La notifica via PEC non è sempre valida

La CTP di Roma ribadisce l’invalidità della notifica delle cartelle di pagamento effettuata da un indirizzo p.e.c. delle Entrate inidoneo a legittimarla

Molti contribuenti laziali che hanno ricevuto una cartella di pagamento dall’Agenzia delle entrate potranno tirare un respiro di sollievo grazie a una conferma di recente arrivata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma con la sentenza n. 9274/2020.
Essa ha infatti ribadito che l’indirizzo p.e.c. “notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it” non è idoneo a essere utilizzato come mezzo per fare una notifica valida.
Tale indirizzo, del resto, non risulta dai registri ufficiali Reginde o Indice PA e non può essere riferito all’agente della riscossione neanche facendo ricorso al sito web dell’Agenzia delle entrate.
Come già specificato in più occasioni dalla giurisprudenza, invece, la notificazione via p.e.c., per essere valida, deve essere fatta esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che risulti da pubblici elenchi. In caso contrario, la cartella di pagamento deve considerarsi inesistente.


PERSEO – opzione passaggio da TFS a TFR

Si informano i Sigg. dipendenti in regime previdenziale di trattamento di fine servizio (TFS), assunti prima dell’1/1/2001, che il Fondo di previdenza complementare Perseo Sirio per i lavoratori della Pubblica Amministrazione ha reso nota la possibilità di iscriversi al Fondo entro il 31.12.2020 per non perdere alcune peculiarità descritte nella brochure informativa sotto riportata.

Se interessati, potete contattare direttamente il Fondo di Previdenza Complementare e visitarne il sito:
sito:              https://www.fondoperseosirio.it/ 
campagna TFR:        https://campagnatfr.fondoperseosirio.it/
numero telefono:         06 85304484
mail:               consulenza@perseosirio.it
orari:              Lun-Ven 9.30-13.00

Leggi: Comunicato PERSEO – opzione passaggio da TFS a TFR
Leggi: Brochure 2020


Multa annullata se notificata oltre 90 giorni dall’accertamento

Il Giudice di Pace di Ivrea annulla la sanzione: il verbale per violazione del C.d.S. è stato notificato oltre il termine di 90 giorni dall’accertamento in caso di mancata immediata contestazione
Va annullato il verbale per violazione del Codice della Strada notificato oltre il termine di 90 giorni dall’accertamento previsto dalla legge in caso di mancata immediata contestazione dell’infrazione. Lo ha deciso il Giudice di Pace di Ivrea in una sentenza depositata il 4 novembre 2020, accogliendo l’opposizione a sanzione amministrativa di una conducente, multata per violazione dell’articolo 146 del Codice della Strada, infrazione rilevata tramite strumentazione “Redvolution”.
Nel dettaglio, l’opponente ha chiesto l’annullamento del verbale eccependo, tra l’altro, l’avvenuta prescrizione del termine di notifica dello stesso. Doglianza che il magistrato onorario ritiene meritevole di accoglimento.
Come si legge nella sentenza, il verbale inerente la violazione di norme del Codice della Strada, qualora la contestazione non avvenga nell’immediatezza del fatto, dovrà essere notificato entro 90 giorni dalla data della sua commessa infrazione.
Si tratta di una regola imposta dall’art. 201 del Codice della Strada in quale prescrive, qualora la violazione non possa essere immediatamente contestata, che il verbale, con gli estremi precisi e dettagliati della violazione e con la indicazione dei motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata, debba, entro novanta giorni dall’accertamento, essere notificato all’effettivo trasgressore o ad altro soggetto (cfr. art. 196 C.d.S.) quando questi non sia stato identificato.
Una conclusione ribadita anche dalla Suprema Corte che, nella sentenza n. 7066/2018, ha ribadito che, “qualora sia impossibile procedere alla contestazione immediata, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro il termine fissato dall’art. 201 C.d.S. (novanta giorni, a seguito della modifica apportata con l’art. 36 della legge n. 120/2010), salvo che ricorra l’ipotesi prevista dall’ultima parte del citato art. 201, e cioè che non sia individuabile il luogo dove la notifica deve essere eseguita per mancanza dei relativi dati nel Pubblico registro automobilistico o nell’Archivio nazionale dei veicoli o negli atti dello stato civile”.
Nel caso in esame, la notifica, riferita a un verbale del 21 novembre 2019, è stata eseguita in data 27 febbraio 2020. È di tutta evidenza, secondo il giudice onorario, che la notifica del provvedimento è stata fatta oltre il termine di 90 giorni previsto dalla legge in caso di mancata immediata contestazione dell’infrazione.
Ancora, nella specie, la mancata tempestiva notifica del verbale non risulta imputabile all’amministrazione convenuta, avendo questa provveduto all’invio dello stesso al corretto indirizzo anagrafico della ricorrente, nei tempi previsti. Tuttavia, le Poste hanno restituito il plico al Comune che lo ha rinotificato, purtroppo oltre il termine di 90 giorni dall’infrazione.
Ciononostante, ha concluso il magistrato, la non tempestiva notifica dell’infrazione non può essere neppure imputabile alla ricorrente e dunque le relative conseguenze non potranno incidere negativamente sulla stessa. Da qui l’annullamento del provvedimento e la decisione di compensare le spese.


Se si rinuncia alla pausa pranzo i buoni pasto non sono dovuti

Per la Corte di Cassazione non ha diritto ai buoni pasto il/la dipendente che, rinunciando alla pausa pranzo, fa venir meno il presupposto necessario al loro riconoscimento.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22985/2020 ha chiarito un concetto semplice e logico: nel momento in cui il lavoratore rinuncia alla pausa pranzo, non può pretendere il controvalore dei buoni pasto. Gli stessi hanno natura assistenziale e non retributiva, per cui se il dipendente sceglie di non fruire della pausa, che costituisce il presupposto per la concessione dei buoni, non può poi pretendere dal datore il controvalore in denaro. 
Un’addetta alla cancelleria del ministero della Giustizia presta servizio dal 2001 al 2005 dalle ore 8.00 alle ore 15.12, per cinque giorni la settimana, rinunciando alla pausa pranzo, con il consenso della Amministrazione di appartenenza. In questo periodo la lavoratrice non ha percepito i buoni pasto, per cui agisce in giudizio per ottenerne il valore in denaro e il conseguente risarcimento del danno. Il Tribunale però rigetta la domanda e la Corte d’Appello conferma la decisione di primo grado in quanto l’art. 4 del CCNL prevede che per usufruire dei buoni pasto è necessario effettuare la pausa pranzo.
La Corte d’Appello giustifica la propria decisione, richiamando anche la circolare del Ministero della Giustizia del 10 febbraio 1998, che all’art. 3, comma 3 prevede che i buoni pasti spettino anche: “al dipendente che articola il proprio orario di lavoro su cinque giorni settimanali (secondo la disciplina prevista dall’art. 22, l. n. 724/1994, come modificata dall’art. 6, comma 5, d.l. n. 79/1997, convertito in l. n. 140/1997), per ogni giorno di prolungamento dell’orario ordinario oltre le sei ore con la pausa per il pranzo. Tale condizione è ovviamente correlata alle concrete modalità di distribuzione dell’orario di lavoro nell’arco di cinque giorni”.


