Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 05-03-2015) 22-05-2015, n. 10543

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30242-2011 proposto da:

CHARLES PHILIPPE PRESSE SOCIETA’ (OMISSIS), in persona del legale rappresentante p.t. sig. B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato DE CURTIS CLAUDIA, rappresentata e difesa dagli avvocati DI SALVATORE SALVATORE, CARMINE RUSSO, ENRICO BONELLI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

LEONARDO PUBLISHING SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), in persona del liquidatore D.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PUCCINI 10, presso lo studio dell’avvocato FERRI MARIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAFARO MARINA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il provvedimento della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositato il 18/10/2011 R.G.N. 1694/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2015 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito l’Avvocato MARIO FERRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
1. – La srl Leonardo Publishing – poi in liquidazione – ottenne il 10.2.09 ingiunzione di pagamento in danno della Presse Charles Philippe dal tribunale di Parma per Euro 46.570,03 e, dichiaratane l’esecutività (con ordinanza 21.10.09) per inesistenza della notifica dell’opposizione dell’ingiunta in quanto eseguita a mezzo fax, la creditrice conseguì, riguardo ad essa, certificato di titolo esecutivo europeo in data 20.4.11.

La debitrice presentò istanza di revoca ai sensi dell’art. 10 del Regolamento CE n. 805/2004 del 21.4.2004, che fu però respinta con provvedimento del 23.6.11: il reclamo avverso il quale fu rigettato dalla corte di appello di Bologna.

Per la cassazione di quest’ultimo provvedimento, reso il 18.10.11 in proc. n. 1694/11 r.g., ricorre oggi, affidandosi a due motivi illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., la Presse Charles Philippe; resiste, con controricorso, la Leonardo Publishing srl in liq.ne.

Motivi della decisione
2. – La ricorrente, che fonda la sua difesa sull’inesistenza o nullità insanabile della notifica del decreto ingiuntivo n. 304/09 poi munito del certificato di titolo esecutivo europeo, articola due motivi.

2.1. Con il primo motivo, la Presse Charles Philippe si duole di violazione di legge – violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 18, comma 2, del Regolamento CE n. 805/2004 del 21.4.2004 – violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4, 7 e 15 del Regolamento CE n. 1393/2007 del 13.11.2007 – violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

Al riguardo, essa:

– ripropone la censura di violazione degli artt. 2, 4, 7 e 15 del Regolamento CE n. 1393/2007, in quanto la notifica avrebbe dovuto seguire – a prevalenza di norme contenute in trattati bilaterali o nelle Convenzioni di Bruxelles del 27.9.68 e dell’Aja del 15.11.65 – unicamente a mezzo degli allegati standard al Regolamento stesso e tramite l’organo specificamente designato dallo Stato richiesto della notifica (nella specie, ufficiale giudiziario francese), anzichè – come nella specie accaduto – direttamente a mezzo posta;

– si duole dell’omessa pronunzia su tale eccezione ad opera della corte di appello;

– contesta la reputata sanabilità di un tale vizio, essendo malamente applicata la previsione di sanatoria di cui all’art. 18 del Regolamento n. 805 sul titolo esecutivo europeo, non contenuta però nel Regolamento n. 1393, successivo e speciale rispetto al primo.

2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 2, Regolamento CE n. 805/2004 – violazione dei principi in tema di inesistenza delle notificazioni – violazione degli artt. 156 e 160 c.p.c. (in relazione all’art. 160 c.p.c., n. 3) – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5).

Al riguardo, essa:

– nega essersi instaurato un procedimento giudiziario nel quale, indicata come debitrice, sia stata coinvolta in tempo utile per potersi difendere, attesa la riscontrata inesistenza della notifica dell’opposizione da essa proposta (che pare riferire alla stessa consegna dell’atto ed alla conoscenza legale dello stesso) e quindi per la mancata verifica dell’inesistenza a monte della notifica dello stesso decreto ingiuntivo;

– sottolinea mancare quest’ultima di tutti gli estremi dei requisiti essenziali per la sua qualificazione come atto del tipo o della figura giuridica considerati;

– sostiene che la combinata inesistenza delle due notifiche – del decreto ingiuntivo e dell’opposizione – ha impedito l’instaurazione di qualunque valido rapporto processuale;

– nega la sanatoria della prima inesistenza e l’applicabilità di qualunque conversione, diffondendosi sui rimedi concessi al debitore apparente e sulle conseguenze della prima sugli sviluppi processuali successivi.

3. – La controricorrente, premesso un richiamo alla non impugnabilità espressa del titolo esecutivo europeo ai sensi dell’art. 10, comma 3 del Regolamento n. 805, ribatte:

– quanto al primo motivo: che la corte territoriale ha preso in esame la doglianza lamentata come pretermessa, avendo ritenuto sanata la nullità originaria della notificazione diretta a mezzo posta, anzichè a mezzo ufficiale giudiziario francese; che va presa a riferimento, ai fini dell’art. 10 comma 1, lett. b), del Regolamento, la disciplina di quest’ultimo, pienamente rispettata con riguardo alle norme minime procedurali sulla configurabilità della non contestazione ad opera del debitore; che sul punto il debitore è stato posto in grado di opporsi, non rilevando che egli abbia poi male usato il relativo potere, sì da incorrere nell’estinzione del giudizio di opposizione in forza di un provvedimento coperto da giudicato formale e sostanziale anche per la successiva inerzia di esso ingiunto; che, al riguardo, del tutto idonea era la consegna di copia del monitorio all’ingiunta presso il suo recapito, eseguita a mezzo posta a termini degli artt. 13 e 14 del Regolamento n. 805;

– quanto al secondo motivo: che la notifica del monitorio ben poteva avere luogo a mezzo posta, ai sensi proprio del Regolamento n. 805/2004; che eventuali vizi di notifica ben potevano essere superati ai sensi dell’art. 18 di quest’ultimo, ove il comportamento del debitore nel corso del procedimento giudiziario dimostri che egli abbia ricevuto il documento da notificare personalmente ed in tempo utile per difendersi; che in effetti l’ingiunta aveva iscritto – peraltro tempestivamente – a ruolo l’opposizione al decreto ingiuntivo, prendendo posizione nel merito delle pretese avanzate contro di essa; che pertanto l’inesistenza della sua notifica – dipendendo dall’evidente difettosità dell’attività processuale successiva di cui egli era onerato – non inficia la piena possibilità, di cui ha potuto godere il debitore, di conoscere l’atto e di difendersi da esso.

4. – Il presente ricorso per cassazione, siccome dispiegato avverso il provvedimento, reso in camera di consiglio, dalla corte di appello sul reclamo avverso il diniego di revoca del (certificato di) titolo esecutivo europeo, è inammissibile per difetto del requisito di decisorietà e di definitività di quel provvedimento.

5. – Va premesso che, con il titolo esecutivo europeo, istituito con il Regolamento CE n. 805 del 21 aprile 2004, un titolo esecutivo – giudiziale o stragiudiziale – formatosi in uno dei Paesi membri dell’Unione Europea (ad eccezione della Danimarca, secondo quanto previsto dall’art. 2, comma o par. 3 del Regolamento stesso) può essere munito di uno speciale certificato che lo rende idoneo a fondare, quale titolo esecutivo appunto, un processo esecutivo in uno qualsiasi degli altri Stati membri dell’Unione.

La ratio dell’intera normativa è, con evidenza ricavabile dai considerando premessi al testo, l’agile apprestamento di uno strumento di facile e pronta eseguibilità in tutto il territorio dell’Unione sol che al debitore sia stata data la possibilità di contestare adeguatamente la pretesa della controparte e che di questa facoltà non si sia avvalso o non si sia avvalso fruttuosamente.

Importante tappa (verso il traguardo, di recente attinto, della definitiva soppressione di qualunque necessario controllo successivo da parte dello Stato membro richiesto dell’esecuzione, consacrato dal più recente Regolamento n. 1215/2012, divenuto efficace dal 10.1.15) nella creazione ed integrazione dello spazio giuridico europeo, esso comporta l’anticipazione a monte e cioè da parte dello Stato in cui si forma il titolo – con abbandono del tradizionale sistema dell’exequatur o del controllo a valle da parte dello Stato richiesto dell’esecuzione, per quanto sempre più attenuato o facilitato o perfino eventualizzato – del controllo di idoneità del titolo stesso a fungere da base legale di un processo esecutivo in altro Stato membro come se fosse stato lì emesso, sol che l’Autorità dello Stato in cui esso è formato rilevi la sussistenza di alcuni presupposti:

– in via preliminare, la non operatività degli speciali ambiti di esclusione previsti, non applicandosi il Regolamento in materia fiscale, doganale, amministrativa, di responsabilità dello Stato per atti od omissioni nell’esercizio di pubblici poteri, in materia di stato e capacità delle persone, di regime patrimoniale tra i coniugi, di testamenti e successioni, fallimenti e procedure concorsuali, sicurezza sociale ed arbitrato; e comunque nel rispetto delle norme in tema di competenza giurisdizionale espressamente previste, tra cui quelle in tema di assicurazioni e di contratti dei consumatori;

– in via principale, la non contestazione del credito pecuniario;

– ancora, il rispetto di norme procedurali minime (cc.dd. minima standard) all’interno del procedimento al cui esito il titolo è stato pronunziato, volte a dare contezza delle possibilità, per il debitore, di contestare la pretesa avversaria.

Nessun controllo sul merito o sul rito del titolo esecutivo è mai consentito al giudice dello Stato richiesto dell’esecuzione e questa non può essere negata, tranne l’eccezionale evenienza del conflitto con altra pronunzia tra le stesse parti (ovvero forse anche, ma soltanto in via di interpretazione e non senza contrasti, in quella di eventi sopravvenuti alla definitività del titolo).

Ai fini della qualifica di credito non contestato idoneo al rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo, il detto Regolamento (art. 3) esige:

– che il debitore quel credito non abbia mai contestato nel corso del procedimento giudiziario, in conformità alle relative procedure giudiziarie previste dalla legislazione dello Stato membro di origine;

ovvero:

– che il debitore non sia comparso o non si sia fatto rappresentare in un’udienza relativa a un determinato credito pur avendolo contestato inizialmente nel corso del procedimento, sempre che tale comportamento equivalga a un’ammissione tacita del credito o dei fatti allegati dal creditore secondo la legislazione dello Stato membro d’origine.

6. – Il titolo esecutivo europeo non corrisponde allora ad una procedura sui generis, ma si articola nella combinazione di due distinti atti o provvedimenti e cioè:

– da un lato, un titolo esecutivo domestico o nazionale, stragiudiziale (con alcune peculiarità e conseguenti esenzioni, indicate nei commi o par. 3 degli artt. 24 e 25 del Regolamento) oppure reso all’esito di una procedura giudiziale nazionale tipica, nella quale però siano state osservate, se del caso in aggiunta rispetto alle forme minimali sufficienti per la legislazione nazionale, norme procedurali minime da cui possa desumersi una non contestazione di concezione eurounitaria da parte del debitore ingiunto;

– dall’altro lato, un provvedimento formale che tale rispetto appunto riscontri e certifichi, provvedimento che esso solo potrà definirsi il vero e proprio certificato di titolo esecutivo europeo, evidentemente come quid pluris rispetto al primo.

Ma neppure l’eventuale mancato rispetto delle norme procedurali minime osta al rilascio del certificato (art. 18, comma o par. 1, del Regolamento n. 805 del 2004) se:

– la decisione sia stata notificata al debitore secondo le norme di cui agli artt. 13 o 14 del Regolamento stesso;

– ed il debitore abbia avuto la possibilità di ricorrere contro la decisione per mezzo di un riesame completo e sia stato debitamente informato con la decisione o con un atto ad essa contestuale delle norme procedurali per proporre tale ricorso, compreso il nome e l’indirizzo dell’istituzione alla quale deve essere proposto e, se del caso, il termine previsto;

– ed infine il debitore non abbia impugnato la decisione di cui trattasi conformemente ai relativi requisiti procedurali.

Ed ancora (art. 18, comma o par. 2, del Regolamento), neppure l’inosservanza, nel procedimento svoltosi nello Stato membro d’origine, dei requisiti procedurali di cui agli art. 13 o 14 osta al rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo se il comportamento del debitore nel corso del procedimento giudiziario dimostra che questi ha ricevuto il documento da notificare personalmente ed in tempo utile per potersi difendere.

