Avviso di accertamento anche se notificato regolarmente è illegittimo

Agli organi di controllo, l’emissione di un avviso di accertamento è consentita solo dopo sessanta giorni (articolo 12 comma 7 legge numero 212/2000) successivi alla contestazione. Conseguentemente, l’avviso di accertamento formato e firmato dal funzionario dell’ufficio finanziario prima di questi stessi termini, sia pure notificato dopo i sessanta giorni, è illegittimo.
Lo ha stabilito la sezione quinta della Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 33285/2021 dell’11 novembre scorso. L’articolo 12, comma 7, della legge numero 212/2000 (Statuto del contribuente) stabilisce che, nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. (…). È quindi opportuno ricordare, che, ai sensi di tale art. 12, comma 7, dopo il rilascio del pvc (processo verbale di chiusura delle operazioni) da parte dei verificatori che hanno eseguito attività ispettive presso il domicilio fiscale del contribuente, devono trascorrere sessanta giorni prima che il fisco possa emettere il relativo avviso di accertamento.
Durante questo termine, infatti, al contribuente è consentito formulare osservazioni che l’ufficio è tenuto a valutare. Questo stesso termine di sessanta giorni è una espressione del principio di buona amministrazione e di collaborazione con il contribuente sancito anche nella Carta costituzionale. Nella sentenza i membri della Corte Suprema di Cassazione stabiliscono che i citati termini decorrono tra la consegna del processo verbale e la formazione (sottoscrizione dell’atto) da parte del funzionario dell’ufficio, senza considerare che la successiva notifica abbia rispettato questi termini.
La norma di riferimento, dice la cassazione, tende a garantire il contraddittorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni prima ancora che l’atto sia formato e sottoscritto. La Corte Suprema di Cassazione aggiunge che, nel caso specifico, l’applicazione del termine dilatorio di cui all’articolo 12, comma 7, della legge numero 212 del 2000 non è necessaria la prova di resistenza (Corte Suprema di Cassazione sentenza numero 22644/2019) e questo sia per i tributi armonizzati (Iva) che non armonizzati (imposte dirette) trattandosi di accertamento emesso sull’esito di accesso domiciliare.


Notifica digitale degli atti della P.A.: il parere del Garante della Privacy

Sta per tagliare il traguardo la digitalizzazione della notifica degli atti della PA, cui si potrà accedere con Spid e la delega digitale. Il Garante privacy, infatti, ha espresso il suo parere (sotto allegato) sullo schema di dpcm in materia di “Piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione”, da adottare ai sensi dell’art. 26, comma 15, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120.
Il Garante, dopo il richiamo della normativa in materia, compreso naturalmente l’art. 26 del dl. n. 76/2020, che disciplina la Piattaforma, analizza il testo del dpcm trasmessogli che contiene la disciplina di funzionamento della Piattaforma digitale per le notifiche della P.A.
Le P.A. mittenti accedono alla Piattaforma tramite funzionari incaricati e poi autorizzati a svolgere le attività connesse all’utilizzo della stessa. L’accesso avviene a mezzo SPID o CIE.
A loro volta anche i destinatari accedono alla Piattaforma dopo essersi autenticati a mezzo SPID, con livello di sicurezza almeno significativo, o CIE (dei legali rappresentanti o dei soggetti delegati se si tratta di società, previa verifica di tale qualità da parte del gestore).
La PA mittente carica sulla piattaforma il documento da notificare, identifica il destinatario, il suo domicilio digitale speciale, ove eletto, e quello fisico, poi comunica automaticamente i dati al Gestore. Se il documento e la messa a disposizione rispettano le regole il Gestore gli attribuisce il codice IUN, altrimenti comunica al mittente l’impossibilità di procedere alla notificazione ed elimina automaticamente i documenti caricati.
La notificazione viene effettuata quindi dal Gestore: prima presso il domicilio digitale di Piattaforma eletto dal destinatario; poi presso il domicilio digitale speciale, se eletto; infine, al “domicilio digitale generale” (indirizzo inserito in uno degli elenchi di cui all’INI-PEC, all’IPA o all’INAD). Se tutti questi domicili digitali risultano saturi, non validi o non attivi, il Gestore procede a un secondo tentativo d’invio.
Il destinatario nell’accedere alla Piattaforma può reperire, consultare e acquisire i documenti notificati, visualizzando mittente, data e ora di messa a disposizione, atto notificato, storico del processo di notifica, compresi gli atti opponibili a terzi, gli avvisi di mancato recapito, il codice IUN. Il destinatario può scaricare e inviare a terzi la copia del documento.
Il Gestore attesta la data e l’ora in cui il destinatario o il delegato accedono, tramite la Piattaforma, all’atto notificato, con un sistema di marcatura temporale certificato opponibile a terzi.
I destinatari possono infatti conferire a terzi con delega apposita il diritto di accedere alla Piattaforma per reperire, consultare e acquisire, per loro conto, atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni notificati dalle amministrazioni. La delega può essere revocata o rinunciata in qualsiasi momento e può essere conferita con Sistema di gestione delle deleghe di cui all’art. 64-ter del CAD, o tramite una specifica funzionalità della Piattaforma, anche solo in relazione ad alcuni specifici mittenti.
Il legale rappresentante di un ente giuridico destinatario, nei confronti di uno o più dipendenti, può ricorrere alla delega senza però che sia necessario in tal caso accettazione o rinuncia da parte di questi soggetti.
Regole particolari sono dedicate alla notifica cartacea. Per finire lo schema stabilisce regole specifiche in base al ruolo che viene ricoperto dai vari soggetti coinvolti nella procedura, con particolare riferimento ai mittenti, al gestore, all’addetto al recapito e al fornitore del servizio universale.
Il dpcm analizzato, per il Garante, ha tenuto conto delle indicazioni fornite in precedenza per rendere le disposizioni conformi alla normativa sul trattamento dei dati personali, esso tuttavia presenta ancora dei profili di rischio elevati perché il sistema della notifica degli atti della PA coinvolge su larga scala tutta una serie di dati e informazioni di carattere personale dei cittadini e contenuti nei documenti notificati e di cui vengono a conoscenza diversi soggetti, come il mittente, il gestore della Piattaforma, il fornitore del servizio universale e addetto al recapito postale.
Il Garante rileva che tali rischi riguardano però non solo le modalità di trasmissione degli atti, ma anche lo strumento della delega, con la quale il destinatario può autorizzare numerose categorie di soggetti delegati ad accedere alla Piattaforma e visionare, acquisire e consultare per suo conto provvedimenti vari, avvisi e comunicazioni della P.A.
Un meccanismo, quello della delega, che presta il fianco ad accessi non autorizzati a terzi. Si pensi a deleghe complesse, riconosciute a organizzazioni incaricate ad esempio di provvedere al disbrigo di pratiche per conto del delegante, che potrebbe trovarsi nella condizione di non conoscere di fatto chi sono i soggetti che possono visionare i suoi atti e documenti. Organizzazioni che, se delegate da molti soggetti, determinano la conoscenza esponenziale di dati di una moltitudine di soggetti.
Un altro profilo di rischio infine è quello che riguarda la possibilità per il destinatario “di rivolgersi al fornitore del servizio universale per consentirgli di estrarre, per suo conto e tramite accesso semplificato, copia analogica del documento informatico disponibile sulla Piattaforma e le previste attestazioni.”
In questo caso, infatti, un soggetto terzo può presentarsi allo sportello dell’ufficio postale, con tanto di avviso di ricezione, al posto del reale destinatario e a sua insaputa. Abusi possibili sono però anche quelli che possono essere compiuti dall’addetto all’ufficio postale.
Alla luce di queste osservazioni il Garante concede parere favorevole allo schema del decreto “fermo restando che, anche in ossequio ai principi di accountability e privacy by design e by default (artt. 5, par. 2, 24 e 25 del Regolamento), le ulteriori misure tecniche e organizzative necessarie a mitigare i rischi elevati presentati dal trattamento dovranno essere adeguatamente individuate dal Gestore nella valutazione di impatto di cui all’art. 14, comma 8, dello schema in esame.”
Leggi: Garante Privacy parere 14.10.2021


