Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 17/02/2022) 23/02/2022, n. 6041

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25239-2016 proposto da:

B.D.;

KRUSE S.r.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE MARINO, che li rappresenta e difende giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrenti-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2134/2016 della Commissione Tributaria Regionale della LOMBARDIA, depositata il 12/4/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/2/2022 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA.

Svolgimento del processo
CHE:

B.D. e Kruse S.r.L. propongono ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva accolto l’appello erariale avverso la sentenza n. 10649/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, in accoglimento del ricorso avverso avviso di liquidazione per imposta di registro, ipotecaria e catastale;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso

Motivi della decisione
CHE:

1.1. con il primo mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 145 c.p.c., comma 1, art. 14, comma 1, e L. n. 890 del 1982, art. 7, commi 1, 2 e 3) per avere la Commissione Tributaria Regionale accolto l’appello ritenendo validamente notificato l’atto impositivo ai sensi dell’art. 145 c.p.c., comma 1, pur essendo stata effettuata la notifica mediante raccomandata ai sensi della L. n. 890 del 1982, che prevede una disciplina speciale e prevalente rispetto a quella dettata dal codice di rito, ed in base alla quale la consegna dell’atto al portiere avrebbe dovuto essere preceduta dal tentativo di notifica agli altri soggetti indicati dalla citata L. n. 890 del 1982, art. 7, in via preferenziale;

1.2. con il secondo mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 7, comma 6, L. n. 890/1982) per avere la Commissione Tributaria Regionale accolto l’appello ritenendo validamente notificato l’atto impositivo nonostante l’invio della successiva raccomandata informativa, prevista dall’art. 7 cit., ad un indirizzo diverso da quello del destinatario;

1.3. con il terzo mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 145 c.p.c., comma 3) per avere la Commissione Tributaria Regionale accolto l’appello ritenendo validamente notificato l’atto impositivo, ai sensi dell’art. 145 c.p.c., comma 1, al legale rappresentante della società presso la sua residenza anagrafica nonostante l’insussistenza dell’impossibilità della notifica presso la sede della società e la notifica presso la suddetta residenza, sita in Comune diverso dal domicilio fiscale dell’ente;

1.4. con il quarto mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2) per avere la Commissione Tributaria Regionale accolto l’appello ritenendo validamente notificato l’atto impositivo al legale rappresentante della società nonostante il mancato invio della raccomandata informativa per temporanea assenza del destinatario;

2.1. il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono infondati;

2.2. l’atto impositivo risulta notificato a mezzo posta tramite ufficiale postale (e non ufficiale giudiziario) e mediante consegna al portiere dello stabile che sottoscrisse per ricevuta;

2.3. la norma di riferimento è perciò la L. n. 890 del 1982, art. 7, non l’art. 139 c.p.c., norma quest’ultima che subordina la consegna dell’atto al portiere dello stabile alla previa ricerca di soggetti legittimati a riceverlo, ricerca di cui l’ufficiale giudiziario può dare conto mediante la relata di notifica, diversamente dall’agente postale che ha a sua disposizione una cartolina verde prestampata che non prevede tale possibilità e, sul piano grafico, nemmeno una casella in cui si dà atto di tale ricerca;

2.4. se l’agente postale ha consegnato al portiere dello stabile l’atto, la relativa indicazione sulla cartolina presuppone dunque necessariamente che questi abbia infruttuosamente cercato altre persone legittimate;

2.5. la tesi secondo cui la L. n. 890 del 1982, art. 7, costituisce norma speciale rispetto all’art. 139, c.p.c., non ha alcun fondamento e ciò sul decisivo rilievo che anche l’ufficiale giudiziario può eseguire la notificazione a mezzo del servizio postale (art. 149 c.p.c.), sicchè l’argomento secondo cui l’ufficiale giudiziario può descrivere nella relata di notifica le ricerche prodromiche alla consegna dell’atto al portiere dello stabile (il che l’agente postale non potrebbe materialmente compiere su un modulo prestampato) non è decisivo perchè la notificazione effettuata dall’ufficiale giudiziario a mezzo servizio postale non può essere, in caso di consegna al portiere, meno “garantita” di quella effettuata direttamente dall’ufficiale giudiziario stesso;

2.6. la questione, peraltro, è già stata risolta da questa Corte che ha affermato che “a norma dell’art. 139 c.p.c., è nulla la notificazione effettuata mediante consegna di copia dell’atto al portiere dello stabile del destinatario qualora l’ufficiale giudiziario si limiti a dare atto della precaria assenza dell’intimato senza certificare l’avvenuta ricerca delle ulteriori persone abilitate a ricevere l’atto (Cass. 17 ottobre 1988, n. 5637), e ciò vale anche per la notificazione eseguita per mezzo del servizio postale poichè l’inosservanza dell’ordine delle persone indicate dalla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, quali possibili consegnatari dell’atto in caso di assenza del destinatario è causa di nullità della notificazione che deve essere fatta valere nei limiti e secondo le regole del giudizio di impugnazione” (cfr. Cass. Sez. U, n. 1097/2000; nello stesso senso Cass. n. 6021/2007, secondo cui “in materia di notifica a mezzo posta, è nulla la notifica effettuata a mani del portiere dello stabile, allorquando la relazione dell’ufficiale postale non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento del destinatario o del rifiuto o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto in posizione preferenziale (persona di famiglia, addetta alla casa o al servizio), non potendo desumersi che il portiere fosse stato espressamente incaricato a ricevere gli atti da una successiva notifica effettuata con le stesse modalità, dovendo la validità della notifica effettuarsi con riferimento esclusivo al suo contesto”);

2.7. nel caso in esame, tuttavia, la notifica dell’avviso di liquidazione è stata effettuata direttamente dall’Agenzia delle Entrate a mezzo posta, avvalendosi della facoltà espressamente prevista dalla L. n. 890 del 1982, art. 14, come modificato dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20;

2.8. in tal caso si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 (cfr. Cass. nn. 147/2022 in motiv., 29642/2019, 8293/2018, 17598/2010);

2.9. ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (cfr. Cass. nn. 14501/2016, 15315/2014, 9111/2012);

2.10. ove la notifica dell’atto impositivo sia stata effettuata direttamente dall’Agenzia delle entrate mediante raccomandata con avviso di ricevimento è sufficiente, quindi, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente;

2.11. anche se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto, dunque, è pur tuttavia valido, poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata (cfr. Cass. nn. 4556/2020, 4567/2015, 6395/2014, 11708/2011);

2.22. in caso di notifica dell’atto impositivo effettuata direttamente dall’Agenzia delle entrate mediante raccomandata con avviso di ricevimento, per la consegna nelle mani del portiere l’ufficiale postale non è tenuto, pertanto, a rendere l’attestazione dell’avvenuta ricerca e del mancato rinvenimento delle persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, come invece richiesto nel caso in cui la notifica sia effettuata a mezzo ufficiale giudiziario o con gli strumenti della notifica degli atti giudiziari civili, ai sensi della L. n. 890 del 1982;

2.23. a seguire, sulla scorta di quanto dianzi illustrato, va rilevato che se la notifica dell’atto impositivo può essere effettuata anche nelle mani del portiere, tuttavia, in base agli organi ed agli strumenti utilizzati per la notifica, è necessaria o meno la spedizione dell’ulteriore raccomandata informativa;

2.24. come esaurientemente affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 37207 del 2021, se, infatti, la notifica è effettuata a mezzo ufficiale giudiziario, l’art. 139 c.p.c., comma 4, prevede espressamente l’invio della raccomandata informativa (“il portiere o il vicino deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”);

2.25. parimenti, se, poi, la notificazione è effettuata presso il portiere con gli strumenti della notifica degli atti giudiziari civili, quindi ai sensi della L. n. 890 del 1982, vi è ugualmente l’obbligo di invio della successiva raccomandata informativa, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, comma 5, aggiunto dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 2-quater, convertito nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, in vigore dal 1 marzo 2008 (Cass., sez. 3, 4 dicembre 2012, n. 21725; Cass., sez. 5, 25 gennaio 2010, n. 1366; Cass., sez. L, 21 agosto 2013, n. 19366);

2.26. se, invece, la notifica della cartella è effettuata in via diretta, quindi a mezzo posta ordinaria, non è necessario l’invio, in quanto le modalità di notificazione a mezzo posta ordinaria sono disciplinate dal decreto 9 aprile 2001 (approvazione delle condizioni generali del servizio postale), che prevede, all’art. 32 del decreto 9 aprile 2001 (invii a firma), che “tutti gli invii di posta raccomandata sono consegnati al destinatario o ad altra persona individuata come di seguito specificato, dietro firma per ricevuta”, mentre l’art. 39 dello stesso decreto (nuclei familiari) dispone che “sono abilitati a ricevere gli invii di posta presso il domicilio del destinatario anche i componenti del nucleo familiare, i conviventi ed i collaboratori familiari dello stesso e, se vi e servizio di portierato, il portiere”;

2.26. con specifico riferimento alla notifica “diretta” effettuata a mezzo posta ordinaria presso il portiere, si ritiene dunque non necessaria la successiva raccomandata informativa (cfr. Cass., nn. 21815/2019, 4020/2014), essendo stato, infatti, chiarito che, in tema di notifica degli atti impositivi, se la stessa avviene mediante consegna al portiere dello stabile da parte dell’ufficiale giudiziario, ove quest’ultimo non attesti nella relata il mancato rinvenimento delle persone indicate nell’art. 139 c.p.c., la nullità è sanata per raggiungimento dello scopo qualora sia provata la ricezione della raccomandata contenente la notizia dell’avvenuta notificazione, mentre, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982, sicchè, in caso di notifica al portiere, essa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto, senza che si renda necessario l’invio della raccomandata al destinatario (cfr. Cass. n. 8293/2018);

2.27. pertanto, poichè è pacifico, nel caso in esame, che la notifica “diretta” sia stata effettuata a mezzo posta ordinaria, e non a mezzo ufficiale giudiziario ex art. 139 c.p.c., comma 3, oppure ai sensi della L. n. 289 del 1992, art. 7, è legittima la notificazione della cartella al portiere, senza l’invio della successiva raccomandata;

2.28. le censure dei ricorrenti non trovano quindi fondamento;

3.1. il terzo ed il quarto motivo risultano, infine, inammissibili in quanto non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, limitatasi ad affermare la validità della notifica effettuata mediante consegna a mani del portiere presso la sede legale della società, senza in alcun modo argomentare circa l’ulteriore notifica effettuata nei confronti del legale rappresentante della società, destinataria dell’avviso di liquidazione, presso la residenza anagrafica dello stesso;

3.2. le censure risultano inoltre in ogni caso assorbite dal rigetto dei primi due motivi in merito alla dedotta invalidità della notifica effettuata presso il domicilio fiscale della società;

4. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;

5. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 17 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 13/10/2021) 15/02/2022, n. 4820

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 17273-2015 R.G., proposto da:

AIRRI MEDICAL, C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, al v.le delle Milizie n. 38, presso lo studio dell’avv. Alberto Di Natale, dal quale, unitamente all’avv. Lidia Tamagnini, è rappresentata e difesa;

– Ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– Resistente –

Avverso la sentenza n. 773/28/2015 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 10.02.2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 13 ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Francesco FEDERICI.

Svolgimento del processo
che:

Secondo quanto si evince dal ricorso alla società AIRRI MEDICAL fu notificata la cartella di pagamento di Euro 25.675,57 a titolo di interessi e sanzioni per il tardivo versamento Irap dell’anno 2007. La cartella traeva origine dal controllo automatizzato sulla dichiarazione modello unico 2008, relativa all’anno d’imposta 2007, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis. L’Amministrazione finanziaria aveva provveduto a comunicare il tributo dovuto e la sanzione, ridotta ad un terzo qualora il pagamento fosse stato eseguito nei trenta giorni successivi. In data 21 giugno 2010 la società aveva provveduto al pagamento della somma di Euro 140.381,61. Sennonchè l’Agenzia delle entrate aveva contestato la tardività del pagamento, eseguito oltre i trenta giorni dalla notifica dell’avviso bonario. Aveva dunque preteso la corresponsione della sanzione nella misura piena del 30% del tributo dovuto, a tal fine notificando la cartella, ora oggetto di giudizio.

La contribuente, che contestava la tardività del versamento per nullità della notifica dell’avviso di pagamento, adì la Commissione tributaria di Roma, che con sentenza n. 392/10/2013, accolse il ricorso. La decisione fu appellata dall’Agenzia delle entrate dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che con sentenza n. 773/28/2015 riformò le statuizioni di primo grado, dichiarando legittimo l’atto impugnato. Il giudice regionale ha rilevato che l’invito comunicato dall’ufficio, a seguito del controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi, fu ricevuto ritualmente dal destinatario, così da raggiungere il suo scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., sanando ogni eventuale irregolarità. Nessun rilievo poteva poi assumere l’affermazione della società, secondo cui la notificazione era avvenuta il 20 maggio 2010, risultando invece che la raccomandata fosse giunta a destinazione, nelle mani del portiere, il 19 maggio. Il pagamento eseguito il 21 giugno 2010 era pertanto da considerarsi tardivo, con conseguente legittima iscrizione a ruolo delle maggiori sanzioni non pagate.

La società ha censurato la sentenza con tre motivi, chiedendone la cassazione. L’Agenzia delle entrate ha depositato un atto di costituzione ai soli fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Nell’adunanza camerale del 13 ottobre 2021 la causa è stata trattata e decisa.

La contribuente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Motivi della decisione
che:

la ricorrente si duole:

con il primo motivo della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla eccepita nullità della costituzione avversaria a mezzo di funzionario privo di delega e potere di rappresentanza;

con il secondo motivo per nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla eccepita inammissibilità dell’atto d’appello per difetto di specificità dei motivi;

con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quanto alla nullità della notificazione dell’avviso di pagamento.

Esaminando il primo motivo, esso è infondato. La difesa della società lamenta una omessa pronuncia sulla questione, pur eccepita in sede d’appello, della nullità della costituzione dell’Amministrazione finanziaria a mezzo di funzionarlo privo di delega e potere di rappresentanza. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, cui si ritiene di dare continuità, ha affermato che il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche su questioni processuali (ex multis, Cass., 26 settembre 2013, n. 22083; 25 gennaio 2018, n. 1876; 11 ottobre 2018, n. 25154; 15 aprile 2019, n. 10422). A margine, va rammentato il principio secondo cui nei gradi di merito del processo tributario, la provenienza di un atto di appello dall’Ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza (cfr. Cass., 21 marzo 2014, n. 6691; 26 luglio 2016, n. 15470; 30 ottobre 2018, n. 27570; 25 gennaio 2019, n. 2138).

Per la medesima ragione è infondato anche il secondo motivo, con il quale la società insiste sulla nullità della sentenza d’appello, per omessa pronuncia sull’eccepito difetto di specificità dei motivi d’appello.

Esaminando ora il terzo motivo, con cui la società denuncia l’errore in cui sarebbe incorsa la Commissione regionale nel ritenere ritualmente compiuti gli effetti della notifica dell’avviso di pagamento, trasmesso a seguito del controllo formale ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, è parimenti infondato.

Nell’articolato motivo la società critica la decisione nella parte in cui avrebbe ritenuto che l’eventuale irritualità della notificazione dell’atto nelle mani del portiere sarebbe stata sanata in ogni caso dall’avvenuta conoscenza dell’atto da parte del destinatario, e tanto a partire dalla data della sua consegna al portiere medesimo. Afferma che in tal modo sarebbe stato violato l’art. 156 c.p.c. Sostiene al contrario che la notificazione sarebbe stata irregolare, dovendo procedersi alla notificazione direttamente al destinatario e, solo quando ciò impossibile, al portiere. Nel caso di specie sarebbe mancata l’attestazione dell’assenza del destinatario e delle vane ricerche dei soggetti preferenzialmente abilitati alla ricezione. La successiva conoscenza legale dell’atto da parte del destinatario, se per un verso aveva consentito la sanatoria della nullità, doveva tuttavia intendersi raggiunta dal momento del verificarsi dell’evento conoscitivo e non dalla data di ricezione dell’atto da parte del portiere.

