Busta paga via mail, c’è l’ok del Ministero del Lavoro

Il Ministero del Lavoro ha dato il suo benestare al prospetto paga totalmente elettronico, purché il lavoratore abbia la possibilità di “materializzarlo”

Il Ministero del Lavoro, in risposta al quesito avanzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, con l’Interpello n. 13 del 30 maggio 2012, ha stabilito la piena legittimità della consegna del prospetto paga anche mediante posta elettronica non certificata, purché il lavoratore possa entrare nella disponibilità del prospetto e possa “materializzarlo”.

Il prospetto paga potrà essere collocato su sito web aziendale che dovrà essere dotato di un’area riservata con accesso al solo lavoratore interessato, mediante l’assegnazione di una password o codice segreto personale. Il datore di lavoro dovrà però adottare le misure necessarie a comprovare l’avvenuto adempimento rispetto a ciascun lavoratore.


Certificato medico al telefono? Reato sia per il medico sia per il paziente

La Corte di Cassazione, Sez. Penale, ha usato le maniere forti contro chi redige e contro chi utilizza certificati medici redatti solo sulla base di un colloquio telefonico, senza la effettiva visita del paziente.

La vicenda riguarda un medico e una sua paziente: il primo, in qualità di medico di base convenzionato con il servizio sanitario nazionale e quindi pubblico ufficiale, era stato condannato in relazione al reato di cui all’art. 480 c.p., per aver rilasciato un certificato medico di proroga della prognosi a favore di una sua paziente senza averla previamente visitata.

La paziente, a sua volta, era stata ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 489 c.p. per aver fatto uso della certificazione redatta dal medico di base, pur consapevole della falsità.

La sentenza di condanna è stata impugnata con ricorso per cassazione.

Il medico lamentava la sussistenza del dolo, avendo egli concesso la proroga sulla base di quanto accertato nella visita effettuata quattro giorni prima e i sintomi comunicatigli telefonicamente dalla paziente sarebbero stati compatibili con la malattia accertata pochi giorni prima.

Il medico, pertanto, legittimamente avrebbe effettuato la modifica della prognosi sulla base di quanto dichiarato per telefono dalla paziente.

A tutto concedere, era configurabile non il dolo ma la colpa, avendo il medico fatto affidamento sulle dichiarazioni della paziente, ciò che escludeva la penale rilevanza della condotta, non essendo prevista la figura colposa del delitto in esame.

La paziente, analogamente, deduceva l’insussistenza del reato in capo al medico, e, di riflesso, del reato, a lei contestato, di uso della falsa certificazione.

Anche secondo la donna, non sussisteva il reato contestato al medico in quanto costui, sulla scorta dei proprio sapere medico maturato un’esperienza pluridecennale e sulla base della visita medica effettuata pochi giorni prima in occasione della prima certificazione, poteva legittimamente ritenere ancora sussistente la malattia, sulla base di quanto riferito dalla paziente.

In sostanza, secondo la ricorrente non sarebbe necessaria l’effettuazione di un’ulteriore visita qualora il sanitario ritenga di essere in possesso aliunde di adeguati strumenti diagnostici.

Il reato contestato alla paziente, dunque, sarebbe ipotizzabile solo se si ritenesse non veritiera la persistenza della malattia, ma una prova del genere non era emersa.

La Corte di Cassazione, come anticipato, ha respinto entrambi i ricorsi.

Quanto al ricorso promosso dal medico, la Corte di Cassazione, in primo luogo, ha precisato che la falsa attestazione attribuita non attiene tanto alle condizioni di salute della paziente, quanto piuttosto al fatto che l’imputato aveva emesso il certificato «senza effettuare una previa visita e senza alcuna verifica oggettiva delle sue condizioni di salute, non essendo consentito al sanitario effettuare valutazioni o prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti».

Di qui l’irrilevanza delle considerazioni sull’effettiva sussistenza della malattia o sulla induzione in errore da parte della paziente.

In relazione alla asserita natura colposa della condotta, la Corte di Cassazione ha replicato con una domanda retorica: «ci si chiede come il medico potesse non essere consapevole del fatto che egli stava certificando una patologia medica senza averla previamente verificata, nell’immediatezza, attraverso l’esame della paziente».

Non miglior sorte ha avuto il ricorso della paziente, ricorso peraltro esclusivamente incentrato sulla ritenuta insussistenza della falsità del documento, e dunque, sull’inesistenza del reato contestato al medico.

La Corte di Cassazione, quindi, si è limitata a richiamare le considerazioni sopracitate: «una volta ritenuta la falsità della certificazione medica, ne discende necessariamente la responsabilità della ricorrente per aver fatto uso».

Corte di Cassazione penale Sentenza 15-05-2012, n. 18687


È legittima la decurtazione dello stipendio nei periodi di assenza per malattia dei dipendenti pubblici

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 32, 36 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Livorno.

La disposizione oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale – Sentenza n. 120 del 10 maggio 2012:

«1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa. […] 6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi».
Le motivazioni:

Non sussiste violazione dell’art. 3 Cost. (principio di eguaglianza), poiché i due sistemi, privato e pubblico, già significativamente differenziati al loro interno, risultano assolutamente incomparabili, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, proprio in relazione al regime della malattia.

Non sussiste violazione dell’art. 36 Cost., (diritto ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa) poiché la conservazione del trattamento fondamentale garantisce, per definizione, l’adeguatezza della retribuzione e la sua funzione alimentare durante il periodo di malattia, tanto più che la durata della riduzione è contenuta dalla disposizione censurata nei limiti della decade.

Non sussiste violazione dell’art. 38 Cost. (diritto al mantenimento e all’assistenza sociale per il cittadino inabile al lavoro), poiché nessuna disposizione, né generale, né settoriale, impone che la prestazione economica in costanza di malattia coincida o tenda a coincidere con la retribuzione del lavoratore in servizio o con una sua determinata porzione.

Non sussiste violazione dell’art. 32 Cost. (diritto alla salute), poiché non è sostenibile che la riduzione di retribuzione sancita dalla norma in questione, con la salvezza del trattamento fondamentale e la brevità della durata, costringa il lavoratore ammalato, come opina il rimettente, a rimanere in servizio pur di non subirla, anche a costo di compromettere ulteriormente la salute.


