Cassazione Penale: Condizioni per la notifica presso il difensore

La terza sezione penale della Corte, con ordinanza del 16 gennaio 2008, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni unite rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione della legittimità o meno della notificazione all’imputato del decreto di fissazione dell’udienza al difensore di fiducia, prevista dall’art. 157, comma 8 bis, del codice di rito, nonostante l?esistenza agli atti del domicilio dichiarato dall’imputato.

Infatti la stessa sezione aveva ritenuto (con la sentenza del 20 settembre 2007, dep. 8 novembre 2007 n. 41063, Ardito) da un lato che “In tema di prima notificazione all’imputato non detenuto, la procedura di notifica mediante consegna al difensore di fiducia, prevista dall’art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen., si applica anche nel caso in cui l’imputato abbia previamente dichiarato o eletto il domicilio per le notificazioni ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen.”, e dall’altro (con la sentenza 14 marzo 2006, dep. 21 aprile 2006 n. 14244, Manzini e altri) che “In assenza di dichiarazione o elezione di domicilio le notificazioni all’imputato non detenuto, successive alla prima, vanno eseguite presso il difensore di fiducia ex art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen. introdotto dall’art. 2, comma primo, D.L. n. 17 del 2005, conv., con modif. con legge n. 60 del 2005, e quelle compiute sotto la vigenza del primigenio testo normativo – non ancora emendato in sede di conversione del D.L. con la previsione della possibilità per il difensore di fiducia di dichiarare immediatamente la non accettazione della notificazione – conservano validità ed efficacia in forza del principio “tempus regit actum”, perché la successiva modifica non può incidere retroattivamente sull’atto che ha già esaurito i suoi effetti .

Le Sezioni Unite hanno dato risposta negativa al quesito sulla possibilità di effettuare la notificazione presso it difensore di fiducia, ex art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., anche nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni”, ricordando che la disciplina in questione si ispira a due principi: da un lato il diritto dell’imputato alla conoscenza dell’accusa, dall’altro la garanzia della ragionevole durata del processo.

La Corte ha poi ripercorso la normativa in tema di notificazioni rimarcando come il sistema appaia articolato secondo due tipologie di notificazioni.

Allorché si deve effettuare la prima notificazione ad un imputato che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto commi dell’art. 157; ed una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l’imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore. Sul punto va ricordata la possibilità che il difensore dichiari “immediatamente”, quindi antecedentemente alla prima notificazione presso di lui, di non accettare la notificazione, Diversamente, allorché vi sia stata elezione o dichiarazione di domicilio, vanno seguite le forme dettate dall’art. 161 e seguenti cod. proc. pen..

Le Sezioni Unite hanno sul punto affermato inoltre che l’art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. riguarda l’intero processo e non gia ogni grado di giudizio,sicché   non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina”.

Per quanto riguarda il regime conseguente alla violazione delle disposizioni in materia il massimo consesso ha precisato che la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato, mente non può ricorrere nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, poiché in questi casi consegue l’applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen.

Leggi: Cassazione penale Sentenza, Sez. SS.UU., 15/05/2008, n. 19602


Cass. pen. Sez. V, (ud. 08-05-2008) 11-06-2008, n. 23623

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NARDI Domenico – Presidente

Dott. CARROZZA Arturo – Consigliere

Dott. FERRUA Giuliana – Consigliere

Dott. OLDI Paolo – Consigliere

Dott. SCALERA Vito – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.V., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 29.11.07 dalla Corte di appello di Napoli;

Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giuliana Ferrua;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Delehaye Enrico, che ha concluso per la declaratoria di inammissibiltà del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza 22.9.05 il Tribunale di Nola dichiarava A. V. responsabile, quale impiegato presso il Comune di Acerra:

a) di tentata truffa ex art. 56 c.p., art. 640 c.p., comma 2, n. 1, per avere posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco ad indurre in errore il citato ente locale mediante artifici e raggiri, ossia facendo apparire la sua presenza in ufficio in determinati giorni ovvero il suo stato di malattia, mentre in realtà svolgeva attività presso un esercizio commerciale, per procurarsi l’ingiusto profitto consistente in indebita retribuzione di giornate lavorative, ai danni del Comune; B) di falso ex artt. 476 e 479 c.p., per avere falsamente attestato, mediante sistema di rilevazione delle presenze e tramite certificato medico, la sua presenza presso l’ufficio comunale o la propria malattia; con la continuazione e le generiche prevalenti lo condannava a pena ritenuta di giustizia.

Tale decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza 29.11.07 avverso la quale ha a proposto ricorso per Cassazione l’imputato, deducendo vizio di motivazione in punto responsabilità con riguardo ad entrambi i reati.

La Corte osserva.

Le violazioni sub B non sussistono.

Invero i cartellini segnatempo e i fogli di presenza non costituiscono atto pubblico (Cass. S.U. 11.4.06 n. 15983 Rv. 233423);

per quanto concerne il certificato è indiscusso che in effetti l’imputato soffrisse di asma bronchiale e d’altro canto non risulta che in detto documento fosse attestata come effettuata una visita:

stante la genericità dello stesso deve escludersi la ricorrenza del falso.

Per il resto le censure sono infondate.

Invero, nel provvedimento impugnato v’è richiamo a plurimi dati, rappresentati da deposizioni e servizi di appostamento, alla luce dei quali emerge che il prevenuto svolgeva attività presso il Bar Commercio, sia al banco sia alla cassa, mentre egli aveva fatto credere di essere in ufficio ovvero impedito per malattia.

In conclusione s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per i reati sub B perché i fatto non sussiste; con riguardo ai fatti sub A il ricorso va rigettato e d, conseguenza s’impone l’annullamento della decisione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, non potendo a tanto provvedere questa Corte in quanto il reato più grave e stato eliminato.

P.Q.M.
LA CORTE Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati sub B (falsi) perchè il fatto non sussiste; annulla la medesima sentenza con rinvio per rideterminazione del trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 11-04-2008) 03-06-2008, n. 14668

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VELLA Antonio – Presidente

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO TRAPANI, in persona del Prefetto pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 488/03 del Giudice di pace di TRAPANI, depositata il 08/09/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/04/08 dal Consigliere Dott. Lucio MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
L’Ufficio Territoriale del Governo di Trapani ha impugnato per cassazione la sentenza 8/9/2003 con la quale il giudice di pace di Trapani, in accoglimento dell’opposizione proposta da C.F., annullava i verbali di contravvenzione redatti da agenti della Polizia di Stato per violazione degli artt. 158, 154 e 172 C.d.S.. Il giudice di pace osservava: che due agenti della Polizia di Stato, a bordo di un’autovettura civile, avevano affiancato l’autovettura condotta dalla C. alla quale avevano poi contestato alcune violazioni di norme dettate dal C.d.S.; che le dette violazioni erano state però contestate oralmente in quanto gli agenti erano sprovvisti dell’apposito modulario; che il descritto operato degli agenti era affetto da nullità radicale ed insanabile; che non era consentito limitare, in pregiudizio della opponente, la possibilità di difendersi soltanto con una querela di falso.

L’intimata C.F. non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio Territoriale del Governo di Trapani denuncia violazione degli artt. 200 e 201 C.d.S., nonchè del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, artt. 384 e 385, deducendo che esiste una distinzione tra i tre momenti dell’operazione dell’accertamento della violazione, ossia contestazione, verbalizzazione e consegna del verbale. La contestazione avviene di regola in forma orale il che si è verificato nel caso di specie per cui la C. ha avuto la possibilità di esprimere le proprie osservazioni nel momento di detta contestazione. La redazione materiale del verbale e la sua consegna alla C. sono state posticipate per una impossibilità oggettiva, ossia la mancanza del modulario da parte degli agenti al momento della contestazione: ciò non ha comportato alcuna violazione di legge. Nel verbale gli agenti hanno specificato il motivo della mancata redazione dello stesso al momento dell’accertamento. Tale precisazione non era neanche necessaria posto che l’art. 200 C.d.S., esige di regola la contestazione immediata e non l’immediatezza della verbalizzazione la cui redazione può essere impossibile anche nell’ipotesi in cui gli agenti non abbiano momentaneamente il modulario.

Il motivo è fondato.

Occorre premettere che, come rilevato dal ricorrente, la questione relativa alla mancata redazione del verbale di contravvenzione – e della mancata consegna immediata di detto verbale subito dopo la relativa contestazione al trasgressore – è stata già affrontata da questa Corte la quale al riguardo ha affermato che: a) l’operazione di accertamento delle violazione al C.d.S., si, sviluppa nei tre momenti della contestazione, della verbalizzazione e della consegna della copia del verbale; b) la contestazione deve essere immediata con la conseguenza che ogni qualvolta tale contestazione sia possibile, essa non può essere omessa, a pena d’illegittimità dei successivi atti del medesimo procedimento; c) tuttavia l’art. 201 C.d.S., contempla l’eventualità che l’immediata contestazione dell’infrazione non risulti in concreto possibile e stabilisce che, in tale ipotesi, il verbale debba essere notificato al trasgressore con l’indicazione della circostanza impeditiva; d) la “verbalizzazione” è operazione distinta e successiva, rispetto alla già “avvenuta” contestazione; e) a norma del terzo comma dell’art. 200 C.d.S., copia del verbale deve essere consegnata al trasgressore; f) la contestazione deve ritenersi immediatamente avvenuta, anche se la consegna del verbale (per validi motivi) non segua nello stesso contesto di tempo, allorquando il contravventore sia stato fermato ed il pubblico ufficiale gli abbia indicato la violazione commessa e lo abbia posto in grado di formulare le proprie osservazioni (nei sensi suddetti, sentenza 21/11/2002 n. 16420).

Nel caso in esame non risulta contestato che la C. è stata fermata dagli agenti della Polizia di Stato i quali le hanno di persona ed immediatamente contestato le violazioni accertate consentendole di formulare osservazione e di illustrare argomenti a propria discolpa. Nessuna violazione o limitazione al diritto di difesa della C. è derivata dalla mancata immediata redazione del verbale della già avvenuta contestazione, verbale che è stato poi notificato all’interessata con l’espressa precisazione che gli agenti accertatori non avevano potuto redigere apposito verbale al momento della contestazione delle infrazioni “per mancanza di formulario a seguito”.

Si tratta di una motivazione valida e logicamente plausibile tenuto conto che – come riportato nella stessa sentenza impugnata – gli agenti accertatori facevano parte della Polizia di Stato e si trovavano a bordo di un’autovettura civile “per motivi di controllo del territorio” e, quindi, per svolgere compiti ulteriori rispetto a quelli della regolazione del traffico, della prevenzione e dell’accertamento delle violazioni in tema di circolazione stradale.

D’altra parte non risulta che la C. nei motivi di opposizione abbia specificato quale delle garanzie previste dalla legge per la difesa delle ragioni del trasgressore sarebbero state sacrificata o compressa in virtù della contestazione verbale delle infrazioni.

Deve quindi ritenersi che – al contrario di quanto affermato dal giudice di pace – alla ricorrente le infrazioni in questione siano state personalmente ed immediatamente contestate in modo corretto dagli agenti accertatori con l’indicazione delle norme violate e con la possibilità per la C. di formulare contestualmente osservazioni e di sollevare eccezioni ed obiezioni in ordine all’operato degli agenti.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2700 c.c., e artt. 221 e 313 c.p.c., deducendo che il giudice di pace ha errato nel ritenere che le risultanze del verbale di contestazione – relative ad accertamenti di fatto senza valutazioni e apprezzamenti discrezionali – potessero essere smentite da una mera dichiarazione di parte. I verbali in questione fanno invece fede fino a querela di falso per quanto riguarda la vericità delle affermazioni ivi contenute.

Il motivo è fondato nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

Al riguardo va rilevato che costituisce principio ormai pacifico che nel giudizio di opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione irrogativa della sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonchè alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale e alle dichiarazioni delle parti; non è, invece, necessario, in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c., l’esperimento del rimedio predetto ove si intenda contestare la verità sostanziale di quanto dichiarato dalle parti medesime, o i giudizi valutativi espressi dal pubblico ufficiale, ovvero quelle circostanze dallo stesso menzionate relativamente ai fatti avvenuti in sua presenza, che possono risolversi in apprezzamenti personali perchè mediati attraverso l’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo.

