Carta d’identità elettronica: sì della Conferenza Stato-Città sullo schema di decreto

Il parere favorevole nella seduta del 17 dicembre 2015 sulle modalità tecniche di emissione e rilascio.
La Conferenza Stato-città ed autonomie locali ha espresso parere favorevole sullo Schema di decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ed il Ministro dell’economia e delle finanze, recante “Modalità tecniche di emissione della carta di identità elettronica”.
Nel comunicato diramato dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali si precisa che il “decreto definisce le caratteristiche tecniche, le modalità di produzione, di emissione, di rilascio della carta di identità elettronica (CIE) come previsto dall’articolo 10, comma 3 del decreto legge n. 78 del 2015, che ha abrogato le disposizioni che istituivano il Documento digitale unificato (la CIE unificata alla tessera sanitaria).
L’emissione della CIE è riservata al Ministero dell’interno. I Comuni, che già emettono la CIE, avviano il processo di rilascio della CIE secondo le regole tecniche e di sicurezza del decreto, nei tempi e con le modalità stabilite dalla Commissione interministeriale permanente della CIE, appositamente istituita presso il Ministero dell’interno e composta, tra gli altri, da un rappresentante dei Comuni. Nei restanti Comuni, il rilascio della CIE d awiato secondo il piano definito dal Ministero dell’Interno, sentita la predetta Commissione.
Il Ministero dell’Interno assicura ai Comuni il supporto necessario mettendo a disposizione l’infrastruttura informatica ubicata presso il proprio Centro Nazionale dei Servizi Demografici. L’ANCI ha chiesto di valutare la possibilità che i cittadini possano anche ritirare direttamente presso gli uffici comunali le carte d’identità elettroniche, come alternativa al già previsto recapito a mezzo posta presso l’indirizzo di residenza degli interessati”.
Fonte: Conferenza Stato-città ed autonomie locali
La Direzione
(21 dicembre 2015)


CONTROLLI SUI DIPENDENTI

Privacy-400x250La posizione garantista del Garante privacy

Secondo il Garante della privacy, il contenuto di comunicazioni – di tipo elettronico o telematico – scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro godono di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale.
Il caso: una dipendente ha lamentato l’illecita acquisizione di conversazioni, avute con alcuni clienti/fornitori, poste poi alla base del suo licenziamento.
Il Garante, nell’accogliere il ricorso della lavoratrice, ha stabilito che il datore di lavoro è incorso in una grave interferenza nelle comunicazioni, attuata (per sua stessa ammissione) attraverso l’installazione di un software sul computer assegnato alla dipendente in grado di visualizzare sia le conversazioni effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro prima di uscire dall’azienda, sia quelle avvenute successivamente da un computer collocato presso la propria abitazione.
Una procedura, secondo il Garante, in evidente contrasto con le “Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet” e con le disposizioni poste dall’ordinamento a tutela della segretezza delle comunicazioni, nonché con la stessa policy aziendale approvata anche dalla competente Direzione territoriale del lavoro.
Pur spettando, infatti, al datore di lavoro definire le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali, occorre comunque che queste rispettino la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché i principi di correttezza (secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti di dati devono essere rese note ai lavoratori), di pertinenza e non eccedenza stabiliti dal codice privacy.
Si tratta di principi da tenere ben presenti, in quanto l’esercizio del controllo da parte del datore di lavoro può determinare la raccolta di informazioni personali, anche non pertinenti, di natura sensibile oppure riferite a terzi.


Buone Feste 2016

Buone feste 2016

“Alla serenità nulla contribuisce meno della ricchezza e nulla più della salute”


Stipula dei contratti d’appalto “in forma elettronica”

Con comunicato del Presidente, l’ANAC ha precisato che “anche la scrittura privata conclusa tramite scambio di lettere ….. dovrà essere redatta in modalità elettronica “ (art. 11, comma 13, d.lgs. 163/2006 ).

Leggi: Stipula dei contratti d’appalto in forma elettronica 2015


Lettera inviata all’INPS: modalità di notificazione degli AVA. Circolare associazione A.N.N.A.

L’Associazione Nazionale Notifiche Atti che ha come scopo la valorizzazione della figura del Messo Comunale, sollecitata dai suoi iscritti in relazione alle richieste pervenute per la notificazione degli avvisi di addebito inviati dagli uffici dell’INPS che richiedono che si provveda alla notificazione di tali atti mediante il ricorso alla procedura di cui all’art. 60 del DPR 600/1973, è intervenuta per chiarire a quali norme si debba fare riferimento per la notificazione degli AVA con la circolare n. 001/2015.

Lettera inviata al Presidente dell’I.N.P.S.: Lettera notificazione AVA 2015


PA DIGITALE POSSIBILE – Macerata 23.10.2015

L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
NELL’AMBITO DEL MASTER UNIVERSITARIO IN FORMAZIONE, GESTIONE
E CONSERVAZIONE DI ARCHIVI DIGITALI IN AMBITO PUBBLICO
E PRIVATO (FGCAD) – EDIZIONE 2014/2015

organizza

SEMINARIO DI STUDI

pa_digitale_possibile

Venerdì 23 ottobre 2015

Aula A Ex Monastero S. Chiara

Via Garibaldi 20 – Macerata

Presentazione
Il Codice dell’amministrazione digitale disegna uno scenario in cui cittadini, pubbliche amministrazioni e imprese interagiscono on-line, si scambiano documenti per via telematica, erogano servizi o ne fruiscono con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’obiettivo del legislatore è chiaro: ridurre i costi e aumentare l’efficienza dell’azione amministrativa rispondendo anche alle esigenze di innovazione della società contemporanea.
Conseguire concretamente questi risultati, però, non è semplice in quanto l’introduzione delle tecnologie informatiche è una condizione necessaria, ma non sufficiente. La transizione dal documento cartaceo al documento informatico e, in generale, la dematerializzazione dei procedimenti amministrativi, infatti, richiede l’adozione di un nuovo modello organizzativo e procedurale, un modello specificamente disegnato per l’amministrazione pubblica digitale.
Il seminario si propone di analizzare queste problematiche, presentando l’esperienza concreta della Regione Emilia-Romagna che, con il supporto di Lepida S.p.A. e dei suoi partner di mercato, ha costruito in questi anni un percorso di innovazione della pubblica amministrazione regionale, registrando un impatto molto positivo sui servizi resi all’utenza e sull’operatività degli uffici.
Si tratta di un’iniziativa che nasce nell’ambito del modulo di «Formazione permanente» del Master in «Formazione, gestione e conservazione degli archivi digitali (FGCAD)» e si prefigge l’obiettivo di presentare un caso di studio come momento di aggiornamento sulle possibili soluzioni tecnologiche e organizzative per attuare concretamente il modello della «PA digitale».