Le ragioni della contribuente non sono fondate, sebbene la motivazione della decisione vada corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

Va innanzitutto evidenziato che la notifica dell’avviso bonario di pagamento fu pacificamente eseguita a mezzo del servizio postale. A tal fine il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, seconda parte, prevede che “La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2 o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

Ebbene, applicando al caso di specie la giurisprudenza formatasi sulla notificazione della cartella di pagamento, questa Corte ha chiarito che in tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella sia eseguita ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. 20 novembre 1982, n. 890 (Cass., 13 giugno 2016, n. 12083, con la quale in applicazione del suddetto principio, è stata cassata la sentenza con cui il giudice di merito aveva ritenuto invalida la notifica della cartella sull’erroneo presupposto che, essendo stata ricevuta dal portiere, occorresse, a norma dell’art. 139 c.p.c., l’invio di una seconda raccomandata; cfr. anche 12 novembre 2018, n. 28872).

Si è anche significativamente affermato che, mentre per la notifica degli atti impositivi, quando questa avvenga mediante consegna al portiere dello stabile da parte dell’ufficiale giudiziario, e ove quest’ultimo non attesti nella relata il mancato rinvenimento delle persone indicate nell’art. 139 c.p.c., la nullità è sanata per raggiungimento dello scopo qualora sia provata la ricezione della raccomandata contenente la notizia dell’avvenuta notificazione, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta, trovano applicazione solo le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982. In questa seconda ipotesi pertanto, in caso di notifica al portiere, essa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal portiere, senza necessità dell’invio della raccomandata al destinatario (Cass., 4 aprile 2018, n. 8293; cfr. anche 23319/2014; 18 novembre 2016, n. 23511; 14 novembre 2019, n. 29642).

L’esegesi delle recenti pronunce, i cui principi sono condivisi da questo collegio, depongono a favore del compimento regolare del procedimento di notifica dell’atto di avviso di pagamento, consegnato al portiere mediante servizio postale, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte. Tale disciplina costituisce infatti una modalità di notificazione semplificata, prevista normativamente, che non prevede che l’agente postale, nel consegnare a mani del portiere l’atto, debba accertare previamente l’assenza del notificando o di altri soggetti abilitati a ricevere il plico, nè prevede la spedizione della raccomandata con l’avviso di avvenuta notificazione al destinatario (Cass., 23 giugno 2014, n. 14196). Così che la notificazione si compie al momento della consegna del plico al portiere, salvo a verificarsi che questi ne abbia poi omesso la consegna, fatto di cui però deve dare prova il destinatario, e che esula comunque dalla fattispecie per cui è causa.

Non trova dunque fondamento la pur articolata difesa della contribuente, che sostiene come dell’atto ebbe conoscenza non il giorno della consegna del plico al portiere, il 19 maggio 2010, ma in quello successivo, dal quale pretende che dovessero decorrere i termini per provvedere al pagamento.

Ne discende che, sebbene con la correzione della motivazione nei termini anzidetti, il ricorso della contribuente va rigettato. Nulla va disposto in ordine alle spese, attesa la mancata rituale costituzione dell’Agenzia.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022


Cass. civ., Sez. III, Sent., (data ud. 18/01/2022) 14/02/2022, n. 4690

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17590/2019 R.G. proposto da:
P.A.M.A., rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Leotta, ed elettivamente domiciliata presso il suo domicilio digitale salvatoreleotta.pec.it;
– ricorrente –
contro
RISCOSSIONE SICILIA S.P.A., COMUNE DI PALERMO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2833 del TRIBUNALE DI PALERMO, depositata il 06/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2022 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI;
udito il P.M., in persona della Dott.ssa SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo;
assorbiti gli altri.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 05/09/2017 P.A.M.A. proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c., contestando la cartella di pagamento, notificatale il 04/09/2017 da Riscossione Sicilia S.p.A. e formata in base a ruolo del Comune di Palermo, riguardante l’omesso pagamento di sanzioni amministrative per violazioni del C.d.S.; l’odierna ricorrente deduceva di non aver mai precedentemente ricevuto il verbale di accertamento della trasgressione e domandava che fosse dichiarata la nullità della cartella e del ruolo in ragione dell’omessa notificazione dell’atto presupposto.
Con la sentenza n. 465 del 06/02/2018 il Giudice di Pace di Palermo dichiarava inammissibile l’opposizione all’esecuzione perché non proposta con le forme dell’opposizione D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 7 (il quale prevede il ricorso come atto introduttivo e non la citazione).
Il Tribunale di Palermo, con la sentenza n. 2833 del 06/06/2019, rigettava l’appello: il giudice dell’impugnazione qualificava l’azione dell’appellante come opposizione “recuperatoria” e, cioè, come rimedio volto a consentire all’opponente di essere rimesso in termini per svolgere le censure al verbale di accertamento che gli erano state precluse dalla mancata notificazione dell’atto presupposto; tuttavia, rilevava che, proprio per la funzione recuperatoria dell’opposizione spiegata, la P. avrebbe dovuto contestare nel merito la pretesa azionata dall’ente impositore, non già limitarsi a denunciare l’omessa notifica del verbale (come statuito da Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 26843 del 23/10/2018, menzionata nella sentenza impugnata).
Avverso tale decisione P.A.M.A. proponeva ricorso per cassazione, basato su tre motivi; non hanno svolto difese gli intimati Comune di Palermo e Riscossione Sicilia S.p.A.
Per la trattazione della controversia è stata fissata l’udienza pubblica del 18/01/2022, alla quale è comparso soltanto il Procuratore Generale, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso e l’assorbimento delle restanti censure.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7 e art. 156 c.p.c., per avere il Tribunale di Palermo erroneamente ritenuto inammissibile l’opposizione a cartella di pagamento in quanto l’opponente aveva mancato di dedurre, oltre all’omessa notificazione del verbale di accertamento, anche vizi propri dell’atto presupposto.
Sostiene la ricorrente – richiamando il precedente di Cass., Sez. 62, Ordinanza n. 11789 del 06/05/2019 – che la domanda di annullamento della cartella quale conseguenza dell’omissione della notificazione del verbale presupposto non richiede l’articolazione di difese in merito alla contestata infrazione, la cui allegazione è necessaria solo in caso di opposizione, riconducibile al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, a cartella di pagamento fondata su un’ordinanza ingiunzione che si assuma illegittimamente notificata.
La censura è fondata.
Come già statuito da Cass. Sez. U., Sentenza n. 22080 del 22/09/2017, “… l’art. 201 C.d.S., comma 5,… sancisce che “l’obbligo di pagare la somma dovuta per la violazione, a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, si estingue nei confronti del soggetto a cui la notificazione non sia stata effettuata nel termine prescritto”. La norma, letteralmente interpretata, delinea un fatto estintivo di quell’obbligo che, come si è detto, sorge a carico del trasgressore per effetto della commissione dell’illecito amministrativo”.
Così, dunque, “L’azione diretta all’autorità giudiziaria ordinaria per dedurre il fatto estintivo/impeditivo costituito dalla omessa, tardiva od invalida notificazione del verbale di accertamento allora è quella attualmente disciplinata dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7. Se l’interessato non è stato posto in condizioni di fruire di questa azione, la stessa dovrà essere esercitata nel termine di trenta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, non potendo operare la decadenza se non a seguito della conoscenza dell’atto sanzionatorio da impugnare… È vero che l’opposizione tipica si deve estrinsecare nella proposizione di un motivo di opposizione tendente ad inficiare la sussistenza delle condizioni di legge per emettere il provvedimento sanzionatorio, ma queste non attengono soltanto al merito della sanzione ma anche al procedimento di formazione del titolo che consente la riscossione esattoriale una volta divenuto definitivo… Se il procedimento è viziato per omessa, invalida o tardiva notificazione del verbale di accertamento, il rimedio sarà appunto quello dell’opposizione a questo verbale ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7. Se proposta come opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., la stessa azione va diversamente qualificata dal giudice adito, essendo a questi riservata l’attività di qualificazione della domanda, tenuto conto della causa petendi e del petitum esposti dalla parte”.
Venendo alla funzione dell’impugnazione della cartella in caso di mancata notifica del verbale di accertamento di violazioni al C.d.S., le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiaramente affermato che “L’azione esercitata dopo la notificazione della cartella di pagamento per dedurre il vizio di notificazione del verbale di accertamento, come sopra delineata, non è un’azione “recuperatoria” in senso proprio. Tale, infatti, si configura l’azione che venga esperita contro l’ordinanza-ingiunzione non notificata… Viceversa, quando viene “recuperata”, dopo la notificazione della cartella di pagamento, l’azione oggi disciplinata dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, per dedurre l’omessa od invalida notificazione del verbale di accertamento, non vi è spazio per lo svolgimento di difese diverse da questa, specificamente per difese nel merito della pretesa sanzionatoria. Infatti, se l’amministrazione – che è onerata della relativa prova, in ragione della natura di fatto costitutivo riconosciuto alla notificazione tempestiva non dimostra di avere eseguito tempestivamente e validamente la notificazione del verbale di accertamento, la pretesa sanzionatoria è estinta. In sintesi, ciò che viene “recuperato” è la possibilità per il destinatario della pretesa di dedurre il fatto estintivo/impeditivo dell’omessa od invalida notificazione…. se, per contro, l’amministrazione dimostri di avere ottemperato validamente alla notificazione, l’opposizione non potrà che essere dichiarata inammissibile: ogni difesa, anche di merito, è preclusa poiché si sarebbe dovuta svolgere nel termine di trenta giorni decorrente da quella notificazione”.
Traendo le conseguenze dalla succitata decisione, la giurisprudenza di questa Corte si è ormai consolidata nel senso che quando l’opposizione al verbale di accertamento di trasgressioni al C.d.S., sia stata esperita – in difetto di valida notificazione del verbale – entro 30 giorni dalla ricezione della cartella di pagamento, l’opponente può limitarsi a dedurre la mancanza di una tempestiva notificazione del verbale e che da tale censura deriva, a seconda della sua fondatezza o della sua inconsistenza, o l’annullamento dell’atto della riscossione o l’inammissibilità dell’opposizione stessa (Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 11789 del 06/05/2019, Rv. 653724-01; Sez. 3, Ordinanza n. 3318 del 10/02/2021, Rv. 660524-01). Deve, dunque, ritenersi isolato il difforme precedente di Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 26843 del 23/10/2018, Rv. 650849-02, richiamato dalla pronuncia impugnata.
Ritiene il Collegio che debba, invece, darsi continuità al prevalente orientamento giurisprudenziale (che trova il suo fondamento nella citata pronuncia delle Sezioni Unite), secondo cui – con l’opposizione D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 7 (pur se in esito a riqualificazione di un’opposizione erroneamente denominata ex art. 615 c.p.c.) esperita entro trenta giorni dalla ricezione della cartella di pagamento l’opponente può limitarsi a dedurre la mancata notificazione del verbale di accertamento quale vizio di formazione della pretesa dell’Amministrazione, senza necessità di contestare il merito della violazione del C.d.S.: e tanto qui bastando un rinvio agli argomenti delle più recenti pronunzie su richiamate, in tutto condivise.
Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Tribunale di Palermo, in persona di diverso giudice.
2. Restano assorbite le ulteriori censure svolte dalla ricorrente.
3. Si rimette al giudice del rinvio la regolazione delle spese, anche del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte;
accoglie il primo motivo del ricorso, dichiarati assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Palermo, in persona di diverso giudicante, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 18 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022


Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., (data ud. 15/12/2021) 09/02/2022, n. 4160

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14527-2016 proposto da:

M.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DAGNINO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A. (già SE.RI.T. S.P.A.), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSARIA ARCUDI;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA SCIPLINO;

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 1300/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 03/12/2015 R.G.N. 753/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 15/12/2021 dal Consigliere Dott. MANCINO ROSSANA.

Svolgimento del processo
che:

1. con sentenza n. 1300 del 2015, la Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta dall’attuale ricorrente per l’annullamento dell’iscrizione ipotecaria alla quale era sotteso il mancato pagamento di contributi iscritti a ruolo;

2. la Corte di merito, a motivo della decisione, riteneva valide le iscrizioni a ruolo e la successiva iscrizione ipotecaria precedute da valida notifica delle cartelle esattoriali a mani di familiari del debitore, qualificatisi come conviventi della destinataria degli atti e, premesso che l’onere di fornire la prova del contrario incombesse su chi ne contestava la veridicità, riteneva, inoltre, non decisiva, per negare validità alla notificazione, la produzione di un certificato anagrafico attestante la diversa residenza dei familiari nè la prova testimoniale dedotta al fine di dimostrare di non avere mai convissuto con i familiari indicati nelle relate di notifica delle cartelle impugnate;

3. affermava, inoltre, che l’iscrizione ipotecaria si sottraesse alla regola procedimentale del previo invio dell’intimazione di pagamento;

4. ricorre avverso tale sentenza M.M.G., con ricorso affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, Riscossione Sicilia s. p. a.;

5. l’Inps ha depositato procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso, anche quale mandatario della Società di cartolarizzazione dei crediti Inps S.C.C.I. s.p.a..

Motivi della decisione
che:

6. la ricorrente deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la Corte di merito, con motivazione apparente, omesso di motivare sulle questioni oggetto di causa, relative alla validità delle notifiche delle sette cartelle oggetto di causa, presupposto dell’avviso di iscrizione ipotecaria, affermando di condividere la decisione del primo giudice in modo generico, con riferimento alle cartelle nel loro complesso omettendo l’esame di ciascuna di esse (primo motivo); violazione dell’art. 139 c.p.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 2727 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante la prova del difetto di residenza del consegnatario e dirimente la prova diabolica della natura meramente occasionale della presenza del familiare presso l’abitazione del destinatario dell’atto (secondo motivo); violazione dell’art. 420 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per non avere il giudice di primo grado disposto d’ufficio le prove necessarie per l’accertamento della verità del fatto storico (che la ricorrente non avesse mai convissuto con alcuno dei familiari indicati nelle relate) (terzo motivo); violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2 e art. 77 e degli artt. 41, 47, 48 Carte dei diritti fondamentali dell’Unione Europea per avere ritenuto infondata l’eccezione relativa alla mancata notifica di avvisi bonari anteriormente all’iscrizione ipotecaria;

7. i primi tre motivi, esaminati congiuntamente per la loro logica connessione, sono da rigettare;

8. innanzitutto la Corte di merito, in una valutazione globale delle notificazioni delle cartelle accomunate dalla notifica a mani di familiari dichiaratisi conviventi della destinataria degli atti espresso e illustrato la ratio decidendi in ordine alla ritualità delle notificazioni e della successiva iscrizione ipotecaria, non limitandosi alla mera condivisione del medesimo principio già enunciato dal primo giudice e tanto basta per escludere la nullità della sentenza e ritenere la motivazione non apparente ma idonea a rivelare la ratio decidendi e a evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano dunque possibile il controllo di legittimità (Cass.,Sez. Un., n. 8053 del 2014);

9. passando al nocciolo della questione sulla quale sono imperniate le censure, la sentenza impugnata è conforme ai consolidati principi espressi da questa Corte, in plurime decisioni;

10. la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, anche direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento;

11. il regime differenziato della notificazione diretta ha superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost. n. 175 del 2018);

12. a mente della disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 e del D.M. 1 ottobre 2008, artt. 20 e 26, è sufficiente, per il perfezionamento della notifica, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento, ad opera dell’ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione firmi il registro di consegna della corrispondenza e l’avviso di ricevimento da restituire al mittente;

13. questa Corte ha anche affermato, a tale proposito, che pur se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata (v. Cass. nn. 946, 6753 e 19680 del 2020 ed ivi ulteriori precedenti);

14. la consegna del piego raccomandato a mani di familiare dichiaratosi convivente con il destinatario determina, quindi, la presunzione che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, mentre il problema dell’identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con conseguente onere della prova contraria a carico del destinatario;

15. tale prova, peraltro, non può essere fornita mediante la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una diversa residenza del consegnatario dell’atto, in quanto siffatte risultanze, aventi valore meramente dichiarativo, offrono a loro volta una mera presunzione, superabile alla stregua di altri elementi idonei ad evidenziare, in concreto, una diversa ubicazione della residenza effettiva del destinatario (Cass. nn. 632 del 2011, 24852 del 2006 e 22607 del 2009);

16. correttamente la Corte territoriale si è dunque attenuta ai principi sopra individuati nel ritenere la validità della notifica così come effettuata e onerare il destinatario della prova della mancata ricezione, nel senso evidenziato;

17. inammissibile è, infine, il terzo motivo per essere la censura priva di decisività agli effetti di quanto detto nei paragrafi che precedono;

18. fondato si appalesa, invece, il quarto motivo;

19. la Corte di merito non si è conformata all’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte, sentenza n. 19667 del 2014, secondo cui, in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’Amministrazione finanziaria prima di iscrivere l’ipoteca su beni immobili ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77 (nella formulazione vigente ratione temporis), deve comunicare al contribuente che procederà alla suddetta iscrizione, concedendo al medesimo un termine – che può essere determinato, in coerenza con analoghe previsioni normative (da ultimo, quello previsto dal medesimo D.P.R., art. 77, comma 2-bis, come introdotto dal D.L. 14 maggio 2011, n. 70, conv. con modif. dalla L. 12 luglio 2011, n. 106), in trenta giorni – per presentare osservazioni o effettuare il pagamento, dovendosi ritenere che l’omessa attivazione di tale contraddittorio endoprocedimentale comporti la nullità dell’iscrizione ipotecaria per violazione del diritto alla partecipazione al procedimento, garantito anche dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, fermo restando che, attesa la natura reale dell’ipoteca l’iscrizione mantiene la sua efficacia fino alla sua declaratoria giudiziale d’illegittimità (cfr. Cass. nn. 23875, 25954 del 2015; Cass. nn. 5577, 15487 del 2019; da ultimo, Cass. n. 36490 del 2021);

20. in conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, per essere necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va rinviata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., ad altro Giudice, che si designa nella medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della controversia alla stregua di quanto sinora detto;

21. al Giudice del rinvio si rimette anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, allà Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione.