Condannato l’ente che diffonde dati personali di un dipendente

La Corte di Cassazione ha ribadito che un ente pubblico deve pagare i danni morali per la diffusione delle note professionali negative di una dipendente
Una dipendente ha impugnato dinanzi al Tribunale il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali dell’ottobre 2012 con cui era stato respinto il reclamo da essa proposto per lamentare l’illecito trattamento di propri dati personali e sensibili commesso ai suoi danni dalla Dirigente della sede INPDAP, ora INPS, nel 2011.
Secondo la ricorrente, la predetta Dirigente aveva trattato dati personali riservati in modo illecito, disponendo che la comunicazione degli addebiti professionali mossi nei suoi confronti e contenuti in alcune note dirigenziali, preliminari alla revoca della sua posizione di “capo area pensioni”, avvenisse brevi manu e a vista, a mezzo di addetto alla segreteria non preposto al trattamento di dati personali, senza alcuna precauzione o cautela, come “l’inserimento in un plico o in una busta, in violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11 del punto 5.3. delle “Linee guida in materia di trattamento dei dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico” del 14/6/2007 e delle norme INPDAP, Protocollo relazioni sindacali, punto B.3″.
Inoltre, la ricorrente aveva lamentato il fatto che la Dirigente, in occasione di un incontro sindacale per la discussione della bozza di un ordine di servizio per la riorganizzazione della sede, aveva dichiarato a verbale che l’ordine di servizio era stato preparato consultando alcuni soggetti coinvolti nella stesura del provvedimento, che erano quindi venuti a conoscenza di suoi dati personali e sensibili e di pesanti addebiti relativi alla sua professionalità.
Tanto premesso, la ricorrente ha dedotto la nullità e l’ingiustizia del provvedimento del Garante, chiedendone l’annullamento, l’accertamento dell’illegittimità del trattamento dei propri dati personali e la condanna dell’INPS e dello stesso Garante per la protezione dei dati personali al risarcimento dei danni.
All’esito dell’istruttoria il Tribunale ha annullato il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali dell’ottobre 2012, ha accolto parzialmente la domanda risarcitoria, condannando l’INPS a pagare alla ricorrente la somma di euro 10.000,00 e ha respinto la domanda risarcitoria nei confronti del Garante; ha condannato l’INPS a rifondere le spese di lite alla ricorrente, compensando le spese fra di essa e il Garante.
Con riferimento in particolare alla parte del ricorso, l’INPS denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 e dell’art. 2050 c.c. nonché dei principi dell’art. 111 Cost., con riferimento in particolare al comma 7, in tema di controllo delle parti sulla corretta applicazione della legge.
L’INPS sostiene che per potersi apprezzare una lesione ingiustificabile in tema di dati personali, suscettibile di risarcimento del danno non patrimoniale di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, ex D.Lgs. n. 196 del 2003, non è sufficiente la mera violazione ma occorre una violazione sensibilmente offensiva, in difetto di dimostrazione di un pregiudizio significativo sofferto in conseguenza.
Nella fattispecie mancava in concreto la prova della gravità della lesione e della serietà del danno.
L’orientamento giurisprudenziale più recente, condiviso anche dal Tribunale e conforme agli indirizzi della Corte di Cassazione (n. 207 del 8 gennaio 2019), riconduce l’illecito trattamento di dati personali ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, anche alla luce dell’esplicito rinvio compiuto dalla legge (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 applicabile pro tempore) all’art. 2050 c.c..
Pertanto, il danneggiato che lamenti la lesione dell’interesse non patrimoniale può limitarsi a dimostrare l’esistenza del danno e del nesso di causalità rispetto al trattamento illecito, mentre spetta al danneggiante titolare del trattamento, eventualmente in solido col responsabile, dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee per evitare il danno. Questo schema è parzialmente confermato anche nel nuovo GDPR (articolo 82.3 GDPR) che, sulla base del principio di responsabilizzazione (accountability) addossa al titolare del trattamento dei dati – eventualmente in solido con il responsabile il rischio tipico di impresa (art. 2050 c.c.).
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di onere della prova, in caso di illecito trattamento dei dati personali, il pregiudizio non patrimoniale non è in re ipsa, ma deve essere allegato e provato da parte dell’attore, a pena di uno snaturamento delle funzioni della responsabilità aquiliana. La posizione attorea è tuttavia agevolata dal regime più favorevole dell’onere della prova, descritto all’art. 2050 c.c., rispetto alla regola generale del danno aquiliano [Detta anche aquiliana (dalla lex Aquilia del 287 a.C., che per prima disciplinò, nel diritto romano, la responsabilità ex delicto), è la responsabilità civile che sorge in conseguenza del compimento di un fatto illecito, doloso o colposo, che cagioni ad altri un ingiusto danno (art. 2043 del c.c.)]., nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità.
Per altro verso, il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 15, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del danno (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato) alla stregua dei parametri generali scolpiti dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite n. 2697226975 dell’11 novembre 2008; infatti anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex articolo 2 Cost., di cui la regola di tolleranza della lesione minima costituisce intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del Codice della privacy ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva.
Il relativo accertamento di fatto è tuttavia rimesso al giudice di merito e resta ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale.
Il titolare del trattamento, per non incorrere in responsabilità deve dimostrare che l’evento dannoso non gli è in alcun modo imputabile e non può limitarsi alla prova negativa di non aver violato le norme (e quindi di essersi conformato ai precetti), ma occorre la prova positiva di aver valutato autonomamente il rischio di impresa, purché tipico, cioè prevedibile, e attuato le misure organizzative e di sicurezza tali da eliminare o ridurre il rischio connesso alla sua attività. In ogni caso, come lo stesso Istituto ricorrente riconosce, l’accertamento del danno non patrimoniale è un accertamento di fatto, “rimesso al giudice di merito e resta ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale” (cfr. sent. 16133/2014).
La Corte di Cassazione osserva che la pronuncia impugnata non si è sottratta alla corretta applicazione dei principi illustrati, richiedendo l’allegazione e la prova da parte della parte danneggiata del danno-conseguenza, e ribadendo che il danno risarcibile non si identificava con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le sue conseguenze causali.
Ciò ha condotto il Tribunale ad escludere un danno biologico per lesione dell’integrità psico-fisica ma a ravvisare un danno non patrimoniale da sofferenza morale, pure dedotto da parte attrice e ritenuto dimostrato sulla base di un ragionamento presuntivo fondato su regole di esperienza.
Nel respingere la parte del ricorso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19328, del 17 settembre 2020, evidenzia che nel risarcimento i giudici hanno comunque tenuto conto dell’ambiente circoscritto all’ufficio in cui era circolare la notizia.


