La postina che, per finire prima il “giro”, falsifica la firma del destinatario della raccomandata commette falso in atto pubblico

La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata su una vicenda che vedeva imputata una postina, ritenuta responsabile del reato di falso in atto pubblico per avere, in qualità di portalettere, contraffatto la firma del destinatario sugli avvisi di ricevimento di sei raccomandate dirette ad uno studio di commercialisti, la Cassazione ha confermato la sentenza di condanna pronunciata dai giudici di merito, ritenendo quindi pienamente configurabile il reato previsto dall’art. 476 c.p.

Leggi: Cassazione penale Sez. V, Sent., (ud. 16-10-2013) 21-02-2014, n. 8422


INCENTIVI PROGETTAZIONE tra condanne e pronunce contrastanti

In materia di incentivi per la progettazione la Corte dei Conti stabilisce che tali incentivi spettano solo in caso di progettazione di un’opera pubblica

In materia di incentivi per la progettazione già nel 2013 diverse sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti si sono espresse nel senso che tali incentivi spettano solamente quando l’attività di progettazione riguardi la costruzione di un’opera pubblica, escludendo dal novero delle attività retribuibili con l’incentivo in questione i lavori di manutenzione ordinaria o le attività di pianificazione (sez. Toscana n. 15/2013 e sez. Umbria n. 125/2013).

Di opposto avviso, invece, la pronuncia della sez. Veneto n. 361/2013, che ha ammesso l’incentivo in argomento per qualsiasi atto di pianificazione comunque denominato, affermando che l’intenzione del legislatore è stata quella di attribuire la giusta retribuzione all’attività di pianificazione, anche mediata, a prescindere dal suo collegamento con un’opera pubblica. Ha inoltre sottolineato che la previsione dell’art. 92 comma 6 d.lgs. 163/2006 contiene una esplicita norma di incentivazione che deroga al principio di onnicomprensività della retribuzione nel pubblico impiego ai sensi dell’art. 24 d.lgs. 165/2001.

In materia, è inoltre intervenuta l’Avvocatura dello Stato con il parere n. 21/12/2013 – 513720/23 pubblicato il 20/2/2014. In particolare, l’Avvocatura dello Stato si è espressa nel senso che – ai sensi del combinato disposto degli artt. 24 d.lgs. 165/2001 e 92 comma 5 d.lgs. 163/2006, in base all’orientamento del Consiglio di Stato espresso in sede consultiva (Commissione Speciale Pubblico Impiego, parere 4/5/2005) – si ritiene che i pubblici dirigenti siano da escludere dall’ambito di applicazione degli incentivi ex art. 92.

Inoltre, anche nel 2014 si registrano due pronunce Una è addirittura di condanna per danno erariale emessa in sede giurisdizionale, con cui si afferma che il documento preliminare alla progettazione è diverso dalla progettazione preliminare e non da’ diritto alla liquidazione dei compensi incentivanti ex art. 92 (sez. giurisdizionale Calabria, sentenza n. 22 del 3/2/2014).

La vicenda verte in materia di liquidazione a favore del dirigente comunale dell’incentivo per la progettazione dei lavori di “riqualificazione urbana e relative opere di urbanizzazione”; l’architetto è risultato autore del solo documento preliminare alla progettazione e non anche del progetto vero e proprio, per la cui redazione lo stesso dirigente aveva stipulato con una società d’ingegneria una convenzione d’incarico riguardante tutte le fasi della progettazione, preliminare, definitiva ed esecutiva dell’opera pubblica in questione.


8 marzo. Festa della donna

L’origine della Festa dell’8 Marzo risale al 1908, quando un gruppo di operaie di una industria tessile di New York scioperò come forma di protesta contro le terribili condizioni in cui si trovavano a lavorare.
Lo sciopero proseguì per diverse giornate ma fu proprio l’8 Marzo che la proprietà dell’azienda bloccò le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire dalla stessa.
Un incendio ferì mortalmente 129 operaie, tra cui anche delle italiane, donne che cercavano semplicemente di migliorare la propria qualità del lavoro.
Tra di loro vi erano molte immigrate, tra cui anche delle donne italiane che, come le altre, cercavano di migliorare la loro condizione di vita. L’8 marzo assunse col tempo un’importanza mondiale, diventando il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli e il punto di partenza per il riscatto della propria dignità.
L’8 Marzo è quindi il ricordo di quella triste giornata.
Non è una “festa” ma piuttosto una ricorrenza che si ripropone ogni anno come segno indelebile di quanto accaduto il secolo scorso.