L’indennità di posizione organizzativa sorge solo se la P.A. ha istituito la relativa posizione

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione lavoro, ha ribadito, in tema di posizioni organizzative, rigettando il ricorso di funzionari comunali, che il diritto del pubblico dipendente a percepire l’indennità di posizione organizzativa sorge solo se la P.A. datrice di lavoro ha istituito la relativa posizione, perché l’istituzione rientra nell’attività organizzativa dell’Amministrazione, la quale deve tener conto delle proprie esigenze e soprattutto dei vincoli di bilancio, che, altrimenti, non risulterebbero rispettati laddove si dovesse pervenire all’affermazione di un obbligo indiscriminato, e che, pertanto, è da escludere che, prima dell’adozione dell’atto costitutivo delle posizioni organizzative, sia configurabile un danno da perdita di chance per il dipendente che assuma l’elevata probabilità di essere destinatario dell’incarico e l’irrilevanza, ai suddetti fini, di eventuali atti preparatori endoprocedimentali, nonché dell’espletamento di fatto di mansioni assimilabili a quelle della posizione non istituita. (Cassazione civile, Sez. lav., sentenza 9 novembre 2021, n. 32950)


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 14/07/2021) 24/11/2021, n. 36403

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4419-2020 R.G. proposto da:

L.M., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Antonio PIRRELLI, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via L. Mantegazza, n. 24, presso lo studio del Dott. Marco GARDIN;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. MYCS3/2019 della Commissione tributaria regionale del LA depositata in data 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/07/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

– in controversia relativa ad impugnazione di una intimazione di pagamento relativa a 38 cartelle di pagamento e 2 avvisi di debito emessa da Equitalia Sud s.p.a. nei confronti di L.M., con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, regolarmente notificati gli atti prodromici all’intimazione impugnata “consegnati in parte direttamente al destinatario ed in parte al familiare convivente o addetto alla casa, non necessitante, in quest’ultimo caso, diversamente da quanto sostenuto, l’invio di successiva raccomandata informativa”, ed infondata l’eccezione di prescrzione dei crediti tributari in quanto soggetti al termine di prescrizione decennale;

– avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, limitando l’impugnazione a solo otto cartelle di pagamento (espressamente elencate a pag. 12 del ricorso);

– replica con controricorso l’intimata /Agenzia delle entrate Riscossione;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

– il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c. “per avere la Commissione Regionale affermato sussistere termine di prescrizione decennale in luogo di quello quinquennale con riferimento ai tributi erariali cristallizzati in atti amministrativi (cartelle e avvisi di pagamento) e non in atti giurisdizionali”.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, con riferimento soltanto a quattro cartelle di pagamento, un error in iudicando, ai sensi dell”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonchè degli artt. 137 e 139 c.p.c., nonchè un (non meglio specificato) vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la CTR aveva “omesso di considerare nulla/inesistente la notifica dell’atto tributario nel difetto della prova della spedizione da parte del notificante e della ricezione da parte del notificando della lettera informativa di avvenuta notifica che si era resa obbligatoria in mancanza della consegna a mani proprie”.

3. Tale ultimo motivo, che per ragioni di ordine logico-giuridico va esaminato preliminarmente, è infondato e va rigettato in quanto la notifica delle cartelle di pagamento, per espressa ammissione dello stesso ricorrente e per come risulta dalla documentazione fotorìprodotta nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, è stata effettuata D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, a persona di famiglia (suocera del contribuente) per cui non era necessario l’invio della raccomandata informativa.

4. Invero, questa Corte è ferma nel ritenere che “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, aì sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 in quanto tale forma “semplificata” di notificazione sì giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018, Rv. 651834 – 01; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10037 del 10/04/2019, Rv. 653680 – 01, secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, mediante invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento da parte del concessionario, non è necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario, peraltro con esclusione della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, in quanto privo di efficacia retroattiva, e non quelle della L. n. 890 del 1982”).

5. In questa direzione, del resto, depone proprio il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, che consente agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, precisando che in caso di notifica “nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda” (comma 2) o al “portiere dello stabile dov’è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda” del destinatario, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da tali soggetti, prevedendo lo stesso art. 26, il rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, unicamente per quanto non regolato nello stesso articolo (cfr. Cass. n. 14196/2014, Cass. ord. n. 3254/16, Cass. n. 802 del 2018; conf. Cass. n. 12083 del 2016 e n. 29022 del 2017).

