Il lavoratore in malattia non può andare in motocicletta

Al lavoratore a casa in malattia è vietato andare in moto. Parola di Cassazione secondo la quale l’utilizzo del motociclo denota “scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura” e ne “ritarda la guarigione”. Applicando questo principio, la sezione Lavoro ha parzialmente accolto il ricorso della Clinic Center di Napoli che si era opposta alla reintegra di un suo dipendente, un aiuto medico specialista in geriatria assunto nella clinica part time, che, nel periodo di malattia per un’artrosi all’anca, era stato sorpreso a guidare una motocicletta per recarsi al mare a fare dei bagni e poi per raggiungere il Centro Futura dove svolgeva una seconda attività in qualità di direttore sanitario. Piazza Cavour non ha contestato tanto il secondo lavoro, che per quanto riguarda gli impieghi part time “non può essere ritenuta vietata tout court”, quanto il fatto che Giuseppe F., nonostante l’artrosi all’anca, si fosse messo alla guida di una moto di grossa cilindrata per recarsi prima in spiaggia e poi alla seconda attività lavorativa. Ebbene, secondo la Cassazione, un comportamento di questo tipo è indice di “scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute, oltreché dimostrativo del fatto che lo stato di malattia non è assoluto e non impedisce comunque l’espletamento di una attività ludica o lavorativa”.

Di diverso avviso era stata la Corte d’Appello di Napoli che, nel luglio 2005, aveva revocato il licenziamento del medico sostenendo che l’aver guidato una moto di grossa cilindrata e il fatto di essersi recato al mare a fare bagni non erano attività “il contrasto con gli obblighi di cura e riposo in modo da comprometterne ulteriormente la guarigione”. Contro la decisione favorevole al medico, la Clinic Center ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo, tra l’altro, che l’utilizzo della motocicletta in malattia per recarsi al mare non era un atteggiamento propriamente tipico di un malato. La sezione lavoro con sentenza 9474, ha accolto questo punto della protesta e ha ricordato che “l’espletamento di altra attività lavorativa ed extralavorativa da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idonea a violare i doveri contrattuali di correttezza e buonafede nell’adempimento dell’obbligazione, posto che il fatto di guidare una moto di grossa cilindrata, di recarsi in spiaggia e di prestare una seconda attività lavorativa sono indici di una scarsa attenzione ai doveri di cura e ritardano la guarigione”. Sarà ora la Corte d’Appello di Napoli a dovere riesaminare il caso del medico che era stato reintegrato dopo il licenziamento nonostante si fosse messo in moto nel periodo di malattia.


Entrata in Vigore del TESTO UNICO DELLA SICUREZZA

15 Maggio 2008 entra in vigore il testo di legge ad esclusione della predisposizione del documento di valutazione dei rischi.

29 Luglio 2008 entrano in vigore le disposizioni di cui agli articoli 17, comma 1, lettera a), e 28, (Valutazione dei Rischi, relativo ed aggiornamento, POS) nonché le altre disposizioni in tema di valutazione dei rischi che ad esse rinviano, ivi comprese le relative disposizioni sanzionatorie, previste dal D. Lgs. 81/08, fino a tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni previdenti.

Le disposizioni di cui al titolo VIII, capo IV entrano in vigore alla data fissata dal primo comma dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2004/40/CE.

Le disposizioni di cui al capo V del medesimo titolo VIII, entrano in vigore il 26 aprile 2010.

– D. Lgs. 81/08 del 09/04/2008 –


Il Resp. dell’Ufficio non può maltrattare il dipendente polemico

Rischia di essere condannato il capoufficio che risponde stizzito e mette in discussione le capacità lavorative di un dipendente che è solito polemizzare su tutto.
La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 15752 del 15 aprile 2009, ha accolto il ricorso promosso da un dipendente nei confronti del Responsabile dell’ufficio, il quale aveva risposto con una missiva, contenente espressioni ingiuriose, ad alcune osservazioni, di carattere polemico, formulate dallo stesso dipendente.