Programma: PA DIGITALE POSSIBILE _ FGCAD

Per iscrizioni


Nuove condizioni dei servizi postali universali dal 1° ottobre 2015

Significative novità, introdotte nei recenti provvedimenti della normativa di settore, hanno determinato la rimodulazione dell’offerta dei servizi postali universali di Poste Italiane, con decorrenza dal 1° ottobre 2015 così come di seguito indicato:

  • a) sarà rilasciata una nuova gamma di servizi di base di posta ordinaria, “Posta4” / “Posta4pro” per l’Italia e “Postamail Internazionale” per l’estero. Sono previste tariffe a partire da euro 0,95 per la Posta4, euro 0,85 per la Posta4pro ed euro 1,00 per la Postamail Internazionale;
  • b) saranno ridefiniti i servizi di posta prioritaria, “Posta1” / “Posta1pro” per l’Italia e “Postapriority Internazionale” per l’estero, arricchiti con una funzionalità che – previa apposizione dell’apposita etichetta che contiene un codice – permette di ricevere nel caso della “Posta1” e “Posta1pro” per l’Italia l’informazione sull’esito di consegna e, nel caso della Postapriority Internazionale, l’informazione sull’arrivo al centro di scambio internazionale di Poste Italiane. Sono previste tariffe a partire da euro 2,80 per Posta1, euro 2,10  per Posta1pro ed euro 3,50  per Postapriority Internazionale (per l’estero Zona 1);
  • c) relativamente ai servizi online, saranno disponibili i servizi di Posta4online (per l’interno) e Postamail Internazionale online (per l’estero). Per invii fino 20 grammi (da 1 a 3 fogli), limitatamente all’attività di recapito, sono previste tariffe di euro 0,85  (per l’interno) ed euro 1,00 (per l’estero, Zona 1). Previa conferma della relativa disponibilità sulla pagina web dedicata a ciascun canale di accesso, saranno erogati anche i corrispondenti servizi di Posta1 Online e Postapriority Internazionale online;
  • d) Le tariffe dell’Avviso di Ricevimento (A.R.) dei seguenti servizi saranno:
    – singolo per l’interno – per Posta Raccomandata Retail (ivi comprese le comunicazioni connesse alla notifica degli Atti Giudiziari), nonché, ove accettati presso gli uffici postali, Posta Assicurata Retail, Pacco Ordinario Nazionale e pieghi di libri – euro 0,95
    – multiplo per l’interno – Posta Raccomandata Pro, Posta Raccomandata Smart, Posta Raccomandata online, Posta Assicurata Smart e, laddove accettati presso i centri abilitati, Posta Assicurata Retail, Pacco Ordinario Nazionale e pieghi di libri – euro 0,70
    – per l’estero – Posta Raccomandata Internazionale, Posta Assicurata Internazionale, M-Bags Economy raccomandato, Pacco Ordinario Internazionale – euro 1,00.
  • e) gli invii di posta Ordinaria, Raccomandata, Assicurata e del Pacco Ordinario Nazionale saranno consegnati secondo il nuovo obiettivo di recapito J+4 (4 giorni lavorativi oltre quello di accettazione) nelle percentuali riportate, in dettaglio, nella Carta della Qualità dei servizi postali;
  • f) in alcune località, la consegna degli invii e la vuotatura delle cassette saranno effettuate a giorni alterni su base bi-settimanale. Di conseguenza, per la sola Posta1 gli obiettivi di velocità variano, da 1 giorno (J+1) a 3 giorni lavorativi (J+3) oltre a quello di accettazione, a seconda della zona di raccolta / destinazione, secondo quanto riportato sulla Carta dei servizi postali universali.
 Le informazioni di dettaglio relative alle variazioni introdotte sono disponibili negli allegati di seguito riportati nonché presso gli Uffici Postali e negli altri centri di accettazione.


Violazioni al Codice della Strada, aumentano le spese

Le spese di accertamento e notifica sui verbali di violazione al codice della strada, accertate dalla Polizia Stradale, passano a 15,23 euro. Somme che, a seguito di intervenute modifiche normative o sulla base di maggiori o minori costi di accertamento, potranno essere rideterminate con successivi provvedimenti. È quanto prevede il testo del dm Interno 8.7.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 214 15.09.2015 con cui si determinano i nuovi importi a carico dei trasgressori di norme del Codice della strada, quando tali violazioni sono accertate dal personale della Polizia di Stato. Pertanto, a partire dal 16 settembre 2015, i verbali di accertamento conteranno, oltre all’importo della sanzione amministrativa, anche la somma di 15,23 euro quale spesa di notifica, i cui costi sono anticipati da Poste Italiane. Il dm specifica, altresì, che entro il 30 novembre e il 31 maggio di ogni anno il Servizio Polizia Stradale provvede a verificare le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione dovute a Poste, così da assicurare l’idonea copertura economica delle suddette attività. Con tali somme, si legge nel decreto, si rimborsa la società Poste Italiane per la fornitura degli adeguamenti dei software, già nella disponibilità della Polizia Stradale, nonché per i costi relativi all’hardware e al software di base necessari a supportare tali applicativi. Sotto questo profilo, il dm prevede, inoltre, che i vertici della Polstrada potranno segnalare una rideterminazione degli importi dovuti a titolo di spese di notifica, alla luce di intervenute modifiche normative, ovvero sulla base dei maggiori o minori costi di accertamento per il responsabile del pagamento, derivanti dalle innovazioni tecnologiche e dall’applicazione di nuove soluzioni informatiche ai servizi resi da Poste Italiane alla stessa Polizia Stradale.

MINISTERO DELL’INTERNO

DECRETO 8 luglio 2015

Determinazione delle spese di notifica e accertamento a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada. (15A06864)

(GU n.214 del 15-9-2015)

IL DIRETTORE CENTRALE

dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale

Visto l’art. 208, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 («codice della strada»), di seguito indicato come codice della strada, che devolve allo Stato i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada accertate da funzionari ed agenti dello Stato;

Visto l’art. 389 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, recante il Regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada, che disciplina la ricevibilità e gli effetti dei pagamenti delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada in misura inferiore a quella prevista per l’estinzione dell’obbligazione o fuori dal termine per il pagamento in misura ridotta, prima della formazione del ruolo;

Visto il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 12 luglio 2010, con il quale è stato istituito un conto corrente postale nazionale intestato al Ministero dell’interno – Polizia Stradale;

Considerato che il Dipartimento della pubblica Sicurezza del Ministero dell’interno, in linea con le prescrizioni del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni, recante il codice per l’amministrazione digitale, ha attivato procedure esecutive per la notifica ed il pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato, con l’affidamento di parte dei servizi alla Società «Poste Italiane S.p.A.», sulla base dell’avvenuta stipula del contratto in forma pubblica amministrativa n. 29414 di rep. del 23 dicembre 2013, con scadenza al 31 marzo 2016, regolarmente registrato alla Corte dei conti in data 11 marzo 2014;