6. E d’altro canto, come affermato da Cass. n. 28872 del 12/11/2018, sopra citata, la Corte costituzionale, occupandosi della questione ha dichiarato, con la sentenza n. 175 del 2018, la conformità a Costituzione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, rilevando che “la semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c. e alla L. n. 890 del 1982, art. 3” e nella “mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica (cosiddetta CAN)”, “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1”. ha precisato il Giudice delle leggi che, seppure non sia prevista la relata di notifica, nella notificazione “diretta” ai sensi del citato art. 26 “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”. Inoltre, la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica (ma solo nel caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere), “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”.

7. In senso analogo si sono recentemente espresse anche le Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 10012 del 2021 che, sempre in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, ha ritenuto necessario l’invio della raccomandata informativa soltanto nelle ipotesi – nella specie non ricorrenti – di “irreperibilità o rifiuto di ricevere” l’atto da parte del destinatario e delle persone addette alla casa, precisando che, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio, la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), ritenendo a tal fine insufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della stessa.

8. Il primo motivo, al cui esame deve quindi passarsi, è fondato nei limiti di cui appresso si dirà.

9. Il Supremo consesso di questa Corte ha affermato, nella sentenza n. 23397 del 2016 (seguita da numerose pronunce delle Sezioni semplici, tra cui Cass. n. 9906, n. 11800 e n. 12200 del 2018), che “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, trìbutarie ed extratributarie, nonchè di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

10. Secondo la citata pronuncia, quindi, la mancata impugnazione degli atti impositivi/esecutivi rende irretrattabili i crediti d’imposta, senza incidere sul relativo termine prescrizionale, che è quello ordinario decennale salvo che non sia per essi espressamente previsto ex lege un termine inferiore; ne consegue che nel caso di specie la CTR ha correttamente interpretato tale principio ritenendo soggetto a prescrizione decennale tutti i crediti erariali, nella specie IVA (cfr. Cass. n. 8256 del 2019, non massimata, e la giurisprudenza ivi richiamata), IRPEF (Cass. n. 9906 del 2018) ed IRAP (Cass. n. 1543 del 2018), il cui termine prescrizionale è chiaramente decennale.

11. A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi con riferimento agli interessi e alle sanzioni collegati ai predetti tributi, il cui termine di prescrizione, diversamente da quanto risulta dal tenore dell’impugnata sentenza, è quello quinquennale.

12. Invero il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, comma 3, stabilisce che “il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni”. A sua volta l’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4, prevede che “si prescrivono in cinque anni: (…) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”. Orbene, questa Corte ha, sul punto, avuto modo di puntualizzare che “il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta “actio iudicati”, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile”, come nel caso di specie, “vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 20, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario” nell’ipotesi di esistenza del giudicato (cfr. Cass., Sez. U., n. 25790 del 2009; conf. Cass. n. 5837 del 2011; Cass. n. 5577 del 2019). E’ stato, altresì, precisato in materia di interessi dovuti per il ritardo nell’esazione dei tributi che il relativo credito, integrando un’obbligazione autonoma rispetto al debito principale e suscettibile di autonome vicende, rimane sottoposto al proprio termine di prescrizione quinquennale fissato dall’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 30901 del 2019; Cass. n. 14049 del 2006; v. anche Cass. n. 12740 del 2020, con riferimento al termine quinquennale di prescrizione sia delle sanzioni che degli interessi).

13. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso va rigettato mentre va accolto il secondo limitatamente agli interessi e alle sanzioni, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR territorialmente competente che, attenendosi ai suesposti principi giurisprudenziali, provvederà a verificare il compimento del termine di prescrizione quinquennale con esclusivo riferimento alle sanzioni e agli interessi applicati alle otto cartelle di pagamento impugnate, nonchè alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2021


Il dipendente che va in pensione può monetizzare le ferie non godute se non ha potuto fruirle per esigenze di servizio

Con la sentenza n. 7640/2021, il Consiglio di Stato ha affermato che il dipendente che non ha fruito di ferie residue alla data di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età ha diritto alla monetizzazione quando, in tempo utile rispetto alla cessazione dal servizio, abbia presentato istanze per la fruizione, ma siano state respinte dall’amministrazione per esigenze di servizio.
La vicenda, che riguarda un magistrato in pensione, ha un impatto rilevante su tutto il personale della pubblica amministrazione perché offre un’apertura delle disposizioni applicative, in ordine alla materia della monetizzazione delle ferie, fornite a suo tempo dai dicasteri competenti (da ultimo il parere della Funzione pubblica DFP n.76251/2020).
Il ricorrente chiedeva al proprio datore di lavoro la monetizzazione dei giorni di congedo ordinario non fruiti prima del suo collocamento a riposo per limiti di età (poco meno di cinquanta giorni), sul fondamento che egli aveva chiesto di poterne fruire ma si era visto sempre opporre dinieghi motivati da esigenze di servizio.
Il ministero della Giustizia ha negato la richiesta avanzata dal dipendente sulla base del tenore letterale dell’articolo 5, comma 8, del decreto legge 95/2012 (Spending review), dei pareri resi allora dal Dipartimento della Funzione pubblica, assentiti anche dalla Ragioneria generale dello Stato, nonché della linea interpretativa espressa dalla Corte costituzionale con sentenza 6 maggio 2016 n. 95.
La vicenda è arrivata sui tavoli della magistratura amministrativa. La pronuncia di primo grado ha accolto il ricorso presentato dal dipendente, ritenendo che la sopravvenuta impossibilità alla fruizione delle ferie, conseguente al collocamento a riposo d’ufficio, non fosse imputabile al dipendente. Così il dicastero ha promosso ricorso al Consiglio di Stato.
Per il Consiglio di Stato non è in contestazione l’interpretazione data dalla Corte costituzionale del divieto di monetizzazione delle ferie non godute, secondo cui esso si applica quando l’impossibilità a fruire delle ferie è correlata a un evento prevedibile incidente sul rapporto di impiego, come nel caso di collocamento a riposo d’ufficio, il quale consente di «programmare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore».
Nel caso di specie, la situazione è diversa. L’interessato, come è emerso dal dibattito processuale, si è attivato per fruire delle ferie residue, ma le sue istanze sono state rigettate dal datore di lavoro per ragioni di servizio.
Pertanto, si legge nella sentenza, il datore di lavoro pubblico che non abbia concesso il godimento delle ferie a causa del periodo lungo e continuativo richiesto e/o per l’assunzione di un incarico particolare in ragione di servizio, non può imputare al dipendente le conseguenze del rigetto, così come non può pretendere che il residuo ferie sia distribuito su un arco temporale più ampio, in ragione della durata del rapporto di lavoro.
Il dipendente che si sia attivato in tempi congrui e idonei per fruire delle ferie residue, tenendo presente la conosciuta data del collocamento a riposo, ha adempiuto a quanto di propria competenza; pertanto, se per ragioni organizzative e funzionali gli è stata negata l’astensione dal lavoro, gli compete il corrispondente economico dei giorni di ferie residui e non goduti


