Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 15-10-2019) 03-08-2020, n. 16594

La Corte di cassazione ha confermato la decisione con cui, nel merito, era stata accolta la domanda avanzata da una lavoratrice per accertare l’intervenuta dequalificazione professionale subita a seguito di illegittimo esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro.

Leggi: Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 15-10-2019) 03-08-2020, n. 16594


Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-07-2020) 27-07-2020, n. 22500

Per la Cassazione, se la motivazione non è affetta da manifesta illogicità è corretto il mancato riconoscimento delle attenuanti ai furbetti del cartellino

Leggi: Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-07-2020) 27-07-2020, n. 22500 


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 17-09-2019) 20-07-2020, n. 15361

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14031-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.V.F., in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA OLIVETI, rappresentato difeso dall’avvocato FRANCESCO DELLA VENTURA;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SERVIZI RISCOSSIONE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2466/2017 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di SALERNO, depositata il 17/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2019 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 2466, depositata il 17 marzo 2017, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) – sezione staccata di Salerno – accolse l’appello proposto dall’avv. D.V.F. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e dell’allora Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Salerno, che aveva invece rigettato il ricorso del contribuente proposto avverso preavviso di fermo amministrativo su autoveicolo di proprietà del contribuente.

Ai fini di quanto rileva nel presente giudizio occorre dar conto che, in riforma della pronuncia di primo grado, la CTR ritenne fondata la doglianza del contribuente, che si doleva dell’inesistenza della notifica del prodromico avviso di accertamento relativo ad IRPEF per l’anno d’imposta 2011, che aveva rettificato il reddito del contribuente da partecipazione all’associazione professionale “Studio legale D.V. & Associati”; ciò in ragione del fatto che la notifica in data 14 marzo 2014 dell’atto impositivo, avvenuta per mezzo di messo comunale, non poteva dirsi, per effetto dell’irreperibilità relativa del destinatario, perfezionatasi nelle forme dell’art. 140 c.p.c., essendo stata effettuata la spedizione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale tramite licenziatario privato, neppure, in ogni caso, potendo dirsi provata, secondo il giudice tributario d’appello, l’effettiva ricezione dell’atto da parte del destinatario.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Il contribuente resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.

L’agente della riscossione, anch’esso intimato, non ha svolto difese.

La causa è trattata in pubblica udienza a seguito di ordinanza interlocutoria di rimessione resa dalla sesta sezione civile.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1994, art. 16, (recte 1992), dell’art. 140 c.p.c., e del D.Lgs. n. 261 del 1992, art. 4, (recte 1999), come modificato dal D.Lgs. n. 58 del 2011, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Osserva l’Agenzia delle Entrate che la sentenza impugnata, nel ritenere inesistente la notifica completata – peraltro ad iniziativa del messo comunale incaricato, una volta non rinvenuto il destinatario della notifica presso il domicilio indicato perchè temporaneamente assente, in mancanza delle altre persone abilitate a ricevere la consegna dell’atto – con spedizione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale tramite licenziatario privato – non ha tenuto conto degli effetti della liberalizzazione dei servizi postali realizzata, in attuazione delle Dir. dell’Unione Europea n. 97/67/CE, Dir. dell’Unione Europea n. 2002/39/CE, e Dir. dell’Unione Europea n. 2008/6/CE, con il D.Lgs. 31 marzo 2011, n. 58, entrato in vigore il 30 aprile 2011; risultando altresì errata, in ogni caso, la sentenza impugnata laddove, richiamando impropriamente in materia il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, aveva ritenuto non raggiunta la prova della regolare ricezione della raccomandata informativa, essendo incontroverso che la stessa era stata consegnata a tale C.E. rinvenuta dall’addetto alla consegna presso il domicilio del destinatario, dovendo quindi trovare applicazione in materia la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., non superata dalla prova contraria da parte del contribuente destinatario dell’atto di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, riguardo a tale ultimo profilo, anche omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, proprio con riferimento alla circostanza, comprovata dall’avviso di ricevimento della raccomandata già depositata agli atti del giudizio di merito, inerente la consegna, da parte dell’operatore privato ad essa addetto, a persona rinvenuta presso il domicilio del destinatario medesimo.

