Decreto sulla privacy pubblicato nella Gazzetta Ufficiale

Il decreto legislativo numero 101 del 10 agosto 2018 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 205 del 4-9-2018 e, con esso, la normativa nazionale in materia di privacy si è adeguata alle disposizioni del Gdpr. Quanto in esso previsto entrerà in vigore dal prossimo 19 settembre 2018.


Unione Comuni Pratriarcati (PD): Avviso di mobilità 2 Collaboratori amministrativi – Cat. B3

Mobilità - AvvisoAvviso di mobilità esterna per la copertura di n. 2 posti di Collaboratore amministrativo – Categoria giuridica B.3 – con funzioni amministrative, a tempo indeterminato e a tempo pieno da destinare al 3° Settore “Servizi Informativi e Comunicativi”.

Scadenza per la presentazione della domanda: venerdì 14 settembre 2018.

L’avviso comprensivo della domanda di partecipazione Unione Comuni Pratriarcati Avviso di mobilità 2018


GDPR – General Data Protection Regulation, il Regolamento europeo sulla privacy: i considerando del Garante della Privacy

Il 25 maggio 2018 è entrato in vigore il GDPR – General Data Protection Regulation, ovverosia il Regolamento europeo sulla privacy approvato il 14 aprile 2016, direttamente applicabile agli Stati membri dell’Unione, con il quale è stato delineato un nuovo quadro normativo in materia di protezione dei dati personali che pone molte nuove regole e importanti adempimenti da rispettare.

Il Garante della Privacy ha pubblicato i “considerando” relativi al GDPR

Leggi: Regolamento UE 2016 679. Con riferimenti ai considerando 2018


Bando di mobilità volontaria Messo Comunale per il Settore Polizia Locale e Protezione Civile

COMUNE DI MONCALIERI (TO)

E’ stato approvato un bando di mobilità per la copertura del seguente posto in organico:

– 1 Messo per il Settore Polizia Locale e Protezione Civile (cat. B1)

La scadenza per la presentazione delle domande è il giorno 12 settembre 2018.

Il colloquio si svolgerà il giorno 24.09.2018 alle ore 11.00 presso la Sala Matrimoni

Leggi: Bando

Leggi: Schema di domanda


Procedure di notificazione ora previste dal D.Lgvo 25/2008: richiesta di asilo politico

Procedure di notificazione ora previste dal D.Lgvo 25/2008 (attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) a seguito delle modificazioni introdotto dal DL 13/2017.

Da un esame sommario della nuova formulazione del comma 3 dell’art. 11 del DLgs 25/2008, ora sostituito dai commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-sexies, si può escludere che il provvedimento riguardi la figura del Messo Comunale.

In realtà il procedimento di notificazione previsto dal comma 3 contempla una semplice fase di trasmissione tramite P.E.C. al responsabile del centro o della struttura, il quale successivamente cura la “consegna” del documento al destinatario, facendone sottoscrivere ricevuta.

Di fatto non c’è nulla in questa procedura che richiami le norme concernenti la notificazione presenti nel codice di procedura civile.

Il responsabile della struttura, infatti, dopo aver ricevuto il documento via P.E.C., come nel caso di qualsiasi addetto al protocollo di un Comune, lo “consegna” semplicemente all’interessato.

Non sono previste modalità alternative, salvo il fatto che, in caso di rifiuto a ricevere o anche solo sottoscrivere la ricevuta, il responsabile ne dà immediata comunicazione alla Commissione territoriale mediante P.E.C. e la “notificazione” si dà per eseguita nel momento in cui il messaggio diviene disponibile nella casella di posta elettronica certificata della Commissione.

Diverso è il caso del comma 3-bis dove, nei casi previsti, si applicano puramente le disposizioni della legge 890/1982.

Nel caso infine che si configuri l’ipotesi di irreperibilità del destinatario, sia relativamente ai casi previsti dal comma 3 che a quelli previsti dal comma 3-bis, l’atto è reso disponibile al richiedente, mediante messaggio di posta elettronica certificata presso la questura del luogo in cui ha sede la Commissione territoriale e, per quanto concerne i termini di decorrenza, la notifica si intende perfezionata decorsi venti giorni dalla trasmissione dell’atto.

Si noti che il termine usato è “trasmissione“, non “consegna”.

Infine appare contraddittorio quanto previsto dal comma 3-ter dove si prevede che l’atto sia reso disponibile al richiedente presso la questura in cui ha sede la Commissione territoriale e quanto, al contrario, previsto dal comma 3-quater dove si stabilisce che, qualora la notificazione sia eseguita ai sensi del comma 3-ter, copia dell’atto notificato sia resa disponibile al richiedente presso la Commissione territoriale.

Da quanto sopra esposto, si debba escludersi il ricorso al Messo Comunale o altra figura di notificatore. In realtà quanto previsto dal comma 3-bis consiste essenzialmente in una consegna, mentre nel caso previsto dal comma 3, si tratta semplicemente dell’applicazione delle norme relative alla notifica postale.

Leggi: D.L. 17-2-2017 n. 13


Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto FUNZIONI LOCALI – 2016-2018

L’art.12 del vigente CCNL conferma il sistema di classificazione del personale già previsto dall’art. 3 del CCNL del 1999: il Messo Comunale è pertanto inquadrato nella Cat. B, con la possibilità di prevederne l’accesso diretto dall’esterno nella posizione B3 e di raggiungere, per effetto della progressione orizzontale, la posizione B8 di nuova istituzione. Non è la soluzione sperata, ma è sicuramente un passo avanti nella giusta direzione: non va trascurato che la retribuzione tabellare per il B8 supera il tabellare del C1 di quasi 1000,00€. Del resto, già col vecchio contratto, il B7 percepiva una retribuzione base superiore al C1 di oltre 400,00. Questo è quanto disponibile fin d’ora.

Ma quello che ci interessa maggiormente è contenuto nell’art. 11 del nuovo CCNL, laddove è prevista l’istituzione di una Commissione paritetica con il compito di proporre la revisione dell’attuale sistema di classificazione del personale, verificando le vecchie declaratorie e i relativi profili professionali, per valorizzare specifiche professionalità. Le proposte che scaturiranno saranno poi valutate in sede negoziale, presumibilmente in una apposita sezione contrattuale se non nel prossimo rinnovo contrattuale, ormai imminente; il contratto vigente scade infatti a dicembre di quest’anno.

Baldoni Margherita

Vice Presidente Nazionale

Responsabile rapporti sindacali


Notificazioni di atti giudiziari finisce il monopolio di Poste Italiane SPA

Come stabilito dal Ddl Concorrenza del 2017 dal 10 settembre 2017, tutte le notifiche degli atti giudiziari e delle multe potranno essere consegnate anche da operatori privati e non più solo da Poste Italiane SPA. Questo è l’effetto della liberalizzazione del settore, elimina di fatto l’esclusiva sulle notificazioni di Poste Italiane .

Le Poste Italiane non saranno più il solo operatore a recapitare a casa ai cittadini multe e atti giudiziari. Il ministro dello Sviluppo Economico ha infatti firmato il decreto ministeriale che definisce le procedure per il rilascio delle licenze speciali per questi due servizi postali. «Si compie un passo decisivo per l’effettiva apertura del mercato ad altri operatori presenti nel settore delle consegne postali», sottolinea il ministro, precisando che questo «consentirà un importante abbattimento dei costi per le amministrazioni dello Stato».

Con questo decreto, che verrà ora inviato alla Corte dei Conti prima della pubblicazione in Gazzetta ufficiale, si completa la fase di regolamentazione del settore postale inerente ai servizi delle notifiche degli atti giudiziari e delle multe, avviata nel 2017 dalla Legge per la concorrenza con l’abrogazione della norma che prevedeva l’affidamento esclusivo del servizio a Poste Italiane e proseguita con la pubblicazione della delibera numero 77 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

I requisiti per entrare in possesso della licenza, che verrà rilasciata dal Mise, sono fissati dal Regolamento dell’Agcom approvato nel febbraio scorso. Le imprese interessate potranno richiedere l’abilitazione per entrambi i servizi o anche solo per le contravvenzioni: le licenze saranno differenziate su base nazionale o regionale, «in ragione dei limiti territoriali entro i quali entro i quali il titolare è legittimato a esercitare il servizio». A chiedere la licenza può essere anche un operatore capogruppo di un’aggregazione di più operatori postali. Saranno necessari, però, alcuni requisiti di affidabilità che vanno dalla produzione di una «fideiussione autonoma, irrevocabile e a prima richiesta» per un importo pari a 100 mila euro per la licenza nazionale e a 20 mila per quella regionale, alle certificazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o di non trovarsi in uno stato di fallimento, liquidazione coatta o concordato preventivo.

