Cons. Stato Sez. IV, 08-02-2008, n. 430

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

composto dai Signori:

Gaetano Trotta Pres.

Luigi Maruotti Est. Cons.

Pier Luigi Lodi Cons.

Giuseppe Romeo Cons.

Carlo Deodato Cons.

ha pronunciato la presente

DECISIONE

nella Camera di Consiglio del 05 Febbraio 2008

(Ai sensi degli artt. 21 e 26 della legge n. 1034/1971, come modificata dalla legge n. 205/2000)

Visto l’appello proposto da:

E.C. S.R.L.

rappresentato e difeso dagli Avv.ti ANDREA MANZI, ANTONIO SARTORI e CLAUDIO CODOGNATO con domicilio eletto in Roma VIA F. CONFALONIERI N.5 presso ANDREA MANZI

contro

G.D.

non costituitosi;

e nei confronti di

REGIONE VENETO

non costituitosi;

COMUNE DI VENEZIA rappresentato e difeso dagli Avv.ti ANTONIO IANNOTTA, GIULIO GIDONI, GIUSEPPE VENEZIAN, M.M. MORINO, MAURIZIO BALLARIN, NICOLETTA ONGARO e NICOLÒ PAOLETTI con domicilio eletto in Roma VIA BARNABA TORTOLINI 34 presso NICOLO’ PAOLETTI per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della sentenza del TAR VENETO – VENEZIA: Sezione II 3493/2007, resa tra le parti, concernente ANNULLAMENTO PERMESSO DI COSTRUIRE.

Visti gli atti e documenti depositati con l’appello;

Vista la domanda di sospensione dell’ efficacia della sentenza di accoglimento, presentata in via incidentale dalla parte appellante.

Visto l’atto di costituzione in giudizio di:

COMUNE DI VENEZIA

Udito il relatore Cons. Luigi Maruotti e uditi, altresì, per le parti l’avv. A. Manzi e l’avv. Paoletti;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
che alle parti è stato prospettato che la definizione del secondo grado del giudizio può avere luogo in questa sede e rilevato che esse hanno sul punto concordato;

Rilevato che – come dedotto col primo motivo di appello – il ricorso di primo grado non è stato ritualmente notificato alla società controinteressata (odierna appellante), poiché l’ufficiale giudiziario, in data 27 settembre 2007, pur essendosi recato presso la sua sede (nel domicilio anche indicato nella originaria domanda di permesso di costruire), ha avuto notizia del “trasferimento” della società, senza porre in essere le ulteriori attività necessarie per il perfezionamento della notifica;

Considerato che sussistono i presupposti per applicare il beneficio dell’errore scusabile, poiché l’originaria ricorrente ha tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario gli atti volti alla notifica del ricorso alla controinteressata;

Considerato che, in ragione del mancato rispetto del principio del contraddittorio in primo grado, la sentenza gravata va annullata con rinvio al TAR per il Veneto, il quale si pronuncerà anche in ordine alle spese e agli onorari dei due gradi della presente fase del giudizio;

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l’appello n. 9852 del 2007 e annulla la sentenza del TAR per il Veneto n. 3493 del 2007, con rinvio allo stesso TAR, per la definizione del ricorso di primo grado n. 1879 del 2007.

Spese al definitivo.

La presente decisione sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Roma, 05 Febbraio 2008


Corso di aggiornamento a Fasano

Corso di aggiornamento a Fasano

I messi notificatori del Comune di Fasano sono tornati “sui banchi di scuola”. E ci sono tornati per mettersi al passo con i tempi e con il continuo mutare di leggi e regolamenti. Il corso di aggiornamento professionale per messi notificatori è stato tenuto dagli esperti dell’”Anna” (l’Associazione nazionale notifiche atti) che si è tenuto nel Palazzo municipale. E’ la prima volta nella sua storia che il sodalizio tiene un corso di questo tipo in Puglia.
“Abbiamo ricevuto tante adesioni da ogni parte della nostra regione – ha precisato l’assessore Enrico Digeronimo – e la cosa ci ha fatto molto piacere. Questo – il primo corso di aggiornamento, di una serie che, come Amministrazione comunale, stiamo mettendo a punto nell’ottica della professionalizzazione eccellente sia dei nostri dipendenti comunali che di coloro che, eventualmente, verranno da altre realtà. Abbiamo voluto cominciare da questo corso per messi notificatori, poiché questa figura professionale svolge ormai una funzione strategica”.


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 04/12/2007) 29/01/2008, n. 1925

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SACCUCCI Bruno – Presidente

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro p.t. e AGENZIA delle ENTRATE in persona del legale rappresentante; domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, da cui sono rappresentati e difesi ope legis;

– ricorrenti –

contro

V.A., elettivamente domiciliato in Roma via Giovanni Nicotera n. 31, presso l’avv. PIZZONIA Giuseppe, da cui è rappresentato e difeso unitamente all’avv. Giuseppe Russo Corbace per procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – n. 241.49.2000, sez. 49, depos. in data 28.03.2001;

Udita la relazione della causa svolta in pubblica udienza del 4.12.2007 dal Consigliere Dott. Gaetano Antonio Bursese;

sentito per il controricorrente l’avv. Giuseppe Russo Corvace;

udito il P.M. in persona del sost. P.G. Dott. APICE Umberto, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

V.A. posponeva opposizione avverso l’avviso di liquidazione con il quale l’allora Ufficio de Registro di Milano determinava l’imposta principale dovuta a seguito della registrazione della sentenza n. 8683 emessa dal Tribunale civile di Milano in data 14.06.94 all’esito della causa civile riguardante l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto. Più precisamente la vertenza afferiva il trasferimento di un immobile di proprietà di B.G. a certo Z.M. ovvero ad esso V. (che era intervenuto nel giudizio) sulla base di 2 contratti preliminari. Il Tribunale accoglieva la domanda dello Z., dichiarando inammissibile l’intervento in causa dello stesso V.. Questi nel suo ricorso introduttivo, sosteneva di non essere coobbligato al pagamento dell’imposta per la registrazione della sentenza, non potendo considerarsi “parte in causa”.

Il contribuente risultava vittorioso in entrambi i gradi del giudizio di merito sul presupposto che egli “non avesse conseguito alcuna attribuzione patrimoniale” per effetto della suddetta sentenza civile.

Avverso l’epigrafata sentenza della C.T.R. Lombardia l’amministrazione propone il presente ricorso per cassazione fondato sulla base di un solo motivo; resiste con controricorso il contribuente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Giova premettere che non ha giuridico fondamento l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in quanto proposto dal Ministero e dall’Agenzia delle Entrate anzichè dall’Ufficio periferico della stessa Agenzia; nonchè l’eccezione di difetto di rappresentanza processuale in quanto l’Agenzia non è rappresentata ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato.

Al riguardo questa Corte (a S.U.) ha precisato che, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causarti” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia; tale legittimazione costituisce infatti il riflesso, sul piano processuale, della separazione tra la titolarità dell’obbligazione tributaria, tuttora riservata allo Stato, e l’esercizio dei poteri statali in materia d’imposizione fiscale, il cui trasferimento all’Agenzia, previsto dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300art. 57, esula dallo schema del rapporto organico, non essendo l’Agenzia un organo dello Stato, sia pure dotato di personalità giuridica, ma un distinto soggetto di diritto. Ai sensi del D.Lgs. n. 300, art. 72, l’Agenzia ha facoltà di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, il quale, in assenza di una specifica disposizione normativa, dev’essere richiesto in riferimento ai singoli procedimenti – anche se non è necessaria una specifica procura -, non essendo a tal fine sufficiente l’eventuale conclusione di convenzioni a contenuto generale tra l’Agenzia e l’Avvocatura. L’assunzione in via esclusiva da parte dell’Agenzia della gestione del contenzioso nelle fasi di merito, già attribuita dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546artt. 10 ed 11, agli uffici periferici del Dipartimento delle entrate, comporta inoltre che, nei procedimenti introdotti anteriormente al 1 gennaio 2001, nei quali l’ufficio non abbia richiesto il patrocinio dell’Avvocatura, spetta all’Agenzia l’esercizio di tutti i poteri processuali, ivi compresi quelli di disposizione del diritto controverso e del rapporto processuale, con la conseguenza che la proposizione dell’appello da parte della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo. Per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611art. 11, la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente invece di ritenere che la notifica (….) del ricorso può essere effettuata, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. n. 3116 del 14/02/2006).

Ciò posto, passando all’esame del ricorso per cassazione, l’Amministrazione ricorrente, con l’unico motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131art. 57, comma 1, nonchè la motivazione illogica e contraddittoria della sentenza impugnata, sottolineando che, secondo tale norma, i soggetti coobbligati al pagamento dell’imposta di registro di un atto giudiziario sono “te parti in causa”, senza specificare altro, e senza operare alcuna distinzione in tale ambito soggettivo, per quanto concerne gli obblighi fiscali, sulla solidarietà al pagamento dell’imposta di registro.

Critica la decisione impugnata nella parte in cui sostiene che ” il concetto di parte in causa a fini fiscali, così come delineato dal complesso normativo dell’imposta di registro, risente di connotazioni di carattere sostanziale ed è diverso dai concetto di parte in senso strettamente processualistico”.

La doglianza è fondata.

Giova sottolineare – come si legge nella sentenza della C.T.R. – che il V. “aveva intentato autonomo giudizio nei confronti di B.G. ed era altresì intervenuto nella causa promossa da Z.M. nei confronti della stessa B.: le due causa erano state riunite con l’esito, per ciascuno dei rapporti dedotti in giudizio, riportato nel… dispositivo”; Ciò posto è certamente infondata la tesi del V. che pretende di non essere parte di quel giudizio civile sol perchè, nel dispositivo della sentenza era stato dichiarato “inammissibile” il suo intervento nella causa, a cui aveva attivamente partecipato tanto da essere condannato – tra l’altro – al pagamento delle spese processuali.

Invero la regola prevista dall’art. 57, secondo cui più soggetti sono ugualmente tenuti di fronte a Fisco alla medesima prestazione, ha come sua precipua finalità di rafforzare la posizione dell’erario nei confronti dei contribuenti in vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto per ciascuno di essi di rivalersi nei confronti della parte civilmente tenuta al pagamento. In sintesi la ratio di tale disposizione, il suo dato letterale e la logica interpretazione della stessa alla luce del contesto normativo in cui si colloca, portano a ritenere che sono parti in causa coloro che hanno preso parte al giudizio, nei cui confronti la pronuncia giurisdizionale si è espressa nella parte dispositiva, e la cui la cui sfera giuridica sia in qualche modo interessata dagli effetti della pronuncia.

