Nuovi contratti nazionali di lavoro

Chiuso l’accordo sui quattro comparti nel pubblico impiego, si apre il fronte del rinnovo dei contratti 2016/2018.
Nel frattempo, un altro tribunale conferma che gli effetti dei nuovi CCNL devono partire dal 30 luglio 2015.

I dipendenti pubblici hanno diritto al rinnovo contrattuale dal 30 luglio 2015, cioè dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza 178/2015 in cui la Corte Costituzionale ha stabilito l’illegittimità di un ulteriore congelamento dei rinnovi contrattuali.
Stanno aumentando le pronunce dei tribunali che ribadiscono questo principio, in contrasto con i calcoli governativi che invece si orientano sul rinnovo dal 1° gennaio 2016.
Fra gli ultimi casi, quello del Tribunale di Parma sezione lavoro, che nella sentenza 114/2016, ha dichiarato «l’illegittimità del regime di sospensione della contrattazione collettiva a partire dal 30 luglio 2015», riprendendo un principio già espresso dai giudici di Reggio Emilia.
La decisione di Parma, che condanna al pagamento delle spese processuali il datore di lavoro pubblico, pone le premesse anche per un possibile riconoscimento del danno da mancato rinnovo dalla data indicata dalla Consulta.


La data di una raccomandata è importante per una causa, le Poste hanno l’obbligo di cercarla

Un cittadino non riusciva più a trovare la busta contenente una lettera speditagli dall’assicurazione con raccomandata A.R., nella quale era indicata la data di ricezione della stessa. Ma tale dato era per lui fondamentale, al fine di dimostrare l’intervenuta prescrizione della controversia pendente con l’assicurazione.

Il TAR del Piemonte, con la sentenza numero 207/2016, ha dichiarato che le Poste non possono legittimamente opporre un silenzio-rifiuto al cittadino, che si è loro rivolto per tentare di ricavare i dati relativi alla predetta raccomandata. Per il Tribunale, infatti, è fondamentale che all’interessato venga consegnata entro un mese la copia dei registri di consegna, dai quali emerge sia la data che il numero di identificazione della missiva.

Non importa che per soddisfare l’utente sia necessaria una specifica e laboriosa ricerca: la legge sulla trasparenza riconosce il diritto all’accesso ai documenti. Oltretutto la ricerca non sarebbe dovuta proseguire con un’elaborazione di dati, ma solo con una fotocopia delle pagine di interesse.

Tuttavia, nel caso di specie si trattava di un interesse qualificato, dato dalla sussistenza di una controversia giudiziaria ai fini della quale la data della raccomandata assumeva un’importanza fondamentale, dipendendo da essa la valutazione circa la permanenza o l’estinzione del diritto azionato.

Testo della sentenza

00207/2016 REG.PROV.COLL. N. 01096/2015 REG.RIC.

 R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 SENTENZA

 sul ricorso numero di registro generale 1096 del 2015, proposto da:

Piera Caravello, rappresentata e difesa dall’avv. Franco Scancarello, con domicilio eletto presso lo presso il suo studio, in Torino, Via Pietro Palmieri, 40;

contro

Poste Italiane, s.p.a. rappresentata e difesa dagli avv. Rossana Cataldi, Marco Filippetto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Rossana Cataldi in Torino, Corso Tazzoli, 235/4;

per lannullamento

del silenzio serbato da Poste Italiane Posta, Comunicazione e Logistica A.L. Nord Ovest – Qualità, in ordine all’istanza inoltrata dalla ricorrente in data 16 luglio 2015;

nonché degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Poste Italiane;

Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2016 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I) Con ricorso notificato in data 20 ottobre 2015 e depositato in data 23 ottobre 2015, la ricorrente ha chiesto l’annullamento del silenzio serbato da Poste Italiane in ordine alla sua istanza inoltrata in data 16 luglio 2015, con cui chiedeva copia di una lettera raccomandata inviatale dalla Società So.Ge.Sa in data successiva al 12 gennaio

Espone di aver ricevuto una raccomandata A.R.  dall’Assicurazione So.Ge.Sa datata 11 gennaio 2013, della quale ha smarrito la busta, con il timbro della data di ricevimento e il relativo numero di identificazione.

Una prima richiesta presentata in data 15.4.2015 all’Ufficio Postale è stata riscontrata con la nota delle Poste del 19.6.2015, in cui si informava l’interessata che in assenza di precise indicazione non era possibile effettuare una “verifica mirata”.

Ha quindi chiesto, in data 25 giugno 2015, tramite il legale, di poter avere copia della suddetta raccomandata, informazioni in ordine alla data di consegna della suddetta raccomandata.

La Posta ha riscontrato la richiesta con la nota del 28.8.2015 (in cui erroneamente è stato riportato l’anno 2014), rappresentando la necessità di indicare il numero della raccomandata e la data di spedizione.

Con nota del 16 luglio 2015 la ricorrente ha fatto presente l’impossibilità di trasmettere i dati richiesti, che erano proprio quelli per i quali aveva inviato la precedente istanza.

A tale scopo reiterava la domanda di accesso agli atti.

Non avendo ulteriore riscontro, ha notificato il seguente ricorso, chiedendo l’annullamento del silenzio serbato sulla domanda inoltrata il 16 luglio 2015, lamentando i seguenti profili di illegittimità:

  1. violazione di legge in riferimento all’art 2 L. 241/90; eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, carenza dei presupposti, contraddittorietà: Poste Italiane è tenuta a garantire l’accesso agli atti, per cui nel caso di specie avrebbe dovuto dare riscontro alla domanda volta ad ottenere copia degli atti e indicazioni in ordine alla data di avvenuta consegna della raccomandata inviata alla ricorrente;
  2. violazione dell’art 3 L. 241/90, essendo l’inerzia dell’Amministrazione immotivata.

In via istruttoria viene chiesta l’acquisizione degli atti del procedimento conclusosi con l’adozione dell’atto impugnato e nel merito, l’accoglimento del ricorso,  con ordine alle Poste Italiane di comunicare alla ricorrente eventualmente consegnando copia dei registri  di consegna e dunque di avvenuto ricevimento della raccomandata della Società So.Ge.S.A. datata 11 gennaio 2013.

Si è costituita in giudizio la Società Poste Italiane spa, rilevando l’inammissibilità del ricorso, in quanto il diritto di accesso non è mai stato rifiutato, ma solo subordinato alla presentazione di dati necessari per consentire il rilascio dell’informazione richiesta.

Nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso poiché ai sensi dell’art 5 comma 2 del DPR n. 184/2006, il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l’individuazione, specificare e ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta; pertanto la domanda non poteva essere accolta, in assenza di dette indicazioni.

Alla camera di consiglio del 13 gennaio 2016 il difensore di parte ricorrente ha prodotto una nota di Poste Italiane, in cui si dichiara che i documenti relativi all’accettazione e alla consegna sono conservati in giacenza per tre anni. Trascorso tale periodo non è più possibile effettuare verifiche  e fornire le relative informazioni.

La difesa di Poste Italiane si è opposto alla produzione di detto documento. Alla medesima camera di consiglio, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

II) Il Collegio osserva in via preliminare che la ricorrente ha chiesto l’annullamento del silenzio serbato sulla domanda di accesso, e per l’effetto l’ordine alle Poste di comunicare alla ricorrente la data di consegna della raccomandata, consegnando quindi copia dei registri di consegna.

Si osserva tuttavia che le istanze sono state riscontrate, per cui non si può parlare di azione avverso il silenzio, ma il presente ricorso va qualificato come domanda di accertamento del diritto alla copia degli atti richiesti, e quindi come azione al fine di ottenere una risposta positiva sulla domanda di accesso.

Quindi l’esatto petitum è l’accertamento del diritto ad ottenere copia degli atti (presumibilmente copia del registro di consegna delle raccomandate), da cui ricavare il dato richiesto.

La ricorrente assume che non poteva essere posto a suo carico l’onere di specificare gli estremi della raccomandata e che dall’istanza sarebbero stati comunque ricavabili elementi idonei a individuare i documenti di interesse. Il ricorso è fondato, nei limiti che verranno precisati.

Va premesso che la ricorrente chiede l’accesso ad una raccomandata, al fine di dimostrare l’intervenuta interruzione dei termini di prescrizioni nell’ambito di una causa in materia assicurativa.

Ricopre quindi una posizione qualificata all’esercizio del diritto di accesso, a tutela di un interesse evidentemente funzionale ad una eventuale azione giudiziaria.

Va ricordato che secondo l’orientamento prevalente l’accesso deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile; la domanda non può essere generica e deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta.

Se non può in linea di principio pretendersi che l’istante in sede di accesso agli atti indichi specifici dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso, deve in ogni caso rilevarsi come l’Amministrazione, in detta sede, sia tenuta a produrre documenti individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi.

Ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività.

Richieste generiche, infatti, sottoporrebbero l’Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa.

In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v’è dubbio come l’accesso non possa costringere l’Amministrazione ad attività di elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati.