Considerato che i costi per il servizio di notificazione degli atti amministrativi effettuato dalla Società «Poste Italiane S.p.A.» ai sensi dell’art. 8 della legge 20 novembre 1982, n. 890 e successive modificazioni, nonché’ per lo svolgimento di alcune attività materiali a supporto dell’attività di accertamento svolto da personale della Polizia di Stato, sono sostenuti dalla predetta Società e sono da ricomprendere tra le spese di notifica e spese di accertamento, che, ai sensi dell’art. 201, comma 4, del codice della strada, sono a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada;

Atteso che l’art. 3 del citato contratto fissa in Euro 12,23, I.VA compresa, il costo della gestione completa del servizio di notifica, di incasso e rendicontazione dei pagamenti, successivamente ridotto, a far data dal 1° dicembre 2014, ad Euro 11,86, I.V.A. compresa, ai sensi della delibera AGCOM 728/13/CONS del 19 dicembre 2013;

Richiamata la convenzione n. 29174 di rep. del 25 maggio 2011, stipulata sempre con la Società «Poste Italiane S.p.A.», con la quale è stata affidata alla stessa la gestione di talune attività complementari e necessarie alla gestione del processo sanzionatorio, ivi comprese quelle relative agli accertamenti, la fornitura degli adeguamenti dei software, già nella disponibilità della Polizia Stradale e necessari all’esecuzione delle parti di processo ad essa delegate, nonché la fornitura dell’hardware e del software di base necessari a supportare tali applicativi;

Viste le comunicazioni n. 300/A/7254/14/131/M/11/8/8/1 del 10 ottobre 2014 e n. 300/A/2014/15/131M/11/8/8/1 del 18 marzo 2015 con le quali il Direttore centrale per la polizia Stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato ritiene congruo rideterminare le spese di notifica ed accertamento da porre a carico pro quota di ciascun contravventore destinato al pagamento delle sanzioni amministrative in complessivi Euro 15,23, I.V.A. compresa, composti da Euro 11,86, I.V.A. compresa, per spese di notifica ed Euro 3,37, I.V.A. compresa, per spese di accertamento;

Visto l’art. 8 del citato decreto interministeriale 12 luglio 2010, che affida al Direttore Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale la determinazione con apposito decreto dell’importo delle spese di notifica e delle spese di accertamento da porre a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato;

Richiamata la nota n. 600/A/INF/0005286/15 del 21 maggio 2015 con la quale l’Ufficio Tecnico e Analisi di Mercato della Direzione Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale ha confermato la determinazione del sopraindicato importo complessivo di Euro 15,23, I.V.A. compresa, in ossequio alla previsione di cui al sopramenzionato decreto interministeriale;

Decreta:

Art. 1

A decorrere dalla data di pubblicazione del presente decreto sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione di violazioni al codice della strada, da porre a carico dei responsabili del pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada accertate da personale della Polizia di Stato, sono determinate in Euro 15,23, I.V.A. compresa, composti da Euro 11,86, I.V.A. compresa, e da Euro 3,37, I.V.A. compresa, quali spese di notifica e di accertamento.

Art. 2

Le somme pagate dai soggetti tenuti al pagamento a titolo di rimborso delle spese di notifica e delle spese di accertamento di cui al precedente art. 1, i cui costi sono sostenuti dalla Società «Poste Italiane S.p.A.», sono versate con operazione di postagiro ovvero di bonifico a favore della medesima Società dal funzionario responsabile della gestione del conto corrente postale nazionale intestato a Ministero dell’interno – Polizia Stradale, a seguito della presentazione di apposita fattura emessa dalla menzionata Società, intestata al Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica Sicurezza – Servizio Polizia Stradale come previsto dai menzionati contratti.

Art. 3

Entro il 30 novembre ed il 31 maggio di ogni anno il Servizio Polizia Stradale provvede a verificare le spese di accertamento e di notifica dei verbali di contestazione effettivamente dovute alla Società «Poste Italiane S.p.A.», per assicurare la idonea copertura economica delle suddette attività svolte dalla stessa Società «Poste Italiane S.p.A.».

Il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato provvede a segnalare alla Direzione Centrale dei Servizi Tecnico-Logistici e della Gestione Patrimoniale la necessità di rideterminare gli importi di cui all’art. 1 in ossequio alle previsioni di cui all’art. 8 del decreto interministeriale 12 luglio 2010, alla luce di intervenute modifiche normative, ovvero sulla base dei maggiori o minori costi di accertamento per il responsabile del pagamento, derivanti dalle innovazioni tecnologiche  e dall’applicazione di nuove soluzioni informatiche ai servizi resi dalla Società «Poste Italiane S.p.A.» alla Polizia Stradale.

Art. 4

Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello dell’avvenuta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Roma, 8 luglio 2015

Il direttore centrale: Franceschelli

Registrato alla Corte dei conti il 1° settembre 2015

Interno, foglio n. 1732


La PEC del Governo in “pensione” dal 18 settembre 2015

CEC-PACDa domani, 18 settembre, il servizio PostaCertific@, la PEC governativa che consentiva esclusivamente lo scambio di comunicazioni, aventi valore legale, paragonabile a quello di una raccomandata con ricevuta di ritorno, tra enti pubblici, cittadino e viceversa, non sarà più attiva.

Le caselle che fino a dicembre 2014 erano attivabili gratuitamente, dal singolo cittadino, erano infatti semplicemente CEC-PAC, acronimo di Comunicazione Elettronica Certificata fra Pubblica Amministrazione e Cittadino.

Fortissimamente voluta dall’On. Renato Brunetta, la CEC-PAC si è rivelata – all’atto pratico – un fallimento. Stando alle statistiche, infatti, ben l’82% delle caselle di PostaCertificat@ non avrebbe mai inviato alcun messaggio e qualcosa come 500.000 richieste di attivazione sarebbero rimaste inevase perché i cittadini non si sono mai presentati presso gli uffici postali per confermare la loro identità ed “autenticare” la casella.

Quindi, a partire dal 18 settembre la PEC governativa (PostaCertificat@) andrà definitivamente in pensione perché non sono stati sin qui raggiunti gli obiettivi fissati inizialmente.

L’Agenzia per l’Italia digitale (AGID) ha confermato che la chiusura del servizio (le caselle CEC-PAC dei cittadini non saranno più accessibili; potranno essere eventualmente richiesti solamente i log relativi all’attività delle stesse entro e non oltre il 17 marzo 2018) porterà ad un risparmio, per le casse dello Stato, quantificabile in circa 19 milioni di euro.

I “numeri complessivi” non sono stati comunque resi noti soprattutto considerando che soltanto per l’appalto iniziale Telecom Italia e Poste Italiane, si aggiudicarono un appalto per la fornitura del servizio del valore di 50 milioni di euro.