Non v’è dubbio quindi, alla luce di tali considerazioni, che il contribuente sia stato “parte” di quel giudizio ed in quanto tale sia coobbligato al pagamento del tributo in esame. Pertanto il ricorso dev’essere accolto con la conseguente cassazione della sentenza impugnata; potendosi decidere la causa nei merito ex art. 384 c.p.c., va rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; attesi i profili processuali della fattispecie, si ritiene di compensare le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente, compensando le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2008


Dal 1° gennaio obbligatorio il Codice IBAN

A partire dal 28 gennaio 2008, avrà inizio la migrazione a SEPA, acronimo di Single Euro Payments Area (Area unica di pagamenti in Europa). SEPA è un obiettivo posto dall’Unione Europea per la creazione di un mercato unico dei pagamenti, all’interno del quale si potranno effettuare transazioni agli stessi costi e con modalità analoghe a quelle che attualmente vengono utilizzate all’interno dei confini nazionali. Un primo effetto pratico collegato all’attuazione di SEPA è costituito dal fatto che, a partire dal 1 gennaio 2008, l’IBAN (International Bank Account Number) sostituirà progressivamente le tradizionali coordinate bancarie (ABI, CAB e numero di conto corrente).” L’IBAN (International Bank Account Number) è la coordinata bancaria internazionale che consente di identificare, in maniera standard, il conto corrente del beneficiario permettendo all’ordinante o alla banca di quest’ultimo di verificarne la correttezza grazie ai due caratteri di controllo.


Corte di Cassazione: Avviso di accertamento notificato al de cuius

È valido l’avviso di accertamento notificato a mezzo posta nell’ultimo domicilio del de cuius e a lui intestato, se il coniuge, persona legittimata a riceverlo in ragione dei suoi rapporti con il destinatario, firmi la ricevuta di ritorno senza rappresentare al portalettere l’avvenuto decesso. In questo caso, non è necessaria la notifica “impersonale e collettiva” a tutti gli eredi, dal momento che l’ufficio non è stato messo a conoscenza del decesso.

È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 26844 del 20/12/2007.

La controversia traeva origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento, con la quale gli eredi del contribuente deducevano la nullità della notifica avvenuta in violazione dell’articolo 65, quarto comma, del Dpr 600/1973, per non essere stata effettuata “impersonalmente e collettivamente” a tutti gli eredi nell’ultimo domicilio del de cuius.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso degli eredi, mentre la Commissione tributaria regionale riformava la sentenza della Ctp, rilevando la validità della notifica effettuata nell’ultimo domicilio del defunto, considerato che l’ufficio non era stato messo a conoscenza del decesso del contribuente.

Gli eredi ricorrevano per cassazione.

Prima di esaminare la sentenza in esame, è opportuno precisare brevemente che l’articolo 65 del Dpr 600/1973 prevede che:

  • gli eredi rispondano in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si sia verificato anteriormente alla morte del dante causa
  • gli eredi debbano comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale
  • la notifica degli atti intestati al dante causa possa essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso, con la sua efficacia che si estende nei confronti di quelli che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui sopra.

Al riguardo, è opportuno ricordare che la Corte di cassazione ha più volte affermato che l’articolo 65 considera espressamente e disciplina, di conseguenza, il solo caso in cui la morte del soggetto passivo del rapporto giuridico tributario sia nota all’ufficio. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’ipotesi prevista dalla norma si articola in due sottoipotesi.

Più specificatamente, se gli eredi hanno comunicato all’ufficio le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale, la notifica degli atti intestati al dante causa:

  1. può essere effettuata a ciascuno di essi personalmente e individualmente e, quindi, nel loro domicilio fiscale differenziato
  2. può essere effettuata agli stessi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio del defunto, anche per i trenta giorni successivi alla presentazione diretta all’ufficio della comunicazione delle proprie generalità e del proprio domicilio fiscale, o successivi alla data di spedizione della raccomandata con ricevuta di ritorno della stessa comunicazione.

Nel caso in cui, invece, gli eredi non abbiano comunicato all’ufficio le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale, la notifica degli atti intestati al dante causa, della cui morte l’ufficio è comunque a conoscenza, è efficacemente effettuata dall’ufficio impersonalmente e collettivamente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto (cfr Cassazione, sentenze nn. 13504/1993, 16699/2005, 7645/2006, 8272/2006, 12886/2007).

Tanto premesso, la Suprema corte ha rigettato il ricorso presentato dai contribuenti, affermando che se il decesso del soggetto passivo del rapporto giuridico tributario non sia noto all’ufficio, non può trovare applicazione l’articolo 65 del Dpr 600/1973, il quale “non considera affatto l’ipotesi in cui l’ufficio non abbia alcuna conoscenza della morte del soggetto passivo d’imposta“.

In tal caso, pertanto, l’Amministrazione finanziaria potrà correttamente emettere i propri atti nei confronti del defunto, tentando la notificazione degli avvisi di accertamento presso il suo domicilio.

Peraltro, hanno concluso i giudici, la circostanza secondo cui la moglie, coerede del de cuius, non abbia rappresentato il decesso del marito all’atto della notifica, non consentiva, a maggior ragione, all’ufficio di conoscere che il contribuente non era più in vita, né di poter effettuare la notifica “impersonale e collettiva” agli eredi, secondo quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 65.


Cassazione: permesso invalidi per zone ZTL valido in tutto il territorio nazionale

Il permesso che consente ai portatori di handicap il transito nelle zone a traffico limitato deve considerarsi valido su tutto il territorio nazionale e non soltanto nell’ambito del comune che lo ha rilasciato. E’ quanto afferma la Seconda sezione civile della Corte di Cassazione con sentenza 719/2008 che ha così accolto il ricorso di un automobilista milanese che era stato contravvenzionato per avere circolato con la sua auto in una ztl di Roma.
Il giudice di Pace della capitale, che si era interessato della vicenda non aveva ritenuto che il permesso rilasciato dal Comune di Milano potesse avere validità anche nella città di Roma.
La Cassazione ribaltando la decisione del primo giudice ha espressamente chiarito che il contrassegno deve considerarsi “valido per tutto il territorio nazionale”.
Erronea dunque, scrivono i giudici di Piazza Cavour “l’affermazione del giudice di pace che il contrassegno invalidi rilasciato dal comune di Milano nel 2002 non consentisse al ricorrente di circolare successivamente all’interno delle zone a traffico limitato del comune di Roma”.


Cass. civ. Sez. II, (ud. 24-10-2007) 16-01-2008, n. 719

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere

Dott. SCHETTINO Olindo – Consigliere

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.C.G. – rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso dall’avv. GUISO Pietro Andrea ed elettivamente domiciliato in Roma, al viale B. Buozzi, n. 77, presso l’avv. Roberta Cimenti;

– ricorrente –

contro

Comune di Roma – in persona del Sindaco on. V.W. – rappresentato e difeso in virtù di procura a margine del ricorso dall’avv. AVENATI Fabrizio e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, alla via Tempio di Giove, n. 21, nei locali dell’Avvocatura comunale;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Giudice di pace di Roma n. 9922 del 23 febbraio 2004 – non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 ottobre 2007 dal Consigliere Dott. Massimo Oddo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Giudice di pace di Roma, con sentenza del 23 febbraio 2004, rigettò l’opposizione proposta il 3 settembre 2003 da G.C.G. avverso il verbale n. (OMISSIS) del (OMISSIS) di accertamento della violazione dell’art. 7 C.d.S., comma 1, per essere entrato il (OMISSIS) alla guida di un autoveicolo nella zona a traffico limitato della città di Roma senza la prescritta autorizzazione.

Osservò il giudice che la titolarità di un permesso per invalidi rilasciato dal Comune di Milano nell’anno 2002 non consentiva all’opponente di circolare nelle zone a traffico limitato del Comune di Roma anteriormente al 14 aprile 2003, data di decorrenza del “permesso relativo alla targa (OMISSIS)” da quest’ultimo rilasciato l’11 giugno 2003.

Il G.C. è ricorso con un motivo per la cassazione della sentenza ed il Comune di Roma ha resistito con controricorso notificato il 25 maggio 2004.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503, artt. 11 e 12, per avere la sentenza impugnata ritenuto che l’efficacia del suo permesso ad accedere nella zona di traffico limitato del Comune di Roma non decorresse dall’anteriore rilascio da parte del Comune di Milano dello speciale contrassegno invalidi, ma dal momento dell’inserimento della targa della sua autovettura nell’elenco dei veicoli autorizzati all’accesso in detta zona.

Il motivo è fondato.

Dispongono il D.P.R. 16 settembre 1996, n. 610, art. 12 ed art. 11, commi 1 e 2, che alle persone detentrici dello speciale contrassegno, di cui il regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada prevede il rilascio da parte dei comuni alle persone con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta (oltre che ai non vedenti), è consentita la circolazione e la sosta del veicolo al loro specifico servizio nelle zone a traffico limitato e nelle aree pedonali urbane, qualora sia autorizzato l’accesso anche ad una sola categoria di veicoli per l’espletamento di servizi di trasporto di pubblica utilità, e che detto contrassegno deve essere apposto sulla parte anteriore del veicolo ed è valido per tutto il territorio nazionale.

Nel prevedere, inoltre, il rilascio da parte del sindaco di “apposita autorizzazione in deroga”, avente validità di cinque anni per la circolazione e la sosta dei veicoli al servizio delle persone invalide con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta, l’art. 381 reg. esec. C.d.S., commi 2 e 3, come modificato dal cit. D.P.R. n. 619 del 1996, art. 217, specifica che l’autorizzazione è resa nota mediante apposito “contrassegno invalidi” e che il contrassegno è strettamente personale, non è vincolato ad uno specifico veicolo ed ha valore su tutto il territorio nazionale.