Sito non accessibile per manutenzione archivi ed implementazione nuovo software – sabato 26 maggio

Nell’ambito dei miglioramenti  finalizzati ad un miglior utilizzo del sito e all’implementazione di nuovi servizi,  nei giorni di sabato 26 maggio sino alla fine delle operazioni (presumibilmente sino alle ore 23,00 di domenica 27 maggio),  il sito non sarà accessibile per implementazione software e manutenzione archivi.

Ci scusiamo per il disagio.


Il Decreto Legge sulle semplificazioni fiscali è Legge: attenzione alle regole dell’Imu

E’ stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 aprile 2012 la Legge di conversione (Legge n. 44 del 26 aprile 2012) del Decreto Legge sulle semplificazioni fiscali (Decreto Legge n. 16 del 2 marzo 2012). Il nuovo provvedimento, quindi, in parte modificato nel corso dell’esame in Parlamento, è ora Legge dello Stato.

Il testo del Decreto Legge, coordinato con le modifiche approvate in sede di conversione, prevede una serie di regole riguardo all’Imposta municipale propria sugli immobili (Imu), già disciplinata in parte dal Decreto “salva Italia” del dicembre 2011.

In primo luogo, per l’anno 2012, l’Imu dovuta per l’abitazione principale e per le relative pertinenze potrà essere versata in tre rate, di cui la prima e la seconda in misura ciascuna pari ad un terzo dell’imposta calcolata applicando l’aliquota di base (4 per mille) e la detrazione (200 Euro, più la detrazione di 50 Euro per ciascun figlio convivente di età non superiore ai 26 anni). La prima e la seconda rata dovranno essere versate rispettivamente entro il 16 giugno ed entro il 16 settembre. La terza rata dovrà essere versata entro il 16 dicembre, a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno, con conguaglio sulle precedenti rate.

In alternativa, sempre per l’anno 2012, l’imposta dovuta per l’abitazione principale e per le relative pertinenze potrà essere versata in due rate di cui la prima, entro il 16 giugno, in misura pari al 50 % dell’imposta calcolata applicando l’aliquota di base e la detrazione, e la seconda, entro il 16 dicembre, a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno, con conguaglio sulla prima rata.

Per gli immobili diversi dall’abitazione principale, l’imposta dovrà essere versata, per l’anno 2012, in due rate: la prima pari al 50 % dell’importo ottenuto applicando l’aliquota di base e la detrazione, la seconda rata è versata a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno, con conguaglio sulla prima rata.

Per i fabbricati rurali strumentali, per il 2012, la prima rata dovrà essere versata nella misura del 30 % dell’imposta dovuta applicando l’aliquota di base, e la seconda rata dovrà essere versata a dicembre a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno, con conguaglio sulla prima rata.

Inoltre, per i fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni, che dovranno essere dichiarati al catasto edilizio urbano entro fine novembre, è previsto, per l’anno 2012, il versamento dell’imposta in un’unica soluzione, entro il 16 dicembre.

Riguardo alle eventuali variazioni delle aliquote dell’Imu nel corso dell’anno, nel Decreto Legge è previsto che, con uno o più Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da emanare entro il 10 dicembre 2012, si provvederà, sulla base del gettito della prima rata dell’Imu e dei risultati dell’accatastamento dei fabbricati rurali, alla modifica delle aliquote, delle relative variazioni e della detrazione, per assicurare l’ammontare del gettito complessivo previsto per l’anno 2012. Inoltre, entro il 30 settembre 2012, i Comuni potranno approvare o modificare il regolamento e la deliberazione relativa alle aliquote ed alla detrazione del tributo.

Inoltre, è previsto che i soggetti passivi dell’imposta debbano presentare la dichiarazione Imu entro novanta giorni dalla data in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute delle variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta. Il modello che dovrà essere utilizzato per questa dichiarazione verrà approvato con un Decreto ministeriale, nel quale verranno anche disciplinati i casi nei quali dovrà essere presentata la dichiarazione in questione. La dichiarazione avrà effetto anche per gli anni successivi, se non si verificano delle modificazioni dei dati e degli elementi dichiarati dalle quali consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta.

Infine, per gli immobili per i quali l’obbligo dichiarativo è sorto dal 1° gennaio 2012, il termine di presentazione della dichiarazione è fissato al 30 settembre 2012.

Riguardo al concetto di abitazione principale, questo coincide con l’immobile nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel Comune, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.

Inoltre, i Comuni potranno considerare direttamente adibito ad abitazione principale l’immobile posseduto a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che l’immobile non risulti locato. Potrà essere considerata abitazione principale anche l’abitazione posseduta in Italia da cittadini italiani non residenti, a titolo di proprietà o di usufrutto, anche in questo caso a condizione che l’immobile non risulti locato.

In materia di base imponibile, è prevista una riduzione del 50 % per i fabbricati di interesse storico o artistico e per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo nell’anno nel quale sussistono queste condizioni.

L’Imu sarà dovuta dal coniuge al quale sia stata assegnata la casa coniugale in sede di separazione o divorzio.

Infine, riguardo alle modalità di pagamento dell’Imu, soltanto a partire dal 1° dicembre 2012 il versamento potrà essere effettuato anche tramite apposito bollettino postale.


Estensione anticipata dal lavoro per maternità: in vigore le nuove regole

L’art. 15 del decreto legge 9-2-2012  n. 5  (c.d. decreto semplificazioni) introduce nuove regole dirette a rendere più snelle le pratiche per ottenere l’interdizione anticipata dal lavoro delle lavoratrici che hanno una gravidanza complicata.
La disposizione, apportando modifiche all’articolo 17 del decreto legislativo n. 151/2001, prevede che – a partire dal 1° aprile 2012 – la competenza per il rilascio della “autorizzazione per l’astensione anticipata dal lavoro per maternità” viene suddivisa tra Azienda Sanitaria Locale e DTL/Direzione territoriale del lavoro.