Nonostante sia un “unicum” tutto italiano (altri Paesi non hanno sentito il bisogno di dotarsi di una simile soluzione continuando a preferire standard riconosciuti a livello internazionale come S/MIME e OpenPGP), l’attivazione di un account di posta elettronica certificata (PEC) resta un adempimento a carico di professionisti ed imprese. Inoltre, la disponibilità di un indirizzo PEC resta un pressante obbligo, ad esempio, allorquando si debba partecipare a selezioni pubbliche o qualora si debba colloquiare con la pubblica amministrazione.


Cartelle esattoriali notificate via Pec dal 1° giugno 2016

Equitalia potrà decidere, per i privati cittadini, se continuare a usare il canale tradizionale o quello telematico, ma per imprenditori individuali, società e professionisti la posta elettronica certificata sarà obbligatoria.

Si ampliano, così, i termini del «lieve inadempimento»: i contribuenti non decadranno dal beneficio della rateazione se la prima rata viene versata con un ritardo non superiore a sette giorni (e non più cinque). Mentre cambia nuovamente il meccanismo di remunerazione degli agenti della riscossione: dall’attuale aggio dell’8%, che resterà in vigore fino a tutto il 2015, si passerà a un sistema modulare, con pagamenti dall’1% al 6% a carico dei debitori, una compartecipazione degli enti creditori (3% delle somme riscosse entro i 60 giorni) e anche un contributo dell’Agenzia delle entrate da 125 milioni di euro totali fino al 2018.

È quanto prevede la nuova bozza del dlgs di riforma della riscossione, attuativo della delega fiscale, esaminato dal pre consiglio dei ministri alla luce dei rilievi formulati dal parlamento.

Notifiche online

La novità più rilevante inserita nel decreto è l’estensione generalizzata della notifica via Pec delle cartelle esattoriali. L’articolo 26, comma 2 del dpr n. 602/1973 viene rafforzato al punto che per ditte individuali, società e professionisti iscritti in albi o elenchi «la notifica avviene esclusivamente con tali modalità, all’indirizzo risultante dall’indice nazionale Ini-Pec». Nella realtà Equitalia, che gestisce la riscossione, ha già avviato da oltre un anno in via sperimentale le notifiche via Pec, dal momento che l’articolo 26 finora vigente lo consentiva, senza però che queste divenissero obbligatorie.

Il dlgs fornisce regole di maggior dettaglio sul corretto perfezionamento della notifica qualora l’indirizzo Pec risultasse non valido o disattivato: in questi casi la notifica dovrà eseguirsi tramite deposito dell’atto presso gli uffici della camera di commercio competente per territorio, con contestuale pubblicazione del relativo avviso sul sito web della Cciaa, dandone notizia al destinatario tramite raccomandata a/r.

Qualora invece la casella certificata risultasse piena, Equitalia dovrà effettuare un secondo tentativo di invio dopo almeno 15 giorni: laddove l’esito fosse ancora negativo, si procederà come sopra. Per consentire al sistema camerale di adeguare le proprie infrastrutture, le nuove norme avranno efficacia per le notifiche effettuate a partire dal 1° giugno 2016. I privati titolari di un indirizzo Pec potranno comunque chiedere a Equitalia di ricevere gli atti esclusivamente per via telematica.

Aggio

L’altra tematica di maggiore impatto riguarda gli oneri di funzionamento del sistema nazionale di riscossione. Accogliendo i suggerimenti avanzati nei pareri espressi dalle commissioni finanze di Camera e Senato, il governo ha deciso di riscrivere interamente l’articolo 9 del decreto. In primo luogo è previsto che l’attuale meccanismo di remunerazione, con aggio all’8%, resterà operativo fino al 31 dicembre 2015. Dal 2016 l’onere gravante sui debitori iscritti a ruolo si ridurrà: se il contribuente riceve la cartella di pagamento e versa le somme pretese entro 60 giorni dalla data di ricezione dovrà sopportare un onere pari all’1% per la riscossione spontanea ex art. 32 del dlgs n. 46/1999 o al 3% in tutti gli altri casi. Per i pagamenti dal 61° giorno in avanti, si pagherà il 6%. Anche gli enti creditori saranno chiamati a contribuire alla remunerazione di Equitalia, con una quota percentuale del riscosso di competenza.

Ma a comporre il compenso degli agenti ci saranno pure le spese correlate all’attivazione di procedure esecutive e cautelari, fissate annualmente con decreto Mef. Fermo restando il rimborso delle spese di notifica della cartella e degli altri atti della riscossione, anche queste determinate con lo stesso dm. Ma non è tutto: tale decreto dovrà indicare anche la somma che dovrà essere pagata dagli enti creditori per tutti i casi di inesigibilità o sgravio del ruolo per cause non imputabili all’agente. Il primo decreto Mef dovrà essere emanato entro il 30 ottobre 2015.

Da ultimo, per preservare l’equilibrio di bilancio del gruppo di riscossione nel passaggio tra vecchio e nuovo regime, viene previsto che l’Agenzia delle entrate provveda a erogare a Equitalia una quota di salvaguardia per il triennio 2016-2018: tale somma viene definita nel suo importo massimo pari a 40 milioni di euro per il primo anno, 45 milioni per il secondo e 40 milioni per il terzo. Questi importi, «saranno corrisposti previa individuazione delle effettive necessità conseguenti all’accertamento di una contrazione dei ricavi, connessa alla riduzione dell’aggio alla luce delle evidenze del bilancio annuale certificato».


Infortuni sul lavoro

Il datore di lavoro (nella PA è il dirigente)  e lavoratore sono corresponsabili in caso di infortunio sul lavoro di quest’ultimo, se è accertato che i dispositivi di protezione vengono regolarmente disattivati e il datore non ha predisposto alcun meccanismo di vigilanza atto ad impedire tale prassi.

Nel caso esaminato, dopo che la sua domanda era stata rigettata nei gradi di merito, un lavoratore ha proposto ricorso atteso che la propria mano destra – durante i consueti lavori di pulizia dei macchinari – era rimasta schiacciata sotto un rullo di stampa, mentre tentava di recuperare uno straccio rimasto incastrato.

La Corte Suprema di Cassazione ha confermato le rispettive responsabilità dei due soggetti in maniera concorrente, precisando riguardo all’onere della prova che “compete al lavoratore l’allegazione dell’omissione commessa dal datore di lavoro nel predisporre le misure di sicurezza (…) necessarie ad evitare il danno, non essendo sufficiente la generica deduzione della violazione di ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di fare scadere una responsabilità per colpa di una responsabilità oggettiva”.