– da un lato, esclude espressamente (art. 10, comma o par. 4) ogni impugnazione del certificato di titolo esecutivo europeo, cioè del (solo) provvedimento con cui lo Stato membro di origine attesta appunto la ricorrenza dei presupposti per la circolazione intraeuropea del titolo esecutivo domestico;

– dall’altro lato, ne ammette pure – ai sensi dell’art. 10, comma o par. 1, lett. b) – la revoca da parte del giudice del Paese membro di origine, se risulti manifestamente concesso per errore sui requisiti stabiliti nel Regolamento stesso, come pure la rettifica per divergenza tra i dati contenuti nel titolo nazionale e nel certificato;

– ed infine ne prevede la neutralizzazione mediante il rilascio di un certificato sulla sorte del titolo originario, che abbia perso in tutto o in parte la sua efficacia esecutiva (ai sensi dell’art. 6, comma o par. 2, del Regolamento in esame).

Tale regime consente di concludere che il certificato di titolo esecutivo europeo, costituito dal provvedimento ulteriore e distinto rispetto al titolo esecutivo nazionale, allora integra, cioè completa, quest’ultimo in modo da renderlo idoneo alla circolazione intraeuropea: tanto che la sua funzione può, se non altro descrittivamente, equipararsi ad una sorta di formula esecutiva intraeuropea o ad un provvedimento di funzione analoga a quello previsto dall’art. 647 cod. proc. civ.; in tal modo, esso ha una funzione dichiarativa evidentemente servente rispetto al titolo esecutivo cui accede, conferendogli il riconoscimento della sua idoneità a circolare nello spazio giuridico eurounitario; ma non risolve questioni, nè pronunzia su diritti ulteriori rispetto a quelli consacrati nel titolo in favore del creditore; si limita a certificarne l’idoneità a fondare l’esecuzione in dipendenza di un determinato sviluppo processuale.

In quanto tale, esso allora non ha natura decisoria, dovendo le contestazioni sulla concreta estrinsecazione del diritto di difesa del debitore farsi valere contro il titolo in sè considerato, ma esclusivamente coi mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento che lo ha prodotto o, in casi eccezionali, con il riesame previsto dallo stesso Regolamento 805, direttamente contro il titolo stesso e mai contro il certificato.

Tanto è reso manifesto dalla previsione dell’art. 19 del Regolamento, che ricollega la concedibilità del certificato di titolo esecutivo europeo alla previsione, nell’ordinamento dello Stato membro in cui il titolo esecutivo si forma, di strumenti processuali straordinari di riesame, in via di eccezione alla regola generale della non ulteriore impugnabilità, del titolo esecutivo in quanto tale; in particolare, tale norma prevede che debba essere possibile per il debitore impugnare non già il certificato di titolo esecutivo europeo, ma il titolo stesso, quando la domanda giudiziale o un atto equivalente o, se del caso, le citazioni a comparire in udienza siano stati notificati secondo una delle forme previste all’art. 14, e:

– o la notificazione non sia stata effettuata in tempo utile a consentirgli di presentare le proprie difese, per ragioni a lui non imputabili, oppure:

– il debitore non abbia avuto la possibilità di contestare il credito a causa di situazioni di forza maggiore o di circostanze eccezionali per ragioni a lui non imputabili, purchè in entrambi i casi agisca tempestivamente.

Tanto giustifica la conclusione che, purchè questa sia una facoltà intrinseca all’ordinamento processuale nazionale di produzione del titolo, il certificato di titolo esecutivo europeo non solo può essere comunque concesso, ma soprattutto resta insensibile alle relative problematiche, solo che di quegli strumenti avverso il titolo in sè considerato possa avvalersi il debitore, ricorrendone beninteso i presupposti.

E che sia onere del debitore rivolgere le sue critiche, anche se basate sulla concreta compressione del suo diritto di contestazione della pretesa avversaria, al titolo e non al certificato è confermato pure dalla già richiamata previsione dell’art. 6, comma o par. 2, del Regolamento, a mente del quale allorchè una decisione giudiziaria certificata come titolo esecutivo europeo non è più esecutiva o la sua esecutività è stata sospesa o limitata, viene rilasciato, su istanza presentata in qualunque momento al giudice d’origine, un certificato comprovante la non esecutività o la limitazione dell’esecutività utilizzando il modello di cui all’all.

4.

Il che porta a concludere che le contestazioni del debitore relative al processo conclusosi con il titolo esecutivo poi certificato come europeo vanno mosse appunto esclusivamente avverso il titolo esecutivo domestico e coi mezzi di impugnazione di questo, potendo solo in esito ad essi, una volta rimossane l’efficacia esecutiva, conseguire il risultato di elidere in radice quella del certificato europeo già rilasciato.

8. – La conclusione va applicata alla revoca (in francese, retrait;

in inglese, withdrawal) del certificato di titolo esecutivo europeo:

riservata dal Regolamento ai casi di concessione per manifesto errore sulla sussistenza dei requisiti di concedibilità.

Occorre, cioè, valutare la portata di questa previsione; ma va subito precisato che a tali fini risulta neutra la regolamentazione del relativo procedimento nelle forme di quello camera di consiglio, operata dalla Repubblica italiana mediante comunicazione alla competente autorità eurounitaria – la Commissione – ai sensi dell’art. 30, par. o commi 1 e 2 del Regolamento 805 (come si ricava dal c.d. atlante giudiziario civile, a tanto deputato dallo stesso Regolamento, al sito web (OMISSIS)).

Tale attribuzione – se pure rende applicabile il reclamo, in virtù della portata generale dell’art. 739 cod. proc. civ. – non esime dalla necessità di ricostruire comunque l’oggetto del procedimento e la natura del provvedimento che lo conclude suo oggetto, al fine di valutare i mezzi di tutela ulteriori in relazione alle situazioni giuridiche effettivamente coinvolte.

Accertato che le violazioni procedurali idonee ad inficiare la possibilità per il debitore di contestare il debito sono deducibili solo nel procedimento di riesame previsto dall’art. 19 del Regolamento avverso il titolo, esse non rilevano di per sè sole considerate, ma solo in quest’ultimo e solo per il caso in cui sia in concreto attivato: e, siccome tale procedimento di riesame ha chiaramente ad oggetto il titolo esecutivo domestico o nazionale e non anche il certificato di titolo esecutivo europeo, quelle violazioni vanno fatte valere contro il primo e non contro il secondo.

E, con tutta evidenza e con riferimento al caso in cui il titolo sia costituito – come nella fattispecie – da un decreto ingiuntivo, nell’ordinamento italiano l’ambito di operatività del riesame come disciplinato dall’art. 19 citato coincide sostanzialmente, ma in modo del tutto appagante, con l’opposizione prevista dall’art. 650 cod. proc. civ. Pertanto, per la sussistenza di una sede propria di contestazione, il provvedimento della corte di appello che definisce il reclamo avverso il diniego di revoca ai sensi dell’art. 10 del Regolamento non è suscettibile anche di ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7.

Il sistema di impugnazione del complesso provvedimento in cui si articola il titolo esecutivo europeo (titolo domestico più certificato), delineato sopra al 7, impone quindi – anche a garanzia, in accordo con parte della dottrina, della massima funzionalità possibile all’istituto – di circoscrivere l’oggetto della revoca alla sola carenza evidente dei requisiti formali di rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo, tanto da limitarla ad un errore manifesto sulla sussistenza dei requisiti formali di rilascio e quindi del procedimento proprio e specifico di richiesta-esame- rilascio del certificato medesimo; qualunque ulteriore contestazione sul rito della formazione del titolo esecutivo, implicante la compressione del diritto del debitore di contestare il debito, ma pure sul merito della pretesa e per il caso sia ritenuta fondata l’indispensabile preliminare contestazione in rito, va ricondotta all’ambito di operatività dell’art. 19 del Regolamento 805 e, quindi, all’esperimento, se ancora possibile, degli strumenti straordinari di revisione del titolo in sè considerato.

Pertanto, in tale contesto e se correttamente interpretato, l’istituto della revoca non può involgere alcun diritto del debitore relativo al merito della pretesa od alla correttezza del rito seguito per l’emanazione del provvedimento costituente il titolo esecutivo:

diritto che è tutelato in altra e specifica sede. Così – cioè – il certificato non è di per sè stesso decisorio, perchè la tutela delle posizioni giuridiche relative alla violazione del diritto di difesa nel procedimento concluso con il titolo è riservata ad altri ambiti processuali, sol che il debitore se ne avvalga correttamente.

9. – Va a questa conclusione applicato il principio generale, oramai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, per il quale anche per i provvedimenti resi all’esito di un procedimento in camera di consiglio la carenza del carattere di decisorietà o di definitività li rende insuscettibili di ricorso per cassazione, pure ai sensi del comma settimo dell’art. 111 Cost., perchè questo è esperibile solo nei confronti di provvedimenti giurisdizionali lesivi di situazioni giuridiche sostanziali e per le quali non siano previste altre sedi processuali di tutela loro proprie (per tutte, v.

Cass. Sez. Un., 15 luglio 2003, n. 11026, ovvero 3 marzo 2003, n. 3073; nello stesso senso: Cass. 11 agosto 2004, n. 15487; Cass., ord. 11 marzo 2005, n. 5390; Cass. 7 ottobre 2005, n. 19643; Cass. 26 ottobre 2006, n. 23027; Cass. 1 agosto 2007, n. 16984; Cass. 12 giugno 2009, n. 13760; Cass., ord. 20 novembre 2010, n. 23578; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2757; Cass. 13 settembre 2012, n. 15341; Cass. 19 febbraio 2014, n. 3883; i principi sono stati ribaditi in tema di opposizione esecutiva, tra l’te altre, da Cass. 24 ottobre 2011, n. 22033, come pure, in tema di condanna alle spese contenuta in un provvedimento cautelare ante causam, da Cass. 24 maggio 2011, n. 11370, oppure, in tema di ricorso avverso ordinanze di inammissibilità di appelli ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ., da Cass., ord. 17 aprile 2014, n. 8940).

Del resto, quand’anche la lesione di situazioni aventi rilievo processuale fosse prospettata quale compressione del diritto di azione, la pronunzia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell’atto sia privo, stante la natura strumentale della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione sul merito.

Pertanto, il ricorso, proposto appunto contro un provvedimento reso all’esito di un procedimento in camera di consiglio come quello in esame, non è ammissibile neppure se articolato sulla prospettata violazione di norme processuali: e tanto va dichiarato in dispositivo.

10. – Questa conclusione non impedisce però di affrontare e risolvere comunque la questione di rito sottesa al ricorso.

Essa può qualificarsi di particolare importanza, siccome di rilevanza pratica notevole e suscettibile di riproporsi per il futuro in relazione ad una potenzialmente indefinita serie di concrete applicazioni nello spazio giuridico intraeuropeo o eurounitario sempre più fruito dagli operatori.

E la questione può essere definita pronunciando il principio di diritto ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ.: in particolare, la sottesa doglianza, come sollevata da parte ricorrente, è anche infondata, perchè la notifica a mezzo posta in altro Paese membro dell’Unione Europea di un decreto ingiuntivo è idonea a fondare il rilascio del certificato di titolo esecutivo europeo sia ai sensi del Regolamento CE n. 805, sia ai sensi proprio del Regolamento CE n. 1393/2007 del 13.11.2007, malamente invocato dall’odierna ricorrente in senso opposto.

10.1. La notifica a mezzo posta a tali fini sarebbe infatti valida, in primo luogo, ai sensi del Regolamento n. 805 del 2004.

Ed infatti:

– questo costituisce certamente lex specialis rispetto a quello del 2007, sicchè esso non è derogato dalla legge generale successiva;

– infatti, il primo non istituisce speciali procedure affiancate alle altre ordinarie ma solo esige – ai fini dell’attribuzione della qualità peculiare al titolo di idoneità a fondare l’esecuzione in ogni Paese membro – che in concreto in queste ultime siano state osservate specifiche modalità: poi prevedendo le caratteristiche della notifica del provvedimento domestico ai fini della sua certificabilità come titolo esecutivo europeo;

– pertanto, è l’osservanza delle norme dettate dal n. 805 a fondare idoneamente il rilascio del certificato del titolo esecutivo europeo e non già quella di altre norme, se del caso di diverso tenore;

– nella specie, sono rispettati i cc.dd. minima standards del Regolamento n. 805, con conseguente irrilevanza di ogni ulteriore approfondimento sulla nozione di inesistenza o di nullità insanabile e sugli effetti di essa sulla ritualità o meno dell’instaurazione del rapporto processuale;

– invero, una volta eseguita a mezzo posta, nel rispetto cioè quanto meno dell’art. 14 del Regolamento n. 805, la notifica del decreto ingiuntivo, quest’ultimo contenendo gli estremi dell’invito a costituirsi ritualmente per difendersi sotto pena di definitività dell’ingiunzione, si è per ciò stesso avuto il rispetto quanto meno dell’art. 18, comma 2, del Regolamento n. 805;

– in particolare, la possibilità di fruizione del tempo utile per difendersi è resa evidente dall’effettivo confezionamento di un atto di piena presa di posizione sul merito delle pretese;

– la reazione stessa indubbiamente vi è stata ed è stata completa;

– resta irrilevante l’inutilizzabilità in concreto a fini processuali di tale opposizione, la quale è dipesa dalla malaccorta condotta processuale dell’opponente, per la difettosa forma di estrinsecazione della reazione.