Soddisfatti i consumatori, che parlano di provvedimento atteso da decenni. «Affinché il provvedimento determini vantaggi e risparmi in favore della collettività», avverte però il Codacons, «è necessario che le aziende concorrenti garantiscano tempi di consegna certi e applicando tariffe più basse rispetto a quelle praticate da Poste Italiane» ed è «indispensabile vigilare affinché gli operatori non mettano in piedi cartelli».


Prescrizione tributi: 5 anni per quelli locali, 10 per quelli erariali

La CTR della Lombardia rammenta i tempi brevi per le azioni di recupero delle entrate locali successivamente alla notifica dell’ingiunzione o della cartella. Prescrizione decennale per i crediti di naturale erariale

I tributi locali sono prestazioni periodiche e rientrano dunque nell’ambito applicativo dell’art. 2948, comma 4, c.c. che stabilisce la prescrizione quinquennale successivamente alla notifica della cartella di pagamento o dell’ingiunzione. I crediti di natura erariale, invece, soggiacciono al termine prescrizionale decennale.

Lo ha precisato la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia nella sentenza n. 2479/2018 a seguito del ricorso di una contribuente avverso sei cartelle esattoriali. I giudici a quo avevano accolto l’istanza annullando le cartelle, ma la decisione viene contestata dal Fisco in sede d’appello.

I giudici della CTR, scandagliando la vicenda, ritengono legittime le notifiche delle cartelle e si soffermano, in particolare, sulla loro eventuale intervenuta prescrizione. I giudici chiariscono che per i crediti di natura erariale la prescrizione è decennale.

Richiamando il dictum della Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 4283/2010) la CTR evidenzia che è stato fissato in cinque anni il termine prescrizionale per la riscossione di diversi tributi, contributi e canoni (per l’uso di suolo pubblico, per la concessione d’uso per passo carrabile ed il canone acqua).

Tale termine prescrizionale si applica successivamente alla notificazione della cartella di pagamento per la notificazione della quale, almeno nelle ipotesi relative alla riscossione a mezzo ruolo, si applicano i diversi termini di cui all’articolo 25 D.P.R. n. 602/1973 o i termini stabiliti dalle singole leggi d’imposta.

In particolare la Cassazione sostiene che i tributi locali (a differenza di quelli erariali) sono “prestazioni periodiche” e, come tali, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2948, comma 4, c.c., che stabilisce appunto la prescrizione quinquennale.

CTR Lombardia: i tributi locali si prescrivono in 5 anni

Quindi per quanto riguarda i tributi locali occorre fare riferimento al termine di prescrizione quinquennale, mentre per quelli aventi natura erariale occorre fare riferimento al temine decennale.

Principio nuovamente ribadito dalla Suprema Corte (cfr. sent. n. 23397/2016) secondo cui la mancata impugnazione di un avviso di accertamento della Pubblica Amministrazione o di un provvedimento esattoriale dell’Ente della Riscossione produce unicamente la definitività del credito statale (non più confutabile in futuro, eccetto le ipotesi di vizio di notifica dell’atto originario).

Tale circostanze, a detta dei giudici, non determina “anche l’effetto della c.d. conversione del termine di prescrizione breve… in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c.“. Quindi, la trasformazione da prescrizione quinquennale in decennale si perfeziona soltanto con l’intervento del “titolo giudiziale divenuto definitivo” (sentenza o decreto ingiuntivo).

Ad esempio, conclude la CTR Lombardia, la cartella esattoriale, l’avviso di addebito dell’Inps e l’avviso di accertamento dell’Amministrazione finanziaria costituiscono, per propria natura incontrovertibile, semplici atti amministrativi di autoformazione e pertanto sono privi dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.

Nel caso in esame, dalla documentazione prodotta, si evince che per tutte le cartelle non sono maturati i termini di prescrizione decennali e dunque l’appello del Fisco va accolto.


Cambiano le regole per assenze per visite e permessi

Per il pubblico impiego le indicazioni dell’A.Ra.N. (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni), sull’applicazione dell’art. 35 del nuovo Ccnl funzioni locali che riguardano le assenze per visite, esami o terapie

Le assenze per visite, esami o terapie non rientrano tra i permessi previsti. Sono questi alcuni dei chiarimenti forniti dall’ A.Ra.N. sull’applicazione dell’art. 35 del nuovo Ccnl funzioni locali, applicabile in via analogica ad altri comparti.

Assenze per visite e permessi

Il nuovo Ccnl regola relazioni sindacali e altri aspetti normativi (tra i quali assenze, permessi e congedi, orario di lavoro ore, ferie, codici disciplinari, rapporti di lavoro flessibile). Tra le novità ci sono i permessi per l’effettuazione di terapie, visite specialistiche ed esami diagnostici; la disciplina delle ferie solidali, che consente ai dipendenti con figli minori in gravi condizioni di salute, che necessitino di una particolare assistenza, di poter utilizzare le ferie cedute da altri lavoratori; alcune tutele per le donne vittime di violenza le quali, oltre al riconoscimento di appositi congedi retribuiti, potranno avvalersi anche di una speciale aspettativa.

Permessi non cumulabili

L’A.Ra.N. chiarisce che i permessi fruibili ad ore per motivi personali non potranno essere cumulati con altre tipologie di assenze giustificate, solo per evitare che il lavoratore si assenti per l’intera giornata.

Mentre prima era stabilita la disciplina per la sola giustificazione dell’assenza per visita medica, l’intervento legislativo colma un vuoto normativo. Si tratta di quei permessi che non sono da collegare ad una condizione di malattia.

In questi casi, per rispondere al quesito su come deve essere giustificata l’assenza, prevista dall’art. 35, comma 12 del nuovo Ccnl del comparto Funzioni centrali, per “l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici che determinano incapacità lavorativa, per le caratteristiche di esecuzione e di impegno organico delle stesse”, la risposta dell’ A.Ra.N. chiarisce che «La giustificazione dell’assenza, nel caso di cui all’art. 35, comma 12, è fornita mediante attestazione di presenza che documenti l’effettivo svolgimento della prestazione, la quale, oltre alle indicazioni circa l’orario, dovrà dare conto anche dello stato di incapacità lavorativa determinatosi in conseguenza della stessa prestazione».

Nelle giornate in cui viene utilizzato il permesso per ragioni personali o familiari, non si può godere di un’altra tipologia di permesso, compresi quelli a recupero e quelli per visite, esami o terapie.

Nota A.Ra.N. (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni)

Il nuovo CCNL del comparto Funzioni centrali ha previsto la possibilità di utilizzare fino a 18 ore annuali, fruibili sia su base oraria che giornaliera, per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici. Al fine di una corretta applicazione della nuova disciplina, si chiede come si concilia il nuovo istituto contrattuale con la previsione di legge di cui al comma 5-ter dell’art. 55-septies del d.lgs. 165/2001?

È necessario preliminarmente chiarire che l’art. 35 del CCNL 12/2/2018 introduce un’organica ed esaustiva disciplina in materia di “assenze per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici”, che non si pone in contrasto, né su un piano diverso, rispetto alla previsione normativa dell’art. 55-septies del d.lgs. 165/01.

In coerenza con l’atto di indirizzo impartito all’A.Ra.N., tale disciplina contrattuale intende invece regolare organicamente ed esaustivamente una tipologia di assenze, che la normativa di legge prende in considerazione solo per un aspetto limitato (la giustificazione del permesso). Il contratto collettivo nazionale, svolgendo pienamente la sua funzione regolatoria in materia di rapporto di lavoro, si pone dunque in diretta continuità con la disposizione di legge, anche al fine di dare ad essa contorni più definiti.

Più specificamente, la disciplina contrattuale in esame introduce, in primo luogo, una nuova tipologia di permessi, prima non prevista dai CCNL, per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici. Tali assenze si differenziano dalla malattia, pur essendo a questa assimilabili, in quanto non caratterizzate da patologia in atto o incapacità lavorativa. L’effettuazione di una terapia, di una visita o di un esame diagnostico, come pure il ricorso a prestazioni specialistiche, anche con finalità di mera prevenzione, vengono quindi a costituire il titolo che determina l’insorgenza del diritto all’assenza in oggetto, che va pertanto giustificata solo con la relativa attestazione di presenza.

Per tale prima tipologia di assenza, riconducibile più propriamente alla nozione di “permesso”, viene previsto un plafond annuo di 18 ore.