OK del Garante Privacy alla piattaforma digitale per la notifica degli atti

Parere favorevole del Garante per la privacy sullo schema di decreto che regola il funzionamento della piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione a cittadini e imprese. Il nuovo sistema, sviluppato per rendere più efficienti ed economiche le comunicazioni aventi valore legale, dovrà comunque garantire la riservatezza dei documenti e la privacy delle persone coinvolte.

In base alla bozza di Dpcm, predisposto dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, le pubbliche amministrazioni potranno avvalersi di un’unica piattaforma, gestita da PagoPa, attraverso la quale contattare i soggetti interessati su tre tipologie di domicilio digitale, ovvero indirizzi Pec appositamente individuati. Sono state previste anche modalità alternative di notifica e di accesso alla documentazione per garantire il servizio anche ai cittadini, magari quelli più anziani, che non dispongono ancora di un indirizzo Pec oppure di un’identità digitale Spid o della Cie (Carta di identità elettronica), necessarie per accedere alla piattaforma.

Nel corso delle interlocuzioni con il Garante, sono state individuate varie misure per rafforzare la protezione dei dati dei cittadini. Sono stati innanzitutto definiti i ruoli dei diversi soggetti coinvolti nella gestione della piattaforma e stabilite procedure affinché comunicazioni private non vengano recapitate ad un domicilio digitale di lavoro ed eventualmente lette da collaboratori d’ufficio.

Particolari tutele sono state previste nel caso in cui l’interessato, destinatario degli atti, abbia deciso di delegare un altro soggetto – ad esempio un parente, un Caf o un commercialista – a scaricare per lui la documentazione, al fine di evitare accessi non autorizzati effettuati anche in tempi successivi alla delega.

Poiché il trattamento dei dati effettuato per la notifica di atti con la nuova piattaforma digitale presenta rischi elevati per i diritti e le libertà degli interessati, PagoPa dovrà sottoporre al Garante, prima di avviare il servizio, una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati che individui anche le misure tecniche e organizzative di dettaglio necessarie ad assicurare la sicurezza e la correttezza del trattamento.


Le modifiche del codice della strada e di altre norme sulla circolazione stradale

Modifiche delle norme del codice della strada e di altre norme sulla circolazione stradale previste dalla Legge di conversione del decreto legge n° 121 del 10/09/2021

Modifiche all’applicazione dell’art. 213 del Codice della Strada

… la medesima comunicazione reca altresì l’avviso che, se l’avente diritto non assumerà la custodia del veicolo nei successivi cinque giorni, previo pagamento dei relativi oneri di recupero e custodia, il veicolo sarà alienato anche ai soli fini della sua rottamazione.

… Nel caso di veicoli sequestrati in assenza dell’autore della violazione, per i quali non sia stato possibile rintracciare contestualmente il proprietario o altro obbligato in solido, e affidati a uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis, il verbale di contestazione, unitamente a quello di sequestro recante l’avviso ad assumerne la custodia, è notificato senza ritardo dall’organo di polizia che ha eseguito il sequestro. Contestualmente, il medesimo organo di polizia provvede altresì a dare comunicazione del deposito del veicolo presso il soggetto di cui all’articolo 214-bis mediante pubblicazione di apposito avviso nell’albo pretorio del comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione. Qualora, per comprovate difficoltà oggettive, non sia stato possibile eseguire la notifica e il veicolo risulti ancora affidato a uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis, la notifica si ha per eseguita nel trentesimo giorno successivo a quello di pubblicazione della comunicazione di deposito del veicolo nell’albo pretorio del comune ove è avvenuto l’accertamento della violazione.

Leggi: STRALCIO Modifiche CdS (nov 2021)


Dati personali: ora si possono “vendere”

Approvato il decreto che, nell’attuare la Direttiva UE 2019/770, prevede anche che i dati personali potranno essere scambiati con beni e servizi

Il 29 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto con il quale si attua la Direttiva Europea 2019/770 del 20 maggio 2019, che si occupa di disciplinare determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali.
Il decreto, dopo il capo I del titolo III della parte IV del Codice del Consumo, aggiunge il capo I-bis dedicato ai “contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali” composto dagli articoli che vanno dall’art. 135 octies al 135-vicies ter.
Tali modifiche saranno in vigore a partire dal 1° gennaio 2022.
La novità di maggiore rilievo del provvedimento è rappresentata dalla codificazione dello scambio del dato personale con beni e servizi digitali.
Il dato personale diventa merce di scambio
Il decreto, come annuncia l’art. 1, disciplina alcuni aspetti relativi ai contratti di fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali che vedono coinvolti il professionista da un lato e il consumatore dall’altro. Tali aspetti riguardano la conformità del contenuto digitale o del servizio digitale al contratto, i rimedi esperibili in caso di difetto di conformità al contratto o di mancata fornitura, le modalità in cui tali rimedi possono essere esercitati e la modifica del contenuto o del servizio digitale.
Il primo articolo, tra le varie definizioni, contiene anche quella relativa ai “dati personali”, come definiti dall’articolo 4, punto 1), del regolamento (UE) 2016/679.
Il comma 4 dell’art. 1 prevede infatti che: “Le disposizioni del presente capo si applicano altresì nel caso in cui il professionista fornisce o si obbliga a fornire un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si obbliga a fornire dati personali al professionista, fatto salvo il caso in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dal professionista ai fini della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale a norma del presente capo o per consentire l’assolvimento degli obblighi di legge cui è soggetto il professionista e quest’ultimo non tratti tali dati per scopi diversi da quelli previsti.”
In pratica quindi con questo decreto si apre la strada allo scambio di dati in pagamento del servizio e non come fornitura di dati, come avviene oggi, effettuata ai fini dell’utilizzo del servizio.
Come sappiamo però non tutti i dati sono uguali, quelli sensibili infatti sono soggetti a regole particolari. Per questo la prima domanda che ci si pone è se anche questo tipo di dato potrà essere utilizzato come moneta di scambio.
Il testo del decreto non fornisce una risposta chiara, anche se al riguardo sembra rassicurare il contenuto dell’art.135-novies (che verrà inserito nel codice del consumo), il quale prevede che le disposizioni nazionali ed europee in materia di protezione dei dati personali (Regolamento (UE) 2016/679), il dlgs n. 101/2018 e il dlgs n. 196/2003 “si applicano a qualsiasi dato personale trattato in relazione ai contratti di cui all’articolo 135-octies, comma 3. In caso di conflitto tra le disposizioni del presente capo e quelle del diritto dell’Unione in materia di protezione dei dati personali, prevalgono queste ultime.”
Sembra quindi, a una prima lettura, che il dato personale, anche se trattato come moneta per acquistare beni e servizi, è sottoposto alla tutela prevista dalla normativa interna ed europea.