Il ricorso deve quindi essere accolto con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio della causa al giudice di pace di Trapani (in persona di altro magistrato) il quale provvedere ad un nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra esposti e dei principi di diritto sopra enunciati nonchè ad occuparsi degli altri rilievi mossi dalla C. ai verbali di contestazione in questione e la cui valutazione è stata implicitamente ritenuta assorbita dall’accoglimento della preliminare censura relativa alla asserita nullità del verbale impugnato per contestazione orale. Al giudice del rinvio si rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia al giudice di pace di Trapani (in persona di altro magistrato) anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 29-02-2008) 27-05-2008, n. 13766

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – rel. Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V.E., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Società Vita s.p.a., elettivamente domiciliato in Roma Via della mercede 52, presso lo studio dell’avv. MENGHINI Mario, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. VITI Paolo, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI ALESSANDRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1234/05 del giudice di pace di Alessandria, depositata il 24/10/05;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 29/02/08, del Presidente e Relatore Dott. SETTIMJ Giovanni;

Udito l’Avvocato MENGHINI Mario, difensore del ricorrente che si riporta al ricorso;

lette le conclusioni scritte dal Sost. Proc. Gen. Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso;

Visto l’art. 375 c.p.c., per il rigetto del ricorso del ricorso per essere manifestamente infondato, con la conseguente di legge;

udito il P.M., in persona del Dott. UCCELLA Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
M.V.E. impugna per cassazione la sentenza 24.10.05 con la quale il G.d.P. di Alessandria ne ha respinto l’opposizione proposta avverso il verbale di contestazione n. 351821219 redatto nei suoi confronti dai Carabinieri di Spinetta Marengo per violazione dell’art. 173 C.d.S., comma 2, accertata il 14.4.05.

Parte intimata non svolge attività difensiva.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude con richiesta di rigetto del ricorso.

Al riguardo le considerazioni svolte dal Procuratore Generale e la conclusione cui è pervenuto sono senza dubbio da condividere.

Si duole il ricorrente – denunziando violazione dell’art. 173 C.d.S., comma 2, – che il giudice a quo non abbia ritenuto valide le difese svolte, con le quali aveva evidenziato che non stava usando il telefono cellulare per conversare ma per prelevarne dati dalla rubrica, ed operato un’indebita interpretazione estensiva della norma, diretta, invece, a sanzionare il solo uso del telefono cellulare a fini di conversazione.

Il motivo è manifestamente infondato.

La ratio della norma – che costituisce una delle specificazioni alle quali rinvia dell’art. 140 C.d.S., comma 2, dopo aver posto, al comma 1, il principio generale per cui “Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo od intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale” così stabilendo a priori l’illegittimità d’una condotta di guida genericamente pericolosa riconducibile a ciascuna delle prescrizioni di seguito singolarmente dettate – è, infatti, intesa, come dimostra una coordinata lettura del suo testo integrale per cui “è consentito l’uso di apparecchi viva voce o dotati di auricolare … che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani”, a prevenire comportamenti tali da determinare, in generale, la distrazione dalla guida ed, in particolare, l’impegno delle mani del guidatore in operazioni diverse da quelle strettamente inerenti alla guida stessa.

Pertanto, l’uso del cellulare per la ricerca d’un numero telefonico nella relativa rubrica o per qualsiasi altra operazione dall’apparecchio stesso consentita, risulta, in relazione alla finalità perseguita dalla norma, censurabile sotto entrambi gli evidenziati profili, in quanto determina non solo una distrazione in genere, implicando lo spostamento dell’attenzione dalla guida all’utilizzazione dell’apparecchio e lo sviamento della vista dalla strada all’apparecchio stesso, ma anche l’impegno d’una delle mani sull’apparecchio con temporanea indisponibilità e, comunque, consequenziale ritardo nell’azionamento, ove necessario, dei sistemi di guida, ritardo non concepibile ove si consideri che le esigenze della conduzione del veicolo possono richiedere tempi psicotecnici di reazione immediati.

Il giudice a quo non ha dunque, operato un’indebita interpretazione estensiva, bensì si è attenuto ad una lettura non solo logica ma anche letterale della norma.

L’esaminato motivo non meritando accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto.

Parte intimata non avendo svolto attività difensiva, il ricorrente evita le conseguenze della soccombenza.

P.Q.M.
La Corte:

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 febbraio 2008.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2008


Cass. pen. Sez. Unite, (ud. 27-03-2008) 15-05-2008, n. 19602

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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GEMELLI Torquato – Presidente

Dott. LATTANZI Giorgio – Consigliere

Dott. GRASSI Aldo – Consigliere

Dott. MARZANO Francesco – Consigliere

Dott. CARMENINI Secondo L. – Consigliere

Dott. MILO Nicola – Consigliere

Dott. IACOPINO Silvana – Consigliere

Dott. CANZIO Giovanni – Consigliere

Dott. ROTELLA Mario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.B., nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, emessa in data 13.12.2006;

udita la relazione del Consigliere Dott. CARMENINI;

udite le conclusioni del p.g., avv. gen. CIANI Gianfranco, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 13 dicembre 2006, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del tribunale monocratico di Rossano del 2 novembre 2005, ha confermato il giudizio di responsabilità penale a carico di M.B. in ordine ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) (capo A della rubrica) e artt. 71 e 72, medesimo D.P.R. (capo C), per avere realizzato un fabbricato a due piani fuori terra in cemento armato, edificato su un terrapieno sorretto da un muro di contenimento anch’esso in cemento armato, senza la prescritta concessione edilizia, senza il progetto esecutivo e la direzione di un tecnico qualificato, senza la previa prescritta denuncia all’Ufficio dell’ex Genio civile. Di conseguenza la Corte ha condannato l’imputata alla pena come in atti, confermando l’ordine di demolizione delle opere abusive, ha concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna e ha dichiarato estinti per prescrizione gli ulteriori reati di cui al capo B (violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95).

La M. ha impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione, articolando quattro motivi. Col primo motivo lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità. In particolare si duole dell’erronea applicazione dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, sul rilievo che la notificazione all’imputata dell’avviso di fissazione del giudizio di appello per l’udienza del 13.11.2006 è stata effettuata al difensore di fiducia, nonostante l’esistenza agli atti di un domicilio dichiarato; precisa che trattandosi di prima notificazione nella fase di appello, la stessa avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 1. Secondo la ricorrente la modalità di notificazione adottata nella specie configurerebbe un’ipotesi di nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell’art. 179 c.p.p., in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. e), che travolgerebbe ogni atto conseguente, compresa la sentenza impugnata. Col secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 40 c.p., nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto. La M. assume di essere estranea ai fatti, essendo soltanto il marito il proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e il committente dell’opera abusivamente realizzata;

sostiene che la Corte di appello di Catanzaro ha violato il principio della responsabilità penale personale, e, con una motivazione palesemente illogica, ha ritenuto la sua colpevolezza sul presupposto che “la qualità di committenti oltre che di proprietari dell’opera abusiva discende dalla qualità di conviventi” e che “la stessa (l’imputata) era presente al momento dell’intervento dei militari operanti ed ha sottoscritto il verbale di constatazione dell’illecito edilizio”.

Col terzo e quarto motivo, infine, eccepisce la prescrizione anche dei residui reati e lamenta un trattamento sanzionatorio eccessivamente gravoso.

La Terza Sezione penale, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla “legittimità della notificazione all’imputato del decreto di fissazione dell’udienza per il giudizio di appello” mediante consegna “al difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, nonostante l’esistenza agli atti del domicilio dichiarato”, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..

Il Primo Presidente, con decreto del 5 febbraio 2008, ha fissato, per la trattazione del ricorso, l’odierna udienza pubblica del 27 marzo 2008.

Motivi della decisione
La questione giuridica controversa può essere così sintetizzata:

“Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, possa essere effettuata anche nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni”.

Le soluzioni date dalla giurisprudenza di questa Corte hanno evidenziato un contrapposto orientamento, sviluppatosi soprattutto tra la Quinta Sezione penale, da un lato, e la Terza e la Sesta Sezione, dall’altro.

In breve, la Quinta Sezione ha affermato, con le sentenze Landra (25.01 – 27.02.2007, n. 8108 rv 236522) e Rizzato (24.10 – 06.12.2005, n. 44608 rv 232612), che il domicilio “legale” non può prevalere su quello dichiarato, considerato che l’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, è riferibile, nell’organizzazione della norma in cui si inserisce, alle ipotesi considerate dai commi precedenti; che “la disposizione di cui all’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, (relativa alle notifiche all’imputato mediante consegna al difensore di fiducia) si applica solo alle notificazioni successive a quella eseguita ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8, mentre non si applica nell’ipotesi in cui l’imputato abbia precedentemente eletto (dichiarato) domicilio nel luogo di abituale dimora, ex art. 161 cod. proc. pen.”; che la nullità tempestivamente eccepita comporta la nullità del giudizio di appello e della sentenza impugnata”.

Al contrario, la Terza sezione (sentenza Ardito, 20.09 – 08.11.2007, n. 41063 rv 237639) e la Sesta Sezione (sentenze Casilli, 09.03 – 01.06.2006, n. 19267 rv 234499; Borrelli, 02.04 – 31.05.2007, n. 21341 rv 236874, ed altre) rilevano che la forma di notificazione prevista dall’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, “deve ritenersi prevalente su ogni altra”, sicchè, in presenza di nomina fiduciaria, è irrilevante, ai fini della successiva notificazione del decreto di citazione in appello, il domicilio dichiarato dall’imputato;

evidenziano che l’art. 157 cod. proc. pen., comma 8 bis è stato introdotto dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, che ha convertito con modificazioni il D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, all’enunciato fine di garantire la ragionevole durata del processo in ottemperanza all’art. 111 Cost. e, quindi, di accelerare i tempi di notifica degli atti;

sottolineano che presupposto di operatività della norma è esclusivamente la previa rituale effettuazione di una prima notifica all’imputato “a piede libero”, riferendosi a tale prima notifica l’incipit dell’art. 157 cod. proc. pen. “salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 cod. proc. pen.”, in considerazione proprio della ratio della nuova disposizione, volta a consentire un tendenziale e generalizzato risparmio di tempi attraverso l’automatica notificazione degli atti ulteriori al difensore di fiducia (che diviene domiciliatario per legge del proprio assistito); sostengono che l’indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; che il difensore di fiducia non soltanto ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell’imputato, ma può anche interrompere l’automatismo delineato dal comma 8 bis in esame, dal momento che la stessa norma prevede che egli “può dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione”.

Le opposte soluzioni ermeneutiche risentono della non univoca soluzione normativa data ai rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo al sistema previgente dei processi in contumacia, mediante la L. 22 aprile 2005, n. 60 di conversione del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, nel cui corpo è inserita la normativa in esame.

Due sono i principi ai quali la disciplina in parola ha inteso ispirarsi: 1) il diritto dell’imputato alla conoscenza dell’accusa;

2) la garanzia della ragionevole durata del processo.

Il secondo dei filoni giurisprudenziali sopra esposti mostra di privilegiare la celerità del processo e si inserisce tendenzialmente nelle linee maggiormente evolutive del rapporto imputato-difensore, privilegiando la figura del difensore di fiducia, nella quale individua l’elemento portante ed innovativo della L. n. 60 del 2005, ed assegnando alla notifica all’imputato, mediante consegna al difensore di fiducia, un ruolo del tutto fisiologico, quale forma ordinaria di notificazione.

L’auspicabile semplificazione del sistema delle notificazioni, non completato con chiarezza dal legislatore, non può, tuttavia, essere effettuato in via meramente ermeneutica. Le stesse sentenze fautrici di questo orientamento sono portate ad assegnare alla parte adempimenti non espressamente previsti, ma ricavabili solo forzatamente dal sistema (l’indagato/imputato può, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione ex lege con dichiarazione o diversa elezione di domicilio esplicitamente ed espressamente formulata in tal senso; il difensore di fiducia ha la possibilità di proporre deduzioni per la valutazione, da parte del giudice ex art. 420 bis cod. proc. pen., del rilievo probabilistico del buon esito della citazione dell’imputato). Questa soluzione, per altro, comporterebbe un forte ridimensionamento di taluni punti della vigente regolamentazione dell’elezione di domicilio (artt. 161 e 162 cod. proc. pen.), nel senso che la dichiarazione o l’elezione di domicilio ivi previste riguarderebbero esclusivamente l’imputato difeso d’ufficio, in quanto per l’imputato difeso di fiducia non sarebbe possibile alcuna dichiarazione di domicilio, nè un’elezione diversa da quella presso il suo difensore.

La lettura sistematica, allo stato consentita dal complesso delle norme coinvolte – senza che per altro si possa fare carico alla sede ermeneutica della maggiore o minore incisività del raggio di azione della norma positiva -, deve condurre verso l’opzione prescelta dal primo orientamento, con le precisazioni applicative nei sensi di seguito esplicate.

Gli artt. 157 e 161 e ss. cod. proc. pen. descrivono, per quanto attiene alle notificazioni all’imputato non detenuto, un percorso duplice, rafforzato dall’inizio testuale del primo di detti articoli (“salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162 c.p.p.”).

In buona sostanza il legislatore ha inteso assicurare la piena conoscenza dell’accusa da parte dell’imputato rappresentandosi due situazioni: la prima si verifica quando manca un previo contatto con le autorità indicate dall’art. 161 cod. proc. pen. ed in tal caso occorre una prima notificazione direttamente all’interessato in una delle forme previste dall’art. 157; la seconda si verifica quando l’imputato può essere avvertito dal giudice, dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria ed il tal caso emergerà, in genere, una dichiarazione o elezione di domicilio e si seguiranno le forme indicate dall’art. 161 e ss. c.p.p.. In questa visione la disposizione contenuta nell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis non può non essere letta nell’ambito dell’articolo che la contiene.

