Nasce INAD, l’Indice Nazionale dei Domicili Digitali

Da oggi i cittadini possono eleggere il proprio domicilio digitale, indicando un indirizzo PEC dove ricevere le comunicazioni della PA

Al via l’Indice Nazionale dei Domicili Digitali (INAD): da oggi i cittadini possono registrare su INAD il proprio domicilio digitale, come per esempio un indirizzo PEC attivato in precedenza, dove ricevere tutte le comunicazioni ufficiali da parte della Pubblica Amministrazione. Farlo è molto semplice: basta collegarsi al sito domiciliodigitale.gov.it, accedendo con SPID, CIE o CNS, e inserire il proprio recapito certificato.

Inad nasce dalla collaborazione fra Agid, il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio e Infocamere, la società delle Camere di commercio per l’innovazione digitale, che ha realizzato la piattaforma.

Si tratta di un progresso importante. Il domicilio digitale, insieme alla Piattaforma Notifiche, ci consentirà di compiere un passo avanti fondamentale per la digitalizzazione del Paese e la semplificazione dei rapporti tra cittadini, imprese e Pubblica Amministrazione. Attraverso il domicilio digitale, infatti, cittadini, professionisti e aziende potranno beneficiare di un canale semplice e immediato per ricevere le comunicazioni ufficiali da parte della PA, con un risparmio significativo di tempi e costi” dichiara il Sottosegretario di Stato con delega all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti.

Cos’è il domicilio digitale e chi può registrarlo

Il domicilio digitale è l’indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata, come definito dal Regolamento eIDAS, valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale.

Possono eleggere il proprio domicilio digitale:

  • le persone fisiche che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età;
  • professionisti che svolgono una professione non organizzata in ordini, albi o collegi ai sensi della legge n. 4/2013;
  • gli enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione nell’INI-PEC.

Dal 6 luglio 2023 le Pubbliche Amministrazioni utilizzeranno, se presente nell’elenco, il domicilio digitale per tutte le comunicazioni con valenza legale e, a partire dalla stessa data, chiunque potrà consultarlo liberamente dall’area pubblica del sito, senza necessità di autenticazione, inserendo semplicemente il codice fiscale della persona di cui si vuol conoscere il domicilio digitale.

Sempre dal 6 luglio le Pubbliche Amministrazioni, i gestori di pubblico servizio e i soggetti privati aventi diritto potranno consultare INAD in modalità applicativa, attraverso apposite interfacce dedicate, rese fruibili mediante la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), già disponibili in ambiente di test.

Inoltre, dalla stessa data potranno eleggere il proprio domicilio digitale anche professionisti non iscritti in albi ed elenchi ed enti di diritto privato non presenti in INI-PEC.

Quali sono i vantaggi di INAD

Grazie a INAD, tutte le comunicazioni della Pubblica Amministrazione con valore legale, come ad esempio rimborsi fiscali e detrazioni d’imposta, accertamenti, verbali di sanzioni amministrative, e così via, vengono inviate direttamente nella casella di posta indicata dal cittadino, che può gestire in autonomia il proprio domicilio digitale.

Dopo aver registrato il proprio domicilio digitale su INAD, le notifiche arriveranno in tempo reale, senza ritardi o problemi relativi al mancato recapito, con notevoli risparmi legati al minore utilizzo della carta e all’azzeramento dei costi di invio tramite servizi postali. Inoltre il cittadino avrà immediatamente a disposizione la documentazione, senza l’incombenza di spostarsi fisicamente per recuperarla, mentre la Pubblica Amministrazione avrà un sistema di comunicazione centralizzato più efficiente, automatizzato e sicuro.

Come registrarsi

Per eleggere il proprio domicilio digitale è necessario accedere al portale domiciliodigitale.gov.it e registrarsi al servizio utilizzando il Sistema Pubblico d’Identità Digitale (SPID), la Carta d’Identità Elettronica (CIE) o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS). Una volta effettuata la registrazione, il sistema chiederà di inserire il proprio indirizzo PEC da eleggere come domicilio digitale. A partire dal 6 luglio 2023, il domicilio digitale eletto sarà attivo e consultabile.

Cosa cambia per i professionisti iscritti a INI-PEC

Il Codice dell’Amministrazione Digitale prevede che il domicilio digitale dei professionisti iscritti in INI-PEC, l’indice nazionale degli Indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti, venga importato automaticamente su INAD in qualità di persona fisica, restando salva la possibilità di modificarlo, indicando un altro indirizzo Pec.


La banca dati ANPR apre agli uffici comunali

I servizi sono disponibili aderendo alla Piattaforma Digitale Nazionale Dati

L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) apre agli uffici comunali. Con la pubblicazione delle Linee Guida del Ministero dell’Interno (Circolare 073 del 31-05-2023), l’accesso ai dati ANPR tramite la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) sarà possibile non solo per gli uffici anagrafici, ma verrà esteso a tutti gli uffici dei Comuni.

Dallo Sportello Unico delle Attività Produttive alla Scuola, dai Servizi socio sanitari ai Tributi, fino agli uffici della Polizia locale: da oggi le strutture comunali, in relazione alle funzioni istituzionali esercitate, potranno consultare direttamente i servizi, chiamati tecnicamente e-service, messi a disposizione da ANPR e raggruppabili in quattro categorie: notifiche, comunicazioni, verifiche e accertamenti.

I Comuni potranno avere accesso ai dati ANPR aderendo alla PDND, la Piattaforma, realizzata e gestita da pagoPA per conto del Dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che abilita lo scambio dati fra le amministrazioni, con l’obiettivo di valorizzare il capitale informativo della PA. Una volta aderito alla Piattaforma Digitale Nazionale Dati, le Amministrazioni dovranno sviluppare delle interfacce applicative (le cosiddette API, application programming interface) per interrogare la banca dati ANPR, seguendo le indicazioni contenute nelle Linee Guida fornite dal Ministero dell’Interno.


2 giugno 2023: Festa della Repubblica


Sottoscrizione autografa degli atti amministrativi

Il Consiglio di Stato con sentenza emessa in data 17 aprile 2023 ha rigettato il motivo di gravame con il quale l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto infondata la doglianza afferente alla mancanza della sottoscrizione autografa del Responsabile Area Urbanistica Edilizia del Comune del provvedimento di rigetto della domanda in sanatoria evidenziando come la giustificazione addotta dal Comune, in ordine alle procedure utilizzate per la formazione degli originali e delle copie conformi all’epoca dell’adozione dell’atto, non potesse ritenersi sufficiente ai fini della totale irrilevanza della firma.