Autotutela, l’Agenzia delle Entrate può annullare l’avviso di liquidazione irregolare e rettificarlo

In materia di autotutela, la Corte di Cassazione ha precisato che l’Agenzia delle Entrate può annullare l’avviso di liquidazione irregolare (nella fattispecie privo di sottoscrizione da parte dell’ufficio)  ed emetterne un secondo rettificato.

Viene così respinto il ricorso con cui si rilevava l’illegittimità dell’avviso di liquidazione relativo all’imposta di registro; l’Ufficio aveva operato la reiterazione di tale avviso e ciò, stando al ricorrente, non era giustificato da elementi conosciuti o emersi successivamente.

L’Agenzia delle Entrate, ad avviso della Suprema Corte, in mancanza di una norma ostativa, può emanare nei termini di decadenza, nell’esercizio del potere di autotutela, atti sostitutivi di quelli precedenti, ancorché identici nel contenuto e con lo stesso numero di protocollo dell’atto sostituito.

Già in altre occasioni si è affermato che  è legittimo il comportamento dell’amministrazione finanziaria che annulli un avviso di accertamento, già notificato al contribuente e, nell’esercizio del potere generale di autotutela, diverso dal potere previsto dall’art. 43, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, lo sostituisca con un nuovo avviso (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2531 del 22/02/2002, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19064 del 12/12/2003).

Né è preclusivo dell’intervento sostitutivo, aggiunge la Cassazione, la circostanza che il giudizio sul primo atto fosse ancora pendente

Leggi: Corte di Cassazione, sentenza 28 Febbraio 2014, n. 4823


Inammissibile l’impugnazione presentata con raccomandata online

La spedizione dell’impugnazione mediante raccomandata inviata con il mezzo telematico attraverso il servizio internet di posta raccomandata “online”, non consentendo la trasmissione dell’atto scritto in originale, in quanto si sostanzia nell’inoltro di un testo o un’immagine in formato digitale che le poste provvedono successivamente a stampare e recapitare al destinatario, deve ritenersi inidonea a soddisfare i requisiti di forma prescritti, a pena di inammissibilità, per la proposizione e la spedizione dell’atto di impugnazione.

Leggi: Cassazione penale Sentenza, Sez. III, 17-02-2014, n. 7337-Inammissibile l’impugnazione presentata con raccomandata on line


Il tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva

La Corte Suprema di Cassazione, ha ribadito “in relazione alla regola fissata dal R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art.  3 – secondo cui ” è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa”- il principio secondo cui tale disposizione non preclude che il tempo impiegato per indossare la divisa sia da considerarsi lavoro effettivo, e debba essere pertanto retribuito, ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa.”

La Corte Suprema con sentenza n. 2387 del 07.02.2014 ha preso in esame il caso di un addetto alla lavorazione di gelati e surgelati, obbligato ad indossare una tuta,  scarpe antinfortunistiche copricapo e indumenti intimi fomiti dall’azienda, e a presentarsi al lavoro 15/20 minuti prima dell’inizio dell’orario di lavoro aziendale; solo dopo aver indossato tali abiti ed essere passato da un tornello con marcatura del badge poteva entrare nel luogo di lavoro accedendo al reparto dove una macchina bollatrice rilevava l’orario di ingresso. Tali operazioni si ripetevano al termine dell’orario di lavoro per dismettere gli indumenti indossati.

Il giudice dell’appello, riformando la sentenza del giudice di prime cure, ha riconosciuto il diritto del dipendente alla retribuzione per il tempo impiegato nelle operazioni di vestizione e svestizione, considerandone il carattere necessario e obbligatorio per l’espletamento dell’attività lavorativa, e lo svolgimento sotto la direzione del datore di lavoro. Una diversa regolamentazione di tale attività non poteva essere ravvisata, sul piano della disciplina collettiva, dal “silenzio” delle organizzazioni sindacali sul problema del “tempo tuta”, né da accordi aziendali intervenuti per la disciplina delle pause fisiologiche.

La sentenza impugnata ha determinato il tempo di tali attività, facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, in dieci minuti per ognuna delle due operazioni giornaliere (vestizione e svestizione), commisurando quindi il compenso dovuto alla retribuzione oraria fissata dal contratto collettivo applicabile.