Il sistema appare, dunque, articolato secondo due tipologie di notificazioni.

Quando si deve effettuare la prima notificazione all’imputato, che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto commi, art. 157 c.p.p..

Una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l’imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore; questi può “immediatamente”, quindi antecedentemente alla prima notificazione presso di lui, dichiarare all’autorità che procede di non accettare la notificazione, altrimenti il processo nei suoi vari gradi seguirà con la notificazione al difensore di fiducia.

In caso di mancata nomina del difensore di fiducia, si procederà a norma dell’art. 161 cod. proc. pen., commi 2 e 4.

Se, invece, vi sono state elezione o dichiarazione di domicilio, si seguiranno direttamente le forme dettate dall’art. 161 e ss. cod. proc. pen..

Va sottolineato che, in base alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la conoscenza dell’accusa, preordinata allo svolgimento di un’efficace attività difensiva, deve realizzarsi attraverso una “notificazione ufficiale proveniente dall’autorità competente” (Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989); ma non si richiede necessariamente una forma particolare. La stessa Corte delinea un’attività collaborativa da parte dell’imputato, una volta regolarmente avvisato (Kimmel c. Italia, 2 settembre 2004; Booker c. Italia, 14 settembre 2006; Zaratin c. Italia, 23 novembre 2006). Il disinteresse dell’imputato informato equivale ad una rinuncia a presenziare alle udienze con la conseguenza che non è configurabile nessuna violazione della Convenzione.

Ancora, in tema di semplificazione dell’iter del processo attraverso un sistema di notificazioni non incerto, vanno ribaditi i seguenti principi giurisprudenziali: a) l’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, “riguarda l’intero processo e non già ogni grado di giudizio, sicchè non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina” (in tal senso la Terza Sezione nell’ordinanza di rimessione, nonchè Cass. Sez. 5^, 25.05. – 21.11.2006, n. 38136, ric. Bertone e altro, rv 235976 e Sez. 4^, 11.10 – 21.11.2005, n. 41649, Mandrini, rv 232409); b) la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato, mente essa non ricorre nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue l’applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen.. Per altro, l’imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare l’inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell’atto e indicare gli specifici elementi che consentano l’esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice stesso (Cass. Sez. U. sent. 00119 del 2005, Palumbo).

Si possono ora trarre le debite conclusioni sulla questione giuridica controversa.

Al quesito: “Se la notificazione presso il difensore di fiducia, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, possa essere effettuata anche nel caso in cui l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni”, deve essere data risposta negativa.

Consegue come lineare corollario che: 1) l’operatività dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, è subordinata all’assenza di una dichiarazione o elezione di domicilio. Tutte le successive notificazioni, qualora l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia e non abbia dichiarato o eletto domicilio, devono essere eseguite mediante consegna al difensore, ferma restando l’assenza di una preclusione all’esercizio della facoltà dell’imputato stesso di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni anche dopo la nomina di un difensore di fiducia, esercizio che ha l’effetto di paralizzare la regola contenuta nel citato comma 8 bis; 2) detta regola, inoltre, riguarda l’intero processo, sicchè non occorre individuare per ciascuna fase processuale una prima notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina; 3) l’eventuale nullità derivante dalla notificazione effettuata ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, per casi diversi da quelli previsti non configura una nullità assoluta ed insanabile per omessa vocatio in jus, bensì una nullità di ordine generale e a regime intermedio per inosservanza delle norme sulla notificazione, che deve ritenersi sanata quando risulti provato che l’errore non abbia impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa; essa rimane comunque senza effetto se non è dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184 c.p.p., comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183 c.p.p. e alle regole di deducibilità di cui all’art. 182 cod. proc. pen., oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 c.p.p..

Prendendo in esame la specifica situazione oggetto del primo motivo di ricorso, secondo le emergenze del processo, è agevole rilevare che il 2 dicembre 2003 la M., come risulta dal verbale redatto dalla polizia giudiziaria, dichiarava domicilio presso la sua abitazione in (OMISSIS), ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen., e nominava difensore di fiducia l’avv. Leonardo Trento del foro di Rossano; riceveva a mani proprie, nel domicilio dichiarato, tutti gli atti del procedimento di primo grado (l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e il decreto di citazione diretta a giudizio); il 2 novembre 2005 il Tribunale pronunciava sentenza di condanna, avverso la quale l’imputata proponeva appello personalmente con atto sottoscritto anche dal difensore di fiducia.

Il decreto di citazione per il giudizio di appello veniva notificato, ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, mediante consegna al difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento; l’imputata non compariva all’udienza fissata e la Corte ne dichiarava la contumacia; l’estratto contumaciale della sentenza di secondo grado le veniva notificato il 19 gennaio 2007, di nuovo ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, presso il difensore di fiducia, avv. Leonardo Trento, il quale non si era avvalso della facoltà di non accettare gli atti notificatigli;

il 28 febbraio 2007 l’imputata proponeva personalmente ricorso per cassazione, con atto sottoscritto anche dal nuovo difensore Serafino Trento, nominato in calce al ricorso con contestuale revoca dell’avv. Leonardo Trento (v’è da notare che, a parte l’omonimia patronimica, entrambi i suddetti avvocati fanno parte non solo del medesimo Foro di Rossano, ma anche del medesimo studio – v. il timbro dello studio legale in cui figurano entrambi – e l’avv. Serafino Trento aveva anche sostituito l’avv. Leonardo Trento all’udienza del 15 dicembre 2004 nel corso del giudizio di primo grado).

Come si vede, la ricorrente non solo non deduce la mancata o comunque menomata conoscenza conseguente all’adozione del modello di notificazione previsto dall’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, ma dimostra di essere sempre stata a piena conoscenza di tutti gli sviluppi del processo, avendo anche proposto personalmente le impugnazioni, sia in grado di appello che in sede di legittimità; nè il difensore, presso cui sono state effettuate le notificazioni, ha eccepito alcunchè nel giudizio di appello: ne consegue che la notificazione, certamente non inesistente, ma viziata, in quanto diversa dal modello di notificazione prescritto, non ha provocato nessuna lesione del diritto alla conoscenza e all’intervento dell’imputata e, per altro, la relativa eccezione è comunque tardiva, poichè ben poteva e doveva essere dedotta nel giudizio di appello.

Il primo motivo di ricorso deve essere, quindi, disatteso.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi in relazione al secondo motivo di doglianza, con il quale la ricorrente deduce l’erronea affermazione della sua colpevolezza in ordine ai reati ascrittile, in violazione del principio della responsabilità penale personale, assumendo di essere estranea ai fatti, al più attribuibili al marito, proprietario del terreno su cui insiste il manufatto e committente dell’opera abusivamente realizzata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, in tema di reati edilizi, la responsabilità relativa al manufatto sul quale l’abuso è stato effettuato può dedursi da indizi precisi e concordanti, quali la qualità di coniuge del committente, il regime patrimoniale dei coniugi, lo svolgimento di attività di vigilanza dell’esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco. all’atto dell’accertamento. Pertanto, una volta ritenuto in fatto il diretto interesse ai lavori e la qualità della M. di committente dell’opera abusiva, secondo un accertamento corretto ed insindacabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha conseguentemente ritenuto la colpevolezza dell’imputata, pervenendo a conclusioni esenti da vizi logico- giuridici (v., ex plurimis, Cass. Sez. 3, sent. n. 32856 del 2005 rv 232200, Farzone; n. 26121 del 2005, Rosato, rv 231954).

Neppure si è verificata l’invocata prescrizione dei residui reati per i quali la Corte catanzarese ha affermato la responsabilità penale della M..

I fatti sono stati contestati come ancora in corso il 20.11.2003; il periodo prescrizionale massimo, secondo la normativa applicabile alla specie, matura in quattro anni e sei mesi; a questo arco di tempo va, poi, aggiunto il periodo di sospensione di un mese a causa del rinvio dell’udienza in sede di appello dal 13.11 al 13.12.2006, dietro richiesta del difensore dell’imputata: l’evento estintivo dei reati si verificherebbe, quindi, soltanto il 20.6.2008. Si aggiunga che la sentenza di appello ha fissato, senza rilievi di parte, al 2.12.2003 (e non al 20.11) la fine dei lavori.

Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, la Corte territoriale, nel confermare i criteri adottati dal primo giudice, ha provveduto ad eliminare la pena inflitta per la contravvenzione dichiarata prescritta ed ha ridotto l’aumento per la continuazione, ritenuto eccessivo, pervenendo così ad una pena del tutto adeguata ai profili oggettivi e soggettivi dei reati commessi, secondo i criteri fissati dall’art. 133 c.p..

Consegue alle suesposte considerazioni il rigetto del ricorso.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2008


Cass. civ. Sez. V, (ud. 12-02-2008) 21-04-2008, n. 10267

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA 24840/2003

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere

Dott. RUGGIERO Francesco – rel. Consigliere

Dott. SCUFFI Massimo – Consigliere

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso principale, iscritto sotto R.G. n. 21491/03 proposto da:

Società CENTRO RISCOSSIONE TRIBUTI – CERIT – S.p.A., in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale notarile, dagli Avv.ti ERMETES Augusto e Paolo Ermetes, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Viale dell’Università n. 11;

– ricorrente controricorrente e ricorrente incidentale condizionato –

contro

B.F., rappresentata e difesa dagli Avv.ti SIRCA Bernardino e Spinelli Giordano Tommaso, presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, Via Bissolati n. 76, giusta procura speciale in calce;

nonchè sul controricorso e ricorso incidentale condizionato, iscritto sotto R.G. n. 22856/03, proposto da:

– controricorrente ricorrente incidentale –

nonchè sul controricorso e ricorso incidentale adesivo, iscritto sotto R.G. n. 24840/03, proposto da:

Amministrazione dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, e Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliate in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale adesivo –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana-Firenze, n. 21/11/02, depositata il 19/6/02;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/2/08 dal Relatore Cons. Dott. Francesco Ruggiero;

Udito l’Avv. Ermetes, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;

Udito l’Avv. Carlo Albini, per delega dell’Avv. Tommaso Spinelli Giordano, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale condizionato;

Udito l’Avv. Gen. dello Stato Paolo Gentili, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso incidentale adesivo;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso principale e dichiararsi l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo
Oggetto della controversia è l’impugnativa da parte della signora B.F., quale socia della s.n.c. Burini Trasporti, di due avvisi di mora (n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)), per IVA del 1991 ed interessi, conseguenti ad altri avvisi di irrogazione sanzioni, elevati dall’Ufficio IVA di Firenze, ed alle relative cartelle di pagamento, a suo tempo notificate a detta società.

Controdeducevano in primo grado avverso il ricorso della contribuente l’Ufficio IVA di Firenze, la Cassa di Risparmio di Firenze, quale concessionaria del Servizio di Riscossione, e la S.p.A. San Paolo Riscossioni, quale delegata per la riscossione per la Provincia di Prato.

La decisione della Commissione Tributaria Provincia,le di Firenze (sentenza n. 125/16/2000), sfavorevole alla contribuente, veniva da quest’ultima appellata.

La Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza in epigrafe indicata, accoglieva il gravame e, in riforma della decisione di primo grado, annullava gli avvisi di mora impugnati. Così motivava:

l’avviso di irrogazione sanzioni deve essere notificato alla società, quale debitore principale, entro i termini di decadenza;

anche nelle ipotesi di esecuzione forzata ai danni del socio solidale è necessaria la notifica del titolo esecutivo, costituito dalla cartella di pagamento, anche se non dell’avviso di irrogazione sanzioni; alla stregua delle esecuzioni ordinarie, il creditore può escutere il debitore solidale, previa escussione del debitore principale, ma previa notifica allo stesso del titolo esecutivo;

l’avviso di mora non era valido, non risultando che era stato preceduto dalla notifica alla contribuente della cartella di pagamento; dalla nullità dell’avviso di mora impugnato conseguiva la sua inutilizzabilità ai fini esecutivi; tutte le altre questioni sollevate dalla contribuente restavano assorbite.

Per la cassazione di questa decisione proponeva ricorso, articolando un solo complesso motivo, la società CERIT, quale concessionaria del Servizio di Riscossione dei Tributi per la Provincia di Firenze per il periodo 1-1-2002/31-12-2004.

L’Amministrazione Finanziaria proponeva controricorso e ricorso incidentale adesivo in termini, formulando un solo complesso motivo.

La contribuente B. proponeva controricorso e ricorso incidentale condizionato, in cui riproponeva eccezioni già mosse e ritenute assorbite.

Infine, detta società ricorrente proponeva controricorso a ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione
1 – La ricorrente società CERIT con l’unico complesso motivo articolava due profili di censura: la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 45 e 46 (disciplina della riscossione delle imposte nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 46 del 1999), rilevando l’erroneità della motivazione della sentenza impugnata ove era stata affermata l’inutilizzabilità della notifica dei soli avvisi di mora ai fini esecutivi nei confronti dell’obbligato solidale; la violazione dell’art. 2291 c.c., comma 1, evidenziando che, in forza della responsabilità solidale ed illimitata, il socio è sottoposto all’esazione del debito di imposta, qualora il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio sociale.