Ad avviso dell’appellante sarebbe stata necessaria, infatti, almeno un’attestazione di conformità della copia all’originale ad opera di un pubblico ufficiale autorizzato, non potendo ritenersi sufficiente l’apposizione della dicitura “firmato” sul duplicato del provvedimento.

In replica a quanto dedotto dalla parte appellante, l’Amministrazione comunale ha ribadito quanto già esposto in primo grado in ordine alle procedure informatiche in uso all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, che avrebbero consentito la stampa di un unico originale cartaceo e di una pluralità di copie, la cui conformità sarebbe stata attestata dal funzionario, in qualità di autore dell’atto.

Il Consiglio di Stato ritiene corretto il ragionamento logico-giuridico proposto dal T.A.R. a sostegno della reiezione del motivo “in quanto l’assenza di sottoscrizione non può ritenersi invalidante qualora risulti possibile e inequivocabile l’accertamento circa la concreta riconducibilità dell’atto al suo autore.

Invero, in virtù del principio di correttezza e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, l’autografia della sottoscrizione non può essere qualificata in termini di requisito di esistenza o validità giuridica degli atti amministrativi ove concorrano ulteriori elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che lo ha adottato), emergenti anche dal contesto documentativo dell’atto, che consentano di individuare la sicura provenienza e l’attribuibilità dell’atto al suo autore (Consiglio di Stato, sez. II, 24/01/2023, n. 793; Consiglio di Stato, sez. V, 28/5/2012, n. 3119; Consiglio di Stato, sez. IV, 11/5/2007, n. 2325).

Inoltre, come già affermato, anche qualora si ritenesse che l’atto fosse inesistente, ci si troverebbe comunque al cospetto di un’ipotesi di silenzio-diniego prevista ex lege, atteso che l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dispone che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncino sulla richiesta di permesso in sanatoria entro il termine di sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.(…)”.


Notifica ex art. 140 c.p.c. se la moglie convivente rifiuta di firmare l’atto

Per la Cassazione, il rifiuto della moglie convivente di firmare l’atto obbliga ad eseguire la notifica ex art. 140 c.p.c.
Scatta la notifica ex art. 140 c.p.c. se la moglie convivente si rifiuta di firmare la cartella esattoriale. Lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 10805/2023 accogliendo il ricorso di un contribuente contro l’Agenzia delle Entrate che aveva notificato intimazione di pagamento per oltre 185mila euro per l’anno di imposta 1996.
Nella vicenda, la notifica era stata effettuata presso l’abitazione del destinatario della cartella ma, in sua assenza, la moglie convivente si era rifiutata di firmare. In tal caso, ricorre l’ipotesi del rifiuto, l’agente notificatore avrebbe dovuto procedere con l’affissione dell’avviso presso l’abitazione ed il deposito presso la casa comunale come è prescritto dall’articolo 140 c.p.c., ma la procedura tuttavia non veniva tentata.
A fronte dell’art. 139, comma 2, c.p.c., secondo cui se il destinatario non viene trovato in uno dei luoghi ove deve essere ricercato, l’ufficiale giudiziario/Messo Comunale consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di 14 anni o non palesemente incapace afferma la Corte Suprema di Cassazione, nella specie, trova applicazione l’art. 140 c.p.c. secondo cui “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.
Per cui la sentenza impugnata va annullata e cancellata senza rinvio.


Solidarietà alla popolazione romagnola

L’Associazione A.N.N.A. esprime dolore e solidarietà alle popolazioni dei territori della Romagna colpite dall’evento calamitoso del 2 maggio scorso.

La nostra vicinanza è particolarmente rivolta alle persone che hanno subito gravissime perdite negli affetti e nei beni materiali.

Si esprime, altresì, la nostra vicinanza particolare ai nostri iscritti dei comuni della zona particolarmente colpiti.

Quanto accaduto nella Regione Emilia-Romagna è un fenomeno che ci porta tutti a interrogarci su come gli eventi naturali possano diventare anche catastrofici per molteplici responsabilità.


Legittima la notifica della multa presso la dimora

Per la Corte Suprema di Cassazione, la notifica della multa è legittima se eseguita presso la dimora e non presso la residenza anagrafica

È legittima la notifica della multa presso la dimora del destinatario e non presso la residenza anagrafica. Così la Corte Suprema di Cassazione nella  sentenza n. 12613/2023 .

Nella vicenda, un automobilista ricorreva alla Corte Suprema di Cassazione avverso la sentenza del tribunale di Castrovillari che, confermando la decisione di primo grado di rigetto dell’opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative per violazione del Codice della Strada, aveva dichiarato valida la notifica del verbale di contestazione eseguita presso il luogo di dimora, seppur diverso dalla sua residenza anagrafica.

In particolare, il tribunale aveva rilevato che il verbale era stato ricevuto da persona qualificatasi come convivente presso il luogo dove erano state effettuate anche le successive notifiche.

Per la Corte Suprema di Cassazione, il ricorso è inammissibile.

Il tribunale ha ritenuto che non fosse causa di nullità della notifica che la stessa non fosse stata eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario, essendo comunque stata ricevuta presso il suo luogo di dimora.

l principio di diritto applicato dalla corte distrettuale, per la S.C., “è conforme all’art. 201, comma 3, Cds che richiama, a tal fine, le modalità previste dal Codice di procedura civile, secondo cui se la notificazione non è fatta a mani proprie va fatta presso il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario” nonché al costante orientamento della corte di legittimità, secondo cui “ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario, assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi, anche mediante presunzioni (Cass. n. 9049/2020).