Il ricorso è stato promosso dal dipendente contro la sentenza di appello, la quale, in riforma di quella di condanna pronunciata dal tribunale di Trani, assolveva con la formula “il fatto non costituisce reato” capo del Servizio igiene alimenti e nutrizione del comune di Barletta dall’addebito di diffamazione in danno di un dipendente.
Il reato era stato contestato al suddetto capo, per avere inviato al dipendente, dirigente medico del servizio e ad altri soggetti, una nota nella quale, con riferimento a una precedente richiesta di chiarimenti avanzata dallo stesso dirigente relativamente a vere o presunte inosservanze addebitate al medesimo quanto a procedure amministrative nell’ambito dell’attività d’istituto, si affermava, tra l’altro, che “l’insistenza con cui la S.V. chiede precisazioni e linee operative su argomenti che sono già stato oggetto di comunicazioni da parte degli scriventi e che non appaiono poi così difficili a capirsi, lascia spazio a valutazioni poco lusinghiere sulla Sua idoneità a ricoprire il ruolo affidatole. Così come non appare per nulla consono, tanto al Suo ruolo quanto a quello dei destinatari della Sua nota, il tono perentorio e ultimativo colì utilizzato”. Il ricorrente ha lamentato che il giudice del merito.
Avrebbe indebitamente acquisito, per attribuirgli altrettanto indebita rilevanza ai fini del decidere, un documento costituito da una protesta scritta inviata da una organizzazione sindacale al direttore generale della ASL per i comportamenti del ricorrente stesso. Inoltre, sempre ad avviso del ricorrente, il giudice del merito avrebbe ritenuto giustificate le espressioni contenute nella nota citata sopra sulla sola base della ritenuta addebitabilità al ricorrente dei rapporti conflittuali che si erano creati tra lui e il capo ufficio. Infine il ricorrente ha censurato la sentenza laddove la stessa si sarebbe fondata sull’indebito e apodittico rilievo, secondo il quale la situazione sarebbe nata dal carattere dello stesso ricorrente, presentato quale persona sofferente di vittimismo, portata alla polemica e incapace di instaurare rapporti di ufficio sereni e fattivi.
La Corte ha ritenuto il ricorso meritevole di accoglimento, in quanto, ciò che deve ritenersi censurabile è l’avvenuto riconoscimento, a fronte della non negata offensività delle espressioni contenute nella lettera incriminata, della valenza sostanzialmente scriminante che avrebbe assunto il pregresso comportamento del ricorrente, culminato nell’asseritamente pretestuosa richiesta di chiarimenti alla quale, con la missiva di cui sopra, era stata data risposta, senza che, peraltro, risulti neppure ben chiarito il ragionamento giuridico in base al quale si sarebbe pervenuti a tale conclusione, facendosi riferimento, nella parte conclusiva della sentenza impugnata, prima alla pretesa assenza di una “precisa volontà offensiva” e poi a un “pregresso comportamento provocatorio” della persona offesa.
Ad avviso della Corte, tali riferimenti, con riguardo ai quali va osservato, relativamente alla volontà offensiva, che non risulta in alcun modo specificato per quale ragione la stessa non potesse desumersi, contrariamente all’evidenza, dal tenore letterale delle espressioni adoperate, delle quali peraltro si riconosce, nella stessa sentenza impugnata, il carattere “poco opportuno”, relativamente al “pregresso comportamento provocatorio”.
In tale contesto la Corte ha ribadito che il giudice del merito non avrebbe tenuto nel dovuto conto la contiguità cronologica tra il “fatto ingiusto” e lo “stato d’ira” conseguente allo stesso il che appare tanto più grave in quanto, tra l’invio della nota e la risposta sarebbero passati ben nove giorni. In altri termini se la risposta fosse stata inviata subito dopo la missiva, si poteva invocare la discriminante dello stato d’ira.


IL DRAMMA DEL TERREMOTO IN ABRUZZO

IL DRAMMA DEL TERREMOTO IN ABRUZZO
Tutti i Soci dell’Associazione, ed io con loro, vi siamo vicini, così il Presidente dell’Associazione Nazionale Notifiche Atti, Pietro Tacchini, si indirizza ai colleghi Messi Comunali dell’Abruzzo colpita dal terremoto. Alle persone terribilmente colpite nei loro cari, nelle loro case e nei loro luoghi di vita quotidiana dalla forza devastante del terremoto che si è abbattuto in Abruzzo desidero dire semplicemente: tutti i Soci, ed io con loro, vi siamo vicini nel vostro dolore, condividendo la vostra sofferenza.
Sono sicuro che lo Stato, eserciterà il massimo sforzo per
-conclude Tacchini – fronteggiare l’emergenza e darvi tutta la sicurezza per il futuro.