2 – La controricorrente Amministrazione Finanziaria, in sede di ricorso incidentale adesivo, formulava i medesimi profili di censura dedotti dalla ricorrente società CERIT con l’unico complesso motivo, sottolineando che per poter procedere ad espropriazione forzata, per le imposte non pagate dalla società, nei confronti del coobbligato solidale è necessario notificare l’avviso di mora, senza richiedere o presupporre la notifica dell’avviso di accertamento e della cartella di pagamento.

3 – La contribuente B., oltre al controricorso, proponeva ricorso incidentale condizionato, in cui lamentava il mancato esame da parte dei giudici regionali di ulteriori eccezioni specificamente sollevate, ma ritenute assorbite, ed in particolare: la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 e art. 2964 c.c.; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 4, 5 e art. 25, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13. 4 – Infine, la stessa CERIT ricorrente interponeva controricorso a ricorso incidentale condizionato proposto dalla B., replicando specificamente in ordine ai seguenti punti: la violazione falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 e art. 2964 c.c.; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 4, 5 e art. 25, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 18. 5 – Preliminarmente, i ricorsi devono essere riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.

6 – Sono fondati e vanno accolti il ricorso principale della società CERIT e il ricorso incidentale adesivo dell’Amministrazione Finanziaria.

Per la soluzione dei temi fondamentali che la controversia pone deve darsi applicazione – in piena e convinta condivisione – ai consolidati principi di diritto enunciati da questa Corte.

In particolare, quanto al regime della responsabilità del socio di società in nome collettivo, deve riaffermarsi che la notificazione di un avviso di mora ai soci di una società in nome collettivo – e, più in generale, delle società di persone illimitatamente e solidalmente responsabili – del maggior debito d’imposta della società conferisce all’avviso di mora di svolgere, oltre alla funzione, primaria – e necessaria, di atto equivalente al precetto nell’esecuzione forzata, anche la funzione secondaria di atto equivalente a quelli di imposizione tributaria, quando, in difetto di notificazione dell’accertamento, sia il primo atto di esecuzione del potere impositivo, per cui gli atti presupposti, se non impugnati congiuntamente all’avviso di mora, diventano inoppugnabili (Cass. 16/6/1995, n. 6846; 17/6/1995, n. 6857; 29/10/1997, n. 10638;

5/2/2001, n. 1592; 4/5/2001, n. 6260; 1/3/2002, n. 2984; 3/4/2003, n. 5179; 25/6/2003, n. 10093; 8/5/2006, n. 10533; 9/5/2007, n. 10584).

In sintesi, la responsabilità solidale ed illimitata del socio, prevista dall’art. 2291 c.c., comma 1, per i debiti della società in nome collettivo opera, in assenza di espressa previsione derogativa, anche per i rapporti tributari, con riguardo alle operazioni dai medesimi derivanti.

Pertanto, il socio, ancorchè privo della qualità di obbligato per detta imposta e come tale estraneo agli atti impositivi rivolti alla formazione del titolo, resta sottoposto, dopo l’iscrizione a ruolo a carico della società, all’esazione del debito stesso, alla condizione posta dall’art. 2304 c.c., e cioè quando il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio sociale.

Condizione quest’ultima che, concludentemente, può evincersi dalla sequenza degli atti impositivi adottati dall’Amministrazione: nel caso che ci occupa, stante l’infruttuosa notifica delle cartelle di pagamento alla società in nome collettivo Burini Trasporti, si rendeva necessario intraprendere l’azione esecutiva nei confronti della socia solidalmente ed illimitatamente responsabile.

In definitiva, va affermato il seguente principio di diritto: escusso inutilmente il patrimonio di una società in nome collettivo, legittimamente l’Amministrazione Finanziaria può chiamare a rispondere il socio solidalmente ed illimitatamente responsabile, senza che vi sia la necessità di notificare nè l’avviso di accertamento, rimasto inoppugnato da parte della società, nè la cartella di pagamento, rimasta inadempiuta da parte della società medesima, essendo sufficiente la notificazione dell’atto di riscossione costituito dall’avviso di mora, avverso il quale il socio può ricorrere, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, parte terza, secondo la cui testuale previsione “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”. 7 – Il ricorso incidentale della controricorrente B. deve essere ritenuto inammissibile. Infatti, la decisione della Commissione Tributaria Regionale era favorevole alla contribuente, avendo accolto il gravame della stessa, con la riforma della sentenza di primo grado e l’annullamento degli avvisi di mora: richiesta quest’ultima costituente il petitum del ricorso introduttivo, sicchè le altre questioni risultavano (correttamente) assorbite.

Ne consegue l’inammissibilità per difetto interesse, salvo il successivo esame delle questioni (già) assorbite.

8 – In conclusione, il ricorso incidentale della B. va dichiarato inammissibile.

In accoglimento del ricorso principale della società CERIT e del ricorso incidentale dell’Amministrazione Finanziaria, la gravata decisione dei giudici regionali deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione del giudice a quo, che si atterrà agli enunciati principi di diritto, provvedendo anche in ordine alla spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale ed il ricorso incidentale dell’Amministrazione Finanziaria. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale della contribuente. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2008.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2008


Comm. trib. prov. Puglia Bari Sez. XV, Sent., 21-04-2008, n. 48

Svolgimento del processo
Il sig. C. A., rappresentato e difeso dall’avv. E. P., ha proposto ricorso in data 08.08.2007 contro l’E. E. spa contestando l’invito al pagamento nota doc. …, notificato il 16/06/2007, della somma di euro 11.848,14 per presunto mancato pagamento di n. 12 cartelle esattoriali, comprensivo di oneri accessori, degli anni 1997, 1998,1999, 2001, 2003 e 2006; sull’impugnato invito è riportato che il mancato pagamento entro 15 avrebbe spinto l’esattore all’espropriazione presso terzi degli eventuali crediti di sua spettanza. Al detto invito risulta allegato un prospetto riportante i dati identificativi delle cartelle esattoriali, la data di notifica di ciascuna con l’anno di riferimento, del tributo dovuto, dell’Ufficio o Ente impositore, dell’ammontare di ciascun tributo e relativi oneri accessori.

Il ricorrente sostiene che le su menzionate cartelle non gli sono mai state notificate ed in conseguenza non ha potuto proporre ricorso avverso di esse; inoltre che la quasi totalità dei tributi risultano armai prescritti in quanto sì riferiscono a somme dovute per gli anni 1988 e dal 1991 al 1996, e nessun atto interruttivo gli è stato mai notificato; ed infine che l’intervenuta prescrizione di parte del credito comporta una diversa quantificazione delle somme eventualmente dovute,

Rileva altresì che la procedura adottata dall’E. s.p.a. è in palese contrasto con la vigente normativa di cui al D.P.R. 602/73, così come modificata dal D.Lgs. 46/99; che, per di più, la S. P. s.p.a. in violazione dell’art. 25, comma 2 bis, del D.P.R. 602/73 non ha mai indicato la data in cui è stato reso esecutivo il molo delle cartelle in questione. Il tutto in palese violazione della legge 212/2000.

Il ricorrente conclude chiedendo all’adita commissione di voler annullare la procedura dell’agente di riscossione, previa preliminare sospensione ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. 546/92, e per l’effetto ordinare l’immediata cancellazione delle eventuali procedure di espropriazione relativamente alle indicate cartelle esattoriali. Nel merito ed in subordine dichiarare l’intervenuta prescrizione di parte del credito e per l’effetto quantificare le somme eventualmente dovute. Il tutto con vittoria di spese.

All’udienza del 06/1272007, n camera di consiglio per l’esame della cautelare, la Commissione, sentito il relatore, sentito il difensore della parte ricorrente che si riporta ai propri atti, con ordinanza n. 236/15/2007 ha accolto la sospensiva.

L’E. con controdeduzioni presentate in data 11/12/07 contesta in via preliminare e pregiudiziale il difetti di giurisdizione dell’adita Commissione e comunque l’inammissibilità del ricorso in quanto l’atto impugnato è un sollecito di pagamento e quindi non rientra tra quelli di cui all’art. 19 D.Lgs. 546/92.

Nel mento e per mero tuziorismo sostiene che le cartelle di pagamento sono state tutte regolarmente notificate e siccome non impugnate si sono rese definitive. Allega, pertanto, gli estratti di ruolo dai quali si evince la data di notifica delle cartelle di pagamento, precisando che le relate non sono più reperibili in quanto sono ormai trascorsi i termini dei cinque anni per la loro conservazione, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. 602/73.

Infine, in mento alla prescrizione sostiene che l’unico responsabile è l’Amministrazione finanziaria che non risulta convenuta. Conclude chiedendo il rigetto del ricorso, con vittoria di spese.

All’odierna udienza in camera di consiglio la Commissione, sentito il relatore, ha deciso come di seguito specificato.

Motivi della decisione
Il ricorso è fondato ed in conseguenza va accolto.

Preliminarmente si osserva che le deduzioni della parte resistente attinenti il difetto di giurisdizione dell’adita Commissione Tributaria e comunque l’inammissibilità del proposto ricorso in quanto l’atto impugnato è solo un avviso di pagamento, non rientrando tra gli atti di cui all’art. 19 del D.Lgs. 546/92, non possono essere accolte per i seguenti motivi. Per quanto attiene alla prima contestazione si rileva che il Legislatore con legge 248/06, di conversione del D.L. 223/06, ha disposto che le opposizioni avverso gli atti riguardanti il fermo amministrativo e l’iscrizione ipotecaria rientrano nella sfera di competenza delle Commissioni Tributarie. Tanto precisato si rileva e si ritiene che anche il sollecito di pagamento di pretese erariali, quale comunicazione che precede, in caso di non assolvimento, l’eventuale atto su menzionato non può che essere paragonato ad esso e quindi rientrare nella sfera di competenza del Giudice tributario. Per un identico motivo si palesa ammissibile il ricorso in quanto il sollecito di pagamento fa riferimento ad atti amministrativi, quali le cartelle esattoriali, che il ricorrente sostiene di non aver mai ricevuto; il che si ritiene applicabile nella fattispecie in esame il comma 3 del citato art. 19, considerando la comunicazione di pagamento quale atto notificato successivamente consentendone l’impugnazione di detto atto con le cartelle esattoriali. In tal senso si è pronunciata una prevalente giurisprudenza di merito e di legittimità, per ultimo Cassazione sentenza n. 21405/2007 con riferimento all’ampliamento delle giurisdizione tributaria operato già con l’art.. 12 della legge 448/01.

Passando all’esame di merito della controversia, ossia che mentre il ricorrente lamenta di non aver mai ricevuto le cartelle di pagamento alle quali si richiama l’impugnato avviso di pagamento, la controparte sostiene, invece, che le stesse, come risulta dagli allegati estratti di ruolo, sono state regolarmente notificate, si osserva quanto segue.

La parte resistente afferma che le menzionate cartelle di pagamento sono state regolarmente notificate in quanto sugli estratti di ruolo risultano riportate degli estremi di notifica. Orbene, i semplici riferimenti di date in cui risulterebbero avvenute le notifiche non possono essere considerati come elementi probatori, atteso che l’elemento di prova che un atto amministrativo sia stato notificato al contribuente destinatario è l’avviso di ricevimento debitamente firmato sia dal ricevente o da altra persona convivente, sia dal consegnatario (Cass. SSUU ordinanza n. 438 del 13/01/2005). L’E. non ha provato e ne prodotto in sede contenziosa nessuno avviso di ricevimento, sostenendo, invece, che le relate di dette cartelle sono irreperibili in quanto sono trascorsi i termini previsti dall’art. 26 del D.P.R. 602/73 per la loro conservazione. Ebbene neanche quest’ultima puntualizzazione della parte resistente può essere condivisa, allorquando si rileva che l’obbligo della prova, nella fattispecie in esame, incombe su di essa. Ad ogni buon conto non si ritiene che si possa accampare, comunque, il diritto di pretendere dal contribuente il pagamento dell’importo di una cartella emessa parecchi anni senza dimostrare prima l’avvenuta comunicazione al soggetto passivo d’imposta, e trincerandosi dietro il decorso del termine di cui aveva obbligo di conservare la relata. In simile circostanza, atteso la necessità di allegare alla cartella di pagamento la relata di notifica, il trascorso dei cinque anni, senza alcun invio di sollecito di pagamento, quale atto d’interruzione, non può essere un elemento incondizionato per il pagamento; necessitando, quindi, l’obbligo d’indicare i presupposti idonei a reggere l’avanzata pretesa fiscale. Il tutto anche nella considerazione che i tributi richiesti in pagamento con l’impugnato sollecito si riferiscono agli anni 1988 e dal 1991 al 1996, con cartelle esattoriali emesse negli anni 1998, 99, 2001, 2003 e 2006; a riguardo giova evidenziare che neanche per gli anni 2003 e 2006 il resistente ha prodotto le relate di notifica.