Fissate le spese di notifica poste a carico dei contribuenti

Fissato l’importo delle spese di notifica degli atti emanati dagli enti locali e dai concessionari affidatari del servizio di accertamento e riscossione, il cui costo è posto a carico dei contribuenti. Il compenso è stabilito in modo forfettario per ogni tipologia di notifica

Fissato l’importo delle spese di notifica degli atti impositivi, degli atti di contestazione delle sanzioni e di sollecito di pagamento, emanati dagli enti locali e dai concessionari affidatari del servizio di accertamento e riscossione, il cui costo è posto a carico dei contribuenti. Il compenso è stabilito in modo forfettario per ogni tipologia di notifica, a seconda che venga effettuata tramite ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore o a mezzo del servizio postale. Non sono ripetibili, invece, le spese per la notifica degli atti istruttori e degli atti amministrativi emanati su richiesta dell’interessato. Queste nuove disposizioni sono contenute nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 14 aprile 2023.

Il decreto ministeriale ridetermina gli importi delle spese addebitabili ai contribuenti destinatari degli avvisi di accertamento esecutivi, degli atti di contestazione delle sanzioni, delle ingiunzioni e dei solleciti di pagamento, notificati dalle amministrazioni locali o dai concessionari con le diverse modalità consentite dalle norme di legge. In particolare, è stabilito che per gli atti impositivi, di irrogazione delle sanzioni e di sollecito di pagamento, le spese sostenute sono dovute dai destinatari nella misura di euro 7,83 per le notifiche effettuate mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, di euro 6,51 per le raccomandate semplici, di euro 2 per le notifiche effettuate mediante l’invio a mezzo posta elettronica certificata, di euro 11,55 per le notifiche degli avvisi ai contribuenti, ai sensi degli articoli 60 del dpr 600/1973 e 14 della legge 890/1982, vale a dire tramite il procedimento previsto per gli atti giudiziari, con la cosiddetta busta verde. Infine, per i solleciti di pagamento inviati a mezzo posta ordinaria la misura del compenso si riduce a 1,33 euro. Un costo maggiore è addebitato per le notifiche eseguite all’estero, il cui importo è fissato nella misura unitaria di euro 12,19, “fatto salvo quanto diversamente previsto dalle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali”. L’articolo 3 del decreto esclude espressamente la ripetibilità delle spese per la notifica “di atti istruttori e di atti amministrativi alla cui emanazione l’amministrazione è tenuta su richiesta”. Per esempio, in caso di accoglimento dell’istanza di rimborso del tributo o di autotutela, per vizi o errori contenuti negli atti emanati.

In merito alla notifica degli atti impositivi degli enti locali è stato chiarito, con recenti interventi giurisprudenziali, che le amministrazioni possono fare ricorso al servizio postale ordinario. Gli atti tributari possono essere notificati tramite il servizio di posta ordinaria, con raccomandata con avviso di ricevimento.

Non è imposto di fare ricorso al procedimento di notifica degli atti giudiziari, che assicurano maggiori garanzie ai destinatari. La scelta del legislatore di prevedere una forma semplificata di notifica è finalizzata a garantire una veloce realizzazione del credito fiscale. Si è così espressa la commissione tributaria regionale di Roma, terza sezione, con la sentenza 3198/2022, richiamando la pronuncia della Corte costituzionale 175/2018.

Trovano, quindi, applicazione le norme relative al servizio postale ordinario e non solo quelle della legge 890/1982. Al riguardo, anche la Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 28872/2018, ha operato un esplicito richiamo alla sentenza della Consulta suindicata, secondo cui la forma semplificata di notificazione trova la propria giustificazione nella funzione pubblicistica esercitata con la finalità di assicurare “la pronta realizzazione del credito fiscale e quindi a garanzia del regolare espletamento della vita finanziaria dello Stato”.

Pertanto, non è obbligatorio avvalersi del procedimento di notifica degli atti giudiziari. Naturalmente, in caso di utilizzo del servizio postale ordinario non è richiesta la relata di notifica, ma è sufficiente fornire la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario. La notifica può essere eseguita dall’ente anche senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario o del messo notificatore.

Sono utilizzabili tutte le forme di notifica elencate nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze citato, ma le relative spese non possono essere addebitate in misura superiore a quelle predeterminate in modo forfettario.


Nel caso di “doppia notifica” fa fede la prima notifica

Notificazione di un atto tributario al legale rappresentante o alla società: la modalità è alternativa. In caso di doppia notifica, bisogna far riferimento alla prima per il rispetto dei termini decadenziali dell’atto impositivo.
La notifica di un atto tributario ad una società priva di personalità giuridica avviene, in via alternativa, mediante notificazione al legale rappresentante o alla società.
In caso di “doppia notifica”, quindi, è la prima notifica che va considerata ai fini del rispetto dei termini decadenziali dell’atto impositivo.
Queste la decisione dettata dalla sentenza n. 10282/2023 della Corte Suprema di Cassazione.
La vicenda riguarda il ricorso proposto da una società di persone avverso l’atto di irrogazione della sanzione accessoria, previsto dall’art. 12 co. 2 DLgs. n. 471 del 1997, della sospensione dall’esercizio dell’attività per la durata di tre giorni consecutivi in esito alla contestazione nel quinquennio di quattro violazioni dell’obbligo di emettere lo scontrino fiscale.
L’Agenzia delle entrate aveva notificato l’atto impositivo due volte, sia alla società, in data 26 aprile 2012, sia al suo legale rappresentante, in data 20 aprile 2012.
La società proponeva ricorso avanti la CTP per intervenuta decadenza dal potere di irrogare sanzioni, in quanto l’atto era stato notificato oltre il previsto termine di sei mesi dalla quarta contestazione.
Il ricorso è stato accolto in primo grado ma il giudizio è stato riformato dalla CTR che, in accoglimento dell’appello proposto dall’amministrazione finanziaria, ha chiarito che il dies a quo per far decorrere il termine di sei mesi previsto dalla legge, è quello in cui l’atto è stato notificato alla società nelle mani del legale rappresentante.
La società ha impugnato la decisione di secondo grado dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione, deducendo violazione dell’art. 12 co. 2-bis DLgs. n. 471 del 1997.
A parere della ricorrente il termine di sei mesi avrebbe dovuto, in ogni caso, computarsi dal 20 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna al legale rappresentante della società, e non dal 26 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna alla società.
Infatti, trattandosi di una società priva di personalità giuridica, la notificazione al legale rappresentante della società, con consegna dell’atto a quest’ultima attraverso di essa, già in data 20 aprile 2012 rende in sostanza irrilevante la successiva consegna direttamente alla società il 26 aprile 2012.
Ritenendo fondato il motivo di doglianza della società, la Corte Suprema di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto l’originario ricorso proposto dalla ricorrente.
Il collegio di legittimità ha contestato la tesi della CTR per cui la doppia notifica si perfeziona con l’ultima notificazione.
La Corte Suprema di Cassazione richiama, a tal riguardo, la lettera dell’art. 145 co. 2 c.p.c. (nella versione vigente dal 1° marzo 2006), che prevede la possibilità di effettuare la notificazione di un atto a un ente non personificato o mediante notificazione all’ente stesso nella sede legale o al legale rappresentante dello stesso nei luoghi di sua residenza o domicilio.
La previsione del novellato art. 145 co. 2 c.p.c. – che pone il criterio dell’alternatività tra la notificazione nella sede o al legale rappresentante – si applica, ai sensi dell’art. 2 co. 4 L. n. 263/2005, ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.
Non si tratta, pertanto, di eccesso di zelo dell’Ufficio, bensì di notifica alternativa correttamente eseguita e sottoscritta dal destinatario.
Nella fattispecie, trattandosi di notificazioni effettuate nel 2012, deve farsi applicazione della disciplina pro tempore, ritenendosi corretta la prima notificazione, con conseguente fondatezza del motivo.
Da ciò discende l’annullamento della sentenza impugnata.


