Corte Costituzionale: La lavoratrice che lavora oltre i 60 anni non deve comunicarlo

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), nella parte in cui prevede, a carico della lavoratrice che intenda proseguire nel rapporto di lavoro oltre il sessantesimo anno di età, l’onere di dare tempestiva comunicazione della propria intenzione al datore di lavoro, da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto dalla pensione di vecchiaia, e nella parte in cui fa dipendere da tale adempimento l’applicazione al rapporto di lavoro della tutela accordata dalla legge sui licenziamenti individuali.

Secondo la Consulta “La disposizione censurata con l’odierno incidente di costituzionalità, ha dunque introdotto, in un contesto normativo non alterato, per quanto rileva in questa sede, dalle pur numerose novità legislative apportate, una norma dal medesimo contenuto precettivo dell’art. 4 della legge n. 903 del 1977, la cui illegittimità costituzionale è stata dichiarata da questa Corte con la citata sentenza n. 498 del 1998. Tale disposizione, nel subordinare il riconoscimento della tutela contro il licenziamento ingiustificato al rispetto di un onere di comunicazione perfettamente coincidente con quello già dichiarato illegittimo da questa Corte, realizza la medesima discriminazione tra lavoro maschile e lavoro femminile già stigmatizzata in tale occasione.

Anche nella disposizione oggi censurata, l’onere di comunicazione posto a carico della lavoratrice, infatti, condizionando il diritto di quest’ultima di lavorare fino al compimento della stessa età prevista per il lavoratore ad un adempimento – e, dunque, a un possibile rischio – che, nei fatti, non è previsto per l’uomo, compromette ed indebolisce la piena ed effettiva realizzazione del principio di parità tra l’uomo e la donna, in violazione dell’art. 3 Cost., non avendo la detta opzione alcuna ragionevole giustificazione, e dell’art. 37 Cost., risultando nuovamente leso il principio della parità uomo-donna in materia di lavoro.

Né la reintroduzione di un istituto, quale l’onere di comunicazione, già dichiarato illegittimo da questa Corte può essere ritenuta giustificata in ragione di una maggiore considerazione delle esigenze organizzative del datore di lavoro, dato che, proprio per effetto dell’invocata declaratoria di illegittimità costituzionale, quest’ultimo, nell’organizzare il proprio personale dovrà considerare come normale la permanenza in servizio della donna oltre l’età pensionabile e come meramente eventuale la scelta del pensionamento anticipato, nella prospettiva, già indicata da questa Corte, della tendenziale uniformazione del lavoro femminile a quello maschile”.

Leggi: Corte Costituzionale, Sentenza 29 ottobre 2009, n. 275


E’ famiglia di fatto ogni coppia in cui c’è reciproca assistenza. Senza distinzione di sesso

La Corte di Cassazione ha scritto, nero su bianco, che una coppia va considerata come una famiglia se vi è una certa “stabilità del rapporto”. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, nel concetto di famiglia si devono includere tutte le coppie tra le quali “siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo”. Il principio è stato enunciato della seconda sezione penale facendo riferimento all’art. 572 c.p. che punisce i maltrattamenti in famiglia. Secondo i Supremi Giudici il richiamo alla famiglia contenuto in tale norma “deve intendersi riferito ogni consorzio di persone fra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti”, appunto, stabili rapporti di assistenza e solidarietà. Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione riguarda un uomo che i giudici di merito avevano già condannato ad un anno e otto mesi di reclusione per vari reati tra cui quello di maltrattamenti in famiglia. Ricorrendo in Cassazione la sua difesa aveva sostenuto che l’art.572 c.p. si potesse applicare soltanto alle famiglie conviventi “more uxorio”. Di diverso avviso la Cassazione che ha sottolineato come la norma riguarda invece anche le famiglie di fatto. Su questo sito il testo della Sentenza.


P.A. e affidamento diretto a società miste: non serve la Doppia procedura, purché si rispettino le regole di evidenza pubblica

Il ricorso a una duplice procedura sia per la selezione del socio privato della società a capitale misto sia per l’aggiudicazione della concessione a detta società sarebbe tale da disincentivare gli enti privati e le autorità pubbliche dalla costituzione di partenariati pubblico-privati istituzionalizzati.