Alla luce di quanto esposto ne consegue che in accoglimento del ricorso de quo l’atto impugnato, quale atto di sollecito di pagamento di non dimostrate notifiche di relative cartelle esattoriali, va annullato in quanto privo di effetti giuridici, compensando, tuttavia, tra le parti le spese di giudizio per la particolare questione trattata.

P.Q.M.
La Commissione accoglie il ricorso ed annulla l’atto impugnato. Spese compensate.


Cass. civ. Sez. Unite, (ud. 04-03-2008) 04-04-2008, n. 8740

La problematica oggetto di discussione è quella attinente al demansionamento o meno di un dipendente comunale qualora venga raggiunto da un provvedimento amministrativo che assegni quest’ultimo da un ufficio ad un altro.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – rel. Primo Presidente

Dott. CORONA Rafaele – Presidente di sezione

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – consigliere

Dott. VITRONE Ugo – Consigliere

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere

Dott. SETTIMJ Giovanni – Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAPISTRELLO;

– intimato –

e sul 2^ ricorso n 23834/06 proposto da:

COMUNE DI CAPISTRELLO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PRATI FISCALI 284, presso lo studio dell’avvocato MARGIOTTA GAETANO, rappresentato e difeso dall’avvocato SIMONE RENATO, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale – avverso la sentenza n. 181/06 della Corte d’Appello di L’AQUILA, depositata il 02/03/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/03/08 dal Presidente Dott. CARBONE Vincenzo;

uditi gli avvocati VALLEBONA Antonio, SIMONE Renato;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso incidentale;

rinvio per il resto ad una Sezione semplice.

Svolgimento del processo
D.A. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Avezzano il Comune di Capistrello, suo datore di lavoro, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti a demansionamento e mobbing. Il Tribunale, con sentenza del 18 gennaio 2005, respingeva il ricorso.

Su appello del lavoratore la Corte d’appello di L’Aquila, sezione lavoro, con sentenza del 16 febbraio 2006 – il cui dispositivo veniva corretto con successivo decreto – respingeva l’appello, compensando le spese dei due gradi di giudizio.

Osservava il Giudice di secondo grado che il lavoratore aveva lamentato di essere stato privato delle sue mansioni di capo dell’Ufficio tecnico comunale, configurando la vicenda in termini di demansionamento affiancato da mobbing nei suoi confronti. A seguito della riforma del pubblico impiego, però, doveva ritenersi in facoltà dell’ente pubblico modificare l’assegnazione dei propri dipendenti nei posti in organico; nel caso specifico, il Comune di Capistrello aveva mantenuto il posto di tecnico ricoperto dal D., istituendo nel contempo un posto di tecnico laureato al vertice del medesimo settore, con la conseguenza che il ricorrente era venuto a trovarsi in posizione subordinata. Tale modifica, però, non era da reputarsi illegittima, perchè l’appellante aveva conservato “mansioni congrue rispetto al suo inquadramento”, senza che risultasse alcuna prova di un motivo illecito nell’istituzione del nuovo posto di vertice. Quanto all’asserito mobbing, la Corte abruzzese affermava che era totalmente mancata ogni prova sul punto.

Avverso la citata sentenza propone ricorso per cassazione il D., affidato a due motivi. Resiste il Comune di Capistrello con apposito controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato; entrambe le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione
Col primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, in relazione all’art. 360 c.p.c, n. 3, per avere erroneamente affermato che nel lavoro pubblico privatizzato sarebbe ammissibile ed insindacabile una variazione di mansioni anche lesiva della specifica professionalità del lavoratore, purchè si tratti di mansioni appartenenti al medesimo livello di inquadramento. Osserva al riguardo il ricorrente che – secondo il disposto del citato art. 52, il lavoratore deve essere assegnato alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle considerate equivalenti nell’ambito della classificazione prevista dai contratti collettivi; non tutte le mansioni comprese in un certo livello di inquadramento sono “equivalenti”, ma solo quelle per le quali sia stata compiuta un’apposita valutazione. La sentenza impugnata, quindi, dovrebbe essere cassata per l’errore di diritto in cui è incorsa, non essendosi posta il problema di accertare in concreto l’equivalenza tra le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore e quelle per le quali il medesimo era stato assunto.

Col secondo motivo di ricorso il D. censura la sentenza per l’omessa (o comunque insufficiente) motivazione consistente nell’aver affermato, senza alcuna motivazione, che l’appellante aveva conservato mansioni congrue rispetto al suo inquadramento, ossia senza tener conto del fatto che sul punto c’era disaccordo tra la tesi del medesimo ricorrente e quella del Comune convenuto.

Il Comune di Capistrello, invece, dopo aver contestato tutte le affermazioni contenute nel ricorso, censura in via incidentale la sentenza di secondo grado, per la sola ipotesi in cui vengano ritenuti fondati i motivi del ricorso principale. Osserva la parte che la variazione dell’organico disposta dal Comune – dalla quale aveva tratto origine il presunto demansionamento del D. e l’intera vicenda processuale – era stata da quest’ultimo impugnata davanti al Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo che, con sentenza in forma semplificata, passata in giudicato, aveva respinto il ricorso. Per pacifica giurisprudenza, il Giudice ordinario non può disapplicare atti amministrativi la cui legittimità sia stata accertata in via definitiva dal giudice amministrativo; nel caso specifico, la Corte d’appello avrebbe errato nella parte in cui ha omesso di rilevare che, per poter valutare il merito della domanda, essa avrebbe dovuto superare il vincolo del giudicato amministrativo, cosa evidentemente non consentita.

Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

I motivi del ricorso principale sono entrambi infondati.

La sentenza qui censurata, infatti, con una motivazione succinta ma tuttavia sufficiente, ha accertato che nel caso in esame il Comune di Capistrello aveva effettuato una modifica dell’organico comunale in virtù della quale l’odierno ricorrente – prima capo del settore tecnico – si è trovato ad essere in posizione non più di vertice in conseguenza della creazione ex novo di un posto di tecnico laureato.

A seguito di tale modifica – pacificamente riconosciuta legittima dal TAR per l’Abruzzo, con sentenza definitiva il D. ha comunque mantenuto mansioni congrue rispetto al suo inquadramento, nessun rilievo potendo essere riconosciuto al fatto che egli sia venuto a trovarsi in posizione subordinata rispetto a quella di un neoassunto con qualifica superiore. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, a differenza dell’art. 2103 c.c., infatti, impone nei confronti del prestatore di lavoro pubblico il mantenimento delle mansioni per le quali è stato assunto o di quelle “considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi”, senza dare rilievo a quelle in concreto svolte.

Ne consegue che – anche omettendo di tener presente il vincolo costituito, nei confronti del Giudice ordinario, dal giudicato amministrativo circa la legittimità del mutamento dell’organico del Comune – l’impugnata sentenza ha dato conto in modo sufficiente delle ragioni per le quali il ricorrente non ha subito, in effetti, alcun demansionamento.

Allo stesso modo, la Corte d’appello ha accertato che il ricorrente non ha fornito alcuna prova in ordine al contestato mobbing, con una verifica congruamente motivata e, come tale, insindacabile in sede di legittimità.

L’infondatezza del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Attesa la natura della controversia, la Corte ritiene di compensare integralmente le spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte di cassazione, Sezioni Unite, riunisce i ricorsi, rigetta quello principale, dichiara assorbito quello incidentale e compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2008


Cass. civ. Sez. V, (ud. 18-12-2007) 10-03-2008, n. 6325

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente

Dott. RUGGIERO Francesco – Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere

Dott. MARINUCCI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

e da AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.A.O. CENTER ART ORIENT SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 253/01 della Commissione Tributaria Regionale di MILANO, depositata il 02/07/01;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 18/12/07 dal Consigliere Dott. Massimo SCUFFI;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Federico Sorrentino, con le quali si chiede l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
– rilevato che la Commissione tributaria regionale di Milano – confermando la decisione di prime cure di accoglimento del ricorso della srl C.A.O. Center Art Orientai avverso la cartella di pagamento IRPEG – ILOR 1991 – ha ribadito la nullità del ruolo per invalidità derivata dall’avviso di accertamento presupposto stante la mancata ultimazione dell’operazione notificatoria in difetto di prova dell’invio della prescritta raccomandata con ricevuta di ritorno a contribuente irreperibile – visto il ricordo dell’Amministrazione finanziaria che ha chiesto la cassazione della sentenza per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 le formalità dell’art. 140 c.p.c. dovendo cedere a fronte di quella normativa speciale esigente il mero deposito dell’atto nell’albo pretorio;

– ritenuto – in via generale – che la notificazione dell’avviso di accertamento al contribuente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 1, lett. e) il quale deroga, in materia, all’art. 140 c.p.c. è ritualmente eseguita, quando nel Comune nel quale deve eseguirsi non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, mediante affissione dell’avviso del deposito prescritto dal citato art. 140 nell’albo comunale, senza necessità di spedizione della raccomandata e senza che l’ufficio sia tenuto ad espletare ricerche, in particolare anagrafiche, essendo un tale obbligo configurarle soltanto nel caso di intervenuto spostamento di residenza nell’ambito dello stesso.

– considerato – nello specifico – che, in caso di impossibilità di eseguire la notificazione presso la sede di una società commerciale, l’applicazione del criterio sussidiario della notificazione al legale rappresentante, previsto dall’art. 145 c.p.c., comma 3, non può sottrarsi alla suddetta regola generale ed è, pertanto, condizionata al fatto che tale persona fisica risieda nel Comune di domicilio fiscale dell’ente (Cass. 3558/02);

atteso che la sentenza impugnata non sembra porsi in linea con siffatti principi per cui – in accoglimento del ricorso dell’Amministrazione – va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia per i conseguenti riscontri e determinazioni anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Suprema Corte Accoglie il ricorso,cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa- anche per le spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2008


Principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti degli Enti locali

Il Consiglio di Stato con tale sentenza ribadisce “il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti degli Enti locali, fissato dall’art. 19 D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191, ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’Amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d’ufficio spettanti ai detti dipendenti (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. II, – 25 gennaio 2003 n. 117 e 15 aprile 2000 n. 421)”.

Leggi: Consiglio di Stato Sentenza n. 493 del 12 febbraio 2008


Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile – Sentenza del 19 febbraio 2008, n. 4061

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente

Dott. MAIORANO Francesco Antonio – Consigliere

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere

Dott. DE MATTEIS Aldo – rel. Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.B., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO Giuseppe Sante, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBARELLO GIORGIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA IV NOVEMBRE 144, presso gli avvocati LA PECCERELLA Luigi, RASPANTI RITA, che lo rappresentano e difendono giusta PROCURA IN ATTI DEL 13/10/2005, REP. N. 69201, Notaio Tuccari di Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/05 della Sezione distaccata di Corte d’Appello di BOLZANO, depositata il 28/04/05, r.g.n. 73/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13/12/07 dal Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;

udito l’Avvocato ALBARELLO;

udito l’Avvocato RASPANTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

La questione di diritto oggetto del presente giudizio è se le comunicazioni di cancelleria ex 136 c.p.c., possano essere validamente effettuate attraverso e-mail con risposta di conferma, documentate dalla relativa stampa cartacea.

La causa è iniziata con ricorso del Sig. I.B. del 13 novembre 2002 avanti al giudice del lavoro per ottenere la condanna dell’Inail alla corresponsione di rendita per inabilità per infortunio sul lavoro subito il 29 giugno 2000. Dopo la costituzione dell’Inail, essendo stata l’udienza di assunzione delle prove orali rinviata per impedimento del giudice, il cancelliere ha comunicato la data della nuova udienza “per gli stessi incombenti” a mezzo di due e- mail, destinate all’indirizzo di posta elettronica dei difensori delle parti, con conferma della ricezione, secondo la procedura convenuta tra la Corte d’Appello di Trento ed il locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, all’indirizzo e-mail comunicato dallo stesso avvocato al Consiglio dell’Ordine e da questo alla Corte d’Appello. Non avendo la parte ricorrente intimato i propri testi, la causa veniva istruita con il solo teste di parte resistente e decisa con il rigetto della domanda.

L’appello dell’ I. è stato respinto dalla Corte d’Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza 27/28 aprile 2005 n. 18, che ha altresì condannato l’appellante soccombente alle spese del grado.

Il giudice di appello ha preliminarmente individuato il fatto, qualificandolo pacifico: la comunicazione di cancelleria risulta pervenuta allo studio professionale del difensore di parte ricorrente in modalità elettronica e, con la stessa modalità, è stata data risposta di ricezione, di che risulta conservata in atti la documentazione cartacea.

A tale fatto ha applicato i seguenti criteri decisori:

1. il principio di libertà delle forme con le quali la comunicazione disciplinata dall’art. 136 c.p.c., può essere effettuata;

2. il raggiungimento dello scopo della comunicazione, dimostrato sia dal messaggio di conferma, dato non in automatico, ma con il comando volontario “rispondi”, sia dalla presenza del difensore all’udienza di assunzione delle prove;

3. la disciplina legislativa specifica sulle comunicazioni di cancelleria con il mezzo elettronico.