Fallimento: la notifica pec al domicilio digitale fa decorrere il termine per il reclamo

La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza del 9 febbraio 2023, nel ritenere valida la notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento presso il “domicilio digitale” del procuratore della società fallita e, di conseguenza, spirato il termine per la proposizione del reclamo da parte del socio illimitatamente responsabile e legale rappresentante della medesima società, ha affermato che, alla luce della vigente normativa, deve considerarsi come validamente effettuata la notifica via pec al “domicilio digitale” anche in caso di espressa elezione di “domicilio fisico”, in quanto trattasi di due opzioni alternative che, lungi l’una dal precludere l’altra, concorrono.

Orientamenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2021, n. 39970Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 11 febbraio 2021, n. 3557

La Corte di d’appello di Catanzaro, si è pronunciata sulla validità della notificazione della sentenza di fallimento di una s.n.c., emessa dal Tribunale di Cosenza, al “domicilio digitale”, ovvero all’indirizzo pec, del procuratore della società; nonché di conseguenza sull’idoneità della stessa a far decorrere il termine perentorio per proporre reclamo, ai fini di valutare la tempestività o meno del ricorso depositato dal socio illimitatamente responsabile e legale rappresentate della s.n.c..

Infatti, nel costituirsi in giudizio, la Curatela del Fallimento aveva eccepito l’inammissibilità del reclamo per tardività, poiché il relativo ricorso era stato proposto dal fallito oltre il termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 18 comma 1 L.F., termine decorrente “dalla data della notificazione della sentenza a norma dell’art.17” (art. 18, co. 4, L.F.).

Precisamente, l’art. 17 L.F. dispone che entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, la sentenza che dichiara il fallimento vada notificata, su richiesta del cancelliere, al debitore, eventualmente presso il domicilio eletto nel corso del procedimento, e comunicata per estratto al pubblico ministero, al curatore e al richiedente il fallimento, con la specificazione che l’estratto deve contenere il nome del debitore, il nome del curatore, il dispositivo e la data del deposito della sentenza.

L’art. 18 L.F. prosegue poi prevedendo che contro la sentenza che dichiara il fallimento possa essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della Corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni, termine che come precisato al comma 4 decorre per il debitore dalla data della notificazione della sentenza.

Premettendo che l’eccezione è stata ritenuta fondata e meritevole di accoglimento, la Corte d’Appello ha rilevato come risultasse dall’attestazione telematica che in data 31.01.2022 la Cancelleria fallimentare del Tribunale di Cosenza aveva notificato a mezzo pec la sentenza dichiarativa di fallimento, oggetto del reclamo, ex art. 170 c.p.c., all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocato procuratore speciale costituito nel giudizio pre-fallimentare.

I Giudici hanno evidenziato come, ai sensi dell’art. 16, comma 4, D.L. 18.10.2012, n. 179 (convertito in L. 17.12.2012 n. 221), “Nei procedimenti civili e in quelli davanti al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Pertanto, la notificazione della sentenza dichiarativa del fallimento da parte della Cancelleria all’indirizzo pec del procuratore domiciliatario era da ritenersi idonea a far decorrere il termine per impugnare ex art. 18 .L.F.; e ciò ancorché la società fallita, nell’atto di costituzione in giudizio, avesse optato per un’elezione di “domicilio fisico” presso lo studio dell’avvocato.

Al riguardo, la Corte di Catanzaro ha richiamato la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione la quale ritiene che, alla luce della vigente normativa, il “domicilio fisico” costituisca un’alternativa al “domicilio digitale”, e che, dunque, debba considerarsi come validamente effettuata la notifica al “domicilio digitale” pure in caso di espressa elezione di “domicilio fisico”.

In particolare, si è riportato un precedente della giurisprudenza di legittimità che, seppur non riguardante l’ipotesi di reclamo ex art. 18 L.F., è stato ritenuto a questa assimilabile, e in cui la Suprema Corte di Cassazione ha considerato tardivo il ricorso per cassazione in quanto la sentenza impugnata era da ritenersi, ai fini di decorrenza del termine breve, validamente notificata via pec al domiciliatario in appello oltre che al “dominus” difensore; e ciò nonostante l’elezione di “domicilio fisico” in capo all’avvocato, destinatario della notifica telematica (Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2021, n. 39970).

La norma venuta in rilievo nel caso appena menzionato è quella, sempre introdotta con la L. di conversione n. 221/2012, dell’art. 16-sexies D.L. n. 179/2021, che sotto la rubrica “Domicilio digitale” stabilisce che “quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

La Corte Suprema di Cassazione ha così affermato, richiamando a propria volta un’altra pronuncia di legittimità (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 11 febbraio 2021, n. 3557), che il “domicilio digitale” può essere utilizzato per la notificazione in questione, anche se non elide la prerogativa processuale di eleggere “domicilio fisico”, sicché le due opzioni concorrono: in tal caso, la parte aveva solo eletto domiciliazione fisica, ma la domiciliazione digitale, pur non impedendo l’utilizzo della prima, restava, per volontà dell’ordinamento, una delle due possibilità ai fini in discussione. Ne discendeva la ritualità della notifica della sentenza impugnata, nei sensi eccepiti dalla controricorrente, con conseguente sua idoneità all’attivazione del termine breve di impugnazione e tardività del ricorso.