Avverso la decisione del giudice d’appello la società datrice di lavoro, premesso che la determinazione quantitativa della retribuzione risulta soprattutto dalla disciplina collettiva, trae argomenti dalle norme contrattuali in tema di durata e distribuzione dell’orario di lavoro e di riduzione dello stesso (correlata al godimento di riposi individuali) nonché dalla clausola del CCNL applicabile che, imponendo all’azienda di destinare un locale a spogliatoio, dispone che questo debba rimanere chiuso durante l’orario di lavoro; tale previsione escluderebbe che il tempo da destinare alla vestizione possa rientrare nella prestazione lavorativa.

Afferma inoltre la società che gli obblighi normativamente imposti al lavoratore (specie per il personale delle industrie alimentari) di indossare indumenti adeguati e se del caso protettivi, derivano dalla legge e non possono rientrare nell’ambito delle prerogative datoriali, gravando direttamente sul lavoratore; inoltre, che le operazioni in questione non erano predeterminate oggettivamente dal datore di lavoro, perché il personale poteva effettuarle in un arco temporale di massima ovviamente collocato in un momento precedente l’inizio dell’orario di lavoro, ma sulla base di scelte del tutto personali da parte dei dipendenti.

Non della stessa opinione i giudici di legittimità che precisano come “l’orientamento secondo cui per valutare se un certo periodo di servizio rientri o meno nella nozione di orario di lavoro, occorre stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e ad essere a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la propria opera, consente di distinguere nel rapporto di lavoro una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104 comma 2 cod.civ. ) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.”

Il giudice dell’appello si è attenuto a questi principi, avendo accertato che le operazioni di vestizione e svestizione si svolgevano nei locali aziendali prefissati e nei tempi delimitati non solo dal passaggio nel tornello azionabile con il badge e quindi dalla marcatura del successivo orologio, ma anche dal limite di 29 minuti prima dell’inizio del turno, secondo obblighi e divieti sanzionati disciplinarmente, stabiliti dal datore di lavoro e riferibili all’interesse aziendale, senza alcuno spazio di discrezionalità per i dipendenti.

La determinazione – si legge nella sentenza –  della durata del tempo in questione (e conseguentemente della correlativa controprestazione retributiva) è stata operata in via equitativa e con prudente apprezzamento, stante la difficoltà di accertare con precisione il “quantum” della domanda. Il giudice di merito ha fatto uso discrezionale dei poteri che gli attribuisce la norma processuale dell’art. 432 c.p.c., con apprezzamento in fatto incensurabile in Cassazione, siccome adeguatamente motivato.


Processo tributario telematico: pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il regolamento che lo disciplina

Pubblicato, il 14 febbraio 2014, nella Gazzetta Ufficiale il regolamento del Ministro dell’Economia e delle Finanze (decreto 23 dicembre 2013), che disciplina il processo tributario telematico.
Il regolamento disciplina l’uso degli strumenti informatici e telematici nell’ambito del processo tributario, che contribuiranno, attraverso la dematerializzazione dei flussi documentali, al miglioramento del servizio di giustizia tributaria nel suo complesso, con una notevole riduzione dei costi diretti e indiretti per tutti gli operatori di settore (giudici, difensori, enti impositori, contribuenti, uffici di segreteria delle commissioni tributarie).
Le successive regole tecnico-operative dell’informatizzazione del processo tributario saranno adottate con uno o più decreti direttoriali. Il primo dei quali individuerà anche le commissioni tributarie presso le quali troverà applicazione la nuova modalità.
In merito all’ambito di applicazione del regolamento, esso è individuato dall’art. 2, secondo il quale gli atti e i provvedimenti del processo tributario, nonché quelli relativi al procedimento attivato con l’istanza di reclamo e mediazione possono essere formati  come documenti  informatici sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale secondo le modalità disciplinate dal regolamento stesso. Dunque, la trasmissione, la comunicazione, la notificazione e il deposito di atti e provvedimenti del processo tributario, nonché di quelli relativi al procedimento attivato con l’istanza di reclamo e mediazione, avverranno con modalità informatiche a far data dal 1° marzo 2014. Di conseguenza, la parte che ha utilizzato in primo grado le modalità telematiche è tenuta ad utilizzare le medesime modalità per l’intero grado del giudizio nonché per l’appello, salvo sostituzione del difensore.
Anche la procura alle liti ed il conferimento dell’incarico di assistenza e difesa, ai sensi dell’art. 4 del regolamento in oggetto, dovranno essere conferiti, congiuntamente all’atto cui si riferiscono, su supporto informatico e sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale dal ricorrente e trasmessi dalle parti, dai procuratori e dai difensori  con notifica attraverso Pec.
Nell’ipotesi in cui, la procura alle liti o l ‘incarico di assistenza e difesa sono conferiti su supporto cartaceo, le parti, i procuratori e i difensori trasmettono congiuntamente all’atto cui si riferiscono, la copia per immagine su supporto informatico della procura o dell’incarico, attestata come conforme all’originale ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. 82/2005, mediante sottoscrizione con firma elettronica qualificata o firma digitale del difensore.