Corte Giust. CE Sentenza 15/10/2009, n. Causa C-196/2009

Gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE non ostano all’affidamento diretto di un servizio pubblico che preveda l’esecuzione preventiva di determinati lavori, come quello di cui trattasi nella causa principale, a una società a capitale misto, pubblico e privato, costituita specificamente al fine della fornitura di detto servizio e con oggetto sociale esclusivo, nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere e delle caratteristiche dell’offerta in considerazione delle prestazioni da fornire, a condizione che detta procedura di gara rispetti i principi di libera concorrenza, di trasparenza e di parità di trattamento imposti dal Trattato CE per le concessioni.

Sebbene la mancanza di gara nel contesto dell’aggiudicazione di servizi risulti inconciliabile con gli artt. 43 CE e 49 CE e con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione, l’individuazione dei criteri di scelta del socio privato consentono di ovviare a detta situazione, dal momento che i candidati devono provare, oltre alla capacità di diventare azionisti, anzitutto la loro perizia tecnica nel fornire il servizio nonché  i vantaggi economici e di altro tipo derivanti dalla propria offerta.

In considerazione che i criteri di scelta del socio privato si riferiscono non solo al capitale da quest’ultimo conferito, ma altresì alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, e dal momento che al socio in questione viene affidata, come nella fattispecie di cui alla causa principale, l’attività operativa del servizio di cui trattasi e, pertanto, la gestione di quest’ultimo, si può ritenere che la scelta del concessionario risulti indirettamente da quella del socio medesimo effettuata al termine di una procedura che rispetta i principi del diritto comunitario, cosicché non si giustificherebbe una seconda procedura di gara ai fini della scelta del concessionario.

Il ricorso, in tale situazione, a una duplice procedura, in primo luogo, per la selezione del socio privato della società a capitale misto e, in secondo luogo, per l’aggiudicazione della concessione a detta società sarebbe tale da disincentivare gli enti privati e le autorità pubbliche dalla costituzione di partenariati pubblico-privati istituzionalizzati, come quelli di cui trattasi nella causa principale, a motivo della durata inerente alla realizzazione di siffatte gare e dell’incertezza giuridica per quanto attiene all’aggiudicazione della concessione al socio privato previamente selezionato.

Occorre precisare che una società a capitale misto, pubblico e privato, come quella di cui trattasi nella causa principale deve mantenere lo stesso oggetto sociale durante l’intera durata della concessione e che qualsiasi modifica sostanziale del contratto comporterebbe un obbligo di indire una gara (v., in tal senso, sentenza 19 giugno 2008, causa C 454/2006, pressetext Nachrichtenagentur, Racc. pag. I 4401, punto 34).


La colpa del lavoratore ed il rischio elettivo nella dinamica infortunistica

In linea generale, ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 è necessaria la sussistenza di un nesso eziologico fra attività lavorativa e rischio; in tale ambito, è ormai consolidato che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento.

Dunque, la colpa – neppure quando esclusiva – del lavoratore non osta all’operatività dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, salvo il limite del “rischio elettivo”, inteso quale scelta di un comportamento abnorme, volontario e arbitrario da parte lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività, secondo l’apprezzamento del fatto al riguardo compiuto dal giudice di merito.

Il rischio, se può non essere quello proprio, normalmente e tipicamente insito nelle mansioni svolte dall’assicurato, non può essere totalmente estraneo all’attività lavorativa, privo cioè di qualsiasi rapporto o attinenza con essa, come nel caso di rischio elettivo, scaturito cioè da una scelta arbitraria del lavoratore il quale, mosso da impulsi personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa, pur latamente intesa, ponendo cosi in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento.

Secondo il giudice di legittimità, costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione. Tale genere di rischio – che è in grado di incidere, escludendola, sull’occasione di lavoro – si connota, precisa la Corte, per il simultaneo concorso dei seguenti elementi:
a) presenza di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive;
b) direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali;
c) mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa


Adeguamento dell’indennità di trasferta spettante agli ufficiali giudiziari

Adeguate a partire dal 2 novembre prossimo le indennità di trasferta degli ufficiali giudiziari. Sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto 1 ottobre 2009 del ministro della giustizia Angelino Alfano recante appunto “Adeguamento dell’indennità di trasferta spettante agli ufficiali giudiziari”. L’adeguamento, come previsto dal dpr 30 maggio 2002, n. 115, calcolato in relazione alla variazione percentuale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nel triennio 1° luglio 2006-30 giugno 2009, è pari a +5,5.