Conclusione
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022


Cass. civ. Ord., Sez. 6, N. 2621

Civile Ord. Sez. 6 Num. 2621 Anno 2022

Presidente: ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO
Relatore: LUCIOTTI LUCIO
Data pubblicazione: 28/01/2022

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37723-2019 R.G. proposto da:
SCUTO Maria Concetta, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Silvana RICCA ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Po, n. 12, presso lo studio legale dell’avv. Stefano GENOVESE (MMP e Associati);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
e contro,

RISCOSSIONE SICILIA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;
— intimata —
avverso la sentenza n. 3669/13/2019 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, Sezione staccata di CATANIA, depositata il 10/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/10/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.
Rilevato che:
1. La contribuente Maria Concetta SCUTO ricorre con tre motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate ma non l’agente della riscossione, pure intimata, per la cassazione della sentenza della CTR della Sicilia, Sezione staccata di Catania, in epigrafe indicata, pronunciata in controversia relativa ad impugnazione di un estratto di ruolo e della corrispondente cartella di pagamento emessa nei confronti della predetta contribuente, quale erede, unitamente alla sorella Daniela Rosaria SCUTO, del padre Orazio SCUTO, sulla scorta di due sentenze, divenute definitive, emesse dalla medesima CTR (sentenze n. 172/18/2020 e n. 187/18/2010) nei giudizi relativi ad avvisi di accertamento IVA emessi nei confronti del de cuius.
2. La CTR con la sentenza impugnata ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado rilevando la regolarità della notifica della cartella di pagamento impugnata, effettuata con il rito dell’irreperibilità relativa della destinataria, e conseguentemente dichiarato inammissibile l’originario ricorso della contribuente perché tardivamente proposto, oltre il termine di cui all’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
4. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 140 cod. proc. civ. e 25 e 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, la ricorrente deduce l’inesistenza della notificazione della cartella di pagamento impugnata, effettuata ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., in quanto la raccomandata informativa era stata restituita al mittente con la dicitura “destinatario sconosciuto” sicché non ricorrevano i presupposti perché operasse la c.d. “compiuta giacenza” del plico presso l’ufficio postale ove lo stesso era stato depositato.
2. Con il secondo motivo deduce la medesima questione posta con il primo motivo, dell’inesistenza della notifica della cartella di pagamento, ma sotto il diverso profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
3. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli arti. 115 e 116 cod. proc. civ. sempre con riferimento alla questione dedotta con il primo motivo, censurando la statuizione d’appello per avere omesso di valutare le risultanze della procedura di notificazione della cartella impugnata di cui essa ricorrente aveva espressamente dedotto la decisività.
4. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente attenendo tutte alla medesima questione della irregolarità della notificazione della cartella di pagamento, sono fondati e vanno accolti.
5. E’ pacifico nel caso di specie che la notifica della cartella di pagamento è stata effettuata ai sensi del combinato disposto dagli artt. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 140 cod. proc. civ., stante l’irreperibilità relativa della destinataria, non rinvenuta all’indirizzo indicato nell’atto, con conseguente deposito dello stesso nella casa comunale, affissione dell’avviso di avvenuto deposito alla porta di abitazione della contribuente ed invio della c.d. raccomandata informativa, la quale veniva restituita al mittente con la dicitura “destinatario sconosciuto”.
6. Ciò posto, la controricorrente sostiene che nella specie la regolarità della notificazione discenderebbe dall’applicazione del disposto di cui all’art. 26, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui, nei casi previsti dall’art. 140 cod. proc. civ., di irreperibilità relativa del destinatario dell’atto, la notificazione dalla cartella di pagamento si effettua con le modalità stabilite dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 e si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune. Al riguardo precisa la controricorrente che la notifica, essendo stata effettuata nel gennaio 2012, non sarebbe applicabile nella specie la predetta disposizione nella versione risultante a seguito della pronuncia di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte cost. n. 258 del 22 novembre 2012, in base alla quale il ricorso alla procedura di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 è consentito soltanto nei casi di irreperibilità assoluta del destinatario dell’atto.
7. La tesi è manifestamente infondata alla stregua del principio giurisprudenziale affermato da questa Corte in ipotesi del tutto analoga, secondo cui «Nel caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma processuale, fin quando la validità ed efficacia degli atti disciplinati da detta norma sono “sub judice”, il rapporto processuale non può considerarsi esaurito, sicché, nel momento in cui viene in discussione la ritualità dell’atto, la valutazione della sua conformità alla disposizione va valutata avendo riguardo alla modificazione conseguita dalla sentenza di illegittimità costituzionale, indipendentemente dal tempo in cui l’atto è stato compiuto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto la invalidità della notificazione della cartella esattoriale eseguita, in ipotesi di irreperibilità relativa del contribuente, mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento senza l’osservanza delle formalità previste dall’art. 140 c.p.c., come prescritto dall’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo risultante dalla sentenza della Corte cost. n. 258 del 2012)» (Cass. n. 33610 del 2019); in termini già Cass. 10519 del 2019).
8. Ciò precisato, osserva la Corte che i motivi sono fondati e vanno accolti alla stregua del princpio giuriosprudenziale in base al quale «In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012 relativa all’art. 26, comma 3 (ora 4), del d.P.R. n. 602 del 1973, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del citato art. 26, ultimo comma, e dell’art. 60, comma 1, alinea, del d.P.R. n. 600 del 1973, sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inesistente la notifica della cartella di pagamento, atteso che la raccomandata informativa non era pervenuta nella sfera di conoscenza del contribuente ed era stata restituita al mittente, avendo l’ufficiale giudiziario erroneamente apposto la dicitura “trasferito” sulla relata, nonostante fosse rimasta invariata la residenza del destinatario)» (Cass. n. 25079 del 2014; conf. Cass. n. 9782 del 2018).
9. Tale orientamento ha trovato ulteriore conferma nella pronuncia del Supremo consesso di questa Corte n. 10012 del 2021, secondo cui « In tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 24 e 111, comma 2, Cost.) dell’art. 8 della I. n. 890 del 1982 – esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informative», in quanto «solo dall’esame concreto di tale atto il giudice del merito e, qualora si tratti di atto processuale, (se del caso) anche il giudice di legittimità, può desumere la “sorte” della spedizione della “raccomandata informativa”, quindi, in ultima analisi, esprimere un – ragionevole e fondato – giudizio sulla sua ricezione, effettiva o almeno “legale” (intesa come facoltà di conoscere l’avviso spedito e quindi tramite lo stesso l’atto non potuto notificare), della raccomandata medesima da parte del destinatario».
10. Orbene, applicati detti principi al caso in esame, in cui la raccomandata informativa non è stata consegnata al destinatario perché «sconosciuto», è del tutto evidente che il giudizio sulla ricezione «effettiva o almeno “legale”» della stessa non può che essere negativo, con la conseguenza’ che era onere dell’agente della riscossione, nella specie non adempiuto, procedere a rinnovare la notificazione non perfezionatasi.
11. Pertanto, all’accoglimento dei motivi di ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti in ragione dell’incidenza sulla decisione della recente pronuncia nomofilattica di questa Corte.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente. Spese processuali interamente compensate tra le parti.
Così deciso in Roma il 21/10/2021 


Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 15-12-2021) 27-01-2022, n. 2530

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16281/2017 proposto da:

E.S., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Vignali Rosa, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Paolo Emilio n. 20, presso lo studio dell’avvocato Giuffrida Antonio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Fiorini Barbara, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Pubblico Ministero in persona del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Firenze;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2141/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 21/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2021 dal cons. Dott. ANDREA FIDANZIA.

Svolgimento del processo
CHE:

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 21.12.2016, ha rigettato l’appello proposto da E.S. avverso la sentenza del Tribunale di Arezzo che, nella dichiarata contumacia dell’allora convenuta, aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei contratto con B.L. ed aveva revocato l’assegno di mantenimento stabilito, a carico di quest’ultimo, dalla sentenza di separazione personale dei coniugi.

La Corte d’Appello, premesso che il gravame era stato avanzato ben oltre il termine lungo semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., ha disatteso la prospettazione della sig.ra E. secondo cui la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e del decreto di fissazione d’udienza innanzi al Tribunale di Arezzo effettuata nei suoi confronti era nulla.

In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto valida la notifica del ricorso in oggetto, eseguita l’8.4.2014 ai sensi dell’art. 143 c.p.c., sul rilievo che l’ufficiale giudiziario, avendo personalmente accertato, in occasione di un precedente tentativo di notifica del febbraio 2014, che il nominativo dell’appellante non figurava “sui campanelli nè sulle cassette postali” dell’indirizzo di residenza, aveva correttamente dichiarato l’irreperibilità della destinataria.

La Corte d’Appello ha, invece, dichiarato nulla la notifica dell’ordinanza ammissiva dell’interrogatorio formale della E. – parimenti disposta a norma dell’art. 143 c.p.c. – in quanto effettuata il 28.10.14 in difetto di un nuovo sopralluogo, non potendo l’ufficiale giudiziario basarsi, ai fini dell’accertamento della irreperibilità, sull’esito di quello precedente, avvenuto ben sei mesi prima, dato che in tale periodo di tempo la situazione di fatto avrebbe potuto essere mutata.

Ciò premesso, la corte territoriale ha ritenuto ammissibile l’impugnazione tardiva, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2, ma ha dichiarato inammissibile la domanda di riconoscimento di un assegno divorzile, siccome proposta dalla sig.ra E. per la prima volta in grado di appello, sul duplice rilievo che l’appellante aveva volontariamente deciso di rimanere contumace nel giudizio di primo grado e che, anche ove fosse stata posta nelle condizioni di presentarsi in Tribunale per rendere l’interrogatorio formale, non avrebbe potuto più introdurre tardivamente tale domanda dinanzi al primo giudice.

E.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidandolo a quattro motivi.

B.L. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
CHE:

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c..

La ricorrente lamenta che la corte del merito abbia ritenuto valida la notifica, in data 8 aprile 2014, del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell’udienza dinanzi al Tribunale di Arezzo, ancorché eseguita nei suoi confronti senza una previa ricognizione dei luoghi, fondandosi la valutazione di irreperibilità dell’ufficiale giudiziario su un sopralluogo avvenuto presso la sua abitazione ben due mesi prima (esattamente il 7 febbraio 2014); deduce inoltre che non è sufficiente ai fini dell’accertamento della irreperibilità, a norma dell’art. 143 c.p.c., la mancanza del nominativo di un soggetto sul citofono o sulla cassetta postale del luogo di abitazione, dovendo comunque l’ufficiale giudiziario raccogliere informazioni da altre persone presenti in loco.

2. Il motivo è fondato sotto entrambi i profili illustrati.

Va in primo luogo rilevato che, secondo quanto emerge proprio dalla lettura della sentenza impugnata, l’ufficiale giudiziario l’8.4.2014 ha proceduto alla notifica col rito degli irreperibili senza neppure recarsi presso l’abitazione della ricorrente, ma basandosi sull’esito di un precedente accesso, effettuato in febbraio. Se ne deduce che la corte del merito – che pure ha ritenuto nulla la notifica ex art. 143 c.p.c. dell’ordinanza che aveva disposto l’interrogatorio formale della E. perché non preceduta da un sopralluogo abbia supposto, del tutto erroneamente, che la validità/invalidità di una notificazione eseguita ai sensi della norma predetta solo perché è già stata in passato effettuata un’infruttuosa ricerca del destinatario presso la propria abitazione, dipenda dalla durata (più o meno lunga) del periodo di tempo intercorso fra il primo e il secondo tentativo.

Va aggiunto che questa Corte, nella sentenza n. 11138/2003, ha già enunciato il principio di diritto, secondo cui, “non sussistendo per legge alcun obbligo, per i soggetti giuridici, di indicare il proprio nominativo sui citofoni o sulla cassetta postale del luogo di abitazione, l’ufficiale giudiziario, ove verifichi, in uno stabile privo di portiere, l’assenza del nominativo del soggetto destinatario della notifica in corrispondenza dell’interno che il richiedente indica quale luogo di residenza, e ove constati la presenza, invece, del nominativo di altri soggetti i quali risultino momentaneamente assenti, deve procedere comunque alla notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., e non può limitarsi invece – tanto più in un ampio e moderno contesto urbano – a stendere una relazione negativa, neppure ove fondata sulle informazioni negative delle altre “persone del luogo””(vedi anche Cass. n. 6761/2004).

Nella più recente sentenza n. 19012/2017 questa Corte, nel ritenere legittima la notificazione effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. ad un destinatario, il cui nominativo non era stato rinvenuto sui citofoni e neppure sulle cassette postali, aveva valorizzato la circostanza che l’ufficiale giudiziario aveva attestato di aver raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell’atto, dai residenti interpellati.

Nella sentenza n. 8638/2017, questa Corte, sempre in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., ha enunciato il principio di diritto secondo cui l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione. In particolare, nel caso concreto esaminato dalla predetta sentenza, questo giudice di legittimità ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la regolarità di una notifica eseguita ex art. 143 c.p.c. semplicemente sulla base dell’assenza del nominativo della destinataria sul citofono dell’indirizzo di residenza anagrafica, trascurando di rilevare che la dicitura “famiglia” seguita da altro cognome, presente sullo stesso citofono, corrispondeva effettivamente alla residenza della destinataria, essendo quel cognome riferibile al defunto marito.

Alla luce del contenuto delle sentenze sopra menzionate, emerge in modo inconfutabile che questa Corte non ha mai ritenuto sufficiente, ai fini della valutazione positiva di irreperibilità del destinatario della notifica, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., il mero mancato rinvenimento del nominativo del notificando sui citofoni e neppure sulle caselle postali, occorrendo comunque un quid pluris che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, deve quantomeno consistere nella raccolta, da parte dell’ufficiale giudiziario, di specifiche informazioni in loco sul destinatario dell’atto dai residenti interpellati.

L’ufficiale giudiziario che, una volta verificata la mancanza del nominativo del notificando sui citofoni e sulle cassette postali, si astenga dal compiere ogni ulteriore ricerca ed indagine, quantomeno nei termini sopra illustrati, viene senz’altro meno al suo dovere di “normale diligenza” nello svolgimento dell’attività notificatoria.

La sentenza impugnata deve essere quindi cassata e, versandosi in fattispecie di nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, la causa va rinviata, ex art. 354 c.p.c., al Tribunale di Arezzo in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

3. Restano assorbiti i restanti motivi di ricorso, con i quali la ricorrente propone la questione di nullità sotto i distinti profili del vizio di motivazione apparente e/o contraddittoria, e denuncia inoltre la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10 in relazione agli artt. 293 e 153 c.p.c..