3. Il primo motivo è fondato e va accolto.

3.1. Giova in primo luogo porre in evidenza che la fattispecie attiene a notifica tramite posta privata di atto impositivo tributario. Si esula, quindi dalla diversa fattispecie di notifica per mezzo di posta privata di ricorso giurisdizionale, in entrambi i casi, alla Commissione tributaria provinciale, avverso atti dinanzi ad essa impugnabili del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, su cui, con ordinanze interlocutorie del 12 aprile 2019, n. 10276 e del 19 aprile 2019, n. 11016, la sezione tributaria ha demandato alle Sezioni Unite la risoluzione di questione di massima di particolare importanza sugli effetti della notifica, tramite posta privata, di atti giudiziari nell’arco temporale intercorrente tra la data di entrata in vigore del succitato D.Lgs. n. 58 del 2011, e l’entrata in vigore della L. 4 agosto 2017, n. 124, che, all’art. 1, comma 57, lett. b), ha espressamente abrogato il D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, con soppressione, pertanto, dell’attribuzione in esclusiva alla società Poste Italiane S.p.A., quale fornitore del servizio postale universale, dei servizi inerenti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari ai sensi della L. n. 890 del 1982, nonchè dei servizi inerenti alle notificazioni delle violazioni al codice della strada ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 201.

3.1.1. Ritiene pertanto la Corte che la controversia in esame possa essere decisa, nell’ambito di un sufficientemente chiaro quadro normativo e giurisprudenziale, del quale di seguito si cercherà di dare conto nelle sue linee essenziali, senza che vi siano elementi d’interferenza con la specifica questione demandata all’esame delle Sezioni Unite della Corte, in attesa della definizione di quest’ultima.

3.1.2. Va dato atto che, intervenuta nelle more del deposito della presente decisione la decisione delle SU di questa Suprema Corte (Cass. SU 10 gennaio 2020, n. 299), il principio di diritto ivi affermato secondo cui “In tema di notificazione di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla Dir. del Parlamento e del Consiglio 20 febbraio 2008, n. 2008/6/CE, è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di un atto giudiziario eseguito dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla L. n. 124 del 2017”, non è riferibile, infatti, per quanto già sopra osservato, alla fattispecie oggetto di esame nel presente giudizio che attiene alla notifica di atto sostanziale tributario a mezzo di licenziatario privato nel periodo intercorrente tra la prima, parziale, liberalizzazione operata a mezzo del citato D.Lgs. n. 58 del 2011, e quella infine compiutamente attuata con la summenzionata L. n. 124 del 2017.

3.1.3. Neppure ha quindi ricadute ai fini della decisione del presente giudizio, non già unicamente sotto il solo profilo consequenziale, il secondo principio di diritto affermato dalla succitata decisione delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui “La sanatoria della nullità della notificazione di atto giudiziario, eseguita dall’operatore di poste private per raggiungimento dello scopo dovuto alla costituzione della controparte, non rileva ai fini della tempestività del ricorso, a fronte della mancanza di certezza legale dalla data di consegna del ricorso medesimo all’operatore, perchè sprovvisto di titolo abilitativo”, ma anche in relazione al fatto che nella fattispecie in esame l’invio della raccomandata tramite operatore di posta privata è relativo alla sola fase della spedizione della raccomandata informativa in notifica effettuata tramite messo nelle forme dell’art. 140 c.p.c., a seguito d’irreperibilità relativa del destinatario.

3.2. Ciò premesso, va ricordato che il D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 4, entrato in vigore il 6 agosto 1999, nella sua formulazione originaria, stabiliva al comma 5, che “Indipendentemente dai limiti di prezzo e di peso, sono compresi nella riserva di cui al comma 1” al fornitore del servizio universale, Poste Italiane, “gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative”, intendendosi per tali “le procedure riguardanti l’attività della pubblica amministrazione e le gare di evidenza pubblica”.