Per esigenze di completezza della disciplina e per regolare organicamente tutte le possibili fattispecie di assenze per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, l’articolo in questione disciplina anche altre e diverse casistiche.

Si tratta, in particolare:

  • del caso in cui la visita, l’esame o la terapia siano concomitanti ad una situazione di incapacità lavorativa conseguente ad una patologia in atto (comma 11);
  • del caso in cui l’incapacità lavorativa sia determinata dalle caratteristiche di esecuzione e di impegno organico di visite, accertamenti, esami o terapie (comma 12);
  • del caso in cui, a causa della patologia sofferta, il dipendente debba sottoporsi, anche per lunghi periodi, ad un ciclo di terapie implicanti incapacità lavorativa (comma 14).

Tutti e tre i casi in questione sono caratterizzati da uno stato di incapacità lavorativa. Per questo specifico aspetto, essi si differenziano, dunque, dai permessi regolati negli altri commi, presentando una più diretta riconducibilità alla nozione di malattia (“la relativa assenza è imputata a malattia”). Conseguentemente, in tali casi, l’assenza non è fruibile ad ore e non vi è riduzione del monte ore annuo di 18 ore.

Per un quadro di sintesi della disciplina contenuta nell’art. 35 in esame, si rinvia alla tabella seguente.

I permessi a recupero previsti dall’art. 34 (per il comparto “Funzioni Locali si deve fare riferimento all’art. 33-bis) possono essere fruiti, nell’arco della stessa giornata, congiuntamente con quelli di cui all’art. 32 (permessi orari retribuiti per particolari motivi familiari o personali) e di cui all’art. 35 (assenze per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici)?

In materia di cumulo di permessi orari, la clausola contenuta nell’art. 32, comma 2, lett. d) è finalizzata ad evitare che, attraverso la fruizione nell’arco della stessa giornata dei permessi per motivi personali e familiari, unitamente ad altre tipologie di permessi ad ore, l’assenza del dipendente si protragga per l’intera giornata o per buona parte di essa, con conseguenze negative in termini di efficienza ed efficacia dell’attività dell’amministrazione e dei servizi erogati.

Pertanto, anche i permessi ex art. 34 (permessi a recupero) rientrano nella previsione, in quanto, pur essendo soggetti a recupero, nel momento dell’utilizzo sono idonei a determinare l’effetto sopra indicato, che si intende, appunto, prevenire.

Analoghe considerazioni valgono per la previsione dell’art. 35, comma 3, lett. a), relativamente ai permessi orari per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici.

Come deve essere calcolata l’assenza nell’ipotesi di permesso orario fruito cumulativamente per l’intera giornata lavorativa ai sensi del comma 2, lett. e), dell’art. 32 (permessi orari per particolari motivi personali o familiari), quando il dipendente sia chiamato a svolgere un orario di 7 ore e 12 minuti? È necessario prevedere un recupero per il tempo eccedente le 6 ore stabilite dal CCNL?

In base a quanto previsto dal comma 2, lett. e), dell’art. 32 del CCNL Funzioni centrali stipulato il 12/2/2018, in caso di fruizione del permesso orario per l’intera giornata lavorativa, la riduzione del monte ore sarà sempre di sei ore (durata convenzionale), anche in caso di giornata lavorativa con orario superiore o inferiore alle 6 ore (ad esempio, 7 ore e 12 minuti). Non si determina, quindi, né un recupero né un credito orario.

Che tipo di giustificazione deve essere prodotta dal dipendente che presenta la domanda di permesso retribuito per motivi personali o familiari, ai sensi dell’art. 32 del CCNL 12/2/2018, a supporto della richiesta stessa?

La formulazione dell’art. 32 del CCNL Funzioni centrali 12/2/2018 in materia di permessi retribuiti non prevede più la necessità di documentare i motivi e le ragioni per le quali viene richiesto il permesso, anche se la motivazione, che consente di ricondurre tale tutela alle esigenze personali e familiari dell’interessato, va comunque indicata nella richiesta avanzata dal dipendente, in quanto la stessa resta il presupposto legittimante per la concessione del permesso.

Come deve essere giustificata l’assenza, prevista dall’art. 35, comma 12 del nuovo CCNL del comparto Funzioni centrali, per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici che determinano incapacità lavorativa, per le caratteristiche di esecuzione e di impegno organico delle stesse?

La giustificazione dell’assenza, nel caso di cui all’art. 35, comma 12, è fornita mediante attestazione di presenza che documenti l’effettivo svolgimento della prestazione, la quale, oltre alle indicazioni circa l’orario, dovrà dare conto anche dello stato di incapacità lavorativa determinatosi in conseguenza della stessa prestazione


Notifiche: comunicazione preventiva iscrizione fermo amministrativo

Sull’argomento è possibile reperire diversi pareri anche di segno diametralmente opposto, non ultimo recentissimo articolo apparso sul Sole 24 ore, che intendono dimostrare che il Messo Comunale è competente alla notifica degli atti di preavviso di fermo amministrativo, pareri più strumentali all’attività delle società di riscossione che espressione di rigorosi orientamenti giurisprudenziali. Sull’argomento è possibile trovare tra le circolari di A.N.N.A. uno schema di lettera redatto allo scopo di rispondere ad un ente che inviava ai comuni richiesta di notifica a mezzo dei Messo Comunale comunali avvallando la stessa con la precisazione che tali atti non sarebbero atti propri della esecuzione forzata. Nel testo della lettera è possibile reperire le valutazioni predisposte da A.N.N.A. volte a chiarire perché il Messo Comunale non può notificare questi atti e si invita a leggere e che si può trovare anche al seguente link: https://www.annamessi.it/wordpress/?p=24878

Come ulteriore valutazione a quanto scritto nella lettera citata, si precisa che il procedimento di notifica ha lo scopo di rendere noto l’atto notificato attraverso il rispetto scrupoloso della procedura prevista dal legislatore, così che l’effetto legale della conoscenza dello stesso si ottiene con l’adozione di tali procedure. Quindi, il formalismo del procedimento determina l’effetto legale della conoscenza, indipendentemente dalla effettiva conoscenza che il destinatario possa aver avuto dell’atto. Diversamente, per giustificare il ricorso al Messo Comunale, si ragiona sulla comparazione di atti aventi medesima natura, per i quali però il legislatore ha previsto procedimenti di notifica diversi, pretendendo di coinvolgere il Messo Comunale in ossequio all’art. 10 della legge 265/1999 ma giustificando il suo intervento in base all’art. 26 del DPR 602/1973, nonostante le norme citate dispongano modalità di coinvolgimento del Messo Comunale che si escludono a vicenda. Quindi fino a ulteriori interventi legislativi e giurisprudenziali è bene privilegiare un orientamento più restrittivo, tra l’altro più garantista degli interessi dell’ente che adotta tali atti pur nella consapevolezza che sarebbe condivisibile e auspicabile l’attribuzione al Messo Comunale di una competenza estesa anche agli atti afferenti alle procedure esecutive di cui al RD 639/1910 ivi compresi anche i preavvisi di fermo amministrativo.

Sicuramente da tenere in considerazione, ma si osserva che il professore aggregato mentre da un lato ha assoluta certezza che i Messi Comunali sbagliano a rifiutarsi di notificare i provvedimenti, guarda caso e per inciso un articolo del genere ha ragione di essere esclusivamente pro domo l’interesse dei concessionari, per altro verso banalizza in modo sconcertante i disposti normativi. Insomma se così è, vuol dire che come Messi Comunali siamo non legittimati ma anche tenuti a notificare le cartelle esattoriali, a prescindere da qualsivoglia convenzione. In quanto al richiamo alla sentenza Ss.uu., sentenza 19667/14 secondo cui non può essere definito «un atto dell’esecuzione», bensì «un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria» bisogna ricordare all’esimio professore di citare bene e per intero il contenuto delle sentenze, ad esempio quella citata, così continua:

9.3. Ed è proprio la rilevata alternativa dell’iscrizione ipotecaria rispetto all’espropriazione, la ragione che ne giustifica, come accade per il fermo amministrativo, l’attribuzione alla giurisdizione del giudice tributario senza che sussista alcuna violazione del precetto costituzionale che vieta l’istituzione di giudici speciali (v. Corte cost. n. 37 del 2010, con riferimento all’istituto dei fermo amministrativo di beni mobili registrati).

