanti ad una procedura selettiva indetta da un Comune, hanno spiegato con i rispettivi reclami ex art. 77 Regolamento UE 2016/679 di aver richiesto tramite PEC alla responsabile del procedimento un cambio turno ai fini della prova stessa ed il Comune ha risposto loro mediante una raccomandata digitale che rivelava l’indirizzo PEC di tutti i destinatari.

Il Comune si è difeso sostenendo, in particolare, che l’evento è stato determinato “non da una mancata conoscenza […] della disciplina in materia di trattamento e protezione dei dati personali [da parte della dipendente che ha effettuato l’invio della PEC in questione] (tanto che la stessa ha partecipato a più corsi di formazione in materia) o delle istruzioni ad essa impartite dal titolare del trattamento, bensì da un mero errore materiale determinato dalla stanchezza conseguente all’eccessivo carico di lavoro in periodo pandemico e dall’aver condotto la procedura concorsuale di cui trattasi sia in qualità di responsabile del procedimento che in qualità di membro di commissione (a causa dell’esiguo numero di risorse umane in rapporto alle numerose attività da svolgersi in tutto l’ente)”.

L’Ufficio del Garante sulla base degli elementi acquisiti, delle verifiche compiute e dei fatti emersi a seguito dell’attività istruttoria, ha notificato al Comune, ai sensi dell’art. 166, comma 5, del Codice, l’avvio del procedimento per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 58.2 Gdpr, invitandolo a produrre scritti difensivi o documenti ovvero a chiedere di essere sentito dall’Autorità.

Nella memoria difensiva il Comune ha ribadito il carattere colposo (nella forma della colpa lieve) dell’errore, determinato dall’eccessivo carico di lavoro in periodo pandemico che, unitamente all’esiguità delle risorse umane dell’ente, ha fatto sì che la dipendente in questione fosse sottoposta ad eccessivo stress, “foriero di errori come quello verificatosi”; ed ha sottolineato i lievi effetti dell’accaduto.

Il Garante ha evidenziato che l’operazione di comunicazione di dati personali a terzi è ammessa per gli enti pubblici “solo quando prevista da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento (v. art. 2-ter, commi 1 e 3, del Codice, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 8 ottobre 2021, n. 139, vigente al tempo dei fatti oggetto di reclamo)”.

L’autorità di controllo ha accertato l’invio del messaggio di posta elettronica certificata a nove partecipanti a una prova concorsuale, con gli indirizzi di posta elettronica degli stessi in chiaro, “così rivelando alle due reclamanti gli indirizzi di posta elettronica di altri sei candidati e a questi ultimi quelli delle due reclamanti, rendendo, inoltre, nota la circostanza che i destinatari – tutti candidati nell’ambito della procedura indetta dal Comune – avessero chiesto al Comune un cambio del proprio turno per effettuare una prova preselettiva”.

L’invio del messaggio di posta elettronica certificata in questione con le predette modalità ha comportato una comunicazione di dati personali in maniera non conforme al principio di liceità, correttezza e trasparenza e in assenza di una base giuridica, in violazione degli artt. 5.1, lett. a), e 6 del Gdpr, nonché 2-ter del Codice (nel testo, si ripete, antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 8 ottobre 2021, n. 139).

Il Garante ha quindi rilevato che le dichiarazioni rese dal Comune nel corso dell’istruttoria, seppure meritevoli di considerazione, “non consentono di superare i rilievi notificati dall’Ufficio con l’atto di avvio del procedimento e risultano insufficienti a consentire l’archiviazione del presente procedimento, non ricorrendo, peraltro, alcuno dei casi previsti dall’art. 11 del Regolamento del Garante n. 1/2019”.

È chiara “l’illiceità del trattamento di dati personali effettuato dal Comune, per aver comunicato a terzi i dati personali delle reclamanti e di altri sei partecipanti alla procedura concorsuale in questione”, in violazione delle disposizioni già citate.