IL CONCETTO DI “PREPOSTO”: limiti e condizioni della responsabilità

Nuovi spunti sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro: se il lavoratore svolge la propria attività senza indossare né osservare idonee misure di prevenzione, la responsabilità è totalmente a carico del datore di lavoro.

In generale, è compito del datore di lavoro (nella PA è il dirigente) provvedere alla sorveglianza diretta dei sottoposti, al fine di evitare che gli stessi operino senza quelle precauzioni necessarie a garantire la loro sicurezza.

Ciò poiché il datore di lavoro è sempre responsabile nei confronti del lavoratore:

  • sia quando il lavoratore ometta di adottare le idonee misure protettive (es. indossando caschetto, occhiali, calzature e guanti protettivi, ecc.),
  • sia quando il datore non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente;
  • unica eccezione è il c.d. “rischio elettivo“, cioè quando il lavoratore, con un comportamento assolutamente imprevedibile e abnorme, agisca di propria iniziativa.

Nel caso esaminato l’infortunio è stato causato dalla caduta di un operaio, impegnato nell’esecuzione di alcune opere di montaggio e smontaggio, da un’impalcatura.

La  Corte di Cassazione, Sezione Lavoro – sentenza 2455 del 4.2.2014  ha affermato che “ai fini della ripartizione di responsabilità stabilita, in via gerarchica, tra datore di lavoro, dirigenti e preposti, la figura del preposto ricorre nel caso in cui il datore di lavoro … operi per deleghe secondo vari gradi di responsabilità, e presuppone uno specifico addestramento a tale scopo oltre al riconoscimento -con mansioni di caposquadra della direzione esecutiva di un gruppo di lavoratori e dei relativi poteri per l’attribuzione di compiti operativi nell’ambito dei criteri prefissati”.

Non può essere considerato “preposto” l’operaio più anziano di una squadra, pur dotato di maggiore esperienza rispetto ad altri, ma privo di uno specifico addestramento al ruolo di capo squadra nonché dei poteri di direzione esecutiva dei lavori della squadra stessa.


Pagamenti elettronici: online le nuove Linee Guida

Le Linee Guida per l’effettuazione dei pagamenti (PDF) a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi sono state definitivamente approvate dalla Banca d’Italia ed entreranno in vigore dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Con la determina 8/2014 assunta dal Direttore Generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, in qualità di commissario straordinario, si conclude dunque il percorso partecipato e condiviso con il  Ministero dell’economia e delle finanze e tutti gli attori coinvolti nel gruppo di lavoro composto da amministrazioni centrali e locali e al quale hanno contributo anche i prestatori di servizi di pagamento attraverso le proprie associazioni di categoria ABI e A.I.I.P.

Le nuove Linee Guida rivestono un importante ruolo per il perseguimento di obiettivi definiti tanto a livello nazionale quanto europeo. Il provvedimento costituisce un tassello fondamentale per il progetto di diffusione della fattura e dei pagamenti elettronici della PA, inserito dal Governo tra le azioni prioritarie per il perseguimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale. La strategia istituzionale assume ancor più rilevanza se si tiene conto che l’affermazione di procedure telematiche accresce l’efficienza dei servizi di pagamento riducendo l’uso del contante e i relativi costi con un risparmio stimato dello 0,3% del PIL. Le Linee Guida forniscono inoltre gli strumenti per consentire l’adeguamento delle procedure dei pagamenti delle PA alle regole SEPA per il completamento del processo di migrazione agli standard paneuropei.

La versione definitiva delle Linee Guida modifica il testo pubblicato in consultazione lo scorso 5 settembre 2013 a seguito del recepimento delle osservazioni pervenute in questa fase. In un ottica di trasparenza e partecipazione tutti i contributi ricevuti sono stati raccolti nell’apposito Position paper AgID (PDF), disponibile nella sezione documentazione insieme alle Linee guida e alle relative specifiche attuative.