  1. Se l’iscrizione ipotecaria Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, ex articolo 77 deve essere esclusa, come effettivamente deve esserlo per le ragioni già esposte, dall’ambito specifico dell’espropriazione, non può ritenersi applicabile alla fattispecie la regola prescritta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 50, comma 2. Non lo consente la lettera della espressione normativa la quale chiaramente stabilisce che se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni. Non lo consente nemmeno la lettera della norma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 77 la quale, al comma 2, prevede che, prima di procedere all’esecuzione, il concessionario deve iscrivere ipoteca, e, al comma 1, richiama esclusivamente il primo e non anche l’articolo 50, comma 2 del medesimo decreto (in questo senso v. anche Cass. ord. n. 10234 del 2012)”

Quindi assoluta certezza della competenza del Messo Comunale che, con fastidio del professore, rifiutano di procedere appellandosi all’incompetenza per materia mentre (e si cita), “in fondo, la questione è legata alla retribuzione per tale attività che, se ulteriore, rispetto ad altri compiti di ufficio, andrebbe opportunamente disciplinata”. Quindi basta pagare, ma chi il singolo Messo Comunale?, magari passandogli una “mazzetta in nero”? e la legge si può leggere anche al rovescio, purché questo rovesciamento sia a favore degli interessi dei concessionari.

Vabbè a questo punto facciamo una citazione: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! – Dante Alighieri”


Comune di Padova: Avviso di mobilità per addetto alla notificazione atti

Scadenza: 13 agosto 2018

Descrizione
 Il Comune di Padova intende formare una graduatoria a cui ricorrere per la copertura di 1 posto vacante a tempo pieno ed indeterminato di esecutore amministrativo/addetto alla notificazione atti – categoria B, mediante ricorso all’istituto della mobilità volontaria ai sensi del vigente art. 30 del D.Lgs. 165/2001.

Requisiti

 Per presentare la domanda di mobilità è necessario:
  • essere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso una Pubblica Amministrazione, con inquadramento corrispondente alla categoria B del Comparto Regioni e Autonomie Locali e con profilo professionale di “esecutore amministrativo/addetto alla notificazione” o profilo professionale equivalente, con anzianità di servizio nella medesima categoria e profilo di almeno tre anni alla data di scadenza del presente avviso;

  • l’assolvimento dell’obbligo scolastico e attestato di partecipazione ad un corso di formazione sull’uso del personal computer e sulle applicazioni informatiche più diffuse o, in alternativa, aver frequentato con profitto, per almeno un anno scolastico, corsi di studio statali o riconosciuti in cui tale insegnamento era previsto

  • patente di guida non inferiore alla categoria B

essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • di non essere stato sottoposto a procedimenti disciplinari in ordine ai quali sia stata irrogata una sanzione che preveda la sospensione dal servizio superiore a dieci giorni nell’ultimo biennio antecedente alla data di pubblicazione del presente avviso;

  • assenza di condanne penali che impediscano, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, la prosecuzione del rapporto di impiego con la pubblica amministrazione;

  • essere in possesso dell’idoneità fisica all’espletamento delle mansioni prevista dal profilo di appartenenza;
  • essere in possesso del nulla osta preventivo alla mobilità da parte dell’Amministrazione di appartenenza all’eventuale trasferimento presso il Comune di Padova in caso di esito positivo della procedura di mobilità (senza che ciò comporti alcun impegno al riguardo da parte del Comune di Padova), con l’espressa dichiarazione dell’Amministrazione di appartenenza di essere Ente sottoposto a regime di limitazione per assunzione di personale, ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 1, comma 47, della Legge n. 311/2004.

Presentazione domanda e tempi

 Gli interessati devono presentare, entro il 13 agosto 2018:
  • il modulo di domanda, compilato nelle sue parti e firmato, scaricabile dalla sezione “Documenti” di questa pagina;
  • dettagliato curriculum vitae, debitamente sottoscritto;
  • nulla osta preventivo alla mobilità da parte dell’Amministrazione di appartenenza all’eventuale trasferimento presso il Comune di Padova, con l’espressa dichiarazione dell’Amministrazione di appartenenza di essere Ente sottoposto a regime di limitazione per assunzione di personale, ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 1, comma 47, della Legge n. 311/2004;

  • fotocopia documento di identità in corso di validità.

La domanda può essere:

  • consegnata a mano presso l’Ufficio Protocollo Generale del Comune di Padova (entro le ore 12.30 del giorno 13/08/2018, orario di chiusura dell’ufficio);
  • raccomandata postale con ricevuta di ritorno;
  • Posta elettronica certificata (pec): il candidato potrà inviare dalla propria pec personale a quella del Comune di Padova (protocollo.generale@pec.comune.padova.it) la domanda firmata in formato pdf con tutti gli allegati, sempre in formato pdf;

  • Posta elettronica certificata (pec): il candidato potrà inviare da una pec generica a quella del Comune di Padova (protocollo.generale@pec.comune.padova.it) la domanda e dettagliato curriculum purché firmati digitalmente con allegata, in formato pdf, copia del documento di identità.

E’ escluso qualsiasi altro mezzo di trasmissione della domanda.

Selezione

 La graduatoria sarà predisposta ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. 165/2001, da apposita Commissione esaminatrice, previo processo comparativo delle caratteristiche di ciascun candidato, sulla base dei seguenti elementi:
  • valutazione dei curricula presentati dagli interessati;
  • colloquio con i candidati i cui curricula risultino maggiormente corrispondenti con la figura professionale ricercata.

La data ed il luogo del colloquio saranno comunicati ai candidati prescelti tramite comunicazione all’indirizzo email o pec indicato nella domanda.

Per ulteriori informazioni è disponibile nella sezione “Documenti”, di questa pagina, il testo completo dell’avviso di mobilità.

Riferimenti

ufficio mobilità – Settore Risorse Umane – Comune di Padova

Luogo palazzo Moroni, via del Municipio, 1 – 35122 Padova
Telefono 049 8205461
Responsabile del procedimento Ing. Paola Lovo
Sostituto del responsabile del procedimento dott.ssa Sonia Furlan

Deposito telematico: fino alle ore 24 dell’ultimo giorno

La possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell’ultimo giorno).

Ciò non contrasta con la disposizione, secondo cui, il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo: tale effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa solo che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.

Lo ha chiarito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3309/2018 che ha fornito precisazioni sul punto pronunciandosi sulla presunta tardività della memoria depositata da una delle parti in causa.

Gli appellanti avevano eccepito la tardività di tale deposito ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione del c.p.a. poiché intervenuto telematicamente oltre le ore 12 della stessa giornata, precisamente alle ore 17:57 del 5 febbraio 2018, ultimo giorno per il deposito della memoria prima dell’udienza di merito.

Deposito telematico atti fino alle 24 dell’ultimo giorno

In realtà, spiegano i giudici, la possibilità di depositare gli atti in forma telematica è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito dal citato art. 4, comma 4, e tale soluzione non contrasta con quanto indicato dell’ultimo periodo della stessa disposizione, secondo cui il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo.

Questo effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa unicamente che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo.

Deve dunque ritenersi che, ai sensi dell’art. 4, comma 4, delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo (così come modificato dall’art. 7 del d.l. 31 agosto 2016, n. 168), la possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori (cioè fino allo spirare dell’ultimo giorno).

Il deposito telematico si considera quindi perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno senza rilevanza preclusiva con riguardo all’ora.


La rinnovazione della notificazione

La rinnovazione della notificazione: la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente cha ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio

“La notificazione che non abbia raggiunto il proprio scopo ossia che non abbia portato il destinatario a conoscenza dell’atto notificato è una notificazione nulla.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, hanno esaminato tutti i vizi della notificazione, distinguendo tra quelli cui consegue l’inesistenza e quelli cui consegue la nullità e relativamente all’inesatta individuazione del luogo di destinazione hanno statuito: “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione (ma la statuizione vale per tutti gli atti notificati, n.d.s.) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.)”.

È confermato, dunque, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, che l’inesatta individuazione del luogo in cui la notificazione deve essere eseguita (che, ai sensi dell’art. 145 Cod. proc. civ., per le persone giuridiche va fatta nella loro sede) comporta la nullità della notificazione, con conseguente applicazione, per il giudizio amministrativo, dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm. per il quale: “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla”.

La disposizione delinea una fase processuale ad attivazione officiosa in caso di notificazione eseguita cui non sia seguita, però, la costituzione del destinatario e impone al giudice di accertare se l’esito negativo, ovvero la nullità, dipenda da causa non imputabile al notificante e, in quel caso, fissare un termine perentorio per la sua rinnovazione.

Nel giudizio di primo grado tale fase non ha avuto luogo avendo il giudice solo differito l’udienza camerale “al fine di consentire all’avvocato del ricorrente di procedere alla rinotifica del ricorso” (così nel verbale dell’udienza del 9 maggio 2017). Nessuna verifica sulle ragioni della nullità della notificazione è stata effettuata dal giudice prima di disporre il differimento dell’udienza, non è stata ordinata la rinnovazione della notifica in un termine perentorio che, dunque, può dirsi spontaneamente avvenuta.

