Ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’amministrazione finanziaria

La massima:
Ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d’ufficio spettanti ai detti dipendenti, posto che il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici.

Leggi: Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 18-10-2018) 29-04-2019, n. 2724


Recovery plan: la nuova P.A.

Presentate alle Camere le schede-progetto riviste dall’attuale Governo. Entro il 2022 si investirà su una infrastruttura cloud per la pubblica amministrazione con servizi disponibili entro il 2024 e la notifica degli atti della P.A. entro l’anno 2026 quando il 75% del personale pubblico avrà fatto percorsi di formazione.


PATTO PER L’INNOVAZIONE DEL LAVORO PUBBLICO E LA COESIONE SOCIALE

Firmato il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi, il Ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta e i Segretari generali Maurizio Landini (Cgil), Luigi Sbarra (Cisl) e Pierpaolo Bombardieri (Uil).

Il Patto si colloca nel solco di un’azione di rilancio del Paese, volta a realizzare gli obiettivi cruciali della modernizzazione del “sistema Italia” e dell’incremento della coesione sociale, a partire dalla straordinaria opportunità offerta dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Innovazione e coesione sono obiettivi centrali dello storico programma Next Generation EU e saranno perseguiti simultaneamente. Un Paese più moderno, infatti, può offrire servizi migliori e maggiori opportunità di sviluppo ai propri cittadini; al contempo, un Paese più coeso assicura che ogni persona possa sentirsi parte del processo innovativo e che ciascuno possa trarre beneficio dagli sforzi comuni.

I pilastri fondamentali di ogni riforma e ogni investimento pubblico contenuti nel PNRR saranno la coesione sociale e la creazione di buona occupazione.

Tali priorità – cruciali per superare l’emergenza sanitaria, economica e sociale, ricordata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – richiedono uno straordinario impegno finanziario, progettuale e attuativo, che verte sul ruolo propulsivo delle donne e degli uomini della Pubblica Amministrazione.
In questa prospettiva, il Patto intende potenziare la Pubblica Amministrazione attraverso la semplificazione dei processi e un massiccio investimento nel capitale umano. Tali strumenti sono fondamentali per attenuare le storiche disparità del Paese, per ridurre il dualismo fra settore pubblico e privato, nonché per fornire risposte ai nuovi e mutati bisogni dei cittadini.

Il Patto individua la flessibilità organizzativa delle Pubbliche Amministrazioni e l’incremento della loro rapidità di azione come obiettivi fondamentali di un processo di rinnovamento che le parti si impegnano a perseguire, con particolare riferimento a tre dimensioni: il lavoro, l’organizzazione e la tecnologia.
L’individuazione di una disciplina del lavoro agile (smart working) per via contrattuale è un elemento qualificante di questa strategia e va nella direzione auspicata dalle organizzazioni sindacali sin dall’inizio della crisi pandemica.

Il successo di ogni percorso di innovazione e riforma della Pubblica Amministrazione dipende non soltanto da opportuni investimenti nella digitalizzazione, ma anche da una partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori.

A tal proposito, il Patto individua la necessità di avviare una nuova stagione di relazioni sindacali, fondata sul confronto con le organizzazioni, e di portare a compimento i rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021, ritenendoli un fondamentale investimento politico e sociale.

Inoltre, la costruzione di una nuova e moderna Pubblica Amministrazione si fonda sulla valorizzazione delle persone, attraverso percorsi di crescita e aggiornamento professionale, e sulla definizione di un piano delle competenze su cui costruire la programmazione dei fabbisogni e le assunzioni del personale.

In questa ottica, il Patto afferma che ogni pubblico dipendente dovrà essere titolare di un diritto/dovere soggettivo alla formazione continua, al fine di essere realmente protagonista del cambiamento, e che la Pubblica Amministrazione dovrà utilizzare percorsi formativi di eccellenza, adatti alle persone e certificati.

Elementi del Patto

Il Governo emanerà all’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) gli atti di indirizzo di propria competenza per il riavvio della stagione contrattuale. I rinnovi contrattuali relativi al triennio 2019-2021 interessano oltre 3 milioni di dipendenti pubblici e vedranno confluire l’elemento perequativo delle retribuzioni all’interno della retribuzione fondamentale. Il Governo, poi, individuerà le misure legislative utili a promuovere la contrattazione decentrata e a superare il sistema dei tetti ai trattamenti economici accessori.
Con riferimento al lavoro agile, nei futuri contratti collettivi nazionali dovrà essere definita una disciplina normativa ed economica che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, conciliando le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle pubbliche amministrazioni. Saranno quindi disciplinati aspetti di tutela dei diritti sindacali, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro quali il diritto alla disconnessione, le fasce di reperibilità, il diritto alla formazione specifica, la protezione dei dati personali, il regime dei permessi e delle assenze.
Attraverso i contratti collettivi del triennio 2019-2021, si procederà alla successiva rivisitazione degli ordinamenti professionali del personale, ricorrendo a risorse aggiuntive con la legge di bilancio per il 2022 e adeguando la disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze. È necessario, inoltre, valorizzare specifiche professionalità non dirigenziali dotate di competenze specialistiche ed estendere i sistemi di riconoscimento delle competenze acquisite negli anni, anche tramite opportune modifiche legislative.
Il Governo si impegna a definire politiche formative di ampio respiro, con particolare riferimento al miglioramento delle competenze digitali e di specifiche competenze avanzate di carattere professionale. Formazione e riqualificazione assumeranno il rango di investimento strategico e non saranno più considerati come mera voce di costo.
Nell’ambito dei nuovi contratti collettivi saranno adeguati i sistemi di partecipazione sindacale, valorizzando gli strumenti di partecipazione organizzativa e il ruolo della contrattazione integrativa.
Le parti concordano sulla necessità di implementare gli istituti di welfare contrattuale, con riferimento al sostegno alla genitorialità e all’estensione al pubblico impiego di agevolazioni fiscali già riconosciute al settore privato, relative alla previdenza complementare e ai sistemi di premialità diretti al miglioramento dei servizi.