10.2. In secondo luogo, la notifica a mezzo posta a tali fini sarebbe infatti valida anche e proprio ai sensi del Regolamento n. 1393 del 2007 (applicabile agli Stati dell’Unione, ad eccezione della Danimarca, come ricordato all’art. 1, comma o par. 3).

Ed infatti:

– è questo stesso a consentire notificazione o comunicazione tramite i servizi postali, ovvero direttamente tramite altre persone competenti dello Stato membro richiesto, sempre che questo tipo di notificazione o di comunicazione diretta sia ammessa dalla legge di quello Stato membro;

– esso Regolamento (CE) n. 1393/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, ovvero di notificazione o comunicazione degli atti, che abroga il regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio prevede espressamente, al suo art. 14, che ciascuno Stato membro ha facoltà di notificare o comunicare atti giudiziari alle persone residenti in un altro Stato membro direttamente tramite i servizi postali, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno o mezzo equivalente;

– esso stesso, al suo articolo 15 (notificazione o comunicazione diretta), precisa pure che chiunque abbia un interesse in un procedimento giudiziario può notificare o comunicare atti direttamente tramite gli ufficiali giudiziari, i funzionari o altre persone competenti dello Stato membro richiesto, sempre che questo tipo di notificazione o di comunicazione diretta sia ammessa dalla legge di quello Stato membro: ed al riguardo, la Repubblica francese ha comunicato di non opporsi alla possibilità di notificazione o comunicazione diretta (come si evince dalle informazioni ricavabili dall’atlante giudiziario europeo al sito (OMISSIS), operate ai sensi dell’art. 23, par. 1, del Regolamento n. 1393 del 2007);

– per le esigenze di semplificazione e di reciproco affidamento degli ordinamenti dei singoli Stati membri dell’Unione, che ispira ormai da almeno tre lustri la legislazione processualcivilistica comunitaria prima ed eurounitaria poi e che comunque pervade anche il Regolamento in esame (secondo quanto si ricava dai primi considerando al testo premessi, soprattutto il 7, il 9 e il 15), tale facoltà deve considerarsi posta su di un piano di piena equivalenza o perfetta equipollenza rispetto alle altre (considerando n. 17) ed il suo esercizio non può soffrire, senza violare la lettera e lo spirito della disposizione regolamentare abilitativa, limitazioni di sorta o interpretazioni che ne comportino la sostanziale vanificazione;

– il criterio ispiratore è quello della massima reciproca fiducia nell’efficienza e nella sufficienza del semplice servizio postale per la comunicazione o la notificazione degli atti, quando si tratta di rapporti tra due Stati membri;

– almeno in quest’ambito, deve allora bastare – fino a prova del contrario (così garantendosi il diritto del destinatario), nei limiti però in cui la legge dello Stato membro in cui l’attività richiesta si espleta (unica ad applicarsi, per principi generali confermati da tutte le disposizioni procedurali di volta in volta emanate) lo consente e, per quanto visto, nel caso del decreto ingiuntivo con l’opposizione prevista dall’art. 650 cod. proc. civ. – la cura con cui normalmente si espleta quel servizio a fondare il reciproco affidamento sulla funzionalità delle operazioni e sulla loro idoneità ad un’idonea tutela di entrambi i soggetti coinvolti, il mittente e il destinatario dell’atto;

– tale conclusione è conforme a quella della dottrina prevalente, la quale, con riferimento sia all’art. 14 del Regolamento CE 1348/00, sia all’art. 14 Reg. CE 1393/07, ritiene che l’espressione ciascuno Stato membro ha facoltà di … ecc. vada intesa come ellissi per gli organi a ciò preposti in ciascuno degli Stati membri hanno facoltà di … ecc.: del resto riconducendosi l’attività notificatoria degli organi statali espressamente ed istituzionalmente a ciò deputati, come appunto l’ufficio notifiche (o Ufficio N.E.P.), direttamente allo Stato;

– ed andranno, beninteso, solo osservate le disposizioni dello Stato membro nel quale la comunicazione o notificazione deve essere eseguita, che siano dettate, rispetto alle definizioni usuali di posta raccomandata, in modo speciale per le concrete modalità di esecuzione dei singoli atti previsti dalla legislazione di quello Stato: anche – o se non altro – per l’intuitiva impossibilità di pretendere che un funzionario postale di altro Stato applichi norme di un ordinamento che comunque, sul punto, rimane per lui straniero, quale quello peculiare di altro Stato membro dell’Unione, nella parte eccedente le disposizioni di rango eurounitario immediatamente applicabili.

10.3. Pertanto, va affermato, ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., comma 3 il seguente principio di diritto: è rituale la notifica di un atto giudiziario a mezzo posta in uno degli altri Stati membri dell’Unione Europea (ad esclusione della Danimarca), ai sensi degli artt. 14 o 15 del Regolamento CE n. 1393/2007 del 13 novembre 2007 (salva la facoltà di opposizione dello Stato membro prevista dall’art. 15), dovendosi la facoltà di procedervi riferirsi a tutti gli organi preposti alla notifica in ciascuno degli Stati membri; e, poichè è di conseguenza ed a maggior ragione integrato il requisito del capoverso dell’art. 18 del Regolamento CE n. 805 del 21 aprile 2004, correttamente è rilasciato il certificato di titolo esecutivo europeo per il decreto ingiuntivo disciplinato dall’art. 633 c.p.c. e ss., notificato a debitore di altro Stato membro a mezzo posta, una volta divenuto definitivo per irrituale opposizione, neppure rilevando in contrario che ad esso egli si sia opposto con atto poi qualificato invalido per insanabile nullità della sua propria notifica.

11. – In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; ma l’assoluta novità della questione e la sua peculiare complessità, dipendente dall’interazione di diversi principi eurounitari con quelli nazionali, integrano una grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità; letto l’art. 363 c.p.c., comma 3, pronuncia il seguente principio di diritto: è rituale la notifica di un atto giudiziario a mezzo posta in uno degli altri Stati membri dell’Unione Europea (ad esclusione della Danimarca), ai sensi degli artt. 14 o 15 del Regolamento CE n. 1393/2007 del 13 novembre 2007 (salva la facoltà di opposizione dello Stato membro prevista dall’art. 15), dovendosi la facoltà di procedervi riferirsi a tutti gli organi preposti alla notifica in ciascuno degli Stati membri; e, poichè è di conseguenza ed a maggior ragione integrato il requisito del capoverso dell’art. 18 del Regolamento CE n. 805 del 21 aprile 2004, correttamente è rilasciato il certificato di titolo esecutivo europeo per il decreto ingiuntivo disciplinato dall’art. 633 c.p.c. e ss., notificato a debitore di altro Stato membro a mezzo posta, una volta divenuto definitivo per irrituale opposizione, neppure rilevando in contrario che ad esso egli si sia opposto con atto poi qualificato invalido per insanabile nullità della sua propria notifica.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 5 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2015


Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 19-03-2015) 22-05-2015, n. 10554

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28468/2011 proposto da:

L.F.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VINCENZO PICCARDI 4, presso lo studio dell’avvocato CORRADO PASCASIO, rappresentata e difesa dall’avvocato CAMPIONE FRANCO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOL ASSICURAZIONI SPA (già UGF ASSICURAZIONI SPA), in persona del suo procuratore speciale Dott.ssa G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA 27 8, presso lo studio dell’avvocato FERRARO MARCO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO GIOVE giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI ROMA ROMA CAPITALE (OMISSIS), MARZIALI COSTRUZIONI SNC;

– intimati –

Nonché da:

ROMA CAPITALE (già COMUNE DI ROMA) (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore On.le A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FULCIERI P. DE CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MORO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA MAGNANELLI giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

L.F.E. (OMISSIS), MARZIALI COSTRUZIONI GENERALI SRL, UGF ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 11042/2011 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 24/05/2011, R.G.N. 67187/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/03/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato MAURIZIO MORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato.

Svolgimento del processo
1. L.F.E. convenne in giudizio il Comune di Roma e chiese il risarcimento del danno conseguente alla caduta, a causa di una buca, sul marciapiede di una strada cittadina. Il Giudice di pace di Roma accolse la domanda e condannò al pagamento in solido, di circa Euro 3.500,00, il Comune e l’impresa di costruzioni Marziali Costruzioni snc, chiamata quale appaltatrice dei lavori di manutenzione dal Comune; condannò inoltre l’Assicurazione a manlevare l’impresa di costruzioni della predetta somma, escluso l’importo di franchigia.

Il Tribunale di Roma, in accoglimento dell’appello principale del Comune e di quelli incidentali dell’impresa e dell’assicurazione, nella contumacia della originaria attrice, in totale riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda e condannò la L. alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado (sentenza del 24 maggio 2011).

2. Avverso la suddetta sentenza L. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, esplicati da memoria.

Il Comune di Roma resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, esplicato da memoria.

L’impresa appaltatrice e l’assicurazione non si difendono.

Motivi della decisione
La decisione riguarda i ricorsi riuniti, principale e incidentale, avverso la stessa sentenza.

1. Con il primo motivo si deduce la nullità del processo di appello, e della conseguente sentenza, per essersi svolto nella dichiarata contumacia della danneggiata, nonostante la nullità della notifica alla stessa dell’appello principale del Comune (primo profilo) e degli appelli incidentali dell’assicurazione (secondo profilo) e dell’impresa appaltatrice (terzo profilo).

Le censure non hanno pregio.

2. Si sostiene (quanto al primo profilo) la nullità della notifica dell’atto di appello, effettuata dal Comune ex art. 139 c.p.c., con ufficiale giudiziario, mediante consegna al portiere, con invio, ai fini dell’avviso della avvenuta notificazione al portiere, di raccomandata senza avviso di ricevimento.

Il Comune, nel controricorso, ammette la comunicazione senza avviso di ricevimento e sostiene che non occorre ai fini del perfezionamento della notifica.

Il giudice di merito, dopo la precisazione in udienza del Comune che la notificazione era stata fatta senza avviso di ricevimento, dichiarò la contumacia della L..

2.1. La questione all’attenzione della Corte è “se, ai fini del perfezionamento rispetto al destinatario della notifica dell’atto (ex art. 139 c.p.c., e L. n. 890 del 1982, ex art. 7), avvenuta nelle mani del portiere che, ai sensi dello stesse norme, rilascia ricevuta, sia necessario (come sostiene la ricorrente) o meno, che la raccomandata contenente l’avviso della avvenuta notificazione al portiere, sia stata fatta con avviso di ricevimento e, quindi, rispetto alla specie, se sia necessaria, o meno, la produzione dell’avviso di ricevimento con conseguenze sulla legittimità della dichiarazione di contumacia del destinatario”.

Ritiene il Collegio che la risposta al quesito debba essere negativa.

A sostegno vi sono argomenti letterali e sistematici.

2.2. In generale, è opportuno premettere che è oramai principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, la mancata spedizione dell’avviso, sia che si tratti di applicazione dell’art. 139 cit., che di applicazione dell’art. 7 cit., dopo la novella del 2008, costituisce non una mera irregolarità ma una nullità. Con la conseguenza che, fermi gli effetti della notifica per il notificante, la mancata spedizione dell’avviso rende nulla la notifica per il destinatario dello stesso (Cass. n. 17915 del 2008;

n. 1366 del 2010, n. 21725 del 2012; n. 6345 del 2013).

2.3. Nel disciplinare la notifica al destinatario dell’avviso di avvenuta notificazione dell’atto a persona diversa, il legislatore ha fatto riferimento letterale alla sola raccomandata, senza ulteriori specificazioni.

Tanto, sia per la notifica mediante ufficiale giudiziario (art. 139 c.p.c., comma 4) che per la notifica a mezzo posta (L. n. 890 del 1982, art. 7, u.c., aggiunto dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 2 quater, conv. nella L. n. 31 del 2008).

Ha ritenuto, quindi, che nel caso di consegna dell’atto a portiere o vicini (art. 139 cit.) e di consegna dell’atto, con previsione più ampia, a persona diversa del destinatario (art. 7 cit.), la notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione debba essere fornita con la sola raccomandata.

2.4. Dall’analisi del sistema normativo delle notificazioni, nel quale si inseriscono le norme in argomento, emerge che la previsione della sola raccomandata senza avviso di ricevimento è rispondente ad una distinzione ragionevole dalle ipotesi nelle quali l’avviso di ricevimento è richiesto.