La rinnovazione è stata eseguita dalla ricorrente; il procedimento di notificazione è andato a buon fine; il giudice, tuttavia, in sentenza ha ritenuto tardiva la notifica effettuata al controinteressato e irricevibile il ricorso.

Ritiene il Collegio che la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente cha ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio: ove conclusa con esito positivo sana la nullità della notificazione con effetti retroattivi (l’equiparazione tra spontanea rinnovazione e rinnovazione per ordine del giudice è comune nelle sentenze che affrontano la questione della sanabilità della nullità della notificazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6008; sez. V, 13 settembre 2013, n. 4530; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5263; sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).

Nel caso in cui, però, la seconda notifica sia effettuata a termine decorso, come normalmente avviene, è necessario comunque accertare l’imputabilità alla parte della nullità della prima notificazione.

A distinguere la spontanea rinnovazione e la rinnovazione per ordine del giudice, allora, è il momento in cui avviene siffatta verifica dell’imputabilità: nel primo caso quando la notifica è già (ri)attivata e, di solito, perfezionatasi, nel secondo, prima della concessione del termine per la rinnovazione della notifica.

La ricorrente, dunque, che prima dell’udienza ha avuto conoscenza della nullità della notificazione, ha facoltà di procedere alla riattivazione del procedimento notificatorio, senza attendere la concessione di un termine dal giudice; spetterà, poi, comunque, al giudice valutare l’imputabilità della nullità (della prima notifica) alla parte e, se il giudizio dà esito negativo, dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività…”

Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 26-04-2018) 18-06-2018, n. 3732

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero di registro generale 9148 del 2017, proposto da

P.L. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Federico Liccardo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lucrezia Riccio in Roma, p.zza dei Martiri Belfiore, 4;

contro

Comune di Vico Equense, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Califano in Roma, piazza dei Consoli, 11;

nei confronti

  1. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Marrama, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Roberto Gerosa in Roma, via Virgilio, 18;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 05406/2017, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vico Equense e di E. s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 aprile 2018 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Federico Liccardo, Ferola in dichiarata delega dell’avvocato Erik Furno;

Svolgimento del processo

  1. Con determinazione dirigenziale 23 gennaio 2017 n. 144 il Comune di Vico Equense aggiudicava alla P.L. s.r.l. il contratto avente ad oggetto il “servizio di gestione delle aree di sosta a pagamento ubicate sulle strade di proprietà comunale mediante appalto di pubblico servizio”.
  2. L’aggiudicazione era impugnata dalla seconda graduata, T.M. s.r.l., al Tribunale amministrativo regionale per la Campania con unico motivo di ricorso con il quale era contestata l’ammissione alla procedura della P.L. s.r.l. per omessa dichiarazione di due gravi errori professionali rilevanti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) 12 aprile 2006, n. 163.

2.1. Più esattamente, riferiva la ricorrente, gli errori professionali erano imputabili al Consorzio U. che aveva ceduto l’azienda alla U.M. s.p.a., e proprio a quest’ultima, poi denominata T.C.M. s.r.l., dalla quale la P.L. s.r.l. aveva acquisito in locazione l’azienda medesima con contratto datato 30 marzo 2016. Assumeva la ricorrente che gli errori professionali, commessi dalle società indicate negli appalti gestiti per il Comune di Ravello e per quello di Latina, dovevano essere dichiarati nella domanda di partecipazione alla procedura di gara della P.L. s.r.l.

2.3. Con ordinanza cautelare 21 febbraio 2017 il Tribunale amministrativo sospendeva l’aggiudicazione alla P.L. s.r.l..

  1. Con determinazione dirigenziale 10 marzo 2017, n. 314, il Comune di Vico Equense disponeva in via di autotutela la revoca dell’aggiudicazione del contratto a P.L. s.r.l. e aggiudicava definitivamente la gara a T.M. s.r.l., che, dunque, nel giudizio pendente, dichiarava la propria sopravvenuta carenza di interesse per aver ottenuto all’aggiudicazione sperata.
  2. Il provvedimento di revoca era impugnato con autonomo ricorso da P.L. s.r.l. con unico motivo di ricorso con il quale contestava l’esistenza di un onere dichiarativo riferito ad errori commessi non dall’operatore economico concorrente, ma dalla società locatrice dell’azienda o anche dalla precedente proprietaria della stessa.
  3. Il ricorso era notificato il 28 marzo 2017 alla controinteressata T.M. s.r.l. presso la sede legale come risultante dal registro delle imprese a mezzo servizio postale. La notificazione non andava, però, a buon fine per irreperibilità assoluta della società con conseguente restituzione del plico al notificante.

5.1. All’udienza del 9 maggio 2017 il difensore di P.L. s.r.l. domandava il differimento dell’udienza per poter provvedere alla rinotifica del ricorso alla controinteressata; concesso il differimento, la notifica, eseguita a mezzo PEC, andava a buon fine.

5.2. Nel giudizio si costituivano, pertanto, il Comune di Vico Equense e la T.M. s.r.l., la quale, preliminarmente eccepiva l’inammissibilità del ricorso per tardività poiché, a suo dire, la ricorrente avrebbe dovuto chiedere un termine perentorio per effettuare la rinotifica e non solamente il differimento dell’udienza.

5.3. Il Tribunale amministrativo, con sentenza sezione settima, 15 novembre 2017, n. 5406, dichiarava irricevibile il ricorso, che, pure nel merito, riteneva non fondato, con condanna della ricorrente a rifondere al Comune di Vico e alla controinteressata le spese di lite.

  1. Propone appello la P.L. s.r.l.; resistono il Comune di Vico Equense e la E. s.r.l., in proprio e quale cessionaria dell’azienda già di T.M. s.r.l.; il Comune di Vico Equense e la P.L. s.r.l. hanno presentato memorie in vista dell’udienza pubblica. All’udienza del 26 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

  1. La sentenza impugnata ha dichiarato il ricorso di P.L. s.r.l. irricevibile per tardività e, tuttavia, in motivazione, ha esaminato il motivo proposto dalla ricorrente, ritenuto infondato.

1.1. La ragione dell’irricevibilità è indicata dal giudice nella tardività della notifica del ricorso alla controinteressata perfezionatasi solo il 9 maggio 2017, quando era già maturata la decadenza prevista dall’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm. Qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato ed almeno ad uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge….

  1. Il primo motivo di appello è rivolto al capo di sentenza sull’irricevibilità che P.L. s.r.l. censura per “Error in iudicando: violazione dell’art. 44 C.P.A. degli artt. 145 e 160 C.P.C. e dell’art. 8 della L. n. 890 del 1982; presupposto erroneo travisamento dei fatti motivazione omessa e contraddittoria”.

2.1. Per l’appellante il giudice di primo grado avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., che presuppone la nullità della notificazione, ad un caso in cui la notificazione del ricorso non era affetta da nulla.

2.2. I fatti esposti dall’appellante e non contestati sono i seguenti: la notifica del ricorso era stata avviata il 28 marzo 2017 – e, dunque, entro il termine di legge per la notifica al controinteressato in caso di azione di annullamento – a mezzo servizio postale presso la sede legale della società, in C. alla via D. M. n, 193, indirizzo risultante dalla visura camerale effettuata prima di attivare la notifica; l’ufficiale postale ha accertato l’irreperibilità assoluta del destinatario, ovvero che all’indirizzo indicato dal mittente non corrispondeva la sede legale della società e, per questo motivo, ha restituito il plico al mittente.

2.3. Non ricorre, conclude l’appellante, un caso di nullità della notificazione ma solamente un caso di mancato perfezionamento della stessa; non trova applicazione, pertanto, l’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., con la richiesta al giudice di un termine per la rinnovazione della notifica, da concedere previa verifica della non imputabilità al notificante della nullità, ma la diversa regola, enunciata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione per la quale è facoltà ed onere del notificante, in caso di notifica non correttamente conclusasi, riattivare quanto prima il procedimento di notificazione effettuando una nuova notifica che, ove regolarmente conclusasi, avrà effetto dal primo atto di notificazione.

  1. Il motivo è fondato e va accolto con le precisazioni che seguono.

3.1. La notificazione che non abbia raggiunto il proprio scopo ossia che non abbia portato il destinatario a conoscenza dell’atto notificato è una notificazione nulla.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 luglio 2016, n. 14916, hanno esaminato tutti i vizi della notificazione, distinguendo tra quelli cui consegue l’inesistenza e quelli cui consegue la nullità e relativamente all’inesatta individuazione del luogo di destinazione hanno statuito: “Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione (ma la statuizione vale per tutti gli atti notificati, n.d.s.) viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.)”.