Leggi: Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale 2020


8 marzo 2021

LO SGUARDO DELLE DONNE

Abbiamo bisogno ancora di tanti 8 marzo se a causa del Covid, su 100.000 persone che hanno perso il lavoro 90.000 sono donne e se nei mesi più duri della pandemia le richieste di aiuto di donne ai centri antiviolenza e alle istituzioni sono raddoppiate.
La realtà ci dice che le donne studiano tanto, ma poi sono chiamate a scegliere tra carriera e famiglia, nella stragrande maggioranza dei casi.
Oggi le mimose sono gradite, molto, e l’attenzione all’universo femminile è doverosa.
Poi però dalla retorica della giornata si deve passare ai fatti: è un cammino lungo, tortuoso, sfidante ma è necessario percorrerlo nelle istituzioni, nei luoghi di studio e di lavoro, in famiglia….nella vita di tutti i giorni. Basterebbe un po’ di empatia e di rispetto in più. Basterebbe lo sguardo di una donna

Elisa Venturini


Mansioni superiori: quando il datore di lavoro ha l’obbligo di promozione

Mansioni superiori: il datore di lavoro ha l’obbligo di promozione del dipendente che svolge un’attività lavorativa riferita ad un grado e una qualifica più alti. Questo è il principio generale confermato dall’ordinanza della Corte di Cassazione numero 2972 dell’8 febbraio 2021 che ha riepilogato le regole per l’inquadramento del lavoratore subordinato.
Mansioni superiori: quando il datore di lavoro ha l’obbligo di promozione?
Mansioni superiori: il lavoratore subordinato che svolge un’attività relativa ad un inquadramento più alto deve ottenere una promozione.
Questo è il principio generale, confermato anche dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione numero 2972 dell’8 febbraio 2021.
La pronuncia ha di fatto riepilogato il procedimento logico-giuridico che il giudice deve compiere quando, nelle cause di lavoro, deve giudicare sull’inquadramento di un dipendente.
Si tratta di un percorso composto da tre fasi successive attraverso il quale il magistrato può decidere o meno se le mansioni svolte appartengano ad un inquadramento superiore.
In caso di esito positivo, infatti, il datore di lavoro avrà l’obbligo di promuovere il proprio dipendente e di corrispondergli la retribuzione eventualmente eccedente.
Mansioni superiori: quando il datore di lavoro ha l’obbligo di promozione?
La Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 2972 dell’8 febbraio 2021 ha riproposto il principio secondo cui lavoratore subordinato, a cui sono stati assegnati compiti riferiti ad un inquadramento superiore, deve essere promosso.
Quando, però, si può dire che tali compiti attengano ad un lavoratore di gradi e qualifiche più elevati?
La risposta non è così semplice, tant’è vero che la giurisprudenza della Suprema Corte, per aiutare i giudici a decidere su queste questioni, ha dovuto elaborare il citato procedimento logico-giuridico in tre fasi che, in estrema sintesi, si articola nel modo seguente:
• il giudice deve prima di tutto accertare quali sono le attività lavorative che il dipendente ha concretamente svolto (a tal fine sono necessarie prove e testimonianze);
• in seconda battuta deve individuare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria applicabile nel caso concreto;
• in ultimo deve confrontare quanto ha accertato nella prima fase con quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
Se dall’ultimo raffronto si evidenzia uno squilibrio tra mansioni svolte e inquadramento stabilito dalla contrattazione collettiva, il giudice dovrà necessariamente obbligare il datore di lavoro a promuovere il dipendente e a corrispondergli lo stipendio corrispondente.
L’ordinanza dell’8 febbraio prende le mosse da un caso concreto che costituisce un valido esempio per capire come opera il giudice nel pronunciarsi in favore o meno di una promozione.
Nella vicenda in esame, infatti, il magistrato nel provvedimento impugnato aveva richiamato il livello di inquadramento della lavoratrice parte del giudizio e aveva individuato le mansioni a questo riservate.
Subito dopo, come emerso dalle acquisizioni probatorie, aveva identificato le mansioni realmente svolte dalla donna, scoprendo che non erano quelle previste dal CCNL di settore ma che, anzi, erano riferite ad una qualifica superiore.
Il giudice territoriale, dunque, ha condannato il datore di lavoro all’assegnazione della lavoratrice all’inquadramento effettivo e al pagamento, oltre che delle spese processuali, di 5.000 euro a titolo di compensi professionali.
La Cassazione, pertanto, confermando la sentenza di merito impugnata, si è espressa nei termini seguenti:
“(…) è consolidato l’insegnamento di questa Corte secondo cui l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del Medesimo in una determinata categoria di lavoratori, una volta rispettato – così come nella specie – costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da congrua motivazione”