A prescindere dalla circostanza che il datore di lavoro, non avrebbe, ad esempio, adibito specifico personale alla sorveglianza dei locali, è tuttavia innegabile che, agendo sui meccanismi  di  sicurezza  –  disattivandoli  –  il  lavoratore  si  è  posto  egli  stesso  nella condizione di pericolo conseguenza poi dell’infortunio.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-05-2015, n. 10465

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20151/2013 proposto da:

N.M. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati SALE Giuseppe, LUIGI MARCIALIS, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

GRAFICHE GHIANI S.R.L. P.I. (OMISSIS);

– intimata –

nonché da:

GRAFICHE GHIANI S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 23, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA SARACENI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO MARCHESE, ELIGIO PINNA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

N.M. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE SALE, LUIGI MARCIALIS, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 59/2013 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 06/03/2013 R.G.N. 259/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2015 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato MARCIALIS LUIGI;

udito l’Avvocato SARACENI STEFANIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 9199 del 7 giugno 2012 questa Corte riformava la pronuncia emessa dalla Corte d’appello di Cagliari con cui erano state respinte le domande proposte da N.M. nei confronti della s.r.l. Grafiche Ghiani, intese a conseguire il risarcimento del danno derivato dall’infortunio sul lavoro occorsogli in data (OMISSIS), all’esito del quale aveva riportato gravi danni alla mano destra, rimasta schiacciata nei rulli dei cilindri di stampa, alla cui pulizia era intento.

Sul rilievo della carenza motivazionale della decisione laddove aveva escluso ogni responsabilità della parte datoriale in relazione all’obbligo di sorveglianza sulla stessa gravante, ed aveva affermato il carattere di abnormità ed imprevedibilità del comportamento posto in essere dal N., rinviava alla Corte d’appello di Cagliari sezione distaccata di Sassari in diversa composizione affinché procedesse ad una rinnovata valutazione dei fatti sulla scorta dei rilievi formulati.

Con sentenza in data 6 marzo 2013 la Corte di merito dichiarava il concorso di colpa del lavoratore nella determinazione dell’infortunio nella misura del 40%, e condannava la società al risarcimento del danno biologico e da invalidità temporanea, con esclusione del danno morale in quanto non richiesto tempestivamente con il ricorso introduttivo.

La Corte territoriale, per quanto in questa sede rileva, perveniva a tali conclusioni sulla scorta delle seguenti considerazioni: a) l’incidente si era verificato mentre il N. era impegnato nella pulizia dei rulli, compiuta a macchina accesa, con una delle grate aperta; b) l’impianto di sicurezza era efficiente, ed era stato disattivato dal N. il quale, nel tentativo di recuperare uno straccio rimasto impigliato nel macchinario, disattendendo le comuni regole di prudenza, le direttive datoriali e le norme di sicurezza relative al macchinario, si era dedicato allo svolgimento delle mansioni di pulizia dei rulli mentre erano in funzione; c) non era configurabile una abnormità del comportamento assunto dal lavoratore idoneo ad interrompere il nesso eziologico con l’evento dannoso, giacché al momento del sinistro, era presente l’addetto alla vigilanza ed alla osservanza delle misure di prevenzione infortuni, il quale non aveva interrotto il lavoro né avvisato la direzione aziendale, neanche risultando predisposti sistemi di sicurezza tali da determinare lo spegnimento della macchina in connessione con il movimento della grata di protezione.

Avverso tale decisione interpone tempestivo ricorso per Cassazione N.M. affidato a quattro motivi cui resiste con contro ricorso la s.r.l. Grafiche Ghiani che spiega a propria volta ricorso incidentale sostenuto da due motivi ai quali replica il N..

Motivi della decisione

1.1 ricorsi devono, preliminarmente, essere riuniti ex art. 335 c.p.c., giacché spiegati avverso la medesima decisione.

1.1 Con il primo motivo il ricorrente in via principale denunzia violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice di rinvio proceduto ad una rinnovata considerazione dei fatti di causa, disattendendo le indicazioni “fattuali” rese dalla pronuncia rescindente in ordine alle premesse logico-giuridiche che avrebbero dovuto sorreggere la decisione, in violazione dei dettami sanciti dall’art. 384 c.p.c..

1.2 Il motivo è privo di pregio.

La Corte di merito ha infatti proceduto ad una esauriente ed analitica ricostruzione delle vicende fattuali prodromiche al verificarsi dell’evento dannoso, sorretta da motivazione ampia ed assolutamente congrua sotto il profilo logico oltre che corretta sul versante giuridico, ricostruendo le modalità dell’evento infortunistico occorso al ricorrente, nel rispetto dei rilievi formulati da questa Corte in sede rescindente, con riferimento specifico alla accertata esistenza di una prassi anomala seguita dai dipendenti, di intervenire sui meccanismi di sicurezza delle macchine allo scopo di rendere più celeri le operazioni di pulizia, ed alla omessa adozione da parte della direzione aziendale, delle opportune misure di vigilanza atte a prevenire il compimento di tali operazioni pericolose.

Per tal motivo, non può ritenersi integrata nella materia scrutinata, una violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità da parte del giudice del rinvio, che ben può esercitare, nel riesame della controversia demandatagli per vizio della motivazione, i suoi poteri discrezionali rivalutando globalmente tutti gli elementi di prova anche attraverso un nuovo esame dei fatti di causa.

1.3 In tale contesto il giudice di rinvio può dunque liberamente prendere in esame anche le emergenze istruttorie trascurate in sede rescindente potendo queste assumere un rilievo, seppure meramente orientativo nella nuova ricostruzione delle risultanze istruttorie, rimanendo in tal modo egli libero nella valutazione delle suddette risultanze in forza dei medesimi poteri del giudice di merito che ha pronunciato la sentenza cassata, con l’unica limitazione consistente nell’evitare di fondare la nuova decisione sugli elementi del provvedimento annullato ritenuti illogici e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati nella precedente decisione.

Diversamente opinando, si finirebbe con l’ammettere un apprezzamento dei fatti precluso al giudice di legittimità, ed il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 5, si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (vedi in tali sensi, Cass. n. 5316 del 5 marzo 2009).

1.4 La Corte distrettuale, per quel che in questa sede interessa, si è quindi mossa nell’alveo dei principi che regolano il giudizio di rinvio, invalsi in dottrina e nella costante giurisprudenza di legittimità in base ai quali diversamente dall’ipotesi sancita dall’art. 360, n. 3, che impone al giudice di rinvio l’applicazione della norma come interpretata dalla Corte di Cassazione in una sorta di “legge del caso concreto” – nei casi disciplinati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, il vincolo imposto al giudice di merito si sostanzia nel divieto di ripercorrere l’errore logico della sentenza cassata, che può aprire la strada ad un riesame dei fatti ai fini di una valutazione complessiva, nel quale il giudice del rinvio non è vincolato da ipotesi interpretative eventualmente prospettate in sede di giudizio rescindente (cfr. Cass. 1 dicembre 2009 n. 25267 1 dicembre 2009).