La norma, dopo altre modifiche sulle quali non occorre soffermarsi, in quanto non incidenti sulla tematica in esame, fu quindi ancora modificata, con decorrenza dal 30 aprile 2011, dal D.Lgs. 31 marzo 2011, n. 58, art. 1, comma 4, per effetto del quale il succitato D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, concernente, come da rubrica, i “Servizi affidati in esclusiva” fu delineato nuovamente nei termini di seguito riportati:

1. Per esigenze di ordine pubblico, sono affidati in esclusiva al fornitore del servizio universale:

a) i servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni;

b) i servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201.

3.3. La L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 10, entrata in vigore il 21 agosto 1999, aveva a sua volta modificato la L. n. 689 del 1981, art. 18, inserendovi al comma 6, in tema di notifica dell’ordinanza – ingiunzione di sanzione amministrativa, la previsione in virtù della quale “la notificazione dell’ordinanza ingiunzione può essere eseguita dall’ufficio che adotta l’atto secondo le modalità di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890”, riguardante le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari.

3.4. Anteriormente alla riforma del 2011, la giurisprudenza di legittimità si era consolidata nel senso che tra le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. n. 890 del 1982, dovessero essere annoverate le notificazioni a mezzo posta degli atti tributari sostanziali e processuali (cfr., tra le molte, Cass. sez. 6-5, 30 settembre 2016, n. 19467; Cass. sez. 6-5, ord. 19 dicembre 2014, n. 27021; Cass. sez. 6-5, ord. 23 marzo 2014, n. 5873; Cass. sez. 5, 17 febbraio 2011, n. 3932; Cass. sez. 5, 7 maggio 2008, n. 11095), riservate dunque in esclusiva a Poste Italiane S.p.A., osservandosi che “la consegna e la spedizione in raccomandazione che non siano state affidate al fornitore del servizio universale non sono assistite dalla funzione probatoria che il D.Lgs. n. 261 del 1999, ricollega alla nozione degli invii raccomandati” (così, testualmente, la citata Cass. ord. n. 27021/14, in senso conforme si vedano ancora Cass. sez. 1, 19 ottobre 2006, n. 22375, Cass. sez. 1, 21 settembre 2006, n. 20440).

3.4.1. Si riteneva, altresì, secondo la giurisprudenza delle sezioni civili, che l’incaricato di un servizio di posta privata fosse privo della qualità di pubblico ufficiale, a ciò conseguendo che agli atti da esso compiuti non può riconoscersi alcuna efficacia fidefaciente fino a querela di falso. Se ne traeva dunque la conseguenza che, nei casi nei quali la legge consente la notificazione di atti per il tramite del servizio postale con spedizione dell’atto in plico raccomandato con avviso di ricevimento, l’attestazione della data di consegna del plico da parte dell’incaricato di un servizio di posta privata non è idonea a porsi come termine iniziale per la proposizione della relativa impugnazione (cfr. Cass. sez. 6-1, 30 gennaio 2014, n. 2035), donde la ritenuta inesistenza della notifica degli atti tributari sostanziali e processuali spediti per il tramite di licenziatario privato.

3.4.2. Detta statuizione non teneva conto adeguato del fatto che, valorizzando il disposto del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 18, nella sua formulazione applicabile ratione temporis, secondo cui “Le persone addette ai servizi postali, da chiunque gestiti, sono considerate incaricate di pubblico servizio in conformità all’art. 358 c.p.”, la giurisprudenza penale di questa Corte si era già espressa nel senso di ritenere ammissibile la presentazione di atto d’impugnazione a mezzo di raccomandata spedita tramite servizio di recapito privato regolarmente autorizzato (in tal senso Cass. pen. 28 novembre 2013 – dep. 22.1.2014 – n. 2886, in relazione ad atto di appello spedito con raccomandata consegnata a licenziatario privato nel termine di legge, sebbene pervenuto in cancelleria dopo la scadenza del termine previsto ex lege per l’impugnazione; cfr. anche Cass. pen. 3 maggio 2017 – dep. 1.8.2017 – n. 38206).

3.4.3. Soprattutto deve osservarsi come la tesi dell’inesistenza della notifica a mezzo posta privata, riferita, oltre che agli atti processuali, anche a quelli sostanziali, si sia, invero, in maniera tralaticia ripetuta con riferimento ad entrambi anche a seguito dell’intervenuta modifica normativa del 2011.