Dunque, la validità della notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento presso il “domicilio digitale” del procuratore della società fallita ha portato, di riflesso, a ritenere che fosse spirato il termine per la proposizione del reclamo da parte del socio illimitatamente responsabile e legale rappresentante della società fallita.

Ed invero, è stato applicato alla fattispecie il principio enunciato da Cass. civ., Sez. I, 17 novembre 2016, n. 23430, secondo cui “nel caso di dichiarazione di fallimento di una società di persone e del socio illimitatamente responsabile, anche in virtù di un ragionevole bilanciamento tra le ricordate esigenze di tutela del diritto di difesa e quelle di concentrazione e celerità dello svolgimento delle procedure concorsuali, deve ritenersi che, nel caso in cui il socio dichiarato fallito abbia anche la veste di legale rappresentante della società, la notifica della sentenza ricevuta in questa veste assicuri la piena conoscenza della decisione anche con riguardo alla dichiarazione del suo fallimento personale, con la conseguenza che da detta notifica decorre il termine breve per proporre reclamo anche nella qualità di socio illimitatamente responsabile”.

La Corte d’Appello non ha dubitato che il suddetto soggetto avesse avuto legale e completa conoscenza della sentenza che dichiarava il suo fallimento quale socio illimitatamente responsabile della snc, già al momento della notifica dell’atto presso il domicilio eletto da quest’ultima, in quanto egli aveva anche la veste di legale rappresentante della società.

Ne è derivata, pertanto, l’inammissibilità del reclamo proposto in data 2.5.2022, poiché ben oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza impugnata avvenuta in data 31.1.2022; e la Corte d’Appello di Catanzaro, ha in definitiva dichiarato inammissibile il reclamo e condannato il reclamante al pagamento delle spese di lite.


Furbetti del cartellino: licenziamento senza automatismi

La Corte Suprema di Cassazione, Sez. lav, con sentenza n. 8453 del 24 marzo 2023, ha stabilito che, secondo principi ormai acquisiti nel pubblico impiego privatizzato l’art. 55-ter del D.Lgs. n. 165/2001, inserito dal D.Lgs. n. 150/2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente. La Corte Suprema di Cassazione ha, inoltre, ribadito che, anche in presenza di uno degli illeciti tipizzati dall’art. 55-quater D.Lgs. n. 165/2001, va escluso qualsivoglia automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare, perché della norma deve essere fornita un’interpretazione orientata al rispetto dei principi costituzionali.
Il fatto
La Corte d’appello di Genova respingeva il reclamo proposto da una dipendente comunale, con funzioni di coordinatrice dei Servizi educativi di prima infanzia, avverso la sentenza del Tribunale reiettiva dell’impugnativa di licenziamento per giusta causa: il licenziamento aveva fatto seguito a una contestazione relativa a plurime irregolarità nella registrazione della presenza in servizio, e dei relativi orari di entrata e uscita, ritenuta adeguatamente comprovata alla stregua delle risultanze delle indagini della Guardia di finanza che avevano dato luogo anche a un giudizio penale chiusosi poi con l’assoluzione della dipendente comunale.
La funzionaria comunale proponeva, pertanto, ricorso per Cassazione, avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova.
Il ricorso veniva rigettato dalla Corte Suprema di Cassazione, con sentenza n. 8453 del 24 marzo 2023, con addebito alla parte soccombente delle spese processuali.
La decisione
La funzionaria comunale sosteneva che la Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che l’ingerenza indebita di militari della Guardia di finanza – e, dunque, di soggetti estranei all’UPD e non connotati da terzietà – nell’istruttoria disciplinare non costituiva violazione di legge, e aveva errato nel trascurare che il fatto costituente addebito disciplinare era stato, con sentenza penale di assoluzione (con formula “per insussistenza del fatto”), ritenuto insussistente: per la Corte Suprema di Cassazione il procedimento era stato instaurato, e concluso, dall’UPD competente e la dedotta nullità sarebbe al più seguita ove fosse stato instaurato da soggetto diverso rispetto a tale ufficio; sicché, la lamentata partecipazione o indebita ingerenza di soggetti estranei non si rifletteva, come opinava la difesa della ricorrente, in termini di nullità; per la Corte Suprema di Cassazione, non occorreva attendere l’esito del giudizio penale, poiché nel pubblico impiego privatizzato l’art. 55-ter, D.Lgs. n. 165/2001, inserito dal D.Lgs. n. 150/2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. n. 8410/2018; Cass. n. 29376/2018).
La ricorrente sosteneva, altresì, che la Corte d’Appello aveva ritenuto provato un addebito in via presuntiva, fondando l’inferenza su fatti e presunzioni non connotati da gravità, precisione e concordanza ed anzi smentiti da prove testimoniali, completamente ignorate e, pertanto, sottoponeva a un analitico riesame tutte le risultanze dell’istruttoria, assumendo che la Corte le avrebbe travisate: tale motivo è considerato dalla Cassazione, con la sentenza che qui si annota, inammissibile, poiché le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione (Cass. sez. Unite, n. 1785/2018) hanno precisato che la denuncia di violazione o falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 c.c. si può formulare quando il giudice di merito affermi che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice del merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. n. 9054/2022); per la Corte Suprema di Cassazione, non può avere ingresso in questa sede il tentativo di prospettare una diversa ricostruzione dei fatti e/o di sottoporre a revisione le risultanze istruttorie, atteso che, così facendo, le doglianze, sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge per violazioni dei principi che sovrintendono alla prova per presunzioni, si rivelano più che altro finalizzate a un riesame del merito, chiaramente precluso in questa sede (Cass. n. 6960/2020).
La ricorrente rimproverava, inoltre, alla Corte territoriale di non aver valutato la gravità della condotta, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi: la Corte Suprema di Cassazione, nel ribadire che anche in presenza di uno degli illeciti tipizzati dall’art. 55-quater D.Lgs. n. 165/2001, va escluso qualsivoglia automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare (Cass. n. 1351/2016, Cass. n. 18326/2016, Cass. n. 18858/2016, Cass. n. 24574/2016), perché della norma deve essere fornita un’interpretazione orientata al rispetto dei principi costituzionali, puntualizza che ciò non risponde al vero.
Il Giudice delle leggi, infatti, esaminando diverse disposizioni legislative che prevedevano automatismi espulsivi, ha ritenuto che la privazione di una valutazione di graduazione della sanzione in riferimento al caso concreto lede i principi della tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.), del buon andamento amministrativo (art. 97 della Costituzione) e quelli fondamentali di ragionevolezza (i.e., art.3 Cost, Corte Cost. n. 971/1988 in materia di destituzione di diritto; Corte Cost. n. 170/2015 in materia di trasferimento obbligatorio in caso di violazione di specifici doveri da parte dei magistrati).
Per la Corte Suprema di Cassazione, è stato, però, evidenziato anche, in relazione all’assenza ingiustificata, che “la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa”(Cass. n. 18326/2016): nel caso di specie, per la Corte Suprema di Cassazione, la pronuncia della Corte territoriale risulta rispettosa del principio di diritto sopra enunciato, poiché, dopo aver escluso, con accertamento di fatto non censurabile presso la Corte Suprema di Cassazione, la fondatezza delle giustificazioni fornite dalla dipendente comunale, aveva evidenziato che l’addebito contestato, per la sussistenza dell’elemento soggettivo (“quanto meno della colpa”) e per la sua gravità, era idoneo a integrare una giusta causa di licenziamento, non solo sulla base della previsione normativa, ma anche per le delicate e importanti funzioni svolte dalla lavoratrice, per il fatto che il suo servizio si svolgeva in maniera rilevante all’esterno con minor possibilità di controllo del Comune, vuoi per l’irrilevanza, in riferimento ad alcuni episodi, dell’assenza di benefici economici collegati alla falsa attestazione.
La materia del licenziamento disciplinare nel pubblico impiego è governata dal principio di proporzionalità e dunque alcun automatismo sanzionatorio può essere desunto dalla previsione di legge dell’illecito, essendo costituzionalmente garantita sia l’emersione delle difese nella sede procedurale, che la gradualità della risposta sanzionatoria, giocoforza parametrata ai profili oggettivi e soggettivi del caso concreto.
Per la Cassazione (Cass. 26/01/2016, n. 1351; Cass. 25/08/2016, n. 17335; Cass. 09/03/2017, n. 6099; Cass. 11/09/2018, n. 22075) non è ammesso alcun automatismo verso il licenziamento disciplinare nelle ipotesi di cui all’art.55-quater D.Lgs. n. 165/2001 dovendo la valutazione dell’amministrazione, nell’applicazione della massima sanzione espulsiva, muovere nell’apprezzamento del caso concreto, dell’utilità e natura del singolo rapporto, delle mansioni espletate dall’incolpato e del relativo grado di affidamento, dell’intenzionalità della condotta e della relativa intensità.
Riferimenti normativi:
Art. 55-ter, D.Lgs. n. 165/2001
Art. 55-quarter, D.Lgs. n. 165/2001