DECRETO 1 ottobre 2009
Adeguamento dell’indennità di trasferta spettante agli ufficiali giudiziari.
(GU n. 231 del 5-10-2009) 

IL CAPO DEL DIPARTIMENTO
dell’organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi del Ministero della giustizia di concerto con
IL RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO

      Visto   l’art.  20,  punto  3  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,  relativo al Testo unico delle discipline  legislative  e  regolamentari  in  materia  di  spese  di giustizia,   il  quale  prevede  che  con  decreto  dirigenziale  del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia  e  delle Finanze,  si  provveda  all’adeguamento  dell’indennità di trasferta   degli  ufficiali  giudiziari,  in  base  alla  variazione dell’indice  dei  prezzi  al  consumo  per le famiglie di operai e di impiegati,   accertata   dall’Istituto   nazionale  di  statistica  e verificatasi nell’ultimo triennio;
Visti  gli  articoli  133  e  142  del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, e successive modificazioni;
Visti  gli  articoli  26  e  35  del  decreto  del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115;
Considerato che l’adeguamento previsto dal succitato art. 20, punto 3 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, calcolato  in  relazione  alla  variazione  percentuale dei prezzi al consumo  per  le  famiglie  di  operai  e  impiegati verificatasi nel triennio 1° luglio 2006-30 giugno 2009, e’ pari a +5,5;
Visto  il  decreto  interdirigenziale  del  5 agosto 2008, relativo all’ultima  variazione dell’indennità di trasferta per gli ufficiali giudiziari;
Decreta:
Art. 1.

1.  L’indennità  di trasferta dovuta all’ufficiale giudiziario per il viaggio di andata e ritorno è stabilita nella seguente misura:
a) fino a 6 chilometri € 1,65;
b) fino a 12 chilometri € 3,00;
c) fino a 18 chilometri € 4,14;
d) oltre  i  18  chilometri,  per ogni percorso di 6 chilometri o frazione  superiore  a  3  chilometri  di  percorso successivo, nella misura di cui alla lettera c), aumentata di € 0,88.
2.  L’indennità di trasferta dovuta all’ufficiale giudiziario, per  il  viaggio  di  andata  e  ritorno  per ogni atto in materia penale, compresa la maggiorazione per l’urgenza è cosi’ corrisposta:
a) fino a 10 chilometri € 0,45;
b) oltre i 10 chilometri fino a 20 chilometri € 1,11;
c) oltre i 20 chilometri € 1,65.


TESSERAMENTO 2010

TESSERAMENTO 2010
La Giunta Esecutiva, nella seduta del 16.05.2009, ha deliberato le quote per il tesseramento 2010 che rimangono pressoché invariate:
Le tipologie delle quote di adesione all’Associazione A.N.N.A. per l’anno 2010 sono:
Tipo A – Messi Comunali: € 60,00
Tipo B – Messi del Giudice di Pace e di Conciliazione: € 60,00;
Tipo C – Ufficiali Giudiziari: € 60,00;
Tipo D – Messi Provinciali: € 60,00;
Tipo E – Messi Notificatori di cui alla legge Finanziaria del 2007 € 60,00
Tipo F – Addetti di Polizia Municipale € 60,00
Tipo G – Avvocati e 100,00
Tipo H – Ex Messi Comunali non più in attività e 30,00 con esclusione della copertura assicurativa;
Tipo I – Comuni fino a 10.000 abitanti: e 100,00;
Tipo L – Comuni con popolazione da 10.001 a 100.000 abitanti: e 150,00;
Tipo M – Comuni con popolazione oltre i 100.001 abitanti: € 200,00;
Tipo N – Altri Enti (Consorzi di servizi, Unioni, ecc.): € 250,00;
Tipo O – Soggetti privati ai sensi dell’art. 8 dello Statuto dell’Associazione: € 250,00
L’iscrizione delle tipologie A, B, C, D, E, F, G comprendono la copertura assicurativa oltre alle agevolazioni previste dalle convenzioni che l’Associazione ha già stipulato e che effettuerà;
L’iscrizione dell’Ente oltre ad avere, su richiesta, la fornitura gratuita del software di gestione delle notifiche MC3 LIGHT e le agevolazioni previste dalle convenzioni che l’Associazione ha già stipulato e che effettuerà, avrà l’iscrizione gratuita all’Associazione se sottoscriverà la convenzione sulla formazione. Tale schema di convenzione potrà essere adattata alle singole situazioni.