La persona invalida, dunque, può servirsi del contrassegno per circolare con qualsiasi veicolo in zone a traffico limitato, con il solo onere di esporre il contrassegno, che denota la destinazione attuale dello stesso al suo servizio, senza necessità che il contrassegno contenga un qualche riferimento alla targa del veicolo sulla quale in concreto si trova a viaggiare e nessuna deroga alla previsione normativa risulta stabilita relativamente alle zone dei centri abitati nelle quali, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. b), il comune abbia limitato la circolazione di tutte od alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale.

Ne consegue l’erronea affermazione del giudice di pace che il contrassegno invalidi rilasciato dal Comune di Milano nell’anno 2002 non consentisse al ricorrente di circolare successivamente all’interno delle zone a traffico limitato del Comune di Roma, non risultando consentito per mere esigenze organizzative e di controllo automatizzato degli accessi in tali zone limitare l’incondizionato diritto dell’invalido in possesso del relativo contrassegno di accedere ad esse con qualunque veicolo al suo servizio.

Alla fondatezza dell’unico motivo segue la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va emessa pronuncia nel merito di accoglimento dell’opposizione proposta dal ricorrente e di annullamento del verbale di accertamento.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Pronunciando nel merito, accoglie l’opposizione proposta da G.C.G. ed annulla il verbale di accertamento n. (OMISSIS) del (OMISSIS).

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 ottobre 2004.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2008


Comm. trib. regionale Veneto Sez. XIV, Sent., 17-01-2008, n. 49

Svolgimento del processo
Il servizio riscossione tributi G. spa notificava al contribuente A.G., cartella di pagamento per complessivi euro …, contestualmente iscrivendo corrispondente ipoteca sui beni dello stesso.

Proponeva ricorso il contribuente lamentando, oltre ai vizi della cartella (mancata sottoscrizione, omessa indicazione del responsabile del procedimento, mancata notifica dell’atto presupposto), anche l’illegittimità della pretesa in quanto socio accomandante (ex art. 2313 cod. civ.) di società dichiarata fallita.

L’Agenzia delle Entrate Ufficio di Este, si è costituita in giudizio confermando che la responsabilità del socio accomandante doveva restare limitata all’importo di Euro …, corrispondente alla quota conferita, compensando le spese.

La Commissione Tributaria di Padova accoglieva il ricorso annullando la cartella e disponendo la cancellazione dell’iscrizione ipotecaria accesa dall’ente concessionario della riscossione.

Propone appello la G. spa ribadendo la validità della cartella, pur mancante di sottoscrizione ed indicazione del responsabile del procedimento e ribadendo, per le lamentate illegittimità dell’iscrizione a ruolo e carenza di motivazione della cartella, proprio difetto di legittimazione passiva rimanendo, la predisposizione e la motivazione del ruolo, di esclusiva competenza dell’ente impositore.

Propone appello incidentale l’Ufficio ribadendo la validità del ruolo notificato, secondo norma, alla Società, con relativa cartella di pagamento notificata e non impugnata. Ribadisce altresì che. la responsabilità del socio accomandante è limitata .alla quota di partecipazione e quindi all’importo di euro …

Motivi della decisione
Entrambi gli appelli meritano accoglimento.

È fondato l’appello dell’Ufficio il quale ha dimostrato come la pretesa fiscale sia stata contenuta nell’ambito della quota conferita dal G., socio accomandante della società fallita, alla quale a suo tempo fu correttamente notificato sia l’avviso di accertamento che, successivamente, la cartella di pagamento, ai quali fu fatto però significativamente acquiescenza per omessa impugnazione di entrambi da parte dell’unica legittimata società.

È fondato altresì l’appello della G. spa. Richiamando la giurisprudenza consolidata in termini di non necessità della sottoscrizione della cartella di pagamento, corrispondente peraltro, al modello ministeriale che, appunto, non richiede tale formalità, va ricordata la recentissima ordinanza della Corte Costituzionale (n. 377/2007) che ha affermato la legittimità costituzionale della norma relativa alla indicazione del responsabile del procedimento anche nelle cartelle di pagamento.

Fatta questa premessa, in ordine alla portata generale di tale norma di garanzia (l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, lungi dall’essere un inutile adempimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino, anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile, e la garanzia. del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost.) osserva la Commissione come sia problematica la individuazione delle conseguenze della omissione della indicazione, posto il generale principio che la nullità degli atti è sanzione così grave, che deve essere prevista espressamente dal legislatore per il tipo di violazione di cui si discute. Orbene nella fattispecie la normativa prevista dall’art. 7 dello Statuto del Contribuente, approvato con legge 212/2000, non prevede alcuna sanzione.

In assenza dell’insegnamento della Suprema Corte, che pure non tarderà di formarsi sul punto, questa Commissione non ritiene di poter condividere l’opinione contraria di qualche giudice di merito, favorevole alla dichiarazione di nullità, principalmente in funzione del generale principio richiamato. Ricorda peraltro altre affermazioni di merito relative alla individuazione delle conseguenze della omessa indicazione nella sola responsabilità disciplinare del funzionario e nella individuazione del responsabile del procedimento, in caso di omessa indicazione nell’atto, nella persona del capo dell’Ufficio.

La cartella esattoriale in questione deve pertanto ritenersi legittima e corretta. Conseguentemente in riforma della appellata decisione, va accolto sia l’appello dell’Ufficio che quello della G., confermandosi la cartella di pagamento impugnata.

Sussistono giusti motivi affinché le parti, avuto riguardo alla novità della questione, sopportino definitivamente le spese processuali anticipate.

P.Q.M.
Accoglie gli appelli proposti dalla G. spa e dall’Ufficio e, in totale riforma dell’impugnata decisione, dichiara la legittimità e correttezza della cartella esattoriale in esame. Nulla per le spese.


Corso di aggiornamento Maserà di Padova 15 febbraio 2008

Corso di Aggiornamento per Messi Notificatori e Agenti di Polizia Municipale

Venerdì 15 febbraio 2008
Orario 9:00- 13:00 – 14:30- 17:00

Comune di Maserà di Padova (PD)

Corte Benedettina
Maserà di Padova (PD)

Con il patrocinio del Comune di Maserà di Padova e dell’Unione dei Comuni “Padova SUD”

Quote di partecipazione al corso:
Soci A.N.N.A.: € 100,00 (Iscritti alla data del 31.12.2007 con rinnovo anno 2008 al 31.01.2008) (*) (**)
Non iscritti ad A.N.N.A.: € 140,00 la quota è comprensiva dell’iscrizione all’Associazione (*) (**)
Solo frequenza al Corso: € 200,00 oltre I.V.A (*) (**)

La quota di iscrizione dovrà essere versata, al netto delle spese bancarie e&o postali, tramite :
Conto Corrente Postale n. 55115356
Conto Corrente Bancario:
Codice IBAN: IT 20 J 07601 12100 000055115356 [Poste Italiane])

Intestato a:
Associazione Nazionale Notifiche Atti
Codice fiscale: 93164240231
P.IVA: 03558920231

Causale: Corso Maserà 2008
(*) Se la fattura è intestata ad Ente Pubblico, la quota è esente IVA, ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 633/1972 e successive modificazioni,

(**) Le spese bancarie e/o postali per il versamento delle quote di iscrizione sono a carico di chi effettua il versamento.

La quota di iscrizione comprende: accesso in sala, colazione di lavoro e materiale didattico.

L’Associazione rilascerà ai partecipanti un attestato di frequenza, che potrà costituire un valido titolo personale di qualificazione professionale.
L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line cliccando sul link a fondo articolo a cui dovrà seguire il versamento della quota di iscrizione al Corso e l’invio via fax del modulo di iscrizione al Corso.

I docenti sono operatori di settore che con una collaudata metodologia didattica assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati. Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

Docente:
Commissario Capo Lazzaro Fontana
Comandante del Corpo Unico Intercomunale di Polizia Municipale
di Quattro Castella ed Albinea
Capo Settore Ufficio Messi Notificatori

PROGRAMMA

Nozioni generali
Cos’è una notifica
La copia conforme all’originale
Richiedente – intermediario – consegnatario/destinatario
Concetto di residenza, dimora, domicilio e domicilio fiscale
Tempi e luoghi delle notificazioni
Nullità delle notificazioni
Le responsabilità del Messo Notificatore
Modifiche effettuate dall’art. 174 del D. Lgs. 196/2003 (Privacy)

Il procedimento di notificazione
La relata di notifica – valore della stessa
La notifica a mani proprie
Le notifiche “tramite” terzi
Il rifiuto di ricevere l’ atto da parte del destinatario e da parte dei “terzi”
Le notifiche agli “assenti”
I “vari” momenti di perfezionamento della notifica
Procedura di pubblicazione all’Albo Pretorio delle notifiche
Deposito degli atti nella Casa Comunale

Notifiche “particolari”
Le notifiche previste dall’art. 14 della L. 689/1981
Le notifiche previste dall’art. 201 del C.d.S.
Le notifiche previste dall’articolo 6 della L 241/1990
Le notifiche alle società (previste dal C.P.C.)
Le notifiche attraverso il servizio postale (L.890/1982)
Le notifiche dei tributi locali
Le notifiche previste dal DPR 600/1973 e dal DPR 612/1973
Le novità della legge finanziaria per il 2007 (L. 27/12/2006 n. 296)
– L’individuazione dei messi notificatori ivi previsti
– “L’obbligatorietà” dei corsi abilitanti

Risposte a quesiti

Rimborso spese di notifica (L. 03/08/1999 n. 265 e DM 03/10/2006 n. 254)
Presentazione modulistica e casi pratici.

Risposte a quesiti

Gli argomenti trattati si intendono aggiornati con le seguenti ultime novità in materia di notificazioni

– D. Lgs 196/2003 (Privacy)
– D. L. 14/03/2005 n. 35 convertito nella L. 14/05/2005 n. 80 (Notifiche postali)
– L. 28/12/2005 n. 263 ( art 2) (Modifiche C.P.C.)
– D. L. 30/12/2005 n. 271 (art 2) – non convertito (ma sostituito dalla L. 23/02/2006 n. 51 – art 39 quater) (Decorrenza Modifiche C.P.C.)
– D. L. 04/07/2006 n. 223 convertito nella L. 04/08/2006 n. 248 (art. 37 comma 27) (Modifiche Notifiche Fiscali)
– L. 27/12/2006 n. 296 (Finanziaria 2007 – art. 1 commi 158-159-160) (Messo “aggiuntivo”)

L’iscrizione al corso potrà essere effettuata anche on line su questo sito web nell’area “Attività” a cui dovrà seguire il versamento della quota di partecipazione al Corso e l’invio via fax del modulo di adesione al corso per conferma.