FERIE SACRE E INVIOLABILI: non c’è obbligo di reperibilità

 I dipendenti pubblici in ferie non devono comunicare al proprio ente il proprio domicilio, e tantomeno i loro spostamenti. Sempre durante le ferie non possono essere richiamati al lavoro dall’oggi al domani, e non sono tenuti ad essere reperibili.

Ci sono importanti novità per il pubblico impiego che provengono da una recente sentenza della Cassazione (sezione lavoro n. 27057 del 3.12.2013).

I giudici hanno precisato i vincoli che devono essere rispettati dai dipendenti in ferie e hanno disposto l’annullamento del licenziamento per assenza ingiustificata effettuato da un Comune.

Vediamo i principi:

1.     non c’è dubbio che il datore di lavoro (nella PA è il dirigente) deve essere informato del luogo in cui inviare le comunicazioni al dipendente, ma il diritto non si estende alle ferie del lavoratore

2.     esiste una esigenza di privacy, coniugata con l’assoluta libertà per il lavoratore in ferie di andare dove vuole a recuperare le sue energie psicofisiche (impresa difficile se si è obbligati – magari giornalmente – a sopportare lo stress di dare le coordinate dei propri spostamenti al capo)

3.        il datore di lavoro per esigenze organizzative può modificare i periodi di ferie ma deve farlo con un congruo preavviso, prima che queste abbiano inizio (momento dal quale cessa ogni obbligo di reperibilità)


DIMISSIONI CON RISCHIO: la revoca non è vincolante per la P.A.

Pubblico   impiego: le dimissioni del dipendente sono valide anche se non accettate dall’Amministrazione.

La riforma del pubblico impiego portata a compimento con il decreto legislativo 165/2001 e successive modifiche ha determinato una delegificazione del rapporto di lavoro pubblico con la sostituzione delle norme pubblicistiche con quelle previste dalla contrattazione collettiva.

Essendo il c.d. rapporto di “pubblico impiego privatizzato” regolato sostanzialmente dalle norme del codice civile – nonché dalle norme sul pubblico impiego (solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili) – le dimissioni del dipendente pubblico, in seguito revocate, sono valide anche se manca l’accettazione dell’amministrazione.

E’ questo il principio stabilito dalla Corte Suprema di Cassazione -sezione lavoro con la sentenza n. 24341 del 29 ottobre 2013.

Le dimissioni costituiscono infatti un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle, sicché non necessitano più – per divenire efficaci – di un provvedimento di accettazione da parte della P.A..


PRECARI NELLA P.A.

 L’art. 35 comma 3-bis dlgs. 165/2001 e l’art. 4 comma 6 DL 101/2013 (convertito nella legge 125/2013) disciplinano due diverse procedure speciali di reclutamento a favore del personale precario delle PA, finalizzate alla valorizzazione delle professionalità acquisite e, al contempo, alla riduzione del numero dei contratti a termine nel pubblico impiego.

 I due interventi normativi rappresentano l’attuazione degli indirizzi programmativi definiti da Governo e Parti Sociali con il Protocollo d’Intesa sul Lavoro Pubblicodel 3.5.2012.

 Con la recente circolare del Dip. Funzione Pubblica n. 5 del 21.11.2013 sono stati forniti i primi indirizzi per la corretta applicazione del DL 101/2013 soffermandosi, tra l’altro, sul reclutamento speciale previsto dall’art. 4 del decreto-legge, “proprio perché è quello volto al superamento del fenomeno del precariato”, sottolineando che tale reclutamento non comporta alcun diritto per i possibili beneficiari e “può essere avviato dalle amministrazioni in via facoltativa, in ragione del loro fabbisogno”.

 Riassumiamo le novità

Reclutamento speciale a regime

 È la denominazione che la circolare 5/13 utilizza per individuare le procedure di reclutamento già disciplinate dall’art. 36 comma 3-bis dlgs. 165/2001. Secondo tale norma, a decorrere dal 1.1.2013, le PA -nel rispetto della programmazione triennale, nonché del limite massimo del 50% delle risorse finanziarie disponibili -possono avviare procedure di reclutamento mediante concorso pubblico:

 a)    con riserva dei posti, nel limite massimo del 40%, a favore dei titolari di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato che (alla data di pubblicazione dei bandi) hanno maturato almeno 3 anni di servizio alle dipendenze della PA che emana il bando;

 b)   per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare, con apposito punteggio, l’esperienza professionale maturata dal personale di cui alla lettera a) e di coloro che (alla data di emanazione del bando) hanno maturato almeno 3 anni di contratto co.co.co nella PA che emana il bando.