Firma digitale e notifica cartacea: l’invito all’adesione è valido

Le norme del Codice dell’amministrazione digitale non sono applicabili alle attività e funzioni “ispettive e di controllo fiscale” ma valgono invece rispetto alle funzioni istituzionali di accertamento. Di conseguenza è legittimo l’invito all’adesione di cui all’articolo 5-ter del Dlgs n. 218/1997 redatto come originale informatico sottoscritto in formato digitale e notificato in copia analogica conforme secondo le regole ordinarie della trasmissione a mezzo del servizio postale.
Così si è espressa la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana nella sentenza n. 3 dello scorso 3 gennaio che, facendo applicazione dei principi elaborati in materia dal Collegio di legittimità, ha confermato la pronuncia di primo grado favorevole all’Ufficio.
Svolgimento del processo
Una società impugnava un avviso di accertamento dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale di Prato eccependo in via preliminare l’inesistenza dell’invito all’adesione notificatole dall’Ufficio ai sensi dell’articolo 5-ter del Dlgs n. 217/1997, invito che, a detta dell’istante, non avrebbe potuto essere formato e sottoscritto digitalmente e poi notificato in esemplare cartaceo, derivandone altrimenti la nullità dell’attività istruttoria.
L’adito giudice respingeva il gravame con sentenza che l’interessata appellava al giudice regionale: per quanto d’interesse, la contribuente ribadiva la censura relativa alle modalità di formazione dell’invito a comparire per l’avvio del procedimento di definizione dell’accertamento.
La pronuncia del collegio regionale
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana ha confermato il decisum di prime cure ribadendo la non accoglibilità dell’eccezione relativa all’asserita nullità dell’invito all’accertamento con adesione redatto in originale informatico firmato digitalmente e notificato all’interessato in copia analogica dichiarata conforme.
In particolare, spiegano i giudici della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana riportandosi alla sentenza della Cassazione n. 1150/2021 richiamata dall’Ufficio nelle proprie difese, le norme del Codice dell’amministrazione digitale (Cad), “sono applicabili anche alle funzioni istituzionali di accertamento svolte dall’Agenzia delle Entrate, mentre non possono essere applicate alle attività e funzioni “ispettive e di controllo fiscale””.
La pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, si legge nell’odierno arresto, per un verso è stata motivata valutando la differenza fra l’attività accertativa e quella preliminare di verifica e controllo; per l’altro, “i Giudici di legittimità hanno confermato l’inesistenza di alcun necessario collegamento tra documento informatico e notifica a mezzo PEC”.
Di conseguenza, secondo la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, nessuna norma impedisce di procedere alla notificazione, anche secondo le regole ordinarie della trasmissione a mezzo del servizio postale, della copia analogica di un documento conforme all’originale informatico, ragion per cui l’invito all’adesione “ben poteva essere redatto e sottoscritto in formato digitale, in quanto contenente l’analitica elencazione dei rilievi fiscali e la quantificazione del debito fiscale, conformemente a quanto disposto dall’art. 2 del d.lgs. 82/2005”.
Osservazioni
La fattispecie presa in esame dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana si ricollega ad un filone di contenzioso in cui i giudici fiscali sono stati chiamati a valutare la fondatezza dell’eccezione, sollevata dalle parti private, relativa all’asserita carenza di valida sottoscrizione di atti di accertamento che, formati come documento elettronico sottoscritto digitalmente, erano stati notificati dagli Uffici trasmettendo al destinatario copia analogica dell’atto, munita di attestazione di conformità all’originale, ma priva di firma autografa, essendo quest’ultima sostituita dall’indicazione a mezzo stampa del firmatario.
Diverse pronunce di merito – facendo leva sul disposto dell’articolo 2, comma 6, del Cad, che a decorrere dal 14 settembre 2016 stabiliva l’inapplicabilità della disciplina digitale relativamente, tra l’altro, “all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale …” – avevano infatti concluso nel senso che la firma a stampa era consentita soltanto per gli accertamenti emessi a seguito di procedure automatizzate e che, invece, l’apposizione di una firma digitale all’originale informatico di un avviso di accertamento notificato non tramite Pec ma in formato analogico determinava la nullità dell’atto per difetto di sottoscrizione.
Successivamente, in conseguenza delle modifiche apportate dal Dlgs n. 217/2017, a decorrere dal 27 gennaio 2018, nell’articolo 2 del “Codice”, per un verso, è stato eliminato nel comma 6 il riferimento alle parole “ispettive e di controllo fiscale”; per l’altro, è stato introdotto il comma 6-bis, in base al quale “Ferma restando l’applicabilità delle disposizioni del presente decreto agli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.., sono stabiliti le modalità e i termini di applicazione delle disposizioni del presente Codice alle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale”.