  • l’Azienda Sanitaria Locale provvederà a rilasciare l’autorizzazione nell’ipotesi di gravi complicanze della gravidanza o persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza (sino ad oggi era di competenza delle DPL),
  • la DTL procederà, invece, per le altre due ipotesi già considerate dall’art. 17 e precisamente:

1) quando esistano condizioni di lavoro od ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
2) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo la previsione contenuta nell’art. 7  (lavori vietati) e nell’art. 12  (valutazione dei rischi) dello stesso decreto 151/2001.
Il Ministero del Lavoro-Politiche Sociali ha fornito i primi chiarimenti con circolare n.2 del 16-2-2012.

Ministero del Lavoro-Politiche Sociali – circolare n.2 del 16-2-2012


Anagrafe: Circolare applicativa art. 5 della L. 4 aprile 2012 n. 35

Il Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha emanato una circolare con OGGETTO: decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35 recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo”.
Modalità di applicazione dell’art. 5 (“Cambio di residenza in tempo reale”).

L’art. 5 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35, introduce nuove disposizioni in materia anagrafica, riguardanti le modalità con le quali effettuare le dichiarazioni anagrafiche di cui all’art. 13, comma 1, letto a). b) e c), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, nonché il procedimento di registrazione e di controllo successivo delle dichiarazioni rese. Prima di illustrare la procedura attraverso la quale dovrà darsi attuazione alla nuova disciplina, occorre premettere che è attualmente in corso di definizione l’iter di adozione del decreto del Presidente della Repubblica previsto dal C. 5 del citato art. 5 al fine di armonizzare il vigente regolamento anagrafico alle nuove disposizioni in commento. Peraltro, va da subito precisato che le disposizioni del decreto-legge, oggetto della presente circolare, acquistano efficacia decorsi novanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso, ovvero dal 2 maggio 2012 (art. 5, C. 6). Ne consegue che alle dichiarazioni anagrafi che presentate da tale data dovrà applicarsi la disciplina in esame, secondo le istruzioni operative che si espongono di seguito.

Testo della circolare:  Circolare applic. art. 5 dellla L. 4 aprile 2012 n. 35


Cambio di residenza in tempo reale

Il Decreto Legge n.5 del 2012 (convertito nella Legge n. 35) ha previsto una diminuzione dei tempi necessari per ottenere il cambio di residenza, l’annotazione dei cambi di composizione delle famiglie e l’annotazione dei cambi di abitazione.

L’Amministrazione dovrà infatti provvedere alla registrazione della dichiarazione inerente il cambio nel termine di due giorni lavorativi.

Leggi il testo: Cambio di residenza in tempo reale – 2012

Leggi anche la circolare applicativa


Possono bastare tre telefonate private dall’ufficio per rischiare il licenziamento

La Suprema Corte di Cassazione torna a fare chiarezza su cosa si rischia a fare telefonate private dal proprio ufficio. Secondo i giudici si può anche perdere il posto di lavoro. Le telefonate private effettuate dall’ufficio, infatti, possono ledere il rapporto di fiducia con l’azienda se vengono fatte da chi svolge un’attività che richiede particolare attenzione.
Tale spiegazione arriva dalla sezione lavoro della Corte Suprema di Cassazione che ha confermato la legittimità di un licenziamento comminato ad un addetto alla sorveglianza che lavorava all’ingresso di un presidio ospedaliero. Nell’arco di tre giornate aveva fatto diverse telefonate private ciascuna della durata di circa un’ora. Dopo l’accaduto l’istituto di vigilanza che aveva in appalto i servizi, intimava il licenziamento al sorvegliante dopo aver appreso l’esito dei controlli effettuati dallo stesso ospedale. Il caso finiva in cassazione dove il lavoratore, che tra le altre cose aveva sostenuto che nel caso di specie era stata lesa la sua privacy con dei controlli a distanza. La Corte ha respinto il ricorso facendo notare che “è stato conferito giusto risalto al tipo di attività svolta dall’addetto alla sorveglianza all’ingresso del presidio ospedaliero, che richiede particolare attenzione per evitare il rischio di intrusioni di soggetti non autorizzati, eventualmente pericolosi, in un ambiente quale quello ospedaliero, evidenziandosi anche il pregiudizio rispetto alla perdita di future commesse da parte della società che aveva in appalto il servizio”.
La Corte Suprema di Cassazione ha spiegato, inoltre, che poco importa se “analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro”. Tutto dipende dal tipo di mansione che viene svolta nel posto di lavoro.


Albo pretorio on line e privacy dei cittadini

Trascorsi i tempi previsti dalla legge per pubblicare documenti nell’albo pretorio on line, il Comune deve rimuovere dal sito istituzionale quelli che contengono dati personali o renderli anonimi. La diffusione di informazioni in grado di identificare le persone oltre i termini stabiliti è illecita.

Lo ha affermato il Garante nel vietare ad un Comune di diffondere ulteriormente in Internet, oltre i 15 giorni stabiliti dalla norma, i dati personali di una donna contenuti in una deliberazione della Giunta comunale. Il Comune, inoltre, dovrà apportare le necessarie modifiche per mettersi in regola con le Linee guida adottate nel 2011 dal Garante in materia di pubblicazione on line dei documenti. Il caso è stato sollevato da una donna che si è rivolta all’Autorità lamentando una illecita diffusione di dati a causa della permanenza sul sito del Comune, oltre i termini di legge, di una delibera di giunta comunale contenente nome e cognome, indirizzo e dispositivo di una sentenza di rigetto di un ricorso presentato contro un accertamento Ici. Informazioni che anche dopo un primo intervento del Garante e nonostante le modifiche apportate dal Comune continuavano ad essere presenti sul sito. Pur avendo infatti modificato le modalità di pubblicazione delle delibere riguardanti i ricorsi, sostituendo i nominativi dei ricorrenti con degli omissis, la delibera con il nome della donna era sempre reperibile sul sito, determinando così una illecita diffusione di dati non consentita da alcuna norma. Con separato provvedimento l’Autorità sta valutando gli estremi per contestare al Comune una sanzione amministrativa per l’illecito commesso.

Leggi: Prescrizioni del Garante per la pubblicazione di deliberazioni contenenti dati personali sull’albo pretorio online di un Comune – 23 febbraio 2012


Buona Pasqua!!!