2.4.1. Infatti, il legislatore richiede espressamente l’avviso di ricevimento quando si tratti della notifica a mezzo posta dell’atto e non della comunicazione della notizia che la notificazione dell’atto è stata effettuata ad altra persona.

Così è richiesto l’avviso di ricevimento: per la notifica dell’atto a mezzo ufficiale postale, fatta al destinatario, a persona di famiglia, al portiere (art. 7 cit. commi da 1 a 5); per la notifica a mezzo posta effettuata dall’ufficiale giudiziario (art. 149 c.p.c.);

per la notifica dell’atto all’estero (art. 142 c.p.c.), secondo l’interpretazione della giurisprudenza, a specificazione del richiamo nella norma della sola raccomandata (Cass. n. 12834 del 2003).

2.4.2. Eccezionalmente, il legislatore richiede l’avviso di ricevimento anche quando non si tratti della notifica dell’atto ma della notizia da comunicare al destinatario. E lo fa quando l’atto è stato consegnato in luogo lontano dalla disponibilità del destinatario.

E’ l’ipotesi disciplinata dall’art. 140 c.p.c., rispetto alla notifica dell’atto fatta dall’ufficiale giudiziario nel caso di impossibilità della notifica per irreperibilità, incapacità, rifiuto delle persone legittimate a ricevere, dovendosi in tal caso depositare l’atto notificando presso il Comune e, tra l’altro, dare notizia dell’avvenuto deposito mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

E’ pure l’ipotesi analoga disciplinata dalla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, conv. nella L. n. 8 del 2005, rispetto alla notifica fatta a mezzo posta, nel caso di impossibilità di effettuare la stessa per temporanea assenza, dovendosi in tal caso depositare l’atto notificando presso l’ufficio postale dando notizia al destinatario dell’avvenuto deposito mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

E’ opportuno mettere in evidenza che, dopo l’intervento della Corte costituzionale che ha riguardato l’art. 140 c.p.c., (sent. n. 3 del 2010), in entrambi i casi, la notificazione si ha per eseguita per il destinatario decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della notizia di avvenuto deposito o dalla data di ritiro del piego, se anteriore.

2.4.3. In definitiva, la previsione letterale della sola raccomandata senza avviso di ricevimento, quando si tratta di dare notizia al destinatario dell’avvenuta notifica dell’atto a persona che, secondo una ragionevole previsione, è a contatto con il destinatario, trova giustificazione della propria diversità nell’ambito di un sistema dove è richiesto sempre l’avviso di ricevimento per la notificazione dell’atto e dove lo stesso avviso viene richiesto qualora l’atto non si sia potuto consegnare a persona “vicina”, ma è stato depositato in un ufficio lontano dal normale accesso del destinatario.

Ed infatti, le persone che ricevono l’atto sono soggetti che, o per vincoli contrattuali o per vincoli parentali, secondo l’id quod plerumque accidit consegneranno l’atto al destinatario. Mentre, la maggiore estensione dell’avviso nel caso di notifica a mezzo posta (art.7 cit.) può trovare spiegazione nella diversa autorevolezza esterna normalmente riconosciuta dai destinatari all’ufficiale giudiziario rispetto all’ufficiale postale.

Inoltre, un ulteriore argomento, convince della ragionevolezza della soluzione scelta dal legislatore.

Come si è visto, nei casi eccezionali in cui è richiesto l’avviso di ricevimento nonostante si tratti solo di dare notizia e non di notificare l’atto, il sistema prevede oramai una disposizione di “chiusura”, che consente di considerare per eseguita la notificazione (dieci giorni dalla spedizione della raccomandata informativa, se non ritirato il plico). Invece, nel caso ora all’attenzione della Corte non esiste una norma di chiusura; con la conseguenza che, in caso di mancata ricezione personale dell’avviso si riaprirebbe astrattamente l’applicabilità delle norme previste per la notificazione a mezzo posta, procedendo all’infinito verso la ricerca della effettività della ricezione.

2.4.4. Nella giurisprudenza della Corte non vi sono pronunce espresse che vadano in direzione contraria. Infatti, l’affermazione contenuta in una massima (Cass. n. 23589 del 2008), secondo cui “In tema di sanzioni amministrative, nel caso di notifica a mezzo posta del verbale di accertamento dell’infrazione, ai sensi della L. n. 890 del 182, art. 7, – nel regime applicabile ratione temporis, prima della modifica introdotta dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 2 quater, conv. in L. n. 31 del 2008 – ove la consegna del piego, per l’assenza del destinatario, sia avvenuta nelle mani del custode dello stabile di residenza di quest’ultimo, non è necessario l’invio della raccomandata con ricevuta di ritorno. Tale adempimento, infatti, è stata introdotto dal D.L. citato ed è imposto per le notifiche successive all’entrata in vigore di quest’ultimo”, non corrisponde al principio di diritto utilizzato nella decisione. In particolare, come emerge dalla motivazione della sentenza, nell’escludere ratione temporis l’applicazione alla specie dell’art. 7, come novellato negli anni 2007/2008, per le notifiche a mezzo posta effettuate precedentemente, la Corte ha incidentalmente rilevato, aderendo senza motivazione alla prospettazione della ricorrente, che con la nuova norma sarebbe stata necessaria la raccomandata con avviso di ricevimento.

2.5. Il motivo è, pertanto, rigettato in applicazione del seguente principio di diritto: “Nell’ipotesi di notifica dell’atto, a mezzo di ufficiale giudiziario, al portiere o al vicino (ex art. 139 c.p.c.), e nell’ipotesi di notifica dell’atto, a mezzo posta, a persona diversa dal destinatario (L. n. 890 del 1982, ex art. 7, come modificato nel 2007/2008) ai fini del perfezionamento della notifica, rispetto al destinatario, non è necessario che sia fatta con avviso di ricevimento la raccomandata diretta al destinatario e contenente la notizia della avvenuta notificazione dell’atto alle persone suddette; con la conseguenza che, nella specie, è stata legittimamente dichiarata la contumacia della parte, destinataria di atto di appello ricevuto dal portiere e della raccomandata, senza avviso di ricevimento, contenente la notizia dell’avvenuta consegna al portiere dell’atto”.

3. Sempre con il primo motivo, con un secondo e terzo profilo, si deduce la nullità della sentenza e del processo per nullità della notificazione degli appelli incidentali, disposta dal giudice, quando la danneggiata era stata dichiarata contumace.

Con riferimento alla notificazione dell’appello incidentale dell’assicurazione, la prospettazione della nullità, per essere stata fatta la notifica, personalmente alla danneggiata già dichiarata contumace (mentre non può rilevare la notifica, di cui si parla a pag. 3 del ricorso, dell’appello incidentale all’avvocato della danneggiata in primo grado, essendo già stata dichiarata la contumacia), a persona convivente, senza che risulti la prova dell’invio della seconda raccomandata, non può essere esaminata dalla Corte. Il ricorrente non chiarisce e omette il necessario rinvio agli atti processuali se la notificazione sia stata effettuata a mezzo posta o dall’ufficiale giudiziario; circostanza rilevante atteso che l’invio della seconda raccomandata sarebbe richiesto nel primo caso (art. 7 cit.) e non nel secondo (art. 139).

Con riferimento alla notificazione dell’appello incidentale dell’impresa (anche per questa essendo irrilevante la notificazione all’avvocato di primo grado), si assume che la notifica fu fatta personalmente a soggetto non meglio identificato, oltre la mancanza della seconda raccomandata. Ogni esame della questione resta preclusa dal totale assenza di riferimenti e rinvii agli atti processuali, per cui le modalità della notifica sono solo asserite, senza la possibilità per la Corte di verificarne la decisività.

Entrambi i profili, pertanto, sono inammissibili.

4. Nel merito, il Tribunale ha ritenuto non provato il nesso di causa tra la caduta e l’avvallamento sul marciapiede. Ha messo in evidenza:

che nessuno dei testi l’aveva vista inciampare nell’avvallamento, essendosi questi limitati a riferire che era presente un avvallamento nei pressi della caduta; che, secondo la stessa ammissione della danneggiata, stava camminando a passo veloce per raggiungere l’autobus; che camminava guardando l’autobus e, anche il marciapiede e, quindi senza la necessaria attenzione; che altro teste aveva affermato che l’avvallamento era comunque visibile.

4.1. La decisione è censurata invocando la violazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., nonché degli artt. 115, 116 e 112 c.p.c., (secondo motivo) e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione delle prove (terzo).

I motivi sono tutti inammissibili. Al di là della invocazione della violazione di legge, le censure si sostanziano nella critica alla valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice con percorso argomentativo privo di vizi logici; quindi, essi consistono in una prospettazione di una diversa valutazione favorevole alla danneggiata, richiedendo inammissibilmente alla Corte di legittimità di farla propria compiendo un giudizio sul merito della causa.

Quanto alla invocata violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale emanato una pronuncia ultrapetita, disponendo la restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, indistintamente, a favore di tutti gli appellanti e, quindi, anche a favore della Assicurazione, mentre sarebbero stati condannati in solido solo il Comune e l’impresa, evidente è la non conferenza della censura. Con la sentenza è stata disposta la restituzione delle somme percepite, naturalmente, a favore di chi le ha versate.

5. Il ricorso incidentale proposto dal Comune, in modo espressamente condizionato, con il quale si invoca la violazione dell’art. 112 c.p.c., deducendo di aver proposto appello incidentale alla sentenza di primo grado, la quale aveva ritenuto la responsabilità solidale del Comune e dell’impresa, mentre il Comune aveva agito in manleva, facendo valere l’esistenza di un contratto di appalto per la manutenzione, e che tale questione sarebbe restata assorbita nel giudizio di secondo grado per via del rigetto della domanda, resta assorbito.

6. In conclusione, il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate secondo i parametri vigenti, seguono la soccombenza a favore del controricorrente. Non avendo gli altri intimati svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte di Cassazione decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2015


Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 24-02-2015) 20-05-2015, n. 10272

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23061-2011 proposto da:

P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9, presso lo studio dell’avvocato DE ARCANGELIS GIORGIO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.A., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNI FABRIZIO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4746/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/11/2010 R.G.N. 7944/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/02/2015 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

udito l’Avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 16 novembre 2010 la Corte di appello di Roma, ritenuta infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per inesistenza della notifica dell’atto introduttivo, a modifica della decisione di primo grado, ha condannato P.G. al risarcimento del danno per negligente esercizio dell’attività professionale di commercialista in favore di I.A. nella misura di Euro 863,77, oltre interessi e rivalutazione Avverso detta sentenza propone ricorso P.G. con due motivi.

Resiste con controricorso I.A..

Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso si denunzia vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione della L. n. 53 del 1994.

Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di inesistenza della notificazione dell’atto di appello non tenendo in conto che alla relazione di notificazione mancavano tutti gli elementi costitutivi della stessa, vale a dire la indicazione della generalità del notificante, la sottoscrizione del notificante e la indicazione delle generalità della persona alla quale l’atto era stato consegnato. Con motivazione illogica e contraddittoria, la Corte di merito aveva ritenuto regolare la notificazione dell’atto ad opera dell’avvocato difensore, solo in considerazione della sottoscrizione dell’atto di appello da parte del difensore stesso.

Sostiene la ricorrente poi che nella relazione di notificazione mancava il nome ed il cognome del notificante; che la sottoscrizione di tale relazione non era riconducibile all’avvocato difensore; che mancava la certezza dell’identità della persona che aveva ricevuto l’atto.

Di conseguenza la notificazione doveva ritenersi inesistente e non suscettibile di sanatoria.

2. Il motivo è infondato L’atto di appello è stato notificato ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 4 direttamente dall’avvocato Fabrizio Bruni difensore dell’appellante I., mediante consegna di copia dell’atto nello studio dell’avvocato Giorgio De Arcangelis difensore domiciliatario di P.G..

Come correttamente ha ritenuto la Corte d’appello, non vi sono dubbi sull’identificazione dell’avvocato Fabrizio Bruni quale procedente alla notifica, sui rilievo chela relata è apposta all’atto di appello sottoscritto dallo stesso B. e contiene il richiamo al numero di registro cronologico ed alla autorizzazione del consiglio dell’ordine competente.

A ciò deve aggiungersi che l’atto di appello contiene la vidimazione per la notificazione diretta ai sensi dell’art. quattro della L. n. 53 del 1994 da parte del consiglio dell’ordine secondo quanto prevede l’art. 4, comma 2.

Infatti la notifica può essere eseguita mediante consegna di copia dell’atto nel domicilio del destinatario se questi ed il notificante sono iscritti nello stesso albo. In tal caso l’originale e la copia dell’atto devono essere previamente vidimati e datati dal consiglio dell’ordine nel cui albo entrambi sono iscritti.