Stop a cartelle e pignoramenti per il 2020

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legge sulle “Disposizioni urgenti in materia di riscossione esattoriale”
Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale n. 260 del 20 ottobre del decreto legge n. 129  sulle “Disposizioni urgenti in materia di riscossione esattoriale” diventa ufficiale lo stop dell’attività degli Agenti di riscossione fino al termine del 2020. Il provvedimento entra in vigore dal giorno successivo alla sua ufficialità. Il decreto sospende i termini di notifica e di pagamento relativi ai principali atti della riscossione relativi alle entrate tributarie e non tributarie.

A fornire dettagliate spiegazioni sui casi delle nuove notifiche di atti di pagamento che il decreto Agosto aveva lasciato irrisolto ci pensano i chiarimenti nuove faq che l’Agenzia delle entrate-Riscossione: il concessionario della riscossione spiega che fino al 31 dicembre non vi saranno notifiche, nemmeno via Pec, di cartelle di pagamento, avvisi di addebito e di ogni altro atto della riscossione.

Restano sospesi fino alle fine dell’anno anche gli obblighi derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto Rilancio (19/5/2020), su stipendi, salari, altre indennità relative al rapporto di lavoro o impiego, nonché a titolo di pensioni e trattamenti assimilati. Per quanto riguarda i pagamenti sospesi tutti i versamenti oggetto di sospensione dovranno essere effettuati entro il 31 gennaio 2021.

La proroga, però, non abbraccia tutte le cartelle esattoriali. Ad esempio per le rate in scadenza nel 2020 della rottamazione-ter e del saldo e stralcio, il termine di pagamento rimane fissato al 10 dicembre 2020, come previsto dal dl n. 34/2020 decreto rilancio. Lo slittamento delle notifiche riguarda solo i carichi trasmessi all’Agenzia delle Entrate Riscossione dall’8 marzo fino al 31 dicembre 2020, sempre che non rientrino tra quelli interessati dalla proroga introdotta dal decreto Rilancio. Restano valide le proroghe già definite, mentre alcune cartelle in via di scadenza o di prescrizione non sono comprese: ad esempio l’Imu e la Tari, il bollo auto o altre entrate patrimoniali, come i contributi previdenziali.

Per questi tributi e tasse subentra ora la proroga di 12 mesi, limitatamente ai termini di prescrizione e decadenza a fine 2021 e ai carichi affidati all’Ader in tutto il periodo di sospensione.
Ancora c’è una proroga specifica che riguarda i carichi, relativi alle entrate tributarie e non tributarie, affidati all’agente della riscossione durante il periodo di sospensione. Vengono prorogati di 12 mesi il termine per la perdita del diritto al discarico ovvero la procedura che consente all’agente della riscossione di “liberarsi” del carico ricevuto, comunicando all’ente creditore l’inesigibilità della pretesa; i termini di decadenza e prescrizione in scadenza nell’anno 2021 per la notifica delle cartelle di pagamento.

Nel primo caso è stabilito che l’agente della riscossione non può chiedere il discarico, e pertanto resta responsabile verso l’ente affidante, se non ha notificato la cartella di pagamento prima del nono mese successivo a quello di ricezione del ruolo. Il decreto legge interviene su tale disposizione, prevedendo un differimento di 12 mesi riferito a tale scadenza; la proroga opera però sempre e unicamente per gli affidamenti eseguiti all’agente della riscossione nel periodo dall’8 marzo al 31 dicembre 2020.


Furbetti del cartellino, denunciati 8 dipendenti Asl Roma5

ROMA, 27 OTT – Alcuni non facevano neppure ingresso nella sede ma figuravano al lavoro, altri si allontanavano dopo aver “strisciato” regolarmente il proprio badge nel dispositivo di registrazione delle presenze installato all’ingresso della “Casa della Salute” di Zagarolo. Sono otto i dipendenti dell’Asl Roma 5 ai quali i finanzieri del Comando Provinciale di Roma hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini, emesso dalla Procura della Repubblica di Tivoli. In seguito ad alcune segnalazioni, le Fiamme Gialle della compagnia di Frascati hanno monitorato i loro movimenti, posizionando delle telecamere nei pressi dell’apparecchiatura “marcatempo” e pedinandoli per diversi giorni. Le immagini registrate hanno confermato i sospetti, riprendendo i dipendenti che appena timbrato il cartellino si allontanavano per alcune ore dal posto di lavoro per sbrigare faccende personali. Le indagini – ha reso noto la Guardia di Finanza – hanno permesso di appurare l’esistenza di un sistema consolidato incentrato su uno scambio di favori che in alcuni casi avrebbe fatto simulare la presenza per l’intero turno, grazie ai colleghi compiacenti che “strisciavano” il badge a inizio e fine giornata. Gli 8 denunciati dovranno rispondere di truffa ai danni dell’Ente di appartenenza e falsa attestazione di presenza in servizio.(ANSA).


Schede DPCM 24.10.2020

Leggi: SCHEDE-NUOVO-DPCM-24-OTTOBRE

Leggi: DPCM 24-10-2020

Leggi: Gazzetta Ufficiale n° 265 del 25-10-2020


La Corte di Cassazione conferma che la notifica dopo le 21 si perfeziona il giorno stesso