Notifica per pubblici proclami: quando mancano presupposti e modalità

La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che la mancanza dei presupposti di fatto in virtù dei quali è stata autorizzata la notificazione per pubblici proclami può essere denunciata in sede di appello dal convenuto rimasto contumace e che il difetto delle formalità prescritte per tale forma di notificazione integra un’ipotesi d’inesistenza (e non di nullità) della notificazione, con la conseguenza della sua rilevabilità d’ufficio anche da parte del giudice dell’impugnazione.

E’ stato, altresì, precisato che, nel giudizio di appello la notificazione per pubblici proclami, prevista dall’art. 150 c.p.c. per l’ipotesi in cui la notificazione nei modi ordinari si presenti di grande difficoltà per il rilevante numero dei destinatari o per la difficoltà di identificarli tutti, deve essere nuovamente richiesta dalla parte interessata al capo dell’ufficio giudiziario davanti al quale si procede e deve essere da questi autorizzata, ancorché questa forma di notificazione sia stata già richiesta ed autorizzata nel giudizio di primo grado.

Di recente (Corte Suprema di Cassazione. n. 4587/2009) si è stabilito che, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002, il principio generale secondo cui, qualunque sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale, quando debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata, dal lato del richiedente, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, si applica anche alla notificazione per pubblici proclami; pertanto, gli effetti della notificazione, rispetto al soggetto istante, devono intendersi rapportati al momento in cui questi abbia consegnato l’atto all’ufficiale giudiziario per le attività e le formalità di cui al terzo e quarto comma dell’art. 150 c.p.c.; diversamente, rispetto al destinatario, la notifica è destinata ad acquisire rilevanza solo in esito al perfezionamento del procedimento notificatorio, che si ha quando – esaurite le formalità del terzo comma, con il deposito di copia dell’atto nella Casa Comunale e l’inserimento di un estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e con le ulteriori formalità disposte dal capo dell’ufficio giudiziario – l’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto, con la relazione e i documenti giustificativi dell’attività svolta, nella cancelleria del giudice davanti al quale si procede.

Nella pronuncia in esame la Suprema Corte di Cassazione ha, peraltro, aggiunto che la mancanza dei presupposti di fatto in virtù dei quali è stata autorizzata la notificazione per pubblici proclami può essere denunciata in sede di appello dal convenuto rimasto contumace (Corte Suprema di Cassazione n. 4274/1990) e che il difetto delle formalità prescritte per tale forma di notificazione integra un’ipotesi di inesistenza (e non di nullità) della notificazione, con la conseguenza della sua rilevabilità d’ufficio anche da parte del giudice dell’impugnazione.

L’omessa regolare notificazione del ricorso introduttivo di un giudizio civile deve, in mancanza della costituzione del convenuto nel primo grado di giudizio, essere rilevata d’ufficio anche nelle fasi di impugnazione, con il solo limite del giudicato formatosi sulla questione, esplicitamente (a seguito di pronuncia sulla medesima non seguita da puntuale impugnazione) o implicitamente (nel caso in cui la decisione sia impugnata solo in parte, con passaggio in giudicato delle statuizioni non impugnate e conseguente preclusione delle questioni relative alla regolarità del contraddittorio); pertanto, ove il giudice di appello abbia omesso di rilevare la nullità del giudizio di primo grado, la Corte Suprema di Cassazione deve – in difetto della formazione del giudicato sul punto – dichiarare la nullità di ambedue le fasi di merito e rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 383, comma 3, c.p.c.

Leggi: Corte Suprema di Cassazione civile Sentenza 19/12/2011, n. 27520


Comunicazione della PEC: proroga al 30 giugno 2012

l Decreto Semplificazioni ha previsto la proroga al 30 giugno 2012 per il termine entro il quale le società che non hanno ancora provveduto, possono comunicare il loro indirizzo di posta elettronica certificata alla Camera di Commercio. L’adempimento trova quindi una ulteriore proroga dopo i chiarimenti del Ministero dello Sviluppo Economico che, nella circolare n. 224402 del 2011, aveva indicato l’opportunità alla Camere di commercio di astenersi dall’applicare le sanzioni a società e soggetti che non abbiano provveduto alla comunicazione nei termini e di considerare come corretto anche l’adempimento tardivo.

Il D.L. n. 185/2008 ha reso obbligatorio il possesso della Posta Elettronica Certificata (“PEC”) per le Società ed i Professionisti. Il termine per procedere all’adempimento ed alla relativa comunicazione presso la Camera di Commercio competente è stato ulteriormente prorogato dal Decreto Semplificazioni dopo che il termine era stato inizialmente fissato al 29 novembre 2011 dal predetto D.L..

Tenuto conto che, in base ai dati pubblicati, una quota prevalente dei soggetti sottoposti all’adempimento non aveva ancora provveduto, il legislatore, intervenuto da ultimo nel c.d. Decreto Semplificazioni, ha fissato la nuova scadenza al 30 Giugno 2012.

L’adempimento e la relativa scadenza

Il nuovo termine per il deposito della PEC presso il Registro delle Imprese stabilito dal Decreto Semplificazioni (“Decreto”) consentirà alle aziende di gestire l’adempimento entro il (nuovo) termine del 30 giugno 2012. Tale previsione è stata inserita nel Decreto nel Consiglio dei Ministri del 24.02.2012.

Sotto tale profilo, si rileva che il Ministero dello Sviluppo economico aveva in precedenza informato le Camere di Commercio della difficoltà incontrata dai gestori del sistema PEC nel far fronte alle richieste di nuovi indirizzi in prossimità della prima (ed originaria) scadenza prevista per il 29 novembre 2011. Di conseguenza, era stato chiarito che chi non comunicava il proprio indirizzo anche dopo tale scadenza non sarebbe dovuto essere soggetto a sanzione. Per il Ministero, infatti, si trattava di una situazione di oggettiva difficoltà, generalizzata e transitoria.

In particolare, il Decreto ha previsto che per la comunicazione della PEC, le imprese costituite in forma societaria che, alla data di entrata in vigore del Decreto, non hanno ancora indicato il proprio indirizzo di posta elettronica certificate, provvedono a tale comunicazione entro il suindicato termine del 30 giugno 2012.