 Reclutamento speciale transitorio

 È la denominazione che la circolare 5/13 utilizza per individuare le nuove procedure disciplinate dall’art. 4 comma 6 del DL 101/2013. La disposizione prevede che, a decorrere dal 1.9.2013 e fino al 31.12.2016, le PA possono avviare procedure di reclutamento mediante concorso a tempo indeterminato, per titoli ed esami, riservato per un massimo del 50% dei posti previsti, a coloro che:

a)   sono in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 commi 519 e 558 legge 296/2006 e dell’art. 3 comma 90 legge 244/2007, ovvero:

  •  essere stati in servizio al 1.1.2007 con 3 anni di tempo determinato maturato nel quinquennio precedente;
  • essere stati in servizio al 1.1.2007 con 3 anni di tempo determinato maturato in virtù di un contratto in essere al 29.9.2006, tenendo conto anche del servizio svolto a tempo determinato nel quinquennio precedente al 1.1.2007;
  • 3 anni di tempo determinato già maturati nel quinquennio precedente al 1.1.2007, per coloro non in servizio al 1.1.2007;
  • in servizio al 1.1.2008 con 3 anni di tempo determinato maturato in virtù di un contratto in essere al 28.9.2007, tenendo conto anche del servizio svolto a tempo determinato nel quinquennio precedente al 1.1.2008.

 b)   coloro che alla data del 30.10.2013 hanno maturato, negli ultimi 5 anni (ovvero nel periodo dal 30.10.2008 al 30.10.2013), almeno 3 anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze della PA che emana il bando, con esclusione dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione degli organi politici.

 Il carattere transitorio delle procedure speciali ex art. 4 comma 6 DL 101/2013 si evince dalla circostanza che dette procedure (a differenza di quelle speciali a regime) possono essere avviate entro limiti temporali ben definiti, cioè solo a valere sulle assunzioni relative al 2013, 2014, 2015 e 2016. Resta fermo il vincolo di non superare per ciascun anno la misura del 50%. Le graduatorie sono utilizzabili per assunzioni nel quadriennio 2013-2016.

 Rapporto tra le due procedure speciali di reclutamento

 Per espressa disposizione normativa le procedure speciali transitorie “possono essere avviate (…) in alternativa a quelle di cui all’articolo 35 comma 3-bis del dlgs. 165/2001”. Sul concetto di alternatività la circolare 5/13 chiarisce che “tale alternatività si pone rispetto all’esigenza di salvaguardare l’adeguato accesso dall’esterno e conseguentemente le due modalità di reclutamento speciale, nell’ambito del limite massimo del 50% delle risorse previste per ciascun anno, sono tra loro complementari”. La circolare precisa che il ricorso alle procedure speciali di reclutamento non può prescindere dall’adeguato accesso dall’esterno. Pertanto le PA non possono destinare più del 50% del loro budget assunzionale per il reclutamento speciale (sia quello a regime, sia per quello transitorio previsto nel quadriennio, sia per entrambi complementariamente considerati ove avviati nel quadriennio).

 La proroga dei contratti oltre il limite dei 36 mesi

 Il dlgs. 368/2001, applicabile al pubblico impiego in forza del rinvio operato dall’art. 36 dlgs. 165/2001, dispone che il contratto di lavoro a tempo determinato può essere prorogato solo quando la durata iniziale sia inferiore a 3 anni. La proroga è ammessa una sola volta, a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa. In ogni caso, la durata complessiva del rapporto a termine non può essere superiore a 3 anni. Lo stesso dlgs. 368/2001 all’art. 5 comma 4-bis prevede eccezionalmente la possibilità di prorogare il contratto oltre il limite massimo dei 36 mesi mediante un’apposita procedura negoziale che coinvolge datore di lavoro e parti sindacali. A tale ipotesi (cd. proroga ordinaria) si aggiunge ora quella prevista dal DL 101/2013 (cd. proroga finalizzata), concernente la proroga disposta per consentire la conclusione delle procedure di reclutamento speciale transitorio.