3.2. È confermato, dunque, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, che l’inesatta individuazione del luogo in cui la notificazione deve essere eseguita (che, ai sensi dell’art. 145 Cod. proc. civ., per le persone giuridiche va fatta nella loro sede) comporta la nullità della notificazione, con conseguente applicazione, per il giudizio amministrativo, dell’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm. per il quale: “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla”.

3.3. La disposizione delinea una fase processuale ad attivazione officiosa in caso di notificazione eseguita cui non sia seguita, però, la costituzione del destinatario e impone al giudice di accertare se l’esito negativo, ovvero la nullità, dipenda da causa non imputabile al notificante e, in quel caso, fissare un termine perentorio per la sua rinnovazione.

3.4. Nel giudizio di primo grado tale fase non ha avuto luogo avendo il giudice solo differito l’udienza camerale “al fine di consentire all’avvocato del ricorrente di procedere alla rinotifica del ricorso” (così nel verbale dell’udienza del 9 maggio 2017). Nessuna verifica sulle ragioni della nullità della notificazione è stata effettuata dal giudice prima di disporre il differimento dell’udienza, non è stata ordinata la rinnovazione della notifica in un termine perentorio che, dunque, può dirsi spontaneamente avvenuta.

La rinnovazione è stata eseguita dalla ricorrente; il procedimento di notificazione è andato a buon fine; il giudice, tuttavia, in sentenza ha ritenuto tardiva la notifica effettuata al controinteressato e irricevibile il ricorso.

3.5. Ritiene il Collegio che la riattivazione del procedimento di notificazione effettuata spontaneamente dalla ricorrente che ha operato una prima notifica nulla produce gli stessi effetti della rinnovazione della notifica concessa dal giudice entro un termine perentorio: ove conclusa con esito positivo sana la nullità della notificazione con effetti retroattivi (l’equiparazione tra spontanea rinnovazione e rinnovazione per ordine del giudice è comune nelle sentenze che affrontano la questione della sanabilità della nullità della notificazione, cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6008; sez. V, 13 settembre 2013, n. 4530; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5263; sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).

Nel caso in cui, però, la seconda notifica sia effettuata a termine decorso, come normalmente avviene, è necessario comunque accertare l’imputabilità alla parte della nullità della prima notificazione.

A distinguere la spontanea rinnovazione e la rinnovazione per ordine del giudice, allora, è il momento in cui avviene siffatta verifica dell’imputabilità: nel primo caso quando la notifica è già (ri)attivata e, di solito, perfezionatasi, nel secondo, prima della concessione del termine per la rinnovazione della notifica.

3.6. La ricorrente, dunque, che prima dell’udienza ha avuto conoscenza della nullità della notificazione, ha facoltà di procedere alla riattivazione del procedimento notificatorio, senza attendere la concessione di un termine dal giudice; spetterà, poi, comunque, al giudice valutare l’imputabilità della nullità (della prima notifica alla parte e, se il giudizio dà esito negativo, dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività.

3.7. La peculiarità dell’odierna vicenda – il fatto cioè che la riattivazione è stata spontanea ma non immediata bensì solo successiva alla prima udienza all’uopo differita – non vale a modificare la conclusione raggiunta: il giudice, alla nuova udienza, avrebbe dovuto comunque valutare le ragioni della nullità della prima notifica e solamente ove imputabili al ricorrente dichiarare irricevibile il ricorso perché tardivamente proposto.

Tale verifica non è stata, invece, effettuata e la sentenza ha ingiustamente sanzionato la ricorrente per non aver richiesto la concessione del termine per la rinnovazione della notifica ; termine che, però, il giudice era tenuto d’ufficio ad assegnare o negare, ma solo dopo aver valutato l’imputabilità della nullità.

  1. In forza dell’effetto devolutivo dell’appello, spetta a questo giudice verificare l’imputabilità della nullità della prima notificazione alla parte ricorrente.

4.1. Precisato che la controinteressata ha riconosciuto la non imputabilità a P.L. s.r.l. della nullità della prima notificazione, è documentato in atti che alla data della prima notificazione (28 marzo 2017) la sede sociale della T.M. s.r.l., quale risultante dal registro delle imprese, era in C. alla via D. M., n. 193 presso cui è stato indirizzato il ricorso. L’esito negativo del procedimento di notificazione non è, dunque, imputabile alla ricorrente.

  1. Resta un ultimo profilo da esaminare. Il Comune di Vico Equense, nella propria memoria, ha rilevato che, anche a voler ritenere ammissibile la nuova notifica spontaneamente eseguita (id est: in mancanza di ordine del giudice), questa sarebbe avvenuta a distanza di tempo dalla prima notifica, e dovrebbe, per questo, essere comunque ritenuta inammissibile (con conseguente conferma della irricevibilità per tardività del ricorso).

5.1. Effettivamente, la giurisprudenza civile, correttamente richiamato dall’appellata, onera la parte notificante di riattivare spontaneamente il procedimento notificatorio non conclusosi positivamente entro un congruo termine.

5.2. Il Collegio ritiene condivisibile il principio; nel caso di specie, però, può dirsi che P.L. s.r.l. abbia riattivato il procedimento notificatorio in un congruo termine: non risulta dagli atti di causa la data in cui il plico è stato restituito al mittente e, tuttavia, è immaginabile che ciò sia avvenuto in circa dieci giorni dalla notificazione e, quindi, intorno al 10 aprile. La nuova notifica, avvenuta via PEC, il 9 maggio è dunque stata effettuata in un termine che può reputarsi congruo.

  1. Alla declaratoria di irricevibilità del ricorso per tardività il giudice di primo grado avrebbe dovuto arrestare la sua pronuncia. Come preannunciato, però, la sentenza impugnata riporta, in motivazione, anche un capo di merito nel quale è giudicato infondato il motivo di ricorso proposto da P.L. s.r.l.

6.1. La Corte di Cassazione ha da tempo chiarito che “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si sia spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia (e lo stesso vale per le declinatorie di giurisdizione o di competenza), abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito della causa, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle, di talchè l’impugnazione, mentre è ammissibile nella parte in cui sia rivolta contro la statuizione pregiudiziale, è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata” (Cass. civ., Sezioni Unite, 30 ottobre 2013, n. 24469 e Cass. civ. Sezioni Unite, 20 febbraio 2007, n. 3840).

6.2. Il principio va adeguato al giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato, con la precisazione che il motivo di appello proposto avverso la parte di merito di una sentenza che abbia, con statuizione pregiudiziale, dichiarato irricevibile o inammissibile il ricorso proposto, vale come riproposizione del motivo assorbito ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.

  1. Il secondo motivo di appello (rubricato: “Error in iudicando: inesistenza dell’onere dichiarativo ed intrasmissibilità di un requisito soggettivo; motivazione errata ed omessa”) censura la sentenza di primo grado per aver confermato la legittimità del provvedimento di esclusione di P.L. s.r.l. dalla procedura di gara per omessa dichiarazione dei gravi errori professionali ex art. 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 commessi nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto da U.M. s.p.a. (nel Comune di Ravello) e Consorzio U.V. la città (nel Comune di Latina), dai quali, attraverso due successivi passaggi, la P.L. s.r.l. aveva ottenuto la disponibilità dell’azienda.

7.1. Sostiene l’appellante che l’aver commesso errori professionali nell’esecuzione di precedenti contratti di appalto costituisce un requisito soggettivo intrasmissibile nei successivi passaggi di titolarità dell’azienda; esso, dunque, rimane in capo all’imprenditore (concetto diverso da azienda, sottolinea la parte) che li ha commessi e non è trasferito ai successivi titolari dell’azienda che, dunque, non sono tenuti a darne atto nelle loro dichiarazioni.

Peraltro, specifica ancora la parte, il trasferimento d’azienda, invero già riconosciuto come a scopo elusivo dal Consiglio di Stato, nella sentenza 7 giugno 2017 n. 2733, quanto alla cessione intervenuta tra Consorzio U. e U.M. s.p.a., di certo non è tale nell’affitto intervenuto tra T.C.M. s.r.l. (nuova denominazione di U.M. s.p.a.) e P.L. s.r.l., non essendo ravvisabile alcuna forma di collegamento tra le due imprese.