Nulla la multa notificata per posta a cittadino tedesco

La notifica effettuata in violazione della Convenzione di Strasburgo non è inesistente, ma nulla e quindi sanabile 
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 3 novembre 2020 – 5 febbraio 2021 n. 2866, ha affermato il principio per cui la notifica del verbale di sanzione ammnistrativa, a cittadino tedesco, non può avvenire direttamente a mezzo del servizio postale.
La Convenzione di Strasburgo prevede la possibilità di una simile notifica ma la Germania, avvalendosi della possibilità di deroga, ha escluso tale forma di notificazione per i suoi cittadini residenti.
Tale pronuncia è interessante anche perché ribadisce importanti principi in tema di rilascio della procura alle liti all’estero e in materia di sanabilità (o meno) del difetto di rappresentanza processuale.
Un cittadino tedesco, mentre si trovava a Firenze, transitava senza autorizzazione in una zona a traffico limitato (ztl). L’infrazione gli veniva contestata tramite l’invio di una lettera raccomandata.
Egli proponeva opposizione al verbale di contravvenzione al Codice della Strada deducendo, tra le altre cose, il vizio di nullità per inesistenza della notifica del verbale. Il giudice di primo grado rigettava l’opposizione, in secondo grado, il gravame veniva dichiarato inammissibile in quanto tardivo.
Inoltre, secondo il giudice di merito, la violazione delle formalità di notifica – imposte dalla Convenzione di Strasburgo – rappresentava un motivo di nullità (non di inesistenza) sanata dall’avvenuto raggiungimento dello scopo.
La Suprema Corte si trova a stabilire se, nel caso di specie, sia applicabile:
• la Convenzione di Strasburgo del 24 novembre 1977, sulle notifiche all’estero in materia amministrativa, ratificata con legge 149/1983;
• oppure il Regolamento CE 1393/2007 relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale.
Il Regolamento di cui sopra:
• esclude la notificazione a mezzo servizio postale per gli atti amministrativi,
• ma la consente per quelli giudiziali e extragiudiziali in materia civile e commerciale.
Una volta chiarito il quadro normativo, emerge l’importanza della questione sottoposta alle Sezioni Unite, ossia:
in tema di notifica di verbale di accertamento di violazione amministrativa a persona residente in altro stato membro dell’Unione Europea e segnatamente nella Repubblica Federale di Germania, quale sia il significato da attribuirsi alla materia “amministrativa”.
Infatti, se la notifica del verbale rientra tra gli atti amministrativi, la notifica a mezzo posta resta comunque esclusa, per ambedue le discipline.
A tale questione è connessa la seguente:
se sia nulla (e sanabile) ovvero inesistente (ed insanabile) la notifica del verbale di accertamento di infrazione stradale a mezzo del servizio postale a cittadino tedesco.
La Convenzione di Strasburgo del 24 novembre 1977 reca la disciplina per la notifica dei documenti in materia ammnistrativa. In via generale, ammette la notificazione diretta a mezzo del servizio postale per documenti come il verbale di sanzione amministrativa. Infatti, l’art. 11 legge 149/1983 recita: “Ogni Stato contraente ha la facoltà di provvedere direttamente a mezzo posta alle notifiche di documenti a persone che si trovino sul territorio di altri Stati contraenti”.
Tuttavia, tale regola non si applica alla Germania, la quale ha escluso la possibilità di notifica, per tali documenti, a mezzo del servizio postale nei confronti dei propri cittadini residenti.
Notifica del verbale via posta al cittadino UE: è possibile?
Per rispondere a tale interrogativo, occorre prima chiarire se il verbale di una contravvenzione rientri nella nozione di atto amministrativo oppure nella materia civile e commerciale.
Qualora tale attività venga considerata come rientrante nel novero degli atti amministrativi, è necessario il ricorso all’attività di assistenza per la notificazione dell’Autorità centrale dello Stato di residenza del medesimo cittadino. In caso contrario, è perfettamente legittima la notifica a mezzo posta.
Sul punto, alcune pronunce del 2018 (Cass. 22000/2018), avevano ritenuto ammissibile la notificazione a mezzo postale del verbale di sanzione amministrativa a cittadino tedesco, considerando applicabile il Regolamento 1393/2007. Secondo tale interpretazione, il verbale di contestazione è un atto propedeutico all’ordinanza d’irrogazione della sanzione ammnistrativa; rientra, quindi, tra gli atti stragiudiziali, notificabili via posta (art. 16 Reg. cit.). Nondimeno, il Regolamento (art. 1) non si applica alla materia fiscale, doganale o amministrativa, né alla responsabilità dello Stato per atti od omissioni nell’esercizio di pubblici poteri («acta iure imperii»).
Per le Sezioni Unite:
“il verbale di accertamento di sanzione al Codice della Strada, in quanto atto rientrante nell’esercizio di pubblici poteri rientra, quindi, nell’ambito di materia amministrativa e, come tale, la notifica della sua impugnazione esula in maniera manifesta dal campo di applicazione del Regolamento n. 1393/2007, poiché non rientrante nella materia civile o commerciale (e neppure potendosi configurare il carattere “stragiudiziale” della notifica del verbale stesso)”.
In base a quanto sopra, la notifica del verbale di sanzione ammnistrativa a cittadino tedesco deve avvenire con l’assistenza dell’Autorità centrale dello Stato di residenza e destinazione, prevista dalla Convenzione di Strasburgo (art. 2), in difetto, la notificazione è nulla. La nullità va esaminata in base alla legge del Paese da cui è svolta la notificazione, ossia in base alla legge italiana. Nel caso in esame, la notifica deve ritenersi nulla e non inesistente. La conseguenza è che essa è sanabile in assenza di tempestiva apposita eccezione. Nella fattispecie oggetto di scrutinio, la nullità è stata sanata dalla “tardività del ricorso rispetto alla effettiva conoscenza del verbale notificato e non tempestivamente impugnato con conseguente mancata tempestività della eccezione di nullità della notificazione e, quindi, sanatoria della stessa”.
La sentenza si è occupata anche di un altro aspetto degno di nota. Il Comune di Firenze ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per nullità della procura. La procura speciale, rilasciata al difensore da parte del cittadino tedesco, con atto del notaio, mancava di qualsiasi riferimento alla procedura per la quale era stata rilasciata. In tal modo, non è possibile individuare la finalità della stessa. La genericità della procura si pone in contrasto con il dettato dell’art. 83 c.p.c. e con i principi che richiedono:
• uno specifico collegamento tra l’atto (la procura) e il soggetto destinatario (l’avvocato),
• la capacità dell’atto di far individuare la finalità per la quale è stato generato.
Nel caso di specie, la stessa procura era stata impiegata in ben cinque procedimenti diversi, inoltre, l’autenticazione della firma del mandante non risultava redatta in lingua italiana, pertanto, doveva considerarsi nulla. La Suprema Corte ribadisce un principio più volte espresso in sede di legittimità. La procura speciale alle liti rilasciata all’estero, in conformità alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 (anche nota come “Convenzione sull’apostille”) o ad apposita convenzione bilaterale, può essere esente:
• dall’onere di legalizzazione da parte dell’autorità consolare italiana,
• nonché dalla cosiddetta “apostille”.
Ebbene, tale procura è nulla, qualora non sia allegata la traduzione:
• della procura stessa,
• e dell’attività certificativa svolta dal notaio.
In merito all’attività notarile, si fa riferimento a quella “afferente all’attestazione che la firma è stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l’identità, applicandosi agli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto” (Cass. 8174/2018, Cass. 11165/2015).
La nullità della procura era stata eccepita e il ricorrente non aveva dedotto nulla in ordine al difetto di rappresentanza sollevato dalla controparte. Pertanto, la Suprema Corte si sofferma proprio sulla differenza intercorrente tra la rilevazione d’ufficio e l’eccezione di parte sul difetto di rappresentanza. Infatti, quando è il giudice a rilevare d’ufficio tale difetto, alla parte viene assegnato un termine perentorio per sanarlo (art. 182 c.p.c.);
quando il vizio viene tempestivamente eccepito da una parte, la documentazione “in sanatoria” va prodotta immediatamente, senza l’assegnazione di alcun termine.
Pertanto, la nullità della procura diviene insanabile – come nel caso di specie – allorché, nonostante l’eccezione del convenuto, l’attore non abbia sua sponte depositato la necessaria documentazione (Cass. Ord. 24212/2018, Cass. 22892/2018, Cass. S.U. 4248/2016).
Dunque, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio:
la notifica del verbale di sanzione ammnistrativa a cittadino tedesco non può avvenire direttamente a mezzo del servizio postale; infatti, in assenza dell’assistenza dell’Autorità centrale dello Stato di residenza e destinazione, prevista dalla Convenzione di Strasburgo, la notificazione è nulla e sanabile, non inesistente e insanabile.