 La proroga “finalizzata”

 L’art. 4 comma 9 DL 101/2013 consente alle PA la proroga oltre il limite massimo dei 36 mesi dei rapporti di lavoro a termine dei soggetti interessati alle procedure di reclutamento speciale transitorio fino al completamento delle stesse e comunque non oltre il 31.12.2016, al ricorrere dei seguenti presupposti:

 previsione nella programmazione relativa al quadriennio dell’avvio di procedure concorsuali di reclutamento speciale (sia secondo la normativa a regime, sia secondo la procedure transitorie previste dal DL 101/2013);

  • rispetto dei vincoli finanziari in materia di controllo della spesa del personale e assunzioni a tempo determinato e dei divieti di assunzione che scaturiscono in via sanzionatoria (art. 1 comma 557 legge 296/2007 e art. 76 comma 7 DL 112/2008);
  • rispetto dei limiti massimi della spesa annua per la stipula dei contratti a tempo determinato previsti dall’art. 9 comma 28 DL 78/2010, convertito nella legge 122/2010, fatte salve le deroghe previste dalla legge;
  • proroga nei confronti di coloro che alla data del 30.10.2013 abbiano maturato almeno 3 anni di servizio alle proprie dipendenze;
  • coerenza con il proprio effettivo fabbisogno, con le risorse finanziarie disponibili e con i posti in dotazione organica vacanti indicati nella programmazione triennale, anche alla luce delle cessazioni dal servizio che si prevede si verifichino nel corso del quadriennio.

 Le proroghe “non finalizzate”, disposte cioè senza avviare il reclutamento speciale, sono contrarie alle disposizioni previste dal decreto legge.

 Proroga secondo il regime ordinario ex art.5 comma 4-bis dlgs. 368/2001

 Per le PA che non hanno le condizioni finanziarie e i posti in pianta organica per avviare il reclutamento speciale transitorio di cui al DL 101/2013, la durata massima dei contratti a tempo determinato rientra nel regime ordinario previsto dal dlgs. 368/2001, anche per quanto concerne i possibili spazi di proroga oltre il limite massimo dei 3 anni. In tali ipotesi, infatti, rimane applicabile la disposizione di cui all’art. 5 comma 4-bis del dlgs. 368/2001 che eccezionalmente consente la proroga oltre il limite massimo di 36 mesi previa la stipula di CCNL o decentrati con le O.S. più rappresentative sul piano nazionale. Ragionando alla luce dei nuovi percorsi di stabilizzazione, sembra corretto affermare che la proroga ordinaria possa essere motivata sul presupposto dell’avvio delle procedure di reclutamento speciale a regime previste dall’art. 35 comma 3-bis dlgs. 165/2001 al fine di delineare un percorso speculare a quello definito dal DL 101/2013. A tal proposito, la circolare 5/13 precisa che “le amministrazioni hanno la facoltà di valutare, in relazione al proprio fabbisogno e nel rispetto dei limiti finanziari in tema di lavoro flessibile, se continuare ad avvalersi – nelle more dell’esperimento delle procedure concorsuali di cui all’art.35 comma 3-bis del dlgs. 165/2001, che non hanno carattere transitorio, per un periodo coerente con la durata delle suddette procedure – del personale interessato alle stesse. La programmazione e l’avvio delle predette procedure concorsuali rappresenta un presupposto importante per supportare le ragioni di una possibile deroga in sede di negoziazione, nella cui sede medesima saranno opportunamente valutati gli interessi rappresentati dalle parti, con particolare riferimento alla necessaria tutela del lavoratore, per evitare il rischio di precarizzazione, sulla corretta applicazione delle disposizioni speciali previste dal DL 101/2013”.


Sanzioni disciplinari: non costituisce una violazione disciplinare la dilazione del processo se congrua in relazione ai carichi di lavoro

 La decisione delle Sezioni unite civili della Suprema Corte di cassazione, le quali, con sentenza n. 1516 del 27 gennaio 2014 hanno respinto il ricorso del Procuratore Generale promosso contro la decisione del Consiglio superiore della magistratura di assolvere sette magistrati, che avevano rinviato per anni ed ingiustificatamente la decisione di numerose cause.
Nella fattispecie, e più precisamente, ai predetti giudici era stato addebitato di avere, nello svolgimento delle loro funzioni di consiglieri relatori in cause civili, dilazionato la decisione di numerose cause mediante rinvii a distanza anche di 4/7 anni, benché ne sarebbe stata possibile la definizione in termini più brevi in relazione ai carichi di lavoro, all’adeguatezza dei mezzi disponibili ed alla materia delle controversie.