L’atto risulta consegnato presso lo studio del difensore dell’appellato, a persona identificata come addetta alla ricezione, in quanto segretaria addetta al ritiro degli atti, che ha sottoscritto con firma leggibile.

3. Si osserva che la sottoscrizione del notificante è volta ad individuare senza incertezze l’identità di quest’ultimo e l’attribuzione a lui delle operazioni di notificazione, onde attestare la sussistenza in capo allo stesso dei requisiti soggettivi indispensabili.

Non può negarsi che tale identificazione può bene avvenire sulla base di elementi i quali, come nella specie, la vidimazione dell’atto di appello a cura dell’ordine degli avvocati per consentire la notifica diretta, la sottoscrizione dell’atto di appello da parte dell’avvocato notificante, l’indicazione numero di cronologico del numero di autorizzazione dell’ordine degli avvocati ed, immediatamente in sequenza, la relazione di notifica e la firma della persona abilitata a ricevere l’atto.

4. La Corte d’appello ha ritenuto poi,con doppia motivazione, sanabili eventuali nullità della notifica a seguito della costituzione in giudizio dell’appellata A tale proposito si osserva che la L. n. 53 del 1994, art. 11 qualifica come nulle le notificazioni” se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica”.

Anche la seconda motivazione della Corte di merito è conforme alla legge, essendo possibile la sanatoria della notifica nulla. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 1.160,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori come per legge ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2015


Comm. trib. prov. Emilia-Romagna Reggio Emilia Sez. III, Sent., 02-03-2015, n. 74

La Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia ha stabilito che la notifica all’estero di un avviso di accertamento è inesistente se manca la firma del destinatario sulla ricevuta.

Leggi: Comm. trib. prov. Emilia-Romagna Reggio Emilia Sez. III, Sent., 02-03-2015, n. 74


TAR Lazio n. 5714/2015

Il Ministero con una direttiva interna del 24.4.2015 ha ripristinato – quali malattie – le assenze dal servizio per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici, a seguito della sentenza del TAR Lazio n.5714/15 di annullamento della circolare n.2/14 del Dipartimento della Funzione pubblica.

TAR Lazio 05714-2015 No permessi per esami clinici


Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 03-03-2015) 29-05-2015, n. 11165

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19729-2011 proposto da:

B.H.L. (OMISSIS), considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MEISSNER EGMONT, giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio TILMAN HERRIGER in KORSCHENBROICH del 16/06/2011 N. 810/2011;

– ricorrente –

e contro

INA ASSITALIA SPA, T.F., UCI UFFICIO CENTRALE ITALIANO SCRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 462/2011 del TRIBUNALE di BOLZANO, depositata il 08/04/2011 R.G.N. 5397/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/03/2015 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
T.F. convenne innanzi al Giudice di pace di Brunico l’Ufficio Centrale Italiano s.r.l., in qualità di rappresentante e domiciliataria di Provinzial Feuerversicherunsanstlt der Rheinprovinz nonchè H.B.L. chiedendo che, accertata l’esclusiva responsabilità del B. nella causazione dell’incidente stradale verificatosi il (OMISSIS), i convenuti venissero condannati a risarcirgli i danni subiti.

Resistettero gli intimati, il B., chiedendo e ottenendo di chiamare in causa Le Assicurazioni d’Italia, in quanto società garante dell’attore, nei cui confronti propose domanda riconvenzionale.

Con sentenza non definitiva del 18/23 aprile 1998, il Giudice di Pace accertò l’esclusiva responsabilità del B. nella eziologia dell’incidente.

Avverso detta pronuncia propose appello il soccombente. All’esito dell’istruttoria sul quantum debeatur, il decidente, rigettata la domanda riconvenzionale, condannò il B., in solido con l’Ufficio Centrale Italiano, al pagamento della somma di L. 1.950.850.

Il gravame proposto avverso detta pronuncia, riunito a quello avente ad oggetto la decisione sull’an debeatur, venne deciso dalla Corte d’appello di Bolzano con sentenza che, dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione avverso la sentenza non definitiva, rigettò quella avverso la sentenza definitiva.

Detta pronuncia venne tuttavia cassata dalla Suprema Corte che, accolto il primo motivo di ricorso, cassata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rigettati gli altri, rinviò la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bolzano.

Riassunto il giudizio, il giudice di rinvio, in data 8 aprile 2011, ha respinto sia l’appello avverso la sentenza non definitiva, sia quello avverso la sentenza definitiva. Il ricorso di B.H. L. avverso detta pronuncia è affidato a due motivi.

Non si sono difesi gli intimati.

Motivi della decisione
1 Preliminare e assorbente è il rilievo dell’inammissibilità dell’impugnazione. Queste le ragioni.

Occorre muovere dalla considerazione che, in base al disposto della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 12 a tenor del quale il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana, la procura alle liti utilizzata in un giudizio celebrato nel nostro Stato, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, tuttavia, nella parte in cui consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci. A tal fine occorre però che il diritto straniero conosca, quantomeno, i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che lo caratterizzano nell’ordinamento italiano e che consistono, quanto alla scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore (Cass. sez. un., ord. 13 febbraio 2008, n. 3410; Cass. civ. 14 novembre 2008, n. 27282).

2 Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che, benché l’art. 122 c.p.c., comma 1, prescrivendo l’uso della lingua italiana, si riferisce ai soli atti endoprocessuali e non anche agli atti prodromici al processo, come la procura, per questi ultimi vige pur sempre il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (confr. Cass. civ., sez. un. 2 dicembre 2013, n. 26937; Cass. civ. 29 dicembre 2011, n. 30035; Cass. civ. 14 novembre 2008 n. 27282).

3 Venendo al caso di specie, la procura, rilasciata a Lorschenbroich, in Germania, era esente, in conformità alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, ratificata dall’Italia con L. 20 dicembre 1966, n. 1253, nonché alla Convenzione bilaterale tra l’Italia e la Germania conclusa in Roma il 7 giugno 1969, sia dalla legalizzazione da parte dell’autorità consolare italiana, sia dalla c.d. apostille, e cioè dal rilascio, da parte dell’organo designato dallo Stato di formazione dell’atto, di un attestato idoneo a che l’atto venga riconosciuto ed accettato come autentico.

Tanto non esclude, tuttavia, che andava allegata non solo la traduzione della procura speciale, ma anche quella dell’attività certificativa svolta dal notaio, e cioè l’attestazione che la firma era stata apposta in sua presenza, da persona di cui egli aveva accertato l’identità. Il mancato espletamento di tale adempimento comporta la nullità della procura e quindi l’inammissibilità dell’impugnazione. Nessun provvedimento va adottato in ordine al governo delle spese di lite, non essendosi costituita in giudizio la parte vittoriosa.

P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2015


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 27/01/2015) 11/03/2015, n. 4862

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4884/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 30/2009 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI, depositata il 27/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/01/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Alla signora C.C. veniva notificata dall’Ufficio di Aversa dell’Agenzia delle Entrate una cartella di pagamento, con la quale l’Ufficio recuperava a tassazione, per l’anno 2003, la maggiore l’IVA dovuta a seguito del controllo automatizzato della relativa dichiarazione, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54 bis.

2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Caserta, che accoglieva il ricorso.

3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva disatteso dalla CTR della Campania con sentenza n. 30/15/2009, depositata il 27.1.2009, con la quale il giudice di seconde cure riteneva improponibile l’appello dell’Ufficio, per non essere stato il medesimo parte del giudizio di prime cure.

4. Per la cassazione della sentenza n. 30/15/2009 ha proposto, quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato ad un solo motivo.

l’intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, e art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si duole l’Amministrazione ricorrente del fatto cha la CTR abbia dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Ufficio, per non essere stato il medesimo parte nel processo di prime cure, non essendosi costituito dinanzi alla Commissione Tributaria di prima istanza.

1.2. Il motivo è fondato.

1.2.1. Ed invero, il fatto che la sentenza di primo grado sia stata resa nei confronti dell’Ufficio di Caserta dell’Agenzia delle Entrate e che l’appello sia stato proposto dall’Ufficio di Aversa, non comporta l’inammissibilità dell’appello. E ciò, sia per il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia per la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte all’organo (e non alle singole articolazioni organizzative) che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato (Cass. 29465/2008;

15718/2009; 3727/2010).

1.2.2. Nè può dubitarsi del fatto che la parte contumace nel processo tributario di primo grado possa legittimamente proporre appello, come si evince dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, e art. 327 c.p.c. (Cass. 11991/2006).

1.3. Il mezzo va, di conseguenza, accolto.

2. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Campania, che dovrà procedere all’esame del merito della controversia, attenendosi ai seguenti principi di diritto: “l’appello proposto da un Ufficio dell’Agenzia delle Entrate diverso da quello nei cui confronti è stata emessa la sentenza di primo grado è ammissibile, sia per il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale che impone di ridurre ai massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia per la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte all’organo (e non alle singole articolazioni organizzative) che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato “; “la parte contumace nel processo tributano di primo grado può legittimamente proporre appello, come si evince dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, e art. 327 c.p.c.”.

3. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 27 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2015


Cass. civ., Sez. VI – 5, Sent., (data ud. 21/01/2015) 02/03/2015, n. 4222

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23329-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

FIERA DI FORLI’ SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA DUSE 35, presso lo studio dell’avvocato GOMMELUNI ALBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO TARGHINI giusta procura alle liti in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 55/16/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA dell’11/06/2012, depositata il 12/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI;

udito l’Avvocato Bacosi Giulio (Avvocatura) difensore della ricorrente che si riporta agli scritti ed eccepisce al tardività del controricorso;

udito l’Avvocato Gommellini Alberto difensore della controricorrente che si riporta agli scritti.

Svolgimento del processo
Il giudizio nasce da una variazione di categoria operata dall’Agenzia del Territorio di Forlì con passaggio dalla Cat. E/9 alla Cat D/8 relativamente al complesso immobiliare destinato a padiglione fieristico di proprietà della società Fiera di Forlì spa.

Il riclassamento, secondo l’Agenzia, trovava giustificazione in base alla legislazione vigente, D.L. n. 262 del 2006, art. 2 comma 40 conv. nella L. n. 286 del 2006 e della circolare dell’Agenzia del Territorio n. 4/2007, non avendo efficacia le nuove categorie catastali previste dal D.P.R. n. 138 del 1998.

Il giudice di primo grado al quale si è rivolta la società Fiera di Forlì SPA ha annullato l’avviso di accertamento.

La CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza n. 55/16/12, depositata il 12.7.2012, ha respinto l’appello dell’Agenzia.

Il giudice di appello, a prescindere dal rilievo che il D.P.R. n. 138 del 1998, anche se non attuato in alcune sue disposizioni, ha forza di legge e che nello stesso è prevista l’inclusione delle unità immobiliari stabili destinate alle fiere nell’ambito del gruppo catastale comprendente immobili speciali per funzioni pubbliche o di interesse collettivo, riteneva decisiva la disposizione normativa di cui al ricordato D.L. n. 286 del 2006, art. 2, comma 40. Nel caso di specie l’Ufficio aveva considerato l’intero compendio immobiliare “a destinazione commerciale”, ignorando la destinazione effettiva dei vari locali ad esclusivo uso fieristico.

Peraltro, nei locali della Fiera non veniva svolta, al di fuori dei giorni di svolgimento delle manifestazioni fieristiche, alcuna stabile attività ad eccezione che per alcuni locali ad uso ufficio.

Aggiungeva che a sostegno dell’assunto della società alcune pronunce di merito avevano rigettato gli accatastamenti in categoria D/8, ritenendo che gli immobili erano destinati all’assolvimento di esigenze di pubblico interesse e come tali dovevano essere collocati nella Cat. E. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale ha resistito la società contribuente con controricorso eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, in quanto notificato oltre il termine di 60 giorni-dalla notifica della sentenza. La causa veniva posta in decisione all’udienza del 21 gennaio 2015.

Motivi della decisione
La preliminare eccezione di tardività del ricorso per cassazione è fondata. Nel caso di specie la parte controricorrente ha documentato di avere proceduto alla notifica mediante consegna diretta della sentenza della CTR qui impugnata all’Agenzia delle entrate in data 17 settembre 2012 – v. nota allegata al fascicolo recante la ricezione con Prot.7101 del 18.9.2012 – in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 2 come modificato dal D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 1 conv. nella L. n. 73 del 2010. Ed è la stessa parte ricorrente ad indicare in ricorso (pag.l)che la sentenza impugnata era stata notificata alla stessa. Orbene, giova rammentare che la disposizione testè indicata ha previsto che “al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 2, le parole: “a norma degli artt. 137 e segg. c.p.c.” sono sostituite dalle seguenti: “a norma dell’articolo 16” e, dopo le parole: “dell’originale notificato”, sono inserite le seguenti: “ovvero copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata mezzo del servizio postale unitamente all’avviso di ricevimento”. La modifica normativa appena ricordata ha consentito alle parti private di procedere alla notificazione della sentenza con consegna diretta ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16 “…Le comunicazioni sono fatte mediante avviso della segreteria della commissione tributaria consegnato alle parti, che ne rilasciano immediatamente ricevuta, o spedito a mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’avviso.” Ora, pare evidente la tardività del ricorso per cassazione spedito per la notifica alla parte contribuente il – e consegnato in data 14 ottobre 2013, quando era ampiamente scaduto il termine breve ex art. 325 c.p.c. per l’impugnazione della sentenza di appello, consegnata all’Agenzia in data 17 settembre 2012 a mani proprie.