Circolare 001/2008: La notifica degli atti relativi ai tributi locali

La notifica degli atti relativi ai tributi locali si procede secondo le forme previste dagli artt. 137 c.p.c. e seguenti e non secondo la procedura speciale di cui all’art. 60, lett. e),  D.P.R. 600/1973.

La normativa contenente la disciplina dell’ICI, come anche quella relativa alla TA.R.S.U., non prevedono una speciale procedura notificatoria per gli atti di accertamento o liquidazione.

In materia di ICI, l’art. 11 del D.Lgs. 504/1992 prevede solamente che: “…omissis… l’avviso deve essere notificato anche a mezzo posta mediante raccomandata con avviso di ricevimento”.

Dalla formulazione della norma, si evince che per la notificazione degli atti emessi ai fini ICI possono seguirsi le forme ordinarie previste dal codice di rito, ovvero provvedere mediante invio con raccomandata a.r.

Con riferimento alla TA.R.S.U., invece, l’art. 71 del D.Lgs. 507/1993 (contenente l’attività di accertamento) nulla prevede riguardo al procedimento di notificazione.

L’art. 71 del D.Lgs. 507/1993 semplicemente dispone che, “In caso di denuncia infedele o incompleta, l’ufficio comunale provvede ad emettere, relativamente all’anno di presentazione della denuncia ed a quello precedente per la parte di cui all’art. 64, comma 2, avviso di accertamento in rettifica, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia stessa. In caso di omessa denuncia, l’ufficio emette avviso di accertamento d’ufficio, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata”.

Pur in mancanza di un’espressa previsione, è pacifico che gli atti di accertamento debbono essere notificati entro termini decadenziali previsti dalla norma medesima.

In mancanza di una speciale previsione di una procedura notificatoria, si ritiene che la notifica degli atti emessi ai fini della TA.R.S.U debba eseguirsi nelle forme ordinarie previste per gli atti amministrativi, ossia secondo le disposizioni del c.p.c..

Quanto invece all’applicabilità del procedimento notificatorio contenuto nell’art. 60, d.p.r. 600/1973 (che disciplina l’accertamento per le imposte sui redditi), va ricordato che tale disposizione non ha portata generale, bensì costituisce norma speciale.

Per tal motivo, deve ritenersi che la predetta procedura possa essere osservata solo se espressamente richiamata da specifiche disposizioni disciplinanti le singole imposte, come ad esempio per gran parte dei tributi erariali (Iva, Imposta di Registro, ecc.).

In questo senso si è espresso anche il Ministero della Finanze chiarendo che la disciplina dell’art. 60 del DPR 29 settembre 1973, n. 600 “dettata in origine per le sole imposte sui redditi, è stata in seguito estesa anche alle tasse ed alle imposte indirette, le cui norme di settore (ad es., l’art. 52 del Testo Unico DPR 26 aprile 1996, n. 131, per l’imposta di registro, l’art. 56 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, per l’imposta sul valore aggiunto e l’art. 49 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, per l’imposta sulle successioni e donazioni), rinviano al citato art. 60 del DPR n. 600/1973”  (circolare ministeriale n. 16/2000).

Nella normativa di disciplina dei predetti tributi comunali in argomento non si rinviene alcuna disposizione che richiama il procedimento notificatorio contenuto nell’art. 60 e ciò induce ad escludere la possibilità di applicazione della norma speciale dettata per le imposte sui redditi.

Con riguardo alla notifica degli atti relativi ai tributi diretti a persona residente all’estero, o per le ipotesi di irreperibilità assoluta, quindi, si dovrà procedere secondo le forme previste dall’art. 142 e 143 c.p.c. e non secondo la procedura speciale di cui all’art. 60, lett. e),  D.P.R. 600/1973.

Giova inoltre ricordare che l’art. 1 al comma 161 della L. 296/2006  (Finanziaria 2007) ha previsto la possibilità di effettuare le notifiche inerenti gli avvisi dell’attività di accertamento per tutti i tributi locali mediante spedizione di una raccomandata a.r., consentendo quindi tale particolare modalità di notificazione anche per la TA.R.S.U.

Contemporaneamente sono state abrogate dalla L. 296/2006 alcune norme sulla notificazione dei singoli tributi comunali, al fine di uniformare il procedimento.

La norma non cita limitazioni all’utilizzo di tale mezzo quando le notificazioni siano intestate a destinatario residente in altro stato.

Leggi: Circolare 2008-001 Notifica imposte comunali


Cass. civ. Sez. Unite, (ud. 04-12-2007) 14-01-2008, n. 627

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente

Dott. SENESE Salvatore – Presidente di Sezione

Dott. MORELLI Mario Rosario – Consigliere

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere

Dott. MALPICA Emilio – Consigliere

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambi domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

S.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 355/00 della Commissione tributaria regionale di PERUGIA, depositata il 05/06/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/07 dal Consigliere Dott. Alfonso AMATUCCI;

udito l’Avvocato VARRONE, dell’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Con ricorso iscritto al numero di R.G. 18015 del 2001 il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno chiesto la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Perugia del 5 giugno 2000, con la quale è stato rigettato l’appello proposto dall’Ufficio delle Entrate di Città di Castello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, emessa nel giudizio promosso da S.M..

Il ricorso propone un unico motivo, illustrato anche da memoria, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 133 del 1999, art. 28, del D.L. n. 791 del 1985, art. 3, comma 2 bis, della L. n. 449 del 1997, art. 13, comma 1, della L. n. 46 del 1986, art. 10, del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 2, e del D.L. n. 202 del 1989, convertito nella L. n. 263 del 1989. Vi si prospettano questioni relative alla effettiva portata delle agevolazioni fiscali a favore dei residenti nelle zone terremotate o colpite da bradisismo in ordine alla determinazione della base imponibile relativa alla imposta sui redditi prodotti in dette zone.

2. L’esame del ricorso è stato rimesso dal Primo Presidente a queste Sezioni Unite a seguito di ordinanza interlocutoria della Sezione Tributaria n. 23222 del 3 novembre 2006, per il ritenuto coinvolgimento di una questione di massima di particolare importanza.

3. Con la predetta ordinanza la Sezione Tributaria, dopo aver premesso che il ricorso era stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica il 26 giugno 2001 e che questi, avvalendosi del servizio postale, lo aveva presentato il giorno stesso alla posta per la spedizione a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento ai sensi dell’art. 149 c.p.c., comma 2, riferisce che l’intimato non ha resistito e che i ricorrenti non hanno depositato la cartolina postale di ricevuta di ritorno della raccomandata.

Osserva quindi che, in relazione alla notificazione a mezzo posta, è consolidato l’orientamento della Corte secondo il quale, per il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario, è necessario ch’egli abbia ricevuto l’atto o che esso sia pervenuto nella sua sfera di conoscibilità; e che l’unico documento idoneo a fornire tale dimostrazione, nonché della data in cui essa è avvenuta e dell’identità ed idoneità della persona cui il plico sia stato consegnato è la ricevuta di ritorno della raccomandata (L. n. 890 del 1982, art. 149 cit., e art. 4, commi 3 e 8); ovvero, per il caso di suo smarrimento o distruzione, il duplicato rilasciato dall’ufficio postale. Così che, quando la notificazione si riferisca ad un atto di impugnazione ed il notificante non ottemperi all’onere di depositare in giudizio la ricevuta di ritorno, l’impugnazione è inammissibile (salvo che sia riproposta nel termine per l’impugnazione e prima che sia dichiarata l’inammissibilità), “perché il mancato completamento del procedimento notificatorio determina l’inesistenza della notifica (Cass. 2722/2005), e perciò la causa non può esser messa in decisione (L. n. 890 del 1982, art. 5, comma 3) ed il Giudice non può ordinare la rinnovazione della notifica (art. 291 c.p.c.)”.

Rileva ancora la Sezione Tributaria che si è escluso (vengono citate Cass., nn. 4900 del 2004 e 2722 del 2005) che su tale orientamento abbia potuto incidere la declaratoria di incostituzionalità del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c., e L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 2, di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002 (cui hanno fatto seguito le sentenze di quella Corte nn. 28 e 97 del 2004), avendo essa influito sulla sola disciplina del momento (quando) nel quale la notificazione si considera tempestivamente eseguita per il notificante, ma non anche su quella relativa ai requisiti del suo perfezionamento (an).

Si afferma, peraltro, che con recente sentenza n. 10216 del 2006 le Sezioni unite hanno ritenuto che, nell’ipotesi in cui l’intempestivo o mancato completamento della procedura notificatoria sia conseguenza di attività, errori o inerzie non imputabili al notificante perchè sottratte ai suoi poteri di impulso, egli ha il potere di rinnovare la notificazione nei confronti del destinatario. E si sostiene che tale arresto potrebbe influire sull’orientamento secondo il quale la mancata produzione dell’avviso di ricevimento, quale documento probatorio del perfezionamento per il destinatario della notificazione effettuata a mezzo del servizio postale, determina l’inammissibilità dell’atto da compiersi in un termine perentorio: ciò in quanto l’assolvimento di tale onere probatorio per un verso è successivo alla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e, per altro verso, è “dipendente dalla restituzione della ricevuta di ritorno da parte dell’ufficio postale”. Sicchè – conclude l’ordinanza – “potrebbe ipotizzarsi la possibilità per il Giudice di disporre il rinnovo della notifica, ovvero di concedere al notificante che lo richieda un termine perentorio per la produzione della ricevuta di ritorno della raccomandata o di idonea certificazione sostitutiva”.

Motivi della decisione
1. E’ stato reiteratamente affermato che la notificazione a mezzo posta deve considerarsi inesistente nel caso in cui non venga prodotto in giudizio l’avviso di ricevimento e che sia per questo preclusa l’applicabilità dell’art. 291 c.p.c.,, comma 1, essendo la rinnovazione correlata al rilievo di “un vizio che importi nullità della notificazione” e non essendo consentito farvi ricorso quando addirittura difetti la prova della sua esistenza.