Notifica decreto ingiuntivo: nulla o inesistente? Quali differenze

La Corte Suprema di Cassazione fa chiarezza sulla distinzione tra notifica nulla e notifica inesistente del decreto ingiuntivo e sulle conseguenze circa l’efficacia dell’atto

I rimedi per la notifica inesistente o nulla del decreto ingiuntivo

Con la sentenza n. 28573/2021, pubblicata il 18 ottobre 2021, la Corte Suprema di Cassazione ha fatto luce sulla differenza tra notifica nulla e notifica inesistente del decreto ingiuntivo, evidenziando le conseguenze procedurali che derivano da tale distinzione.

La vicenda trae origine da un caso di decreto ingiuntivo da notificare oltre i confini nazionali nei confronti di uno Stato estero, al fine di ottenere il pagamento di una commessa di lavori pubblici svolti da un’azienda italiana.

La notifica dell’atto in questione veniva effettuata via posta, tramite corriere internazionale. La consegna, però, veniva effettuata presso il Ministero della Giustizia del Paese estero, laddove il debitore risultava invece essere lo Stato, in qualità di committente dei lavori.

Per questa ragione, lo Stato estero, che successivamente era venuto a conoscenza dell’atto, agiva in giudizio per far dichiarare l’inefficacia del decreto ingiuntivo, poiché la notifica non risultava eseguita ai sensi dell’art. 644 c.p.c. A tal fine, proponeva ricorso ex art. 188 disp. att. c.p.c., ritenendo la notifica inesistente.

In aggiunta, proponeva anche opposizione tardiva contro il decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c., sul presupposto che la notifica, qualora da considerarsi esistente, fosse comunque irregolare in quanto nulla.

È proprio questo il cuore della questione: la differenza tra notifica inesistente e notifica nulla. Le due patologie vanno fatte valere con due procedimenti differenti e danno origine a conseguenze diverse.

Infatti, con l’art. 188 disp. att. c.p.c. si mira a far valere l’inesistenza della notifica che comporta l’inefficacia del decreto ingiuntivo “a tutti gli effetti”.

Con il rimedio previsto dall’art. 650 c.p.c., invece, si instaura un normale giudizio di cognizione, analogo all’ordinaria opposizione a d.i. ex art. 645 c.p.c., in cui va accertata la validità del credito.

La Corte Suprema di Cassazione (successivamente adita dalle parti) offre un’interessante ricostruzione di tale distinzione.

Respinte entrambe le richieste in primo grado (e quindi ritenuta esistente, valida e tempestiva la notifica eseguita presso il Ministero estero), la Corte d’Appello successivamente adita riteneva esistente ma nulla la notifica, poiché il Ministero era considerato un ente semplicemente ricollegabile, ma pur sempre diverso, dallo Stato.

Ammetteva perciò l’opposizione tardiva, ma respingeva comunque nel merito le richieste del ricorrente nel conseguente giudizio di cognizione.

A questo punto, il Paese estero debitore adiva la Corte Suprema di Cassazione per vedere riconosciute le proprie ragioni e in particolare per ottenere la declaratoria di inesistenza della notifica.

Notifica nulla o inesistente: differenze

Con la sentenza in oggetto, che trovate allegata in fondo all’articolo, la Corte Suprema di Cassazione accoglieva il ricorso dello Stato estero, cogliendo l’occasione per evidenziare alcuni aspetti che distinguono una notifica nulla da una inesistente.

La questione è particolarmente importante perché, come ricorda la Corte Suprema di Cassazione, se la notifica viene considerata nulla diventa ammissibile l’opposizione tardiva, che dà accesso ad una fase di cognizione nel merito.

Invece, quando viene dichiarata l’inesistenza della notifica, l’atto di ingiunzione diviene inefficace poiché, in sostanza, si ritiene che il creditore non abbia avuto interesse a proseguire nel suo intento recuperatorio. Di conseguenza, alla dichiarazione di inesistenza non consegue alcuna fase di cognizione nel merito.

Al riguardo, la Corte Suprema di Cassazione ha rilevato che “la nozione di inesistenza della notificazione di un atto giudiziario è configurabile nei casi di totale mancanza materiale dell’atto, nonché nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità.”

“Tali elementi” – prosegue la Corte Suprema di Cassazione – “consistono:

  1. a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato e dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato;
  2. b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi ex lege eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”.

Sul punto la Corte Suprema di Cassazione richiamava anche le precedenti sentenze Cass. SS.UU. n. 14916 del 2016 e n. 29729 del 2019.

Nel caso concreto, la Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo inesistente (e non nulla) la notifica del d.i., poiché non effettuata presso i soggetti pubblici identificati da apposita convenzione internazionale (diversi dal Ministero), e pertanto da considerarsi «meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa», difettando quindi l’elemento essenziale della consegna dell’atto al destinatario.