A nulla poi rileva, quanto meno per quel che riguarda gli effetti correlati al decorso del termine breve di impugnazione, il mancato deposito della ricevuta di consegna diretta all’Agenzia pure previsto dal ricordato art. 38, comma 2 cit., non risultando dalla lettera della legge alcuna sanzione correlata all’inadempimento di siffatto onere – per come evidenziato dalla dottrina unanime – nè potendo l’omesso deposito produrre effetti ai fini della conoscenza della sentenza una volta che la notifica a mani proprie della stessa è stata, come detto, ritualmente eseguita.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da dispositivo in favore della parte controricorrente.

P.Q.M.
LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della controricorrente in Euro 2000,00 per compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori come per legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 21 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2015


T.A.R. Toscana sentenza n. 272 del 16 febbraio 2015

TAR-Toscana-sentenza n. 272 del 16 febbraio 2015


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 17/12/2014) 21/01/2015, n. 1113

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26883-2013, proposto da:

V.C., rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Lorenti Francesco, presso lo studio del quale in Roma, alla via Rimini, n. 14, elettivamente domicilia;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;

– resistente –

avverso la sentenza n. 90/21/13 della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione 21, depositata in data 9 aprile 2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre 2014 dal consigliere Angelina-Maria Perrino e letta la relazione da lei depositata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

constatata la regolarità delle comunicazioni e sentito l’avv. Francesco Lorenti;

osserva quanto segue.

Svolgimento del processo
La contribuente impugnò un’intimazione di pagamento per imposta di registro ed Invim, sostenendo che non fosse stata preceduta dalla notificazione di alcuna cartella di pagamento. La Commissione tributaria provinciale respinse il ricorso, là dove la Commissione tributaria regionale ha dichiarato inammissibile l’appello, in base al rilievo che era stato notificato ad ufficio diverso da quello che ha emesso l’atto impugnato. Propone ricorso V.C., per ottenere la cassazione di questa sentenza, affidandolo ad un unico motivo, al quale l’Agenzia non replica con difese scritte, limitandosi a depositare memoria di costituzione.

Motivi della decisione
1 – Con l’unico motivo di ricorso, la contribuente si duole della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10, 11 e 12 sostenendo che l’ufficio territoriale Roma (OMISSIS) al quale è stato notificato il ricorso di primo grado rientra nell’articolazione territoriale facente capo alla direzione provinciale (OMISSIS), ufficio controlli di Roma, al quale è stato notificato l’appello.

2. – Il motivo è fondato e va in conseguenza accolto.

2.1. – La Corte, prendendo le mosse dalla sentenza n. 3116 resa dalle sezioni unite in data 14 febbraio 2006, ha chiarito che, in relazione all’agenzia fiscale, tutti i suoi uffici periferici hanno la capacità di stare in giudizio, in via concorrente ed alternativa al direttore, secondo un modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 c.c.; ciò in quanto tali uffici vanno qualificati come organi dell’agenzia che, al pari del direttore, ne hanno la rappresentanza (Cass. 9 aprile 2009, n. 9703).

2.2. – A tanto si è aggiunto che la notificazione ad un ufficio anzichè ad un altro dell’Agenzia delle entrate non è affetta da nullità, trattandosi di un mero errore riguardante l’individuazione dell’ufficio dell’Agenzia territoriale delle entrate deputato a ricevere la notifica (Cass. 16 febbraio 2007, n. 3680).

2.3. -Errore che, se anche sussistente, nel caso in esame non ha prodotto nocumento alcuno, emergendo dalla sentenza impugnata che l’Agenzia si è regolarmente costituita nella fase di appello, spiegando compiutamente le proprie difese.

3. – Il ricorso va in conseguenza accolto, con cassazione della sentenza e rinvio per esame del merito e per la regolazione delle spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

P.Q.M.
la Corte:

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata;

– rinvia per nuovo esame nonchè per la regolazione delle spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2015

 


Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., (ud. 05-11-2013) 30-01-2014, n. 2035

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10187/2012 proposto da:

S.V. (OMISSIS) in qualità di Curatore del fallimento n. 1105/2010 in capo alla società PROFILSERRE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato DE FELICE SERGIO, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCIO ANTONIO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA ETR SPA;

– intimata –

avverso il decreto nel procedimento R.G. 866/2011 del TRIBUNALE di LOCRI del 13.3.2012, depositato il 20/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito per il ricorrente l’Avvocato Antonio Ricci che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
La Curatela del Fallimento PROFILSERRE s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi avverso il decreto emesso nella causa N. 866/2011 e depositato il 20.03.2012 con cui il Tribunale di Locri ha accolto l’opposizione allo stato passivo del fallimento della società Profilserre a r.l. proposta da Equitalia ETR s.p.a..

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione
Con i tre motivi di ricorso il fallimento ricorrente contesta, sotto diversi profili,il rigetto della eccezione di inammissibilità dell’opposizione per tardività. Deduce che l’atto oggetto di opposizione relativo alla comunicazione di deposito dello stato passivo del fallimento era stato comunicato L. Fall., ex art. 97, dal cancelliere tramite un servizio di posta privata ad Equitalia in data 20.6.11, come risulta dalla sottoscrizione dell’avviso di ricevimento, mentre l’opposizione era stata depositata in cancelleria il 22.7.11.

Sostiene in particolare il ricorrente che doveva ritenersi che la comunicazione effettuata tramite un servizio di posta privata fosse del tutto legittima e conseguentemente la data di notifica doveva ritenersi essere quella attestata dal verbale di consegna dell’incaricato postale sottoscritto da Equitalia.

A sostegno della propria tesi deduce che,la comunicazione ai sensi della L. Fall., art. 97, può essere data a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento ovvero tramite telefax o posta elettronica quando il creditore abbia indicato tale modalità di comunicazione e, che il D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, come modificato dal decreto legislativo n. 58 del 2011 con entrata in vigore dal 30.4.11, prevede che sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio postale universale, e, cioè,alla Poste italiane, i servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni,che riguarda le notifiche da parte dell’Ufficiale giudiziario che si avvale del servizio postale, ma non anche quelle effettuate direttamente dal cancelliere a mezzo posta per cui questi poteva avvalersi anche dei servizi di posta privati.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente appaiono infondati.

Invero, nel caso di specie non rileva la questione se il cancelliere possa avvalersi di un servizio di posta privata o meno.

Quello che qui rileva è accertare se, ai fini della decorrenza del termine per proporre impugnazione, possa considerarsi come facente fede l’attestazione della data di consegna da parte dell’incaricato di posta privata.

Tale ipotesi è da escludere.

Va a tale proposito rammentato che questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di contenzioso tributario, (ma il principio riveste una portata generale applicabile anche al caso di specie) che nel caso di notificazioni fatte direttamente a mezzo del servizio postale, laddove consentito dalla legge, mediante spedizione dell’atto in plico con raccomandata con avviso di ricevimento quest’ultimo costituisce atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c., e, pertanto, le attestazioni in esso contenute godono della stessa fede privilegiata di quelle relative alla procedura di notificazione a mezzo posta eseguita per il tramite dell’ufficiale giudiziario.

(Cass. 17723/06 e Cass. 13812/07).

Non altrettanto può dirsi per ciò che concerne le notifiche effettuate da un servizio di posta privato. Gli agenti postali di tale servizio non rivestono infatti la qualità di pubblici ufficiali onde gli atti dai medesimi redatti non godono di nessuna presunzione di veridicità fino a querela di falso con la conseguenza le attestazioni relative alla data di consegna dei plichi non sono idonee a far decorrere il termine iniziale per le impugnazioni.

A tale proposito è già stato chiarito da questa Corte che, in tema di tempestività del ricorso per cassazione, il termine di cui all’art. 326 c.p.c., comma 1, decorre dalla notifica della sentenza impugnata, la quale, nell’ipotesi in cui la notifica abbia avuto luogo a mezzo del servizio postale, va desunta, in mancanza di altri elementi, dalla busta di spedizione, ove sul retro sia stata apposta la data di arrivo presso il destinatario, non potendo essere ricavata dal timbro apposto sul plico da parte dello stesso destinatario, pur recante il numero cronologico e la data, trattandosi di atti di organizzazione interna e nonostante la natura eventualmente pubblica del predetto soggetto (nel caso di specie trattavasi dell’Agenzia delle Entrate) (Cass. 25753/07).

Ciò sta a significare che l’attestazione fidefacente dell’ufficiale postale non è surrogabile da alcun altro tipo di atto neppure nel caso in cui lo stesso sia stato compiuto al momento della ricezione da un ente pubblico.

Ciò porta a maggior ragione ad escludere che possa essere idonea ai fini in esame l’attestazione di un semplice privato. Deve conclusivamente affermarsi che,non essendovi prova circa l’effettiva data di consegna della comunicazione di cancelleria relativa al deposito dello stato passivo del fallimento della Profilserre srl, l’opposizione avverso il detto atto deve ritenersi tempestiva.

Il ricorso va in conclusione respinto. Nulla per le spese.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2014


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 10-11-2014) 18-12-2014, n. 26864

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19637-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INTERAUTO SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LIMA 7 INT. 7, presso lo studio dell’avvocato IANNUCCILLI PASQUALE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO SAGLIOCCO giusta delega a margine;

SOCIETA’ EQUITALIA POLIS SPA (già GEST LINE SPA) in persona del responsabile della riscossione della Prov. di Napoli, elettivamente domiciliato in ROMA L.G. FAVARELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SCIAUDONE giusta delega a margine;

– controricorrenti –

sul ricorso 20332-2009 proposto da:

EQUITALIA POLIS SPA (già GEST LINE SPA) in persona del responsabile dell’Ag. della riscossione per la Prov. di Napoli, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FAVARELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO SCIAUDONE, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

INTERAUTO SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LIMA 7 INT. 7, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE IANNUCCILLI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO SAGLIOCCO giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICO DI NAPOLI (OMISSIS), C.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 101/2008 della COMM.TRIB.REG. della Campania depositata il 23/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2014 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

la Corte riunisce i ricorsi r.g. 19637/09 e 20332/09 perchè contro

la stessa sentenza;

udito per il n. r.g. 19637/09 ricorrente l’Avvocato DE STEFANO che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

Svolgimento del processo
1. Il 5 agosto 2005 C.E., quale legale rappresentante della soc. Interauto, impugnò l’intimazione di pagamento notificata dalla concessionaria dei servizi per la riscossione in forza di sentenza che aveva definito violazioni in materia di IVA commesse dalla società contribuente negli anni ’80.

La Contrada denunciò l’omessa notificazione della presupposta cartella, che avrebbe essere effettuata presso il proprio domicilio essendo la soc. Interauto una ditta oramai inattiva.

Nel giudizio di primo grado si costituirono la concessionaria per la riscossione e l’amministrazione finanziaria; dalle loro difese emerse che la notificazione della cartella era stata fatta il 19 dicembre 2001 presso il domicilio della C. (via (OMISSIS)) con le formalità previste dall’art. 140 cod. proc. civ., ivi compresa la spedizione della raccomandata informativa ivi recapitata e consegnata a mani del fratello C.R..

Il ricorso di Elisa Contrada per la soc. Interauto fu rigettato dalla commissione tributaria provinciale di Napoli. Il primo giudice ritenne regolare la notificazione della cartella perché la raccomandata informativa era stata ricevuta presso l’abitazione della destinatala da persona di famiglia, il che, a prescindere dell’eventuale non convivenza del consegnatario, implicava la presunzione di successiva consegna all’interessata.

2. Costei ha proposto gravame che, con sentenza del 23 giugno 2008, è stato accolto dalla commissione tributaria regionale della Campania.

Il giudice d’appello ha ritenuto che fosse stato violato il precetto della L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 4, riguardo all’omessa specificazione, sull’avviso di ricevimento delle raccomandata informativa, della qualità rivestita dalla persona consegnataria e dell’indicazione di convivenza anche temporanea del familiare.