Per la Suprema Corte alla notifica via PEC si applica la scissione soggettiva degli effetti a seguito dell’intervento della Consulta. Tempestiva la notifica dell’opposizione a D.I. oltre le ore 21
Deve ritenersi tempestiva la notifica dell’opposizione all’ingiunzione avvenuta oltre le ore 21 con atto di citazione notificato in via telematica nel quarantesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo opposto. Ciò in quanto la Corte Costituzionale, con la sentenza 75/2019, ha bocciato l’art. 16 septies del D.L. 179/12 nella parte in cui prevede che la notifica telematica effettuata fra le 21 e le 24 si perfezioni anche per il notificante alle ore 7 dell’indomani.
Se, da un lato, il differimento al giorno seguente appare giustificato nei confronti del destinatario, mirando alla tutela del suo diritto al riposo in una fascia oraria in cui sarebbe altrimenti costretto a continuare a controllare la casella di posta elettronica, dall’altro appare irragionevole penalizzare il mittente impedendogli di utilizzare appieno il termine utile per impugnare e approntare la propria difesa.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22136/2020 accogliendo il ricorso dell’opponente sconfitto in entrambi i giudizi di merito.
Nel dettaglio, la Corte territoriale, condividendo il giudizio del giudice a quo, riteneva tardiva l’opposizione in quanto proposta con atto di citazione notificato in via telematica nel quarantesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo opposto, ma oltre le ore 21.
Di conseguenza, la notifica si sarebbe perfezionata alle ore 7 del giorno successivo, vale a dire il quarantunesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo, da qui la tardività e la conseguente inammissibilità.
La Suprema Corte ribalta il risultato e riassume l’orientamento prevalente in materia, prendendo le mosse dalla previsione di cui all’art. 16-quater, comma 3, del D.L. n. 179/2012, convertito dalla Legge n. 221 del 2012.
Tale norma dispone che la notifica eseguita con modalità telematica a mezzo di posta elettronica certificata “si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione” prevista dall’art. 6, comma 1, del d.P.R. 68/2005, e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista al comma 2 della medesima norma.
Ancora, l’art. 16-septies del D.L. n. 179 cit. aggiunge che la notificazione eseguita con modalità telematica è assoggettata alla norma prevista dall’art. 147 c.p.c. (secondo il quale, nella vigente formulazione, le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21) e che tale notifica, quando è eseguita dopo le ore 21, si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo.
Tuttavia, sempre in materia di notifiche eseguite con modalità telematiche, gli Ermellini ritengono indispensabile rammentare come il quadro sia cambiato a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale.
La Consulta, con la sentenza n. 75/2019, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo (per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost.) proprio l’art. 16-septies del D.L. n. 179/2012 nella parte in cui prevede che “la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta”.
La “fictio iuris” che conduce al differimento al giorno seguente degli effetti della notifica eseguita dal mittente tra le ore 21 e le ore 24, infatti, appare giustificata nei confronti del destinatario, poiché il divieto di notifica telematica dopo le ore 21, previsto dalla prima parte dell’art. 16 septies, tramite il rinvio all’art. 147 c.p.c., mira a tutelare il suo diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) nella quale egli sarebbe altrimenti costretto a continuare a controllare la casella di posta elettronica.
Al contrario, non può dirsi altrettanto giustificata nei confronti del mittente. Infatti, si legge nella sentenza, il medesimo differimento comporta un irragionevole vulnus al pieno esercizio del diritto di difesa (segnatamente, nella fruizione completa dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio, anche nella sua essenziale declinazione di diritto ad impugnare), poiché gli impedisce di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa, che, nel caso di impugnazione, scade (ai sensi dell’art. 155 c.p.c.) allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno, senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta.
In aggiunta, secondo il Collegio, la restrizione delle potenzialità (accettazione e consegna sino alla mezzanotte) che caratterizzano e diversificano il sistema tecnologico telematico rispetto al sistema tradizionale di notificazione legato “all’apertura degli uffici” sia intrinsecamente irrazionale, venendo a recidere l’affidamento che lo stesso legislatore ha ingenerato nel notificante immettendo il sistema telematico nel circuito del processo.


Demansionamento escluso per impiego in mansioni inferiori

Secondo la Corte di cassazione, al dipendente possono essere assegnati, per motivate esigenze aziendali, anche compiti inferiori al proprio livello qualora questi risultino comunque marginali rispetto alle sue mansioni.
La Suprema corte ha respinto il ricorso promosso dal dipendente di una Srl contro la decisione con cui, nel merito, era stata ritenuta infondata la domanda volta alla declaratoria dell’obbligo, da parte della datrice, di adibire il deducente esclusivamente alle mansioni di sua competenza.
Il lavoratore, in particolare, aveva chiesto che fosse dichiarato illegittimo l’ordine di servizio col quale gli erano state assegnate mansioni inferiori e dequalificanti e che gli fosse corrisposta la retribuzione prevista contrattualmente per la qualifica di appartenenza, comprese le somme arretrate.
Inoltre, la sua domanda era tesa all’accertamento dell’illegittimità nonché del carattere persecutorio e vessatorio del comportamento tenuto nei suoi confronti dalla società datrice, concretizzatosi – a suo dire – in un demansionamento e, successivamente, a fronte del rifiuto da lui opposto all’impiego prescrittogli, in una condotta di mobbing, realizzata attraverso la reiterata irrogazione di sanzioni disciplinari a suo carico.
Sia nel primo che nel secondo grado del giudizio, tuttavia, questa tesi era stata smentita: i giudici di merito avevano ritenuto che, nella specie, fosse legittimo l’impiego dell’interessato in mansioni inferiori alla propria qualifica di appartenenza.
Era stata, infatti, ritenuta ammissibile una flessibilità nell’utilizzo del medesimo lavoratore, tenuto conto del ridotto periodo di tempo di adibizione alle menzionate mansioni inferiori nell’arco della singola giornata lavorativa.
Ciò posto, era stata considerata formalmente legittima l’irrogazione di sanzioni disciplinari a carico del deducente in conseguenza del rifiuto di questi rispetto ai compiti assegnatigli.
Da qui in ricorso in sede di legittimità del lavoratore, volto a contestare la conformità a diritto della pronuncia della Corte d’appello: secondo la sua difesa, l’impiego promiscuo in compiti propri della qualifica inferiore, in precedenza rivestita, doveva essere escluso sul piano legislativo e contrattuale, con conseguente illegittimità anche del rigetto della sua domanda di risarcimento da demansionamento.
Con ordinanza n. 22668 del 19 ottobre 2020, la Corte di cassazione ha giudicato infondata la doglianza del ricorrente e ciò alla luce dell’orientamento di legittimità sopra richiamato: il lavoratore può essere adibito, per motivate esigenze aziendali, anche a compiti inferiori, se marginali rispetto a quelli del suo livello.
La Sezione lavoro della Suprema corte ha sottolineato come, nella specie, la flessibilità data dall’impiego del lavoratore in mansioni promiscue si era rivelata, di per sé, legittima, non trovando ostacolo nella disciplina contrattuale di settore ai sensi dell’art. 2 del CCNL del 27.11.2000 (Trasporto Pubblico Locale).
Senza contare che l’interpretazione di quest’ultima disposizione, in termini di legittimazione della flessibilità in uso in quanto autorizzata da precedenti accordi collettivi per dichiarati superati – per come fatta propria dalla Corte territoriale – non risultava adeguatamente confutata dal ricorrente.
Ne conseguiva la non configurabilità di condotte illegittime del datore di lavoro idonee a fondare pretese risarcitorie.


Poste Italiane: ripristino termini di giacenza

… considerata l’evoluzione della pandemia in atto e il ponderato allentamento delle misure restrittive disposte dalle Autorità competenti, con decorrenza 15 ottobre sono ripristinati gli ordinari termini di giacenza contrattualmente previsti. …

Leggi: PP.TT. Coronavirus ripristino termini giacenza


NOTA DI COMPIACIMENTO PER LAZZARO FONTANA

ALL’INDOMANI DELL’APPROVAZIONE DELL’ENNESIMO DECRETO LEGGE PER CONTRASTARE LA PANDEMIA DA COVID-19 SONO FIERA DI PUBBLICARE LA NOTA DI COMPIACIMENTO DELL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI DI REGGIO EMILIA NEI CONFRONTI DEL NOSTRO ULTRATRENTENNALE SOCIO ED ESPERTO DOCENTE ANVU LAZZARO FONTANA, COMANDANTE DEL CORPO DI POLIZIA LOCALE DELL’UNIONE COLLINE MATILDICHE (RE) CHE MI ONORO AVERE QUALE COMPONENTE DEL MIO STAFF NAZIONALE.