Ruolo impugnabile senza la regolare notifica

L’estratto di ruolo è sempre impugnabile ove l’agente della Riscossione non provi la regolare notifica della cartella di pagamento e non fornisca alcuna prova circa il concreto rispetto, in caso di irreperibilità assoluta del destinatario, di tutti gli adempimenti stabiliti dalla legge e, in particolare dall’articolo 60, comma 1, lettera e) del Dpr n. 600/1973, quali il deposito dell’atto impositivo, in busta chiusa e sigillata, nel Comune di domicilio fiscale risultante dall’ultima dichiarazione annuale, l’affissione dell’avviso di deposito dell’atto impositivo nell’albo del medesimo Comune e il decorso del termine di otto giorni da tale affissione.

Sono queste le principali conclusioni cui è giunta la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza 3440/11 depositata l’8 luglio 2021, riformando integramente la sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma.

La vicenda posta a base della decisione dei giudici laziali trae origine dal ricorso proposto da una srl dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma avverso una cartella esattoriale (relativa a maggiori imposte dovute per l’anno 2012) riportata su un estratto di ruolo e, asseritamente, mai notificata. Ritenendo provata la regolare notifica della cartella sulla base di una mera busta cartacea prodotta dall’agente della Riscossione, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma dichiarava inammissibile il ricorso avverso la cartella riportata nell’estratto di ruolo.

La sentenza di primo grado veniva così tempestivamente impugnata dalla srl dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con richiesta di integrale riforma per aver, invero, ritenuto valida la notifica della cartella esattoriale sebbene la busta prodotta da Riscossione in giudizio fosse (in gran parte) illeggibile e non riportasse un chiaro collegamento con la cartella stessa.

Nell’accogliere l’appello e nel condannare Riscossione al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 3440/11 i giudici laziali hanno preliminarmente precisato che, così come statuito dalla Corte Suprema di Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 19704/2015, qualora il vizio di notifica abbia cagionato la mancata contezza della pretesa, il contribuente può ricorrere contro l’atto impositivo non appena ne viene a conoscenza, anche tramite l’estratto di ruolo. È pertanto ammessa l’impugnazione della cartella riportata nell’estratto di ruolo nei casi, ad esempio, di indebito utilizzo della procedura per gli irreperibili assoluti o di errori commessi dall’agente notificatore o dal postino a seguito di mutamento di residenza, oppure di consegna dell’atto a persona non riconducibile al contribuente.

Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha constatato che al fine di provare la regolarità della notifica della cartella di pagamento l’agente della riscossione non ha fornito alcuna prova circa il concreto rispetto di tutti gli adempimenti previsti nella ipotesi di irreperibilità assoluta del destinatario, limitandosi a depositare in atti la copia di una busta postale, dalla quale non è stato possibile operare alcun sicuro collegamento con la cartella stessa. Invero, al fine di provare l’avvenuta notifica della cartella esattoriale, Riscossione avrebbe dovuto produrre documenti attestanti la regolare esecuzione, da parte dell’agente notificatore, di tutta la procedura stabilita dall’articolo 60, comma 1, lettera e) del Dpr n. 600/1973, applicabile anche alle società di capitali, in caso di soggetti irreperibili assoluti, e in particolare:

1. il deposito della cartella, in busta chiusa e sigillata, nel Comune di domicilio fiscale della srl risultante dall’ultima dichiarazione annuale;
2. l’affissione dell’avviso di deposito della cartella nell’albo del medesimo Comune;
3. il decorso del termine di otto giorni da tale affissione.

Nel caso in cui non sia possibile eseguire la notifica per irreperibilità, infatti, il mancato rispetto della predetta procedura rende inesistente la notifica dell’atto impositivo.


Nulla la notifica al nipote senza comunicazione al destinatario originale

È nulla la notifica dell’avviso di accertamento tramite posta se l’atto è stato consegnato a un familiare convivente, ma non è stata spedita la comunicazione di avvenuta notifica (Can) al destinatario. Lo ha stabilito la Commissione Tributaria Provinciale di Torino con la sentenza 688/5/2021 .

I giudici piemontesi richiamano la sentenza della Corte Suprema di Cassazione a Sezioni unite n. 10012/2021 per cui, qualora l’atto notificando tramite il servizio postale secondo le previsioni della legge 890/1982 non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo, oppure per temporanea assenza del destinatario stesso, oppure per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (Cad), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima.

Il caso esaminato dalla C.T.P. di Torino è però diverso da quello posto a base della decisione delle Sezioni unite. Quest’ultima, infatti, è relativa all’ipotesi disciplinata dall’articolo 8 della legge 890/1982, riguardante la mancata consegna dell’atto per la cosiddetta irreperibilità relativa, ovvero l’assenza temporanea del destinatario e delle altre «persone contigue» (familiari, portiere, eccetera) che possono ricevere l’atto, per cui la norma, pur in assenza di una consegna fisica dell’atto, lo dà per notificato una volta che, depositato presso l’ufficio postale per il ritiro, siano «trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata» con avviso di ricevimento contenente la Cad: perciò, ai fini probatori, serve non solo la Cad, ma anche il suo avviso di ricevimento.

Nel caso della C.T.P. di Torino, invece, la consegna dell’atto era stata fatta nelle mani del nipote del destinatario, in qualità di familiare convivente, e quindi la fattispecie è disciplina dall’articolo 7 della legge 890/1982, in base al quale – stante l’avvenuta consegna dell’atto, benché a persona diversa del destinatario – l’operatore postale deve dare notizia al destinatario medesimo dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata (Can).

Il problema è che nel caso di specie non risultava inviata la Can, e ciò emergeva anche dallo stesso avviso di ricevimento dell’atto giudiziario con cui era stato spedito l’accertamento, perché lo spazio riservato all’indicazione della raccomandata contenente la Can non era stato compilato. Da qui la bocciatura dei giudici torinesi.

Non rileva, invece, l’avviso di ricevimento, perché per la Can, a differenza della Cad, non è neppure previsto dalla legge (si veda Corte Suprema di Cassazione n. 20863/2017).