Nel caso di specie la difficoltà risiede proprio nel fatto che la ricorrente chiede copia di un documento, proprio perché interessata a conoscere i dati identificativi dello stesso, mentre l’Amministrazione ritiene di non poter risalire all’atto senza detti elementi identificativi.

Si poneva quindi in capo all’Amministrazione l’obbligo di avviare una ricerca, presumibilmente consultando un registro in cui sono trascritti giornalmente i dati della corrispondenza (mittente, destinatario, data di consegna), quindi di porre in essere una attività non di elaborazione, ma di ricerca, consistente nel consultare il registro, estrarre il dato richiesto, anche effettuando semplicemente la fotocopia della pagine in cui sono stati trascritti i dati.

In tal senso probabilmente la domanda di accesso poteva essere soddisfatta, poiché non richiedeva una attività di elaborazione di dati, ma solo una attività di ricerca, fase connaturale ad ogni domanda di accesso.

Per tale ragione il ricorso va accolto, poiché il diniego all’accesso è illegittimo in quanto sorretto da un interesse giuridicamente rilevante e diretto ad ottenere un atto, il cui rinvenimento non implica una attività elaborativa.

La particolarità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto ordina alle Poste Italiane di rilasciare copia degli atti oggetto della richiesta del 25.6.2015, entro il termine di giorni trenta dalla comunicazione o notifica della presente sentenza.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2016 e del giorno 3 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Silvana Bini, Presidente FF, Estensore Ofelia Fratamico, Primo Referendario Giovanni Pescatore, Referendario

 IL PRESIDENTE, ESTENSORE

 DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 18/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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Buona Pasqua 2016

Pubblicazione1


Le responsabilità dei Messi Comunali

LE RESPONSABILITÀ DEI MESSI COMUNALI IN RELAZIONE AI DOVERI PROPRI DELLA FUNZIONE ED ALLE PATOLOGIE DELL’ATTO(1)

La figura del Messo Comunale è stata delineata fin dal 1911 (reg. 12/2/1911 n. 297) ma è con il Testo Unico della Legge 1934 n. 383 che acquisisce una specifica connotazione. L’art. 273 del t.u. appena citato stabilisce in primis che ogni comune o provincia deve avere uno o più messi indicando altresì le condizioni di nomina di questa categoria, il valore e l’efficacia degli atti che compie.

L’attenzione riservata dal legislatore a tale figura fin dalla sua istituzione è indicativa della importanza e della delicatezza della mansione che lo stesso è chiamato a svolgere. Messo, cioè mandato, delegato, incaricato di un pubblico servizio è colui che è autorizzato a notificare gli atti del proprio comune o provincia ovvero nell’interesse di altre Amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta a quella da cui i messi stessi dipendano(2).

Nella formulazione originaria, dunque, la qualifica del messo era legata al possesso di particolari requisiti (maggiore età, buona condotta, capacità di intendere e volere – tipici del mandatario), poiché comportava l’esercizio di mansioni delicate ma non particolarmente gravose, stante il dettato normativo che precisava che si trattava di atti per i quali non erano prescritte particolari formalità. Per alcuni atti non si è mai trattato di notifica ma di una vera e propria consegna, per altri invece si è in presenza di una notifica (ordinanze del Sindaco in materia edilizia, polizia locale…). Rileva il fatto che la relata del messo ha importanza ai fini della decorrenza del periodo assegnato oltre il quale determinati lavori saranno eseguiti d’Ufficio.

Ed ancora si pensi alla notifica dell’intimazione a pagare mediante messa in mora, oppure di fissazione del termine e di adempimento di una obbligazione e di esercizio di un diritto. Si tratta come si può vedere di un’attività che si colloca nell’iter del procedimento amministrativo volto all’emanazione di un atto amministrativo- nella fase “integrativa dell’efficacia producendo proprio l’effetto giuridico della conoscenza piena per il soggetto ricevente e la possibilità di reazione all’atto stesso se lesivo di diritti od interessi per il destinatario”.

La disposizione citata prevede anche la possibilità per i Consorzi di avvalersi di messi dei Comuni che facciano parte del Consorzio e di messi di Comuni nel cui territorio l’atto deve essere notificato e sempre in relazione ad atti che non richiedono particolari formalità. Quindi fin dal suo sorgere questa figura, così come tratteggiata da quel lontano legislatore, doveva presentare alcune caratteristiche tipiche da consentirgli di svolgere un servizio importante ma non particolarmente impegnativo, come invece vedremo, oggi è accaduto lì dove l’art. 38 DPR 29/1/1958 n. 645 e poi successivamente l’art. 60 DPR n. 600 del 29/9/1973 che detta disposizioni dettagliate e puntuali in merito all’attività di notificazione i merito all’accertamento delle imposte sui redditi.

Ripercorrendo l’iter storico e normativo di riferimento di questa figura si nota che non solo non ha perso importanza ma ha acquisito un maggiore spessore proprio con la formulazione di cui all’art. 2 del D.P. del 11.2.64 n. 264, lì dove si dispone che l’opera di questi messi può essere richiesta dall’Ufficiale sanitario e da ultimo dall’Amministrazione finanziaria ai sensi degli articoli citati. Per quanto riguarda proprio questa ultima Amministrazione la gravosità e la serietà del compito affidato è tale da aver indotto il legislatore più recente a disporre tutta una serie di adempimenti (che superano il dettato originario che non richiedeva per alcuni tipi di atti particolari formalità) e fa acquistare a questa ultima normazione carattere speciale e derogatorio rispetto a quello più generale del c.p.c. che non viene applicato in queste fattispecie specifiche (art. 142, 143, 146, 150, e 151 c.p.c.) Proprio questa attività di notificazione svolta per conto di altre Amministrazioni (v. Amministrazione Finanziaria) ha suscitato un nuovo interesse per questa figura da parte della giurisprudenza contabile. Quest’ultima già negli anni passati aveva avuto modo di affermare la sottoposizione alla propria giurisdizione della responsabilità del messo comunale muovendo dall’assunto che lo stesso inserendosi nella fase conclusiva del procedimento di accertamento tributario, si poneva alla dipendenza funzionale dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, poiché il soggetto veniva ad essere incardinato nell’organizzazione dell’Ente si configurava, così, un rapporto di servizio (Corte dei Conti sez. I, 9/2/1989, n. 58, Corte dei Conti sez. II, 29/2/1988 n. 36, Sezioni Riunite, 24/7/1987 n. 549, sez. I 19/6/1989 n. 222)

Più di recente la Corte dei Conti ha riaffermato la propria giurisdizione in materia di responsabilità del messo notificatore riconoscendo che il fondamento normativo e proprio l’art. 58 Legge 8/6/1990 n. 142 che ha disposto anche per gli enti locali territoriali la regola dell’assoggettamento alla disciplina statale e realizzando così, un sistema unico della responsabilità in tutto il settore pubblico (Sez. II 18/1/93 n. 13)(3). Le patologie dichiarate sono quelle classiche della nullità (o invalidità assoluta) e d’irregolarità. Nella prima s’inquadra l’omessa o ritardata notifica ovvero eseguita in violazione delle norme che prescrivono determinati adempimenti, la seconda l’irregolarità si distingue dalla prima poiché è suscettibile sempre di essere sanata e comporta l’esclusione conseguente della responsabilità del messo comunale per i danni derivanti all’Amministrazione finanziaria per esempio d’irregolare notifica dell’avviso di accertamento; irregolarità non sanata (tramite rinnovo di notifica) per fatto imputabile all’Amministrazione Finanziaria.

NOTE:

(1) Testo riveduto dell’intervento al corso FORMEL – Milano – maggio 1999.

(2) V. TENDOLINI, in Nuovissimo Digesto, voce “Messo comunale e provinciale”.

(3) Contra Cass. Civ. Sez. Un. 1991 n. 1341 che sottraendo alla competenza della Corte dei Conti la responsabilità relativa del messo la devolveva al giudice ordinario in quanto attività compiuta in qualità di dipendente non dell’Amministrazione danneggiata ma del Comune.

——-

Il Messo Comunale svolge un’attività complessa e d’elevata responsabilità ed è chiamato a rispondere personalmente di eventuali azioni illecite o dannose per l’amministrazione dalla quale dipende o per terzi.

Responsabilità penale

Il Messo Comunale risponde penalmente di tutte quelle azioni od omissioni che costituiscono fatti puniti dalla legge penale (es. l’omissione o il rifiuto di atti d’ufficio, puniti dall’art. 328 del c.p.).

Responsabilità civile

Il Messo Comunale può essere civilmente responsabile per i danni provocati a terzi. Può rispondere direttamente ai terzi ovvero in- direttamente, quando risarcisce l’amministrazione da cui dipende, chiamata a propria volta a rispondere di fronte ai terzi per il danno provocato dal Messo Comunale. La responsabilità si concretizza solo quando il danno è provocato con dolo o colpa grave. La colpa lieve non comporta responsabilità. L’obbligo di risarcimento discende dal principio generale per il quale chiunque provoca un danno deve risarcirlo (art. 2043 c.c.).