Messi Comunali: vaccinazione Covid 19

Programmazione campagna vaccinale COVID-19 – Qualificazione Messi Comunali e Notificatori quali lavoratori di servizi essenziali

Egregio Assessore Sanità – Servizi sociali – Programmazione socio-sanitaria
Dr.ssa Manuela LANZARIN
Palazzo Balbi – Dorsoduro 3901
30123 V E N E Z I A

Con la presente, per sottoporre alla Sua attenzione la richiesta della categoria di pubblici dipendenti che la Associazione che presiedo rappresenta, al fine del loro inserimento nella campagna vaccinale quali appartenenti a categoria di lavoratori di servizi essenziali.

A tal fine evidenzio alla Sua attenzione il disposto di cui all’articolo 2 dell’ “Accordo collettivo nazionale in materia di norme di garanzia del funzionamento dei servizi pubblici essenziali nell’ambito del comparto regioni – autonomie locali”, datato 19.9.2002 e sottoscritto da Aran e sindacati di categoria del pubblico impiego, che elenca i servizi pubblici da qualificare come essenziali, ai sensi degli articoli 1 e 2 della legge 12 giugno 1990, n. 146 come modificati ed integrati dall’art.1 e 2 della legge 11 aprile 2000, n.83, nel comparto  Regioni-Autonomie Locali.

E’ di tutta evidenza come tra tali servizi sono annoverati alcuni, quali lo stato civile e servizio elettorale, l’igiene, sanità ed attività assistenziali, le attività di tutela della libertà della persona e della sicurezza pubblica, per il cui effettivo espletamento non può prescindersi dall’esercizio delle funzioni dei Messi Comunali e Notificatori, quali soggetti istituzionalmente chiamati ad assicurare la notifica, ai relativi destinatari, di atti assunti dalla pubblica amministrazione per il loro svolgimento; per non dire delle funzioni che i Messi Comunali e Notificatori possono svolgere anche per conto di altre amministrazioni, ivi comprese quelle statali.

In altri termini la funzione svolta dai Messi Comunali e Notificatori è, di tutta evidenza, strumentale e funzionale all’assolvimento di servizi pubblici essenziali e ne condivide il carattere di funzione rivolta ad una serie indeterminata di soggetti: si ritiene ne consegua la loro ascrivibilità alla categoria dei lavoratori di servizi pubblici essenziali ai fini del loro inserimento nella corrispondente fase e categoria di priorità del piano (della campagna) vaccinale COVID-19.

Certo della attenzione che Lei, come Sua consuetudine, vorrà riservare alla presente.

Verona 19 febbraio 2021

   Pietro Tacchini
Presidente Nazionale

Scarica testo: Lettera Assessore Lazzarin 19 02 2021


Modalità di differenziazione del premio individuale

Segnalazione dell’ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Ai fini della corretta applicazione dell’art. 69 del CCNL del 21 maggio 2018 può considerarsi coerente con la ratio della norma la previsione, in sede di contrattazione integrativa, di un premio individuale differenziato attribuibile ai dipendenti che abbiano conseguito una valutazione pari o superiore al 95%?
In caso affermativo, se nessun dipendente raggiunge la soglia richiesta, il complessivo importo destinato alla maggiorazione può essere distribuito a tutto il personale?
Testo del Provvedimento
Con riferimento alla questione in oggetto, in merito alla corretta applicazione dell’istituto relativo alla differenziazione del premio individuale si ritiene opportuno osservare quanto segue.
L’art. 69 del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018, come noto, in materia di differenziazione del premio individuale, al comma 2, dispone che: “La misura di detta maggiorazione, definita in sede di contrattazione integrativa, non potrà comunque essere inferiore al 30% del valore medio pro-capite dei premi attribuiti al personale valutato positivamente ai sensi del comma 1” ed al comma 3 che “La contrattazione integrativa definisce altresì, preventivamente, una limitata quota massima di personale valutato, a cui tale maggiorazione può essere attribuita”.
Pertanto, la ricordata disciplina contrattuale demanda alla contrattazione di secondo livello, oltre alla misura della maggiorazione nel rispetto del valore minimo previsto dal CCNL, la definizione di una limitata quota massima di personale al quale, per aver conseguito la valutazione più elevata, potrà essere attribuita la maggiorazione del premio individuale scorrendo la graduatoria risultante dal sistema di valutazione adottato dall’ente fino a saturazione della quota predetta.
Si ritiene opportuno al riguardo precisare altresì che la disciplina contrattuale collettiva nazionale in parola non ha dato alla contrattazione integrativa alcuna delega negoziale per l’individuazione di una soglia valutativa cui collegare il riconoscimento della maggiorazione del premio individuale atteso che un simile meccanismo, come si evince dalla problematica dedotta con il secondo quesito, potrebbe oggettivamente prestarsi ad una applicazione elusiva della disciplina stessa.
Per agevolare la corretta applicazione della disciplina contrattuale collettiva in esame si ritiene opportuno suggerire il seguente percorso:
a) determinare preventivamente, nell’ambito delle risorse destinate a tale finalità, l’ammontare medio pro-capite del premio collegato alla performance individuale da riconoscere al personale valutato positivamente;
b) successivamente, in sede di contrattazione integrativa, definire il valore della maggiorazione del premio individuale, da riconoscere ai dipendenti che abbiano conseguito le valutazioni più elevate, in misura comunque non inferiore al 30% del valore medio dei premi come determinati alla lett. a)
c) determinare, sempre in sede di contrattazione integrativa, una limitata quota massima di personale valutato cui dovrà essere riconosciuta la maggiorazione di premio individuale, nell’importo di cui alla lett. b);
d) dalle complessive risorse destinate ai premi individuali, di cui alla lett. a), prelevare quelle destinate alla corresponsione della maggiorazione, calcolandole sulla base del valore della stessa, ai sensi della lett. b), e della limitata quota di personale di cui alla lett. c).