SONO GRATA AL C.TE LAZZARO FONTANA PER IL PREZIOSISIMO, GRATUITO ED INCESSANTE CONTRIBUTO PROFESSIONALE FORNITO AI DIRIGENTI ANVU (Associazione Professionale Polizia Locale d’Italia) ED, ATTRAVERSO LA NOSTRA ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE E LE SUE STRUTTURE, AI COLLEGHI DI TUTTA L’ITALIA FIN DALL’INIZIO DELLA PANDEMIA.

I SUOI PUNTUALI E COSTANTI AGGIORNAMENTI SONO STATI PER TUTTI NOI UN PREZIOSISSIMO E DETERMINANTE CONTRIBUTO NELL’ AFFRONTARE LE DIFFICILI AZIONI DI PRESIDIO E CONTROLLO DEL TERRITORIO, AL SERVIZIO DELLE COMUNITA’ OVE LAVORIAMO, AZIONI COMPLICATE DA UN SUSSEGUIRSI INCREDIBILE DI NORMATIVE NAZIONALI E REGIONALI CHE LUI DISTRICA.

UN SINCERO GRAZIE AL C.TE LAZZARO FONTANA A NOME MIO, DEL CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE E DI TUTTI I COLLEGHI D’ITALIA.

SARA’ MIA PREMURA ORGANIZZARE UN MOMENTO DI RICONOSCENZA NEI SUOI CONFRONTI IN UNO DEI FUTURI EVENTI FORMATIVI ANVU, PERCHE’ MERITA DI PERCEPIRE TUTTA LA NOSTRA STIMA.

IL PRESIDENTE NAZIONALE ANVU
SILVANA PACI

LEGGI Lettera-ODCEC-Fontana 2020

*************

La Giunta Esecutiva Nazionale di A.N.N.A. (Associazione Nazionale Notifiche Atti) è orgogliosa che un proprio componente riceva delle note di ringraziamento e di encomio come quelle sopra riportate dall’ANVU Nazionale e dall’ODCEC (Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili) di Reggio Emilia.

Nell’occasione ci pregiamo di segnalare che l’attività formativa dell’Associazione è rigorosamente rispettosa delle normative anti-contagio COVID-19 vigenti e che Lazzaro Fontana, così come gli altri nostri docenti, nei corsi che tiene per i Messi Comunali/Notificatori nei quali è docente, forma gli stessi al fine di fare le notifiche “a mani proprie” con “accorgimenti e metodiche” tali da salvaguardare la salute di questi particolari lavoratori che si muovono sul territorio a “contatto” con tante persone, ma, altresì, anche quella dei destinatari nelle cui abitazioni, teoricamente, dovrebbero entrare, limitando al massimo inutili esposizioni a possibili contagi.

Tacchini Pietro
Presidente Nazionale A.N.N.A.