Responsabilità contabile e patrimoniale

Particolare rilevanza assume la responsabilità connessa alla condotta che il Messo Comunale deve osservare nell’espletamento degli atti del suo ufficio. La giurisprudenza amministrativa si è interessata del particolare rapporto che si instaura tra il Messo Comunale e gli uffici della amministrazione finanziaria dello Stato, relativamente alla notificazione degli atti di accertamento tributario. È in vigore il principio secondo cui la notificazione degli atti di altre amministrazioni (Stato, Enti pubblici, Regioni, Province, altri Comuni, ecc.) deve avere luogo tramite l’amministrazione da cui dipende il Messo Comunale e non con rapporto diretto con questo ultimo. La Corte dei Conti, sez. I, con decisione 28 ottobre 1983, n. 145, ha ritenuto che «pur in carenza di un rapporto di pubblico impiego fra l’amministrazione finanziaria e il Messo Comunale, sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti del secondo per il danno patrimoniale che si assume arrecato alla prima in conseguenza alla tardiva notificazione di avvisi di accertamento tributario; invero l’art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con lo stabilire che la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente […] è eseguita dai Messi Comunali, viene ad inserire questi ultimi nella fase conclusiva del procedimento di accertamento delle imposte, di competenza appunto dell’amministrazione finanzia- ria, realizzando in tal modo una dipendenza funzionale dei Messi Comunali stessi dalla stessa amministrazione e dando vita conseguente- mente ad un rapporto di servizio fra i primi e la seconda, di per sé sufficiente ad incarnare la giurisdizione contabile della Corte dei Conti».

Responsabilità disciplinare: sanzioni e procedure disciplinari

Il Messo Comunale risponde sul piano disciplinare, quando la propria condotta ha violato gli obblighi ed i doveri d’ufficio (artt. 23 ss. del C.C.N.L. del 6.7.1995 modificati dal Titolo IV del C.C.N.L. 22.1.2004 e dagli artt. 3, 4, 5 del C.C.N.L. 11.4.2008, nonché dal Titolo IV del d.lgs. 165/2001 come modificato dal d.lgs. 150/2009). Il Messo Comunale, come ogni altro dipendente del Comune che viene meno ai propri doveri, può incorrere in responsabilità di carattere disciplinare. Le violazioni, da parte dei lavoratori, dei doveri di cui al codice disciplinare, danno luogo, secondo la gravità dell’infrazione, previo relativo procedimento, all’applicazione delle sanzioni disciplinari. L’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, dopo aver fatto la contestazione degli addebiti, sulla base degli accertamenti effettuati e delle giustificazioni addotte dal dipendente, irroga la sanzione applicabile. Quando il medesimo ufficio ritenga che non vi sia luogo a procedere disciplinarmente dispone la chiusura del procedimento, comunicandolo all’interessato. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione. Si ritiene, infine, utile richiamare l’attenzione sulle norme comportamentali contenute nel codice comportamentale delle pubbliche amministrazioni, che contiene specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà ed imparzialità.

Messo non puntuale, la notifica tardiva si paga a caro prezzo

Il Comune deve risarcire il danno per la mancata o intempestiva consegna di un atto tributario in scadenza. Sussiste responsabilità contrattuale in capo al Comune per l’ipotesi in cui un suo messo non abbia correttamente svolto l’incarico – da qualificarsi come mandato ex lege – attribuitogli dall’Amministrazione statale di notifica di un avviso di rettifica in scadenza. In questa ipotesi, il danno potrà quantificarsi, in presenza di determinati presupposti, in misura pari all’ammontare delle imposte e degli accessori al cui recupero l’atto tributario era diretto. Queste le conclusioni della Cassazione con la sentenza n. 26118 del 30 ottobre 2008.

La vicenda tributaria

Un ufficio dell’ex ministero delle Finanze richiedeva a un Comune di procedere alla notificazione di un avviso di rettifica Iva. Alla richiesta, pervenuta all’ente locale il 22 dicembre 1989, il messo comunale dava attuazione secondo modalità estranee a quelle indicate nell’articolo 60 del Dpr 600/1973, provvedendo, tra l’altro, all’inoltro al destinatario di una lettera raccomandata soltanto in data 12 gennaio 1990, successivamente cioè alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere impositivo (il 31 dicembre 1989). A seguito dell’impugnazione proposta dall’interessato avverso l’atto impositivo, il giudice tributario – sia di primo che di secondo grado – riconosceva fondata l’eccezione del contribuente di tardività della notificazione e la conseguente decadenza dell’Amministrazione finanziaria dalla pretesa fiscale.

Il giudizio civile di merito

Con atto di citazione dinanzi al Tribunale di Brescia, l’Amministrazione finanziaria conveniva in giudizio il Comune per ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla erronea e tardiva notificazione dell’atto in questione. Il Tribunale rigettava il ricorso, ritenendo che con riferimento alle notificazioni di atti nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria, il Comune non fosse tenuto a rispondere dei danni arrecati dal messo, ancorché quest’ultimo fosse dipendente dell’ente locale. In secondo grado, tuttavia, la Corte di appello di Brescia ribaltava l’esito della prima pronuncia, condannando il Comune al risarcimento dei danni richiesti. Secondo i giudici, l’ente territoriale avrebbe dovuto rispondere del danno, in ragione della violazione del rapporto di preposizione gestoria intercorrente con l’Amministrazione finanziaria e qualificabile in termini di mandato ex lege: veniva invece escluso che, nella fattispecie, si fosse instaurato un rapporto di servizio diretto tra la stessa A.F. e il messo, operante alle esclusive dipendenze dell’ente locale.

Il giudizio di legittimità

Avverso la sfavorevole sentenza d’appello, il Comune proponeva ricorso per cassazione contestando, in particolare, l’applicabilità del principio secondo cui avrebbe dovuto rispondere dell’operato del proprio messo anche quando la notificazione fosse avvenuta a istanza di diverso ente pubblico e, in questo caso, dell’Amministrazione finanziaria. Sosteneva, inoltre, che la notificazione era avvenuta nel rispetto delle disposizioni contenute nel richiamato articolo 60. Il motivo d’impugnazione è stato disatteso dalla Suprema corte che, innanzitutto, ha confermato l’inquadramento – operato in sede di merito – del conferimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria al Comune, del compito di procedere tramite i messi municipali alla notificazione dell’avviso tributario come mandato ex lege. In tali ipotesi, infatti la richiesta da parte del Fisco di notifica di un atto impositivo non determina l’inquadramento del messo comunale nell’organizzazione dello stesso richiedente. Piuttosto, precisa la sentenza 26118/2008, i messi municipali rimangono comunque dipendenti dell’ente locale e quindi agiscono, anche nell’esecuzione del compito in questione, “in adempimento degli obblighi derivanti dal loro rapporto d’impiego con il Comune …”.

Da tali premesse, la Cassazione fa scaturire la responsabilità contrattuale del Comune verso l’Amministrazione statale, connessa – per l’accertata mancata osservanza delle regole in tema di notifiche di atti tributari – al negligente svolgimento del conferito mandato ex lege. Circa la quantificazione del danno subito, la Suprema corte ha avallato la conclusione raggiunta dai giudici di merito, secondo i quali l’ufficio finanziario poteva legittimamente giovarsi della presunzione di corrispondenza del danno stesso all’ammontare delle imposte e degli accessori al cui recupero l’avviso di rettifica era volto. A tale conclusione si era pervenuti anche sul duplice rilievo che, da un lato, nel ricorso proposto alla Commissione tributaria il contribuente si era limitato a eccepire la tardività della notificazione dell’avviso, senza sollevare alcuna eccezione di merito avverso la pretesa impositiva, dall’altro, perché nel giudizio civile il Comune aveva opposto soltanto una generica contestazione, omettendo di dedurre e provare l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’obbligazione tributaria. Infine, la Cassazione ha ritenuto ineccepibile la qualificazione operata in sede di merito del risarcimento dovuto dall’ente locale come debito non di valuta ma di valore “soggetto, dunque, anche al cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi, trattandosi di debito d’indole risarcitoria da inadempimento di un’obbligazione non pecuniaria (ma ex mandato) e non per legge direttamente rapportato all’entità della pretesa fiscale pregiudicata, ma a questa solo commisurato per equivalente pecuniario”.


8 marzo: Festa della donna

8 marzo 2015Per tutte le violenze consumate su di Lei,

per tutte le umiliazioni che ha subito,

per il suo corpo che avete sfruttato,

per la sua intelligenza che avete calpestato,

per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,

per la libertà che le avete negato,

per la bocca che le avete tappato,

per le ali che le avete tagliato,

per tutto questo:

in piedi, Signori, davanti ad una Donna.