Pubblico impiego: in pensione con 40 anni di contributi

Si estende la possibilità delle pubbliche amministrazioni di mandare in pensione i propri dipendenti: i 40 anni di anzianità per far scattare il recesso unilaterale sono conteggiati sui contributi e non più sul servizio effettivo come era previsto all’art. 6 comma 3 della legge delega n.15/2009 che aveva modificato, restringendolo, l’ambito di applicazione della norma introdotta dalla manovra finanziaria nell’estate del 2008. Di conseguenza, dal 5 agosto scorso è possibile mandare in pensione – con atto unilaterale – i dipendenti pubblici con 40 anni di contributi. Lo stabilisce la legge 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del decreto anticrisi (78/2009). Al fine di chiarire le ricadute sui destinatari della legge n. 15/2009, in vigore da marzo ad agosto di quest’anno, e per meglio illustrare l’ambito di applicazione della norma, il ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta, ha emanato il 16 settembre scorso una apposita circolare che conferma in generale quanto già illustrato con la circolare n. 10 del 2008. La nuova circolare chiarisce che la norma si applica anche ai dirigenti, con la sola esclusione dei magistrati, dei professori universitari e dei dirigenti medici responsabili di struttura complessa. Per i comparti difesa, sicurezza ed esteri, la determinazione dei criteri e delle modalità di applicazione è demandata ad appositi decreti del Presidente del Consiglio. La circolare n. 4/2009 chiarisce inoltre il carattere eccezionale dell’intervento limitato al triennio 2009-2011. La norma è immediatamente applicabile ed è valida fino al 31 dicembre 2011. L’amministrazione, si legge nella circolare, esercita la facoltà di risoluzione unilaterale nell’ambito del potere datoriale con l’unica condizione del preavviso di 6 mesi.


Concessionario per la riscossione: nulla la notifica della cartella a chi dice di conoscere il destinatario

La Corte di Cassazione, sez. trib., è intervenuta in materia di notificazioni eseguite dal Fisco, statuendo un principio piuttosto rigoroso con la sentenza n. 15525 del 2 luglio 2009,.

La vicenda trae origine dal ricorso del concessionario per la riscossione avverso la sentenza di secondo grado, che accoglieva l’eccezione di nullità della cartella di pagamento per invalidità della notifica, in quanto seppur notificata presso la sede legale della società, tale notifica avveniva nelle mani di una persona qualificatasi conoscente dell?imprenditore, pregiudicando così l’effettiva conoscibilità dell’atto da parte dello stesso.

Infatti, secondo i Giudici, l’aver notificato l’atto presso la sede legale della società nelle mani di una persona che dice di conoscere i vertici aziendali non è sufficiente a far sì che la notifica sia ritenuta valida, in quanto il rispetto delle regole dettate dal codice di procedura civile, ed in questo caso dell’art. 145 c.p.c., deve essere rigoroso.

L?art. 145 del c.p.c., infatti, dispone che “la notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”.

La Suprema Corte, infatti, ha precisato che “se la notifica era stata effettuata ai sensi di questa norma presso la sede della società, la notifica andava eseguita ai soggetti ivi indicati e non certamente, come nel caso di specie, a persona qualificatasi quale conoscente del rappresentante legale”.

I Giudici di legittimità hanno, poi, colto l?occasione per ribadire un altro importante principio di diritto, statuito per la prima volta dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 16412 del 25 luglio 2007, secondo il quale “in materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità della notifica dell’atto consequenziale notificato”.

Con tale sentenza, la Suprema Corte ha senza dubbio dato un segnale forte, posto che sulla base di tale vizio di invalidità della notificazione la società contribuente non dovrà versare le maggiori imposte dovute non essendole state, peraltro, neanche attribuite le spese di giudizio.