Piattaforma per le notifiche digitali

L’attesa nei confronti della realizzazione della piattaforma per la notificazione digitale è veramente alta, perché rappresenterà un vero punto di svolta per la digitalizzazione di tutta la Pubblica Amministrazione.
Tale piattaforma è quanto da noi auspicato già dal 2005 con il convegno svoltosi ad Ancona con il progetto “Testo unico delle notifiche”
Il funzionamento della piattaforma è stato descritto nel DL Semplificazioni appena convertito con la legge n. 120/2020, l’innovazione era già introdotta con la Legge di Bilancio 2020. La piattaforma ha l’obiettivo di rendere più semplice, efficiente, sicura ed economica la notificazione con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni della pubblica amministrazione, con risparmio per la spesa pubblica e minori oneri per i cittadini.
Piattaforma per le notifiche
La Presidenza del Consiglio dei ministri, tramite la società PagoPA S.p.A., svilupperà la piattaforma digitale per le notifiche, che potrà essere affidata – in tutto o in parte – a Poste Italiane, che si occupa anche della spedizione dell’avviso di avvenuta ricezione e la consegna della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione, e garantisce, su tutto il territorio nazionale, l’accesso universale alla piattaforma e al nuovo servizio di notificazione digitale, sostituendo SOGEI come previsto inizialmente; il progetto è finanziato con la somma di 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020, già stanziati con la Legge di Stabilità 2020 (articolo 1, comma 403, della legge 27 dicembre 2019, n. 160), mentre per l’adesione alla piattaforma, le amministrazioni utilizzano le risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (commi 19 e seguenti).
Nel comma 2 dell’art. 26 sono contenute le definizioni a cui fare riferimento:
a) «gestore della piattaforma», cioè la società pagoPA S.p.A.;
b) «piattaforma»,
c) «amministrazioni», le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, compresi anche gli agenti della riscossione e, limitatamente agli atti emessi nell’esercizio dell’attività loro affidata;
d) «destinatari», le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, residenti o aventi sede legale nel territorio italiano ovvero all’estero ove titolari di codice fiscale attribuito
e) «delegati», le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti, le associazioni e ogni altro soggetto pubblico o privato, ivi inclusi i soggetti intermediari (avvocati, commercialisti, associazioni, ecc.), ai quali i destinatari conferiscono il potere di accedere alla piattaforma per reperire, consultare e acquisire, per loro conto, atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni notificati dalle amministrazioni;
f) «delega»,
g) «avviso di avvenuta ricezione», l’atto formato dal gestore della piattaforma, con il quale viene dato avviso al destinatario in ordine alle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione;
h) «identificativo univoco della notificazione (IUN)», il codice univoco attribuito dalla piattaforma ad ogni singola notificazione richiesta dalle amministrazioni;
i) «avviso di mancato recapito», l’atto formato dal gestore della piattaforma con il quale viene dato avviso al destinatario in ordine alle ragioni della mancata consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico e alle modalità di acquisizione del documento informatico oggetto di notificazione.
È chiaro che la piattaforma riguarda tutto l’ampio spettro di amministrazioni che si avvalgono ogni giorno della notifica per la consegna di atti con valore giuridico; rimarrebbero escluse solo le notifiche che riguardano (comma 17):
a) agli atti del processo civile, penale, per l’applicazione di misure di prevenzione, amministrativo, tributario e contabile e ai provvedimenti e alle comunicazioni ad essi connessi;
b) agli atti della procedura di espropriazione forzata
c) agli atti dei procedimenti di competenza delle autorità provinciali di pubblica sicurezza.
Stranamente manca una definizione di “notifica”, che è invece l’oggetto principale di cui si occupa la piattaforma: ad oggi, le disposizioni di riferimento sono contenute negli artt. 138 e seguenti del Codice di Procedura civile, oltre a disposizioni specifiche in materia tributaria.
Le figure professionali interessate sono:
• I messi comunali (ex Legge n. 265/1999) notificano atti di carattere amministrativo (ordinanze, verbali, convocazioni, inviti, avvisi, circolari, ed ogni altra forma di atto) per conto dell’amministrazione comunale e su richiesta di altri enti, purché nei limiti del territorio comunale di competenza (il destinatario ha residenza, dimora o domicilio nello stesso comune) ed operano con le norme del Codice di Procedura Civile.
• I messi notificatori (ex Legge n. 296/2006) notificano atti di accertamento e/o riscossione dei tributi locali, procedure esecutive o delle entrate patrimoniali dello stato (generalmente dell’agenzia delle entrate) ed operano secondo le norme del D.P.R. n. 600/1973 e D.P.R. n. 602/1973.
• Oltre agli ufficiali giudiziari (ex Legge 890/82) che però non sono direttamente interessati, vista l’espressa esclusione delle notifiche riguardanti i processi dall’utilizzo della piattaforma in questione.
Incertezze sull’esecuzione delle notifiche
Con l’avvento della PEC su larga scala (ad oggi 3 grandi categorie di soggetti hanno l’obbligo di avere un indirizzi di Posta Certificata, e cioè le PA, le imprese e i professionisti iscritti agli albi) si rileva una grande incertezza sulle corrette modalità per l’esecuzione della notifica del documento informatico, cioè se debba avvenire con le procedure di cui all’art. 149 bis del Codice di Procedura Civile o con un semplice invio tramite il protocollo informatico, secondo quanto previsto dall’art. 48 e 6 bis del CAD. Nel comma 3 si prevede la facoltà di adesione delle amministrazioni, in alternativa alle modalità previste da altre disposizioni di legge: visto il grande impatto di semplificazione e ottimizzazione del processo di notifica, sarebbe più opportuno prevedere un utilizzo obbligatorio da parte di tutte le Amministrazioni, magari anche scaglionato in base a scadenze temporali o altri criteri, come sta avvenendo – ad esempio – per l’utilizzo di Siope +.
Il mancato utilizzo della piattaforma continuerebbe a mantenere inalterata la situazione attuale, con il grande carico di lavoro a carico delle Amministrazioni e soprattutto dei Comuni, che si occupano della gestione diretta delle notifiche per tutte le PA che lo richiedono. Il gestore della piattaforma assicura l’autenticità, l’integrità, l’immodificabilità, la leggibilità e la reperibilità dei documenti informatici resi disponibili dalle amministrazioni e, a sua volta, li rende disponibili ai destinatari, ai quali assicura l’accesso alla piattaforma, personalmente o a mezzo delegati, per il reperimento, la consultazione e l’acquisizione dei documenti informatici oggetto di notificazione; l’accesso avviene tramite SPID o CIE, oltre che con l’app IO (comma 8).
Possono essere utilizzate anche «tecnologie basate su registri distribuiti», definite dall’articolo 8-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, dando così spazio all’utilizzo della blockchain nella PA. Nella parte successiva si fa riferimento all’attestazione di conformità agli originali analogici delle copie informatiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni, con riferimento alle disposizioni contenute nel CAD (artt. 23 e seguenti). Se si assume che tutte le Amministrazioni interessate potranno inserire i propri atti nella piattaforma per il completamento del processo di notifica, non è chiaro perché si continua a parlare di “copie informatiche di originali analogici”, quando invece da tempo tutte le PA dovrebbero produrre gli atti di propria competenza in formato esclusivamente digitale (vedi art. 3 bis del CAD).
L’utilizzo della firma
È importante anche precisare che sembra finalmente risolto il contrasto giurisprudenziale sul tipo di firma da utilizzare per la notifica delle cartelle esattoriali (nel caso di specie): in un primo tempo si riteneva che fosse utilizzabile solo la firma CADES (quindi con formato .p7m), invece ora è stato chiarito che tutti i tipi di firma sono ammissibili (CADES e PADES), in quanto offrono le stesse garanzie e anche tenuto conto delle normative europee (tra tutti, il Regolamento EIDAS). Solo nel caso in cui il destinatario provveda a “stampare” l’atto, dovrà essere presente un sistema che renda la copia cartacea conforme all’originale informatico, disponibile nella piattaforma.
La necessità di chiarezza