(William Shakespeare)

 


Notifica per posta

Il testo del disegno di legge sulla Concorrenza è stato varato dal Governo nel febbraio 2015. In ottobre dello stesso anno la Camera dei Deputati lo ha approvato e ora è all’esame della Commissione Industria del Senato.

Nel disegno di legge  vengono affrontati vari temi tra i quali i servizi postali nel quale dal giugno 2017 Poste Italiane perderà l’esclusiva sugli atti giudiziari.


La notifica a mezzo PEC nel processo amministrativo è inesistente

Il Consiglio di Stato ritorna sui suoi (recenti) passi come una specie di gambero, per lo più incerto sulla direzione da seguire. Con la sentenza 20 gennaio 2016, n. 189 la Terza Sezione affronta la questione trita e ritrita della possibilità di notificare il ricorso introduttivo a mezzo posta elettronica certificata. Lo fa con uno straordinario revirement rispetto al proprio precedente arresto di settembre scorso, con il quale, rifacendosi ad altri precedenti, sembrava avesse definitivamente sopito il dibattito PEC si, PEC no, per l’ammissibilità di tale forma di notificazione anche nel processo amministrativo.
Nella sentenza del 14 settembre 2015 n. 4270, il Collegio ritiene di dover essere coerente con i suoi precedenti aderendo per relationem allo stesso Consiglio di Stato, Sez. VI n. 2682 del 28 maggio 2015 secondo il quale: “La mancata autorizzazione presidenziale ex art. 52, c o. 2, del c.p.a. non può considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC atteso che nel processo amministrativo trova applicazione immediata la l. n. 53 del 1994 (ed in particolare… gli articoli 1 e 3 bis della legge stessa), nel testo modificato dall’art. 25 co. 3, lett. a) della l. 12 novembre 2011, n. 183, secondo cui l’avvocato “può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale… a mezzo della posta elettronica certificata”.
“Nel processo amministrativo telematico (PAT) contemplato dall’art. 13 delle norme di attuazione di cui all’Allegato 2 al cod. proc. amm. è ammessa la notifica del ricorso a mezzo PEC anche in mancanza dell’autorizzazione presidenziale ex art. 52, co. 2, del c.p.a. , disposizione che si riferisce a “forme speciali” di notifica, laddove invece la tendenza del processo amministrativo, nella sua interezza, a trasformarsi in processo telematico, appare ormai irreversibile.
“Se con riguardo al PAT lo strumento normativo che contiene le regole tecnico –operative resta il DPCM al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato al c.p.a. , ciò non esclude però l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC”.
Con la sentenza di cui trattasi, invece, gli Inquilini di Palazzo Spada considerano le notificazioni a mezzo PEC nel processo amministrativo tamquam non esset, giustificando tale differenza rispetto al processo civile con la specialità del rito rinvenibile nelle disposizioni dettate in materia dal CPA, le quali rinviano, per l’ammissibilità, ad una regolamentazione specifica sulla quale vi è la mora del legislatore. Solo il Presidente del Collegio può rendere “esistente” la notifica a mezzo PEC attraverso una sua autorizzazione preventiva ex art. 52 del Codice del Processo Amministrativo, mancante nel caso di specie.
L’inesistenza, è una categoria non armonizzabile con il principio processualistico del raggiungimento dello scopo, proprio per via della mancanza della materia prima…l’esistenza dell’atto in nuce, che in tale ipotesi è negata. Con la conseguenza che anche l’eventuale costituzione in giudizio del destinatario dell’atto non varrebbe a sanarne il vizio.
Il Collegio ammette (e non concede) che anche vertendo in tema di nullità, la costituzione del notificato – diversamente dal processo civile – produrrebbe effetto ex nunc, restando quindi salve le decadenze già maturate, ivi compresa la scadenza del termine di impugnazione, che renderebbe irricevibile il ricorso per tardività qualora la costituzione del notificato avvenisse in data posteriore alla stessa.
Ma tale sentenza alimenta il disvalore dell’incertezza del diritto, considerando che il Collegio contraddice se stesso utilizzando le identiche disposizioni di legge in una specie di ossimoro ermeneutico, ora esaltando la portata dell’art. 1 della Legge n. 53/94 il quale, nel testo modificato dopo l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo (dunque applicando il criterio cronologico per giustificarne la sopravvenuta vigenza rispetto alle disposizioni del CPA difformi) consente in via generale le notificazioni a mezzo PEC “in materia civile, amministrativa e stragiudiziale”, ora negandone l’applicazione al processo amministrativo in virtù di una autoreferenziale specificità, che nel diritto processuale ha meno ragione di esistere, visti i sempre maggiori punti di contatto tra i due riti.
Anche la necessità, invocata dal Collegio, di specifiche disposizioni tecniche ancora da approvare per il processo amministrativo appare debole come elezione unica ed esclusiva della sedes materiae, e trascura di considerare che la notificazione a mezzo posta elettronica certificata è già compiutamente disciplinata e pacificamente ammissibile, inserendosi in quella inarrestabile tendenza evolutiva dei canali di comunicazione.

Leggi: Consiglio di Stato, sez. III – sentenza 20 gennaio 2016 n. 189


Equitalia: la nuova cartella di pagamento

EquitaliaUna riprogettazione globale stilata dalla necessità di garantire “una migliore fruibilità del contenuto informativo allo scopo di assicurare maggiore chiarezza e trasparenza al contribuente”. Queste le motivazioni che si leggono nel provvedimento n. 27036/2016 con il quale l’Agenzia delle entrate ha approvato il nuovo modello delle cartelle di pagamento con i relativi fogli avvertenza (leggi a fondo pagina).
La riprogettazione, resasi obbligatoria anche a seguito della riforma del contenzioso tributario, renderà più chiare le indicazioni sulle cartelle notificate ai cittadini sia relativamente agli importi che alle modalità di assolvimento del debito.
Ad essere oggetto di intervento di razionalizzazione, infatti, oltre alla sezione “Dove e come pagare”, comprensiva di tutte le modalità di pagamento prima illustrate in due sezioni distinte, è anche la terminologia attinente alle somme spettanti ad Equitalia, con la sostituzione degli “oneri di riscossione” alla precedente parola “compensi”, nonché la sezione relativa al reclamo-mediazione.
In particolare, “per effetto della riformulazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 che disciplina l’istituto del reclamo-mediazione, è stata ridenominata la sezione ‘Presentazione del reclamo-mediazione e del ricorso’ in ‘Presentazione del ricorso’ ed è stato eliminato ogni riferimento alla pregressa disciplina che imponeva al contribuente di presentare, in via preliminare, un’istanza di reclamo-mediazione”.
In base alla nuova previsione normativa, infatti, per le controversie di valore non superiore a 20.000,00 euro, la presentazione del ricorso giurisdizionale produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.
Ad essere adeguato è, altresì, il riferimento al limite di valore della controversia, ai fini della costituzione in giudizio senza l’assistenza di un avvocato, elevato dai precedenti € 2.582,28 a € 3.000,00.
L’adozione del modello è obbligatoria per tutte le cartelle notificate ai contribuenti da parte di Equitalia, che proprio in questi giorni ha ufficializzato la modifica della propria struttura, attraverso la fusione delle tre aziende del gruppo (Equitalia Nord, Centro e Sud) in un’unica società, a decorrere con decorrenza 1 gennaio 2016.

Agenzia delle Entrate 27036-2016 Approvazione del nuovo modello di cartella di pagamento

Cartella esattoriale 2016


Notifica postale

In relazione alla notificazione effettuata mediante l’utilizzo di una raccomandata A.R. ordinaria c’è una interessante sentenza della Corte di Cassazione che prende in esame proprio il problema della determinazione del momento in cui la notificazione si intende perfezionata per il destinatario. La Sentenza di Cassazione n. 2047/2016 prende in considerazione la notificazione postale di atti tributari effettuata direttamente dall’ufficio che adotta l’atto a mezzo di raccomandata A.R. ordinaria e precisa che pur non potendosi applicare le norme della legge 890/1982, dovendo fare riferimento a quanto previsto nel regolamento postale di cui al D.M. 01.10.2008, che dispone in merito all’attività di consegna delle raccomandate ordinarie ma nulla dice in merito all’attività di notificazione, si debba procedere, in assenza di specifiche norme emanate dal legislatore, ad una interpretazione che consenta di contemperare gli interessi del notificante con quelli del notificato. Così la sentenza richiamata pur avendo escluso che si applichino in via diretta le norme della legge 890/1982 ritiene che tali disposizioni vadano applicate in via analogica, cioè che si debba comunque fare riferimento ai principi in essa contenuti. La conclusione è quindi che nel caso in cui la raccomandata A.R. sia stata restituita perché il destinatario non ne ha curato il ritiro, si debba comunque fare riferimento ai 10 giorni dal rilascio dell’avviso di giacenza di cui all’art. 25 del citato DM. Se la preoccupazione è quella di disporre dell’avviso di giacenza lasciato dal postino la prova dell’avviso in questione è riportata sulla raccomandata A.R., ritornata dopo la giacenza. Sulla busta è infatti annotata dal postino la data di rilascio dell’avviso contrassegnata dalla dicitura “avvisato il” e dalla data e siglata dal portalettere. Se la dicitura manca si può richiedere all’ufficio postale che tale indicazione sia riportata sulla busta. Per quanto sia comprensibile che la mancanza di specifiche norme per la notificazione postale effettuata mediante una raccomandata A.R. ordinaria, abbia determinato il ricorso al Messo Comunale nei casi di compiuta giacenza, in assenza di norme apposite e di un orientamento giurisprudenziale specifico, la sentenza 2047/2016 risolve finalmente il problema in modo condivisibile.