Occorre ricordare che per le società costituite dopo il 29 novembre 2008 era già obbligatorio indicare un indirizzo di PEC in sede di costituzione societaria. Tale obbligo peraltro rimane. È quindi solo per le società iscritte prima di tale data al Registro imprese fatto obbligo di comunicare, entro il 30 giugno 2012, regolarizzando la propria posizione, il nuovo indirizzo di PEC basato su tecnologie certifichino la data e l’ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del contenuto delle stesse.

Il Ministero dello Sviluppo Economico si era occupato della questione ed aveva pubblicato nel corso del 2011 la circolare n. 224402 in cui si segnalava alla Camera di commercio di non applicare le sanzioni a società e soggetti che non abbiano provveduto alla comunicazione nei termini e di considerare come corretto l’adempimento anche se effettuato tardivamente.

La comunicazione della PEC va effettuata dal legale rappresentante dell’impresa, per via telematica, secondo le modalità previste per le comunicazioni al Registro delle imprese (cioè attraverso la procedura di “Comunicazione Unica”, mediante l’indicazione nel riquadro 5 del modello S2, nei soli campi relativi all’indirizzo di posta elettronica certificata). Il professionista incaricato può presentare la comunicazione PEC dichiarando nelle note di essere stato incaricato dai legali rappresentanti della società e di essere regolarmente iscritto nel relativo Albo, “nel caso in cui il dispositivo di firma digitale utilizzato per sottoscrivere la domanda non sia completo del certificato di ruolo”.

Si precisa che la prima iscrizione della PEC come le sue successive eventuali variazioni sono esenti dall’imposta di bollo e dai diritti di segreteria. Le società che devono iscrivere la PEC nel registro delle imprese possono procurarsela richiedendola ad uno dei gestori autorizzati. L’elenco può essere consultato all’indirizzo internet «http://www.digitpa.gov.it/pecelencogestori».

Ambito di applicazione

È opportuno segnalare, infine, che attraverso la PEC l’azienda può comunicare, tra gli altri, con:

  1. tutti i soggetti che hanno una casella PEC;
  2. la Pubblica Amministrazione;
  3. l’INPS che a richiesta invierà sulla PEC aziendale gli attestati dei certificati di malattia dei dipendenti.

Gli atti interessati alla posta elettronica certificata possono, infatti, suddividersi nelle seguenti categorie: atti con la pubblica amministrazione, tra cui quella tributaria; atti compiuti nell’ambito di un processo civile, penale, amministrativo o tributario; atti compiuti fra soggetti di diritto privato. La domanda e la consegna, fra i contribuenti e l’amministrazione finanziaria dello Stato, di attestazioni e certificazioni, nonché l’inoltro di denunce, istanze, atti e garanzie fideiussorie, per l’esecuzione di versamenti fiscali, possono avvenire per PEC o tramite gli altri servizi telematici predisposti dall’amministrazione finanziaria (art. 38, comma 4, del D.L. n. 78 del 2010).

L’indicazione della PEC è obbligatoria negli atti d’impugnazione (appello, ricorso per revocazione), e negli atti di costituzione nel relativo giudizio. L’equiparazione della PEC alle notificazioni per mezzo della posta attribuisce al messaggio anche il requisito della «data certa» (art. 2704 cod. civ.: «la data della scrittura privata .. non … autenticata … non è certa … riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui … si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento»). Peraltro, per effetto delle recenti disposizioni, la mancata indicazione della PEC (e del codice fiscale della parte) comporta l’aumento del contributo unificato di giustizia in misura pari alla metà.

In ambito societario si rammenta che l’art. 2366 del codice civile prevede, per le società non quotate («che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio»), che lo statuto può «consentire la convocazione mediante avviso comunicato ai soci con mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima dell’assemblea». Accanto alla raccomandata postale (ma la spedizione otto giorni prima rischia di pervenire dopo la data dell’assemblea), è ovviamente ammissibile l’uso della PEC. Se lo statuto contiene simile clausola, è anche opportuno che lo stesso faccia carico ai soci di indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, da iscrivere nel libro dei soci. La disposizione, valida per la società per azioni, si può applicare alle società a responsabilità limitata, data l’equiparazione della PEC alla notificazione per posta menzionata dall’art. 2479-bis, comma 1, cc., e può essere estesa alle società non commerciali (cooperative e di mutua assicurazione).

Sanzioni

Con riferimento agli aspetti sanzionatori, l’omissione della comunicazione al Registro delle Imprese dell’indirizzo della casella PEC è assoggettata a sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 2630 del Codice Civile, attraverso la sanzione amministrativa pecuniaria da € 206 a € 2.065 prevista, in termini generali, da chiunque essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società od in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il Registro delle Imprese.

Le sanzioni sono state ridotte alla metà dalla L. n. 180/2011 e pertanto la sanzione amministrativa pecuniaria va da € 103 Euro a € 1.032, con ulteriore riduzione di un terzo laddove la inadempienza fosse corretta entro trenta giorni dopo la scadenza stabilita per legge, ossia, a seguito della pubblicazione del Decreto, successivamente al 30 giugno 2012


Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite – Notifica per posta

1. Il termine di dieci giorni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 4, (Notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nel testo sostituito dall’art. 2, comma 3, lettera c), numero 3, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 maggio 2005, n. 80, entrato in vigore il 17 marzo 2005 – secondo il quale, nel caso (quale quello di specie), in cui il piego raccomandato depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna non sia stato ritirato dal destinatario, “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma…” – deve essere qualificato come termine  “a decorrenza successiva” e computato, secondo il criterio di cui all’art. 155, primo comma, c.p.c. escludendo il giorno iniziale (data di spedizione della lettera raccomandata di cui allo stesso art. 8, comma 2) e conteggiando quello finale;

2. Il termine di dieci giorni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 4, deve intendersi compreso fra i “termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza”, di cui all’art. 155, quinto comma, c.p.c., aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera f) della legge 28 dicembre 2005, n. 263 entrato in vigore il 1 marzo 2006, con la conseguenza che il dies ad quem del termine medesimo, ove scadente nella giornata del sabato, é prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo, ai sensi del combinato disposto del quinto e del quarto comma dello stesso art. 155 c.p.c.