Decorrenza delle attribuzione delle progressioni economiche orizzontali

Segnalazione dell’ARAN Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
Testo del Provvedimento
Se un Ente ha definito l’Ipotesi di contratto integrativo triennale (2019-2021), finanziando le progressioni organizzative per il 2019 e contabilizzando le relative risorse entro tale anno, ma la sottoscrizione definitiva del contratto integrativo è intervenuta solo a luglio del 2020, è possibile in forza dell’Ipotesi definita nel 2019 e della copertura finanziaria dalla stessa prevista attribuire le progressioni economiche orizzontali dall’1.1.2019?

Con riferimento alla questione in oggetto, appare preliminarmente necessario chiarire quale sia il momento genetico del contratto collettivo, sia nazionale che integrativo, nel sistema della contrattazione collettiva propria del lavoro pubblico privatizzato.
Al riguardo mette conto anzitutto osservare che non soccorre pienamente, nella fattispecie, il disposto dell’art. 1326 cod. civ., che costituisce il paradigma normativo della conclusione del contratto nell’ordinamento civilistico e che in tale ordinamento è riferibile anche ai contratti collettivi di lavoro, giusta il quale “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte…”.
Infatti, nel caso della contrattazione collettiva di lavoro disciplinata dal d.lgs. 165/2001 e smi, in ragione dei suoi profili di specialità, prima che la parte pubblica risulti giuridicamente nella condizione di sottoscrivere il contratto collettivo quale fonte delle obbligazioni da esso scaturenti è necessario che sia stato positivamente esperito l’iter autorizzatorio previsto dallo stesso d.lgs. 165/2001 e smi (e per il contratto integrativo eventualmente anche dal CCNL) del quale l’ipotesi di contratto sottoscritta dalle parti costituisce il presupposto ma che, ai fini dell’applicazione al personale del suo contenuto, non ha alcuna efficacia giuridica non essendo il contratto ancora venuto ad esistenza.
Ad ulteriore conferma di tale ricostruzione della disciplina sul momento genetico del contratto collettivo di lavoro e sul valore giuridico dell’ipotesi di contratto nel regime del d.lgs. 165/2001 e smi, l’art. 40, comma 4 del medesimo testualmente recita: “Le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti”, così esplicitamente confermando nella “sottoscrizione definitiva” il momento genetico del contratto stesso.
In tale prospettiva ermeneutica deve essere correttamente interpretata la clausola dell’art. 16, comma 7 del CCNL 21.05.2018 la quale testualmente recita: “L’attribuzione della progressione economica orizzontale non può avere decorrenza anteriore al 1° gennaio dell’anno nel quale viene sottoscritto il contratto integrativo che prevede l’attivazione dell’istituto, con la previsione delle necessarie risorse finanziarie”.
Poiché la sopra ricordata disciplina contrattuale non consente interpretazioni contra litteram non si ritiene possibile la decorrenza retroattiva al 1° gennaio 2019.
Al riguardo si ritiene opportuno far presente che la prassi del tardivo avvio in corso d’anno delle trattative per il rinnovo del contratto integrativo e la sua sottoscrizione definitiva nell’anno successivo, oltre a non risultare rispondente al sistema negoziale configurato dalla disciplina legislativa e contrattuale, non consente neppure, intervenendo ad esercizio concluso, di attuare una corretta programmazione e gestione delle risorse finanziarie e umane.


Decreto Milleproroghe 2021

Novità dal decreto legge Milleproroghe D.l. 31 dicembre 2020, n. 183

Smartworking e lavoro agile
Sono valide fino al 31 marzo 2021:

  • le disposizioni relative allo smart working per i genitori di figli minori di quattordici anni;
  • l’incremento del lavoro agile fino al 50% dei dipendenti della pubblica amministrazione.

 


Appalto di “Servizi postali “avviata una consultazione on line per l’aggiornamento delle Linee-guida Anac

A seguito della piena liberalizzazione del Settore postale (con l’abrogazione dell’art. 4 del Dlgs. n. 261/1999) e dell’entrata in vigore del Dlgs. n. 50/2016 (“Codice dei Contratti pubblici”), l’Autorità nazionale Anticorruzione ha ritenuto necessario procedere all’aggiornamento delle indicazioni fornite con la Determinazione n. 3 del 9 dicembre 2014 sugli appalti di “Servizi postali”.
Tenuto conto dell’importanza rivestita dal Settore postale, sia nel mercato interno, sia a livello comunitario, Anac e Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) hanno ritenuto opportuno procedere congiuntamente all’emanazione di un atto a carattere generale. Per questo motivo, lo scorso 16 novembre 2020 hanno avviato assieme una consultazione on line. L’intervento ha l’obiettivo di fornire indicazioni operative alle Stazioni appaltanti, finalizzate a favorire l’effettiva apertura del mercato dei “Servizi postali”, con l’eliminazione delle barriere al libero accesso e la diffusione di buone pratiche.
Al fine di meglio comprendere, da un punto di vista tecnico, le problematiche evidenziate e di garantire il rispetto del Principio di massima partecipazione all’iter decisionale da parte dei soggetti interessati, la consultazione è stata preceduta dai lavori di un Tavolo tecnico al quale hanno partecipato, oltre ai rappresentanti delle 2 Autorità, Consip, Anci, Poste Italiane Spa, Nexive, Cna e Consorzio Arel-Fulmine.
Sulla bozza del Documento di consultazione sono state acquisite inoltre le osservazioni di Assopostale.