Al riguardo, con sentenze n. 1150/2021 e 1557/2021, la Corte Suprema di Cassazione ha chiarito che, attraverso la riferita norma del Cad, il legislatore ha operato una distinzione tra gli atti “emessi ‘nell’esercizio’ delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, “a cui sono certamente riconducibili gli atti adottati in occasione di indagini e verifiche ispettive” (vale a dire gli atti propedeutici all’esercizio del potere di accertamento quali ad esempio gli accessi, ispezioni e verifiche di cui agli articoli 32 del Dpr n. 600/1973 e 52 del Dpr n. 633/1972), rispetto ai quali la disciplina digitale non è applicabile, e gli atti “impositivi” (ad esempio, gli atti di liquidazione, rettifica, accertamento e di irrogazione delle sanzioni di natura tributaria) per i quali detta regolamentazione digitale deve invece ritenersi pienamente operante.
Il Supremo collegio, sulla scorta del dato normativo, ha dunque sancito che anche in ambito tributario la regola è l’atto informatico mentre ogni limitazione all’uso dei mezzi digitali costituisce un’eccezione, e che di conseguenza nulla impedisce che una copia analogica di un documento informatico conforme all’originale venga notificata, anche secondo le regole ordinarie della notifica a mezzo posta (Cassazione n. 1555/2021; negli stessi termini, da ultimo, Cassazione n. 37493/2022); perché “l’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi” (Cassazione n. 36894/2022).
In definitiva, la pronuncia della Corte di giustizia tributaria della Toscana appare pienamente coerente con la consolidata ermeneutica di legittimità e con l’impostazione secondo cui la normativa in tema di digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche in conseguenza degli obblighi di adeguamento alla disciplina unionale, “impone ormai come regola generale l’adozione dei documenti informatici, residuando ad eccezione il mantenimento dei documenti analogici” (Cassazione n. 25910/2022).


Il Messo Comunale è tenuto a cercare il destinatario della cartella esattoriale

Il messo notificatore deve cercare il destinatario della cartella di pagamento, verificando l’eventuale cambio di indirizzo: lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza numero 7994 del 2023
La notifica degli atti impositivi va effettuata con la sola affissione presso l’albo comunale, senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, solo quando il messo notificatore non recepisca il contribuente perché trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune del domicilio fiscale.
Così ha statuito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7994 del 20 marzo 2023.
Nel caso in esame la ricorrente impugnava la cartella esattoriale dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, contestando l’inefficacia dell’atto impugnato a causa dell’insussistenza del diritto dell’ufficio a richiedere il pagamento di somme afferenti al tributo dell’IRPEF, senza aver preliminarmente provveduto a notificare correttamente i prodromici avvisi di accertamento.
La CTP dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla contribuente, ritenendo che gli atti impositivi fossero stati regolarmente notificati. Stesso esito in appello perché la CTR rigettava l’impugnativa introdotta dalla contribuente e confermava la decisione assunta dalla CTP.
Il contribuente ha proposto ricorso in cassazione, censurando la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice del gravame, per non aver correttamente applicato il combinato disposto dagli artt. 140 c.p.c., e 60 del Dpr n. 600 del 1973, in ordine agli adempimenti relativi al procedimento di notificazione dei prodromici avvisi di accertamento in esame.
In particolare, il citato art. 60, comma primo, lett. e), del Dpr n. 600 del 1973 contiene delle indicazioni specifiche sulla modalità di compimento del processo di notificazione di un atto tributario al contribuente irreperibile.
Infatti, quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 del c.p.c., in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune, senza l’invio della raccomandata informativa, e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione.
La Corte Suprema di Cassazione ha inoltre precisato che la notificazione ai sensi dell’art. 60, comma 1, lett. e) del d.P.R. n. 600 del 1973 è ritualmente eseguita solo nell’ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il messo notificatore deve svolgere nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, in esso non rinvenga l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente.
Solo in questi casi la notificazione è ritualmente effettuata mediante deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune, senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, né di ulteriori ricerche al fuori del detto Comune.
La notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi va eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. solo ove sia conosciuta la residenza o l’indirizzo del destinatario che, per temporanea irreperibilità, non sia stato rinvenuto al momento della consegna dell’atto, mentre va effettuata ex art. 60, lett. e), del d.P.R. n. 600 del 1973 quando il notificatore non recepisca il contribuente perché trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato, previe ricerche, attestate nella relata, che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune del domicilio fiscale.
Non avendo dato corretta attuazione a tali principi, la sentenza d’appello è stata cassata, con rinvio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione.