BUONA PASQUA!!!

 
Auguri di una Pasqua serena e piena di armonia. Che sia l’occasione per comprendere meglio noi stessi e chi ci circonda, e  di conseguenza  per condividere pacificamente con tutti la nostra quotidianità. Auguri a tutti Voi! 


Giro di vite contro i ritardi nella pubblica amministrazione

La Corte di Cassazione ha detto stop ai ritardi nella pubblica amministrazione e invita i dipendenti pubblici a rispondere subito ai cittadini. Lecita dunque la condanna di chi con il proprio silenzio o con risposte date in ritardo non evade le richieste dei cittadini.

La Corte, in particolare, ha convalidato una condanna per omissione di atti d’ufficio inflitta ad un ingegnere addetto ai servizi tecnici comunali che non aveva dato risposta a una formale richiesta di una cittadina. La donna che era stato oggetto di un provvedimento di espropriazione aveva chiesto al tecnico di prendere visione di un atto con cui la Regione aveva ceduto al Comune aree destinate alla realizzazione di un parcheggio. Nonostante la richiesta formale il tecnico non aveva mai dato una risposta esauriente e il caso finiva in Tribunale con conseguente condanna dell’Ingegnere per omissione di atti d’ufficio. La condanna è stata ora confermata dai giudici della Sesta Sezione Penale della Corte (sentenza 14466/2009) che hanno ritenuto sussistere la fattispecie prevista e punita dall’art. 328 c.p. ossia l’omissione di atti di ufficio. Rischia dunque una condanna penale il dipendente della Pubblica amministrazione che temporeggia davanti alle richieste di un cittadino oppure che resta in silenzio. Nelle motivazioni della sentenza la Corte di Cassazione spiega che ”Resta ingiustificato il silenzio omissivo del pubblico ufficiale perché, nell’economia del delitto di cui all’art. 328 c.p., una volta individuato l’interesse qualificato alla conoscenza da parte del richiedente, anche la risposta negativa dell’ufficio adito, in termini di indisponibilità, oppure di parziale disponibilità della documentazione richiesta, fa parte del contenuto dell’atto dovuto al cittadino, il quale, sull’informazione negativa, può organizzare la sua strategia di tutela, oppure rinunciare in modo definitivo ad ogni diversa sua pretesa”. La severità della norma, spiega la Corte, è ”posta a tutela del privato ed è strutturata in modo da impedire sacche di indebita inerzia nel compimento di atti dovuti”. Già la Corte d’appello aveva confermato la condanna di primo grado ed è risultato inutile il ricorso in Cassazione giacché gli Ermellini hanno avvertito che ”il silenzio omissivo del pubblico ufficiale” o gli eventuali ritardi nelle risposte al cittadino saranno puniti severamente.


Assemblea Generale: eletti i nuovi Organi dell’Associazione

L’Assemblea Generale dell’Associazione, riunitasi oggi ad Ancona ha eletto i nuovi Organi, tra i quali ha riconfermato per acclamazione alla guida dell’Associazione Tacchini Pietro quale Presidente Nazionale e Baldoni Margherita quale vice Presidente Nazionale .


Lavoro pubblico: il via della riforma con la consultazione telematica

Il Ministro della Pubblica Amministrazione e Innovazione, di concerto con il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, hanno avviato una consultazione pubblica telematica, in vista della definizione dei decreti attuativi previsti dalla legge di riforma del lavoro pubblico. In particolare, la consultazione è stata avviata con lo scopo di raccogliere i contributi di circa 2900 operatori della PA e di circa 70 esperti selezionati sulle opzioni di attuazione della legge delega di riforma del lavoro pubblico.
E’ stato quindi chiarito che il provvedimento (che fa parte della riforma della PA approvata dal Consiglio dei Ministri il 18.6.08 ed è legge dal 25.2.09) ha lo scopo di convergere gli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali, di migliorare l’efficienza e l’efficacia delle procedure della contrattazione collettiva, di introdurre sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strutture amministrative, finalizzati ad assicurare l’offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità, di valorizzare il merito e il conseguente riconoscimento di meccanismi premiali, di definire un sistema più rigoroso di responsabilità dei dipendenti pubblici, di introdurre strumenti che assicurino una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali su base territoriale, di valorizzare il requisito della residenza dei partecipanti ai concorsi pubblici, qualora ciò sia strumentale al migliore svolgimento del servizio. Inoltre, i vincitori delle procedure di progressione verticale dovranno permanere per almeno 5 anni nella sede della prima destinazione e sarà considerato titolo preferenziale la permanenza nelle sedi carenti di organico.