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Arezzo, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi i nominativi e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 30/11/2021) 27/01/2022, n. 2365

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9203/2015 R.G. proposto da:

Immobiliare La Vigna Srl, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Roberto Mussano e Antonio Petillo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma Piazza della Libertà n. 10, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 1100/24/14, depositata il 2 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio della pubblica udienza del 30 novembre 2021 dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Viste le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Pepe Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
La società Immobiliare La Vigna Srl impugnava due cartelle di pagamento, emesse e notificate da Equitalia Nord Spa per Iva, Ires e Irap, nonchè in relazione ad atto di irrogazione di sanzioni, per l’anno 2006, lamentando la mancata notificazione degli atti presupposti.

La CTP, in relazione all’avvenuto deposito degli avvisi di ricevimento da parte dell’Agenzia delle entrate, rigettava il ricorso.

La sentenza era confermata dalla CTR, che riteneva non dovuta la comunicazione di avvenuta notifica, di cui era stata eccepita l’omissione, poichè l’atto, notificato a mezzo del servizio postale, era stato consegnato a persona addetta al ritiro degli atti che si trovava presso la sede societaria, soggetto previsto dall’art. 145 c.p.c..

Immobiliare La Vigna Srl propone ricorso per cassazione con un articolato motivo; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Motivi della decisione
1. L’unico, complesso, motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di:

“D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b-bis), come modificato dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, e L. 20 novembre 1982, art. 7, n. 890 in relazione alla nullità della notifica effettuata dall’agente postale per mancanza della raccomandata informativa”;

“D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 per nullità delle notifiche degli atti presupposti: illogicità ed infondatezza della sentenza; violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6”;

“art. 145 c.p.c., comma 1, e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7 in relazione all’invio della raccomandata informativa” con riguardo alle persone giuridiche;

“D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b-bis), e L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, in relazione alla considerata specialità della normativa di cui alla L. n. 600 del 1973 rispetto alla L. n. 890 del 1982”.

1.1. Il ricorrente lamenta, in particolare, che la CTR ha ritenuto valida la notifica degli atti presupposti ancorchè l’atto non fosse stato consegnato direttamente al legale rappresentante della società ma ad altro soggetto e, quindi, dovesse essere inviata la raccomandata informativa, invece omessa.

Censura, inoltre, l’idoneità del soggetto al quale l’atto è stato consegnato, mero “portinaio”, non autorizzato dalla società al ritiro dei plichi e solo erroneamente indicato come persona incaricata a ricevere la notifica e custode da parte dell’agente postale, che non avrebbe compiuto alcuna delle necessarie verifiche sulla presenza del destinatario e sulle qualità della persona cui consegnava l’atto, risultando viziato, conseguentemente, il ragionamento della CTR che ha valutato come sufficiente l’attestazione nell’avviso.

Deduce, infine, l’irrilevanza della distinzione operata dalla CTR tra notifica effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario e, come nella specie, direttamente mediante ricorso al servizio postale ordinario, dovendosi ritenere in ogni caso necessario l’invio della raccomandata informativa, a pena di incostituzionalità della norma.

2. Il ricorso è infondato e ai limiti dell’inammissibile.

3. Va premesso, infatti, che, con l’unico globale motivo di impugnazione, la ricorrente, pur deducendo vizi di violazione di legge, ha, in realtà, denunciato – contemporaneamente e sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e combinati in un unico inestricabile continuo – sia errori nell’applicazione della legge sia vizi di motivazione, dolendosi, in sostanza, dell’esito della controversia e dell’errata valutazione delle risultanze di prova in giudizio, neppure essendo agevolmente possibile scindere, ad un concreto esame della formulazione del motivo stesso, il contenuto cassatorio di ciascuna censura.

Tale modalità di articolazione della censura, invero, non è rispettosa del sistema processuale vigente, in relazione alla formula prevista per il ricorso per cassazione, così come disciplinata dall’art. 360 c.p.c., ponendosi in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito” (v. tra le molte Cass. n. 19959 del 22/09/2014; Cass. n. 25332 del 28/11/2014; Cass. n. 18202 del 03/07/2008; Cass. n. 10420 del 18/05/2005; Cass. n. 16763 del 27/11/2002; v anche recentemente Cass. n. 14041 del 21/05/2021; Cass. n. 26790 del 23/10/2018; Cass. n. 7009 del 17/03/2017).

4. Pure a voler considerare, quale fondamento primario della censura, la lamentata errata valutazione da parte della CTR sulla doverosità o meno della comunicazione di avvenuta notifica (CAN), attesa l’inammissibilità delle censure per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ratione temporis applicabile (venendo in rilievo decisione pubblicata in data 2 ottobre 2014), il motivo è comunque infondato.

4.1. La CTR, infatti, da un lato ha accertato che l’atto è stato ricevuto da persona addetta al ritiro degli atti, evidenziando che ogni doglianza su tale qualità era stata abbandonata con l’atto d’appello (“L’appello nulla dice sulla identità e funzioni del consegnatario rinunciando quindi a sostenere, come fatto in primo grado, che si trattasse del portinaio dello stabile, opera quindi la presunzione che si trattasse effettivamente di persona addetta al ritiro degli atti, come attestato dall’agente postale”).

Su tale profilo, dunque, la censura della società è inammissibile, non potendo riproporre una questione che la CTR dichiara esser stata abbandonata in appello, finendo quindi per contestare la valutazione di merito delle risultanze processuali da parte del giudice d’appello.

Dall’altro, la CTR ha fondato la sua decisione su una duplice ratio, ossia che:

a) l’invio della CAN non fosse previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 che riguarda i casi in cui la consegna avviene a persone diverse da quelle previste dalle norme di procedura, mentre per l’art. 145 c.p.c. la consegna alla persona incaricata presso la sede societaria costituisce un destinatario tipico;

b) “nel caso di specie la notificazione è intervenuta direttamente dall’Ufficio, a mezzo del servizio postale, pertanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982”.

5. Entrambe le rationes, in realtà, sono corrette in diritto.

6. Quanto alla prima, va rilevato che l’art. 145 c.p.c., nel prevedere che “la notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”, individua una pluralità di soggetti tutti identificati come “destinatario”, sicchè, in caso di consegna ad uno di essi (come nella specie), non era necessaria la spedizione della raccomandata informativa (v. da ultimo Cass. n. 9878 del 26/05/2020).

7. Quanto alla seconda, di cui è contestata solo genericamente la validità, va rilevato che la L. n. 146 del 1998, art. 20 modificando la L. n. 890 del 1982, art. 14 ha aggiunto, per quanto qui interessa, la previsione che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla medesima L. n. 890 del 1982.

A decorrere, pertanto, dal 15 maggio 1998 (data di entrata in vigore della citata L. n. 146 del 1998), è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere “direttamente” alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale (Cass. n. 15284 del 10/06/2008; Cass. n. 34007 del 19/12/2019).

Ciò significa che il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata, alla quale, quindi, non si applicano le disposizioni della L. n. 890 del 1982, concernenti le sole notificazioni effettuate a mezzo posta tramite gli ufficiali giudiziali (o, eventualmente, i messi comunali e i messi speciali autorizzati), bensì le norme concernenti il servizio postale “ordinario”.

7.1. Orbene, in questa evenienza, ossia anche quando la consegna dell’atto avvenga a persona diversa dal destinatario (che la ricorrente individua esclusivamente con il legale rappresentante in caso di persona giuridica), va escluso che debba essere inviata la comunicazione di avvenuta notifica (CAN) (v. Cass. n. 10131 del 28/05/2020, sia pure con riguardo all’ipotesi del mancato recapito per temporanea assenza del destinatario).

7.2. Invero, la Corte costituzionale, con sentenza 23 settembre 1998, n. 346, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 890 del 1982, art. 8 nella parte in cui non prevede che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione, ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento.

Ma questa sentenza della Corte costituzionale riguarda la diversa modalità di notificazione a mezzo posta curata dall’Ufficiale Giudiziario, alla quale si applica la disciplina di cui alla L. n. 890 del 1982, compreso la norma in oggetto, mentre, con riguardo alla diversa ipotesi qui in giudizio, il differente iter notificatorio si spiega con la diversità delle fattispecie poste a confronto, comportando la notifica diretta a mezzo del servizio postale un procedimento più agile e semplificato, a tutela delle ragioni del fisco di preminente interesse pubblico.

Il profilo, del resto, è stato recentemente oggetto di un nuovo specifico intervento della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 175 del 2018 con riguardo all’omologa previsione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, ha ritenuto la conformità della disposizione al dettato costituzionale.

La Corte, infatti, ha rilevato che “la semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c. e L. n. 890 del 1982, art. 3” “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1” poichè “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”.

Ne ha derivato, quindi, che, nonostante la mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica – CAN – e l’inapplicabilità della L. n. 890 del 1982, art. 7 è ragionevole il bilanciamento degli interessi pubblici e privati, che è comunque garantito dal fatto che colui, che assuma in concreto la mancanza di conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile, può chiedere la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., ove comprovi, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di detta situazione (nel caso di specie neanche dedotta dalla ricorrente, nè in sede di merito, nè in questa sede).

8. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, regolate per soccombenza, sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna Immobiliare La Vigna Srl al pagamento delle spese di legittimità, che liquida in complessive Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2021

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022


Comm. trib. regionale Lazio Roma, Sez. IX, Sent., 17/01/2022, n. 157

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE PER IL LAZIO

NONA SEZIONE

riunita in udienza il 13/01/2022 alle ore 09:00 con la seguente composizione collegiale:

FERRANTI DONATELLA, – Presidente

BALDI FULVIO, – Relatore

FLAMINI LUIGI MARIA, – Giudice

in data 13/01/2022 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

– sull’appello n. 3146/2019 depositato il 23/05/2019

proposto da

Ag.entrate – Riscossione – Roma – Via Grezar 14 00142 Roma RM

Difeso da

Alessandra Paolini – (…)

ed elettivamente domiciliato presso alessandrapaolini@pec.ordineavvocatigrosseto.com

contro

A.M. – (…)

elettivamente domiciliato presso filippofantera@ordineavvocatiroma.org

Avente ad oggetto l’impugnazione di:

– pronuncia sentenza n. 20849/2018 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale ROMA sez. 29 e pubblicata il 14/12/2018

Atti impositivi:

– CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IVA-ALTRO 2007

a seguito di discussione in pubblica udienza

Richieste delle parti:

Ricorrente/Appellante: Come da motivazione

Resistente/Appellato: Come da motivazione

Svolgimento del processo
M.A. impugnava l’estratto di ruolo relativo a cartella di pagamento per Euro 16.559 relativa a tributi rimontanti all’anno 2007.

Con sentenza n. 20849/2018, depositata il giorno 14/12/2018, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso con compensazione delle spese rilevando l’irregolarità della notifica.

Avverso detta pronuncia è stato interposto appello da parte dell’Agenzia che deduce, attraverso un unico articolato motivo, l’errata valutazione dei fatti ed atti di causa per violazione degli artt. 26 D.P.R. n. 602 del 1973 nonché dell’art. 7 L. n. 890 del 1982, ribadendo anche le doglianze di primo grado e cioè l’inammissibilità del ricorso avverso l’estratto di ruolo per effettiva notifica della cartella, per carenza di interesse ad agire nonché per la sua palese tardività.

Il contribuente nulla controdeduceva.

Motivi della decisione
L’appello è fondato.

Ed invero la cartella n. (…) è stata regolarmente notificata in data 18.4.2011 tramite raccomandata con ricevuta di ritorno e regolarmente ricevuta da chi si è qualificato portiere. Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi dell’art. 26 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, anche direttamente da parte del concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina degli art. 32 e 39 D.M. 9 aprile 2001, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Ne consegue che, se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido, poiché la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata.” (Cassazione civile, sez. V, 27/05/2011, n. 11708; conforme: Cass. civ. sez. trib., 19.09.2012, n. 15746/12; Cass. ordinanza del 08.11.2013 n. 25128; Cass., 27 gennaio 2017, n. 2100 ).

Va quindi escluso che, in caso di consegna della cartella a persona diversa dal destinatario, l’Ente della riscossione debba inviare un’ulteriore raccomandata informativa al contribuente.

Pertanto la sentenza gravata va integralmente riformata, dovendo essere riconosciuta la correttezza della notifica della cartella.

Le spese del secondo grado di giudizio possono essere compensate alla luce della problematicità della decisione per effetto del complesso quadro normativo e delle oscillazioni giurisprudenziali.

P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, Sez. 9, così delibera:

Accoglie l’appello dell’Agenzia e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2022.


Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 28-09-2021) 20-12-2021, n. 40758