Il comma 3 si chiude precisando che “La piattaforma può essere utilizzata anche per la trasmissione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni per i quali non è previsto l’obbligo di notificazione al destinatario “. Non è però chiara l’utilità di questa parte, e che rapporto ci sia con l’invio di un documento da parte dell’amministrazione tramite la propria PEC e il protocollo informatico; si potrebbe trattare di una gestione “ottimizzata” degli atti da recapitare tramite Posta, ma rimane poi da capire come funziona la gestione contabile e amministrativa delle spese, che sarebbero invece a carico delle Amministrazioni.
Inoltre, quando si fa riferimento a standard di processo per l’attestazione di conformità dei documenti, sarebbe importante dare dei punti di riferimento, in modo da evitare difformità di comportamento tra diverse PA: meglio sarebbe invece definire fin da subito degli “standard tecnologici” di upload del documento e di utilizzo della piattaforma, oltre a servizi web per interfacciamento diretto con i SW di gestione documentale utilizzati dalle PA, necessari per ottimizzarne l’utilizzo.
Le comunicazioni
La comunicazione tra il gestore della piattaforma e il destinatario può avvenire in modalità telematica o cartacea (a seconda del recapito associato alla persona/impresa), e consiste nell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, con il quale comunica l’esistenza e l’identificativo univoco della notificazione (IUN), nonché le modalità di accesso alla piattaforma e di acquisizione del documento oggetto di notificazione (comma 4). Se la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi, il gestore della piattaforma effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio.
Se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi oppure se l’indirizzo elettronico del destinatario non risulta valido o attivo, il gestore della piattaforma rende disponibile in apposita area riservata, per ciascun destinatario della notificazione, l’avviso di mancato recapito del messaggio, secondo le modalità previste dal successivo decreto di cui al comma 15. Il gestore della piattaforma inoltre dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico.
Recapiti e avvisi
Risulta quindi quantomai necessario il collegamento della piattaforma con ANPR, che contiene i dati della residenza di ciascun soggetto, oltre ai registri IPA e INIPEC, e quest’ultimo in un prossimo futuro conterrà anche i domicili delle persone fisiche, in base alle Linee Guida AGID (delle quali è terminata da poco la consultazione). Per i destinatari che non sono in possesso di una PEC, il recapito dell’avviso cartaceo avviene a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma, con le modalità previste per la notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari (L. 890/1982). Lo stesso avviso di ricezione sarà reso disponibile anche attraverso l’app IO, e i cittadini potranno comunicare anche un indirizzo e-mail non certificato, un numero di telefono o un altro analogo recapito digitale (comma 7). La notificazione si perfeziona (comma 9):
• per l’amministrazione, nella data in cui il documento informatico è reso disponibile sulla piattaforma;
• per il destinatario: il settimo giorno successivo alla data di consegna dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico, il decimo giorno successivo al perfezionamento della notificazione dell’avviso di avvenuta ricezione in formato cartaceo;
• in ogni caso, se anteriore, nella data in cui il destinatario, o il suo delegato, ha accesso, tramite la piattaforma, al documento informatico oggetto di notificazione.
Inoltre, al comma 10 si prevede che “la messa a disposizione ai fini della notificazione del documento informatico sulla piattaforma impedisce qualsiasi decadenza dell’amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione dell’atto, provvedimento, avviso o comunicazione”. Quindi si può assumere che l’avviso di avvenuta ricezione inviato dalla piattaforma sostituisce la “relata di notifica”, che è fino ad oggi lo strumento con il quale conclude la notifica, regolato dall’art. 148 del Codice di Procedura Civile: “l’agente certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto. La relazione indica la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna, oppure le ricerche, anche anagrafiche, fatte dall’ufficiale giudiziario, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario.”
Inoltre, se la notifica per le Amministrazioni si perfeziona “automaticamente” con l’inserimento del documento nella piattaforma, sarebbe bene un raccordo più esplicito con le norme del CPC: ad esempio occorre capire come risolvere il caso delle persone cancellate dall’anagrafe per irreperibilità, al momento regolato dall’art. 140 CPC, o delle persone con residenza sconosciuta, trattato dall’art. 143 CPC. Il raccordo normativo in questo caso è fondamentale, perché questi sono i casi che nella pratica comportano i più grandi problemi di gestione. Il gestore della piattaforma, forma e rende disponibili sulla piattaforma, alle amministrazioni e ai destinatari, le attestazioni opponibili ai terzi relative:
a) alla data di messa a disposizione dei documenti informatici sulla piattaforma da parte delle amministrazioni;
b) all’indirizzo del destinatario risultante, alla data dell’invio dell’avviso di avvenuta ricezione, da uno degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o eletto ai sensi del comma 5, lettera c);
c) alla data di invio e di consegna al destinatario dell’avviso di avvenuta ricezione in formato elettronico; e alla data di ricezione del messaggio di mancato recapito alle caselle di posta elettronica certificata o al servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultanti sature, non valide o non attive;
d) alla data in cui il gestore della piattaforma ha reso disponibile l’avviso di mancato recapito del messaggio ai sensi del comma 6;
e) alla data in cui il destinatario ha avuto accesso al documento informatico oggetto di notificazione;
f) al periodo di malfunzionamento della piattaforma ai sensi del comma 13;
g) alla data di ripristino delle funzionalità della piattaforma ai sensi del comma 13.
Oltre alla copia informatica dell’avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari, dei quali attesta la conformità agli originali (comma 11 e 12). Anche in questo caso è necessario il raccordo con i SW gestionali degli enti, per fare in modo che i dati e i documenti di queste attestazioni siano messi a disposizione e comunicati all’Amministrazione che ha attivato la notifica, possibilmente tramite WS dedicati. Le spese di notificazione degli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni oggetto di notificazione tramite piattaforma sono poste a carico del destinatario e sono destinate alle amministrazioni, al fornitore del servizio universale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 e al gestore della piattaforma. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità di determinazione e anticipazione delle spese e i criteri di riparto (comma 14).
Quindi sembrerebbe che al momento della ricezione dell’atto il destinatario debba anche pagare le spese di notifica: se così fosse, la piattaforma dovrebbe permettere il pagamento con pagoPA, che si potrebbe far carico anche del riparto delle somme incassate tra gli enti interessati.
L’avvio della piattaforma
Per l’entrata in esercizio della piattaforma sono previsti dei decreti attuativi (comma 15 e 16), compreso il parere del Garante per la protezione dei dati personali da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del DL Semplificazione, attraverso cui è definita l’infrastruttura tecnologica e il piano dei test e le regole tecniche, oltre alle modalità di adesione delle amministrazioni alla piattaforma. Ultimati i test e le prove tecniche di corretto funzionamento della piattaforma, è fissato il termine a decorrere dal quale le amministrazioni possono aderire alla piattaforma.
Lo scenario futuro
Con le nuove modalità di notifica si prevede un’immediata contrazione delle anticipazioni finanziarie, per un ammontare annuo non inferiore a 50 milioni di euro (spese vive di notifica), nonché una riduzione dei costi connessi al contenzioso, per circa 55 milioni di Euro all’anno; inoltre, potrebbe attendersi una significativa riduzione dei costi netti di notifica e spedizione, attualmente stimati in circa 41 milioni di euro annui (calcolati al netto delle somme recuperate a titolo di rimborso per le spese di notifica e spedizione, ove previsto).
Ma risparmi consistenti li avrebbero anche i Comuni, con ricadute positive sui servizi che potrebbero essere erogati ai cittadini. Il risparmio non è solo in termini di “spese vive”, ma anche di personale dedicato interamente a questa attività, che potrebbe essere dedicato ad altro.