La mancata notifica del ricorso al controinteressato per colpa dell’ufficiale giudiziario costituisce errore scusabile

Sussiste errore scusabile, tale da consentire di sanare un eventuale difetto nella presentazione (rectius, notificazione) del ricorso, nell’ipotesi in cui esso non sia stato ritualmente notificato per mancata osservanza, da parte dell’ufficiale giudiziario addetto, delle norme del codice di procedura civile in materia di notificazione degli atti giudiziari.

E’ questa la conclusione cui è giunto il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 430 del 05/02/08, che ha annullato la sentenza n. 3493/2007 emessa dal T.A.R. Veneto (in ordine ad una questione inerente l’annullamento di un permesso di costruire), con rinvio allo stesso Tribunale per la definizione del ricorso. Nello specifico, l’ufficiale giudiziario, “pur essendosi recato presso la sede della ditta controinteressata (nel domicilio anche indicato nella originaria domanda di permesso di costruire), ha avuto notizia del trasferimento di essa, senza porre in essere le ulteriori attività necessarie per il perfezionamento della notifica”. In tal modo, ha ingenerato nella ricorrente (ma, a quanto pare, anche nel Giudici di I°, che non ha disposto il rinnovo della notifica) la convinzione che il ricorso fosse stato ” appunto ” ritualmente notificato alla ditta controinteressata, proponente l’appello de quo (la quale, ovviamente, non si era costituita in prime cure).

La pronuncia in epigrafe ha, comunque, fatti salvi gli effetti della domanda, dichiarando l’annullamento della sentenza emessa dal T.A.R. a seguito del mancato rispetto del principio del contraddittorio (per non essere, comunque, il ricorso introduttivo ricevuto dalla controinteressata, la quale non ha preso parte al giudizio di I°), e disponendo il rinvio al T.A.R. emittente per la decisione nel merito del ricorso. La mancata notifica a carico del ricorrente non è stata sottoposta a censura di annullamento sic et simpliciter della sentenza gravata (pure dovuto in caso di mancata integrazione del contraddittorio), in sono stati ritenuti sussistenti “i presupposti per applicare il beneficio dell’errore scusabile”, con conseguente possibilità di sanatoria del vizio dedotto. In particolare, questi sarebbero costituiti dalla tempestiva consegna all’ufficiale giudiziario del ricorso (che alla luce del noto orientamento giurisprudenziale è ritenuto adempimento sufficiente ai fini della tempestività delle notificazione stessa da parte del richiedente), in uno con la mancata osservanza, da parte dei quest’ultimo, degli incombenti posti dalla legge, nonché con la corretta indicazione della destinazione di notifica dell’atto stesso. I Giudici di Palazzo Spada tornano, così, sul dibattuto tema dell’errore scusabile, a breve distanza da un’altra, interessante pronuncia (T.A.R. Lazio, Sez. III-quater, n. 900 del 16/01/08), con la quale era stata sanata la tardività della notificazione del ricorso, a seguito dell’erronea indicazione del termine ad opponendum contenuta nel provvedimento amministrativo impugnato.

Nella predetta pronuncia, il Tribunale ha avuto occasione di ribadire come l’istituto dell’errore scusabile sia da ritenere come finalizzato “a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, e si fonda su circostanze oggettive (quali comportamento fuorviante dell’amministrazione, complessità della fattispecie, difficoltà di qualificazione dell’atto da impugnare e i suoi effetti, ecc.) che abbiano potuto ingenerare l’errore incolpevole dell’interessato” (così, T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 06/11/06, n. 3501, cit.).