Valida la notifica all’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza

È valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6-bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che, secondo la sentenza n. 27270/2021 della Corte Suprema di Cassazione civile, proprio in virtù di tale disposizione, il difensore è obbligato a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è a sua volta obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGIndE, che sono, per l’appunto, pubblici elenchi.
Orientamenti giurisprudenziali

Z. R., in qualità di erede di A. T., ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Napoli che – riformando la pronuncia con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni derivanti dal sinistro stradale occorso nel 2003 ad Afragola e causato dalla collisione fra due motoveicoli, condotti rispettivamente dal T. e da A. C. (collisione dalla quale erano derivate lesioni personali ad entrambi), ritenendo insufficiente la prova raggiunta sulla dinamica del sinistro – aveva riconosciuto il concorso di colpa nella causazione dell’evento fra i conducenti di entrambi i motoveicoli coinvolti ed aveva liquidato la somma a ciascuno spettante, respingendo, tuttavia, la domanda nei confronti della Generali Ass.ni Spa ( già Alleanza Toro Spa) in qualità di impresa designata dal FGVS ( evocata in giudizio ex art. 19 lett.b L. 669/1969 ), per mancanza di prova della scopertura assicurativa di entrambi i veicoli.
La Corte Suprema di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha preliminarmente respinto l’eccezione sollevata dalla compagnia di assicurazione in relazione al difetto di notifica del ricorso principale e di quello incidentale: si assume, al riguardo, che la notifica a mezzo PEC di entrambi i ricorsi sarebbe priva dell’indicazione dell’elenco da cui era stato estratto l’indirizzo PEC del destinatario, come previsto dall’art. 16 ter D.L. 179/2012.
Da ciò deriverebbe, in thesi, la nullità della notifica ed il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
Il rilievo è infondato.
È stata, infatti, affermata la prevalenza del principio del raggiungimento dello scopo degli atti processuali, in ragione del quale va esclusa l’efficacia invalidante della mancata indicazione, nella relata di notifica, dell’elenco pubblico – tra quelli previsti dall’art. 16 ter del d.l. n. 179 del 2012 – da cui è stato estratto l’indirizzo di posta elettronica del destinatario.
È stato specificamente affermato, al riguardo, che le Sezioni Unite di questa Corte, valorizzando l’introduzione del cd. “domicilio digitale”, hanno ritenuto valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6-bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che, proprio in virtù di tale disposizione, il difensore è obbligato a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è a sua volta obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGIndE, che sono, per l’appunto, pubblici elenchi.
Numerose pronunce hanno poi ribadito la piena legittimità di notifiche eseguite presso l’indirizzo PEC risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC) istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico, espressamente incluso fra i pubblici elenchi ex art. 16-ter del d.l. n. 179 del 2012, ribadendo espressamente «il principio, enunciato dalle SS.UU. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del ‘domicilio digitale’, previsto dall’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv. con 5 modif. dalla I. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6 bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al DM. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia.


Irrituale ma valida la notifica della cartella tramite P.e.c.

L’eventuale irritualità della notificazione di un atto a mezzo PEC non ne comporta la nullità, se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza, ben potendosi applicare alla specie l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 c.p.c.; invero, la natura sostanziale e non processuale delle cartelle di pagamento non esclude l’applicabilità alla notifica delle stesse delle norme dettate in materia processuale, essendo tali ultime norme espressamente richiamate nella disciplina tributaria qualificabile come “amministrativa”; e l’art. 26, comma 5, del DPR n. 602 del 1973, concernente la notifica delle cartelle di pagamento, rinvia all’art. 60 del DPR n. 600 del 1973, in materia di notifica degli avvisi di accertamento; e quest’ultimo articolo rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, ivi compresa la norma di cui sopra citata, art. 156 c.p.c. (Cass. n. 6417 del 2019).
Sentenza n. 26099 del 27 settembre 2021 (udienza 28 aprile 2021) Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Mocci Mauro – Est. Capozzi Raffaele.


Legittimo che il concessionario del Comune riscuota le multe stradali con l’ingiunzione fiscale

Un automobilista era ricorso al Giudice di Pace per opporsi all’ingiunzione di pagamento di una multa stradale emesso da una società concessionaria del Comune, tramite l’ingiunzione di pagamento; il particolare il ricorrente lamentava, tra l’altro, l’inutilizzabilità dell’ingiunzione fiscale per la riscossione di sanzioni amministrative nonché la carenza di potere del concessionario per procedere con tali modalità. Il Giudice di Pace aveva rigettato la domanda; stessa sorte anche per l’impugnazione della sentenza, davanti al Tribunale.
Nel ricorso presso la Corte di Cassazione l’automobilista ha censurato l’affermazione del giudice del merito secondo cui anche i Comuni possono avvalersi della riscossione di cui all’ingiunzione fiscale anche per il tramite di agenti di riscossione. Ad avviso dell’automobilista ricorrente, invece, le società locali di accertamento e riscossione delle entrate, anche nel caso rispecchino il modello speciale previsto dall’articolo 52, comma 5, lettera b) , del Dlgs 446/1997, non sarebbero legittimate a procedere alla riscossione dei proventi derivanti da violazioni del Codice della strada mediante ingiunzione (Rd n. 639 del 1910).
Per la Corte Suprema di Cassazione il motivo di ricorso è infondato, sentenza n. 26308/2021. Osservano i giudici di legittimità che il ricorrente neppure si cura di mettere in discussione il pertinente precedente di legittimità richiamato dal Tribunale, con la sentenza impugnata. Secondo la Cassazione che comunque, l’affermazione del Tribunale che viene contestata e secondo cui ben può il concessionario per la riscossione emettere l’ingiunzione di cui al Rd n. 639 del 1910, è del tutto corretta al luce del consolidato orientamento della giurisprudenza, che la stessa Cassazione condivide e al quale vi è data continuità nella sentenza in commento.
Per i giudici di legittimità ai fini del recupero delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa per violazione delle norme del codice della strada, i Comuni possono avvalersi della procedura di riscossione coattiva tramite ingiunzione, anche affidando il relativo servizio ai concessionari iscritti all’albo (articolo 53 del Dlgs n. 446 del 1997) essendo tale affidamento consentito dall’articolo 4, comma 2-sexies, del decreto legge n. 209 del 2002, del quale non è intervenuta l’abrogazione, pure inizialmente disposta dall’articolo 7, comma 2, del decreto legge n. 70 del 2011 convertito in legge n. 106 del 2011, non essendo entrate in vigore le disposizioni cui essa era subordinata. La Corte di Cassazione, pertanto, respinge il ricorso dell’automobilista.