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 35506/2018 proposto da:
P.L., elettivamente domiciliato in Roma Via Rosa Raimondi Garibaldi n. 141, presso lo studio dell’avvocato Petitta Leonardo, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Poste Italiane Spa;
– intimato –
avverso la sentenza n. 8823/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 03/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2021 da PORRECA PAOLO;
udito l’Avvocato;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale.
Svolgimento del processo
che:
l’avvocato P.L. conveniva in giudizio Poste Italiane, s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito di un indebito prelievo, ad opera di sconosciuti, dal suo conto corrente postale abilitato al servizio telematico “online”;
il Giudice di pace accoglieva la domanda, con pronuncia riformata dal Tribunale secondo cui l’evento di danno, non risultando un malfunzionamento del sistema telematico della società, non poteva addebitarsi alla convenuta, che aveva anzi avvisato la clientela di non inserire dati sensibili rispondendo ad “email” non verificate, dovendo invece ragionevolmente correlarsi all’incauta comunicazione, da parte del titolare del conto, delle credenziali di accesso a seguito della riferita ricezione e risposta a un’email” volta alla frode poi, infatti, posta in essere;
avverso questa decisione ricorre per cassazione P.L. sulla base di un unico motivo, corredato da memoria;
il processo è stato rinviato alla pubblica udienza con ordinanza n. 2755 del 2020 della sezione Sesta;
il Pubblico Ministero ha depositato memoria.
Motivi della decisione
che:
con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 31, “ratione temporis” applicabile, e dell’art. 2729 c.c., poiché il Tribunale avrebbe errato imputando al deducente la prova del mancato funzionamento del sistema telematico della convenuta, omettendo, al contempo, di evincere presuntivamente dai fatti la mancata predisposizione, da parte della medesima società, d’idonee misure volte a prevenire frodi come quella in esame, tenuto conto che, come risultato, in risposta all’evocata e non filtrata “email”, erano stati inseriti codice identificativo e “password” ma, prudentemente, non il codice di dieci cifre necessario all’operazione;
Rilevato che:
va dato atto che il ricorso è stato chiamato per l’udienza pubblica di discussione, non tenuta in camera di consiglio ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, siccome successivamente prorogato al 31 luglio 2021 dal D.L. 1 aprile 2021, n. 44, art. 6, comma 1, lett. a), n. 1), convertito dalla L. 28 maggio 2021, n. 76, nonché fino al 31 dicembre 2021, ma con eccezione delle udienze già fissate per i mesi di agosto e settembre 2021, dal D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, commi 1 e 2, quale convertito;
il ricorso è inammissibile;
l’atto risulta infatti notificato via p.e.c. al difensore dell’intimata, con accettazione, da parte del sistema, ma senza consegna per “casella piena”;
al contempo, l’intimata aveva eletto domicilio presso lo studio dell’avvocato Domenico Febbo, in Roma viale Europa n. 190;
il procedimento notificatorio avrebbe dunque dovuto riprendersi per tempo all’indirizzo di elezione;
come osservato esplicativamente nella richiamata ordinanza interlocutoria, questa Corte ha chiarito che una notificazione è validamente effettuata all’indirizzo p.e.c. del difensore di fiducia, quale risultante dal Reginde, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi dell’art. 16 sexies del D.L. n. 179 del 2012 – come convertito dalla L. n. 221 del 2012, e modificato dall’art. 47 del D.L. n. 90 del 2014, convertito a sua volta dalla L. n. 114 del 2014 – non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato (Cass., 24/05/2018, n. 12876);
se però la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione, come nel caso, non imputabile al notificante – essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., 20/05/2019, n. 13532, Cass., 21/03/2018, n. 8029) – il notificante stesso deve ritenersi abbia il più composito onere, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario (fisico) eletto, in un tempo adeguatamente contenuto (arg. ex Cass., Sez. U., 15/07/2016, n. 14594, che ha indicato il temine della metà di quello previsto dall’art. 325, c.p.c.; Cass., 19/07/2017, n. 17864, Cass., 31/07/2017, n. 19059, Cass., 11/05/2018, n. 11485, Cass., 09/08/2018, n. 20700);
la conclusione è in linea con il principio, recentemente ribadito, per cui dev’esser escluso che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass., 11/02/2021, n. 3557, pag. 5, in cui si richiamano: Cass. nn. 1982 del 2020, 2942 del 2019, 22892 del 2015);
solo in tal caso, dunque, potranno conservarsi gli effetti della originaria notifica: in tal senso, e misura, si può raccogliere l’affermazione di Cass., 18/11/2019, n. 29851, secondo cui, più in generale, in caso di notifica telematica effettuata dall’avvocato, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella p.e.c., pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dall’art. 137 c.p.c. e ss., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al (citato) D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, ultima parte, prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC);
parte ricorrente, nella memoria depositata prima del rinvio alla pubblica udienza, richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il titolare dell’account” di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della propria casella postale sicché, nel caso di notifica telematica di atti quali un rigetto di opposizione allo stato passivo, poi impugnato, o la comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza di discussione nel giudizio di legittimità, effettuati alla casella di posta elettronica e rifiutati dal sistema con il messaggio di “casella piena”, la notificazione ovvero comunicazione debbono ritenersi regolarmente avvenute giacché, una volta ottenuta dall’ufficio l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di p.e.c., diventa responsabile della gestione della propria utenza, avendo l’onere non solo di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli a tale indirizzo, ma anche di attivarsi affinché i messaggi possano essere regolarmente recapitati (Cass., 21/05/2018, n. 12451, che cita Cass. n. 23650 del 2016, in cui poi la Cancelleria aveva effettuato la comunicazione dell’avviso di udienza anche via fax, preso atto dell’esito di “casella piena” della comunicazione via p.e.c.);
ritiene il Collegio che i principi in parola non siano dirimenti perché relativi a fattispecie diversa, in cui:
a) risultava indicato a tali fini l’indirizzo telematico;
b) soprattutto, non risultava effettuata una diversa elezione di domicilio fisico;
se, cioè, si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico sopra richiamato, ciò non può viceversa imporre al difensore destinatario della notifica, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia dato speculare valore al luogo elettronico di ricezione appositamente eletto;
e, parimenti, l’onere del notificante si articola come detto diversamente, dovendo tenersi congruo conto della specifica elezione di domicilio fisica;
pertanto, la notifica telematica al domicilio digitale sarà valida nell’ipotesi di avvenuta consegna, mentre, qualora vi sia una differente e specifica elezione di diverso domicilio (nell’odierna fattispecie, fisico), nell’eventualità di “casella telematica piena” (presso il domicilio digitale più sopra ricordato) per insufficiente gestione dello spazio da parte del destinatario della notifica, il notificante dovrà, per tempo, riprendere il procedimento notificatorio presso il domicilio eletto, e ciò a valere solo nel caso specificato, altrimenti non potendo sussistere alcun altro affidamento, da parte del notificatario, se non alla propria costante gestione della casella di posta elettronica, e nessun’altra appendice alla condotta esigibile dal notificante;
in senso opposto – per ritenere, cioè, la notifica perfezionata in ogni caso con il primo invio telematico, essendo addebitabile al destinatario lo stato di casella p.e.c. piena – si sono richiamati (cfr. Cass., 11/02/2020, n. 3164):
– il disposto di cui all’art. 149 bis c.p.c., comma 3, in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario;
– il D.M. n. 44 del 2011, art. 20, comma 5, in cui si stabilisce che “il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione”;
la prima norma appare, però, neutra ai fini in parola, prevedendosi, infatti, solo che “la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”;
seppure il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore deve potersi evolvere in una effettiva disponibilità da parte del destinatario suscettibile di essere dunque onerato di fare quanto necessario perché ciò avvenga, tale prospettiva ricostruttiva, ad avviso del Collegio, non tiene conto dei due elementi cui prima si è accennato:
i) il difetto di esclusività del domicilio digitale;
ii) la mancata elisione della prerogativa processuale di eleggere domicilio fisico con effetti alternativi;
diversamente, la previsione legale del domicilio digitale dovrebbe intendersi aver soppresso ad ogni fine e valenza la facoltà processuale di elezione di diverso domicilio (fisico), in assenza di una specifica norma in questo senso;
il disposto del D.M., poi, data la natura secondaria della fonte, non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di casella di p.e.c. satura la notificazione si abbia per perfezionata;
neppure decisivo appare l’art. 138 c.p.c., comma 2, che considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente a una notificazione di tale genere: la responsabilità, in ipotesi anche colposa, di lasciare la casella di p.e.c. satura, non può equivalere a un intenzionale rifiuto di ricevere notificazioni tramite essa, tanto più attesa l’alternativa elezione di domicilio fisico utilizzabile;
il punto di caduta ed equilibrio appena ricostruito appare inoltre il più coerente con la fase di transizione del regime processuale dalla dimensione fisica, intesa in senso tradizionale, a quella esclusivamente telematica;
in questa cornice, infine, non può ritenersi giustificato un ordine di rinnovo giudiziale della notificazione, che risulterebbe privo di legittimazione normativa a fronte, invece, dell’opposto principio di ragionevole durata del processo;
ne consegue, nella fattispecie in scrutinio, l’inammissibilità del ricorso; non deve disporsi sulle spese in assenza di difesa della controparte.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2021

 


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 29/09/2021) 02/12/2021, n. 38010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23063/2015 R.G. proposto da:

Maxflora srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Domenico Siciliano, con domicilio eletto in Roma, via Antonio Gramsci, presso lo studio del difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania n. 1057/17/15, depositata il 17 marzo 2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 settembre 2021 dal Consigliere Enrico Manzon;

uditi gli Avv. Giovanni Palatiello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Salzano Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania rigettava l’appello proposto da Maxflora srl avverso la sentenza n. 429/1/13 della Commissione tributaria provinciale di Ragusa che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2007.

La CTR osservava in particolare che le pretese creditorie erariali erano ben fondate dalla metodologia accertativa utilizzata, di tipo presuntivo, che comunque l’atto impositivo impugnato era stato correttamente notificato e debitamente sottoscritto dal direttore dell’Agenzia delle entrate, ufficio locale; che in ogni caso non vi erano elementi per ridurre dette pretese, posto che la società contribuente non aveva adeguatamente assolto il proprio onere di provare i costi afferenti i ricavi presuntivamente accertati.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Motivi della decisione
Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole della violazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 29, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, poichè la CTR ha affermato la validità della procedura notificatoria dell’avviso di accertamento impugnato, trattandosi di atto impositivo del nuovo tipo “impoesattivo”, essendo stato lo stesso inviato “direttamente” a mezzo posta da parte dell’agenzia fiscale, peraltro senza recazione di relata di notifica, e ciò costituendo causa di inesistenza, non sanabile, della notificazione e quindi di invalidità per decadenza dell’atto impositivo medesimo.

La censura è infondata.

Pacifico in fatto che l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato a mezzo posta direttamente dall’agenzia fiscale senza l’intermediazione di ufficiale giudiziario ovvero di messo notificatore, il Collegio ritiene di dare seguito a quanto già affermatosi nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla piena legittimità di tale procedura notificatoria anche con riguardo alla nuova tipologia di avvisi di accertamento (c.d. impoesattivi) introdotta con il D.L. n. 78 del 2010, art. 29, (v. Cass. n. 27634 del 2020).

Tale disposizione legislativa, nella versione applicabile ratione temporis, prevede che “Le attività di riscossione relative agli atti indicati nella seguente lettera a) emessi a partire dal 1 ottobre 2011 e relativi ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, sono potenziate mediante le seguenti disposizioni: a) l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15. L’intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 8, comma 3-bis, art. 48, comma 3-bis, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 19, nonchè in caso di definitività dell’atto di accertamento impugnato. In tali ultimi casi il versamento delle somme dovute deve avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata; la sanzione amministrativa prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, non si applica nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute, nei termini di cui ai periodi precedenti, sulla base degli atti ivi indicati; b) gli atti di cui alla lettera a) divengono esecutivi decorsi sessanta giorni dalla notifica e devono espressamente recare l’avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli agenti delle riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato. L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera a); tale sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonchè ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. L’agente della riscossione, con raccomandata semplice spedita all’indirizzo presso il quale è stato notificato l’atto di cui alla lettera a), informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione”.

Orbene, non può ritenersi che tale disposizione legislativa abbia un qualsiasi effetto abrogante della L. n. 890 del 1982, art. 14, che appunto prevede, senza alcuna distinzione tra gli atti ivi indicati, la facoltà degli Enti impositori di procedere alla notificazione a mezzo posta senza intermediazione alcuna, se non appunto quella dell’agente postale.

E, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, non si può a tal fine affermare che sia rilevante/scriminante la distinzione tra le tipologie di atti previste nel D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. a), non vedendosi alcuna ragione giuridica in questo senso, essendo la previsione che anche gli atti successivi a quelli indicati nella prima parte possano essere notificati con lettera raccomandata nient’altro che estensiva di detta facoltà di “notificazione diretta”.

Disattendendo un’ulteriore argomentazione della società contribuente, va peraltro ribadito che la notificazione di un atto impositivo non è affatto un elemento costitutivo di esistenza giuridica/validità del medesimo, bensì esclusivamente una sua condizione di efficacia (cfr. ex multis, Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 21071 del 24/08/2018, Rv. 650056 – 01).

D’altro canto, non vi è ragione per affermare che l’idoneità a trasformarsi in titolo esecutivo solo dopo 60 giorni dalla notificazione stessa, a differenza dell’iscrizione a ruolo che D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 12, comma 4, ha effetto immediato, ne rappresenti invece un elemento costitutivo. Infatti è la stessa disposizione legislativa che chiarisce che con la novità normativa si è inteso aggiungere una nuova modalità di formazione di un titolo esecutivo legittimante la riscossione esattoriale, laddove il D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. b), prevede appunto espressamente che “la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata..”.

Infine sul punto deve altresì darsi seguito al principio di diritto che “In caso di notificazione a mezzo posta dell’atto impositivo eseguita direttamente dall’Ufficio finanziario ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 14, si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, e non quelle di cui alla suddetta legge concernenti esclusivamente la notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 149 c.p.c., sicchè non va redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, senza necessità dell’invio della raccomandata al destinatario, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., la quale opera per effetto dell’arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione ed è superabile solo se il destinatario provi di essersi trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prenderne cognizione” (ex pluribus, Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 29642 del 14/11/2019, Rv. 655744 – 01).

In conclusione, indiscussa la ricezione dell’avviso di accertamento impugnato da parte della società contribuente, va affermata la piena ritualità della procedura notificatoria effettuata secondo la previsione di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 14, in base alla disciplina della legge medesima.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, poichè la CTR ha affermato la validità dell’atto impositivo impugnato nonostante non fosse provata al legittimazione a sottoscriverlo del direttore dell’Agenzia delle entrate, ufficio locale.

La censura è infondata.

Il giudice tributario di appello ha accertato in fatto, insindacabilmente, che il sottoscrittore dell’avviso di accertamento de quo è il direttore provinciale dell’agenzia fiscale.

Ciò posto, va ribadito in diritto che “In tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito nella L. n. 44 del 2012. (Principio affermato ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3)” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22810 del 09/11/2015, Rv. 637349 – 01).

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., poichè la CTR ha ritenuto nel merito che l’avviso di accertamento impugnato rosse fondato su presunzioni aventi le caratteristiche da dette disposizioni codicistiche, con ciò violando il principio generale sull’onere della prova sancito dalla prima.

La censura è infondata.

Va anzitutto ribadito che “La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5” (Cass., n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 – 01).

Nel caso di specie la CTR siciliana non ha affatto violato tale precetto, correttamente attribuendo all’agenzia fiscale l’onere di suffragare le proprie pretese creditorie e peraltro affermando appunto che tale onere doveva considerarsi pienamente assolto.

Quanto al resto, la censura risulta inammissibile, introducendo valutazioni circa il giudizio di merito dato dal giudice tributario di appello, in particolare sulla valorizzazione delle prove agli atti, che non possono essere revisionate da questa Corte, secondo i consolidati principi di diritto che “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (ex multis, Cass. n. 9097 del 07/04/2017) e che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).

Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, nonchè degli artt. 3, 27, 53 Cost., dell’art. 6 CEDU, comma 2, poichè la CTR ha ritenuto irrilevanti i prelevamenti effettuati dal legale rappresentante pro tempore della società contribuente, nonostante l’induttività della metodologia accertativa implicasse necessariamente di doverne tenere conto come componenti negative di reddito, altrimenti violandosi specificamente il principio costituzionale di capacità contributiva.

La censura è infondata.

Va ribadito che “In tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario” (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 22868 del 29/09/2017, Rv. 645900 – 01).

Trattandosi nel caso di specie della tipologia accertativa analitico-induttiva, emergendo ciò in modo inequivoco dalla stessa narrativa di ricorso, risulta evidente che la CTR siciliana ha deciso in piena conformità a tale arresto giurisprudenziale e non merita cassazione nemmeno in relazione a tale critica, non potendosi ovviamente “revisionarne” il giudizio di merito circa il mancato assolvimento dello specifico onere probatorio in questione da parte della società contribuente.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2021


Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 06-07-2021) 16-12-2021, n. 40467

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29897/2019 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLO COLOMBO, ANNA MARIA PETRALITO;

– ricorrente –

contro

AZIMUT SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CONSOLATO 6, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO SERRA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO GAMBA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 468/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/07/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Svolgimento del processo
che:

T.G. propose innanzi al Tribunale di Cremona opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c., avverso il Decreto Ingiuntivo, notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c., emesso in favore di Azimut s.r.l. per l’importo di Euro 61.781,03, a titolo di corrispettivo per le opere eseguite extracapitolato presso l’immobile di proprietà dell’ingiunto, operata dal totale di Euro 68.331,53 la detrazione della somma di Euro 6.460,50 pari al costo per l’eliminazione dei vizi lamentati dal T.. L’opponente propose inoltre domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della somma di Euro 41.977,67, a titolo risarcitorio ai sensi degli artt. 1669 e/o 2043 c.c., per i danni derivanti dai vizi a carico dell’immobile. Il Tribunale accolse sia l’opposizione che la domanda riconvenzionale nei limiti del minor importo (rivalutato) di Euro 17.500,00. Avverso detta sentenza propose appello Azimut s.r.l.. Con sentenza di data 15 marzo 2019 la Corte d’appello di Brescia accolse l’appello, dichiarando l’inammissibilità per tardività dell’opposizione al decreto ingiuntivo e condannando l’appellato al pagamento della somma di Euro 61.781,03 oltre interessi.

Premise la corte territoriale che in data (OMISSIS) era stata eseguita la notificazione del Decreto Ingiuntivo presso la residenza anagrafica del debitore a mezzo del servizio postale, con esito negativo per lo stato di “irreperibilità del destinatario” e che in data (OMISSIS) la notifica era stata eseguita dall’ufficiale giudiziario il quale, confermando la situazione verificata dall’ufficiale postale, aveva dichiarato che all’indirizzo di (OMISSIS) vi era uno “stabile sprovvisto di portineria”, “il nome non figura sul citofono nè sulla cassetta postale”, così da rendere “non applicabile la notifica ex art. 140 c.p.c.” e che erano state “vane le ricerche esperite sul posto”. Osservò quindi, non potendo essere poste in discussione le attestazioni dell’ufficiale giudiziario in mancanza di querela di falso, che non poteva reputarsi inidonea neppure l’attestazione riguardante il vano esperimento delle ricerche sul posto, perchè: l’espletamento di tale adempimento era attestato dal pubblico ufficiale; l’esito negativo era coerente al precedente tentativo mediante servizio postale; le ricerche non avrebbero potuto fornire un risultato diverso dato che l’indirizzo di (OMISSIS) corrispondeva all’effettiva ed attuale residenza dell’ingiunto.

Aggiunse che la domanda riconvenzionale non era autonoma rispetto alla pretesa creditoria, e pertanto risultava travolta dall’inammissibilità dell’opposizione con la formazione del relativo giudicato, perchè l’opposta aveva chiesto il pagamento delle opere extra contratto (e a tale domanda l’opponente aveva resistito sostenendo che il relativo costo era stato preso in considerazione nel corrispettivo della compravendita) ed inoltre aveva offerto, a deduzione del costo delle opere in questione, il minor valore determinato da tale costo, cui l’opponente aveva replicato offrendo una differente valutazione delle circostanze e delle criticità in parola.