INFORTUNIO IN ITINERE: sempre tutelato l’uso della bici

Sempre indennizzato chi si fa male mentre va al lavoro in bicicletta (anche elettrica): per le due ruote arriva l’infortunio in itinere indennizzato dall’Inail.
Anche chi va al lavoro in bicicletta ha diritto ad essere indennizzato dall’Inail se si fa male durante il percorso. La novità è prevista dalla legge n. 221 del 28.12.2015 (art. 5 commi IV e V), che ha introdotto un vero e proprio pacchetto di misure destinate a promuovere ad ampio raggio la green economy.
Tra queste, oltre al bonus destinato ai comuni con più di 100 mila abitanti, per incentivare l’uso della due ruote quale mezzo di trasporto (con progetti di bike-pooling e bike-sharing, la realizzazione di percorsi protetti per gli spostamenti casa, scuola, lavoro, programmi di educazione e sicurezza stradale, ecc.), c’è anche il diritto a vedersi indennizzato qualsiasi incidente occorso mentre ci si reca al lavoro in bicicletta (anche elettrica).
Attraverso le modifiche apportate al T.U. in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (dpr 1124/1965), viene stabilito che l’uso della bicicletta deve – “per i positivi riflessi ambientali – intendersi sempre necessitato”.
Ciò significa che qualsiasi sinistro occorra al lavoratore a seguito dell’utilizzo della bici, nel percorso casa-lavoro (e viceversa), sarà configurabile come “infortunio in itinere” e dunque sempre indennizzabile dall’Inail.
Restano fuori dalla copertura assicurativa, naturalmente, le interruzioni e le deviazioni del tutto indipendenti dal lavoro, salvo che non siano dovute a cause di forza maggiore, esigenze essenziali e improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.

LEGGE 28 dicembre 2015, n. 221 (1).
Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali.
(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 gennaio 2016, n. 13.

Art. 5. Disposizioni per incentivare la mobilità sostenibile
1. Nell’ambito dei progetti finanziati ai sensi dell’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, la quota di risorse di competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare è destinata prioritariamente, nel limite di 35 milioni di euro, al programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro, di cui al comma 2 del presente articolo, per il finanziamento di progetti, predisposti da uno o più enti locali e riferiti a un ambito territoriale con popolazione superiore a 100.000 abitanti, diretti a incentivare iniziative di mobilità sostenibile, incluse iniziative di piedibus, di car-pooling, di car-sharing, di bike-pooling e di bike-sharing, la realizzazione di percorsi protetti per gli spostamenti, anche collettivi e guidati, tra casa e scuola, a piedi o in bicicletta, di laboratori e uscite didattiche con mezzi sostenibili, di programmi di educazione e sicurezza stradale, di riduzione del traffico, dell’inquinamento e della sosta degli autoveicoli in prossimità degli istituti scolastici o delle sedi di lavoro, anche al fine di contrastare problemi derivanti dalla vita sedentaria. Tali programmi possono comprendere la cessione a titolo gratuito di «buoni mobilità» ai lavoratori che usano mezzi di trasporto sostenibili. Nel sito web del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare è predisposta una sezione denominata «Mobilità sostenibile», nella quale sono inseriti e tracciati i finanziamenti erogati per il programma di mobilità sostenibile, ai fini della trasparenza e della maggiore fruibilità dei progetti.
2. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito, per i profili di competenza, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono definiti il programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro nonché le modalità e i criteri per la presentazione dei progetti di cui al comma 1 mediante procedure di evidenza pubblica. Entro sessanta giorni dalla presentazione dei progetti, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito, per i profili di competenza, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione delle risorse e all’individuazione degli enti beneficiari. Gli schemi dei decreti di cui al primo e al secondo periodo, da predisporre sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere, ai fini dell’acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia. I pareri di cui al presente comma sono espressi entro trenta giorni dall’assegnazione, decorsi i quali i decreti sono comunque adottati.
3. Al fine di incentivare la mobilità sostenibile tra i centri abitati dislocati lungo l’asse ferroviario Bologna-Verona, promuovere i trasferimenti casa-lavoro nonché favorire il ciclo-turismo verso le città d’arte della Pianura padana attraverso il completamento del corridoio europeo EUROVELO 7, è assegnato alla regione Emilia-Romagna, promotrice a tal fine di un apposito accordo di programma con gli enti interessati, un contributo pari a euro 5 milioni per l’anno 2016 per il recupero e la riqualificazione ad uso ciclo-pedonale del vecchio tracciato ferroviario dismesso, la cui area di sedime è già nella disponibilità dei suddetti enti. All’onere derivante dal presente comma si provvede, quanto a 4 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, e, quanto ad 1 milione di euro, mediante corrispondente riduzione delle risorse dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 29, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, iscritte nel capitolo 3070 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.
4. All’articolo 2, terzo comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, dopo il terzo periodo è inserito il seguente: «L’uso del velocipede, come definito ai sensi dell’articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato».
5. All’articolo 210, quinto comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, dopo il terzo periodo è inserito il seguente: «L’uso del velocipede, come definito ai sensi dell’articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato».
6. Al fine di assicurare l’abbattimento dei livelli di inquinamento atmosferico ed acustico, la riduzione dei consumi energetici, l’aumento dei livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale, la riduzione al minimo dell’uso individuale dell’automobile privata e il contenimento del traffico, nel rispetto della normativa vigente e fatte salve l’autonomia didattica e la libertà di scelta dei docenti, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca adotta, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentiti per i profili di competenza i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, specifiche linee guida per favorire l’istituzione in tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, nell’ambito della loro autonomia amministrativa ed organizzativa, della figura del mobility manager scolastico, scelto su base volontaria e senza riduzione del carico didattico, in coerenza con il piano dell’offerta formativa, con l’ordinamento scolastico e tenuto conto dell’organizzazione didattica esistente. Il mobility manager scolastico ha il compito di organizzare e coordinare gli spostamenti casa-scuola-casa del personale scolastico e degli alunni; mantenere i collegamenti con le strutture comunali e le aziende di trasporto; coordinarsi con gli altri istituti scolastici presenti nel medesimo comune; verificare soluzioni, con il supporto delle aziende che gestiscono i servizi di trasporto locale, su gomma e su ferro, per il miglioramento dei servizi e l’integrazione degli stessi; garantire l’intermodalità e l’interscambio; favorire l’utilizzo della bicicletta e di servizi di noleggio di veicoli elettrici o a basso impatto ambientale; segnalare all’ufficio scolastico regionale eventuali problemi legati al trasporto dei disabili. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


ACCESSO “ESPLORATIVO” : la trasparenza non può complicare il compito della PA

E’ necessario coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento della PA, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività.

Il Consiglio di Stato ha ribadito che se non può in linea di principio pretendersi che – in sede di accesso agli atti – vengano indicati dall’interessato specifici dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso, deve in ogni caso rilevarsi come la PA sia tenuta a produrre documenti individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto, e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi.

Ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento della PA, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività.

Richieste generiche, infatti, sottoporrebbero l’ente a ricerche incompatibili sia con la funzionalità, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa.

In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v’è dubbio che con l’esercizio del diritto di accesso non si possa costringere l’ente ad attività di ricerca ed elaborazione dati. L’istanza, quindi, non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati.