3.5. In realtà, una più compiuta ricognizione delle relative fattispecie consente di verificare come esse, riguardanti notifiche tra la modifica normativa del 2011 e la definitiva liberalizzazione del 2017, quest’ultima operante solo per l’avvenire ed una volta definito il sistema di attribuzione delle relative licenze (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 11 ottobre 2017, n. 23887), avessero ad oggetto solo notifiche di atti processuali (così anche nella riaffermazione del principio, nel contesto peraltro di differente specifica problematica, da parte delle Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze n. 13452 e 13453 del 29 maggio 2017) e non anche di atti tributari sostanziali, per i quali si poneva dunque il problema, non affrontato ex professo dalle relative decisioni (si veda ad esempio, più di recente, Cass. sez. 6-5, ord. 29 gennaio 2018, n. 2173), di verificare la compatibilità di quanto a suo tempo osservato (cfr. la già citata Cass. n. 11095 del 2008, in tema di notifica a mezzo di posta privata di atto impositivo), con riferimento alla dedotta inesistenza di tale forma di notifica nel mutato quadro normativo di riferimento.

3.6. Invero, il tenore letterale del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, quale sopra riportato, conseguente alla modifica operata dal D.Lgs. n. 58 del 2011, consente di affermare che, dalla data del 30 aprile 2011, della sua entrata in vigore, gli invii raccomandati riguardanti atti tributari diversi da quelli stricto sensu giudiziari possono essere stati oggetto di notifica anche tramite operatore postale privato in possesso dello specifico titolo abilitativo costituito dalla “licenza individuale” di cui al D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 5, comma 1.

3.6.1. Nella concreta fattispecie in esame, peraltro, la certezza, da un lato, del rispetto del termine decadenziale per la notifica dell’atto impositivo è assicurata dall’essere stata la notifica dell’atto affidata a messo comunale, valendo quindi, ai fini della verifica della tempestività della notifica dell’atto impositivo, la data di consegna dell’atto a quest’ultimo da parte dell’ente impositore, essendo stata affidata la consegna a licenziatario privato della sola raccomandata informativa ai sensi dell’art. 140 c.p.c., vertendosi in ipotesi di irreperibilità relativa del destinatario; dall’altro potendo assumere rilievo la data di ricezione della notifica della raccomandata informativa ai fini della verifica della tempestività del ricorso, solo se la consegna sia anteriore al decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione, decorso il quale la notifica s’intende perfezionata ove il destinatario non ne abbia curato il ritiro.

3.7. La conclusione di cui sopra in tema di validità della notifica dell’atto impositivo, la cui notifica sia stata compiuta nel periodo intercorrente tra la parziale liberalizzazione attuata con il D.Lgs. n. 58 del 2011, e quella portata a pieno compimento dalla L. n. 124 del 2017, mediante licenziatario di posta privata appare, in primo luogo, in linea con l’evoluzione interpretativa che ha ormai ritenuto configurabile l’ipotesi di inesistenza della notificazione in casi assolutamente residuali, come confermato, da ultimo, in subiecta materia, proprio dalla citata Cass. SU n. 299/2020; ma, soprattutto, essa appare consonante con il recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, Cass. SU 26 marzo 2019, n. 8416.

3.7.1. La citata pronuncia, riferita a notifica di ordinanza ingiunzione amministrativa, evidenzia come la succitata L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 6, nel riferirsi alla notifica dell’atto secondo le modalità di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, preveda solo una possibilità ulteriore rispetto alla notifica direttamente da parte dell’ente con invio raccomandato; non diversamente da quanto la stessa L. n. 890 del 1982, art. 14, nel testo modificato dalla L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 20, consente per la notifica degli avvisi che devono essere notificati al contribuente.

3.7.2. Ne consegue che il primo motivo di ricorso debba essere accolto, dovendo ritenersi l’atto tributario – nella fattispecie in esame l’avviso di accertamento prodromico che il contribuente assume non essergli stato notificato per inesistenza della relativa notifica tramite posta privata – come species del più ampio genus dell’atto amministrativo.