Analizzate le singole fonti normative (L. n. 59 del 1997, art. 15, comma 2, del D.Lgs. n. 39 del 1993, art. 6, D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, artt. 2 e 6), il giudice di appello ha distinto tra requisiti del documento informatico per i quali è richiesta la sottoscrizione con firma digitale, e comunicazione con biglietto di cancelleria, che non è un documento informatico ma una semplice modalità di trasmissione telematica, per la quale va seguita la disciplina appositamente prevista dal cit. D.P.R. n. 123 del 2001, art. 6, con distinzione già recepita dal D.P.R. n. 513 del 1997, art. 12. Ha infine rilevato che nella fattispecie in esame vi è addirittura un passaggio in più che garantisce la realizzazione dello scopo legale della procedura, e cioè una risposta non in automatico ma intenzionalmente generata dal computer destinatario a mezzo del tasto “rispondi” del programma di ricezione e scarico della corrispondenza elettronica.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’ I., con unico articolato motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., e note d’udienza.

L’Istituto intimato si è costituito con controricorso, resistendo.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, artt. 6 e 8; D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 25; D.P.R. 7 aprile 2003, n. 137;

D.Lgs. 23 febbraio 2002, n. 10, ripropone l’argomento, già esaminato e respinto dalla sentenza impugnata, secondo cui anche la comunicazione di cancelleria ai sensi dell’art. 136 c.p.c., richiede la firma digitale.

Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata risulta corretta nel suo doppio percorso argomentativo, quello che trova fondamento nella disciplina codicistica, e quello basato sull’esegesi della legislazione speciale.

1. L’art. 136 c.p.c., nel testo vigente al tempo dei fatti di causa, disponeva: “1. Il cancelliere, con biglietto di cancelleria in carta non bollata, fa le comunicazioni che sono prescritte dalla legge o dal giudice al pubblico ministero, alle parti….; 2. Il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, o notificato dall’ufficiale giudiziario”. L’art. 45 disp. att. c.p.c., precisa poi che il biglietto si compone di due parti uguali, una delle quali deve essere consegnata al destinatario e l’altra deve essere conservata nel fascicolo d’ufficio. In questa parte che viene inserita nel fascicolo d’ufficio deve essere estesa la relazione di notificazione dell’ufficiale giudiziario o scritta la ricevuta del destinatario.

Questa Corte ha già esaminato la questione di diritto se la comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria debba avere luogo nelle forme specificate dall’art. 136 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.p.c., o possa viceversa avere rilievo anche la conoscenza del provvedimento acquisita per altra via. Ha statuito, con orientamento antico e costante, fatto proprio dalle Sezioni Unite, che si possono ammettere forme equipollenti a quelle stabilite dall’ordinamento (volte a garantire in via generale la conoscenza di un atto al fine dell’osservanza dei termini di decadenza relativi), ogni qual volta ci sia un’attività del cancelliere, sia assicurata la completa conoscenza della comunicazione da parte del destinatario, nonché la certezza della data (Cass. sez. un., 10 giugno 1998, n. 5761, in motivazione; per l’enunciazione dello stesso principio in apicibus Cass. 21 novembre 2006 n. 24742; Cass. 15 febbraio 2006 n. 3286). La declinazione in concreto di tali elementi essenziali risente della diversità delle fattispecie. La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto validi equipollenti: il “visto per presa visione” apposto dal procuratore o da suo incaricato sull’originale del biglietto di cancelleria predisposto per la comunicazione o sul provvedimento del giudice (Cass. 16 giugno 2004 n. 11319; Cass. 29 aprile 2002 n. 6221; Cass. 29 ottobre 1998 n. 10791; Cass. 12 settembre 1992 n. 10422); l’inserimento, ad opera del cancelliere, nel verbale d’udienza, del decreto di liquidazione del compenso al consulente tecnico, e la verbalizzazione dell’impegno della parte a corrispondere la somma liquidata (Cass. 26 giugno 2006 n. 14737); la dichiarazione resa nella cancelleria di aver preso visione dell’atto e di rinunciare alla relativa comunicazione (Cass. 20 ottobre 2005 n. 20279).

In tutte le fattispecie esaminate rileva un elemento volontaristico, e cioè l’accettazione da parte del procuratore nella forma equipollente, accettazione che tiene luogo nella sottoscrizione prevista dall’art. 45 disp. att. c.p.c..

In altre fattispecie viene posto in rilievo il raggiungimento dello scopo della comunicazione, come in quella esaminata da Cass. 12 febbraio 2000 n. 2068, che ha ritenuto valido equipollente il rilascio al creditore, su sua richiesta, di copia autentica del decreto con il quale il giudice delegato aveva fissato l’udienza per la comparizione delle parti e stabilito il termine per la notifica del provvedimento al curatore, in quanto tutto ciò comporta la effettiva presa di conoscenza, da parte del creditore stesso, del decreto “de quo”, ancorché non comunicato dal cancelliere a norma dell’art. 136 cod. proc. civ., qualora risulti che l’atto abbia raggiunto il suo scopo per avere il creditore immediatamente utilizzato il detto decreto chiedendone la notificazione al curatore del fallimento.

Posto il principio volontaristico che precede, la comunicazione da parte dell’avvocato del proprio indirizzo e-mail all’Ordine, per la successiva comunicazione alla Corte d’Appello, secondo la procedura prevista dall’accordo tra la Corte d’Appello di Trento ed il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, costituisce: a) adesione del professionista alla convenzione, b) consenso acchè la comunicazione di cancelleria gli sia effettuata con tale modalità; c) garanzia che all’indirizzo dato il messaggio di cancelleria sarà letto dall’avvocato stesso o da altra persona addetta allo studio (sulla nozione di destinatario ai fini dell’art. 136 c.p.c., e sulla sufficienza che la comunicazione pervenga a collaboratore del destinatario addetto allo studio: Cass. 25 settembre 2000 n. 12666, Cass. 14 aprile 1996 n. 332).

La risposta, non in automatico, di aver ricevuto la comunicazione garantisce la certezza richiesta dall’art. 136 c.p.c..

La procedura di comunicazione seguita risulta pertanto corretta sulla semplice base codicistica, e, con ogni evidenza, volta a realizzare l’obiettivo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, inserito dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1992 n. 2. 2. La procedura prevista da tale convenzione risulta corretta anche alla luce della legislazione speciale sul tema.

Come correttamente ricordato dalla sentenza impugnata, già la L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 15, comma 2 (Delega al governo per la riforma della pubblica amministrazione), disponeva che “gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”, rimandando poi per la determinazione de “i criteri e le modalità di applicazione del presente comma” a specifici regolamenti; e il D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39, art. 6, menziona l’amministrazione della giustizia tra i soggetti pubblici destinati ad utilizzare i sistemi informativi automatizzati, sia pure con la riserva di particolari modalità di applicazione.

Il Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti è stato emanato con D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, ed è il testo fondamentale che interessa la questione oggetto della presente causa.

Tre sono le norme principali che sorreggono la tesi della sentenza impugnata sulla distinzione tra documenti informatici a firma digitale e comunicazioni telematiche di cancelleria: l’art. 2:

“l’attività di trasmissione, comunicazione o notificazione, dei documenti informatici è effettuata per via telematica attraverso il sistema informatico civile, fatto salvo quanto stabilito dall’art. 6;

l’art. 4, comma 3: “Ove dal presente regolamento non è espressamente prevista la sottoscrizione del documento informatico con la firma digitale, questa è sostituita dall’indicazione del nominativo del soggetto procedente prodotta sul documento dal sistema automatizzato, a norma del D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39, art. 3, comma 2; l’art. 6: “Le comunicazioni con biglietto di cancelleria, nonché la notificazione degli atti, quest’ultima come documento informatico sottoscritto con firma digitale, possono essere eseguite per via telematica, oltre che attraverso il sistema informatico civile, anche all’indirizzo elettronico dichiarato ai sensi dell’art. 7”.

E’ evidente la contrapposizione, contenuta nell’art. 6, tra notificazione degli atti effettuata con firma digitale attraverso il sistema informatico civile, e comunicazioni con biglietto di cancelleria eseguita all’indirizzo elettronico dichiarato ai sensi dell’art. 7, secondo il quale ai fini delle comunicazioni e delle notificazione ai sensi dell’art. 6, l’indirizzo elettronico del difensore è unicamente quello comunicato dal medesimo al Consiglio dell’Ordine.

Altre norme del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, concorrono alla medesima conclusione: l’art. 3, commi 2 e 3, per i quali al sistema informatico civile possono accedere attivamente soltanto i difensori delle parti e gli ufficiali giudiziari, e non altri soggetti; le varie norme che, in attuazione dell’art. 4, comma 3 cit., precisano quali atti devono essere formati come documenti informatici sottoscritti con firma digitale (art. 6 per le notificazioni, art. 10 per la procura alle liti, art. 11 per l’iscrizione al ruolo, art. 15 per il deposito della relazione del C.T.U., art. 17 per la trasmissione della sentenza).

Infine la L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, n. 1, lett. b, modificando leggermente la formula dall’art. 136 c.p.c., comma 2 (“Il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, o è rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica”), evidenzia la distinzione di ruoli e di modalità di comunicazione tra il cancelliere e l’ufficiale giudiziario. Ed il terzo comma dell’art. 136, introdotto dalla Legge citata (“Le comunicazioni possono essere eseguite a mezzo telefax o a mezzo posta elettronica nel rispetto della normativa anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici teletrasmessi”), nel ribadire la distinzione tra documenti informatici e teletrasmessi, rinvia alla normativa regolamentare sopra citata.

Il carattere sostitutivo della procedura telematica rispetto a quella cartacea prevista dall’art. 136 c.p.c. e art. 145 disp. att. c.p.c.;

la possibilità, ridotta ma effettiva, di malfunzionamento del sistema di trasmissione; la gravità delle conseguenze decadenziali, impongono di ritenere che sia necessaria la risposta manuale di ricevuta con il tasto “rispondi”, e non sufficiente la risposta in automatico “letto” (per identica soluzione, limitatamente alla risposta “ok” del servizio di trasmissione via fax vedi Cass. 25 marzo 2003 n. 4319 e 3286/2006 cit.). Nè argomenti in contrario sembra possano trarsi dallo jus superveniens costituito dal nuovo testo dell’art. 136 c.p.c., comma 3, perché questo rinvia alla normativa regolamentare sopra citata, la quale non disciplina il punto specifico in esame. Né alla materia processuale, specificamente disciplinata dal D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, è applicabile il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513, art. 12 (Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 15, comma 2), per il quale il documento informatico trasmesso per via telematica si intende inviato e pervenuto al destinatario se trasmesso all’indirizzo elettronico da questi dichiarato.

Poiché nel caso di specie il destinatario della comunicazione ha dato la risposta per ricevuta non in automatico, la comunicazione risulta validamente effettuata.

Si deve conclusivamente enunciare il seguente principio di diritto, in relazione alla fattispecie di causa: “E’ valida la comunicazione di cancelleria ex art. 136 c.p.c., effettuata per e-mail all’indirizzo elettronico comunicato dal difensore al proprio Consiglio dell’Ordine e da questi alla Corte d’Appello competente, a norma del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, artt. 2, 4, 6, del quale il destinatario ha dato risposta per ricevuta non in automatico, documentata dalla relativa stampa cartacea”.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 253, 257 e 421 c.p.c.; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione. Censura la sentenza impugnata per non aver ammesso le domande all’unico teste e non avere delibato le richieste della difesa del ricorrente; e per non aver ammesso la consulenza medica sugli esiti dell’infortunio.

Il motivo è assorbito dal rigetto del primo motivo; peraltro esso è inammissibile, per difetto di autosufficienza, perché non specifica le circostanze su cui il teste avrebbe dovuto testimoniare, al fine di consentire a questa Corte di apprezzarne la rilevanza.

Con il terzo motivo il ricorrente si duole della condanna alle spese del grado di appello, deducendo errata applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11; rileva che la corte territoriale non ha tenuto conto dei seguenti documenti, ritualmente prodotti: 1. della dichiarazione reddituale prodotta in primo grado;

2. dell’ulteriore dichiarazione reddituale prodotta ed allegata alle note difensive conclusionale del 7 aprile 2005 (documento 5), entrambe attestanti che il ricorrente poteva beneficiare della non soccombenza per le spese processuali. Anche questo motivo è inammissibile, perché non specifica il reddito dichiarato, che avrebbe consentito l’esenzione dalle spese processuali ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326.

Le spese processuali del presente giudizio vengono compensate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 13 novembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2008


Cons. Stato Sez. V, 12-02-2008, n. 493

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5196/1999, proposto da P.B., L.B., I.B., R.B., R.B., L.B., D.C., A.C., S.C., C.C., M.G.D.M., E.D.C., V.F., G.M.F., F.A., N.F., B.F., A.F., D.L., M.M., S.M., P.M., E.N., M.P., P.P., A.R.S., P.T., A.T., S.Z., rappresentati e difesi dagli Avvocati Gilberto Gualandi e Federico Gualandi ed elettivamente domiciliati presso lo studio del Dott. Gian Marco Grez, in Roma, Lungotevere Flaminio, n. 46, Palazzo IV, scala B.