Notifica al professionista? Invalida se fatta al suo studio

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 21778/2008) ha stabilito che non è valida la notifica degli atti processuali che vengono fatte al professionista nel suo studio. Ciò a meno che il professionista non abbia eletto nel suo studio il domicilio. Più in particolare, la Corte ha precisato che “l’art. 141 cod. proc. civ., che regola la notificazione presso il domiciliatario, va coordinato con l’art. 147 cod. civ., secondo cui il domicilio eletto rappresenta una deroga al domicilio legale, atteso che la norma prevede che la dichiarazione di elezione di domicilio deve riguardare determinati atti o affari ed essere espressa per iscritto in modo inequivoco”.
Nel caso di specie, “pertanto – prosegue la Corte -, non può ritenersi che la notificazione sia stata effettuata a quello che la resistente ha erroneamente considerato il domicilio eletto con riferimento al rapporto contrattuale intercorso fra le parti, atteso che sarebbe stata al riguardo necessaria una specifica dichiarazione del […] secondo le forme di cui sopra si è detto”.
Infine, ha aggiunto la Corte, “indipendentemente dalle modalità e dalla qualità della persona che ebbe a ricevere l’atto, la notificazione effettuata direttamente allo studio del professionista, cioè in uno dei luoghi indicati in ordine successivo dall’art. 139 cod. proc. civ., anziché alla residente (non coincidente con il primo), è da ritenere affetta da nullità ma non è certo inesistente, atteso che:

a) è inesistente la notificazione fatta a soggetto o in luogo totalmente estraneo al destinatario, mentre è nulla e suscettibile di sanatoria quella effettuata in luogo a persona che, pur diversi da quelli indicati dalla norma processuale, abbiano un qualche riferimento con il destinatario dell’atto;

b) poiché l’ordine dei luoghi indicati dall’art. 139 cod. proc. civ. primo e sesto comma cod. proc. civ. per la notifica e se non possibile in mani proprie, ai sensi dell’art. 138 cod. proc. civ. in successione preferenziale, soltanto se la residenza e il domicilio del destinatario sono nello stesso luogo la notifica può effettuarsi alternativamente nell’una o nell’altro; se invece i rispettivi luoghi sono diversi, la notifica nel domicilio è nulla, se la residenza non è ignota;

c) costituisce onere del notificante compiere le ricerche anagrafiche necessarie per accertare la residenza effettiva del destinatario dell’atto da notificare”.


Il Fisco è responsabile per accertamenti inutili

Danni al contribuente se il fisco sbaglia.
Infatti il cittadino ha diritto di impugnare un accertamento a lui notificato anche se l’ufficio ha sbagliato e quindi, di fatto, quell’atto non può avere nessuna conseguenza. Nelle sedi opportune (davanti all’Ago) potrebbe chiedere i danni subiti per aver consultato un professionista circa gli effetti “dell’atto” definito poi innocuo dall’amministrazione finanziaria.

La buona notizia per i cittadini arriva dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 4622 del 26 febbraio 2009, ha accolto il ricorso di un contribuente.
In definitiva l’ufficio delle imposte – si legge nelle motivazioni – non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo tanto non accade nulla. Ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso emittente c’è da chiedersi perché sia stato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno che può comunque produrre nella sfera giuridica del destinatario, a prescindere dalle intenzioni dell’emittente (in un caso come quello in esame, ad esempio, è evidente che il destinatario degli atti ha la necessità di rivolgersi ad un professionista per verificare se e quali effetti possa produrre un atto definito innocuo, dalla controparte, anche se poi in ipotesi l’atto si riveli effettivamente innocuo, contrariamente a quanto avvenuto nella specie).


Incentivo alla progettazione: art. 92 com. 5 del DLGS 163/2006

La Corte dei Conti Lombardia con delibera n. 40/2009/PAR “Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Cologno al Serio(BG) chiede il parere in ordine alla corresponsione degli incentivi per la progettazione ai sensi dell’art. 92, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, Codice degli appalti pubblici” ha chiarito che il divieto di retroattività  della legge costituisce un principio generale dell’ordinamento e la giurisprudenza costituzionale ha ribadito che il dato normativo precettivo della retroattività deve essere esplicitato dalla norma che lo introduce.
La Corte dei Conti smentisce perciò quanto stabilito dalla Circolare 36 del 23 dicembre 2008 dove si stabiliva che la nuova percentuale dello 0,5 doveva essere applicata con un criterio “di cassa” e cioè a tutta l’attività progettuale non ancora remunerata alla data del 31 dicembre 2008.
Dunque in assenza di disposizioni a carattere retroattivo ogni dipendente matura il diritto al pagamento dei corrispettivi previsti dalla norma al momento in cui le prestazioni sono state svolte.