A seguito di ricorso in data 1 dicembre 2008, presentato al Tribunale di Terni da P. Q., titolare della impresa individuale Cartoplastica P., per la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione, il Giudice delegato, con decreto del 3 dicembre 2008, tra l’altro, convocò dinanzi a sé la debitrice s.r.l. Exporter, in persona del legale rappresentante pro tempore, ed il creditore istante per l’udienza del 12 gennaio 2009, mandando a tale creditore di notificare il ricorso ed il decreto “entro il termine di 15 giorni prima dell’udienza fissata, con deposito entro l’udienza dell’atto notificato”. Nell’udienza del 12 gennaio 2009, in assenza della Società debitrice, il difensore del P. fece presente che la notificazione del ricorso e del decreto alla debitrice era stata eseguita presso la sede sociale a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali), con spedizione del piego raccomandato con avviso di ricevimento in data 15 dicembre 2008, e che il piego raccomandato, non potuto consegnare per assenza della destinataria, era stato depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna in data 16 dicembre 2008, ai sensi dell’art. 8, secondo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), con contestuale spedizione dell’avviso di deposito alla stessa Società debitrice, sottolineando altresì che la notificazione si era perfezionata, per compiuta giacenza ai sensi dell’art. 8, quarto comma, della stessa legge n. 890 del 1982, in data 27 dicembre 2008. Nella stessa udienza del 12 gennaio 2009 il Tribunale – preso atto del ricorso e del decreto così notificati e disposta la riunione di altra istanza per la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione, presentata dalla s. a. s. Ferramenta S. di V. D. & C. – si riservò di decidere e, con sentenza n. 7 del 30 gennaio 2009, dichiarò il fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione.

2. – A seguito di reclamo di quest’ultima – la quale sosteneva che non era stato rispettato il termine dilatorio di quindici giorni tra la data della notificazione del ricorso e del decreto di convocazione e quella dell’udienza, di cui all’art. 15, terzo comma, della legge fallimentare, nel testo sostituito dall’art. 2, comma 4, del d.lgs. 12 settembre 2007 n. 169, applicabile ratione temporis -, la Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 249/09 del 12 giugno 2009, revocò la dichiarazione di fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione. In particolare, la Corte di Perugia ha osservato che:

a) la notificazione de qua fu eseguita a mezzo del servizio postale, ai sensi della menzionata legge n. 53 del 1994;

b) per l’assenza del destinatario, il piego raccomandato fu depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna in data 16 dicembre 2008;

c) “nessuno essendosi presentato a ritirare il plico, la notifica si perfezionò con la giacenza di dieci giorni”;

d) “La giacenza si completò il giorno 29 dicembre, poiché i giorni 25 e 26 dicembre sono festivi mentre il giorno 27 era sabato ed il 28 era domenica, quindi nessuno di questi giorni era utile alla scadenza, stante il disposto degli ultimi due commi dell’art. 155 c.p.c.. Primo dei quindici giorni del termine dilatorio dell’art. 15 L.F. fu quindi il 30 dicembre. Ultimo dei quindici giorni liberi era il 13 gennaio, ma l’udienza si tenne, come disposto, lunedì 12 gennaio. All’udienza nessuno comparve per la società debitrice…. Evidente la violazione del contraddittorio, per non essere stato garantito al debitore termine pari a quello previsto dalla norma e dallo stesso decreto di convocazione, deve essere revocata la sentenza dichiarativa di fallimento, affetta da nullità”.

3. – Avverso tale sentenza il Fallimento della s.r.l. Exporter in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, illustrati con memoria. Resiste, con controricorso, la s.r.l. Exporter in liquidazione, la quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su un motivo, cui resiste, con controricorso, il Fallimento. 3.1. – Con il primo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al computo dei termini ed alla loro eventuale proroga: art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., art. 155 c.p.c., art. 8 L. 890/82, nel testo vigente”), e con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al computo dei termini ed alla loro eventuale proroga in caso di scadenza in giorno festivo: art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., art. 155 c.p.c., art. 8 L. 890/82, e relative modifiche”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il Fallimento ricorrente principale critica la sentenza impugnata, sostenendo che il termine di cui all’art. 8 della legge n. 890 del 1982, non é qualificabile come “termine processuale”, con la conseguenza che ad esso non si applica la disciplina di cui all’art. 155 c.p.c.. Al riguardo, il ricorrente – premesso che per “termini processuali” debbono intendersi “quelli che ineriscono al (e si inseriscono nel) processo” e che “più in particolare il riferimento di cui all’art. 155 c.p.c., é ai termini previsti dal codice di rito” – afferma che il termine di cui all’art. 8 della legge n. 890 del 1982, oltre ad essere previsto da una legge estranea al codice di rito, non é preordinato allo svolgimento di attività processuali, limitandosi a contenere una “previsione assoluta di conoscenza dell’atto da parte del destinatario della notifica”; sostiene, inoltre, che il termine previsto dall’art. 155 cod. proc. civ. “attiene ad una attività da compiersi da parte di colui a favore del quale quel termine é posto”, vale a dire, con riferimento all’attività di notificazione, “ad un’attività del soggetto notificante”, l’attività processuale del quale “si é esaurita con la richiesta di notifica”; aggiunge, infine, che la proroga del termine che scade in giorno festivo non é prorogabile sempre e comunque ma soltanto in relazione ai termini “acceleratori” e, quindi, soltanto “per coloro che ne sono destinatari”.

Nella specie, trattandosi dei termine previsto dall’art. 15, terzo comma, della legge fallimentare, cioè di un termine “dilatorio”, la sua scadenza nel giorno di sabato non era prorogabile al giorno del lunedì successivo, con la conseguenza che, nel giorno del 12 gennaio 2009 (celebrazione dell’udienza di convocazione del debitore), il termine dilatorio di quindici giorni, di cui all’art. 15, terzo comma, della legge fallimentare, doveva ritenersi pienamente rispettato. Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al regime applicabile al procedimento finalizzato alla dichiarazione di fallimento instauratasi nel dicembre 2008): art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., art. 155 c.p.c., art. 15 D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169”), il ricorrente principale critica per altro verso la sentenza impugnata, sostenendo che il termine di quindici giorni di cui all’art. 15, terzo comma, della legge fallimentare, non é qualificabile come “termine libero”, con la conseguenza che – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte perugina – il dies a quo non deve essere computato, mentre va computato il dies ad quem, con l’ulteriore conseguenza che l’udienza di convocazione del debitore del 12 gennaio 2009 doveva considerarsi assolutamente valida; Con il quarto motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento al computo dei termini ed alla loro eventuale proroga in caso di scadenza in giorno di sabato: art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., art. 155 c.p.c., art. 8 L. 890/82, e relative modifiche”), il ricorrente principale critica, infine, la sentenza impugnata, sostenendo che – contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici a quibus -la giornata del sabato deve considerarsi “lavorativa”, in particolare anche quanto all’attività di notificazione degli atti sia per il notificante sia per il notificato.