La comunicazione di avvenuta notifica senza avviso di ricevimento

L’atto si perfeziona nei confronti del diretto interessato nel giorno della consegna del piego alla persona abilitata alla ricezione e non in quello successivo al recapito della CAN

Nel caso di notificazione postale ai sensi della legge n. 890/1982, se la busta che contiene l’atto viene recapitata, presso l’indirizzo del destinatario temporaneamente assente, a mani di soggetto abilitato alla ricezione per suo conto, la CAN (Comunicazione di avvenuta notifica) con la quale l’agente postale informa il destinatario stesso dell’avvenuta notificazione è effettuata a mezzo di lettera raccomandata “semplice”, ovvero senza avviso di ricevimento.
Questo il principio confermato dalla Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 20736 del 20 luglio 2021, ove è stato altresì ricordato che in questa ipotesi la notifica si perfeziona nei confronti del diretto interessato nel giorno della consegna del piego alla persona abilitata alla ricezione e non in quello, successivo, di recapito della Can.
Un contribuente impugnava la cartella di pagamento emessa a suo carico sul presupposto della definitività per mancata impugnazione del prodromico atto di accertamento.
Il ricorso, con il quale l’interessato deduceva di non avere mai ricevuto la notifica dell’avviso “a monte”, veniva rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Caserta, il cui verdetto veniva peraltro ribaltato dal giudice tributario di seconde cure con sentenza n. 6132/28/14, del 17 giugno 2014.
Per quanto di più specifico interesse in questa sede, il Collegio regionale campano riteneva nulla la notifica dell’accertamento, che risultava effettuata a mezzo del servizio postale mediante consegna a persona diversa dal destinatario, osservando che nella specie non risultava allegata la ricevuta di ricezione della comunicazione di avvenuta notifica (CAN), richiesta per i casi di recapito del piego nelle mani di soggetto abilitato dalla legge a ricevere l’atto per conto del diretto interessato.
Ricorrendo in sede di legittimità, l’Agenzia censurava il riferito decisum deducendo che, laddove il piego postale venga consegnato a persona diversa dal destinatario, la CAN è una raccomandata senza ricevuta di ritorno e che in ogni caso la notificazione avrebbe dovuto considerarsi perfezionata con la consegna dell’atto e non con il successivo recapito di detta “comunicazione”.
La Corte Suprema di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ha cassato la sentenza impugnata, rinviando per l’eventuale prosieguo del contenzioso alla medesima Commissione regionale di Napoli.
In particolare nel caso di notificazione postale secondo la disciplina di cui alla legge n. 890 del 1982, quando la busta che contiene l’atto da notificare viene recapitata presso l’indirizzo del destinatario a mani di soggetto abilitato alla ricezione per suo conto, l’agente postale è tenuto a notiziare il destinatario stesso dell’avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata “che, in assenza di una prescrizione normativa di utilizzo della raccomandata con avviso di ricevimento, può essere legittimamente effettuata con raccomandata semplice (Corte Suprema di Cassazione, sentenza n. 10554/2015)”.
Tale procedura “semplificata”, stabilita per i casi di consegna a soggetto diverso dal destinatario dell’atto e che prevede l’invio della prescritta comunicazione dell’avvenuta notificazione dell’atto notificando, spiega la Corte, “è dovuta alla ragionevole aspettativa che l’atto notificato venga effettivamente conosciuto dal destinatario, in quanto consegnato a persone (famigliari, addetti alla casa, personale di servizio, portiere, dipendente, addetto alla ricezione) aventi con esso un rapporto riconosciuto dal legislatore come astrattamente idoneo a questo fine” (Corte Suprema di Cassazione, sentenza n. 10012/2021).
Inoltre, per il perfezionamento dell’iter di notifica non è richiesta la ricezione della raccomandata cosiddetta informativa essendo sufficiente che ne consti la sola spedizione.
Si osserva, pertanto, che in ambito tributario, la notificazione – strumento finalizzato ad assicurare la “conoscenza legale” di un atto in capo ad un determinato oggetto, al fine di consentirgli di prenderne contezza e di eventualmente esercitare il suo diritto alla difesa giurisdizionale – è prevista con riguardo a tutti gli atti emessi dall’amministrazione finanziaria.
Le fasi attraverso cui si snoda tale procedimento sono puntualmente disciplinate dalla legge nel rispetto del principio cardine secondo il quale la discrezionalità del legislatore incontra un limite nel fondamentale diritto del destinatario della notifica “ad essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto…, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli” (Corte Costituzionale, sentenza n. 346/1998; in seguito, nn. 360/2003; 366/2007; 3/2010; 258/2012; 175/2018).
Per quanto riguarda la fattispecie in rassegna, l’articolo 7 della legge n. 890/1982, dopo aver previsto al comma 1 che l’operatore postale “consegna il piego nelle mani proprie del destinatario…”, precisa nel successivo comma che, laddove la consegna non possa essere fatta personalmente al destinatario, “il piego è consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario…” e che, in mancanza di detti soggetti, la consegna può essere eseguita “al portiere dello stabile ovvero a persona che, vincolata da rapporto di lavoro continuativo, è comunque tenuta alla distribuzione della posta al destinatario”.
Per tutti i casi in cui il piego non venga recapitato personalmente al diretto interessato, il comma 3 dell’articolo 7 stabilisce poi che “l’operatore postale dà notizia al destinatario medesimo dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata”.
In merito a questa particolare modalità di notificazione, a parte quanto riaffermato dall’ordinanza in rassegna circa la sufficienza della mera spedizione (e non anche della ricezione) della CAN, che può essere inviata anche senza avviso di ricevimento, si può altresì ricordare la giurisprudenza secondo la quale, rispetto agli elementi strutturalmente costitutivi della fattispecie notificatoria, l’invio della CAN ha soltanto un ruolo aggiuntivo di “notizia” dell’“avvenuta notificazione” con la conseguenza che la notifica si perfeziona con la consegna dell’atto e non alla data di spedizione della raccomandata informativa (Corte suprema di Cassazione nn. 4987/2021; 2229/2020; 11562/2019, 7892/2019, 3732/2019).