Garante Privacy: provvedimento dati biometrici vietati per la rilevazione dell’orario di lavoro

A testimonianza dell’importanza e del sempre più frequente utilizzo delle tecnologie biometriche nella vita delle aziende, il Garante della privacy è stato chiamato a pronunciarsi sulla liceità del trattamento effettuato da una società  che ha installato un sistema di rilevazione di dati biometrici dei dipendenti basato sull’impiego delle loro impronte digitali, “finalizzato esclusivamente alla rilevazione delle presenze del personale sul luogo di lavoro al fine di commisurare la retribuzione ordinaria e straordinaria da corrispondere”.

Facendo riferimento alle proprie “Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro privati”, il Garante della privacy ha vietato alla società di proseguire il trattamento, rilevando che

– nel caso di specie non risultano “comprovate esigenze idonee a giustificare il ricorso all’utilizzo di dati biometrici nel contesto lavorativo aziendale in relazione all’accesso ad “aree sensibili”, avuto riguardo alla natura delle attività ivi svolte (cfr. punto 4 delle citate “Linee guida”)

– la società ha informato le organizzazioni sindacali aziendali sull’installazione del sistema e sul correlato trattamento di dati, senza che dagli elementi acquisiti in atti risulti tuttavia raggiunto l’accordo previsto dall’art. 4, secondo comma, della legge n. 300 del 1970 o comunque rilasciata la necessaria autorizzazione da parte della competente articolazione periferica del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.


Autovelox ben visibili, altrimenti è truffa

Non tutte le multe dell’autovelox sono “corrette”. Se per esempio l’apparecchio di rilevazione non è segnalato agli automobilisti “con adeguato anticipo e in modo da garantirne il tempestivo avvistamento” – almeno 400 metri tra postazione di controllo e cartello di avviso, secondo le direttive del ministero dell’Interno – chi ha piazzato lo strumento mostra di tradire lo spirito della normativa in materia, che è quello di “prevenire incidenti più che reprimere”. Se poi gli autovelox sono affidati in gestione a un privato che arriva a nascondere gli apparecchi all’interno di macchine in sosta pur di incrementare le riscossioni il rischio, per lui, è quello di una condanna per reato di truffa agli automobilisti.

Questa la conclusione che si trae dalla sentenza 11131/2009 della seconda sezione penale della Cassazione che ha confermato il sequestro preventivo nei confronti di un’impresa titolare della concessione per il noleggio delle apparecchiature autovelox in tre Comuni calabresi. L’impresa attraverso apparecchiature autovelox ben occultate all’interno di autovetture, aveva sommerso di multe agli automobilisti della zona tratti in inganno dagli apparecchi nascosti.

Nel respingere la richiesta di dissequestro degli autovelox invocato dal titolare della Speed Control, i giudici hanno confermato “la sussistenza del fumus del reato di truffa” dovuto al fatto che l’articolo 142 del Codice della strada “prevede che le postazioni di controllo debbano essere segnalate e ben visibili”.

Altrettanto ribadisce la circolare del ministero dell’Interno 3 agosto 2007 che dà anche le misure della segnalazione: 400 metri prima del punto in cui la “macchinetta” è piazzata. Niente del genere era invece avvenuto nel territorio dei tre Comuni interessati (Fiumefreddo Bruzio, Belmonte Calabro e Longobardi): nessuna segnalazione preventiva delle postazioni autovelox, che venivano invece abilmente nascoste alla vista dal concessionario degli strumenti il quale, “ricevendo un compenso parametrato su ogni verbale di infrazione per il quale era riscossa la relativa sanzione, era interessato a incrementare le riscossioni”.


Legittima la nullità delle vecchie “cartelle mute”: Sentenza della Corte Costituzionale

Con Sentenza 23 febbraio 2009, n. 58, depositata in Cancelleria il 27 febbraio, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 4-ter, D.L. n. 248/2007, sollevata da gran parte della giurisprudenza di merito.

In questo modo, la Consulta “legittima” la norma in oggetto, che prevede la nullità delle c.d. “cartelle mute”, ossia delle cartelle di pagamento prive dell’indicazione dei responsabili:

– del procedimento di iscrizione a ruolo,
– di emissione/notificazione delle cartelle stesse,
esclusivamente con riferimento a quelle consegnate agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008.