L’orientamento risulta confermato, con specifico riferimento alla notificazione del ricorso per cassazione, da una serie di decisioni (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 24877/06, 10506/06, 1180/06, 23291/05, 12289/05, 5529/05, 4610/05, 1413/05, 2722/05, 23663/04, 16976/04, 5481/04, 4900/04, 11257/03, 11072/03, 13922/02, 1605/89, 2746/88, 4441/78, 3371/71, 2253/71) anche successive alla sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002 che, com’ è noto, in linea con le sue precedenti decisioni nn. 69 del 1994 e 358 del 1996 (cui hanno fatto seguito anche le sentenze nn. 477 del 2002, 28 e 97 del 2004, e 154 del 2005), ha sancito il principio della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario, fermo restando che il consolidamento dell’effetto anticipato per il primo dipende dal perfezionamento del procedimento notificatorio per il secondo.

La qualificazione della situazione conseguente alla mancata produzione dell’avviso di ricevimento come ipotesi di “inesistenza” della notificazione aveva, talo-ra, addirittura indotto a ritenere che neppure la costituzione dell’intimato costituisse fatto idoneo a determinare l’ammissibilità del ricorso per intervenuto raggiungimento dello scopo della notificazione (così Cass., nn. 181/1970 e 338/1972), benchè sia poi venuto affermandosi l’orientamento secondo il quale la costituzione del convenuto vale ad integrare essa stessa “la prova, sia pur presuntiva, dell’avvenuto ricevimento dell’atto, e così della regolarità del contraddittorio” (cfr. Cass., n. 3271/86, nonchè, ex multis, nn. 5141/94 e 3764/95).

Con recente sentenza (Cass., 24 luglio 2007, n. 16354) la Sezione Lavoro ha, peraltro, espressamente negato che la mancata produzione dell’avviso di ricevimento integri un’ipotesi di inesistenza o di nullità della notificazione a mezzo posta. Sul rilievo che l’avviso di ricevimento non è elemento costitutivo del procedimento di notificazione ma documento di prova dell’avvenuto perfezionamento della notifica per il destinatario, s’è ritenuto che l’omesso deposito determina il mancato assolvimento dell’onere, incombente sulla parte ricorrente, di dimostrare (eventualmente con distinta produzione ai sensi dell’art. 372 c.p.c.) l’avvenuta costituzione del rapporto processuale mediante il solo documento idoneo a provare sia l’intervenuta consegna dell’atto al destinatario, sia la data della stessa, sia l’identità e l’idoneità della persona a mani della quale è stata eseguita. Se ne sono tratti due corollari: il primo è che, non incidendo l’omessa produzione sulla validità della notifica, nemmeno è ammesso il procedimento di rinnovazione di cui all’art. 291 c.p.c., il quale presuppone la nullità della “eseguita” notificazione; il secondo è che, non equivalendo la mancata produzione neppure alla inesistenza della notificazione, l’intimato può comunque costituirsi, dovendosi la costituzione riguardare non già come una sanatoria bensì come prova dell’intervenuta consegna dell’atto al destinatario.

Sembra che la ricostruzione operata dalla sentenza appena citata sia la più aderente al dettato normativo di cui all’art. 4, comma 3, della L. 20 novembre 1982, n. 990, il quale stabilisce che “l’avviso di ricevimento costituisce prova dell’eseguita notificazione”, ed all’art. 5, comma 3, della stessa legge, laddove recita che “la causa non potrà essere messa in decisione se non sia allegato agli atti l’avviso di ricevimento, salvo che il convenuto si costituisca”. La previsione che possa esserlo se il convenuto si sia costituito depone per l’estraneità dell’allegazione dell’avviso di ricevimento alla struttura della notificazione, che si realizza con la consegna del piego contenente l’atto da notificare, di cui l’allegazione dell’avviso di ricevimento costituisce solo la prova, peraltro superflua se il convenuto si sia appunto costituito.

In difetto di costituzione del convenuto, l’omessa allegazione dell’avviso di ricevimento non consente, invero, alcuna inferenza né in ordine alla intervenuta consegna dell’atto al destinatario, né sulle ragioni per le quali la consegna potrebbe non essere avvenuta, né circa l’osservanza delle disposizioni in ordine ai requisiti della persona diversa dal destinatario cui l’atto può essere consegnato. L’unico dato di conoscenza emergente dalla relazione dell’ufficiale giudiziario è in tal caso costituito dall’essere stato il piego dato a mani del medesimo per la spedizione a mezzo posta e da questo all’ufficio postale per il recapito al destinatario ad un determinato indirizzo. Ma tanto evidentemente non vale a documentare che la consegna al destinatario sia stata poi effettivamente eseguita, e dunque che notificazione vi sia stata, né che sia mancata (o che sia stata eseguita in luogo o mediante consegna a persona in nessun modo riferibili al destinatario), nè che essa, quand’anche avvenuta, non sia nulla per inosservanza, secondo quanto statuito dall’art. 160 c.p.c., delle “disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia”, o per incertezza assoluta sulla sua identità. Quel che manca è, in tal caso, non già un elemento della fattispecie legale della notificazione (già verificatasi, o invalidalo mente intervenuta, o mancata), ma solo la documentazione destinata a provare un fatto, appunto la notificazione, che resta altrimenti ignoto e del quale non è possibile ravvisare in alcun modo l’esistenza (ma neppure l’inesistenza) in difetto di esercizio di attività difensiva da parte dell’intimato; la ricorrenza della quale, invece, per un verso attesta che la consegna è stata eseguita, avendo il destinatario avuto conoscenza dell’atto avverso il quale ha apprestato le sue difese e, per altro verso, può rivelarsi proprio per questo idonea a sanare, per intervenuto raggiungimento dello scopo dell’atto (ex art. 156 c.p.c., comma 3), le possibili nullità connesse ad una consegna irregolare.

2. Il caso deciso da queste Sezioni Unite con sentenza n. 10216 del 2006 – che la sezione tributaria richiama nel porre il problema del se, nel caso in cui l’intimato non abbia svolto attività difensiva e l’avviso di ricevimento non sia stato prodotto, sia o meno possibile disporre la rinnovazione della notifica del ricorso ex art. 291 c.p.c., ovvero concedere al ricorrente un termine per la produzione dell’avviso stesso – concerneva un’opposizione a decreto ingiuntivo, nella quale la consegna dell’atto per la notificazione era stata tempestiva ed invece il perfezionamento per il destinatario non si era compiuto a causa delle errate affermazioni date all’ufficiale giudiziario da un terzo, il quale aveva riferito, contrariamente al vero, che l’avvocato presso il quale l’intimante aveva eletto domicilio “era sloggiato”. L’opponente aveva, pertanto, di sua iniziativa notificato l’opposizione direttamente alla parte, ma questa volta con consegna dell’atto oltre il termine per la sua proposizione.

Negata dal giudice del merito la sussistenza dei presupposti di ammissibilità dell’opposizione tardiva, la sentenza è stata cassata per avere questa corte di legittimità escluso, in linea con le richiamate sentenze della Corte costituzionale, che dal mancato completamento dell’attività di notifica per “fatto non riconducibile a errore o negligenza del disponente” possa derivare, per lo stesso, un effetto di decadenza. Si è in particolare ritenuto che vada salvaguardato l’interesse del notificante a non vedersi addebitare il mancato esito della procedura notificatoria, per la parte sottratta al suo potere d’impulso, tutte le volte che esso “non per sua colpa” si sia determinato, all’uopo individuandosi due tipologie di moduli apprestati dall’ordinamento: quello attivabile su autorizzazione del giudice in accoglimento di previa istanza della parte, secondo lo schema della rimessione in termini di cui all’art. 184 bis c.p.c., che a sua volta rinvia all’art. 294 c.p.c.; e quello attivabile direttamente dalla parte, con atto soggetto al successivo controllo del giudice quanto all’effettiva esistenza delle ragioni che hanno impedito l’esercizio in modo tempestivo dell’attività altrimenti preclusa, secondo lo schema dell’opposizione tardiva di cui all’art. 650 c.p.c.. E si è chiarito che la scelta tra tali meccanismi non può essere operata a discrezione dell’interprete, ma deve avvenire in base ad un criterio di autocollegamento, nel senso che è dallo stesso sistema, o subsistema del quale fa parte il procedimento del cui “incolpevole” mancato completamento si tratta, che deve pervenire il modulo procedimentale per la rinnovazione della notifica precedentemente mancata “per causa non imputabile” al notificante.

3. Se può dunque dirsi acquisito il principio secondo il quale al notificante non può essere addebitato, ove non dipenda da un fatto a lui imputabile, il mancato perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, alla stessa conclusione deve, a fortiori, addivenirsi in ordine alla mera mancanza di quella dimostrazione, sempre che la mancata produzione non sia dipesa da un fatto imputabile al notificante; e purchè non vi sia stato, prima della rimessione dell’atto all’ufficiale giudiziario, un fatto indotto dallo stesso notificante (o dal suo difensore) ed a lui imputabile che abbia reso impossibile il perfezionamento della notificazione per il destinatario, essendo evidente che in tal caso la mancata produzione, pur incolpevole, è del tutto priva di significato, non diversamente da come lo sarebbe stata la produzione, che avrebbe evidenziato il mancato perfezionamento per fatto imputabile.

Il rimedio alla situazione che si sta scrutinando va, invero, individuato nell’istituto della rimessione in termini, già ritenuto applicabile al giudizio di legittimità (tra le altre) da Cass., n. 7018 del 2004, pur in difetto di una disposizione che richiami, come l’art. 359 c.p.c., per il giudizio di appello, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale. E’ stato in quell’occasione condivisibilmente affermato che militano in tal senso sia le innovazioni apportate all’art. 184 bis c.p.c., (come sostituito dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, art. 6, convertito con modificazioni in L. 20 dicembre 1995, n. 534) con la soppressione del riferimento alle sole decadenze previste negli artt. 183 e 184 c.p.c., sia i recenti richiami della Corte costituzionale in ordine alle esigenze di certezza ed effettività delle garanzie difensive nel processo civile, sia il difetto di situazioni di incompatibilità tra la norma in questione e le peculiarità del giudizio di Cassazione. Non può del resto omettersi di tener conto della garanzia costituzionale dell’effettività del contraddittorio posta dal nuovo testo dell’art. 111 Cost., comma 2, sicché la regola dell’improrogabilità dei termini perentori posta dall’art. 153 c.p.c., non può costituire ostacolo al ripristino del contraddittorio quante volte la parte si vedrebbe dichiarare decaduta dall’impugnazione, pur avendo ritualmente e tempestivamente esercitato il relativo potere, per un fatto incolpevole che si collochi del tutto al di fuori della sua sfera di controllo e che avrebbe, altrimenti, un effetto lesivo del suo diritto di difesa in violazione dell’art. 24 Cost..