Peraltro, si ritiene che il principio di diritto espresso nella suddetta sentenza sia suscettibile di applicazione generale in materia di notifica di atti impositivi, cosicché il contribuente, sulla scorta di tale giurisprudenza, ogni qualvolta riscontri che la norma di riferimento non sia stata rispettata rigorosamente, potrà eccepire con successo l’invalidità della notifica, travolgendo così l’intera pretesa tributaria vantata dalla controparte.

La Cassazione ha sottolineato, così, come il pieno rispetto delle regole processuali debba essere imposto anche al concessionario, pena l’invalidità dell’atto esattivo da questa emesso, in guisa ad una tanto sospirata parità di trattamento delle parti, soprattutto in relazione alla valutazione delle conseguenze giuridiche sottese ai comportamenti da questi posti in essere, non sempre pienamente conformi alle norme di legge e non sempre giudicate con la medesima severità.


Corte Suprema di Cassazione: multe nulle se il numero civico è sbagliato

Sono nulle le multe se vengono notificate indicando un numero civico sbagliato. Lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione, II° sez. Civ. con la sentenza n. 19323/2009 che ha accolto le richieste di un automobilista a cui era stata recapitata una cartella esattoriale che gli intimava di pagare tre sanzioni amministrative di cui non era mai stato portato a conoscenza. La Corte Suprema di Cassazione, nelle motivazioni della sentenza,spiega che le raccomandate “non erano state recapitate ma erano state restituite per compiuta giacenza”. In una delle notifiche però “risultava errato il civico presso il quale risultava essere stata fatta la ricerca da parte dell’ufficiale notificante”. In primo grado il Giudice di Pace non aveva voluto sentire ragioni ed aveva ritenuto che l’automobilista dovesse comunque pagare quelle multe. Il caso è così finito in Cassazione dove l’automobilista ha fatto notare la presenza di diversi errori di notifica e tra questi l’errata indicazione del numero civico. Accogliendo il ricorso la Corte ha annullando la cartella esattoriale mettendo in chiaro che “non si può prescindere dalla verifica dell’esito del procedimento notificatorio (rilevabile solo dall’avviso di ricevimento) ai fini di considerare regolare o meno la notifica del verbale, non potendosi escludere in linea generale che l’avviso di deposito-giacenza dell’atto non sia in effetti pervenuto alla conoscenza dell’interessato, privandolo così della possibilità di tutelare i propri diritti”.


Firmato definitivamente il CCNL

Stipulati definitivamente all’Aran i contratti nazionali dei comparti Sanità, Autonomie locali e Presidenza del Consiglio dei ministri. Dopo il vaglio del Consiglio dei ministri e della Corte dei conti, con la firma dei contratti si rende possibile l’applicazione del nuovo salario tabellare e degli arretrati fin dalle prossime buste paga.
I lavoratori avranno un aumento del 3,2% sullo stipendio tabellare ed è prevista una quota di risorse aggiuntive, a decorrere dal 2009, per la contrattazione integrativa. Ciò vuol dire che sarà possibile finalizzare ulteriori risorse ai salari di produttività.
Altre novità riguarderanno la parte normativa: il recupero delle riduzioni di salario per le assenze, l’impegno ad avviare il confronto a livello decentrato sulla situazione dei lavoratori atipici, la valorizzazione del sistema delle relazioni industriali per quanto riguarda la contrattazione regionale e aziendale. E inoltre la conferma di una norma transitoria per il rinvio alla contrattazione di materie collegate alla professionalità e alle condizioni di lavoro.
Tale risultato sul livello nazionale permette di aprire, immediatamente dopo la pausa estiva, una nuova stagione di contrattazione integrativa in tutti gli enti, le agenzie e le aziende.


CCNL la Corte dei Conti approva il contratto

La Nella seduta a sezioni riunite di oggi, 30 luglio 2009, la Corte dei Conti ha approvato i CCNL 2008-2009 dei Comparti Sanità e Autonomie Locali e Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’ARAN ha convocato per domani mattina le riunioni per la stipula definitiva dei contratti.
Ricordiamo che è stata modificata la dichiarazione congiunta sulle riduzioni del salario accessorio a fronte della Legge 133 del 2008 sia per il CCNL della sanità che per quello delle autonomie locali, al fine di armonizzarla con le previsioni positive intervenute con il decreto anticrisi.