La Sezione disciplinare ha ritenuto, pertanto, che non vi fossero nella fattispecie elementi per considerare violato il dovere di laboriosità o che fosse dovuto a negligenza inescusabile il mancato rispetto dei termini di cui agli artt. 81, 82 e 115 disp. att. c.p.c.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del Procuratore Generale affermando che la decisione di assoluzione da parte della Sezione disciplinare del Csm trovava fondamento nel fatto che “la fissazione da parte del singolo giudice o del collegio di un’agenda del processo che non si limiti alla fissazione cronologica dei processi da decidere sulla base dell’ordine di iscrizione a ruolo, ma sulla base delle caratteristiche dei processi pendenti sul ruolo, delle loro difficoltà, dell’urgenza legata ad alcune vicende specifiche o alle caratteristiche del procedimento, non costituisce una violazione disciplinare se la dilazione non appaia palesemente incongrua in relazione ai carichi di lavoro ed alla difficoltà dei processi”.


DARE DEL BUGIARDO: quando l’ironia eccessiva può provocare danni

Dare del “bugiardo” al capo ufficio (o anche al collega) è sempre ingiuria, anche quando a farlo è un rappresentante sindacale.

Corte di Cassazione Penale n. 35992/2013, sez. V del 3/9/2013

  Il caso ha riguardato un agente di PM (anche sindacalista) di un comune abruzzese che si era rivolto alla propria Comandante, davanti ad altre persone, pronunciando la frase: “In questo corpo non lavora nessuno, lei è una bugiarda, io non parlo con i bugiardi”. 

 L’agente di PM, dopo due condanne, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo:

che la frase ritenuta offensiva era stata pronunciata nel corso di una discussione di contenuto sindacale, caratterizzata da forte conflittualità e che le parole pronunciate non avevano valenza offensiva.

che l’ingiuria pronunciata sul lavoro, tra colleghi, può configurare il diritto di critica.

 La Cassazione è stata di diverso avviso e ha respinto il ricorso ritenendo che “l’affermazione circa il mancato svolgimento di attività lavorativa da parte di addetti alla polizia municipale si traduce inevitabilmente in una accusa (mossa alla comandante) di incapacità organizzativa delle delicate funzioni dei singoli vigili urbani e di carenza di controllo” e che l’accusa “di mentire e violare la verità, nell’ambito di una pur accesa polemica, ugualmente costituisce un’indubitabile lesione dell’onore e del decoro sotto il profilo etico e professionale”.

 Non accolta neppure la tesi secondo cui la frase dell’agente non è offensiva perché lui è un rappresentante sindacale.

Dare del BUGIARDO, senza prove certe, è e resta comunque una OFFESA


Novità sul procedimento amministrativo

Si fornisce agli addetti ai lavori, Responsabili di procedimento (cat. D e C), alcuni recenti interessanti pronunce in materia di procedimento amministrativo.

PROCEDIMENTO TROPPO LUNGO

Consiglio di Stato , sez. VI – sentenza 2.9.2013 n. 4344

Il caso ha riguardato la figura del “danno da ritardo”, in cui c’è stato un illegittimo arresto procedimentale, poi superato (senza peraltro che la PA avesse svolto alcuna ulteriore indagine istruttoria) solo dall’adozione del provvedimento finale autorizzatorio, ma ampiamente oltre il termine di conclusione del procedimento.

A ciò si è aggiunto l’elemento della colpa, in quanto non vi erano particolari difficoltà interpretative delle norme e la PA aveva già raccolto tutti i dati.

CATTIVO ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA

Consiglio di Stato, sez. V – sentenza 9.10.2013 n. 4968

Il risarcimento del danno da “cattivo esercizio” dell’attività amministrativa deve riguardare:

  • l’aggravamento del procedimento non dovuta a straordinarie e motivate esigenze imposte dalla doverosa attività istruttoria;
  • la mancata conclusione del procedimento amministrativo con un provvedimento espresso;
  • la mancata motivazione dei provvedimenti autorizzatori che devono essere motivati;
  • l’ingiustificato arresto procedimentale, rinviando sine die il doveroso esercizio della funzione
  • amministrativa.

È necessario inoltre il requisito della colpa, intesa come negligenza.

Va infine ricordato che l’errore scusabile alleggerisce la responsabilità, se sussistono:

  • peculiari complessità dei fatti;
  • contrasti giurisprudenziali;
  • incertezza normativa;
  • determinazione presa in conformità a un precedente atto amministrativo.