  1. Il motivo è infondato e va respinto.

8.1. L’azienda nella disponibilità di P.L. s.r.l. ha subito i seguenti passaggi di mano: è stata ceduta dal Consorzio U. a U.M. s.p.a. con contratto di cessione d’azienda 7 febbraio 2012 e successivamente affittata da U.M. s.p.a., nella nuova denominazione di T.C.M. s.r.l. all’odierna appellante P.L. s.r.l. con contratto del 30 marzo 2016.

8.2. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 4 maggio 2012 n. 10 ha interpretato l’art. 38, comma 2, D.Lgs. 12 aprile 2006 nel senso che ai “soggetti cessati dalla carica di amministratore e direttore tecnico, n.d.s. nell’anno antecedente alla data di pubblicazione del bando” – dei quali il concorrente è tenuto ad attestare il possesso dei requisiti generali di partecipazione – vanno equiparati anche gli amministratori e i direttori tecnici delle aziende che il concorrente abbia acquisito mediante cessione di azienda nell’anno precedente. L’operatore economico è tenuto, pertanto, ad attestare i requisiti di moralità anche degli amministratori e dei direttori tecnici della società che gestiva l’azienda nell’anno precedente alla pubblicazione del bando.

La giurisprudenza successiva ha equiparato alla cessione d’azienda il contratto di affitto di azienda (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3607; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045; sez. V, 3 febbraio 2016, n. 412 in cui si afferma chiaramente: “La fattispecie di “cessione di azienda”, cui si riferiscono le citate pronunce (in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen. 4 maggio 2012, n. 10), è sicuramente rappresentata dal trasferimento dell’azienda, riferibile ad una vicenda traslativa, ma è estensibile, per identità di ratio, anche all’affitto d’azienda. Infatti, pur se nel Codice degli appalti manca una norma, con effetto preclusivo, che preveda in caso di cessione o affitto d’azienda un obbligo specifico di dichiarazioni in ordine ai requisiti soggettivi degli amministratori e direttori tecnici della cedente (atteso che l’art. 51 del codice si occupa della sola ipotesi di cessione del ramo d’azienda successiva all’aggiudicazione della gara), tuttavia si deve ritenere che il citato art. 38, comma 1, lett. c), comprende anche ipotesi non testuali, ma pur sempre ad essa riconducibili sotto il profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (così A.P. n. 10 del 2012 per la fattispecie specifica della cessione d’azienda)”) ed ha precisato che l’obbligo di dichiarazione riguarda tutti i requisiti di partecipazione a procedure di affidamento e, dunque, non solo l’assenza di precedenti condanne penali (lett. c) dell’art. 38 cit.), ma anche l’assenza di grave errore professionale nell’esecuzione di precedenti contratti (lett. f) dell’art. 38 cit.) (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2017, n. 2733).

8.3. La P.L. s.r.l. era, dunque, tenuta ad attestare il possesso dei requisiti generali di partecipazione degli amministratori e direttori tecnici della società locatrice dell’azienda, la U.M. s.p.a..

8.4. L’estensione dell’obbligo di attestazione dei requisiti di moralità agli amministratori cessati dalla carica (nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando: art. 38 cit.) nonché agli amministratori cedenti l’azienda (o la cui azienda sia stata fusa per incorporazione: Adunanza plenaria nn. 10 e 21 del 2012) è per evitare la partecipazione alla procedura di gara di una società già utilizzata per commettere illeciti e “ripulita” mediante il ricambio degli amministratori ovvero attraverso un successivo passaggio di mano.

Ciò in ragione di una presunzione di continuità tra la vecchia e nuova gestione imprenditoriale – tale che le vicende circolatorie sottendono, in realtà, l’unicità dell’imprenditore – che, pure, può essere superata dando la prova della cesura tra l’una e l’altra (cfr. Adunanza plenaria n. 12 del 2010: “Ad ogni modo, proprio nella logica del cennato fenomeno della dissociazione, al cessionario va riconosciuta la possibilità di comprovare che la cessione si è svolta secondo una linea di discontinuità rispetto alla precedente gestione, tale da escludere alcuna influenza dei comportamenti degli amministratori e direttori tecnici della cedente”).

8.5. Questa sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 7 giugno 2017, n. 2733, ha già dichiarato la continuità aziendale nei rapporti tra il Consorzio U. e U. M. s.r.l. (poi divenuta T.C.M. s.r.l.) in giudizio instaurato dall’odierna controinteressata avverso il provvedimento di aggiudicazione adottato dal Comune di San Giorgio a Cremano, ritenendo mai avvenuta la cesura tra vecchia e nuova gestione.

8.6. La continuità aziendale non può dirsi venuta meno neppure nel passaggio, avvenuto mediante l’affitto dell’azienda, tra la T.C.M. s.r.l. e l’odierna appellante P.L. s.r.l.

L’appellante ha solo dichiarato l’inesistenza di legami tra le due società, senza darne compiutamente prova. La visura camerale della T.C.M. s.r.l., versata in atti dalla controinteressata, dimostra, invece, la coincidenza (sia pur parziale) nella proprietà delle due società, essendo il capitale di T.C.M. s.r.l. detenuto in gran parte da I.G. H. s.r.l. che è socia con il 45% delle quote anche di P.L. s.r.l..

D’altronde, l’appellante non ha fornito la visura camerale attestante la compagine sociale dell’altra società (la A.G. s.r.l.) che detiene la quota maggioritaria del suo capitale sociale.

I documenti in atti, più che indirizzare nel senso dell’estraneità delle società parti del contratto di affitto, conducono, ancora una volta, a ritenere la presenza dell’unicità imprenditoriale, sia pur variamente interpolata mediante diverse strutture societarie.

  1. Con un ultimo motivo di appello P.L. s.r.l. censura la sentenza di primo grado per “Error in iudicando: violazione degli art. 38 e 46 del D.Lgs. n. 163 del 2006”. Ritiene l’appellante (rivolgendo la sua critica alla sentenza di primo grado, ma di fatto contestando il provvedimento di esclusione) che nel caso di specie non potesse farsi applicazione del principio giurisprudenziale per il quale l’omessa dichiarazione dei requisiti è essa stessa causa di esclusione, quale che sia la rilevanza del fatto taciuto. Ciò per essere stati gli errori professionali non dichiarati commessi dai precedenti titolari dell’azienda e non conosciuti se non dopo la stipulazione del contratto di affitto (mediante il ricorso di cui si è già detto dal quale è scaturita la citata sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2733 del 2017).
  2. Il motivo è infondato e va respinto.

Sull’ignoranza dei precedenti errori professionali che avevano condotto al provvedimento di risoluzione contrattuale del Comune di Ravello e al documento di non regolare esecuzione rilasciato dal Comune di Latina è dato dubitare per le ragioni esposte in precedenza sull’unicità dell’assetto imprenditoriale delle società contraenti l’affitto d’azienda; ad ogni modo, a parere del Collegio, la vicenda in esame, proprio per tutte le considerazioni finora svolte, non giustifica la deroga all’orientamento consolidato per il quale l’esclusione dalla procedura consegue per il solo fatto dell’omessa dichiarazione dei requisiti di cui all’art. 38, comma 1, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (ex multis: Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5707; sez. V, 27 settembre 2017, n. 4527, che, in relazione ai gravi errori professionali ha escluso anche l’utilizzabilità dell’istituto del soccorso istruttorio; sez. V, 10 agosto 2017, n. 3980; sez. V, 25 luglio 2016, n. 3402).

  1. In conclusione, i motivi di ricorso proposti dalla P.L. s.r.l. avverso il provvedimento impugnato devono essere respinti.
  2. L’accoglimento del primo motivo di appello giustifica la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania n. 5406/2017, decidendo nel merito, respinge il ricorso proposto da P.L. s.r.l.

Compensa le spese del giudizio tra tutte le parti in causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Valerio Perotti, Consigliere

Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore


Atti giudiziari e raccomandate: i nuovi moduli di Poste Italiane

Con una nota dello scorso 13 giugno 2018 (sotto allegata) il Ministero della Giustizia ha trasmesso agli interessati la comunicazione di Poste italiane S.p.A. riguardante la nuova modulistica predisposta per l’invio degli atti giudiziari e delle raccomandate giudiziarie.

La trasmissione è avvenuta nei confronti del Presidente e del Procuratore generale della Cassazione, dei Presidenti e Procuratori generali delle Corti d’appello, del Presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche, nonché, per conoscenza, al Consiglio Nazionale Forense con preghiera di assicurarne, per quanto di rispettiva competenza, idonea diffusione presso le cancellerie e le segreterie giudiziarie.