4. La raggiunta conclusione in ordine alla individuazione nella rimessione in termini, ex art. 184 bis c.p.c., dell’unica alternativa possibile all’immediata declaratoria di inammissibilità del ricorso in caso di mancata produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente l’atto da notificare a mezzo posta (ex art. 149 c.p.c.) si fonda su considerazioni generalizzabili e, dunque, valide anche per il caso in cui l’avviso di ricevimento concerna la raccomandata con funzione informativa spedita, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., ed a completamento delle altre formalità indicate nello stesso articolo (deposito nella casa comunale ed affissione dell’avviso del deposito alla porta dell’abitazione, dell’ufficio e dell’azienda), al destinatario della notificazione cui non sia stato possibile eseguire la consegna per irreperibilità dello stesso o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’art. 139 c.p.c..

E’ ben vero che con ordinanza del 13 gennaio 2005, n. 458, queste Sezioni unite hanno ritenuto che, nel caso della mancata allegazione dell’avviso della raccomandata spedita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., la notificazione dovesse considerarsi nulla, e dunque da rinnovarsi ex art. 291 c.p.c.; ma tanto è stato affermato solo in relazione alla ravvisata necessità dell’allegazione anche di tale avviso (oltre che di quello della raccomandata spedita ai sensi dell’art. 149 c.p.c., secondo quanto espressamente prescritto dal comma 2, di tale articolo), dopo che si era escluso che l’omessa produzione dello stesso desse luogo ad un’ipotesi di inesistenza, per doversi la notificazione considerare eseguita nei confronti del destinatario con l’assolvimento dell’ultimo degli adempimenti prescritti dall’art. 140 del codice di rito, perfezionativo dell’effetto della conoscibilità legale nei confronti del destinatario.

E’ stato peraltro chiarito che dall’avviso di ricevimento e dalle annotazioni che l’agente postale appone su di esso quando lo restituisce al mittente può emergere che la raccomandata non è stata consegnata perché il destinatario risulta trasferito, oppure deceduto o, ancora, per altre ragioni le quali comunque rivelino che l’atto non è in realtà pervenuto nella sfera di conoscibilità dell’interessato e che, dunque, non si è prodotto l’effetto legale tipico ancorato a tale evento. E si è ritenuto che, appunto in difetto delle risultanze documentate dal non prodotto avviso di ricevimento, non potesse non riverberarsi sulla validità della notificazione la conseguente “incertezza” sull’esito della spedizione (ovvero, addirittura, sulla coincidenza del luogo in cui l’ufficiale giudiziario abbia svolto l’attività di cui all’art. 140 c.p.c., con quello di effettiva residenza, dimora o domicilio del destinatario), dissipabile solo mediante la “verifica” consentita dall’esame dell’avviso di ricevimento, postulata del resto dalla stessa previsione normativa nel momento in cui richiede che la spedizione della raccomandata ne sia corredata.

Anche in quell’occasione si è dunque ritenuto che l’avviso di ricevimento costituisce strumento di verifica della consegna, altrimenti incerta, ovvero delle ragioni della mancata consegna della raccomandata al destinatario, al di là delle conseguenze che se ne sono tratte sul piano dell’alternativa nullità/inesistenza, essendo la rinnovazione consentita solo nel primo caso (ex art. 291 c.p.c.) e non anche nel secondo (che parte della dottrina tende addirittura ad escludere come categoria giuridica al di fuori del caso, di cui al secondo comma dell’art. 161 c.p.c., della sentenza emessa a non iudice e di altre situazioni eccezionali).

Ma una volta escluso – come s’è fatto ex professo in questa sede, affrontando lo specifico problema posto dalla sezione tributaria – che la documentazione della consegna della raccomandata (id est: l’avviso di ricevimento) costituisca un momento strutturale del procedimento notificatorio, attenendo la stessa piuttosto alla prova della intervenuta instaurazione del contraddittorio (volta che, come s’è detto sopra, la consegna è già avvenuta o no, e validamente o invalidamente, prima ed indipendentemente dalla prova che ne sia poi data e dalla verifica che ne sia fatta), ragioni di coerenza sistematica e di semplificazione procedimentale impongono che siano tratte le medesime conseguenze sia nel caso che la raccomandata contenga l’atto da notificare, come accade quando la notifica avvenga ex art. 149 c.p.c., sia nel caso che sia destinata a svolgere per il destinatario un’essenziale funzione informativa della notificazione effettuata nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c., e dunque mediante l’espletamento di attività (deposito ed affissione) che inevitabilmente non garantiscono appieno che sia stato raggiunto l’effetto della conoscibilità.

Nella prassi giurisprudenziale è del resto frequente che la parte cui, in ragione della omessa produzione della ricevuta di ritorno della notifica effettuata a mezzo posta o ex art. 140 c.p.c., sia stato assegnato un termine per la rinnovazione, alla scadenza del termine ovvero all’udienza successiva esibisca non già la relazione della seconda notificazione, ma l’avviso di ricevimento della raccomandata relativa alla prima notificazione, in ipotesi andata a buon fine; e si ritiene che tanto autorizzi, ex post, a considerare superflua la disposta rinnovazione, essendosi il contraddittorio già instaurato ab origine. Il che vale a rendere palese, da un canto, che la rinnovazione della notificazione viene allora disposta indipendentemente dal rilievo di un vizio che ne importi la nullità, e dunque in assenza del presupposto che lo stesso art. 291 c.p.c., richiede; e, per altro verso, che l’assegnazione del termine per la rinnovazione finisce in tal caso con l’assumere la valenza di una rimessione in termini per la produzione del documento al di là dei limiti posti dall’art. 184 bis, che la rimessione in termini invece consente solo se la decadenza si sia verificata per causa non imputabile alla parte che vi sia incorsa.

5. Quando sia dunque affermato che l’avviso di ricevimento non è stato prodotto perché non restituito al notificante, questi dovrà anzitutto domandare di essere rimesso in termini per la produzione dell’avviso stesso, offrendo la prova documentale della non imputabilità della causa della omessa produzione e, dunque, di avere esperito i rimedi che la legge appresta per il caso che l’avviso di ricevimento non sia tempestivamente restituito o sia stato smarrito dall’amministrazione postale. Sarà pertanto necessario che depositi la documentazione dalla quale risulti che, con congruo anticipo rispetto alla data fissata dalla corte per la trattazione del ricorso, era stato richiesto il duplicato che l’amministrazione postale è tenuta a rilasciare nel caso di smarrimento dell’originale da parte dell’ufficio postale (ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 990, art. 6, comma 1): e tanto dovrà fare, se non vi abbia provveduto con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378, ovvero degli artt. 375, 380 bis o 380 ter c.p.c., al più tardi in udienza prima che abbia inizio la relazione di cui all’art. 379 c.p.c., comma 1, ovvero all’adunanza in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis c.p.c..

La modalità di produzione dell’avviso che avrebbe dovuto essere allegato all’originale ex art. 149 c.p.c., comma 2, ultima parte, (sebbene la L. n. 890 del 1982, art. 5, comma 4, consenta comunque il deposito del ricorso anche “prima del ritorno dell’avviso di ricevimento”) ovvero della documentazione attestante che la parte si era comunque attivata per ottenere l’originale o la copia, non possono essere, per il ricorso per cassazione, che quelle contemplate dall’art. 372 c.p.c., comma 2, il quale prevede bensì che il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma stabilisce anche che “deve essere notificato mediante elenco alle parti”.

Benché la norma non stabilisca espressamente quale sia la conseguenza della omessa notificazione dell’elenco dei documenti depositati direttamente in udienza prima dell’inizio della relazione, o all’adunanza di cui all’art. 380 bis, costituisce principio consolidato che a tale omissione consegue l’inutilizzabilità del documento quand’anche l’intimato non abbia resistito in giudizio con controricorso, non essendogli comunque preclusa la possibilità di partecipare alla discussione orale e di esercitare in tal modo la propria difesa anche in ordine alla documentazione predetta (Cass., nn. 13954/2006, 12671/2004, 3135/1998). E va qui ribadito che l’ipotesi di omesso esercizio di attività difensiva da parte del destinatario della notifica è, per il caso dell’avviso di ricevimento, l’unica data, essendosi sopra chiarito che, ove l’intimato si sia invece difeso, tanto vale in re ipsa ad attestare l’avvenuta conoscenza del ricorso e dunque, indirettamente, il positivo compimento del procedimento notificatorio.

Ebbene, la conseguenza dell’inutilizzabilità del documento prodotto senza la previa notificazione dell’elenco che lo menziona è stata tratta (v., ad es., Cass., n. 2702 del 2004 e n. 4248 del 2000) anche con specifico riguardo all’avviso di ricevimento del ricorso notificato a mezzo posta. Ciò sul rilievo che, dovendo il ricorso essere dichiarato inammissibile in difetto dell’unico documento dal quale risulti l’intervenuta instaurazione del contraddittorio, anch’esso costituisce un documento “relativo all’ammissibilità”, sicchè il deposito non può non essere soggetto alla regola posta dall’art. 372 c.p.c., comma 2.

Ritengono queste Sezioni unite che, in relazione all’avviso di ricevimento, tale conclusione non possa essere condivisa.

La ragione della inutilizzabilità ad altro non è, infatti, correlabile che alla possibile violazione del diritto di difesa della controparte, nel senso che questa, una volta ricevuta la notifica del verbale, avrebbe potuto determinarsi ad essere presente solo al fine di esercitare la propria difesa in relazione alle risultanze del documento depositato, dal quale avesse in ipotesi evinto irregolarità della notificazione non direttamente riscontrabili dalla corte sulla base della sola lettura dell’avviso. Tutte le vote, infatti, che dall’esame officioso dell’avviso risultassero nullità della notificazione, dovrà esserne disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c., risultando con ciò superata ogni questione relativa alla omessa notificazione dell’elenco. Resta del pari escluso – per ovvie ragioni – il caso nel quale la consegna del piego raccomandato sia avvenuta a mani del destinatario e che tanto risulti dalla ricevuta di ritorno.