Ha proposto ricorso per cassazione T.G. sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Sono state depositate memorie.

Motivi della decisione
che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 140, 143 e 148 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, come riconosciuto dalla stessa Corte d’appello, era provato che nel (OMISSIS) il T. avesse stabile residenza anagrafica all’indirizzo di (OMISSIS) e che la barratura della casella “vane ricerche” avrebbe dovuto essere completata adeguatamente mediante una relazione che desse conto dell’attività compiuta ai fini di consentire la notifica a mani o accertare la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 140, dando conto in modo esaustivo delle attività compiute e spiegando così come il loro esito avesse portato alla conclusione inequivocabile del trasferimento altrove della residenza (peraltro si trattava di un’area di villette regolarmente e stabilmente abitate, ragion per cui era sufficiente chiedere informazioni ai vicini ivi residenti). Aggiunge che non poteva ricorrere lo stato di ignoranza incolpevole circa l’effettivo indirizzo di residenza del destinatario (che avrebbe legittimato la notifica ai sensi dell’art. 143), sia perchè il T. aveva stabile residenza nell’indirizzo in questione, dal quale era temporaneamente assente per impegni di lavoro, sia perchè tale residenza era nota ad Azimut.

Il motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della notificazione ex art. 143 c.p.c., l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (Cass. n. 8638 del 2017). Il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Cass. n. 24107 del 2016), il che val quanto dire, come affermato da Cass. n. 18385 del 2003, che “l’ufficiale giudiziario debba comunque preliminarmente concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione”. Va inoltre rammentato che i presupposti, legittimanti la notificazione a norma dell’art. 143 c.p.c., non sono solo il dato soggettivo dell’ignoranza, da parte del richiedente o dell’ufficiale giudiziario, circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, nè il mero possesso del certificato anagrafico, dal quale risulti il destinatario stesso trasferito per ignota destinazione, essendo anche richiesto che la condizione di ignoranza non sia superabile attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi ad opera del mittente con l’ordinaria diligenza: a tal fine, la relata di notificazione fa fede, fino a querela di falso, circa le attestazioni che riguardano l’attività svolta dall’ufficiale giudiziario procedente e limitatamente ai soli elementi positivi di essa, mentre non sono assistite da pubblica fede le attestazioni negative, come l’ignoranza circa la nuova residenza del destinatario della notificazione (Cass. n. 19012 del 2017).

Nel caso di specie l’indicazione di “vane le ricerche esperite sul posto”, al cospetto dell’accertata residenza anagrafica, evidenzia una carenza del procedimento notificatorio sotto il profilo del requisito della effettività delle ricerche e della specifica indicazione di quali siano state le “effettive” ricerche compiute, rilevante nel caso di specie come requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto (art. 156 c.p.c., comma 2). In mancanza infatti della specifica indicazione delle effettive ricerche compiute, la generica indicazione di “vane le ricerche esperite sul posto” è inidonea ad integrare un fatto di cui l’ufficiale giudiziario dia conto nel processo verbale, per il quale incomba sulla parte interessata l’onere di proporre querelai di falso, ma ha la valenza esclusivamente di una valutazione, non assistita, come è noto, dalla precipua efficacia dell’atto pubblico (in particolare, l’ufficiale giudiziario ha stimato “vane” le ricerche esperite, ma ha omesso di attestare i fatti, che sarebbero avvenuti, corrispondenti alle ricerche eseguite). Non vale richiamare Cass. n. 17964 del 2017, come si fa nella memoria della controricorrente, la quale esclude che ricorra la nullità nel caso di mancata indicazione nel processo verbale delle indagini eseguite a condizione però che risulti comunque con assoluta certezza l’effettivo compimento delle stesse, circostanza che non risulta nel caso di specie (mentre sussisteva nel caso di cui al precedente appena citato).

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale, ritenendo travolta la domanda riconvenzionale, ha confuso il contenuto di domande che restano autonome, con l’istituto della compensazione e che il contenuto della domanda riconvenzionale prescinde del tutto dall’opposizione a decreto ingiuntivo.

L’accoglimento del precedente motivo determina l’assorbimento del motivo.

P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso, con assorbimento del secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2021


Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 02/07/2021) 14/12/2021, n. 39970

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23301-2018 proposto da:

FALLIMENTO R.R., FALLIMENTO (OMISSIS) SNC, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARNUCCIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIONE BANCHE ITALIANE SPA, (GIA’ BANCA CARIME SPA), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GRILLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 561/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 22/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Svolgimento del processo
Che:

la Banca Carime s.p.a. si opponeva al precetto notificatole dalla curatela del Fallimento (OMISSIS) s.n.c., deducendo che il legittimato passivo del titolo giudiziale oggetto dell’intimazione era la s.p.a. Carical;

il Tribunale accoglieva l’opposizione con pronuncia riformata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, il giudice di prime cure aveva dato atto della diversità dei soggetti sociali, tra cui vi era stata cessione di ramo di azienda, senza accertare che il rapporto sotteso al titolo fosse stato ricompreso nella stessa “traslatio” laddove, al contempo, non poteva evincersi alcun giudicato opposto, sul punto, dalla decisione azionata come titolo, atteso che in quel giudizio non vi era stata cognizione specifica al riguardo, nè poteva ipotizzarsi una non contestazione in prime cure, in cui la società coinvolta era rimasta contumace, nè alcunchè in appello, dichiarato solo in rito inammissibile;

avverso la decisione di secondo grado ricorre per cassazione l’amministrazione fallimentare articolando tre motivi;

resiste con controricorso UBI Banca s.p.a. quale incorporante Banca Carime.

Motivi della decisione
Che:

con il primo e secondo motivo, suscettibile di sintesi per strettissima connessione, si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 616, c.p.c., nel testo “ratione temporis” applicabile, comma 2, poichè la decisione del Tribunale era inappellabile e dunque impugnabile solo con ricorso straordinario per cassazione, con conseguente intervenuto giudicato di cui era stato quindi omesso il rilievo;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c., art. 2909 c.c., D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 poichè la Corte territoriale avrebbe errato mancando di considerare che nella decisione azionata quale titolo s’indicava la Carime quale successore della Carical, mentre la Corte territoriale aveva affermato una mancata prova dell’inclusione del rapporto obbligatorio in questione nella cessione del ramo di azienda tra le due società senza, però, che tale documento fosse acquisito agli atti del giudizio “a quo”, mentre l’interpretazione extratestuale del titolo esecutivò sarebbe stata possibile solo in base alla documentazione ritualmente acquisita nel correlato processo;

Rilevato che:

nel controricorso si è eccepita la tardività del ricorso per cassazione in quanto la sentenza impugnata risulta essere stata notificata via p.e.c. al domiciliatario in appello oltre che al “dominus” difensore, ai fini di decorrenza del termine breve, infine spirato;

l’eccezione, afferente peraltro a profilo rilevabile d’ufficio, è fondata;

osserva il Collegio che la notifica via p.e.c. della sentenza di appello, risultante agli atti del controricorrente, rispetto alla quale è decorso invano termine per impugnare in questa sede, è stata effettuata in tale forma nonostante un’elezione di domicilio fisico in capo all’avvocato Silvio Dattola, destinatario come detto della notifica telematica;

questa Corte ha chiarito che:

a) a seguito dell’introduzione del c.d. domicilio digitale (corrispondente all’indirizzo p.e.c. che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, previsto dal D.L. n. 179 del 201, art. 16 sexies convertito dalla L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, convertito dalla L. n. 114 del 2014), la notificazione va eseguita all’indirizzo p.e.c. del difensore costituito, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo, sicchè è nulla la notificazione effettuata (ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82) presso la Cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest’ultimo;

b) tale principio deve trovare certamente applicazione nei casi in cui il destinatario della notificazione abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario dinanzi a cui pende la lite (con la conseguente necessità. di ricorrere, per tale ipotesi, alla notificazione presso il c.d. domicilio digitale del destinatario), mentre non spiega efficacia nei casi in cui la Cancelleria del giudice dinanzi a cui pende la lite, lungi dal rilevare quale riferimento per il caso di omessa elezione di domicilio nel Comune di detto giudice (ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82), rappresenti il luogo di espressa identificazione elettiva del domicilio dell’interessato, dovendo escludersi che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte d’individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico – anche la Cancelleria dell’ufficio giudiziario – come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass., 29/01/2020, n. 1982);

resta inteso che qualora vi sia stata indicazione della domiciliazione digitale, non circoscritta alle sole comunicazioni, le notifiche, al fine di far decorre il termine breve, devono avvenire necessariamente in tale luogo telematico (Cass., 01/06/2020, n. 10355);

questo quadro ha portato a concludere che il domicilio digitale può essere utilizzato per la notificazione in questione, anche se non elide la prerogativa processuale di eleggere domicilio fisico, sicchè le due opzioni concorrono (Cass., 11/02/2021, n. 3557);

in tal caso, la parte aveva solo eletto domiciliazione fisica, ma la domiciliazione digitale, pur non impedendo l’utilizzo della prima, restava, per volontà dell’ordinamento, una delle due possibilità ai fini in discussione;

nèdiscende la ritualità della notifica della sentenza qui gravata, nei sensi eccepiti dalla controricorrente, con conseguente sua idoneità all’attivazione del termine breve di impugnazione e tardività dell’odierno ricorso;

spese secondo soccombenza;

raddoppio c.u. se dovuto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in Euro 4.100,00 oltre a Euro 200,00 per esborsi, 15% di spese forfettarie, e accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2021


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 14/07/2021) 24/11/2021, n. 36403

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4419-2020 R.G. proposto da:

L.M., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Antonio PIRRELLI, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via L. Mantegazza, n. 24, presso lo studio del Dott. Marco GARDIN;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. MYCS3/2019 della Commissione tributaria regionale del LA depositata in data 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/07/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo
che:

– in controversia relativa ad impugnazione di una intimazione di pagamento relativa a 38 cartelle di pagamento e 2 avvisi di debito emessa da Equitalia Sud s.p.a. nei confronti di L.M., con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, regolarmente notificati gli atti prodromici all’intimazione impugnata “consegnati in parte direttamente al destinatario ed in parte al familiare convivente o addetto alla casa, non necessitante, in quest’ultimo caso, diversamente da quanto sostenuto, l’invio di successiva raccomandata informativa”, ed infondata l’eccezione di prescrzione dei crediti tributari in quanto soggetti al termine di prescrizione decennale;

– avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, limitando l’impugnazione a solo otto cartelle di pagamento (espressamente elencate a pag. 12 del ricorso);

– replica con controricorso l’intimata /Agenzia delle entrate Riscossione;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

– il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione
che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c. “per avere la Commissione Regionale affermato sussistere termine di prescrizione decennale in luogo di quello quinquennale con riferimento ai tributi erariali cristallizzati in atti amministrativi (cartelle e avvisi di pagamento) e non in atti giurisdizionali”.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, con riferimento soltanto a quattro cartelle di pagamento, un error in iudicando, ai sensi dell”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonchè degli artt. 137 e 139 c.p.c., nonchè un (non meglio specificato) vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la CTR aveva “omesso di considerare nulla/inesistente la notifica dell’atto tributario nel difetto della prova della spedizione da parte del notificante e della ricezione da parte del notificando della lettera informativa di avvenuta notifica che si era resa obbligatoria in mancanza della consegna a mani proprie”.

3. Tale ultimo motivo, che per ragioni di ordine logico-giuridico va esaminato preliminarmente, è infondato e va rigettato in quanto la notifica delle cartelle di pagamento, per espressa ammissione dello stesso ricorrente e per come risulta dalla documentazione fotorìprodotta nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, è stata effettuata D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, a persona di famiglia (suocera del contribuente) per cui non era necessario l’invio della raccomandata informativa.

4. Invero, questa Corte è ferma nel ritenere che “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, aì sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 in quanto tale forma “semplificata” di notificazione sì giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018, Rv. 651834 – 01; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10037 del 10/04/2019, Rv. 653680 – 01, secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, mediante invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento da parte del concessionario, non è necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario, peraltro con esclusione della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, in quanto privo di efficacia retroattiva, e non quelle della L. n. 890 del 1982”).

5. In questa direzione, del resto, depone proprio il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, che consente agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, precisando che in caso di notifica “nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda” (comma 2) o al “portiere dello stabile dov’è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda” del destinatario, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da tali soggetti, prevedendo lo stesso art. 26, il rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, unicamente per quanto non regolato nello stesso articolo (cfr. Cass. n. 14196/2014, Cass. ord. n. 3254/16, Cass. n. 802 del 2018; conf. Cass. n. 12083 del 2016 e n. 29022 del 2017).

6. E d’altro canto, come affermato da Cass. n. 28872 del 12/11/2018, sopra citata, la Corte costituzionale, occupandosi della questione ha dichiarato, con la sentenza n. 175 del 2018, la conformità a Costituzione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, rilevando che “la semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c. e alla L. n. 890 del 1982, art. 3” e nella “mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica (cosiddetta CAN)”, “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1”. ha precisato il Giudice delle leggi che, seppure non sia prevista la relata di notifica, nella notificazione “diretta” ai sensi del citato art. 26 “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”. Inoltre, la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica (ma solo nel caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere), “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”.

7. In senso analogo si sono recentemente espresse anche le Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 10012 del 2021 che, sempre in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, ha ritenuto necessario l’invio della raccomandata informativa soltanto nelle ipotesi – nella specie non ricorrenti – di “irreperibilità o rifiuto di ricevere” l’atto da parte del destinatario e delle persone addette alla casa, precisando che, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio, la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), ritenendo a tal fine insufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della stessa.

8. Il primo motivo, al cui esame deve quindi passarsi, è fondato nei limiti di cui appresso si dirà.

9. Il Supremo consesso di questa Corte ha affermato, nella sentenza n. 23397 del 2016 (seguita da numerose pronunce delle Sezioni semplici, tra cui Cass. n. 9906, n. 11800 e n. 12200 del 2018), che “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, trìbutarie ed extratributarie, nonchè di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

10. Secondo la citata pronuncia, quindi, la mancata impugnazione degli atti impositivi/esecutivi rende irretrattabili i crediti d’imposta, senza incidere sul relativo termine prescrizionale, che è quello ordinario decennale salvo che non sia per essi espressamente previsto ex lege un termine inferiore; ne consegue che nel caso di specie la CTR ha correttamente interpretato tale principio ritenendo soggetto a prescrizione decennale tutti i crediti erariali, nella specie IVA (cfr. Cass. n. 8256 del 2019, non massimata, e la giurisprudenza ivi richiamata), IRPEF (Cass. n. 9906 del 2018) ed IRAP (Cass. n. 1543 del 2018), il cui termine prescrizionale è chiaramente decennale.

11. A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi con riferimento agli interessi e alle sanzioni collegati ai predetti tributi, il cui termine di prescrizione, diversamente da quanto risulta dal tenore dell’impugnata sentenza, è quello quinquennale.

12. Invero il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, comma 3, stabilisce che “il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni”. A sua volta l’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4, prevede che “si prescrivono in cinque anni: (…) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”. Orbene, questa Corte ha, sul punto, avuto modo di puntualizzare che “il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta “actio iudicati”, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile”, come nel caso di specie, “vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 20, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario” nell’ipotesi di esistenza del giudicato (cfr. Cass., Sez. U., n. 25790 del 2009; conf. Cass. n. 5837 del 2011; Cass. n. 5577 del 2019). E’ stato, altresì, precisato in materia di interessi dovuti per il ritardo nell’esazione dei tributi che il relativo credito, integrando un’obbligazione autonoma rispetto al debito principale e suscettibile di autonome vicende, rimane sottoposto al proprio termine di prescrizione quinquennale fissato dall’art. 2948 c.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 30901 del 2019; Cass. n. 14049 del 2006; v. anche Cass. n. 12740 del 2020, con riferimento al termine quinquennale di prescrizione sia delle sanzioni che degli interessi).

13. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso va rigettato mentre va accolto il secondo limitatamente agli interessi e alle sanzioni, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR territorialmente competente che, attenendosi ai suesposti principi giurisprudenziali, provvederà a verificare il compimento del termine di prescrizione quinquennale con esclusivo riferimento alle sanzioni e agli interessi applicati alle otto cartelle di pagamento impugnate, nonchè alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2021


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 08/09/2021) 23/11/2021, n. 36215

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo M. – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20953/2016 proposto da:

Equitalia Servizi Di Riscossione Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Fuschino Mario;

– ricorrente –

contro

Eta Estrusione Tecnologie Avanzate Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma V. Panama 74 presso lo studio dell’avvocato Iacobelli Gianni Emilio, rappresentato e difeso dall’avvocato Nebbia Giuseppe;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Equitalia Servizi Di Riscossione Spa, Data pubblicazione 23/11/2021 – intimata –

avverso la sentenza n. 112/2016 della COMM. TRIB. REG. MOLISE, depositata il 23/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/09/2021 dal consigliere Dott. MARINA CIRESE.

Svolgimento del processo
Estrusione Tecnologie Avanzate s.p.a. proponeva ricorso avverso l’iscrizione ipotecaria effettuata dall’Agente della Riscossione Equitalia Polis s.p.a. su beni di proprietà della società a fronte di un credito pari ad Euro 8.055.353,97, deducendo la nullità dell’atto per inesistenza della notifica, essendo stato l’avviso comunicato a mezzo raccomandata e non già con le forme previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60.

La CTP di Isernia con sentenza in data 29.12.2011 accoglieva il ricorso dichiarando l’inesistenza dell’atto, atteso che la notifica non era stata effettuata ritualmente, in assenza di relata di notifica, e rigettava la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c..

Interposto appello avverso detta pronuncia da parte di Equitalia Polis s.p.a., all’esito del giudizio in cui la società contribuente proponeva ricorso incidentale, la CTR del Molise, con sentenza in data 23.2.2016, rigettava entrambi gli appelli ritenendo che la notifica dell’iscrizione ipotecaria potesse avvenire solo mediante le forme di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c. e che il comportamento dell’Agente della Riscossione non potesse essere connotato da colpa grave.

Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione articolato in due motivi l’Agente per la riscossione. Parte intimata resisteva con controricorso e proponeva altresì ricorso incidentale articolato in due motivi.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale, rubricato “Violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60”, parte ricorrente deduceva l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto inesistente la notifica dell’avviso di iscrizione ipotecaria, in quanto atto non direttamente notificabile dall’Agente per la riscossione a mezzo del servizio postale secondo la procedura di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60.

2. Con il secondo motivo di ricorso principale rubricato “Violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 156 c.p.c., comma 3”, parte ricorrente deduceva che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto la notifica inesistente invece che nulla, con conseguente impossibilità di applicare l’art. 156 c.p.c., comma 3.

Va rilevato preliminarmente che la società contribuente nel controricorso ha rappresentato che l’ipoteca per cui è processo è stata integralmente cancellata da Equitalia Polis in data (OMISSIS) a seguito di diffida stragiudiziale del (OMISSIS), concludendo pertanto che sarebbe venuto meno l’interesse di Equitalia al ricorso ex art. 100 c.p.c. Ritiene tuttavia il Collegio che, a prescindere dalla circostanza che nel fascicolo d’ufficio non vi è alcun documento che attesti l’avvenuta cancellazione dell’ipoteca, permane in capo all’odierno ricorrente l’interesse ad impugnare.

Il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di una sua parte (Cassazione civile sez. II, 05/02/2020, n. 2670; Conforme a Cass. 27 gennaio 2012 n. 1236). Non è pertanto sufficiente l’esistenza di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata e che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12637 del 19/05/2008; Cass. Civ. Sez. Lav., 23.5.2008, n. 13373).

Nella specie l’avvenuta cancellazione dell’iscrizione ipotecaria non fa di per sè venir meno l’interesse del concessionario per la riscossione all’accertamento della legittimità dell’iscrizione ipotecaria, tanto più in presenza di una domanda risarcitoria della controparte che si assume basata proprio sulla contestazione di questa legittimità anche con riguardo alla fase dell’iscrizione.

Passando quindi ad esaminare il ricorso principale, il primo motivo è fondato.

La Suprema Corte – con sentenza della Sezione tributaria n. 16949/2014 – ha ribadito che la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, rispondendo tale soluzione alla previsione di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, che prescrive altresì l’onere per il concessionario di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione di notifica o l’avviso di ricevimento, con l’obbligo di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione (vedi Cass. n. 9240/2019).

Quando il predetto ufficio si avvale di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982 (Cass. n. 17598/2010; n. 911/2012; n. 19771/2013; 22151 del 2013; n. 16949/2014; n. 14146/2014; Cass. n. 3254/2016; 7184/2016; Cass. n. 10232/2016; n. 12083 del 2016 Cass. n. 14501/2016, Cass. n. 1304/2017; n. 704/2017; n. 19795 e n. 14501/2017; n. 8293/2018 v. anche Corte costituzionale del 23 luglio 2018 n. 175 che, nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito – ha affermato la legittimità della notificazione diretta, da parte dell’agente della riscossione, della cartella di pagamento mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento).

Da tale impostazione, la stessa Corte fa discendere la conseguenza che, in tutti i casi di notifica postale diretta di un atto tributario, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento, e quindi in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico; l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se lo stesso dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prendere cognizione della notifica, anche laddove eseguita mediante consegna a persona diversa dal diretto interessato, ma comunque abilitata alla ricezione per conto di questi, si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal consegnatario.

Tale principio reiteratamente affermato da questa Corte con riguardo alla notifica delle cartelle esattoriali, si è ritenuto applicabile anche alla notifica degli avvisi di iscrizione ipotecaria (Cass. n. 21663 del 2015), alla cui stregua detta notifica può essere effettuata anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Ciò, in quanto il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, prevede una modalità di notifica integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva di soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di una apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantire, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario dell’atto. Tanto trova implicita conferma nel citato art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione (vedi Cass., Sez. 5, n. 17248/17).

Il secondo motivo del ricorso principale è assorbito.

Passando alla disamina del ricorso incidentale, lo stesso si articola in due motivi.

3. Con il primo motivo, rubricato “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c.”, la società contribuente censurava la sentenza impugnata che negava la sussistenza dei presupposti ex art. 96 c.p.c., comma 2, atteso che l’agente della riscossione ha proceduto all’iscrizione dell’ipoteca in assenza di efficacia del titolo che era stato sospeso ed ha resistito nel processo per colpa grave.

4. Con il secondo motivo, rubricato “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546, del 1992, art. 15, degli art. 91 e 92 c.p.c. nonchè del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, la società contribuente deduceva che la CTR ha errato nel compensare le spese di lite nella misura del 50% ed ha errato nell’applicazione della tabella dei compensi.

Il primo motivo è infondato.

Parte ricorrente assume la violazione dell’art. 96 c.p.c. in quanto sussisterebbe la colpa grave dell’agente della riscossione nell’iscrivere l’ipoteca, per 16 milioni di Euro, nonostante la sospensione giudiziale della cartella prodromica, e nel resistere in giudizio senza provvedere (se non in data 27 Febbraio 2012 a seguito di ulteriore diffida stragiudiziale) alla cancellazione dell’iscrizione ipotecaria stessa. Tale comportamento avrebbe causato gravissimi e documentati danni alla società che si era vista negare vari finanziamenti bancari proprio per iscrizione pregiudizievole.

Va ritenuto tuttavia che, come recentemente affermato da questa Corte (Cass., Sez. 3, n. 23661/20), l’iscrizione di ipoteca, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, sugli immobili del debitore e dei coobbligati al pagamento dell’imposta, non è riconducibile all’ipoteca legale prevista dall’art. 2817 c.c., nè è ad essa assimilabile, mancando un preesistente atto negoziale il cui adempimento il legislatore abbia inteso garantire; essa, peraltro, neppure può accostarsi all’ipoteca giudiziale disciplinata dall’art. 2818 c.c., con lo scopo di rafforzare l’adempimento di una generica obbligazione pecuniaria ed avente titolo in un provvedimento del giudice, in quanto quella in esame si fonda su di un provvedimento amministrativo” (Cass. 7/03/2016, n. 4464; v. anche Cass., ord., 20/12/2017, n. 30569).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’iscrizione ipotecaria prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, non costituisce atto dell’espropriazione forzata ma va riferita ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria (Cass., S.U.., 18/09/2019) ed è atto solo preordinato all’esecuzione, avente funzione di garanzia e di cautela (Cass. 30/05/2018, n. 13618).

Ne consegue l’inapplicabilità dell’art. 96 c.p.c., comma 2, che fa espresso riferimento al caso in cui il giudice accerta l’inesistenza del diritto per cui è iscritta ipoteca giudiziale oppure è iniziata o compiuta l’esecuzione forzata.

Il secondo motivo di ricorso incidentale è assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.

In conclusione, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo e rigettato il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR del Molise, in diversa composizione, per la disamina delle altre questioni di legittimità della cartella ed a cui demanda altresì la regolamentazione delle spese di lite.

P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo, rigettato il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla CTR del Molise, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese di lite;

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, del doppio contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale effettuata da remoto, il 8 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2021


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 25/06/2021) 19/11/2021, n. 35641

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4796/2015 R.G. proposto da:

P.A., in proprio e in qualità di ex legale rappresentante della Associazione Calcio Mottese, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Emanuele Coglitore e dall’avv. Mariagrazia Bruzzone, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3429/20/14 della Commissione tributaria regionale della Lombardia depositata in data 25 giugno 2014;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25 giugno 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vitiello Mauro, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle entrate propose appello avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso presentato da P.A., in proprio e quale legale rappresentante della Associazione Calcio Mottese, avverso l’avviso di accertamento con il quale era stato rideterminato, con metodo induttivo, il reddito di impresa, per l’anno d’imposta 2006.

2. La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in epigrafe indicata, accolse l’impugnazione dell’Ufficio finanziario.

Osservò, in particolare, che:

a) risultava accertata la partecipazione del contribuente nelle vicende operative della associazione non riconosciuta, quantomeno come legale rappresentante di fatto e sulla base del regime di responsabilità per le obbligazioni, previsto dall’art. 38 c.c.;

b) nessuna prova era stata fornita, per far ritenere la sua estraneità all’attività associativa, in ordine alla cessazione dell’attività ed alla cancellazione della associazione;

c) la notifica dell’avviso di accertamento era valida perchè legittimamente effettuata a mezzo servizio postale, con l’espletamento di tutte le formalità previste;

d) il riferimento dell’avviso di accertamento ad altri atti doveva ritenersi rituale, poichè ne era riprodotto il contenuto essenziale;

e) era rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione l’avvio del contraddittorio preventivo con il contribuente, in presenza di elementi utili e sufficienti, a propria disposizione, per l’accertamento della violazione contestata;

f) l’accertamento risultava legittimamente effettuato “in presenza della sproporzione delle fatture emesse nell’anno 2006 rispetto ai parametri di mercato”; mentre appariva “del tutto artefatto l’assunto della perdita dell’archivio contabile per lavori di demolizione eseguiti nella struttura e senza che alcuno dei responsabili avesse provveduto alla salvaguardia della documentazione”;

g) le operazioni di sponsorizzazione descritte nell’avviso impugnato erano state poste in essere al solo scopo di consentire alle imprese intestatarie delle fatture di beneficiare della deducibilità dei costi relativi, ai fini delle imposte dirette e dell’Irap, nonchè di detrarre la relativa I.V.A.;

e) a fronte di dichiarazione omessa per l’anno d’imposta in contestazione, l’Ufficio aveva determinato ricavi per operazioni inesistenti nella misura contestata, basandosi su presunzioni gravi, precise e concordanti rispetto alle quali nessuna prova contraria aveva fornito il contribuente.

3. Contro la suddetta decisione d’appello ha proposto ricorso per cassazione P.A., con cinque motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’Agenzia delle entrate, ritualmente intimata, ha depositato “atto di costituzione”.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e della L. n. 4 del 1929, art. 24, anche in relazione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, ed agli artt. 3, 53 e 97 Cost..

Lamenta che per il periodo d’imposta 2006 la fase istruttoria si era esaurita nell’invio di un questionario e nella successiva emissione dell’avviso di accertamento, in assenza di preventiva consegna di un verbale di chiusura delle operazioni di controllo, in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, che, al paragrafo 2, stabilisce il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento che possa arrecarle pregiudizio.

Sostiene, altresì, che non si pone in sintonia con il diritto dell’Unione una interpretazione che escluda l’applicabilità della L. n. 212 del 2000, rt. 12, comma 7, ai procedimenti di verifica “a tavolino” e che i giudici di appello sarebbero incorsi nei censurati vizi laddove hanno ritenuto insussistente la violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale, perchè, ove fosse stato consegnato un processo verbale di chiusura delle indagini da parte degli organi di controllo, avrebbe potuto prospettare, prima dell’emissione del provvedimento impositivo, ragioni che non si appalesavano meramente pretestuose.

Con la memoria ex art. 378 c.p.c., il ricorrente, nell’insistere per l’accoglimento del mezzo di ricorso, prendendo le mosse dalla sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 24823 del 9 dicembre 2015, ha dedotto che l’avviso di accertamento afferisce anche all’I.V.A. e che, per quanto concerne la pretesa ai fini Ires e Irap, l’ordinamento interno deve comunque rispettare i diritti fondamentali garantiti dall’Unione Europea, con la conseguenza che l’interpretazione fornita dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite che giunge a limitare la piena tutela del diritto al contraddittorio preventivo, in dipendenza della natura non armonizzata dei tributi pretesi, implica una irragionevole disparità di trattamento, contraria al divieto delle cd. “discriminazioni a rovescio”, ossia “situazioni di disparità in danno dei cittadini di uno Stato membro, e delle sue imprese, che si verificano come effetto indiretto dell’applicazione del diritto Europeo”; ha, quindi, sollecitato una rimeditazione della questione, previa, se del caso, rimessione al vaglio delle Sezioni Unite.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55.

Fin dal ricorso introduttivo aveva eccepito l’illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, in quanto venivano richiamati atti non allegati e non conosciuti, neppure prodotti nel corso del giudizio di merito da parte dell’Agenzia delle entrate, ma i giudici di appello avevano assunto apoditticamente che il riferimento ad altri atti doveva ritenersi rituale, perchè ne era stato riprodotto il contenuto essenziale.

Evidenzia pure che, in violazione dell’art. 2697 c.c., i giudici di merito avevano accolto il gravame, ritenendo fondata nel merito la pretesa impositiva ed assolto l’onere probatorio da parte dell’Ufficio finanziario, senza tenere conto della mancata produzione in giudizio, da parte dell’Agenzia delle entrate, dei documenti oggetto di contestazione e, tra questi, delle fatture richiamate dalla stessa sentenza impugnata. In tal modo, i giudici regionali, ad avviso del ricorrente, avevano finito per avallare un’inferenza presuntiva non basata su fatti certi, in contrasto con l’art. 2727 c.c., che esige la ricorrenza di un “fatto noto” per fondare la prova per presunzioni.

Ad avviso del ricorrente era altresì ravvisabile la violazione dell’art. 2697 c.c., perchè si era ritenuto che l’onere di provare l’estraneità all’attività dell’associazione incombesse sul contribuente e perchè si era affermato che era emersa la sua partecipazione nelle vicende operative della associazione non riconosciuta, nonostante l’assoluta mancanza di prove.

3. Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che i giudici di appello hanno omesso di pronunciarsi sul motivo, dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado, con il quale era stata eccepita l’illegittimità dell’atto impositivo in quanto rivolto ad ente non più esistente, nonostante l’Agenzia delle entrate fosse a conoscenza dell’intervenuta cessazione dell’attività, nonchè sull’ulteriore motivo di intervenuta decadenza dall’esercizio della funzione impositiva per il periodo d’imposta 2005. Nessun riferimento era, peraltro, contenuto in sentenza con riguardo all’altro motivo con il quale era stato contestato che l’associazione, essendo sportiva dilettantistica, aveva scelto il regime fiscale forfettario della L. n. 398 del 1991.

4. Con il quarto motivo il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, nonchè dell’art. 137 c.p.c..

Rileva che nel giudizio di merito aveva eccepito la giuridica inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento, poichè mancava nella specie ogni intermediazione dell’agente di notificazione tra l’autore dell’atto ed il suo destinatario, ferma restando l’inoperatività della sanatoria del vizio di notificazione, stante l’intervenuta decadenza dall’esercizio della funzione impositiva al momento della proposizione del ricorso.