Tar Lombardia, Milano, IV, 23 gennaio 2020, n. 154

“la domanda di accesso di cui alla legge 241/1990 ed al codice dei contratti pubblici non si configura come una sorta di azione popolare, finalizzata ad un controllo generalizzato nei confronti dell’amministrazione, ma presuppone la titolarità in capo al richiedente di una situazione soggettiva differenziata, tale da giustificare l’ostensione dei documenti amministrativi richiesti (cfr. l’art. 22 comma 1 lettera “b” della legge 241/1990).
Dal canto suo l’art. 53 del codice dei contratti, costituente una normativa speciale rispetto a quella della legge 241/1990, al comma sesto prevede un diritto di accesso ai fini della difesa in giudizio solo a favore del «concorrente».
Nel caso di specie la società, nella propria domanda di accesso evidenzia, in maniera peraltro generica, di volere acquisire piena conoscenza degli atti del procedimento e dello stato della procedura negoziata e ciò (così testualmente) «in ragione della precedente esclusione…dalla antecedente procedura aperta volta alla realizzazione delle medesime opere» (cfr. ancora il doc. 2 della ricorrente).
In altri termini, pare che l’esistenza di un precedente provvedimento di esclusione mai contestato sia posto a fondamento di un’istanza di accesso ad una nuova procedura di gara – seppure avente analogo oggetto – alla quale l’esponente non è stata invitata e che non ha in ogni modo neppure contestato, quanto meno sotto il profilo del mancato invito, davanti alla competente sede giurisdizionale.
Preme poi evidenziare che la domanda di accesso di cui è causa ha per oggetto, per esplicita ammissione della stessa richiedente, un «coacervo di documenti», riguardanti spesso soggetti terzi (si pensi alle offerte economiche e tecniche), senza alcuna differenziazione fra i medesimi (si veda l’elenco dal n. 1 al n. 14 del doc. 2 della ricorrente), finendo così per realizzare una sorta di accesso “esplorativo”, senza alcuna chiara indicazione dello specifico e concreto interesse giuridico che dovrebbe sorreggere l’istanza di ostensione, vista anche la mole e l’eterogeneità dei documenti richiesti (cfr. sul punto Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1732/2019, di conferma della sentenza di questa Sezione n. 1381/2018).
Il Collegio rileva altresì che non vi è alcun contenzioso pendente fra l’attuale esponente e l’amministrazione con riguardo alle due procedure di gara di cui sopra e che lo stesso Consiglio di Stato, con recente sentenza della Sezione V n. 64/2020, ha statuito che: «contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza appellata, la mera intenzione di verificare e sondare l’eventuale opportunità di proporre ricorso giurisdizionale (anche da parte di chi vi abbia, come l’impresa seconda graduata, concreto ed obiettivo interesse) non legittima un accesso meramente esplorativo a informazioni riservate, perché difetta la dimostrazione della specifica e concreta indispensabilità a fini di giustizia».
Si aggiunga, da ultimo e per doverosa completezza, che l’istanza di accesso di cui è causa è stata presentata ai sensi della legge n. 241/1990 e che pertanto la stessa deve essere valutata esclusivamente ai sensi di tale normativa, non potendo quindi trovare in alcun modo applicazione nella presente controversia la diversa modalità di accesso di cui al D.Lgs. 33/2013 (c.d. accesso civico), non essendo consentita la conversione della domanda di accesso in corso di giudizio (cfr. TAR Toscana, sez. II, n. 1748/2019)”.

Consiglio di Stato, sez. IV sentenza 12.1.2016 n. 68

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3495 del 2015, proposto da:

Paolo Di Sante, rappresentato e difeso dall’avv.to Adalberto Palestini, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, Piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti -Svca (Struttura di Vigilanza Sulle Concessioni Autostradali), rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Strada dei Parchi Spa, rappresentata e difesa dall’avv.to Marco Segatori, con domicilio eletto presso Marco Segatori in Roma, viale Parioli N.74;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III n. 00973/2015, resa tra le parti, concernente diniego accesso agli atti sulle violazioni del piano operazioni invernali.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti -Svca (Struttura di Vigilanza Sulle Concessioni Autostradali) e della Strada dei Parchi Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Antonio Bianchi e udito per le parti l’avvocato Cristiano Castrogiovanni, su delega dell’avvocato Marco Segatori;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Signor Paolo Di Sante instaurava dinnanzi al Giudice di Pace di Montorio al Vomaro (poi Giudice di Pace di Teramo) un giudizio nei confronti della Strada dei Parchi S.p.a., al fine di vedersi risarcire i danni subiti nell’evento nevoso del febbraio 2012, avendo detta società, nella sua tesi, omesso di approntare le misure idonee alla messa in sicurezza della strada.

Nel corso del giudizio l’ANAS, con nota CDG–0078.55 – P del 5 giugno 2012, chiedeva alla Strada dei Parchi quale sua concessionaria, di fornire i chiarimenti del caso.

La società formulava di conseguenza le proprie deduzioni.

Con istanza del 2.10.2014, il Di Sante richiedeva quindi alla Struttura di Vigilanza sulle Concessioni Autostradali (SVCA) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di poter prendere visione ed estrarre copia di tutta la documentazione inerente l’attività istruttoria formalizzata con la nota ANAS anzidetta.

L’istanza veniva però rigettata, sul presupposto che la stessa fosse preordinata ad un controllo generalizzato dell’operato dell’Amministrazione ed avendo la controinteressata (ossia la Strada dei Parchi S.p.a , concessionaria della strada cui l’attività istruttoria era riferita) espresso il proprio diniego all’accesso non sussistendo, ad avviso di quest’ultima, alcun interesse giuridicamente tutelato in testa al richiedente.

Il Di Sante impugnava quindi detto diniego dinnanzi al Tar Lazio, deducendo nella sostanza che i documenti richiesti sarebbero stati utili ai fini defensionali nella causa instaurata dinnanzi al Giudice di Pace.

Si costituiva in giudizio la società controinteressata, eccependo l’inammissibilità dell’istanza d’accesso per difetto dei requisiti di legge e chiedendo quindi il rigetto del ricorso.

Con la sentenza 21 gennaio 2015 n. 973 il Tar Lazio respingeva il ricorso, rilevando la genericità dell’istanza ed assumendo altresì che la stessa, di natura esplorativa, fosse preordinata ad un inammissibile controllo generalizzato dell’attività dell’Amministrazione.

Secondo il primo giudice, poi, i documenti oggetto dell’istanza di accesso, siccome atti interni all’esercizio dell’attività ispettiva svolta dalla struttura ministeriale di vigilanza sulle concessioni autostradali, non avrebbero potuto essere divulgati in assenza di specifica motivazione, non evincibile dal contenuto dell’istanza medesima.

Avverso detta pronuncia il Di Sante ha quindi interposto l’odierno appello, chiedendone l’integrale riforma.

Si è costituita in giudizio la società controinteressata, chiedendo la reiezione del gravame siccome infondato.

Alla camera di consiglio del 14 luglio 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. Con il primo mezzo di censura l’appellante deduce l’erroneità della gravata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto generica l’istanza di accesso per cui è causa.

Al riguardo, infatti, assume che non poteva essere posto a suo carico l’onere di specificare gli estremi di protocollo e la data degli atti di cui aveva richiesto l’ostensione e che dall’istanza sarebbero stati comunque ricavabili elementi idonei a individuare i documenti di interesse.

  1. Il motivo, così come proposto, non può trovare accoglimento.
  2. Ed invero, se non può in linea di principio pretendersi che l’istante in sede di accesso agli atti indichi specifici dati (quali il numero di protocollo e la data di formazione di un atto) non in suo possesso, deve in ogni caso rilevarsi come l’Amministrazione, in detta sede, sia tenuta a produrre documenti individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto, e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi.

Ciò al fine di coniugare il diritto alla trasparenza con l’esigenza di non pregiudicare, attraverso un improprio esercizio del diritto di accesso, il buon andamento dell’Amministrazione, riversando sulla stessa l’onere di reperire documentazione inerente un determinato segmento di attività.

Richieste generiche, infatti, sottoporrebbero l’Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa.

In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v’è dubbio come l’accesso non possa costringere l’Amministrazione ad attività di ricerca ed elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati.

  1. Tanto premesso, nel caso di specie la richiesta del Signor Di Sante è testualmente volta ad ottenere “tutta la documentazione nessuna esclusa inerente l’attività svolta nel procedimento di verifica … “, senza ulteriori precisazioni o specificazioni.

L’oggetto dell’accesso, quindi, è costituito da un numero indeterminato di documenti, in alcun modo individuati e per di più formati in un arco temporale non meglio specificato.

Pertanto, del tutto correttamente il primo giudice ha ritenuto una istanza siffatta del tutto “generica” e, conseguentemente, legittimo il diniego espresso al riguardo dall’Amministrazione.

Come già precisato, infatti, l’istanza di accesso deve avere ad oggetto una specifica documentazione in possesso dell’Amministrazione indicata in modo sufficientemente preciso e circoscritto e non può riguardare, come nella fattispecie, dati ed informazioni generiche riguardanti un complesso non individuato di atti di cui non si conosce neppure con certezza la consistenza, il contenuto e finanche la effettiva sussistenza, assumendo un sostanziale carattere di natura meramente esplorativa .

  1. Con i restanti mezzi di censura – che possono essere trattati congiuntamente attesa la sostanziale unicità della ragione addotta a loro sostegno – l’appellante deduce l’erroneità della sentenza:

(i) nella parte in cui ha ritenuto la natura esplorativa dell’istanza;

(ii) nella parte in cui ha ritenuto corretto sottrarre all’accesso i documenti richiesti, costituendo gli stessi “atti interni all’esercizio della attività ispettiva svolta dalla Struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali”;

iii) nella parte in cui ha ritenuto che l’istante non abbia chiarito le ragioni per la quali l’accesso alla documentazione sarebbe stato utile.