Poste Italiane, infatti, ha evidenziato la necessità che, a partire da lunedì 4 giugno 2018, sia utilizzata la nuova modulistica predisposta per l’invio di Atti Giudiziari e Raccomandate Giudiziarie, precisando che, qualora il mittente non utilizzi i nuovi modelli, sarà invitato al riallestimento degli invii.

Nuovi modelli: la richiesta agli indirizzi e-mail di Poste

Poste ha chiarito che i nuovi modelli saranno forniti, ai sensi della Convenzione attualmente vigente con il Ministero della Giustizia, mediante invio della richiesta agli indirizzi e-mail contenuti nell’allegato 1, riportato in calce alla comunicazione.

Nella richiesta dovrà essere indicato come oggetto della comunicazione “Richiesta modulistica AG e RAG“, in funzione del centro di appartenenza.

Per quanto riguarda ogni ulteriore e differente modulo per i servizi postali, viene fornito dalla comunicazione un apposito link alla pagina di modulistica a cui sarà possibile fare riferimento.

Leggi: Comunicazione Ministero Giustizia modulistica AG e RAG 2018

Leggi: Raccomandata giudiziaria-scheda-tecnica 2018


Notifica senza rispettare i criteri di riparto territoriale, nullità o irregolarità?

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n.17533 del 22 maggio 2018, è giunta a risolvere la questione riguardante gli effetti prodotti dalla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario al di fuori dall’ambito territoriale di pertinenza dell’UNEP al quale è stato assegnato.

La soluzione delle Sezioni Unite è scaturita principalmente a seguito dell’interpretazione del combinato disposto delle norme relative alla nullità, artt. 156, primo e terzo comma, e 159 del codice di procedura civile, nonché dei criteri di riparto territoriale, di cui agli artt. 106 e 107 del decreto 15 dicembre 1959, n. 1229 relativo all’ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari.

La questione merita particolare attenzione, posto che, sul punto nel corso del tempo, si è assistito all’evolversi di orientamenti giurisprudenziali differenti.

Gli ufficiali giudiziari (al pari degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti) sono assegnati agli Uffici notificazioni, esecuzioni e protesti (UNEP), istituiti presso ciascuna Corte d’appello e presso ogni Tribunale che non sia sede di Corte d’appello (art. 3 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, nel testo vigente e art. 101, comma 1, del d.P.R. n. 1229 del 1959).

In base all’art. 106, primo comma, del sopracitato d.P.R. dicembre 1959, n. 1229: “l’ufficiale giudiziario compie con attribuzione esclusiva gli atti del proprio ministero nell’ambito del mandamento ove ha sede l’ufficio al quale è addetto”; il successivo art. 107 – dopo avere, al primo comma, stabilito che “per la notificazione degli atti in materia civile ed amministrativa da eseguire fuori del Comune ove ha sede l’ufficio, l’ufficiale giudiziario deve avvalersi del servizio postale, a meno che la parte chieda che la notificazione sia eseguita di persona” – al secondo comma prescrive che: “tutti gli ufficiali giudiziari possono eseguire, a mezzo del servizio postale, senza limitazioni territoriali, la notificazione degli atti relativi ad affari di competenza delle autorità giudiziarie della sede alla quale sono addetti”.

Rilevanza della nullità
L’art. 156 del codice di procedura civile sancisce il principio generale di tassatività delle nullità degli atti del processo, stabilendo che esse devono essere previste dalla legge e aggiungendo che tale principio è derogabile (nel senso che la nullità può essere in ogni caso pronunciata) soltanto nell’ipotesi in cui l’atto sia privo dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo, mentre reciprocamente la nullità non può essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.

Per il successivo art. 160 cod. proc. civ. la notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia oppure se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data.

Contrasto giurisprudenziale
La Corte di Cassazione in un risalente orientamento configurò la suddetta fattispecie come mera irregolarità della notificazione, sanabile con la comparizione in giudizio del destinatario considerando la competenza dell’ufficiale giudiziario come di tipo amministrativo e non giurisdizionale (Cass. 5 gennaio 1945, n. 2).

Tale orientamento venne criticato da autorevole dottrina che sostenne che tra le nullità della notificazione di cui all’art. 160 del codice procedura civile e l’inesistenza della notificazione avrebbe dovuto essere contemplata l’ipotesi di considerare come una vera e propria nullità, quella attinente ad un presupposto essenziale dell’atto di notificazione e quindi determinante un vizio logicamente precedente rispetto a quelli previsti nell’art. 160 c.p.c., come tale riconducibile alla disciplina dettata dall’art. 156 cod. proc. civ. ma sanabile dalla comparizione in giudizio del destinatario.

Nel corso del tempo nella giurisprudenza di legittimità si è dunque consolidato un indirizzo sostanzialmente conforme a tale dottrina in base al quale la notificazione effettuata da un ufficiale giudiziario extra districtum non si considera affetta da nullità assoluta, ma soltanto da nullità relativa sanabile, con effetto ex tunc, qualora l’atto abbia raggiunto il suo scopo, rappresentato dalla costituzione del destinatario in giudizio, dovendo in caso contrario il giudice disporre la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. (ex multis: Cass. 11 febbraio 1995, n. 1544 e di recente Cass. 19 settembre 2014, n. 19834).

Superamento dell’indirizzo precedente
La Corte di Cassazione, attraverso questa sentenza, ha ritenuto di superare, l’orientamento ormai diffuso che considera affetta da nullità la notifica eseguita da ufficiale giudiziario eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni territoriali.

Ciò alla luce, non solo delle argomentazioni svolte dalla giurisprudenza amministrativa, la quale, muovendo dalla premessa per cui gli artt. 106 e 107 del d.P.R, n. 1229 del 1959 non regolano la “competenza” territoriale degli ufficiali giudiziari, bensì la ripartizione delle relative attribuzioni, ha precisato che la violazione delle norme di cui agli artt. 106 e 107 d. P.R. n. 1229 del 1959 non costituisce causa di nullità della notificazione, ma semplice irregolarità della stessa, non rilevante ai fini processuali (Cons. Stato Sez. IV, 13 ottobre 1983, n. 714; Cons. Stato, Sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 8072), ma anche a seguito degli sviluppi della giurisprudenza di legittimità più recente, nella quale viene data ampia applicazione ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo (Cass. SU 20 luglio 2016, n. 14916),

Principi a cui si sono ispirate le Sezioni Unite
Tale soluzione è conforme non solo al principio di tassatività delle nullità processuali (art. 156 cod. proc. civ.), ma anche ai principi del giusto processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. che, in coerenza con l’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, comporta una maggiore rilevanza allo scopo del processo, costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito, che impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o che, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo ( ex multis, Corte EDU: sentenze Běleš e altri c. Repubblica ceca, 12 novembre 2002-§ 62; Trevisanato c. Italia, 15 settembre 2016- § 45).

Dal punto di vista sistematico, questa soluzione, oltre ad avere il pregio di essere uguale a quella applicata dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, con conseguente semplificazione del sistema complessivo, è anche in linea con le profonde evoluzioni che si sono avute in materia di notificazione contraddistinte dalla perdita di rilievo del requisito territoriale del notificante.

Ma vi è di più, tale soluzione è anche in linea con il progressivo evolversi della tecnologia, si pensi alla crescente diffusione delle notifiche a mezzo posta e di quelle eseguite in proprio dagli avvocati, ora anche mediante PEC ( Posta Elettronica Certificata).

Lo stesso accade anche in ambito UE sia con riguardo al titolo esecutivo europeo (Cass. 22 maggio 2015, n. 10543) sia per quel che si riferisce al riconoscimento, ai sensi del regolamento 13 novembre 2007, n. 1393/2007/CE, di una competenza generalizzata agli organi mittenti (per l’Italia: gli UNEP costituiti le Corti d’appello o presso i Tribunali che non siano sede di Corti d’appello) in relazione a tutti gli atti da notificare negli Stati membri dell’Unione, senza limiti territoriali.

Principio di diritto pronunciato dalle Sezioni Unite
“In tema di notificazione, la violazione delle norme di cui agli artt. 106 e 107 d.P.R. n. 1229 del 1959 costituisce una semplice irregolarità del comportamento del notificante la quale non produce alcun effetto ai fini processuali e quindi non può essere configurata come causa di nullità della notificazione.
In particolare, la suddetta irregolarità, nascendo dalla violazione di norme di organizzazione del servizio svolto dagli ufficiali giudiziari non incide sull’idoneità della notificazione a rispondere alla propria funzione nell’ambito del processo e può, eventualmente, rilevare soltanto ai fini della responsabilità disciplinare o di altro tipo del singolo ufficiale giudiziario che ha eseguito la notificazione”.