5. Con il quinto motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 11, comma 2, nonchè dell’art. 75 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – ribadisce che in secondo grado aveva preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello, in quanto non sottoscritto dal direttore dell’Ufficio, ma dal Capo Team ( C.A.) senza produzione di delega; inoltre aveva prodotto estratto del sito internet dell’Agenzia delle entrate dal quale non risultava che la predetta persona rivestisse la qualifica dirigenziale.

6. Il primo motivo è infondato.

6.1. Occorre premettere, in primo luogo, che nella vicenda in esame l’Amministrazione finanziaria non ha compiuto una verifica fiscale presso l’Associazione Calcio Mottese. L’avviso di accertamento, come sottolineato dallo stesso ricorrente, è stato adottato all’esito dell’invio di un questionario, sicchè la ripresa fiscale è riconducibile ad una ipotesi di accertamento cd. “a tavolino”, rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in particolare per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823).

Già da tale fatto deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass., sez. 5, 27/04/2018, n. 16546; Cass., sez. 5, 8/05/2019, n. 12094).

In ogni caso, non ha rilievo il richiamo alla L. n. 4 del 1929, art. 24, che, secondo la prospettazione del ricorrente, imporrebbe sempre l’adozione di un processo verbale con il quale siano contestate le violazioni finanziarie, avendo questa Corte precisato che “in tema di violazione di norme finanziarie (nella specie, in materia di I.V.A.), il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dalla L. n. 4 del 1929, art. 24, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento” (Cass., sez. 5, 11/12/2013, n. 27711; Cass., sez. 5, 29/12/2017, n. 31120), con la conseguenza che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perchè è in esso che si esterna ciò che si è constatato.

6.2. E’ insegnamento di questa Corte che “Le garanzie procedimentali di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6 e art. 12, comma 7, trovano applicazione solo al processo verbale di constatazione redatto a chiusura di operazioni di verifica condotte dagli organi dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali e non anche alle verifiche svolte a tavolino, ovvero senza accesso ai locali anzidetti” (Cass., sez. 6-5, 8/02/2017, n. 3408; Cass., sez. 5, 12/02/2014, n. 3142; Cass., sez. 6-5, 13/06/2014, n. 13588, la quale richiama la sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 18184 del 2013; Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823), ossia esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non abbia comportato constatazione di violazioni.

6.3. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 2015, hanno chiarito che “differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Sulla specifica questione la giurisprudenza di questa Corte non registra sentenze dissonanti, tanto che la pronuncia delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015 è stata seguita da molte altre conformi (ex multis, Cass., sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11283; Cass., sez. 6-5, 25/01/2017, n. 1969; Cass., sez. 65, 14/03/2018, n. 6219; Cass., sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036; Cass., sez. 6-5, 29/10/2018, n. 27421; Cass., sez. 5, 8/10/2020, n. 21695; Cass., sez. 5, 6/05/2021, n. 11913; Cass., sez. 5, 15/07/2021, n. 20157).

6.4. Ciò posto, vanno disattesi i dubbi sollevati dai ricorrenti in ordine alla legittimità della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (come interpretato dalla su menzionata decisione delle Sezioni unite n. 24823/2015), per contrasto con la normativa comunitaria ed i principi sanciti dalla Carta costituzionale.

Invero, come evidenziato dalle Sezioni Unite nella sentenza citata (n. 24823 del 2015), il dato testuale della L. n. 212 del 2000, detto art. 12, comma 7, univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale alle sole “verifiche in loco”, è da ritenersi “non irragionevole”, in quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”.

Siffatta peculiarità, differenziando le due ipotesi di verifica (“in loco” e “a tavolino”), giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della ipotizzata incostituzionalità della norma con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. (Cass., sez. 5, 14/04/2021, n. 9720). Con riferimento all’art. 3 Cost., deve parimenti escludersi una questione di costituzionalità, per la duplicità di trattamento giuridico tra “tributi armonizzati” e “tributi non armonizzati”, atteso che, come viene evidenziato dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015, l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio procedimentale.

Del resto, poichè il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’I.V.A., non può ritenersi che una soluzione in tema di contraddittorio endoprocedimentale in materia I.V.A., diversa da quella espressa per i tributi diretti, crei un vulnus al principio di non discriminazione sul versante comunitario, nè a quello della ragionevolezza sul piano interno (cfr. Corte di Giustizia, 17 marzo 2007, causa C-35/05; Cass., sez. 5, 27/09/2013, n. 22132; Cass., sez. 5, 14/04/2021, n. 9720).

6.5. Tale assetto risulta, dunque, coerente sia con i principi costituzionali che con la normativa comunitaria che risulta garantita in ambito giurisdizionale attraverso la cd. “prova di resistenza” di cui al principio indicato dalle Sezioni unite con la decisione n. 24823 del 2015, attraverso la verifica delle ragioni che il contribuente avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato ed ancora che “l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (in senso conforme, anche Cass., sez. 6-5, 18/03/2016, n. 5502).

Non si ravvisano, dunque, ragioni per discostarsi dai principi sopra enunciati e per rimettere nuovamente la questione all’esame delle Sezioni Unite.

6.6. Nel caso di specie, alla stregua di quanto sopra esposto, il contraddittorio endoprocedimentale invocato non trova applicazione quanto alle imposte dirette, dal momento che non risulta dalla lettura del ricorso e della sentenza che sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività imprenditoriale dell’Associazione.

In relazione alla ripresa I.V.A., a cui pure si riferisce l’avviso di accertamento, l’obbligo del contraddittorio in linea di principio sussiste, ma questo Collegio deve rilevare che il contribuente non ha assolto correttamente alla c.d. prova di resistenza, in quanto, pur richiamando in ricorso le censure svolte con il ricorso introduttivo, ha omesso di indicare le specifiche circostanze che avrebbero rappresentato se fosse stato promosso dall’Ufficio il contraddittorio nei suoi confronti.

Avendo piuttosto il contribuente genericamente affermato che se gli fosse stato consegnato un processo verbale a chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo avrebbe potuto prospettare, sin dalla fase istruttoria e prima dell’emissione del provvedimento impositivo, ragioni che non si appalesavano pretestuose, deve escludersi che lo stesso abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbero potuto far valere, sicchè, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, (Cass., sez. 5, 23/01/2020, n. 1505; Cass., sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036; Cass., sez. un., n. 24823 del 2015, cit.), la sentenza impugnata va esente dalle censure ad essa rivolte.

7. Infondato è il terzo motivo, che va esaminato con priorità perchè concernente un error in procedendo, in quanto gli specifici motivi di gravame formulati nel giudizio di merito (illegittimità dell’atto impositivo perchè rivolto ad ente non più esistente, decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio della funzione impositiva per l’anno d’imposta 2005, assoggettamento dell’Associazione Sportiva dilettantistica al regime fiscale forfettario della L. n. 398 del 1991), sui quali la C.T.R. non si è espressamente pronunciata, devono intendersi implicitamente disattesi dai giudici di appello.

Non ricorre, infatti, il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto. (Cass., sez. 6 – 1, 4/06/2019, n. 15255; Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718; Cass., sez. 5, 6/12/2017, n. 29191).

8. Anche il quarto motivo deve essere respinto.

8.1. Dalla illustrazione della censura emerge che, nel caso di specie, la notifica è avvenuta direttamente a mezzo del servizio postale.

Costituisce ormai principio consolidato di questa Corte quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta dell’atto impositivo, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla L. n. 890 del 1982 (ex multis, Cass., sez. 5, 4/04/2018, n. 8293) e, pertanto, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificato l’avviso di accertamento senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890 attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 140 c.p.c..

Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto, pervenuto all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (cfr. Cass., sez. 5, 6/06/2012, n. 9111).

8.2. La L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20, modificando la L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14, ha aggiunto, per quanto qui interessa, la previsione che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla medesima L. n. 890 del 1982. A decorrere, pertanto, dal 15 maggio 1998 (data di entrata in vigore della citata L. n. 146 del 1998), è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere “direttamente” alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale (Cass., sez. 5, 10/06/2008, n. 15284). Ciò significa che il notificante è abilitato alla notificazione dell’atto senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario (ferma restando, ovviamente, quella dell’ufficiale postale), e, quindi, a modalità di notificazione semplificata. In caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone abilitate a ricevere l’atto, il regolamento postale (nel caso di specie, la circolare n. 70/2001 oggetto: poste – condizioni generali del servizio postale – D.M. 9 aprile 2001, su g.u. n. 95 del 24.4.2001), contenente la disciplina del servizio postale ordinario, si limita a prevedere, all’art. 32, che, per gli “invii a firma” (tra cui le raccomandate), “in caso di assenza all’indirizzo indicato, il destinatario e le altre persone abilitate a ricevere l’invio” possono “ritirarlo presso l’ufficio postale di distribuzione, entro i termini di giacenza previsti dall’art. 49”.

8.3. Come chiarito da questa Corte, “in tema di notificazione dell’atto impositivo effettuata a mezzo posta direttamente dall’Ufficio finanziario, al fine di garantire il bilanciamento tra l’interesse del notificante e quello del notificatario, deve farsi applicazione in via analogica della regola dettata dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4, secondo cui la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di rilascio dell’avviso di giacenza, ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore, decorrendo da tale momento il termine per l’impugnazione dell’atto notificato” (Cass., sez. 6- 5, 2/02/2016, n. 2047), in quanto il regolamento del servizio di recapito non prevede la spedizione di una raccomandata contenente l’avviso di giacenza (Cass., sez. 5, 28/05/2020, n. 10131; Cass., sez. 5, 14/11/2019, n. 29642).

La Corte costituzionale, con la sentenza del 23 settembre 1998, n. 346, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 890 del 1982, art. 8, nella parte in cui non prevedeche, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione, ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego sia data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento. Tuttavia, la sentenza della Corte Costituzionale riguarda la diversa modalità di notificazione a mezzo posta curata dall’Ufficiale Giudiziario, alla quale si applica la disciplina di cui alla L. n. 890 del 1982, compreso la norma in oggetto (Cass., sez. 5, 28/07/2010, n. 17598, che ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria regionale che aveva ritenuto valida la notifica dell’invito al contraddittorio endoprocedimentale ai fini dell’accertamento con adesione del D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5, effettuata con raccomandata, non ritirata presso l’ufficio postale, senza che ad essa fosse seguito l’invio della raccomandata informativa previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, così come modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998).

Il differente iter notificatorio si spiega con la diversità delle fattispecie poste a confronto, comportando la notifica diretta a mezzo del servizio postale un procedimento più agile e semplificato, a tutela delle ragioni del fisco di preminente interesse pubblico. Come evidenziato di recente dalla Corte costituzionale (Corte Cost. 23 luglio 2018, n. 175, che ha ritenuto legittimo il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nonostante la mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica – CAN – e l’inapplicabilità della L. n. 890 del 1982, art. 7, come modificato con la L. n. 31 del 2008), il ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati è comunque garantito dal fatto che colui, che assuma in concreto la mancanza di conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile, può chiedere la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., ove comprovi, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di detta situazione.

8.4. La C.T.R., concludendo che la notifica degli avvisi di accertamento, effettuata a mezzo del servizio postale è valida perchè sono state espletate tutte le formalità previste, non è incorsa nelle denunciate violazioni di legge.

9. Il quinto motivo è infondato.

9.1. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio, nelle controversie di competenza delle commissioni tributarie, all’ufficio del Ministero delle finanze – oggi ufficio locale dell’agenzia fiscale- nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore (Cass., sez. 5, 8/02/2008, n. 6338) o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze (Cass., sez. 5, 28/05/2008, n. 13908; Cass., sez. 5, 8/02/2008, n. 3058), senza necessità di speciale procura.

Qualora non sia contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, le questioni relative agli effettivi poteri del firmatario dell’appello si possono porre solo in chiave di non appartenenza del firmatario all’ufficio appellante o di usurpazione di tali poteri, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà.

9.2. Tale interpretazione, come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 25/01/2019, n. 2138) è conforme al principio di effettività della tutela giurisdizionale, più volte richiamato anche dalla Corte costituzionale – oltre che da questa suprema Corte (Cass., Sez. U, 14/02/2006, nn. 3116 e 3118; Cass., sez. 5, 25/10/2006, n. 22889)- che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità.

Questa Corte ha, altresì, affermato che la legittimazione processuale dell’Ufficio locale trova fondamento nella disciplina regolatrice della materia, costituita dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, comma 2, che ha istituito le Agenzie Fiscali, rimandando allo Statuto la fissazione dei principi generali relativi all’organizzazione ed al funzionamento dell’Agenzia e nello Statuto e, poi, nel Regolamento di amministrazione delle Agenzie delle Entrate, che hanno stabilito che gli Uffici locali dell’Agenzia corrispondono ai preesistenti Uffici delle Entrate e che agli Uffici locali sono attribuite le funzioni operative ed, in particolare, la gestione dei tributi, l’accertamento, la riscossione e la trattazione del contenzioso; la legittimazione dell’Ufficio locale trae fondamento dalla norma statutaria delegata – Reg., art. 5, comma 1 -, esistente per effetto della norma delegante D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1.

Deve, quindi, ritenersi ammissibile l’atto d’appello proposto dal competente ufficio dell’agenzia delle entrate, recante in calce la firma di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, non essendo a tal fine necessaria l’esibizione della delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado (Cass., sez. 5, 21/03/2014, n. 6691; Cass., sez. 6-5, 26/07/2016, n. 15470; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27570; Cass., sez. 5, 31/01/2019, n. 2901; Cass., sez. 5, 25/01/2019, n. 2138).

9.3. Nel caso di specie, il ricorrente ha eccepito che il Capo Team che ha sottoscritto l’atto di appello non rivestisse la qualifica di dirigente, ma, poichè non è in contestazione l’appartenenza del sottoscrittore all’Ufficio finanziario, la doglianza, in applicazione dei principi su esposti, va respinta.

10. Il secondo motivo è infondato in relazione a tutti i profili di doglianza denunciati.

10.1. Il ricorrente contesta che la C.T.R., ritenendo del tutto legittima la ripresa a tassazione operata per l’anno 2006, non abbia fatto buon governo dei criteri dettati in materia di ripartizione dell’onere della prova, nè delle norme che regolano la prova presuntiva.

Giova, sul punto, precisare che, in ipotesi quale quella di specie di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, i poteri accertativi dell’Ufficio trovano fondamento e disciplina non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nella diversa previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 (accertamento d’ufficio). A tal fine l’Ufficio, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, determina il reddito complessivo del contribuente, con facoltà di ricorso a presunzioni c.d. “supersemplici”, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’Ufficio (da ultimo, Cass., sez. 5, 20/01/2017, n. 1506; Cass., sez. 5, 16/07/2020, n. 15167; Cass., sez. 5, 4/02/2021, n. 2581).

Le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata non si pongono in contrasto con il principio di diritto innanzi richiamato, dal momento che, a fronte della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’Associazione sportiva, i giudici di appello hanno ritenuto del tutto corretta la rideterminazione induttiva dei ricavi operata dall’Amministrazione finanziaria, in mancanza di prova dell’esistenza di costi relativi all’attività commerciale, non fornita dal contribuente sul quale gravava il relativo onere, e della assenza di riscontri che potessero supportare l’assunto della perdita dell’archivio contabile in occasione dei lavori di demolizione eseguiti nella struttura.

10.2. La Commissione regionale ha, inoltre, ritenuto provata la partecipazione del ricorrente nelle vicende operative dell’Associazione sportiva non riconosciuta e, quindi, sussistente una sua responsabilità quale legale rappresentante di fatto; l’apprezzamento in fatto svolto dai giudici regionali, non censurato sotto il profilo motivazionale, non può essere rimesso in discussione in questa sede, non essendo ravvisabile la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395).

10.3. Peraltro, le censure svolte, anche laddove si assume una presunta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., sono sostanzialmente volte a sollecitare una diversa ricostruzione fattuale rispetto a quella operata dalla C.T.R., non consentita in questa sede. Occorre, sul punto, rammentare che la censura in ordine al corretto utilizzo del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità o contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass., sez. 1, 26/02/2020, n. 5279), sicchè, sotto tale profilo, la doglianza in esame è inammissibile perchè si risolve in una valutazione alternativa degli indizi e del materiale probatorio, in assenza di specifiche deduzioni circa fatti di cui sia stato omesso l’esame e che valgano ad evidenziare l’irrazionalità delle valutazioni espresse nella sentenza impugnata.

11. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, in assenza di attività difensiva della Agenzia delle entrate.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2021