3.1.1. – La controricorrente eccepisce, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso principale, in quanto il curatore fallimentare non avrebbe né la legittimazione né l’interesse a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata, senza neppure il previo parere del comitato dei creditori. 3.2. – Con l’unico motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di legge, con specifico riferimento agli artt. 47-quinquies del R.D. 12/41, e dell’art. 158 c.p.c.: art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., artt. 47-quinquies R.D. 12/41, e dell’art. 158 c.p.c.”), la ricorrente incidentale critica la sentenza impugnata, affermando che la Corte d’Appello aveva respinto l’eccezione, dalla stessa sollevata, relativa al vizio di costituzione del collegio giudicante in primo grado ed osservando al riguardo che il Tribunale di Terni era stato presieduto da un giudice anziano e non dal Presidente del Tribunale che, in quanto in servizio, avrebbe dovuto e potuto presiedere il collegio giudicante, con conseguente nullità della sentenza dichiarativa di fallimento per vizio di costituzione del giudice, in quanto la sostituzione del Presidente del Tribunale non risultava dettata né da previsione tabellare né da motivato impedimento dello stesso. A conclusione del motivo, la ricorrente incidentale formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se sia valida e/o esistente la sentenza dichiarativa di fallimento emessa da un Tribunale in composizione Collegiale e riunito in Camera di Consiglio composto tra gli altri da un Giudice facente funzioni di Presidente anziché dal Presidente del Tribunale senza previsione tabellare e/o ragioni e motivi di impedimento ovvero se la stessa sia invalida e/o nulla e/o inesistente in quanto tale da violare l’art. 47-uqinquies del R.D. 12/41 … e le prescrizioni in materia tabellare”. 3.2.1. – Il ricorrente principale eccepisce l’inammissibilità del ricorso incidentale, innanzitutto, perché la sentenza impugnata non si é pronunciata sulla questione; in secondo luogo, perché il motivo é privo di autosufficienza; in terzo luogo, perché é stato formulato un quesito di diritto plurimo e tautologico; infine, perché le tabelle concernenti i collegi giudicanti si riferiscono alle udienze pubbliche e non alle adunanze in camera di consiglio, relativamente alle quali il collegio può essere presieduto sia dai presidente del tribunale sia dal giudice che ne esercita le funzioni sia dal giudice più anziano.

4. – I ricorsi sono stati assegnati alla Prima Sezione civile. Tale Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 5144/11 del 3 marzo 2011, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione dei ricorsi alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., presentando essi una questione di massima di particolare importanza. Al riguardo, il Collegio rimettente ha osservato: “La questione… riguarda la corretta qualificazione dell’attività che il notificando avrebbe dovuto porre in essere per l’acquisizione dell’atto notificato, dovendosi più precisamente chiarire se l’atto del ritiro della notifica possa essere inteso come atto processuale, e se la coincidenza dell’ultimo giorno fissato per il deposito dell’atto con la giornata di sabato determini o meno la proroga al primo giorno seguente non festivo”. Tale chiarimento, ad avviso della Prima Sezione, presenta profili di delicatezza in ragione della diversità dei momenti di verificazione degli effetti della notifica per il notificante e per il notificato (Corte costituzionale, sentenza n. 477 del 2002), della decorrenza degli effetti della notifica per il destinatario che abbia ritirato il plico dopo l’ultimo dei prescritti dieci giorni di giacenza (art. 8, quarto comma, della legge 20.11.1982, n. 890), della possibilità per il notificando di ritirare comunque il plico anche dopo la scadenza del decimo giorno, fermi gli effetti legali sopra richiamati riconducibili alla scadenza dell’ultimo giorno di giacenza, per la potenziale incidenza della interpretazione data sul punto dal giudice di legittimità su una pluralità di controversie.

5. – Assegnati i ricorsi a queste Sezioni unite, ambedue le parti hanno depositato memorie. All’odierna udienza di discussione, il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del primo, secondo e quarto motivo del ricorso principale, assorbiti il terzo motivo dello stesso ricorso principale ed il ricorso incidentale.

In caso di notificazione eseguita a mezzo del servizio postale (ai sensi dell’art. 8, secondo e quarto comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890), il perfezionamento della notifica può coincidere, oltre che con il materiale recapito o con il ritiro del plico da parte del destinatario, anche con lo spirare del termine di 10 giorni stabilito per la «compiuta giacenza».

Con pronuncia resa a Sezioni Unite la Corte di Cassazione ha chiarito che il termine di 10 giorni va considerato di natura processuale e a decorrenza successiva. Ne discende l’applicazione delle regole ordinarie stabilite dal codice di procedura civile (dunque, se il termine dei 10 giorni scade in un giorno festivo, o nella giornata di sabato, la scadenza va prorogata al primo giorno seguente non festivo).

In primis, occorre considerare l’art. 149, terzo comma, cod. proc. civ., – aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera e) della legge 28 dicembre 2005, n. 263, entrato in vigore il 1 marzo 2006, che, nel disciplinare la notificazione a mezzo del servizio postale, dispone: “La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto”.
Tale disposizione, afferma la Corte, codifica il principio di scissione fra i due momenti di perfezionamento della notificazione, conformemente a quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale: “… risulta ormai presente nell’ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale – relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione é destinata a svolgere per il notificante – il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario; pur restando fermo che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati é condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui la legge preveda termini o adempimenti o comunque conseguenze dalla notificazione decorrenti, gli stessi debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti”.
La stessa disposizione, inoltre – nella parte in cui stabilisce che la notifica si perfeziona per il destinatario dal momento in cui questo “ha la legale conoscenza dell’atto” si collega proprio alla notificazione tramite posta, nella quale il perfezionamento della notifica non sempre coincide con il materiale recapito o ritiro del piego raccomandato da parte del notificato, potendo invece coincidere, come nella specie, con l’inutile spirare del termine di “compiuta giacenza”, di cui all’articolo 8, quarto comma, della legge n. 890 del 1982.