Ciò nondimeno l’autorità di controllo, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (episodio isolato e determinato da un semplice errore umano, esclusione di dati sensibili e di informazioni relative alle ragioni delle richieste di rinvio della prova dal trattamento, ridotta dimensione del Comune/titolare dotato di limitate risorse organizzative e finanziarie, condotta posta in essere nel contesto dell’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 – fase particolarmente concitata e critica anche sul piano dell’organizzazione e gestione delle attività istituzionali -, insussistenza di precedenti violazioni pertinenti commesse dal titolare del trattamento), ha stabilito di qualificare lo stesso come “violazione minore”, ai sensi del considerando 148 Gdpr e delle “Linee guida riguardanti l’applicazione e la previsione delle sanzioni amministrative pecuniarie ai fini del regolamento (UE) n. 2016/679”, adottate dal Gruppo di Lavoro Art. 29 il 3 ottobre 2017, WP 253, e fatte proprie dal Comitato europeo per la protezione dei dati con l’”Endorsement 1/2018” del 25 maggio 2018.

Il Garante per la protezione dei dati personali con provvedimento n. 419 del 15.12.2022 ha ritenuto sufficiente l’ammonimento del titolare del trattamento, ai sensi dell’art. 58.2, lett. b), Gdpr, non ricorrendo i presupposti per l’adozione di ulteriori misure correttive.


Cass. pen., Sez. IV, Ord., 13/02/2023, n. 5897

Leggi: Suprema Corte di Cassazione sentenza n. 5897-2023


Bilancio 2022

Atti relativi al Bilancio dell’Associazione dell’anno 2022 approvato dalla Giunta Esecutiva del 28.01.2023  e del Consiglio Generale del 31.01.2023 su delega dell’Assemblea Generale del 13.03.2021 al Consiglio Generale.

Leggi: Bilancio consuntivo 2022

Leggi: Relazione Bilancio 2022


La casella Pec piena impone la rinotifica al domicilio fisico

Se il legale del contribuente ha la casella di posta certificata piena, la notifica non si può ritenere effettuata, ma va rinnovata presso il domicilio fisico. La Corte Suprema di Cassazione (sentenza n. 2193/2023) dichiara inammissibile un ricorso dell’agenzia delle Entrate e fa una netta scelta di campo tra due orientamenti. Secondo la tesi disattesa dalla Corte Suprema di Cassazione, infatti, il responso “cassetta piena” è frutto di una negligenza del destinatario, che ha il dovere di «verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione». Se dunque il destinatario non rende disponile effettivamente il suo domicilio elettronico, il notificante può utilizzare l’atto come se la notifica fosse andata in porto.

Di diverso avviso la Corte Suprema di Cassazione. La Corte Suprema di Cassazione ammette – come valorizzato dal principio dal quale prende le distanze – che il lasciare la casella Pec satura «equivale ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite la stessa». Tuttavia questo non basta a fronte del fatto che le norme sul domicilio digitale non hanno soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, un luogo fisico valido – ed eventualmente associato al domicilio digitale – per la notificazione degli atti del processo.

Da qui il dovere di rinnovare tempestivamente la notifica non andata a buon fine anche se per “colpa” del destinatario. Un onere che – precisa la Corte Suprema di Cassazione – non deve apparire irragionevole a fronte dell’esistenza di una domiciliazione fisica, se presente, e del fatto che chi notifica può controllare subito l’esito della mancata consegna, attraverso il messaggio di rifiuto.

Questo anche nel caso di un giudizio la cui proposizione sia soggetta ai termini di decadenza.

«In definitiva la Corte Suprema di Cassazione sostiene  che se si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico, ciò non può, viceversa imporre al difensore destinatario della notifica, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia dato speculare valore al luogo di elezione appositamente eletto».

La Corte Suprema di Cassazione nega che l’orientamento opposto, ribadito anche dalla sentenza 26810/2022, possa essere supportato dall’articolo 149-bis, terzo comma, del Codice di rito civile secondo il quale in assenza di un espresso divieto di legge, la notifica si può eseguire con la Pec «anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo». Per la Corte Suprema di Cassazione si tratta di una norma neutra che si limita a prevedere il perfezionamento nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di Pec del destinatario.


Sono riaperte le iscrizioni al corso di formazione on line del 30-31 gennaio 2023

RIAPERTE LE ISCRIZIONI

si comunica che vengono riaperte le iscrizioni del corso di formazione avanzato on line in programma per il 30-31 gennaio 2023

Leggi: La Notificazione degli atti: Corso Avanzato