  1. Con il secondo mezzo di impugnazione, si denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4, 48 e 82 ed art. 2087 c.c.), nonché assenza o contraddittorietà della motivazione. Si lamenta che la Corte distrettuale abbia trascurato i precetti sanciti dalle disposizioni in tema di sicurezza per le operazioni di pulizia dei macchinari, o comunque non abbia adeguatamente motivato sul punto, laddove ha escluso la piena responsabilità della parte datoriale in ordine all’evento infortunistico occorso al dipendente, in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità che configurano nell’ipotesi considerata, una fattispecie di responsabilità oggettiva.
  2. Con il terzo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di legge (D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 82 ed art. 2697 c.c.), nonché assenza o contraddittorietà della motivazione. Ci si duole del governo dei principi in tema di ripartizione dell’onere probatorio, sul rilievo che, pur ove non sia ravvisabile un’ipotesi di responsabilità oggettiva della parte datoriale per mancata osservanza di norme di cautela, in caso di incertezza in ordine all’esatto verificarsi della dinamica dell’incidente, il relativo onus probandi ricade comunque a carico della stessa.
  3. I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, stante la connessione che li connota, sono privi di fondamento.

4.1 Al di là di ogni considerazione in ordine ai profili di inammissibilità del ricorso che appare violare le regole di chiarezza poste dall’art. 366 bis c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso sostanziale e processuale e dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano) non essendo consentito confondere i profili del vizio logico della motivazione e dell’errore di diritto (vedi fra le tante, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394 cui adde Cass. 8 giugno 2012 9341, Cass. 20 settembre 2013 n. 21611), non può prescindersi dal rilievo che nella specie, rinviene applicazione, ratione temporis, la novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è ammesso il ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

4.2 Nella interpretazione resa dalle sezioni unite di questa Corte alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi (vedi Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, di guisa che è stato ritenuto denunciabile in cassazione, solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esaurendosi nelle ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile fra motivazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

4.3 Nello specifico il tessuto motivazionale dell’impugnata sentenza, come riportato nello storico di lite, si presenta assolutamente esaustivo, privo di carenze che possano validamente essere ascritte ad alcuna delle categorie di vizio della motivazione enucleate dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al novellato testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, e non resta, pertanto, scalfito dalle censure formulate sul punto.

Lo scrutinio delle questioni di diritto dibattute in relazione all”onus probandi relativo alla ricostruzione della dinamica dell’evento infortunistico ed alla ripartizione delle responsabilità in ordine al determinismo dell’evento medesimo, sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, non consente, poi, di prescindere dal richiamo al principio più volte enunciato da questa Corte in tema di onere di allegazione, e che va qui ribadito, in base al quale la parte che subisce l’inadempimento, pur non dovendo dimostrare la colpa dell’altra – atteso che ai sensi dell’art. 1218 c.c., è il datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte, derivano da causa a lui non imputabile – è tuttavia soggetta all’onere, da esercitare ritualmente ex art. 414 c.p.c., di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (vedi in tali sensi, fra le altre, Cass. 11 aprile 2013 n. 8855).

4.4 Compete, infatti, al lavoratore l’allegazione dell’omissione commessa dal datore di lavoro nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno, non essendo sufficiente la generica deduzione della violazione di ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di fare scadere una responsabilità per colpa in una responsabilità oggettiva. Ciò in quanto l’art. 2087 c.c., non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, atteso che la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v. ex plurimis, Cass. 29 gennaio 2013 n. 2038).

4.5 Nel solco degli enunciati principi, la Corte distrettuale ha proceduto ad una ricostruzione dell’evento condotta sulla scorta degli articolati dati istruttori acquisiti, dai quali era dato desumere che i meccanismi di sicurezza del macchinario erano perfettamente efficienti; che ciò nonostante, il lavoratore li aveva disattivati preferendo lavorare con la grata aperta; che la mano era stata attinta dai rulli in movimento, nel tentativo del lavoratore di recuperare uno straccio caduto nel macchinario in funzione e non di spegnere la macchina – come riferito – dato che il pulsante di arresto si trovava da tutt’altra parte.

Peraltro, con apprezzamento del tutto congruo e coerente con i principi affermati da questa Corte, i giudici del gravame sono pervenuti alla configurazione di una quota di responsabilità a carico della parte datoriale nella misura del 40%, sul duplice rilievo: a) dell’omissione di controllo da parte della società, mediante personale addetto alla vigilanza (peraltro presente al momento del verificarsi dell’evento infortunistico), in ordine al funzionamento del meccanismo di blocco delle grate, che per prassi, veniva disattivato dai lavoratori; b) della mancata predisposizione di dispositivi di spegnimento della macchina ad ogni movimento della grata.

  1. In tal senso, si impone l’evidenza della infondatezza delle censure formulate dalla società Grafiche Ghiani in sede di ricorso incidentale con cui si denuncia violazione e/o falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4, 48 e 82, artt. 2087, 2697 e 1227 c.c.), nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti.

5.1 L’incedere argomentativo che connota il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale, in equilibrio fra i complessi dati emersi dalla espletata istruttoria, è rispettoso dei principi innanzi enunciati, non configura alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva a carico della parte datoriale, esclusa dal fermo orientamento di questo giudice di legittimità con riferimento alla esegesi dell’art. 2087 c.c. e risulta sorretto da un impianto che, per essere congruo e completo, si sottrae alle doglianze formulate con riferimento al novellato dettato di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

  1. Privo di pregio è infine, il quarto motivo del ricorso principale con il quale si stigmatizza la pronuncia impugnata sotto il profilo di violazione di plurime disposizioni di legge, nonché di difetto di motivazione, per diniego di riconoscimento del danno morale, assumendo di avere ritualmente proposto la domanda con l’atto introduttivo del giudizio.

6.1 Premesso che il danno non patrimoniale, secondo i principi invalsi nella giurisprudenza di questa Corte, non può mai ritenersi “in re ipsa”, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca (vedi ex plurimis, Cass. 10 febbraio 2014 n. 2886, Cass. 24 settembre 2013 n. 21865, Cass. 14 maggio 2012 n. 7471), deve ritenersi che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza che governa il ricorso per cassazione, sia venuto meno all’onere di riportare analiticamente il tenore del ricorso introduttivo onde consentire a questa Corte di verificare, ex actis, la formulazione del petitum e della causa petendi.

Peraltro, la pronuncia impugnata si sottrae ad ogni doglianza formulata sul versante motivazionale, avendo la Corte distrettuale specificamente argomentato in ordine alla carenza di ogni domanda risarcitoria per il titolo descritto in sede di ricorso introduttivo del giudizio.

  1. In definitiva, entrambi i ricorsi, in quanto infondati, devono essere respinti.

La situazione di reciproca soccombenza giustifica, infine, l’integrale compensazione fra le parti delle spese inerenti al presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.

Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2015


I principali motivi di nullità delle cartelle esattoriali

Le cartelle di pagamento
Le cartelle di pagamento, meglio note come cartelle esattoriali, sono quello strumento del quale si avvale la Pubblica Amministrazione per recuperare i crediti vantati a vario titolo nei confronti dei contribuenti.
Più precisamente, si tratta dell’atto inviato da Equitalia (ovverosia la società per azioni a partecipazione pubblica incaricata della riscossione dei tributi) per comunicare l’iscrizione a ruolo del debito da parte dei diversi enti impositori, quali possono essere, ad esempio, Inps, Comuni, Agenzia delle entrate, etc..
Trascorsi sessanta giorni dalla notifica senza che avverso essa sia stato proposto ricorso, la cartella esattoriale diventa titolo esecutivo ai fini della riscossione coatta (RD 639/1910) del credito.
Le ipotesi di nullità
La cartella di pagamento può essere impugnata non solo, ovviamente, nel caso in cui essa sia viziata nella sostanza, ovverosia nel caso in cui il debito non sussista o sussista solo in parte, ma anche nel caso in cui essa sia viziata nella forma.
In quanto atto di diritto tributario, infatti, la cartella esattoriale è sottoposta a vincoli formali che devono essere rispettati a pena di nullità.
Della questione si è interessata, sempre più frequentemente, la giurisprudenza, la quale ha tentato di fare chiarezza circa le ipotesi concrete nelle quali la cartella di pagamento debba ritenersi nulla.
Assenza o inesattezza della relata di notifica
La cartella esattoriale è nulla nel caso in cui sia sprovvista della relata di notifica oppure nel caso in cui questa non sia apposta correttamente o manchi di alcuni requisiti essenziali.
Ad esempio, con la Sentenza n. 398/2012, la suprema Corte ha stabilito la nullità della cartella esattoriale laddove, nella copia consegnata al contribuente, la relata non indichi la data della notifica.
È inoltre nulla, secondo le sentenze della Corte di cassazione n. 6749/2007 e n. 6750/2007, la cartella esattoriale in cui la relata di notifica non sia apposta in calce all’atto, ma, ad esempio, nel frontespizio.
Mancato computo analitico degli interessi
Un’ulteriore ipotesi di nullità della cartella esattoriale deriva dal mancato computo analitico degli interessi maturati.
Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4516 del 2012, infatti, laddove, dopo giugno 2008, venga omessa l’indicazione delle modalità con cui calcolare gli interessi e l’operato dell’ufficio incaricato della riscossione possa essere ricostruito solo attraverso indagini complesse e di certo non spettanti al contribuente, la cartella esattoriale è nulla per violazione del diritto di difesa.
In tal senso si è fermamente espressa anche la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con la sentenza n. 92/36/2012, per la quale l’atto di riscossione deve essere redatto in modo da consentire al debitore la verifica dei calcoli effettuati dal concessionario.
In sostanza, restano valide esclusivamente le cartelle che permettono al debitore di valutare agevolmente la loro esattezza.
Cartelle firmate dai “falsi dirigenti”
A seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la nullità delle nomine che hanno elevato a ruolo di dirigenti i funzionari dell’Agenzia delle Entrate senza lo svolgimento di un concorso pubblico, sono da reputarsi nulle anche tutte le cartelle esattoriali sottoscritte da tali “falsi dirigenti”.
Con la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso n. 784/15, infatti, si sono iniziate ad avvertire le prime conseguenze della sentenza di incostituzionalità e si è dichiarata la nullità di una cartella di pagamento ai fini Irap e Iva firmata, appunto, da un funzionario incaricato del ruolo di dirigente ma sprovvisto dell’effettiva qualifica.
Notifica da parte di soggetti non legittimati
Vera e propria inesistenza giuridica della notificazione della cartella di pagamento, infine, sarebbe generata, secondo la giurisprudenza, dall’inoltro dell’atto da parte di Equitalia senza il tramite dei soggetti a ciò legittimati, espressamente individuati dall’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973.
Si tratta, nel dettaglio, degli ufficiali della riscossione, degli agenti di polizia municipale, dei messi comunali previa convenzione tra Comune e concessionario e degli altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge.
In tal senso si sono espresse recentemente, tra le altre, la Commissione Tributaria Provinciale di Parma con la pronuncia n. 18/2013 e la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso con la pronuncia n. 36/2013.
Tutte le ipotesi prese in considerazione costituiscono soltanto una minima parte delle numerose pronunce emesse in materia, che rappresentano una prova evidente che la giurisprudenza relativa alla nullità delle cartelle esattoriali è in fermento e sta iniziando a recepire sempre più frequentemente le numerose istanze provenienti dai contribuenti.


Domenica, ai lavoratori pubblici non spetta alcun compenso se coincide con le festività

La Corte Costituzionale era stata investita della delicata questione relativa alla retribuzione delle festività civili ricadenti di domenica.

La Corte Costituzionale – con sentenza 150/2015 – ha nuovamente deluso le aspettative dei pubblici dipendenti … che speravano di veder arrivare qualche soldino in busta paga almeno dal pagamento delle festività coincidenti con la domenica (con effetto retroattivo).

Con la sentenza n. 150/2015 la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità della “legge finanziaria 2006”, sollevata dalla Corte di Cassazione, sez. lavoro, là dove prevede che tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall’art. 69, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 65/2001, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, sia ricompreso l’art. 5, terzo comma, della L. n. 260/1949 e s.m.i., in materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. Tale previsione fa salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge. In pratica,

Secondo la Cassazione, la norma sarebbe intervenuta nel corso di un giudizio, al fine di determinare la modifica del suo in favore dello Stato (parte del medesimo giudizio), in assenza di motivi imperativi di interesse generale, non potendosi configurare come tali né le finalità di “omogeneizzare” e “razionalizzare” il trattamento nel pubblico impiego, né le generiche esigenze finanziarie richiamate. Come detto, i giudici costituzionali hanno dichiarato quale non fondata la questione.

La Consulta, in via preliminare, ha riconosciuto la fondatezza dell’assunto della Cassazione secondo cui non è possibile una interpretazione della norma censurata che ne escluda la portata retroattiva e dunque l’applicabilità ai giudizi in corso, ivi compreso il giudizio principale. Orbene, tale previsione è retroattiva e il tenore letterale dell’art. 1, comma 224, della legge n. 266/2005, nel delimitare la propria sfera di applicazione, espressamente fa salva solo “l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge” (secondo periodo), impedisce di assegnare a detta norma un significato diverso: essa ha effetti sia per il futuro, sia per il passato e ha inciso sul giudizio in corso.

Non vi è – secondo la Consulta – il contrasto prospettato dalla Cassazione con la norma convenzionale (CEDU) e, quindi, con l’art. 117, primo comma, Cost.