Assume, infatti, il Sig Di Sante che l’interesse sotteso alla presentazione dell’istanza non è quello di effettuare un’indagine esplorativa, bensì quello di acquisire documentazione utile nell’ambito del giudizio pendente dinnanzi al Giudice di Pace, ciò che lo legittimerebbe di per sé ad acquisire la documentazione richiesta, ancorché interna all’esercizio della attività ispettiva svolta dalla Struttura di vigilanza.

  1. La doglianza non può essere condivisa.
  2. Invero, il fatto che si tratti nella prospettazione del ricorrente di un accesso c.d. defensionale, è circostanza recessiva rispetto all’accertata genericità dell’istanza dallo stesso presentata la quale, come sopra precisato, non poteva comunque come tale essere positivamente evasa.

E ciò a maggior ragione, ove si consideri come nella specie l’Amministrazione destinataria della richiesta di accesso non sia neppure parte del giudizio instaurato dinnanzi al Giudice di Pace – solo genericamente citato nella richiesta medesima – e come, pertanto, la stessa non sia stata posta nella condizione di apprezzare in modo oggettivo e compiuto il concreto interesse del richiedente.

In tale contesto, pertanto, la decisione assunta dal Tar di ritenere di natura sostanzialmente “esplorativa” la richiesta d’accesso per cui è causa, deve andare esente da mende.

  1. Conclusivamente l’appello si appalesa privo di fondamento e, come tale, da respingere .
  2. Sussistono comunque giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,lo respinge .

Spese compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/01/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


Garante Privacy: pareri favorevoli ai fini dell’implementazione dello Spid

Il Garante della Privacy ha fornito all’Agid (Agenzia per l’Italia digitale) due pareri favorevoli per il completamento del lavoro di implementazione dello Spid, il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese, il primo relativo ad una versione aggiornata di uno schema di regolamento che disciplina le modalità attuative per la realizzazione del sistema; il secondo riguardante lo schema tipo di convenzione che regola i rapporti fra l’Agid e i gestori dell’identità digitale.

Per quanto riguarda il regolamento che disciplina le modalità attuative dello Spid, sono stati apportati alcuni perfezionamenti che riguardano, in particolare:

  • il rafforzamento dei controlli dell’Agid in tema di sicurezza informatica e protezione dei dati;
  • una più puntuale definizione delle modalità di conservazione della documentazione inerente la creazione e il rilascio dell’identità digitale;
  • la specificazione delle caratteristiche del servizio all’utente dell’avvenuto utilizzo delle sue credenziali;
  • una migliore esplicitazione delle procedure di sospensione e revoca dei gestori.

Il Garante, attribuendo particolare importanza alla materia in esame, ha ritenuto necessario innalzare ulteriormente i livelli di garanzia. Infatti, l’Autorità ha chiesto, in particolare, di perfezionare la descrizione dei differenti livelli di sicurezza delle identità digitali Spid, per rendere più coerente il regolamento con quanto previsto dalla normativa europea in materia.

Inoltre, afferma il Garante, è necessario specificare che, se il gestore dell’identità digitale fornisce solo l’identificazione da remoto come modalità per la verifica dell’identità del richiedente, ciò deve essere messo in evidenza, oltre che nelle condizioni e termini del contratto, anche nell’informativa da rendere all’utente.

Quanto alla convenzione relativa ai gestori dell’identità digitale, essa appare sostanzialmente conforme alle indicazioni rese dall’Ufficio del Garante durante il tavolo tecnico.

In particolare è stato migliorato il contenuto della convenzione relativamente alle garanzie previste dalla normativa sulla protezione dei dati personali nel caso in cui il gestore si avvalga di soggetti esterni per la fornitura del servizio d’identità digitale oltre alle modalità di comunicazione da parte del gestore di eventuali violazioni o intrusioni nei dati personali.

(Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento 17 dicembre 2015, n. 660)

doc. web n. 4538528

Parere all’Agid su uno schema di regolamento in tema di modalità attuative per la realizzazione dello SPID e uno schema di convenzione relativa ai gestori – 17 dicembre 2015

Registro dei provvedimenti n. 660 del 17 dicembre 2015

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

Nella riunione odierna, in presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vice presidente, della prof.ssa Licia Califano e della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

Vista la richiesta di parere dell’Agenzia per l’Italia digitale;

Visto l’articolo 154, comma 4, del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, di seguito Codice);

Vista la documentazione in atti;

Viste le osservazioni dell’Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

Relatore la dott.ssa Augusta Iannini;

PREMESSO

  1. L’Agenzia per l’Italia digitale (di seguito anche AGID) ha richiesto il parere del Garante su due schemi-tipo di convenzione fra l’AGID medesima, da un lato, e, rispettivamente, i gestori di identità digitale e le pubbliche amministrazioni in qualità di fornitori di servizi, dall’altro, da adottare ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2014 (di seguito dPCM) recante la definizione delle caratteristiche del sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (SPID), sul cui schema il Garante ha reso parere in data 19 giugno 2014.

Inoltre, l’AGID ha nuovamente sottoposto a parere del Garante, in una versione aggiornata, lo schema di regolamento recante le modalità attuative per la realizzazione dello SPID, sul quale l’Autorità ha espresso un primo parere in data 4 giugno 2015 che riguardava, oltre allo schema di regolamento sulle modalità attuative, anche lo schema di regolamento dell’Agenzia relativo alle regole tecniche (parere n. 332 del 4 giugno 2015, doc. web n. 4257475).

L’articolo 4 del dPCM, infatti, ai commi 2, 3 e 4, prevede che l’Agenzia adotti regolamenti per  definire, appunto, le regole tecniche e le modalità attuative per la realizzazione dello SPID, le modalità di accreditamento dei soggetti SPID, nonché le procedure necessarie a consentire ai gestori dell’identità digitale, tramite l’utilizzo di altri sistemi di identificazione informatica conformi ai requisiti dello SPID, il rilascio dell’identità digitale.

Riguardo agli schemi degli altri regolamenti dell’Agenzia previsti dal citato articolo 4 (concernenti, in particolare, l’accreditamento dei gestori di identità digitale e le procedure necessarie a consentire ai predetti gestori, tramite l’utilizzo di altri sistemi di identificazione informatica conformi ai requisiti dello SPID, il rilascio dell’identità digitale), l’Autorità ha reso il proprio parere, in data 23 aprile scorso (pareri n. 237 e n. 238 del 23 aprile 2015, doc. web n. 3953079 e n. 3953181).

Infine, l’articolo 10, comma 2, del predetto dPCM prevede che l’AGID stipuli apposita convenzione con i gestori dell’identità digitale e disponga l’iscrizione degli stessi nel registro SPID.

Il presente parere –per evidenti ragioni di affinità di materia- si riferisce sia al nuovo schema di regolamento, sia allo schema di convenzione-tipo concernente, appunto, i gestori dell’identità digitale. Il Garante si esprimerà in prosieguo sull’altro schema di convenzione, relativo all’adesione a SPID da parte delle pubbliche amministrazioni, in qualità di fornitori di servizi.

RILEVATO

  1. Il Garante riconnette particolare importanza alla materia in esame per le implicazioni che ne possono derivare sotto il profilo della tutela della riservatezza e della protezione dei dati personali; in ragione di ciò, il nuovo schema di regolamento e lo schema di convenzione sono stati elaborati dall’AGID all’esito di riunioni e interlocuzioni avute con l’Ufficio del Garante, modificando e integrando l’originaria formulazione di alcuni articoli in coerenza con i rilievi e le osservazioni formulati durante il tavolo tecnico.

2.1. Il regolamento sulle modalità attuative di SPID.

Per quanto riguarda lo schema di regolamento, l’Autorità prende innanzitutto atto che nel testo è stato inserito l’articolo 32-bis, riguardante la collaborazione fra l’AGID e il Garante, già oggetto di una specifica condizione nel precedente parere (cfr. punto 5.21. del parere cit. del 4 giugno 2015).

Lo schema presenta inoltre alcuni mirati perfezionamenti, volti a rendere il regolamento pienamente conforme ai principi e alle garanzie in materia di protezione dei dati personali, che l’Autorità aveva già evidenziato nel precedente parere. Tali perfezionamenti sono il frutto di ulteriori approfondimenti svolti in collaborazione fra l’Ufficio del Garante e i rappresentanti dell’Agenzia.

Le integrazioni riguardano in particolare

  • una maggiore coerenza fra il testo del regolamento e il d.P.C.M.;
  • il rafforzamento dei controlli posti in essere dall’AGID in tema di sicurezza informatica e protezione dei dati personali;
  • il rafforzamento della sicurezza delle procedure di identificazione in remoto;
  • una più puntuale definizione di adeguate modalità di conservazione della documentazione  inerente alla creazione e al rilascio dell’identità digitale (ivi comprese le registrazioni audio/video acquisite nel caso d’identificazione in remoto);
  • la specificazione delle caratteristiche del servizio di segnalazione all’utente dell’avvenuto utilizzo delle sue credenziali;
  • una migliore esplicitazione in merito alle procedure di sospensione e revoca dei gestori.