Visite fiscali INPS, nuovo servizio per cambiare l’indirizzo di reperibilità

Visite fiscali INPS, arriva il servizio online per cambiare l’indirizzo di reperibilità. Le novità sono contenute nella  Circolare numero 106 del 23-09-2020, che fornisce le istruzioni per i dipendenti pubblici e privati.
I lavoratori dipendenti pubblici e privati potranno modificare online l’indirizzo di reperibilità per le visite mediche INPS in caso di malattia comune.
Il nuovo strumento rende più immediate nonché tracciabili le modifiche, che potranno essere effettuate direttamente dal lavoratore e senza ulteriori adempimenti da parte dell’INPS.
Il servizio di modifica dell’indirizzo di reperibilità per le visite fiscali sostituisce le modalità ad uso sino ad oggi, che prevedevano la comunicazione tramite e-mail al medico legale dell’INPS o al Contact Center, e che resteranno utilizzabili esclusivamente in caso di indisponibilità del servizio telematico.
Si chiama “Sportello al cittadino per le VMC” il nuovo servizio predisposto dall’INPS per modificare l’indirizzo di reperibilità. La novità è illustrata dalla Circolare numero 106 del 23-09-2020.
Il lavoratore dipendente pubblico o privato, previa autenticazione sul sito INPS, potrà accedervi tramite la sezione dedicata ai Servizi Online.
Sarà possibile comunicare e gestire, in caso di malattia ed assenza dal lavoro, una diversa reperibilità rispetto a quella comunicata precedentemente con il certificato di malattia in corso di prognosi o anche con altra comunicazione.
La funzione “Indirizzo reperibilità ai fini delle visite mediche di controllo” permette quindi la comunicazione di un nuovo indirizzo di reperibilità per un’eventuale visita fiscale di controllo domiciliare da parte dei medici INPS.
Per uno stesso certificato di malattia il cittadino può comunicare più reperibilità successive.
Come specificato dalla circolare INPS n. 106 del 23 settembre 2020:
• ogni nuova reperibilità comunicata, nell’ambito dello stesso certificato di malattia in corso di validità, implica l’annullamento automatico dell’eventuale precedente reperibilità limitatamente al periodo di sovrapposizione tra i periodi delle due variazioni comunicate;
• ogni reperibilità è storicizzata, onde evitare che si perda traccia degli indirizzi che possono essere stati utilizzati per eventuali visite mediche di controllo.
Il nuovo servizio predisposto dall’INPS per semplificare la procedura di gestione delle visite fiscali è disponibile per tutti i lavoratori dei settori privato e pubblico ma, specifica la circolare n. 106, non sostituisce gli obblighi contrattuali di comunicazione da parte dei medesimi lavoratori nei confronti dei propri datori di lavoro.
Per quanto riguarda i lavoratori privati che, in caso di malattia, hanno diritto ad essere indennizzati, resta l’onere di comunicare in maniera tempestiva eventuali variazioni dell’indirizzo di reperibilità, per evitare l’applicazione delle sanzioni previste in caso di impossibilità per i medici INPS di effettuare la visita fiscale.
Oltre a dover comunicare correttamente l’indirizzo, il lavoratore dovrà fornire tutti gli elementi utili per consentire ai medici dell’INPS di reperire l’abitazione del lavoratore.
Il compito di verificare che l’indirizzo sia corretto spetta al lavoratore. Nel caso di errori riscontrati nel certificato medico trasmesso all’INPS, bisognerà modificare in maniera tempestiva l’indirizzo di reperibilità al fine di consentire il regolare svolgimento delle visite fiscali.
Per i dipendenti pubblici, invece, la normativa vigente prevede che il dipendente comunichi preventivamente alla sua Amministrazione di appartenenza l’eventuale variazione dell’indirizzo di reperibilità, durante il periodo di prognosi.
L’Amministrazione è tenuta a fornire quindi il dato all’INPS per l’effettuazione delle visite fiscali. La disponibilità all’utilizzo del nuovo servizio anche per il lavoratore pubblico ha lo scopo di ottimizzare il flusso comunicativo e offrire maggiori garanzie per l’effettuazione delle visite fiscali.
Il servizio non deve, invece, essere utilizzato dai lavoratori pubblici per gli adempimenti relativi alla comunicazione del solo allontanamento temporaneo dal proprio domicilio di reperibilità, per terapie, visite mediche, accertamenti sanitari o per gli altri giustificati motivi.
Il datore di lavoro viene messo al corrente del diverso indirizzo di reperibilità comunicato dal lavoratore:
• in fase di richiesta di una VMC, se la comunicazione è stata effettuata prima della richiesta di visita;
• al momento della consultazione degli esiti, qualora il lavoratore abbia comunicato una variazione di reperibilità dopo la richiesta di VMC e il datore di lavoro abbia acconsentito – spuntando l’apposito campo – ad inviare la visita al diverso indirizzo fornito dal lavoratore.
In ogni caso, il nuovo servizio dell’INPS non esonera il lavoratore dall’effettuare le comunicazioni previste al proprio datore di lavoro, sulla base del contratto di riferimento.


Mansioni superiori: differenze retributive

Il Tribunale di Treviso riconosce sotto il profilo economico le mansioni superiori all’impiegata dell’Agenzia delle Entrate a cui è stata adibita non avendo né titolo di studio né profilo professionale
Nel pubblico impiego, il dipendente assegnato allo svolgimento, al di fuori dei casi consentiti, di mansioni corrispondenti a una qualifica superiore rispetto a quella posseduta, avrà diritto anche in relazione a tali compiti a una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 della Costituzione.
Ciò a condizione che le mansioni superiori siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate ad esse.
Lo ha rammentato il Tribunale del Lavoro di Treviso nella sentenza n. 136-2020 in materia di riconoscimento delle mansioni superiori, sotto il profilo economico, di dipendente dell’Agenzia delle Entrate.
La ricorrente, assistente tributaria di II area funzionale, lamenta di aver continuativamente svolto mansioni superiori rispetto all’inquadramento posseduto, avendo nel tempo svolto in autonomia tutta una serie di attività tra cui quelle di accertamento e contestazione nei confronti di soggetti sospettati di evasione fiscale, provvedendo anche alla predisposizione degli avvisi di accertamento e delle denunce penali in presenza dei relativi presupposti di legge, assumendo il ruolo di responsabile del procedimento nell’ambito delle segnalazioni inoltrate all’Autorità giudiziaria.
Il Tribunale rileva come la giurisprudenza di legittimità, nelle controversie tese ad ottenere il riconoscimento di qualifica superiore o comunque volte a dimostrare lo svolgimento di mansioni superiori (per rivendicare le relative differenze retributive), abbia più volte affermato che il procedimento logico giuridico alla base dell’indagine diretta alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore non può prescindere da tre fasi successive.
Devono, in pratica, accertarsi in fatto le attività lavorative in concreto svolte nonché individuarsi le qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria. Andrà poi effettuato un raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.
All’esito di tale procedimento, e ai fini dell’applicazione della tutela apprestata dall’art. 2103 c.c., la condizione da verificare è che l’assegnazione alle mansioni superiori sia stata piena, nel senso che abbia comportato l’assunzione della responsabilità e l’esercizio dell’autonomia proprie della corrispondente qualifica superiore.
Nello specifico settore del pubblico impiego, prosegue la sentenza, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “in materia di pubblico impiego contrattualizzato (…) l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (fra le altre sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989: n. 236 del 1992: n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.”
Tale retribuzione deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere, pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano siate svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri e assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni ( Cass. SS.UU. n. 25837/2007 e Cass. n. 27887/2009).
Nel caso di specie, le emergenze istruttorie conducono il giudice ad affermare che le mansioni svolte dalla ricorrente siano senz’altro da ricondurre a quelle riconducibili alla terza area funzionale e, per l’effetto, l’Agenzia delle Entrate viene condannata, ex art. 52 d.lgs. 165/01, al pagamento in suo favore delle differenze retributive tra quanto avrebbe percepito con un inquadramento nella III area funzionale, livello retributivo F1, e quanto ha effettivamente percepito, oltre la maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo.
Tuttavia, per il Tribunale è fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla resistente Agenzia delle Entrate: essendo rivendicate differenze retributive, spiega il Tribunale, devono intendersi in ogni caso prescritte le somme riferibili al periodo anteriore al quinquennio calcolato a ritroso dalla data di notifica del ricorso.