All’esito di tali lavori è stato elaborato un DOCUMENTO DI CONSULTAZIONE e che è stato pubblicato sul sito internet dell’Anac per acquisire le osservazioni degli stakeholder, per il periodo dal 16 novembre al 31 dicembre 2020.


È truffa continuata per troppi coffee break, ma il reato non è punito se il danno alla P.A. è lieve

Lo stipendio basso evita agli impiegati della pubblica amministrazione, habitué della pausa caffè al bar, di essere puniti per truffa continuata. A far scattare, malgrado la continuità, la possibilità di applicare la norma sulla particolare tenuità del fatto (articolo 131-bis del Codice penale) il danno lieve provocato e la scarsa propensione al crimine. La Cassazione analizza la condotta prendendo le distanze dalla decisione della Corte d’appello che aveva condannato per truffa continuata alcuni impiegati di una prefettura.
Ai patiti del coffee break in un bar di fronte al luogo di lavoro, era stata contestata un’assenza di circa 16 ore per un totale di circa 140 euro, calcolati in base alla retribuzione degli impiegati che uscivano senza timbrare il cartellino. Per la Corte Suprema di Cassazione la sentenza della Corte d’Appello era contraddittoria per più ragioni: gli episodi erano stati contestati come singoli fatti di reato però era stata affermata la continuazione. In più era stata negata la particolare tenuità del fatto perché le condotte, in quanto reiterate, potevano essere definite abituali. Circostanza questa che, ad avviso dei giudici territoriali, avrebbe impedito di riconoscere la non punibilità.
Per quanto riguarda l’apprezzabilità del danno, da tarare sullo stipendio, la Suprema corte ricorda che la truffa si doveva ritenere consumata al momento della percezione della retribuzione, quindi gli episodi andavano spalmati su più mensilità. Sbagliato anche il presupposto in base al quale era stato negato il beneficio previsto dall’articolo 131-bis c.p.. Secondo la giurisprudenza della Suprema corte più recente, infatti, la continuità tra i reati non rappresenta più, in astratto, un ostacolo insormontabile. Il giudice deve valutare se la condotta sia la manifestazione di una situazione episodica, se la lesione dell’interesse tutelato è minimale, oltre alla gravità del reato e alla capacità delinquenziale di chi lo commette. Considerazioni che giocano a favore dei ricorrenti, la cui ammissibilità del ricorso consente di affermare anche la prescrizione del reato. Anche nella sua complessità il danno era tenue, malgrado il Pm avesse fissato la soglia massima di “tolleranza” in 50 euro, e certo la caratura criminale dei patiti del coffee break non era un elemento che li qualificava.
Visto il metro utilizzato per calcolare il danno magari con le pause caffè reiterate qualche rischio in più lo possono correre i dirigenti che hanno uno stipendio più pesante.


Buon Natale e Felice Anno Nuovo 2021


Cons. Stato, Sez. VI, Sent., (data ud. 13/10/2009) 10/12/2009, n. 7722

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 10911 del 2003, proposto da:

D.A., rappresentata e difesa dall’avv. Gaetano Sciannamea, con domicilio eletto presso Dario Piccioni in Roma, via Emilia, 81;

contro

Università degli Studi di Bari, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del TAR PUGLIA – BARI:Sezione I n. 03931/2002, resa tra le parti, concernente INQUADRAMENTO NELLA QUALIFICA FUNZIONALE DI COLLABORATORE AMMINISTRATIVO.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2009 il Consigliere di Stato Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avv.to Piccioni per delega dell’avv.to Sciannamea e l’avv.to dello Stato Nicoli;

Svolgimento del processo
1. La legge 21 febbraio 1989, n. 63, ha previsto per il personale non docente delle Università, assunto o inquadrato dopo il 1° luglio 1979 e che non aveva quindi beneficiato della legge n. 312 del 1980, la possibilità di essere inquadrato sulla base delle mansioni effettivamente svolte, disponendo allo scopo la valutazione da parte dell’Amministrazione della “Congruenza tra il profilo per il quale è presentata la domanda e l’organizzazione del lavoro propria della struttura presso la quale gli aventi titoli prestano servizio” (art. 1, comma 3).

2. In applicazione di questa normativa la ricorrente in epigrafe, dipendente dell’Università degli studi di Bari, inquadrata nella IV qualifica funzionale, profilo professionale di agente amministrativo (area amministrativocontabile), con istanza presentata al Consiglio di amministrazione dell’Università, ha chiesto di essere inquadrata nella settima qualifica funzionale, profilo collaboratore amministrativo.

3. L’istanza è stata rigettata venendo comunicato alla ricorrente, con nota n. 22016 del 29 luglio 1992, che “il Consiglio di Amministrazione di questa Università, nella seduta del 28.2.1992 ha deliberato che il profilo chiesto di Collaboratore Amministrativo per il quale la S.V. ha prodotto istanza, il giorno 18.11.1991, di inquadramento, non è congruente con l’organizzazione del lavoro propria della struttura presso la quale Ella presta o ha prestato servizio. Lo stesso Consiglio, inoltre, nella medesima seduta ha ritenuto congruo il profilo professionale di Assistente amministrativo per il quale la S.V. ha prodotto istanza in via subordinata.”

4. Con ricorso n. 3397 del 1992, presentato al TAR per la Puglia, la ricorrente ha chiesto l’annullamento del provvedimento di diniego all’inquadramento adottato dal Consiglio di amministrazione dell’Università degli studi di Bari nella seduta del 28 febbraio 1992.