Nondimeno si rileva che, in ragione della complessità e dell’importanza della materia, resta l’esigenza di apportare allo schema di regolamento alcuni ulteriori perfezionamenti, nei termini di seguito descritti:

a) all’articolo 2, deve essere perfezionata la descrizione dei livelli di sicurezza delle identità digitali SPID al fine di garantire una maggiore coerenza della disposizione con quanto previsto all’art. 8 del Regolamento (UE) n. 910/2014 del 23 luglio 2014, in materia di livelli di garanzia dei mezzi di identificazione elettronica. In particolare, al fine di eliminare ogni ambiguità del testo, occorre specificare che il rischio menzionato nel medesimo articolo per descrivere i differenti livelli di sicurezza delle identità digitali riguarda l’uso abusivo o l’alterazione dell’identità. Al riguardo, va precisato che il livello 1 è caratterizzato da un’affidabilità e una qualità delle specifiche tecniche, norme e procedure dello strumento di identificazione elettronica tali da ridurre il rischio di uso abusivo o di alterazione dell’identità; al livello 2 l’affidabilità e la qualità delle predette specifiche tecniche, norme e procedure è tale da ridurre significativamente il predetto  rischio, mentre al livello 3 l’affidabilità e la qualità delle stesse specifiche, norme e procedure è tale da impedire l’uso abusivo o l’alterazione dell’identità. Ciò, al fine di mantenere un’opportuna distinzione tra la valutazione, in capo ai gestori dell’identità digitale, del livello di affidabilità e sicurezza dei sistemi di identificazione elettronica predisposti, e, quella, in capo ai fornitori di servizi, dell’impatto per gli utenti interessati di un utilizzo improprio delle loro identità SPID in relazione all’accesso a differenti tipologie di servizi elettronici offerti;

b) l’articolo 8 va ulteriormente perfezionato specificando che se il gestore dell’identità digitale fornisce solo l’identificazione da remoto, come modalità per la verifica dell’identità del richiedente, ciò deve essere messo in specifica evidenza, oltre che nelle condizioni e termini del contratto, anche nell’informativa da rendere all’interessato ai sensi dell’articolo 13 del Codice;

c) all’articolo 28 è necessario espungere il termine “di trasmissione” che sembra il frutto di un refuso.

2.2.. La convenzione-tipo relativa ai gestori dell’identità digitale.

Quanto alla convenzione relativa ai gestori dell’identità digitale, essa appare sostanzialmente conforme alle indicazioni rese dall’Ufficio del Garante nel quadro delle predette interlocuzioni.

In particolare è stato migliorato il contenuto della convenzione relativamente a:

  • la coerenza fra il testo della convenzione e il Regolamento (UE) n. 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno (eIDASS), il dPCM e i regolamenti attuativi adottati dall’AGID;
  • le garanzie previste dalla normativa sulla protezione dei dati personali nel caso in cui il gestore si avvalga di soggetti esterni per la fornitura del servizio d’identità digitale;
  • la specificazione degli obblighi del gestore riguardo al trattamento dei dati personali;
  • gli obblighi in capo ai gestori relativi alle misure di sicurezza e agli strumenti crittografici adottati, con particolare riguardo alla loro adeguatezza rispetto agli standard riconosciuti in ambito europeo e internazionale;
  • gli obblighi dei gestori nei confronti degli utenti, relativi in particolare all’accesso da parte di questi ultimi alle informazioni relative ai servizi da essi erogati e alla disponibilità di indicazioni semplici e chiare circa le caratteristiche e il funzionamento del sistema SPID;
  • le modalità di comunicazione da parte del gestore di eventuali violazioni o intrusioni nei dati personali;
  • le procedure che l’AGID è tenuta ad adottare in caso di inadempimenti del gestore.

Anche in questo caso, in ragione della complessità e dell’importanza della materia, si segnala l’esigenza di apportare al provvedimento alcune indicazioni, nei termini di seguito descritti:

  1. occorre inserire all’articolo 2, comma 1, lett. a) dello schema l’esplicito riferimento all’articolo 29 del Codice riguardo al caso in cui il gestore si avvalga di soggetti esterni per la fornitura del sevizio d’identità digitale;
  2. è necessario sostituire nell’articolo 2, comma 2, lett. g) la formula “una periodicità inferiore ai due giorni lavorativi previsti” con la seguente: “una periodicità inferiore ai tre giorni lavorativi previsti”.

IL GARANTE

  1. esprime parere favorevole sullo schema di regolamento dell’Agenzia per l’Italia digitale recante le modalità attuative per la realizzazione dello SPID, evidenziando la necessità di apportare allo schema i perfezionamenti indicati al punto 2.1.;
  2. esprime parere favorevole sullo schema di convenzione relativa ai gestori dell’identità digitale, evidenziando la necessità di apportare allo schema-tipo i perfezionamenti indicati al punto 2.2..

Roma, 17 dicembre 2015

IL PRESIDENTE

Soro

IL RELATORE

Iannini

IL SEGRETARIO GENERALE

Busia


Le modifiche per le notifiche degli atti dell’Agenzia delle Entrate

logo_Agenzia_entrate___crop_rsz_200x200Rivoluzionata la disciplina dei termini per l’accertamento fiscale. Il ddl Stabilità 2016, interviene sugli articoli 43 del dpr 29 settembre 1973, n. 600, e 57 del dpr 26 ottobre 1972, n. 633 revisionando la vigente disciplina relativa ai termini per l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva.

Allungamento di uno ovvero di due anni del termine ordinario per la notifica degli avvisi – a seconda che il contribuente abbia o meno presentato la dichiarazione dei redditi ed eliminazione della previsione che riconosce all’Amministrazione termini doppi in ipotesi di reato fiscale. Queste le novità principali.

Attualmente, gli avvisi di accertamento in materia di Iva e imposte sui redditi devono essere notificati dall’Agenzia delle entrate entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, in caso di mancata presentazione della stessa, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.

In particolare, i commi 130 e 131, dell’art. 1, del ddl Stabilità 2016, intervenendo sugli articoli 57 del dpr 633 del 1972 (relativo ai termini per gli accertamenti Iva) e 43 del dpr n. 600 del 1973 (in materia di accertamento delle imposte sui redditi), hanno fissato al 31 dicembre «del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione» e al 31 dicembre «del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata», i termini per la notificazione dell’accertamento.

Novità anche per la disciplina degli accertamenti in caso di violazioni penali–tributarie.

In particolare, oggi si prevede che, in caso di violazione che comporti l’obbligo di denuncia per uno dei reati di cui al dlgs 10 marzo 2000, n. 74, i tradizionali termini di accertamento sono raddoppiati. In tale circostanza, dunque, l’Amministrazione può notificare gli atti impositivi entro l’ottavo o il decimo anno successivo a quello in cui, rispettivamente, la dichiarazione è stata presentata o avrebbe dovuto esser presentata. Sul tema era intervenuto recentemente anche il dlgs 5 agosto 2015, n. 128, il quale, dando attuazione alla delega di cui all’art. 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23, precisava che la denuncia per reati tributari deve essere presentata entro la scadenza dell’ordinario termine di accertamento.

Il ddl Stabilità 2016 sopprime del tutto tale disciplina. Di conseguenza, anche nell’ipotesi in cui si riscontrino violazioni penal-tributarie, si applicheranno gli ordinari termini di accertamento, come modificati dallo stesso ddl Stabilità. Niente più raddoppio, dunque.

Il nuovo calendario dal periodo di imposta 2016.

La disciplina dei termini per l’accertamento ridisegnata dal ddl Stabilità 2016, come espressamente precisato dal 132 dell’art. 1 del ddl, sarà applicabile a partire dal periodo d’imposta 2016 mentre in relazione ai periodi d’imposta precedenti risulteranno applicabili le disposizioni attualmente vigenti che prevedono la notifica degli avvisi, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto ovvero del quinto anno successivo a quello in cui è stata ovvero avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione.

In relazione ai periodi d’imposta precedenti al 2016, conseguentemente, risulteranno applicabili anche le disposizioni che riconoscono all’Amministrazione termini raddoppiati in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.


Documenti informatici: on line le linee guida per la conservazione

Conservazione documenti informaticiLe linee guida illustrano le procedure e gli strumenti per l’avvio delle attività di conservazione dei documenti informatici da parte delle P.A.

Sono state pubblicate dall’AgID le linee guida sulla conservazione che in 134 pagine hanno lo scopo di fornire alle amministrazioni pubbliche tutte le informazioni relative a requisiti, processi, attività e responsabilità in materia di conservazione dei documenti informatici, nel rispetto dei riferimenti normativi vigenti.  

Le linee guida – precisa l’AgId D – sono da intendersi come documento dinamico, attualmente in fase di sviluppo.

Leggi: La conservazione dei documenti informatici 2015