Prescindendo dal fatto che l’appellante aveva esibito certificazioni attestanti la diversa residenza del fratello, il giudice regionale ha osservato che tutti gli adempimenti richiesti dalla L. n. 890 fossero essenziali per il completamento della fattispecie notificatoria, sicché, in mancanza, la notificazione della cartella fosse da considerarsi nulla.

3. Per la cassazione di tale decisione l’Agenzia delle entrate (n. 19637/09) ed Equitalia Polis (n. 20332/09) propongono separati ricorsi, affidati rispettivamente a due e quattro motivi. Resiste con controricorsi la soc. Interauto, in persona della l.r. C. E.. Equitalia Polis deposita anche controricorso adesivo al ricorso l’Agenzia delle entrate e confermativo delle ragioni avanzate col proprio autonomo ricorso.

Motivi della decisione
1. Preliminarmente i due ricorsi, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti (art. 335 cod. proc. civ.); il primo ha natura processuale di ricorso principale e il secondo ma natura sostanziale di ricorso incidentale.

2. L’Agenzia delle entrate articola due motivi di ricorso principale.

2.1. In primo luogo, denunciando plurime violazioni di norme di diritto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60; art. 140 cod. proc. civ.;

art. 1335 cod. civ.; L. n. 890 del 1982, art. 7), sostiene che, contrariamente all’assunto del giudice d’appello, l’invio e il recapito della raccomandata informativa prescritta dall’art. 140 cod. proc. civ. sono disciplinati dalle disposizioni regolamentari del servizio postale universale e, quindi, dalla ordinaria disciplina civilistica sulla comunicazione di atti recettizi. Il che comporta, secondo la ricorrente, che l’atto sia stato ritualmente comunicato e abbia raggiunto il suo scopo per il solo fatto che è pervenuto al domicilio della destinataria. Tal effetto si verifica, per la difesa erariale, indipendentemente dal fatto che sull’avviso di ricevimento sia o meno specificato il rapporto di parentela e lo stato di convivenza, anche temporanea, tra la persona destinataria e il soggetto consegnatario, poichè si tratterebbe di indicazioni non previste dalle normali disposizioni regolamentari del servizio postale, applicabili alla raccomandata informativa.

2.2. In secondo luogo, denunciando violazione della legge sulle notifiche a mezzo posta (L. n. 890 del 1982, art. 7), la ricorrente rileva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non è causa di nullità della notificazione la mancata specificazione, sull’avviso di ricevimento, della qualità del consegnatario e della situazione di convivenza o meno con la persona destinataria. Osserva, in proposito, che il ritiro del plico postale da parte di un familiare rinvenuto nell’abitazione dall’ufficiale postale lascia presumere una situazione di convivenza almeno temporanea.

3. La concessionaria Equitalia Polis, a sua volta, articola quattro motivi di ricorso incidentale. Con il primo, il secondo e il quarto motivo avanza, in buona sostanza, le medesime tesi svolte dall’Agenzia nel suo ricorso.

Inoltre, con il terzo mezzo, sostiene che – atteso l’avvenuto compimento delle formalità prescritte dalla legge cioè deposito, affissione e spedizione della comunicazione (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e art. 140 cod. proc. civ.) – la notifica sarebbe di per sè stessa valida indipendentemente dalla qualifica del soggetto consegnatario della controversa raccomandata informativa.

4. I ricorsi, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima correlazione, devono essere accolti nei sensi qui di seguito precisati.

4.1. Premesso che la notificazione della cartella di pagamento è pacificamente regolata dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, va ricordato che il comma 3 prevede che, nelle ipotesi di cui all’art. 140 cod. proc. civ., la notifica della cartella di pagamento si effettua con le modalità fissate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60. Quest’ultimo richiede il deposito nella casa comunale, oltre che l’affissione dell’avviso alla porta del destinatario e l’invio di raccomandata con avviso di ricevimento.

4.2. La sentenza n. 3 del 2010 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 cit., nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. A seguito di tale sentenza, pertanto, la notificazione effettuata ai sensi di tale disposizione si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione.

La stessa Corte costituzionale, con ordinanza n. 63 del 2011, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 cit., impugnato nella parte in cui dispone che, nei casi d’irreperibilità, la notificazione della cartella di pagamento si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune, non consente che il termine per l’opposizione decorra dalla concreta conoscibilità dell’atto impositivo da parte del destinatario. Sul punto ha censurato l’operato del giudice rimettente che non ha considerato che la sentenza n. 3 del 2010 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 140 cit. laddove prevedeva che la notifica si perfezionasse, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione e non si è posto il problema della tempestività o meno dell’impugnazione della cartella rispetto all’altro momento risultante dalla citata pronuncia di incostituzionalità.

Dunque, la Corte delle leggi ha indicato il percorso ermeneutico obbligato da osservare per un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3. Perciò, dovendosi tener conto della sentenza n. 3 del 2010 della stessa Corte costituzionale, la Corte di cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “nell’ipotesi in cui una cartella esattoriale venga notificata ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, e quindi con deposito presso la Casa Comunale, affissione dell’avviso alla porta del destinatario e l’invio di raccomandata con avviso di ricevimento, ai fini della tempestività dell’impugnazione della detta cartella il dies a quo della decorrenza del termine deve essere individuato nel giorno del ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata” (Sez. 5, n. 14316 del 28/06/2011).

4.3. Tanto premesso, ai fini del positivo completamento del procedimento notificatorio della cartella nei casi d’irreperibilità temporanea del destinatario, si richiede o il recapito della raccomandata informativa ovvero il semplice decorso del termine di dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata stessa.

Tale ultima regola si spiega perché la raccomandata informativa non tiene luogo all’atto da notificare ma contiene la semplice “notizia” del deposito dell’atto stesso nella casa comunale, così come analogo avviso è affisso alla porta dell’abitazione, dell’ufficio e dell’azienda. Il che spiega pure il perché tale peculiare recapito non sia soggetto alle disposizioni di cui alla precitata L. n. 890, che si riferisce solo alle notificazioni effettuate col ministero dell’ufficiale giudiziario, il quale si avvalga del servizio postale mediante per la consegna del plico contenente l’atto da notificare a mezzo dell’agente postale. Ciò comporta, per la raccomandata informativa, il solo rispetto di quanto prescritto dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria, disciplinata dal D.M. 9 aprile 2001. Esso dispone che “tutti gli invii di posta raccomandata sono consegnati al destinatario o ad altra persona individuata come di seguito specificato, dietro firma per ricevuta” art. 32 e che “sono abilitati a ricevere gli invii di posta presso il domicilio del destinatario, anche i componenti del nucleo familiare, i conviventi e i collaboratori familiari e, se vi è servizio di portierato, il portiere” art. 39. Dunque è sufficiente che sia avvenuta la consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento per l’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro della corrispondenza (Sez. 5, n. 11708 del 27/05/2011). Ne consegue che non è ravvisabile alcun profilo di nullità ove la raccomandata, debitamente consegnata nel domicilio della persona destinatala, sia corredata da avviso di ricevimento sottoscritto da persona ivi rinvenuta, ma della quale non risulti dall’avviso medesimo la qualità o la relazione col destinatario dell’atto, fatta salva querela di falso (Sez. 5, n. 1906 del 29/01/2008; conf. Sez. 6- 5, n. 25128 del 08/11/2013); sicché, la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod. civ., è superabile solo se la persona destinataria dia prova di essersi trovata senza sua colpa nell’impossibilità di prendere cognizione del plico (Sez. 5, n. 15315 del 04/07/2014). Il che, comunque, nella specie non è avvenuto.

4.4. Il giudice d’appello, nell’accogliere le tesi della contribuente appellata, si è completamente discostato dai superiori principi di diritto e la relativa sentenza deve essere cassata senza rinvio potendosi rigettare direttamente il ricorso introduttivo la cui delibazione non richiede ulteriori accertamenti di fatto (art. 384 cod. proc. civ.).

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo tenendo conto del valore della vertenza (Euro 3.906.838,70), dell’apporto difensivo delle parti ricorrenti e della partecipazione della sola difesa erariale alla pubblica udienza di discussione.

Nell’evolversi della vicenda processuale si ravvisano giustificati motivi per la compensazione integrale delle spese dei gradi di merito.

P.Q.M.
La Corte accoglie i ricorsi riuniti (n. 19637/09 e n. 20332/09) nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente, che condanna alle spese del giudizio di legittimità liquidate a favore dell’Agenzia delle entrate in Euro 20.000,00 per compensi (oltre alle spese prenotate a debito) e a favore di Equitalia Polis in Euro 15.000,00 per compensi (oltre a Euro 200,00 per borsuali e agli oneri di legge); compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2014


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 26/05/2014) 05/12/2014, n. 2577

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5712-2009 proposto da:

EQUITALIA POLIS SPA già GEST LINE SPA in persona del Direttore Operativo pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che lo rappresenta e difende con procura speciale del Not. Dr. SCOGNAMIGLIO RENATO in SANTANGELO rep. n. 52857 del 30/10/2008;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ CALZATURIFICIO CARMENS SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ESTE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

sul ricorso 6011-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ CALZATURIFICIO CARMENS SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2007 della COMM.TRIB.REG. del VENETO depositata il 21/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2014 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il n. r.g. 5712/09 ricorrente l’Avvocato BOCCIA delega Avvocato MARESCA che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il n. r.g. 6011/09 ricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sorrentino Federico che ha concluso per l’accoglimento di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo
1. Equitalia Polis ricorre per cassazione avverso la sentenza 43/30/07 del 21.1.2008 con la quale la CTR Veneto, in accoglimento dell’appello spiegato dalla contribuente, ha riformato la sentenza di primo grado che ne aveva respinto il ricorso nei confronti di una cartella di pagamento per IVA e Irpeg 1999, dichiarandone la nullità sul rilievo che essa era priva di sottoscrizione e non recava l’indicazione del soggetto responsabile del procedimento.

La CTR ha motivato la propria decisione muovendo dalla considerazione che “il prevalente orientamento giurisprudenziale … individua quale atto amministrativo a tutti gli effetti la cartella esattoriale …

con la conseguenza che la stessa, come previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 deve contenere l’indicazione del responsabile del procedimento”; e da ciò ha tratto la conclusione, con riguardo alla specie in giudizio, che, “poichè l’impugnata cartella di pagamento non reca l’indicazione del funzionario responsabile dell’emanazione dell’atto, nè vi è alcuna sottoscrizione della stessa, non essendovi neppure un contrassegno che impegni la responsabilità del titolare dell’organo, quale la stampigliatura del nome o la firma della persona titolare, la cartella deve intendersi illegittima per la mancanza di requisiti essenziali”.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame.

Analogo ricorso con due motivi è proposto avverso la medesima sentenza anche dalla Agenzia delle Entrate.

In entrambi i pendenti giudizi resiste con controricorso la parte intimata. Equitalia Polis ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
2. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi a mente dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di separate impugnazione avverso la medesima sentenza.

3.1. Con il primo motivo di gravame entrambi i ricorrenti censurano l’impugnata sentenza sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 per aver dichiarato la nullità della cartella priva di sottoscrizione in quanto “la sottoscrizione deve intendersi quale requisito necessario dell’atto per la sua validità nei soli casi in cui essa sia espressamente richiesta dalla legge” (Equitalia) ovvero “deve ritenersi elemento essenziale solo nei casi in cui sia espressamente prevista dalla legge, dal momento che di regola è sufficiente che dai dati contenuti nella cartella sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui proviene” (Agenzia).

2.2. Il motivo è fondato.

Ancorchè nella specie non si renda applicabile ratione temporis il dettato del D.L. n. 78 del 2009, art. 15, comma 7, convertito in L. n. 102 del 2009, in base al quale “la firma autografa prevista sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione dalle norme che disciplinano le entrate tributarie erariali amministrate dalle Agenzie fiscali e dall’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato può essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile dell’adozione dell’atto in tutti i casi in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati” (13461/12), corrisponde tuttavia ad un consolidato insegnamento del diritto vivente (1425/13), autorevolmente ribadito tra l’altro dall’ordinanza 21.4.2000, n. 117 della Corte Costituzionale, che attinta proprio sullo specifico rilievo della legittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 nella parte in cui non prevedeva che la cartella di pagamento sia provvista di sottoscrizione autografa ha avuto modo di chiarire che “l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia espressamente prevista dalla legge”, l’affermazione secondo cui, per un verso, “la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che, di là da questi elementi formali, esso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo” (4757/09) e, per altro verso, che “la cartella esattoriale prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, come documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, dev’essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, essendo sufficiente la sua intestazione per verificarne la provenienza nonchè l’indicazione, oltre che della somma da pagare, della causale, tramite apposito numero di codice” (14894/08).