Notifica a persone irreperibili ex art. 143 c.p.c.: presupposti

Con la sentenza n. 35022, del 29 novembre 2022, la Corte Suprema di Cassazione si è nuovamente pronunciata sui presupposti affinché possa essere ritenuta valida la notifica di un atto giudiziario per irreperibilità del destinatario ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

La vicenda nasce dall’azione intrapresa da un avvocato, il quale conveniva innanzi al Tribunale il liquidatore di una società a responsabilità limitata chiedendo la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno subito in virtù di un credito vantato nei confronti della predetta società, che era stata cancellata dal registro delle imprese, senza che venisse saldato il suo credito. L’atto introduttivo del giudizio veniva notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

Nella contumacia del convenuto, il Tribunale accoglieva la domanda attorea, accertando la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2495 del Codice civile in relazione all’art. 2491 ultimo comma c.c. I giudici di primo grado ritenevano che il liquidatore, già socio e amministratore unico della società debitrice, non potesse non essere a conoscenza dell’esposizione debitoria della società verso l’attore al momento della richiesta della cancellazione dal Registro delle Imprese.

Avverso la sentenza del Tribunale interponeva appello il convenuto originario, il quale deduceva preliminarmente la nullità della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e, nel merito, l’assenza di responsabilità in capo al liquidatore medesimo con riferimento alla cancellazione della società debitrice dal registro delle imprese.

Il gravame veniva accolto dalla Corte di Appello, la quale dichiarava la nullità della notificazione della sentenza del Tribunale, munita della formula esecutiva, e del contestuale atto di precetto, nonché della notifica dell’atto di citazione di primo grado e degli atti conseguenti.

Pertanto, l’attore investiva della questione la Corte Suprema di Cassazione deducendo, con il primo motivo del ricorso, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 143 c.p.c., avendo la Corte di Appello ritenuto non rispettose dei precetti normativi tanto la notificazione ex art. 143 c.p.c. della sentenza di primo grado in forma esecutiva e dell’atto di precetto, quanto la notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado eseguita anch’essa ai sensi dell’art. 143 c.p.c.

Il motivo del ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione la quale lo ha accolto senza rinvio, ribadendo il principio di diritto secondo cui «Il ricorso alle formalità di notificazione previste dall’art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto» (Cass. n. 40467/2021).

Come affermato dalla giurisprudenza degli stessi giudici di legittimità, hanno osservato che:

  1. ai fini della notificazione ex art. 143 c.p.c., l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (Cass. n. 8638/2017 );
  2. Il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Cass. n. 24107/2016);

3. l’ufficiale giudiziario deve comunque preliminarmente e concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione.


Atto notificato ad un indirizzo diverso dalla residenza del destinatario: conseguenze

Con la sentenza n. 8463, pubblicata il 24 marzo 2023, la Corte Suprema di Cassazione si è pronunciata su quando può essere ritenuta nulla la notifica di un atto di citazione eseguita ad un indirizzo diverso da quello della residenza anagrafica del destinatario.

La vertenza approdata all’esame dei giudici della Suprema Corte nasce da un giudizio ex art. 702 bis c.p.c. promosso da un istituto bancario, creditore procedente in un pignoramento immobiliare, avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuta accettazione tacita da parte del debitore esecutato dell’eredità della madre defunta, tra i cui beni era ricompreso anche quello oggetto del pignoramento.

Il Tribunale dava torto alla banca rigettando il ricorso da quest’ultima proposto.

Di diverso avviso la Corte di Appello la quale, decidendo il gravame interposto dell’istituto bancario accertava che il convenuto originario era divenuto proprietario del bene pignorato, avendo tacitamente accettato l’eredità della madre.

Il giudizio innanzi alla Corte di Appello si svolgeva nella contumacia del convenuto. Il plico raccomandato contenente la citazione non era stato recapitato a quest’ultimo ed era stato restituito al mittente per compiuta giacenza.

L’originario convenuto proponeva, quindi, ricorso per cassazione deducendo:

  1. la nullità della sentenza e del procedimento di appello, stante la nullità e/o inesistenza della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di appello in quanto eseguita ad un indirizzo diverso dal proprio luogo di residenza e con il quale quest’ultimo non aveva, al tempo della notifica, nessun collegamento;
  2. che il ricorso era stato proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c. decorrente dalla pubblicazione della sentenza di appello, stante la sua qualità di contumace involontario, avendo avuto conoscenza della sentenza della Corte d’Appello quando il proprio difensore nel giudizio di esecuzione immobiliare aveva ricevuto la comunicazione dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione nella quale si faceva menzione della sentenza.

LA DECISIONE: Il motivo del ricorso è stato ritenuto infondato dai giudici della Corte di Cassazione i quali lo hanno rigettato osservando che:

  1. come affermato più volte dagli stessi giudici di legittimità le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora del destinatario di un atto, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (Cass. civ. n. 19387/2015; Cass. civ. n. 11550/2013);
  2. al fine di fornire la prova della nullità della notifica della citazione per essere stata eseguita in luogo diverso dalla residenza effettiva del destinatario, non è sufficiente la sola produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notifica;
  3. nell’ipotesi in cui la notifica viene eseguita nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., si presume che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario, il quale se intende contestarle in giudizio per fare dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova;
  4. la prova contraria, idonea a vincere la presunzione scaturente dalle risultanze anagrafiche, può essere desunta da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni, come quelle desunte dall’indicazione di dimora abituale quale emerge dall’esecuzione del contratto intercorso tra le parti.

Nel caso esaminato, hanno concluso gli Ermellini, è emerso che:

  1. in data anteriore al cambiamento di residenza, come risulta dalla certificazione anagrafica prodotta dal ricorrente, questi risiedeva proprio all’indirizzo ove è stata effettuata la notifica dell’atto di appello;
  2. in occasione delle sottoscrizioni delle fideiussioni rilasciate a garanzia del credito per il quale successivamente la banca ha agito esecutivamente, il ricorrente aveva indicato come proprio indirizzo quello dove è stato notificato l’appello anche se dalla certificazione anagrafica prodotta risultava che il trasferimento presso il nuovo indirizzo era avvenuto due anni prima;
  3. le varie missive relative al credito azionato dalla banca, la notifica dell’atto di precetto a seguito del quale è stata introdotta la procedura esecutiva immobiliare, erano state inviate, sempre dopo il cambio della residenza anagrafica, all’indirizzo dove era stato notificato anche l’atto di appello, e il ricorrente aveva sottoscritto i relativi avvisi di ricevimento.