CONTRO

il comune di Bologna, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avvocati Luisa Simoni, Annamaria Capello Castagna e Prof. Giorgio Stella Richter, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Orti della Farnesina, n. 126.

Nonché contro il Ministero delle finanze, non costituito in giudizio.

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione Seconda, 21 ottobre 1998, n. 346.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;

Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore alla pubblica udienza del 23 ottobre 2007, il Consigliere Marco Lipari;

Uditi GLI AVV.TI Saporito per delega di Gualandi e Sanino per delega di Stella Richter, come da verbale di udienza;

Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dagli attuali appellanti, e da altri 3 ricorrenti, dipendenti del comune di Bologna, volto all’accertamento del loro diritto ad ottenere la corresponsione del compenso per gli atti notificati a richiesta dell’amministrazione finanziaria dello Stato.

2. Gli appellanti ripropongono e sviluppano gli argomenti difensivi disattesi dal tribunale.

3. Il comune resiste al gravame.

Motivi della decisione
1. Gli appellanti, ricorrenti in primo grado, sono dipendenti del comune di Bologna, inquadrati nella IV qualifica funzionale, con il profilo professionale di “addetto al servizio di notificazione degli atti”, nell’Area giuridica e amministrativa.

2. In tale veste rivendicano il diritto al compenso per l’effettuazione delle notifiche di atti nell’interesse dell’amministrazione finanziaria dello Stato, pari a lire tremila per ogni atto.

3. L’appello è infondato.

4. Infatti, il principio di omnicomprensività della retribuzione impedisce di attribuire compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici.

5. In tale ambito si colloca anche l’attività di notificazione svolta dai messi comunali nell’interesse dell’amministrazione finanziaria, tenendo conto della evoluzione dell’ordinamento.

6. Il Collegio è consapevole della decisione della Sezione, 20 ottobre 1994, n. 1183, la quale ha affermato la sussistenza del diritto dei dipendenti comunali messi notificatori ad ottenere un compenso aggiuntivo per l’espletamento del servizio delle notificazioni, qualificato come aggiuntivo e autonomamente disciplinato, quanto all’aspetto retributivo.

7. Detta pronuncia, tuttavia, si riferisce ad un contesto ordinamentale e temporale, nel quale il principio della onnicomprensività retributiva e della contrattualizzazione della disciplina dei compensi spettanti al personale non era ancora completamente attuato.

8. In ogni caso, poi, occorre considerare con attenzione anche il quadro mansionario concretamente attribuito, di volta in volta, ai dipendenti addetti al servizio di notificazione. In tale prospettiva, non può essere trascurato che le attività assegnate agli attuali appellanti consistono proprio “nella funzione di notificazione degli atti di pertinenza del comune e nelle altre incombenze spettanti per legge e per regolamento al messo comunale”.

9. Non risulta smentita, poi, l’affermazione del comune di Bologna, secondo il quale anche la notificazione degli atti nell’interesse dell’amministrazione finanziaria dello Stato si svolge nel normale orario di ufficio e mediante l’utilizzo degli strumenti organizzativi messi a disposizione dall’amministrazione.

10. Numerose disposizioni succedutesi nel tempo, poi, hanno evidenziato la sussistenza del dovere istituzionale dei messi comunali di effettuare le prescritte attività di notifica anche in relazione agli atti di competenza dell’amministrazione finanziaria (fra le tante: art. 32 del D.P.R. n. 636/1972; art. 60 del D.P.R. n. 600/1973.

11. Solo il quadro normativo preesistente al 1979 permetteva il riconoscimento, in favore dei messi comunali, di un compenso aggiuntivo per ogni atto dell’Amministrazione finanziaria notificato. Vi erano, infatti, almeno tre disposizioni che portavano a tale conclusione:

– l’art. 1 della legge 27 febbraio 1955 n. 83, che riconosceva ai messi comunali un compenso di lire 25 per ogni atto notificato ad istanza dell’Amministrazione finanziaria;

– l’art. 1 della legge 24 febbraio 1971 n. 114, che elevava a lire 50 o a lire 100 il compenso per le dette notifiche);

– l’art. 1 della legge 10 maggio 1976 n. 249, che fissava il compenso in una misura variabile da lire 500 a lire 750, a seconda della classe demografica del comune.

12. Successivamente, le tre disposizioni richiamate sono state superate, per abrogazione implicita o esplicita.

13. In particolare, l’art. 19, comma 4, del D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191 ha espressamente stabilito che “al personale dipendente degli Enti locali di cui all’art. 1 compete esclusivamente la retribuzione annua lorda derivante dal trattamento economico di livello e dalla progressione economica orizzontale, inglobante qualsiasi retribuzione per prestazioni a carattere sia continuativo che occasionale ad eccezione del compenso per lavoro straordinario, dell’indennità di missione e trasferimento, dell’indennità per la funzione di coordinamento di cui all’art. 24, del compenso per servizio ordinario notturno e festivo nonché delle indennità per maneggio valori, per radiazioni ionizzanti e per profilassi antitubercolare da determinare con le modalità di cui al regolamento di attuazione della legge n. 734 del 1973, approvato con D.P.R. n. 146 del 1975, e successive modificazioni, nonché con le modalità previste dalla legge n. 310 del 1953”,

14. Mediante tale norma è stata cristallizzato esplicitamente il principio di onnicomprensività del trattamento economico del personale degli enti locali, con la conseguente abrogazione di tutte le disposizioni, anche di valore legislativo, prevedenti componenti retributive non rientranti nell’elencazione prevista dall’art. 19, comma 4.

15. Alla modifica del 1979 sono poi seguiti altri due interventi normativi di rilievo. L’art. 4, comma 2, della legge 12 luglio 1991 n. 202 ha abrogato l’art. 4, comma 1, della legge n. 249 del 1976. L’art. 34 della legge 18 febbraio 1999 n. 28 ha previsto una nuova disciplina, ad efficacia retroattiva, dei compensi di notifica, affermando che “a decorrere dal 27 luglio 1991 e fino all’entrata in vigore della disciplina concernente il riordino dei compensi spettanti ai Comuni per la notificazione degli atti a mezzo dei messi comunali su richiesta di uffici della Pubblica amministrazione, al Comune spetta, ove non corrisposta, la somma di lire tremila per ogni singolo atto dell’Amministrazione finanziaria notificato”.

16. In base a tale norma, il compenso per le notificazioni va corrisposto alle amministrazioni comunali e non già ai dipendenti.

17. Una ulteriore conferma della correttezza di questa interpretazione, deriva dal tenore dell’art. 10 della legge 3 agosto 1999 n. 265, secondo il quale “le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge. Al Comune che vi provvede spetta da parte dell’Amministrazione richiedente, per ogni singolo atto notificato, oltre alle spese di spedizione a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, una somma determinata con decreto dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’interno e delle finanze”.

18. In tale solco si è inserita la interpretazione giurisprudenziale successiva, che sottolinea il rapporto di immedesimazione organica diretta tra Amministrazione finanziaria e singolo messo notificatore.

19. In particolare, in sede interpretativa giurisprudenziale si è chiarito che:

– il diritto dei messi notificatori al compenso per gli atti notificati a richiesta dell’Amministrazione finanziaria, previsto da specifiche norme di legge, è stato soppresso dall’art. 19 del D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191; peraltro la disposizione dell’art. 34 della legge 18 febbraio 1999 n. 28 – concernente il riordino dei compensi spettanti ai Comuni per la notificazione degli atti a mezzo dei messi comunali su richiesta di uffici della Pubblica amministrazione – prevede come unica destinataria l’Amministrazione comunale, con la conseguenza che deve essere esclusa, almeno a livello implicito, qualsiasi volontà legislativa di attribuire un particolare compenso per ogni atto notificato al singolo messo comunale (cfr. T.A.R. Basilicata 13 luglio 2004 n. 725 e T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 20 settembre 2001 n. 5415 e 10 maggio 2000 n. 2343);

20. In senso analogo, la giurisprudenza ha affermato che, in virtù del principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti degli Enti locali, fissato dall’art. 19 D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191, ai dipendenti comunali con la qualifica di messo non spetta alcun compenso aggiuntivo per l’attività di notificazione di atti richiesta al Comune dall’Amministrazione finanziaria, rientrando tali funzioni tra gli ordinari compiti d” ufficio spettanti ai detti dipendenti (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. II, – 25 gennaio 2003 n. 117 e 15 aprile 2000 n. 421);

21. Ancora, si è stabilito che, in tema di notifica degli avvisi di accertamento tributario, qualora l’Amministrazione finanziaria, avvalendosi della facoltà di cui all’art. 600 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, richieda al Comune di provvedere all’incombente a mezzo di messi comunali, si instaura, tra Amministrazione statale ed Ente locale, un rapporto di preposizione gestoria che deve essere qualificato come mandato ex lege, la cui violazione costituisce, se del caso, fonte di responsabilità esclusiva a carico del Comune, non essendo ravvisabile l’instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra Amministrazione finanziaria e messi comunali, che operano alle esclusive dipendenze dell’ Ente territoriale (cfr. T.A.R. Veneto 22 agosto 2002 n. 4508);

22. Infatti, deve escludersi che tra i messi comunali e l’Amministrazione richiedente la notifica corra un rapporto diretto (Cass., SS.UU., 6 giugno 1997 n. 5069, Cass. 16 giugno 1998 n. 5987 e T.A.R. Toscana, Sez. I, 14 novembre 1997 n. 527).

23. Da ultimo, appare significativa la circostanza che sia intervenuto, in epoca successiva, un nuovo assetto della materia, costituito dall’art. 54 del C.C.N.L. del 14 settembre 2000, secondo il quale i messi notificatori sono stati destinatari del compenso pari al 35% degli introiti per le notifiche.

24. Tale evenienza conferma come sia indispensabile, per il riconoscimento della pretesa indennità in favore del personale dipendente, una norma specifica che lo consenta.

25. È appena il caso di osservare che le recenti decisioni della IV Sezione (19 febbraio 2007, n. 850 e 14 febbraio 2006, n. 604), citate dagli appellanti, non alterano la conclusione raggiunta, perché esse si limitano ad affermare la persistente vigenza dell’obbligo dell’amministrazione finanziaria di corrispondere ai comuni un compenso per l’effettuazione delle notifiche, senza prendere alcuna esplicita posizione sulla fondatezza della pretesa economica fatta valere dai dipendenti.

26. Al riguardo, è necessario chiarire che, contrariamente a quanto ritenuto dagli appellanti, le somme liquidate dall’amministrazione finanziaria non sono incassate dal comune di Bologna “senza titolo”. Infatti, dette somme sono destinate a compensare, almeno in parte, il servizio erogato dall’ente locale a vantaggio dell’amministrazione statale.

27. Ma ciò non significa affatto che si tratti di somme destinate alla retribuzione dei singoli messi comunali.

28. In definitiva, quindi, l’appello deve essere respinto.

29. Le spese possono essere compensate, considerando la complessità delle questioni giuridiche trattate.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, respinge l’appello, compensando le spese;

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23 ottobre 2007, con l’intervento dei signori:

RAFFAELE CARBONI Presidente

MARCO LIPARI – Consigliere Estensore

CARO LUCREZIO MONTICELLI – Consigliere

MARZIO BRANCA – Consigliere –

NICOLA RUSSO – Consigliere


Cons. Stato Sez. IV, 08-02-2008, n. 430

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

composto dai Signori:

Gaetano Trotta Pres.

Luigi Maruotti Est. Cons.

Pier Luigi Lodi Cons.

Giuseppe Romeo Cons.

Carlo Deodato Cons.

ha pronunciato la presente

DECISIONE

nella Camera di Consiglio del 05 Febbraio 2008

(Ai sensi degli artt. 21 e 26 della legge n. 1034/1971, come modificata dalla legge n. 205/2000)

Visto l’appello proposto da:

E.C. S.R.L.

rappresentato e difeso dagli Avv.ti ANDREA MANZI, ANTONIO SARTORI e CLAUDIO CODOGNATO con domicilio eletto in Roma VIA F. CONFALONIERI N.5 presso ANDREA MANZI

contro

G.D.

non costituitosi;

e nei confronti di

REGIONE VENETO

non costituitosi;

COMUNE DI VENEZIA rappresentato e difeso dagli Avv.ti ANTONIO IANNOTTA, GIULIO GIDONI, GIUSEPPE VENEZIAN, M.M. MORINO, MAURIZIO BALLARIN, NICOLETTA ONGARO e NICOLÒ PAOLETTI con domicilio eletto in Roma VIA BARNABA TORTOLINI 34 presso NICOLO’ PAOLETTI per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della sentenza del TAR VENETO – VENEZIA: Sezione II 3493/2007, resa tra le parti, concernente ANNULLAMENTO PERMESSO DI COSTRUIRE.

Visti gli atti e documenti depositati con l’appello;

Vista la domanda di sospensione dell’ efficacia della sentenza di accoglimento, presentata in via incidentale dalla parte appellante.