Nulla la notifica alla vicina di casa del contribuente

Non è valida la notifica degli atti fiscali fatta alla vicina di casa del contribuente.
Nel giro di pochissimi giorni la Cassazione con due sentenze (n. 16444 del 15 luglio 2009 e la n. 15525) ha richiamato l’attenzione sulle notificazioni nel processo tributario che, sia se hanno come destinatario un privato cittadino sia una società, devono rispettare le norme del codice di procedura civile.
In particolare, nel caso sottoposto all’esame della Corte, la notifica era stata fatta a casa del contribuente ma il plico era stato consegnato a una vicina di casa, presente in quel momento nell’abitazione.


Non è sempre valida la notifica effettuata dal Fisco alla sede della Società

La correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15525 del 02/07/2009, si è pronunciata sul ricorso di un concessionario della riscossione, il quale aveva notificato una cartella esattoriale presso la sede di una società ad un “conoscente” del legale rappresentante.

La Corte, premettendo che in materia di riscossione delle imposte la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza di determinati atti, con le relative notificazioni, ha affermato che l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato.

Nel caso di specie, la notificazione doveva avvenire ai sensi dell’art. 145 c.p.c., il quale prevede che si debba eseguire mediante consegna della copia dell’atto al “rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”.

La notifica effettuata presso la sede della società per essere valida, dunque, doveva avvenire tramite consegna della copia dell’atto ai soggetti indicati all’art. 145 c.p.c. e non a persona qualificatasi come “conoscente del legale rappresentante”; tale irregolarità  ha comportato, quindi, l’invalidità della notifica e la nullità dell’atto notificato.


Pensioni statali: torna il limite dei 40 anni contributivi

Per andare in pensione nella pubblica amministrazione occorreranno 40 anni di contributi, contando anche l’eventuale contribuzione figurativa come i riscatti della laurea o del periodo di leva. Almeno dal 2009 al 2011. “Salvati” solo magistrati, professori universitari e dirigenti medici responsabili di struttura complessa. Nel 2009, 2010 e 2011 i dipendenti pubblici, saranno, dunque, obbligati ad andare in pensione con 40 anni di contributi sia figurativi sia da riscatto: attualmente la misura nella riforma Brunetta era prevista per la sola contribuzione effettiva. Lo prevede un emendamento alla manovra estiva di Remigio Ceroni (Pdl), approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze della Camera.
Le amministrazioni pubbliche, si legge, possono “a decorrere dal compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente” risolvere “unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici”. Criteri e modalità applicative per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri saranno poi definite da decreti del presidente del Consiglio da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, previo via libera del Cdm su proposta del ministro per la Pubblica amministrazione di concerto con il Tesoro e altri ministeri competenti. La norma chiarisce che restano ferme tutte le cessazioni per effetto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a causa del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni decise dalle pubbliche amministrazioni e i preavvisi disposti dalle amministrazioni per il compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni e le conseguenti cessazioni che ne derivano.

Banche, tetto al 5% per la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali non può avere per effetto l’innalzamento del tasso di interesse in misura superiore al 5% di quello originariamente convenuto. Lo prevede un emendamento alla manovra estiva dei relatori Chiara Moroni e Maurizio Fugatti (Pdl). La modifica ha avuto ieri sera il via libera nel corso dell’esame del provvedimento in commissioni Bilancio e Finanze a Montecitorio. La norma modifica l’articolo 118 del Testo unico delle leggi in materia creditizia e bancaria (Dlgs 385/1993). La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali si intende approvata, poi, qualora il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro 120 giorni.

Le novità su assegni e bonifici. Fra gli emendamenti approvati, poi, a decorrere dal 1° gennaio 2010 la data e la valuta di disponibilità sarà di un giorno successivo alla data di versamento su bonifici e assegni circolari e di 3 giorni successivi sugli assegni bancari. Nulla ogni pattuizione contraria. Entro la fine della giornata successiva al bonifico, poi, l’importo deve essere accreditato sul conto del prestatore di servizi di pagamento del beneficiario. Fino al 1? gennaio 2012, però, l’ordinante e il suo prestatore di servizi possono concordare un termine di esecuzione diverso, che non può, però, essere superiore a 3 giornate operative. I termini possono essere prorogati, ma solo d’intesa, di una giornata per operazioni di pagamento disposte su carta. La data di valuta è quella in cui la somma è accreditata e l’importo è immediatamente disponibile per il beneficiario. Così ha stabilito l’emendamento dei relatori approvato, che accoglie la modifica chiesta da un sub emendamento firmato da molti deputati (primo firmatario Ceccuzzi).