Quanto agli altri casi di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7, commi 2 e 3, (consegna a persona di famiglia e convivente, o addetta alla casa o al servizio del destinatario, ovvero, in mancanza, al portiere o a persona addetta alla distribuzione della posta) va rilevato che la legge non dispone la notifica di copia del documento, ma solo di un elenco che lo indichi; e che da tale elenco altro non può risultare che la produzione dell’avviso di ricevimento e non anche il suo contenuto; contenuto che rimane del resto sconosciuto al destinatario della notificazione quand’anche l’avviso sia depositato unitamente al ricorso, nel quale neppure può essere menzionato, costituendo un documento che comunque viene in essere successivamente alla redazione dell’atto la cui notificazione è destinato a documentare, sicché la scelta della parte di esercitare o no attività difensiva è indipendente dalla conoscenza delle sue risultanze.

A ben vedere, dunque, una violazione del diritto di difesa sarebbe astrattamente configurabile in relazione al solo caso che il difensore della parte intimata che non abbia depositato il controricorso si sia tuttavia recato presso la cancelleria della corte per controllare le risultanze dell’avviso, non abbia potuto farlo e per questo non si sia presentato in udienza.

Ma, a parte il rilievo che l’art. 372 c.p.c., comma 2, non contempla alcun termine per la notifica dell’elenco, che ben potrebbe dunque intervenire anche dopo l’ipotetico controllo compiuto dalla parte, pare assorbente la considerazione che tale controllo comunque presupporrebbe la conoscenza o l’acquisita conoscenza della pendenza del ricorso (o del contenuto del controricorso) da parte di chi lo avesse effettuato, al quale sarebbe stata dunque data la possibilità di presentarsi in udienza e di svolgere in quella sede le proprie difese, ovvero di instare per una rimessione in termini per apprestarle, ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c..

Se, invero, omessa la produzione dell’avviso relativo alla notificazione da parte del ricorrente, il destinatario si costituisca in udienza ma adduca tuttavia di aver avuto effettivà conoscenza del processo, a causa di un problema insorto nella fase del procedimento notificatorio successiva alla consegna del ricorso all’ufficiale giudiziario, in un momento tale che gli ha impedito di usufruire dei termini minimi per l’apprestamento della difesa (da determinarsi in complessivi sessanta giorni, ex art. 370 c.p.c., comma 1, e art. 377 c.p.c., comma 2,), potrà senz’altro domandare di essere rimesso in termini per depositare il controricorso, cioè per difendersi per iscritto, secondo le normali modalità previste per il giudizio di legittimità (la cui udienza dovrà, in caso di assegnazione di un nuovo termine, svolgersi in altra data, previo rinvio a nuovo ruolo). Così come analoga richiesta potrà svolgere il ricorrente principale se non sia stato depositato l’avviso di ricevimento del controricorso e dell’eventuale ricorso incidentale ed il notificante sia stato rimesso in termini.

Alla luce dell’esigenza di garantire che il processo possa andare a conclusione e che la (gravissima) sanzione dell’inammissibilità del ricorso o del controricorso non consegua ad una violazione insuscettibile di autentico pregiudizio per il destinatario della notificazione, sembra allora doversi concludere nel senso che, quanto all’avviso di ricevimento prodotto direttamente in udienza, l’omessa notifica dell’elenco di cui all’art. 372 c.p.c., comma 2, integra una violazione di carattere meramente formale, cui non consegue la inutilizzabilità del documento. Lo scopo della disposizione prevedente la notifica dell’elenco dei documenti depositati successivamente al deposito del ricorso è, invero, quello di garantire l’instaurazione del contraddittorio e la possibile esplicazione del diritto di difesa delle altre parti anche in ordine al contenuto dei documenti prodotti successivamente. E tali esigenze devono considerarsi soddisfatte sulla scorta della diretta produzione dell’avviso di ricevimento (ovvero della documentazione giustificativa della omessa produzione, dalla quale comunque risulti che il notificante si era diligentemente e con congruo anticipo attivato per ottenere copia dell’avviso, tuttavia non pervenutagli), quand’anche non preceduta dalla notificazione dell’elenco di cui all’art. 372 c.p.c., comma 2. 6. Va, da ultimo, precisato che all’indicazione in udienza della questione dell’inammissibilità del ricorso per la mancata produzione dell’avviso di ricevimento – cui la Corte è tenuta ex art. 384 c.p.c., comma 3, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, per i ricorsi avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 – non può conseguire, in caso di omessa immediata produzione, la possibilità di un rinvio perché la parte vi provveda successivamente.

Il consentire la produzione a seguito di rinvio si porrebbe in manifesta contraddizione con il principio, ricavabile dal novellato secondo comma dell’art. 111 Cost., secondo il quale i tempi di definizione di un processo non possono essere protratti per sopperire ad ingiustificate omissioni di una parte.

La concessione di un termine per osservazioni sulla questione sarà per contro necessaria solo nel caso in cui la mancanza dell’avviso non sia stata rilevata in udienza, dovendo la disposizione di cui all’art. 384 c.p.c., comma 3, interpretarsi nel senso che essa mira ad evitare solo che la decisione possa essere fondata su questioni rilevate d’ufficio che non abbiano costituito oggetto di dibattito tra le parti perché rilevate dalla Corte dopo la discussione (la cosiddetta “terza via”); non concerne invece le questioni che, siccome rilevate prima, avrebbero potuto essere dibattute se le parti fossero state presenti all’udienza e si fossero dunque avvalse di tutte le possibilità di espletamento di attività difensiva garantite dalla legge.

7. Devono conclusivamente enunciarsi i seguenti principi di diritto:

“ – la produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 c.p.c., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario da notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 c.p.c., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell’intervenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio;

– l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal comma 1, della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della corte in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis c.p.c., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2;

– in difetto di produzione dell’avviso di ricevimento ed in mancanza di esercizio di attività difensiva da parte dell’intimato il ricorso è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c.;

– il difensore del ricorrente presente in udienza o all’adunanza della corte in camera di consiglio può tuttavia domandare di essere rimesso in termini, ai sensi dell’art. 180 bis c.p.c., per il deposito dell’avviso che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all’amministrazione postale un duplicato dell’avviso stesso, secondo quanto previsto dalla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 6, comma 1”. 8. Nel caso in esame, non avendo l’intimato svolto attività difensiva e non avendo i ricorrenti addotto alcuna giustificazione in ordine alla mancata produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2008


Cassazione: quando è lecito spiare le mail dei dipendenti?

Non sempre costituisce reato leggere la posta elettronica dei dipendenti. E’ quanto afferma la quinta sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza 47096/2007.  Secondo la Corte infatti è possibile spiare le e-mail dei lavoratori a patto che la lettura della posta elettronica sia voluta dal datore di lavoro attraverso la richiesta di conoscere le loro password. Ecco dunque fin dove possono spingersi le Aziende senza violare la privacy dei dipendenti. Quando il sistema telematico sia protetto da una password – scrive al Corte – “deve ritenersi che la corrispondenza in esso custodita sia lecitamente conoscibile da parte di tutti coloro che legittimamente dispongano della chiave informatica di accesso. Anche quando la legittimazione all’accesso sia condizionata, l’eventuale violazione di tali condizioni può rilevare sotto altri profili, ma non può valere a qualificare la corrispondenza come “chiusa’ anche nei confronti di chi sin dall’origine abbia un ordinario titolo di accesso”. A questa decisione i giudici di Piazza Cavour sono giunti analizzando il caso di un’impiegata di Chivasso che era stata licenziata dopo che il datore di lavoro aveva letto il contenuto delle sue e-mail di ufficio. La Suprema Corte ha ritenuto che non c’è stata violazione della corrispondenza informatica, in base all’art. 616 del codice penale osservando che “le password poste a protezione dei computer e della corrispondenza di ciascun dipendente dovevano essere a conoscenza anche dell’organizzazione aziendale, essendo prescritta la comunicazione, al superiore gerarchico, legittimato ad utilizzarla per accedere al computer anche per la mera assenza dell’utilizzatore abituale”. La condanna dunque scatta solo se si va a leggere la posta “chiusa”. In sostanza “quando non vi sia stata sottrazione o distrazione, la condotta di chi si limita a prendere cognizione è punibile solo se riguarda ‘corrispondenza chiusa’. Chi prende cognizione di corrispondenza aperta è punito solo se l’abbia a tale scopo sottratta al destinatario ovvero distratta dalla sua destinazione”. Infatti, chiarisce la Corte, la corrispondenza telematica può “essere qualificata come ‘chiusa’ solo nei confronti dei soggetti che non siano legittimati all’accesso dei sistemi informatici di invio o di ricezione dei singoli messaggi”. Nell’impianto motivazionale della sentenza si legge inoltre che “diversamente da quanto avviene per la corrispondenza cartacea, di regola accessibile solo al destinatario, è appunto la legittimazione all’uso del sistema informatico o telematico che abilita alla conoscenza delle informazioni in esso custodite”. Proprio per questo nel caso preso in esame non c’è “stata violazione da parte del dirigente che ha fatto uso delle “chiave di accesso di cui legittimamente disponeva, come noto alla stessa impiegata”.


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Anno 2009

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Anno 2010

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Vedi:  Attestazione Methis Assicurazioni versamenti al 30.06.2014

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Vedi: Ricevuta bonifico appendice 4-2014

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Vedi: Quietanza UnipolSai dal 01 01 2016 al 30.06.2016

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Anno 2017

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Vedi: Quietanza UnipolSai dal 01 01 2017 al 30.06.2017

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Vedi: Polizza 157075515 al 01 01 2018

Vedi: Quietanza UnipolSai dal 01 01 2018 al 30.06.2018

Vedi: Quietanza Polizza 157045154 03 di regolarizzazione anno 2018

Anno 2019

Vedi: Quietanza Polizza RCT 15707515 Appendice 02 di regolazione anno 2019


Cass. civ. Sez. V, (ud. 17-10-2007) 20-12-2007, n. 26844

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente

Dott. CICALA Mario – Consigliere

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere

Dott. SCUFFI Massimo – Consigliere

Dott. MARINUCCI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.M., M.P., M.G., M.F., elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI MONTI PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato MARINI GIUSEPPE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato TOSI LORIS, giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI TREVISO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 99/00 della Commissione tributaria regionale di VENEZIA, depositata il 10/10/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/10/07 dal Consigliere Dott. CHIARINI Maria Margherita;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

F.M., M.F., G. e P. impugnavano due avvisi di accertamento notificati dall’Ufficio delle II.DD. con cui erano rettificate le dichiarazioni dei redditi dei coniugi M.B. e F.M. per gli anni 1989 e 1990 avendo l’Ufficio accertato sinteticamente (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4) un maggior reddito per gli anni 1989 e 1990 ai fini IRPEF ed ILOR – deducendo che l’Ufficio non aveva notificato gli atti impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio del de cuius.