L’art. 1, comma 224, della “legge finanziaria 2006”, nella parte in cui dispone che l’art. 5, terzo comma, della Legge n. 260/1949 (come successivamente modificato), è una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, ai sensi dell’art. 69, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001, interviene sul contenuto di tale norma. Quest’ultima, nel dettare norme transitorie volte ad assicurare la graduale attuazione della riforma del lavoro pubblico (D.Lgs. n. 29/1993), era ispirata alle finalità di:

– “accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei paesi della Comunità europea”,

– “razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli della finanza pubblica”,

– “integrare gradualmente la disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato” (Cost., sentenza n. 359/1993).

In tale contesto, proseguendo, la Consulta ha spiegato che l’art. 2 del D.Lgs. n. 165/2001, nell’individuare le fonti di disciplina del lavoro pubblico, ha assegnato alla legge il compito di regolare, quanto meno nei principi, l’organizzazione degli uffici, demandando viceversa alla contrattazione collettiva la regolamentazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti.

Già in passato la Corte ha avuto modo di desumere dalle indicate disposizioni che il legislatore “ha voluto riservare alla contrattazione collettiva l’intera definizione del trattamento economico, eliminando progressivamente tutte le voci extra ordinem” (sentenza n. 146/2008) al fine di realizzare, ad un tempo, l’obiettivo della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico e della razionalizzazione del costo del lavoro pubblico, mediante il contenimento della spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli della finanza pubblica.

Dunque, l’art. 1, comma 224, della “legge finanziaria 2006”, nell’annoverare tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall’art. 69, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. n. 165/2001 (a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997), l’art. 5, terzo comma, della legge n. 260/1949 – che riconosce il diritto a una ulteriore retribuzione nel caso in cui le festività ricorrano di domenica – si pone in armonia con l’obiettivo di riconoscere alla sola fonte contrattuale il compito di definire il trattamento retributivo, eliminando tutte le voci extra ordinem.

Risulta, pertanto, evidente che la norma censurata si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, cosicché la portata retroattiva della medesima non si rivela irragionevole, né si pone in contrasto con altri interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis: sentenze n. 257 del 2011, n. 236 del 2009).

Nel caso di specie, l’art. 1, comma 224, della “legge finanziaria 2006”, nell’escludere l’applicabilità ai lavoratori pubblici della norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel caso in cui le festività ricorrano di domenica, all’indomani della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non ha fatto altro che dare attuazione ad uno dei principi ispiratori dell’intero D.Lgs. n. 165/2001.

In definitiva, la norma in questione ha chiarito – risolvendo una situazione di incertezza testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante che l’art. 5, terzo comma, della legge n. 260 del 1949 ha carattere imperativo: esso è, pertanto, applicabile a tutti i lavoratori dipendenti dallo Stato, dagli enti pubblici e dai privati (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 22 febbraio 2008, n. 4667), rientrando fra le “norme generali […] del pubblico impiego”, di cui l’art. 69 del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce l’inapplicabilità a seguito della stipulazione dei contratti collettivi, in linea con il principio della onnicomprensività della retribuzione e del divieto di ulteriori corresponsioni, diverse da quelle contrattualmente stabilite (sentenza n. 146/2008).


Comunicazione Aruba. Accesso al sito web di A.N.N.A.: possibili disagi

LavoriInCorsoLa Società Aruba comunica:

Gentile cliente,

per garantirLe sempre migliori prestazioni e una maggior efficienza di gestione, La informiamo che a partire dalle ore 23.00 di mercoledì 08/07/2015 e per una settimana circa, svolgeremo un intervento di manutenzione programmata che prevede la migrazione di tutti i siti con Hosting Windows 2003 verso la nuova piattaforma Windows 2012 R2 e che interesserà anche il suo sito annamessi.it.

La migrazione si rende necessaria anche perché Microsoft non supporterà più Windows 2003, a partire da Luglio 2015, oltre che non rilasciare nuovi aggiornamenti sulla sicurezza.

Inoltre il nuovo sistema operativo Microsoft ha definitivamente abbandonato anche il supporto a Microsoft FrontPage 2003 e versioni precedenti: in alternativa suggeriamo i nuovi editor che consentono la creazione di siti più performanti, compatibili e accessibili con molte funzioni automatizzate, quali per esempio “Webmatrix” e “Microsoft Expression Web 4” (versione free).

L’intervento di migrazione sarà gestito e costantemente monitorato dal nostro personale tecnico specializzato e avverrà per gruppi: nel momento in cui coinvolgerà il suo sito, si potranno riscontrare solo dei temporanei momenti di irraggiungibilità di durata variabile.

Come può notare, siamo sempre al lavoro per offrire un servizio migliore e facciamo sempre del nostro meglio perché questi interventi non abbiamo nessun impatto sui nostri clienti: in alcuni casi, come questo, l’intervento porterà molti benefici ma presupporrà quanto le abbiamo descritto, pertanto ci scusiamo in anticipo per i disagi che l’intervento dovesse arrecarle e siamo a sua disposizione per ogni necessità di chiarimento e assistenza.

Cordiali saluti

Customer Care Aruba S.p.A.


Novità sul congedo parentale

Il Governo ha approvato il decreto legislativo n. 80/2015 sulla conciliazione vita-lavoro, che contiene alcuni interventi per recepire le ultime sentenze della Corte costituzionale, individua soluzioni su questioni interpretative e garantisce una maggiore flessibilità nella fruizione del congedo parentale.

  • Il decreto, adeguandosi a quanto stabilito dalla Corte costituzionale (sentenza 116/2011), introduce espressamente nel d.lgs 151/2001 una disciplina per i casi di ricovero del neonato in una struttura sanitaria. In questo caso la lavoratrice ha diritto – anche in caso di adozioni – di chiedere la sospensione del congedo di maternità fino alla data di dimissione del bambino.
  • Viene esteso da 8 a 12 anni di vita del bambino il periodo entro cui è possibile fruire il congedo parentale e viene aumentato da 3 a 6 anni il periodo nel quale viene riconosciuta l’indennità economica (30% dello stipendio).
  • Dopo la scarsa applicazione da parte della contrattazione collettiva, il decreto introduce la possibilità di fruire il congedo parentale anche su base oraria. Un diritto ora riconosciuto per legge in assenza di una disciplina contrattuale.
  • La fruizione su base oraria potrà avvenire in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. Scende, a favore dei lavoratori, il periodo di preavviso nei confronti del datore per fruire del congedo: 5 giorni (in caso di assenze per giornata intera) e 2 giorni (assenza su base oraria).
  • Le lavoratrici inserite nei percorsi di protezione per episodi di violenza di genere (debitamente certificati dai servizi sociali) potranno astenersi dal lavoro per un periodo di 3 mesi e con un preavviso al datore di almeno 7 giorni, con il diritto di percepire un’indennità e alla contribuzione figurativa per tale periodo.