Ancora, l’articolo 8, quarto comma, della legge n. 890 del 1982, – nel testo sostituito dall’articolo 2, quarto comma, lettera c) numero 3 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 comma 1 della legge 14 maggio 2005, n. 80, entrato in vigore il 17 marzo 2005 , stabilisce che “La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”.

Per la Corte, “tale disposizione realizza – contemperandoli – due diversi e contrapposti interessi: quello del notificante, anche sia comunque assicurato un termine finale per il perfezionamento del procedimento di notificazione dallo stesso promosso, spirato il quale, appunto, “la notificazione si ha per eseguita” anche in mancanza di ritiro del piego depositato da parte del destinatario, che pertanto, da tale momento, “ha la legale conoscenza dell’atto”; quello del notificato – nei casi, di cui al secondo comma dello stesso articolo 8, di mancato recapito del piego – a disporre di un termine ragionevole per il ritiro dello stesso presso l’ufficio postale preposto alla consegna, dal momento che la previsione di tale termine risponde al “fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli” (cfr. Corte costituzionale n. 346 del 1998).

Infine, l’art. 155 cod. proc. civ., sul computo dei termini, dispone, ai comma 4, che, “se il giorno di scadenza é festivo, la scadenza é prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”, e, ai commi quinto e sesto – aggiunti dall’articolo 2, comma 1, lettera f, della citata legge n. 263 del 2005, entrati in vigore il 1 marzo 2006, applicabili anche ai processi pendenti a tale data (art. 58, comma 3, della legge 18 giugno 2009, n. 69: cfr. le ordinanze nn. 7841 del 2011, 454 del 2010, 15636 del 2009 e la sentenza n, 6212 del 2010) , che: “La proroga prevista dal comma 4, si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato (quinto comma). Resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto é considerata lavorativa (sesto comma)”.

Per la Corte, tali commi aggiunti per un verso (quinto comma), assimilano il giorno del sabato a quello festivo, limitatamente però “ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato”, per l’altro (sesto comma), puntualizzano tuttavia che in tale giornata – “ad ogni effetto considerata lavorativa”“resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari”.
L’art. 155, quinto comma, cod. proc. civ., secondo il quale tale disposizione, diretta a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata del sabato, opera con esclusivo riguardo ai termini a decorrenza successiva e non anche per quelli che si computano “a ritroso” con l’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività, in quanto, altrimenti, si determinerebbe l’effetto contrario dell’abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio delle esigenze garantite con la previsione del termine medesimo.

La realizzazione dei contrapposti interessi del notificante – al perfezionamento del procedimento di notificazione – e del notificato – alla conoscibilità effettiva dell’atto – richiede che per quest’ultimo “trascorrano” o “decorrano”, appunto, dieci giorni dal momento in cui lo stesso, con la spedizione dell’avviso di deposito, é stato posto in condizione di conoscere effettivamente il contenuto dell’atto.

Conseguentemente, questo termine deve essere computato secondo i normali criteri, escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello finale (art. 155, primo comma, cod. proc. civ.).

Si tratta di stabilire, ora, se quello previsto dall’art. 8, quarto comma, della legge n. 890 del 1982 sia, o no, termine previsto “per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza” (art. 155, quinto comma, cod. proc. civ.), con la conseguenza – in caso di risposta affermativa – che esso, se scadente nella giornata del sabato, é prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo (art. 155, quarto comma, cod. proc. civ.).

Al riguardo – tenute presenti tutte le considerazioni che precedono e, in particolare, il rilievo che per “atti processuali”, di cui all’ora menzionato quinto comma dell’art. 155 devono intendersi quelli che hanno rilevanza, diretta o indiretta, nel processo (cfr., supra, n. 3.1.2., lettera C) – é agevole rilevare che l’intero (tradizionale) procedimento di notificazione di atti inerenti al processo – sia esso promosso ed eseguito dall’avvocato ai sensi della citata legge n. 53 del 1994  (come nella specie), ovvero eseguito dall’ufficiale giudiziario, previa consegna a quest’ultimo dell’atto da notificare – si svolge necessariamente “fuori dell’udienza” fino al suo compimento, come ovviamente fuori dell’udienza si effettua in particolare, nelle notificazioni a mezzo del servizio postale, anche l’eventuale “ritiro” del piego depositato presso l’ufficio postale preposto alla consegna da parte del notificato. “Ritiro” che, d’altro canto, é certamente qualificabile come “atto processuale” ai sensi del menzionato quinto comma, art. 155, costituendo esso, se anteriore al compimento del periodo di “giacenza” di cui all’art. 8, quarto comma, della legge n. 890 del 1982, l’altra forma di perfezionamento del procedimento di notificazione eseguito a mezzo del servizio postale, nei casi di mancata consegna del piego al destinatario o alle persone abilitate a riceverlo di cui allo stesso art. 8, comma 2 (“Resta… fermo, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell’atto, attestata dall’avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo”: così la citata sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, n. 3.2. del Considerato in diritto).

Ne discende che, nel caso in cui il termine di dieci giorni, di cui all’art. 8, quarto comma, della legge n. 890 del 1982, scada della giornata del sabato, la scadenza é prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5.

Leggi: Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite – Sentenza 1 Febbraio 2012, n. 1418


Riunione Giunta Esecutiva del 28.01.2012

Ai membri della Giunta Esecutiva

Ai Soci Fondatori

Oggetto: Convocazione Giunta Esecutiva

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 28 gennaio 2012 alle ore 7:30 presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 9:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione;
  2. Bilancio 2011 – approvazione bilancio consuntivo;
  3. Convegno Nazionale del 2.03.2012;
  4. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale GE 28 01 2012