La sentenza della CTR qui impugnata oblitera manifestamente il detto principio e va quindi cassata.

3. Il secondo motivo, parimenti comune ad entrambe le parti, denuncia violazione e falsa applicazione di legge e segnatamente della L. n. 212 del 2000, art. 7, in cui la CTR è incorsa per aver dichiarato la nullità dell’opposta cartella mancante dell’indicazione del soggetto responsabile del procedimento, giacchè seppur la norma richiamata concerna anche il concessionario, “è ovvio che la stessa trovi applicazione – e giustificazione – solo nei casi in cui il predetto soggetto responsabile del procedimento sia concretamente in grado, poichè titolare di potere discrezionale del procedimento in itinere di soddisfare le esigenze di tutela del contribuente”, di modo che la prescrizione in parola non si applica agli atti dell’agente della riscossione, atteso che egli è “privo di qualsivoglia potere discrezionale in relazione all’attività svolta” e che la cartella di pagamento è “atto a carattere vincolato”, rispetto al quale l’agente della riscossione è privo di qualsiasi potere di modificazione (Equitalia); ovvero perchè “la mancanza di quest’ultima indicazione non comporta tuttavia la nullità dell’atto, nè tanto meno questa è desumibile dal tenore o dalla ratio della norma”, stante altresì il disposto della L. n. 241 del 1991, art. 5, che della norma statutaria violata costituisce il modello di riferimento, che in difetto di detta indicazione assegna la qualifica di responsabile del procedimento al funzionario preposto all’unità organizzativa che ha emanato l’atto.

3.2. Il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite hanno affermato il principio, che si rende esattamente applicabile al caso di specie atteso che l’iscrizione a ruolo di cui qui si discute è avvenuta in epoca antecedente, secondo cui “l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (c.d. Statuto del contribuente), a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4 ter, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008” (11722/10). Successivamente, questa Corte ha altresì specificato che la cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita, come nel caso in esame, a ruoli consegnati ad agenti della riscossione in data anteriore al 1 giugno 2008, pur essendo formata in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a), non soltanto non è nulla, per le ragioni sopra specificate, ma non è affetta neanche da annullabilità, in quanto la disposizione citata è priva di sanzione e la violazione in questione non incide direttamente sui diritti costituzionali del destinatario, sicchè trova allora applicazione la L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma di atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, come nel caso della cartella esattoriale, il suo contenuto dispositivo non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (6395/14; 1425/13; 4516/12).

Ne consegue che non essendosi attenuta a questo principio neppure in parte qua la sentenza impugnata deve essere doverosamente cassata.

4. Non potendo peraltro questa Corte decidere nel merito, in ragione della pregiudizialità delle questioni decise dalla CTR rispetto alle altre portate al suo esame va disposto il rinvio della causa alla medesima che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie i ricorsi riuniti cassa l’impugnata sentenza e rinvia avanti alla CTR Veneto che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile, il 26 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2014


Cass. civ. Sez. VI – 3, Sent., (ud. 13-11-2014) 27-11-2014, n. 25215

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6302/2013 proposto da:

G.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati RAGOZZINO RENATO, GIULIANA SCARICABAROZZI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, in persona del procuratori elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE “(OMISSIS)”, AZIENDA OSPEDALIERA CTO – CRF (OMISSIS);

– intimate –

avverso la sentenza n. 1476/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO del 21/12/2011, depositata il 13/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato Renato Ragozzino difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Giorgio Spadafora difensore della controricorrente che si riporta agli scritti ed insiste per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
1. G.B. convenne in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale “(OMISSIS)”, già AUSL n. (OMISSIS) di Vercelli, e l’Azienda Ospedaliere C.T.O. – CRF (OMISSIS) e chiese il risarcimento dei danni materiali e non materiali conseguenti alla responsabilità sanitaria dei medici. Il giudizio di primo grado, nel quale l’Azienda Ospedaliera C.T.O. aveva chiamato in manleva l’Allianz spa, si concluse con la condanna della ASL di Vercelli al pagamento di Euro 4.000,00 a titolo di danni morali, nonchè della Azienda ospedaliera al risarcimento a vario titolo per oltre Euro 45 mila, e con l’accoglimento della domanda di manleva.

La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione di prime cure, condannò l’ASL di Vercelli al pagamento di quasi Euro 8.000,00, oltre accessori, a titolo di danno biologico temporaneo, escludendo la condanna a tale titolo della Azienda ospedaliera, con conseguente riduzione della manleva; confermò per il resto la decisione (sentenza del 13 settembre 2012).

2. Avverso la suddetta sentenza, la G. propone ricorso per cassazione con unico motivo.

L’Allianz spa resiste con controricorso e deduce preliminarmente l’inammissibilità.

Nelle memorie, presentate dalle parti costituite, viene discusso il profilo della inammissibilità del controricorso della Allianz per essere stato notificato presso la cancelleria della Corte di cassazione, nonostante l’indicazione nel ricorso della posta elettronica certificata (PEC).

Le altre parti, ritualmente intimate, non svolgono difese.

Motivi della decisione
1. Preliminare è l’esame della eccezione di inammissibilità del controricorso, formulata dalla difesa della ricorrente con la memoria illustrativa, sul rilievo che la notificazione dell’atto è stata effettuata presso la cancelleria di questa Corte, e ciò nonostante che nel ricorso fosse indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata.

1.1. L’eccezione non è fondata.

Nel ricorso, gli avvocati – muniti di procura speciale per rappresentare e difendere la parte sia congiuntamente che disgiuntamente – hanno dichiarato “ai sensi degli artt. 136 e 170 c.p.c….di accettare le comunicazioni loro inviate dalla cancelleria all’utenza telefax….ovvero all’indirizzo di posta elettronica certificata……con domicilio eletto a Milano,….presso lo studio dei…difensori”.

Ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, (nel testo introdotto dalla L. n. 183 del 2011, applicabile ratione temporis, trattandosi di ricorso notificato nel marzo 2013) “se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma ovvero non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicata al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione”.

Quindi, la notificazione del controricorso può essere validamente effettuata presso la cancelleria della Corte di cassazione se manca la elezione del domicilio in Roma da parte del ricorrente e se questi non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata. La domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio consegue solo ove il difensore non abbia indicato l’indirizzo suddetto. Mentre, se tale indicazione sussiste la notificazione del controricorso deve essere effettuata nella forma telematica (Cass. 28 novembre 2013, n. 26696; Sez. Un. n. 10143 del 2012).

Nella specie, è pacifico che la ricorrente non aveva eletto domicilio a Roma e, ritiene il Collegio, che non sia stato indicato in ricorso l’indirizzo di posta elettronica certificata, richiesto dall’art. 366 cit. ai fini delle notificazioni. Infatti il riferimento alla PEC è fatto nell’intestazione del ricorso – peraltro solo in riferimento ad uno dei difensori – ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria. E, mentre la indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo per il notificante di utilizzare la notificazione in forma telematica, non altrettanto può dirsi nel caso di inequivocabile riferimento alle sole comunicazioni inviate dalla cancelleria.

Consegue che il controricorso, notificato presso la cancelleria di questa Corte sul presupposto della sussistenza di entrambi i requisiti della mancata elezione di domicilio e della mancata indicazione della posta elettronica certificata, va dichiarato ammissibile.

1.2. Deve aggiungersi che, comunque, anche ipotizzando la irritualità della notifica così effettuata, la nullità non potrebbe essere dichiarata stante il raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3), atteso che il ricorrente ha riconosciuto di aver avuto conoscenza del controricorso (ottenuto via fax dalla cancelleria della Corte di cassazione) (Cass. 18 giugno 2014, n. 13857).

2.Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 2043 c.c., quale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di gravame e di discussione tra le parti, costituito dalla mancata liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, quale danno distinto dal danno biologico e dal danno non patrimoniale.

Nella parte esplicativa, la ricorrente/danneggiata richiama gli atti processuali del processo di appello nei quali aveva chiesto la liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, in via autonoma dal danno biologico, che assorbirebbe solo la perdita della capacità lavorativa generica. Sostiene che la Corte di merito, omettendo di esaminare tale profilo di impugnazione, avrebbe violato l’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’”attuale formulazione”, avendo omesso di esaminare un fatto principale costitutivo di un diritto, così non esaminando uno specifico profilo di danno il cui esame era stato sollecitato con l’impugnazione.

Il motivo è inammissibile.

2.1. E’ applicabile ratione temporis l’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato nel 2012, atteso che la sentenza impugnata è stata depositata il 13 settembre 2012.

E, tuttavia, il motivo è inammissibile a prescindere dalla nuova formulazione della norma in argomento.

Di recente, le Sez. Un. hanno affermato il principio secondo cui “Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”. (24 luglio 2013, n. 17931).

2.2. Nella specie, ai fini della inammissibile invocazione dell’art. 360, n. 5 cit. rileva, non la mancanza del richiamo formale all’art. 112 c.p.c., ma, lo svolgersi di tutta la parte esplicativa del motivo quale mancanza di motivazione sulla censura di appello, con violazione della legge sostanziale (art. 2043 c.c.), che avrebbe imposto la liquidazione della voce di danno da perdita della capacità lavorativa specifica. Argomentazioni che si accompagnano alla totale assenza di ogni riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, la quale costituisce, invece, la peculiarità della violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda.

Ne consegue la indeterminatezza e la mancanza di specificità della censura, con conseguente violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, che consente il ricorso di legittimità solo nell’ambito di una griglia vincolata secondo le previsioni del legislatore.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate sulla base dei parametri vigenti nei confronti della controricorrente.

Non sussistono i presupposti per la liquidazione delle spese nei confronti delle parti che non si sono difese.

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2014


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 09-10-2014) 13-11-2014, n. 24260

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – rel. Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Riscossione Sicilia s.p.a., in persona del legale rapp.te pro tempore, elett.te dom.to in Roma, alla via Tibullo 20, presso lo studio dell’avv. Tarantino Maria, rapp.to e difeso dall’avv. Di Salvo Giovanni, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

B.G., elett.te dom.to in Roma, alla via Arbia 15, presso lo studio dell’avv. Sernicola Maria Rosaria, rapp.to e difeso, unitamente all’avv. D’Asaro Giacomo, giusta procura in atti;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 87/1/2012 depositata il 28/6/2012;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 9/10/2014 dal Dott. Marcello Iacobellis;

Udito l’avv. Di Salvo per la ricorrente e l’avv. D’Asaro per il controricorrente.

Svolgimento del processo
La controversia promossa da B.G. contro Riscossione Sicilia s.p.a. è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il rigetto dell’appello proposto dalla Società contro la sentenza della CTP di Palermo n. 41/10/2009 che aveva accolto il ricorso avverso gli avvisi di intimazione n. (OMISSIS).

Il ricorso proposto si articola in unico motivo. Resiste con controricorso il contribuente.

Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c.. Il presidente ha fissato l’udienza del 9/10/2014 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
Assume la ricorrente la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. E) e dell’art. 140 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Contrariamente a quanto affermato dalla CTR, la notifica delle cartelle di pagamento ex art. 60 cit – avvenuta nel 2001 e nel 2002 – sarebbe stata rituale, vertendosi in ipotesi di irreperibilità assoluta, come attestato dal certificato di residenza storica rilasciato nel 2008, allegato fin dal primo grado di giudizio.

La censura è infondata. Questa Corte ripetutamente ha affermato (Sez. 5, Sentenza n. 16696 del 03/07/2013; Sez. 5, Sentenza n. 14030 del 27/06/2011) che la notificazione degli avvisi e degli atti tributali impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 cod. proc. civ. quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perchè questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui all’art. 60 cit., comma 1, lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perchè risulta trasferito in luogo sconosciuto, accertamento questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel Comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune.

Orbene l’affermazione della CTR secondo cui “in ogni caso la procedura disciplinata dalla norma mentovata non esclude la formalità di cui all’art. 140 c.p.c.” non è di per sè sufficiente a determinare la cassazione della decisione sulla base dell’assunto vizio, avendo la CTR altresì affermato che “manca la prova che all’atto della notificazione delle cartelle (2001,2002) fosse già acclarata siffatta posizione del contribuente”.

Tale affermazione risulta conforme a diritto dovendo escludersi che l’attestazione circa l’irreperibilità o il trasferimento in altro comune possa essere fornita dalla parte, nel corso del giudizio, laddove il messo notificatore abbia attestato la sola irreperibilità, senza ulteriore attestazione in ordine alle ricerche compiute “per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune”. Inammissibile è altresì il riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 contenuto nella rubrica della censura non essendo specificato il fatto controverso. Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso.

Le circostanze che caratterizzano la vicenda giustificano la compensazione delle spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso compensando tra le parti le spese del giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2014