La C.T.P. accoglieva il ricorso per illegittimità della notifica degli avvisi di accertamento, avvenuta in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 4.

L’Ufficio interponeva appello, rilevando che l’eventuale nullità della notifica si era sanata per raggiungimento dello scopo.

La C.T.R., rilevato che gli eredi non contestavano l’omessa comunicazione all’Ufficio del decesso di M.B. (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2) e che all’atto della notifica degli avvisi, avvenuta, a mezzo del servizio postale, nell’ultimo domicilio del contribuente, la moglie, F.M., aveva firmato la ricevuta di ritorno senza nulla rappresentare al riguardo, sì che l’Ufficio ignorava il decesso del dante causa e perciò non poteva effettuare la notifica collettiva ed impersonale agli eredi, considerando inoltre che detta moglie è coerede del de cuius e quindi obbligata in solido con gli altri coeredi per le obbligazioni tributarie del medesimo (art. 65 cit.), affermava la validità della notifica ed accoglieva l’appello dell’Ufficio.

Ricorrono per cassazione F.M., M.P., M.G., M.F., cui resistono il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione

Deducono i ricorrenti: 1. “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Violazione di legge e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 4. Nullità degli avvisi di accertamento in quanto notificati al contribuente: defunto anzichè, impersonalmente e collettivamente, agli eredi”. Nel caso di decesso del contribuente non comunicato all’Ufficio finanziario dagli eredi, la notifica degli atti tributari deve avvenire nell’ultimo domicilio del de cuius, collettivamente ed impersonalmente agli eredi, soggetti passivi del tributo.

Diversamente l’atto è insanabilmente nullo.

Pertanto erroneamente la C.T.R. ha affermato che la notifica impersonale e collettiva agli eredi va effettuata soltanto se è stato comunicato all’Ufficio il decesso, vero essendo invece che in tal caso essa va effettuata nel domicilio indicato da ciascun erede.

Nella fattispecie l’amministrazione conosceva il decesso del de cuius avvenuto due anni prima dell’avviso impugnato – per avere gli eredi presentato la dichiarazione di morte, la denuncia di successione, e le dichiarazioni dei redditi per gli anni 1995 e 1996 e quindi sia la notizia del decesso, sia i dati identificativi dei coeredi, potevano esser acquisiti direttamente (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 2).

Nemmeno ha rilievo la circostanza che la moglie del de cuius non abbia rappresentato il decesso del marito al portalettere, non essendo tale notizia idonea a far conoscere all’Ufficio nè le generalità degli eredi, nè il loro domicilio fiscale, sì che non poteva esser assimilata alla comunicazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2, e tutt’al più poteva rendere edotto l’ufficio del decesso del de cuius, ma tale evento era già noto all’amministrazione con la dichiarazione di morte del medesimo;

quanto alla ricezione dell’avviso da parte della moglie del de cuius, l’atto era a lei cointestato in quanto codichiarante e non già quale erede o coerede del medesimo; conseguentemente nessun rapporto tributario si è instaurato tra gli eredi e l’amministrazione.

Il motivo è infondato.

1.1 – Le disposizioni che disciplinano la fattispecie rispettivamente dispongono (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 2, prima parte, e comma 4): “Gli eredi del contribuente devono comunicare all’Ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità ed il proprio domicilio fiscale”. “La notifica degli atti intestati al dante causa può esser effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al comma 2”.

Questa Corte aveva già affermato (Cass. 7494/1994) che, in caso di morte del contribuente, in mancanza della, tempestiva comunicazione, all’Ufficio delle imposte del domicilio fiscale di quest’ultimo – della ricorrenza di tale evento e del nominativo degli eredi, è valida, non potendosi procedere alla notifica collettiva ed impersonale agli eredi, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 65, la notificazione dell’avviso di accertamento, intestato al contribuente deceduto, mediante consegna dell’atto a persona legittimata a riceverla in ragione dei suoi rapporti con il destinatario, che non ne palesi l’avvenuto decesso. A questo principio si sono attenuti i Giudici di appello.

Questo orientamento è poi divenuto maggioritario (Cass. 13504/1993, 12886/2007, 8272/2006, 7645/2006, 16699/2005) considerando: “… si deve tener conto che il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 65, considera espressamente, e disciplina di conseguenza, la sola ipotesi in cui la morte del soggetto passivo del rapporto giuridico tributario sia nota all’Ufficio e la disarticola in due sottoipotesi:

1) una prima nella quale gli eredi abbiano comunicato all’Ufficio, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 65, comma 2, le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale, nel qual caso la notifica degli atti intestati al dante causa:

a) può essere effettuata a ciascuno degli eredi personalmente e individualmente e, quindi, nel loro domicilio fiscale differenziato;

oppure;

b) può esser effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio del defunto anche per i 30 giorni successivi alla presentazione diretta all’Ufficio della comunicazione delle generalità degli eredi e del loro domicilio fiscale o successivi alla data di spedizione della raccomandata con ricevuta di ritorno della stessa comunicazione (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 65, comma 4;

2) una seconda ipotesi nella quale gli eredi non abbiano comunicato all’Ufficio le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale, in violazione dell’onere previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n 600, art. 65, comma 2, n. 1, nel qual caso la notifica degli atti intestati al dante causa, della cui morte l’Ufficio è comunque a conoscenza, è efficacemente effettuata dall’Ufficio impersonalmente e collettivamente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto.

Pertanto, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 65, comma 4, la cui formulazione non pare, per la verità, che sia stata concepita per facilitarne l’immediata comprensibilità è una disposizione derogatoria all’efficacia temporale della comunicazione delle generalità e del domicilio fiscale degli eredi ex art. 65, comma 2, nel senso che tale: comunicazione, invece di produrre i suoi effetti sin dalla sua ricezione da parte dell’Ufficio, inizia a produrli solo dopo che siano trascorsi trenta giorni..

Questo è, dunque, l’articolato, ma limitato, contenuto delle disposizioni normative inserite nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 65, perchè esso non considera affatto l’ipotesi in cui l’Ufficio non abbia alcuna conoscenza della morte del soggetto passivo di imposta.

In tal caso, a maggior ragione, l’Ufficio non ha la conoscenza nemmeno dell’esistenza di eredi e non potrebbe, pertanto, indirizzare loro alcun atto nè potrebbe renderli destinatari di alcuna operazione trasmissiva di conoscenza, come la notificazione di atti eventualmente destinati ad altri, cioè, per quel che qui interessa, destinati al loro dante causa. Ne deriva l’inapplicabilità del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 65, e l’inapplicabilità, quindi, anche delle due diverse modalità di realizzazione della notificazione di atti intestati ad un soggetto, la cui condizione di dante causa è ignota all’Ufficio. Ne consegue anche che gli atti intestati ad un soggetto, che, per quanto è a conoscenza dell’Ufficio, sia ancora in vita, deve essere non solo a lui destinato, ma a lui notificato nel suo domicilio fiscale come dichiarato”.

Questo è il caso in esame, come accertato dai Giudici di secondo grado secondo i quali è pacifico che gli eredi non hanno ottemperato all’onere di cui al comma 2, del succitato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, e che l’ufficio non aveva avuto notizia del decesso del de cuius neppure dalla relata di notifica dell’atto, ricevuto dalla moglie del medesimo senza nulla dichiarare al riguardo. Ne consegue che le circostanze richiamate in ricorso a sostegno della conoscenza, da parte dell’Ufficio dell’ultimo domicilio fiscale del de cuius, del decesso da parte di quest’ultimo desumibile dal certificato di morte;

dalla denuncia di successione e dalla denuncia dei redditi degli eredi, in difetto di indicazione dell’atto processuale con cui sono state rappresentate in giudizio, non possono configurare il vizio di omesso esame su punto decisivo della controversia, e poichè involgono nuovi accertamenti di fatto, sono inammissibili in questa sede.

Pertanto le censure vanno respinte.

2 – “Inapplicabilità al caso di specie della sanatoria prevista dagli artt. 156 e 160 c.p.c.. Natura amministrativa dell’ avviso di accertamento”.

La proposizione del ricorso da parte degli eredi non ha sanato il vizio di notifica innanzi denunciato perché l’inesistenza dell’atto ne comporta l’insanabilità.

Inoltre le regole degli atti processuali non sono estensibili agli atti amministrativi.

Il rigetto del precedente motivo di ricorso sulle, questione pregiudiziale della invalidità della notifica effettuata dall’Ufficio rende priva di rilievo la questione, logicamente e giuridicamente successiva, della sanatoria degli atti invalidi.

3.- “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione di legge: Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 8 e 25.

Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi”.

Comunque, in via subordinata, le sanzioni irrogate non sono trasmissibili agli eredi del M. a norma dei succitati articoli.

Il motivo, formulato per la prima volta in questa sede, è inammissibile.

Infatti deve esser ribadito (Cass. 5713/2007) che in tema di sanzioni per violazione delle norme tributarie, qualora le modifiche del sistema sanzionatorio introdotte dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, nn. 471, 472 e 473 siano entrate in vigore nel corso del giudizio, incombe al contribuente l’onere di chiederne l’applicazione, anche in sede di deposito delle memorie ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32, risultando altrimenti inammissibile nel giudizio di legittimità la censure riflettente la mancata applicazione della nuove, disciplina.

4.- Concludendo il ricorso va respinto.

Stante qualche pronuncia di, legittimità dissonante sulla prima questione si compensano le spese dei. giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2007.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2007


BUONE FESTE !!!

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Piace pensare che il Natale riesca a cancellare le incomprensioni, l’indifferenza, la cattiveria che purtroppo caratterizza la vita di molti, lasciando posto ad una grande apertura di cuore.