Visto l’atto di costituzione in giudizio di:

COMUNE DI VENEZIA

Udito il relatore Cons. Luigi Maruotti e uditi, altresì, per le parti l’avv. A. Manzi e l’avv. Paoletti;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
che alle parti è stato prospettato che la definizione del secondo grado del giudizio può avere luogo in questa sede e rilevato che esse hanno sul punto concordato;

Rilevato che – come dedotto col primo motivo di appello – il ricorso di primo grado non è stato ritualmente notificato alla società controinteressata (odierna appellante), poiché l’ufficiale giudiziario, in data 27 settembre 2007, pur essendosi recato presso la sua sede (nel domicilio anche indicato nella originaria domanda di permesso di costruire), ha avuto notizia del “trasferimento” della società, senza porre in essere le ulteriori attività necessarie per il perfezionamento della notifica;

Considerato che sussistono i presupposti per applicare il beneficio dell’errore scusabile, poiché l’originaria ricorrente ha tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario gli atti volti alla notifica del ricorso alla controinteressata;

Considerato che, in ragione del mancato rispetto del principio del contraddittorio in primo grado, la sentenza gravata va annullata con rinvio al TAR per il Veneto, il quale si pronuncerà anche in ordine alle spese e agli onorari dei due gradi della presente fase del giudizio;

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l’appello n. 9852 del 2007 e annulla la sentenza del TAR per il Veneto n. 3493 del 2007, con rinvio allo stesso TAR, per la definizione del ricorso di primo grado n. 1879 del 2007.

Spese al definitivo.

La presente decisione sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Roma, 05 Febbraio 2008


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 04/12/2007) 29/01/2008, n. 1925

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SACCUCCI Bruno – Presidente

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro p.t. e AGENZIA delle ENTRATE in persona del legale rappresentante; domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, da cui sono rappresentati e difesi ope legis;

– ricorrenti –

contro

V.A., elettivamente domiciliato in Roma via Giovanni Nicotera n. 31, presso l’avv. PIZZONIA Giuseppe, da cui è rappresentato e difeso unitamente all’avv. Giuseppe Russo Corbace per procura a margine del ricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – n. 241.49.2000, sez. 49, depos. in data 28.03.2001;

Udita la relazione della causa svolta in pubblica udienza del 4.12.2007 dal Consigliere Dott. Gaetano Antonio Bursese;

sentito per il controricorrente l’avv. Giuseppe Russo Corvace;

udito il P.M. in persona del sost. P.G. Dott. APICE Umberto, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

V.A. posponeva opposizione avverso l’avviso di liquidazione con il quale l’allora Ufficio de Registro di Milano determinava l’imposta principale dovuta a seguito della registrazione della sentenza n. 8683 emessa dal Tribunale civile di Milano in data 14.06.94 all’esito della causa civile riguardante l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto. Più precisamente la vertenza afferiva il trasferimento di un immobile di proprietà di B.G. a certo Z.M. ovvero ad esso V. (che era intervenuto nel giudizio) sulla base di 2 contratti preliminari. Il Tribunale accoglieva la domanda dello Z., dichiarando inammissibile l’intervento in causa dello stesso V.. Questi nel suo ricorso introduttivo, sosteneva di non essere coobbligato al pagamento dell’imposta per la registrazione della sentenza, non potendo considerarsi “parte in causa”.

Il contribuente risultava vittorioso in entrambi i gradi del giudizio di merito sul presupposto che egli “non avesse conseguito alcuna attribuzione patrimoniale” per effetto della suddetta sentenza civile.

Avverso l’epigrafata sentenza della C.T.R. Lombardia l’amministrazione propone il presente ricorso per cassazione fondato sulla base di un solo motivo; resiste con controricorso il contribuente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Giova premettere che non ha giuridico fondamento l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in quanto proposto dal Ministero e dall’Agenzia delle Entrate anzichè dall’Ufficio periferico della stessa Agenzia; nonchè l’eccezione di difetto di rappresentanza processuale in quanto l’Agenzia non è rappresentata ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato.

Al riguardo questa Corte (a S.U.) ha precisato che, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causarti” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia; tale legittimazione costituisce infatti il riflesso, sul piano processuale, della separazione tra la titolarità dell’obbligazione tributaria, tuttora riservata allo Stato, e l’esercizio dei poteri statali in materia d’imposizione fiscale, il cui trasferimento all’Agenzia, previsto dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300art. 57, esula dallo schema del rapporto organico, non essendo l’Agenzia un organo dello Stato, sia pure dotato di personalità giuridica, ma un distinto soggetto di diritto. Ai sensi del D.Lgs. n. 300, art. 72, l’Agenzia ha facoltà di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, il quale, in assenza di una specifica disposizione normativa, dev’essere richiesto in riferimento ai singoli procedimenti – anche se non è necessaria una specifica procura -, non essendo a tal fine sufficiente l’eventuale conclusione di convenzioni a contenuto generale tra l’Agenzia e l’Avvocatura. L’assunzione in via esclusiva da parte dell’Agenzia della gestione del contenzioso nelle fasi di merito, già attribuita dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546artt. 10 ed 11, agli uffici periferici del Dipartimento delle entrate, comporta inoltre che, nei procedimenti introdotti anteriormente al 1 gennaio 2001, nei quali l’ufficio non abbia richiesto il patrocinio dell’Avvocatura, spetta all’Agenzia l’esercizio di tutti i poteri processuali, ivi compresi quelli di disposizione del diritto controverso e del rapporto processuale, con la conseguenza che la proposizione dell’appello da parte della sola Agenzia, senza esplicita menzione dell’ufficio periferico che era parte originaria, si traduce nell’estromissione di quest’ultimo. Per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611art. 11, la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente invece di ritenere che la notifica (….) del ricorso può essere effettuata, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. n. 3116 del 14/02/2006).

Ciò posto, passando all’esame del ricorso per cassazione, l’Amministrazione ricorrente, con l’unico motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131art. 57, comma 1, nonchè la motivazione illogica e contraddittoria della sentenza impugnata, sottolineando che, secondo tale norma, i soggetti coobbligati al pagamento dell’imposta di registro di un atto giudiziario sono “te parti in causa”, senza specificare altro, e senza operare alcuna distinzione in tale ambito soggettivo, per quanto concerne gli obblighi fiscali, sulla solidarietà al pagamento dell’imposta di registro.

Critica la decisione impugnata nella parte in cui sostiene che ” il concetto di parte in causa a fini fiscali, così come delineato dal complesso normativo dell’imposta di registro, risente di connotazioni di carattere sostanziale ed è diverso dai concetto di parte in senso strettamente processualistico”.

La doglianza è fondata.

Giova sottolineare – come si legge nella sentenza della C.T.R. – che il V. “aveva intentato autonomo giudizio nei confronti di B.G. ed era altresì intervenuto nella causa promossa da Z.M. nei confronti della stessa B.: le due causa erano state riunite con l’esito, per ciascuno dei rapporti dedotti in giudizio, riportato nel… dispositivo”; Ciò posto è certamente infondata la tesi del V. che pretende di non essere parte di quel giudizio civile sol perchè, nel dispositivo della sentenza era stato dichiarato “inammissibile” il suo intervento nella causa, a cui aveva attivamente partecipato tanto da essere condannato – tra l’altro – al pagamento delle spese processuali.

Invero la regola prevista dall’art. 57, secondo cui più soggetti sono ugualmente tenuti di fronte a Fisco alla medesima prestazione, ha come sua precipua finalità di rafforzare la posizione dell’erario nei confronti dei contribuenti in vista della proficua riscossione delle imposte, salvo il diritto per ciascuno di essi di rivalersi nei confronti della parte civilmente tenuta al pagamento. In sintesi la ratio di tale disposizione, il suo dato letterale e la logica interpretazione della stessa alla luce del contesto normativo in cui si colloca, portano a ritenere che sono parti in causa coloro che hanno preso parte al giudizio, nei cui confronti la pronuncia giurisdizionale si è espressa nella parte dispositiva, e la cui la cui sfera giuridica sia in qualche modo interessata dagli effetti della pronuncia.

Non v’è dubbio quindi, alla luce di tali considerazioni, che il contribuente sia stato “parte” di quel giudizio ed in quanto tale sia coobbligato al pagamento del tributo in esame. Pertanto il ricorso dev’essere accolto con la conseguente cassazione della sentenza impugnata; potendosi decidere la causa nei merito ex art. 384 c.p.c., va rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; attesi i profili processuali della fattispecie, si ritiene di compensare le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente, compensando le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2008


Cass. civ. Sez. II, (ud. 24-10-2007) 16-01-2008, n. 719

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere

Dott. SCHETTINO Olindo – Consigliere

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.C.G. – rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso dall’avv. GUISO Pietro Andrea ed elettivamente domiciliato in Roma, al viale B. Buozzi, n. 77, presso l’avv. Roberta Cimenti;

– ricorrente –

contro

Comune di Roma – in persona del Sindaco on. V.W. – rappresentato e difeso in virtù di procura a margine del ricorso dall’avv. AVENATI Fabrizio e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, alla via Tempio di Giove, n. 21, nei locali dell’Avvocatura comunale;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Giudice di pace di Roma n. 9922 del 23 febbraio 2004 – non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 ottobre 2007 dal Consigliere Dott. Massimo Oddo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Giudice di pace di Roma, con sentenza del 23 febbraio 2004, rigettò l’opposizione proposta il 3 settembre 2003 da G.C.G. avverso il verbale n. (OMISSIS) del (OMISSIS) di accertamento della violazione dell’art. 7 C.d.S., comma 1, per essere entrato il (OMISSIS) alla guida di un autoveicolo nella zona a traffico limitato della città di Roma senza la prescritta autorizzazione.

Osservò il giudice che la titolarità di un permesso per invalidi rilasciato dal Comune di Milano nell’anno 2002 non consentiva all’opponente di circolare nelle zone a traffico limitato del Comune di Roma anteriormente al 14 aprile 2003, data di decorrenza del “permesso relativo alla targa (OMISSIS)” da quest’ultimo rilasciato l’11 giugno 2003.

Il G.C. è ricorso con un motivo per la cassazione della sentenza ed il Comune di Roma ha resistito con controricorso notificato il 25 maggio 2004.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503, artt. 11 e 12, per avere la sentenza impugnata ritenuto che l’efficacia del suo permesso ad accedere nella zona di traffico limitato del Comune di Roma non decorresse dall’anteriore rilascio da parte del Comune di Milano dello speciale contrassegno invalidi, ma dal momento dell’inserimento della targa della sua autovettura nell’elenco dei veicoli autorizzati all’accesso in detta zona.

Il motivo è fondato.

Dispongono il D.P.R. 16 settembre 1996, n. 610, art. 12 ed art. 11, commi 1 e 2, che alle persone detentrici dello speciale contrassegno, di cui il regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada prevede il rilascio da parte dei comuni alle persone con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta (oltre che ai non vedenti), è consentita la circolazione e la sosta del veicolo al loro specifico servizio nelle zone a traffico limitato e nelle aree pedonali urbane, qualora sia autorizzato l’accesso anche ad una sola categoria di veicoli per l’espletamento di servizi di trasporto di pubblica utilità, e che detto contrassegno deve essere apposto sulla parte anteriore del veicolo ed è valido per tutto il territorio nazionale.

Nel prevedere, inoltre, il rilascio da parte del sindaco di “apposita autorizzazione in deroga”, avente validità di cinque anni per la circolazione e la sosta dei veicoli al servizio delle persone invalide con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta, l’art. 381 reg. esec. C.d.S., commi 2 e 3, come modificato dal cit. D.P.R. n. 619 del 1996, art. 217, specifica che l’autorizzazione è resa nota mediante apposito “contrassegno invalidi” e che il contrassegno è strettamente personale, non è vincolato ad uno specifico veicolo ed ha valore su tutto il territorio nazionale.

La persona invalida, dunque, può servirsi del contrassegno per circolare con qualsiasi veicolo in zone a traffico limitato, con il solo onere di esporre il contrassegno, che denota la destinazione attuale dello stesso al suo servizio, senza necessità che il contrassegno contenga un qualche riferimento alla targa del veicolo sulla quale in concreto si trova a viaggiare e nessuna deroga alla previsione normativa risulta stabilita relativamente alle zone dei centri abitati nelle quali, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. b), il comune abbia limitato la circolazione di tutte od alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale.

Ne consegue l’erronea affermazione del giudice di pace che il contrassegno invalidi rilasciato dal Comune di Milano nell’anno 2002 non consentisse al ricorrente di circolare successivamente all’interno delle zone a traffico limitato del Comune di Roma, non risultando consentito per mere esigenze organizzative e di controllo automatizzato degli accessi in tali zone limitare l’incondizionato diritto dell’invalido in possesso del relativo contrassegno di accedere ad esse con qualunque veicolo al suo servizio.

Alla fondatezza dell’unico motivo segue la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va emessa pronuncia nel merito di accoglimento dell’opposizione proposta dal ricorrente e di annullamento del verbale di accertamento.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Pronunciando nel merito, accoglie l’opposizione proposta da G.C.G. ed annulla il verbale di accertamento n. (OMISSIS) del (OMISSIS).

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 ottobre 2004.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2008