Nel tetto al massimo scoperto anche lo sconfinamento. Sul massimo scoperto, invece, un emendamento dei relatori approvato in commissione prevede che per il massimo scoperto il limite dello 0,5% comprenda anche l’eventuale sconfinamento oltre l’affidamento richiesto.

Sanatoria per le slot machine. Arriva una sanatoria per le violazioni sui versamenti delle imposte sulle slot machine. Novità anche per il bingo, con la possibilità di istituire una nuova forma di giocata con l’estrazione dal numero 1 al 100. Nuove scadenze, poi, per il pagamento dell’imposta unica sulle scommesse. Le novità contenute nell’emendamento al decreto anticrisi dei relatori, arricchito da proposte di altri parlamentari, che è stato approvato nelle Commissioni bilancio e finanze della Camera.

Si lavora per trovare risorse per le cure palliative. Maggioranza e opposizione stanno lavorando per introdurre nel decreto una norma sull’aumento delle risorse per le cure palliative.

Rimandati a lunedì i nodi: scudo fiscale, pensioni e colf. I lavori alle commissioni Bilancio e Finanze sono rallentati anche a causa delle proteste dell’opposizione che criticano in particolare due emendamenti, lo scudo fiscale e le pensioni rosa. E’ rimandato a lunedì, infatti, l’esame degli emendamenti “pesanti”, come scudo fiscale, pensioni, regolarizzazione di colf e badanti. Resta aperta anche la questione della tassazione delle plusvalenze sull’oro, dopo i rilievi mossi dalla Bce. L’emendamento in questione verrà formalizzato lunedì, quando le commissioni Bilancio e Finanze della Camera riprenderanno la discussione sul provvedimento. In via di formalizzazione gli sgravi del 3% a favore degli aumenti di capitale fino a 500.000 euro. La norma sarà inserita tramite la riformulazione dell’emendamento sullo scudo fiscale o di qualche altro emendamento sulla Tremonti-ter.


Assenze nel pubblico impiego, la Regione Toscana cancella le norme più discriminatorie

Lotta all’assenteismo, efficienza e rispetto dei diritti
«Rigore con i furbi. Ma un’amministrazione efficiente si costruisce investendo sul personale»

L’influenza è costata cara nell’ultimo anno ai dipendenti della Regione. Per una settimana  a casa c’è chi ha perso trenta euro e chi, tra i dirigenti, anche ottocento: molti ci hanno rimesso venti o trenta euro al giorno. Colpa del decreto Brunetta, che nei giorni di assenza ha tagliato gli stipendi. «Non solo ai furbi – mette subito in chiaro il vice presidente della Toscana Federico Gelli – E non solo a chi era malato: anche a chi dona il sangue, a chi magari è malato cronico e si deve assentare periodicamente per cure e controlli, a chi è stato eletto. Ledendo diritti fondamentali»

Così, a distanza di un anno, la Regione prova a ‘riscrivere’ il decreto Brunetta sulle assenze nel pubblico impiego, cancellando le norme più inique e discriminatorie. Una proposta di legge che la giunta ha già inviato al Consiglio e che varrà naturalmente solo per i dipendenti della Regione ma anche dei suoi enti dipendenti: ovvero Arsia, Arpat, Artea, Ars, Irpet, Toscana Promozione, i tre Enti parco regionali e le Aziende per il diritto allo studio universitario.

L’efficienza non si costruisce con la demagogia
La pubblica amministrazione deve essere efficiente e poter fornire risposte efficaci ai cittadini. Ma la strada, per la Regione, non può essere quella imboccata dal governo. «Nessuno in Regione vuol difendere furbi e fannulloni – chiarisce Gelli – Da tempo ci siamo mossi per combattere sprechi inutili, per contenere i costi e per rendere la macchina più snella ed efficiente. Ma abbiamo anche investito sul personale. Da tempo abbiamo avviato anche con trolli incrociati sulle timbrature, perché occorre essere severi quando serve. Quello di cui abbiamo bisogno sono strumenti chirurgici che ci consentano di asportare la parte malata senza danneggiare la parte sana. E così non è stato con la legge 133 di quest’anno (il famoso Decreto Brunetta ndr) sulle assenze da lavoro, tant’è che poi il governo, resosi conto dell’errore, l’ha in parte modificata: cancellando ad esempio le decurtazioni che erano previste nel caso di assenze diverse dalla malattia, come per le donazioni del sangue, i congedi matrimoniali o i congedi parentali».