5. Il TAR, sentenza n. 3931 del 2002, ha respinto il ricorso nulla pronunciando sulle spese non essendosi costituita in giudizio l’Amministrazione resistente.

Nella sentenza, quanto alla considerazione delle mansioni svolte dalla ricorrente, richiamata l’attinenza al merito della valutazione di congruità dell’Amministrazione prevista dalla legge, e perciò la sua insindacabilità da parte del Giudice amministrativo se non per manifesti errori di fatto o per profili di eccesso di potere, si afferma che tali mansioni, come attestate dai superiori, non rivestono le caratteristiche di autonomia e di complessità proprie della VII qualifica funzionale e, quanto alla disparità di trattamento, asserita dalla ricorrente a causa dell’attribuzione della VII ed VIII qualifica funzionale a dipendenti appartenenti alla IV qualifica in servizio presso la medesima struttura e svolgenti le sue stesse mansioni, si afferma che il giudizio sfavorevole sulla richiesta della ricorrente non è stato adottato per il mancato riconoscimento all’interno della struttura di attribuzioni funzionali corrispondenti alla VII o VIII qualifica ma sulla base di valutazioni attinenti alle mansioni da ciascuno effettivamente svolte.

6. Con l’appello in epigrafe si censura la sentenza di primo grado, chiedendone l’annullamento, per non aver riconosciuto:

lo scorretto esercizio della discrezionalità da parte dell’Amministrazione a fronte delle mansioni effettivamente svolte dalla ricorrente, alla quale sono stati reiteratamente affidati incarichi richiedenti autonomia, qualificazione e complessità propri della VII qualifica funzionale, come ampiamente provato dalla documentazione prodotta in giudizio;

la intervenuta disparità di trattamento a causa dell’attribuzione della VII qualifica funzionale a colleghi della ricorrente, anche inizialmente appartenenti alla IV qualifica ed esercitanti mansioni del tutto identiche a quelle da lei svolte, come sarebbe definitivamente provato dalla documentazione al riguardo, incluse le “schede” redatte per ciascuno dall’Amministrazione sullo svolgimento delle mansioni superiori; documentazione richiesta in primo grado, non depositata dall’Amministrazione e di cui si reitera la richiesta con il ricorso in esame.

7. Il Collegio nell’udienza del 10 marzo 2009 ha ritenuto necessaria, ai fini del decidere, l’acquisizione di documentazione da parte dell’Università degli Studi di Bari e ha perciò disposto, con ordinanza istruttoria n. 2770 del 2009, il deposito da parte dell’Università presso la Segreteria della Sezione, nel termine di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione della decisione, o dalla sua notifica se anteriore, di copia conforme:

della scheda di rilevazione delle mansioni svolte dall’appellante redatta al fine dell’inquadramento nelle qualifiche funzionali in applicazione del procedimento di cui all’articolo 1 e seguenti della legge n. 63 del 1989;

delle schede di rilevazione delle mansioni svolte da altri dipendenti, inizialmente inquadrati nella IV qualifica funzionale al pari dell’appellante, ed inquadrati, ad esito del procedimento suddetto, nella VII qualifica funzionale (come sarebbe, si asserisce nell’appello, per i signori Iozzia e Pizzi) o in qualifica superiore;

di ogni ulteriore documentazione, verbale, atto e provvedimento afferenti allo svolgimento e conclusione dei procedimenti attuati per l’inquadramento dell’appellante e dei dipendenti suddetti ai sensi della normativa di legge citata.

Con la medesima ordinanza l’udienza per la trattazione è stata fissata al 13 ottobre 2009.

8. In data 10 luglio 2009 è pervenuta documentazione da parte dell’Università degli Studi di Bari, accompagnata dalla precisazione che l’art. 1 della legge n. 63 del 1989 “non prevedeva né la redazione né tantomeno la valutazione di alcuna scheda di “rilevamento mansioni” utilizzabile ai fini dell’inquadramento del personale tecnicoamministrativo delle Università nella qualifica superiore” e che i sig.ri Iozzia Giovanni e Pizzi Ada “a far tempo dal 1.1.90, entrambi sono transitati al Politecnico di Bari”.

In date 3 settembre e 1° ottobre 2009 la ricorrente ha depositato ulteriore documentazione (in particolare, copia dei decreti rettorali, adottati a partire dal 4.7.2001, con i quali è stata delegata a rappresentare l’Università con il potere di conciliare in controversie in materia di lavoro) e memoria difensiva.

9. All’udienza del 13 ottobre 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione
1. Le censure dedotte in appello non sono fondate.

Infatti:

a) nel contesto della normativa di cui alla legge n. 63 del 1989 per il raffronto fra le mansioni svolte e le qualifiche richieste si fa riferimento alla declaratoria di tali qualifiche data con il D.P.C.M. 24 settembre 1981, nel quale le mansioni proprie nell’area amministrativocontabile della VI qualifica (profilo di Assistente amministrativo) e della VII qualifica (profilo di Collaboratore amministrativo) sono caratterizzate, le prime, dall’espletamento “con autonomia operativa” di “procedure attinenti il curriculum degli studenti, le carriere del personale, l’istruzione di atti amministrativi per le quali sono richieste conoscenze teoricopratiche necessarie per la corretta applicazione di norme, nell’ambito di istruzioni ed elaborazioni da parte di appartenenti a qualifiche superiori”, e, le seconde, dalla esecuzione diretta di “procedure complesse in particolare quelle che sono soggette a frequente variabilità”, nonché dalla “esperienza per l’espletamento completo del lavoro affidato all’unità operativa”, con responsabilità di fronte ai superiori “degli atti istruttori assegnati” a tale unità.