Identico trattamento con il settore privato
Il primo obiettivo della legge è indicato all’inizio del preambolo: evitare discriminazioni e non imporre ai dipendenti pubblici regole (e decurtazioni) più penalizzanti di quelle che valgono per il settore privato.

Fino ad 8 giorni l’anno nessun taglio
La prima declinazione concreta del principio riguardo i giorni che saranno pagati a stipendio pieno. Dall’anno scorso, quando il decreto Brunetta è entrato in vigore, il dipendente pubblico che si ammala o si assenta dal lavoro si vede ridotto lo stipendio nei primi dieci giorni di ogni malattia. La giunta regionale propone adesso un bonus di otto giorni nell’anno, o comunque pari alla media delle assenze per malattia dell’anno precedente rilevata nel settore privato. In soldoni vuol dire che per i primi otto giorni di malattia (anche frazionati in più eventi diversi) al dipendente non sarà applicata più alcuna decurtazione. Per il 2009 i giorni saranno tre.

Stipendi meno leggeri
In ogni caso, esauriti gli otto giorni, gli stipendi saranno tagliati in misura minore. Con la proposta di legge la giunta definisce infatti anche con chiarezza le componenti dell o stipendio da corrispondere in caso di assenza e stabilisce che nessuna delle componenti che abbia natura fissa, ricorrente o continuativa debba essere tagliata. Sono salve le indennità legate alla mansione o al ruolo del dipendente. Le assenze incideranno a questo punto solo sulla produttività e le indennità di risultato.
Nessuna decurtazione sarà prevista per i ricoveri ospedalieri, gli infortuni sul lavoro a causa di servizio o per patologie gravi che richiedono terapie salvavita. Al riguardo Gelli ha annunciato che lunedì porterà in giunta una direttiva che elenca tutte le patologie che ricadranno nel provvedimento, in modo da chiarire qualsiasi dubbio e togliere qualsiasi margine di discrezionalità. Il provvedimento, visto che non fa altro che specificare una norma già prevista dal governo, sarà applicabile anche prima dell’approvazione della proposta di legge.
Per le assenze per motivi diversi dalla malattia si rimanda a quanto previsto dalle norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Visite mediche di controllo facoltative
Si cambia anche per quanto riguardo le visite fiscali a casa. Diventano per l’amministrazione facoltative, sulla base delle proprie esigenze organizzative. Una soluzione che permetterà di contrastare il fenomeno dell’assenteismo arginando eventuali abusi, ma allo stesso tempo di contenere i costi aggiuntivi conseguenti alle visite mediche di controllo.

Fasce di reperibilità
Cambiano anche le fasce di reperibilità. Il Decreto Brunetta le aveva allargate, costringendo il lavoratore a farsi trovare a casa dalle 8 alle 13 e dalle 14 alle 20. La Regione ha reintrodotto le fasce che valgono per il settore privato, in precedenza in vigore: ovvero dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 1 9, che sono quelle determinate dalla contrattazione collettiva.
In verità anche il governo su questo aveva fatto nel frattempo un passo indietro. Regione e governo propongono le stesse fasce. La differenza sta però nello strumento. il governo lo ha fatto con un decreto, che potrebbe anche non essere convertito. La Regione lo farà con una legge, che varrà indipendentemente dal decreto.

Controlli più severi dei dirigenti
Il vice presidente Gelli ha anche annunciato che prossimamente porterà in giunta una seconda direttiva, oltre a quella sulle patologie gravi. Riguarderà i dirigenti (in tutta la Regione sono circa 150), i quali saranno giudicati anche in base alla capacità di vigilare su assenze e produttività dei loro dipendenti. I dirigenti che non faranno bene il proprio mestiere potranno in questo caso rischiare un taglio del 40% s ulla produttività, pari ad almeno cinquemila euro.