b) le mansioni della VII qualifica attingono perciò un grado di complessità superiore a quelle proprie della VI per il contenuto delle procedure da svolgere, in particolare a ragione della loro variabilità e della competenza e responsabilità richieste, poiché relative non soltanto alla propria prestazione ma anche all’esperienza del lavoro dell’unità operativa nel suo complesso e comportanti responsabilità diretta di fronte ai superiori;

c) a fronte di ciò le mansioni indicate dalla ricorrente in primo grado e richiamate nel ricorso in esame, consistono nella istruttoria delle pratiche per il recupero crediti e per l’ammortamento titoli, con l’attivazione dei relativi contatti con gli uffici interessati, nella redazione di certificati per docenti medici convenzionati, nell’aver curato con autonomia il servizio di spedalità, nell’assunzione di informazioni e certificati in processi civili e penali, nella predisposizione di atti di ammissione al passivo fallimentare, nella rappresentanza in giudizio dell’Università in un procedimento per adeguamento canoni;

d) la ricorrente cita altresì gli incarichi di rappresentanza dell’Università in giudizi per controversie di lavoro e davanti al Collegio di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro di Bari, nonché di redazione, con altri, della bozza di regolamento sulle modalità e criteri per i controlli a campione sulle autocertificazioni, che, sulla base della loro elencazione nel ricorso di primo grado e della documentazione in atti, risultano attribuiti dopo l’adozione del provvedimento impugnato;

e) di conseguenza è corretta l’affermazione della sentenza di primo grado per cui le mansioni sopra indicate, allegate dalla ricorrente ai fini del procedimento di cui all’art. 1 della legge n. 63 del 1989, non sono coerenti con la descrizione di quelle proprie della VII qualifica, riguardando compiti di certo comportanti l’autonomia operativa e le conoscenze teoricopratiche proprie delle attività della VI qualifica ma non caratterizzati dall’ulteriore grado di autonomia proprio delle mansioni della VII, non potendo i compiti suddetti definirsi di esecuzione di procedure complesse, né in linea generale, né quanto all’adattamento delle conoscenze ed esperienze a fattispecie variabili ovvero all’assunzione di responsabilità dirette di fronte ai superiori rispetto all’operato dell’unità operativa di appartenenza;

f) sulla questione dell’asserita disparità di trattamento, al cui approfondimento è stata volta la richiesta istruttoria fatta con ordinanza all’Amministrazione, si rileva che nella documentazione pervenuta figura l’attestazione delle mansioni svolte dalla signora Ada Pizzi resa, il 4 gennaio 1991, dal Direttore della divisione presso cui la signora era impiegata al Presidente della Commissione istruttoria insediata ai sensi dell’art. 1 della legge n. 63 del 1989; attestazione che il Collegio ritiene di poter esaminare a raffronto con quelle, depositate in giudizio, dei responsabili degli uffici presso cui ha operato la ricorrente (in particolare a firma dei dott.ri Marabello, Squeo, De Santis e Terlizzi, di data 25 e 26 gennaio 1990, 23 maggio e 10 luglio 1991), in quanto anch’esse sottoposte alla Commissione dalla ricorrente con l’istanza di inquadramento e recanti la descrizione di compiti richiamata nel precedente punto c);

g) le mansioni attestate per la signora Pizzi risultano ascrivibili alla VII qualifica poiché svolte attraverso la redazione di pareri giuridici per gli organi decisionali dell’Università e per i superiori, la gestione di controversie di lavoro con l’elaborazione di proposte di soluzione, la composizione di controversie con ditte fornitrici, l’esame di questioni relative all’edilizia e problematiche connesse, la completa istruttoria delle pratiche con assunzione di diretta responsabilità al riguardo nei confronti dei superiori gerarchici in assenza del capo ufficio: procedure, perciò, tutte complesse caratterizzate dalla necessità di ricerca dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale e da variabilità del contesto di riferimento, come anche attestato;

h) dovendosi concludere, sulla base delle considerazioni svolte, per la legittimità del provvedimento impugnato e per la correttezza dell’affermazione, fatta nella sentenza di primo grado, per cui il giudizio sfavorevole sulla richiesta della ricorrente non è stato adottato per il mancato riconoscimento all’interno della struttura di attribuzioni funzionali corrispondenti alla VII o VIII qualifica ma sulla base di valutazioni attinenti alle mansioni da ciascuno effettivamente svolte.

3. Alla luce di quanto sopra il ricorso risulta infondato e deve perciò essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge il ricorso in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2009 con l’intervento dei Signori:

Claudio Varrone, Presidente

Luciano Barra Caracciolo, Consigliere

Domenico Cafini, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore

Bruno Rosario Polito, Consigliere


Palermo, obbligo di firma in caserma per 18 “furbetti del cartellino”

PALERMO. Ennesimo caso di «furbetti del cartellino» a Palermo. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo e la Polizia Municipale hanno eseguito un’ordinanza di applicazione della misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per 18 dipendenti delle società «Reset» e «Coime», partecipate dal Comune: sono accusati di falsa attestazione di presenza in servizio e truffa ai danni dell’Amministrazione. L’indagine, coordinata dalla procura, è iniziata dopo alcune segnalazioni anonime. Gli inquirenti hanno accertato un fenomeno di assenteismo di massa – 2000 le timbrature sospette – di 18 dipendenti dell’ufficio comunale che si occupa di impianti cimiteriali. In particolare, l’attività d’indagine svolta dal carabinieri si è concentrata sulle assenze dei dipendenti, sia comunali sia delle società partecipate «Reset» e «Coime», che prestano servizio all’interno degli uffici dei Servizi Cimiteriali del Comune di Palermo, in via Lincoln. I militari hanno scoperto che gli impiegati finiti sotto inchiesta timbravano per altri colleghi per fingerne la presenza in servizio o consentire loro di assentarsi durante il lavoro. Nei 5 mesi d’indagine, i militari hanno documentato quasi 2.000 «timbrature sospette», di cui 240 sviluppate e contestate. Circostanze che testimoniano che si trattava di un fenomeno diffuso tra gran parte dei dipendenti dell’ufficio comunale. Gli agenti della polizia municipale hanno indagato invece su un gruppo di dipendenti comunali addetti ai servizi di assistenza ai funerali e impiegati, dunque, prevalentemente in mansioni esterne. Sovente, piuttosto che assolvere i loro compiti di assistenza, stavano in giro per la città per sbrigare commissioni personali o rientravano in ufficio in anticipo rispetto all’orario previsto.