A solo titolo esemplificativo può al riguardo essere in questa sede ricordata la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo di motivazione dell’atto tributario nell’ambito del più generale obbligo di motivazione dell’atto amministrativo di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 3, con le relative conseguenze in tema di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 17 ottobre 2014, n. 22003; Cass. sez. 5, 19 aprile 2013, n. 9536), non rilevando invece, nella fattispecie in esame quale sopra descritta, la differenza peculiare dell’atto tributario in punto di rilievo della nullità, che non può avvenire se non attraverso l’impugnazione da parte del contribuente nel termine perentorio stabilito: cfr. Cass. sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18448).

4. La sentenza impugnata, infatti, è illegittima, alla stregua delle considerazioni che precedono, sia nella parte in cui ha affermato l’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento, sia laddove, in subordine, ne ha affermato la nullità, non avendo tenuto conto del fatto che la raccomandata informativa è stata in effetti consegnata al domicilio del contribuente a persona ivi rinvenuta, donde la fondatezza anche del secondo motivo di ricorso, avendo omesso la CTR di valutare se l’avere il contribuente dichiarato che la persona ivi rinvenuta sia a lui non conosciuta, nè con lui convivente, integrasse prova del non averne potuto acquisire notizia, senza sua colpa, ex art. 1335 c.c..

5. La sentenza impugnata va per l’effetto cassata e la causa rinviata, per nuovo esame, alla Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno – che provvederà anche in ordine alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020


Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., (ud. 05-12-2019) 17-07-2020, n. 15349

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29124-2014 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A. (già SERIT SICILIA S.P.A.), Agente della Riscossione per la Provincia di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA DI STEFANI, rappresentata e difesa dall’avvocato ACCURSIO GALLO;

– ricorrente –

nonché contro

P.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 415/2014 del TRIBUNALE di TERMINI IMERESE, depositata il 28/04/2014, R.G.N. 50595/2011.

Svolgimento del processo

CHE:

  1. Il Tribunale di Termini Imerese ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Polizzi Generosa che, su ricorso di P.S. notificato nel settembre 2010, ha annullato con effetto dalla data di pubblicazione della sentenza il preavviso di fermo amministrativo notificatogli nel luglio 2007, ritenendo che dal D.L. n 203 del 2005, art. 2 (rectius 3), comma 41, e il D.M. n. 503 del 1998, artt. 3 e 5, dall’obbligo di condursi secondo buona fede e dall’art. 24 Cost., si possa ricavare il principio per cui, dopo avere disposto il fermo, l’autorità ha l’obbligo di dar corso al pignoramento nei termini di legge;
  2. il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
  3. con l’unico motivo di ricorso, ulteriormente illustrato con memoria, Riscossione Sicilia s.p.a. censura la sentenza del Tribunale di Termini Imerese per violazione del D.L. n. 203 del 2005, art. 2 (rectius 3), comma 41, D.M. n. 503 del 1998, art. 35, art. 12 disp. prel., cui non ha resistito P.S..

Motivi della decisione

CHE:

  1. il ricorso è da accogliere;
  2. D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, dispone, nella versione vigente ratione temporis: “I. Decorso inutilmente il termine di cui all’art. 50, comma 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza. 2. Il fermo si esegue mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede. 3. Chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo è soggetto alla sanzione prevista dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 214, comma 8.
  3. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri dell’interno e dei lavori pubblici, sono stabiliti le modalità, i termini e le procedure per l’attuazione di quanto previsto nel presente articolo”;
  4. D.L. n. 203 del 2005, art. 3, ha disposto, poi, che “D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 86, si interpreta nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel decreto del Ministro delle finanze 7 settembre 1998, n. 503”;
  5. tale ultimo decreto non prevede, in generale, termini entro i quali procedere all’esecuzione;
  6. non esistono, dunque, disposizioni di legge o di decreto ministeriale che impongano di procedere all’esecuzione forzata entro termini perentori dal fermo;
  7. il fermo, d’altro canto, è comunemente ritenuto una misura afflittiva, volta proprio a indurre il debitore all’adempimento sottraendogli la disponibilità del bene (v., fra le altre, Cass. n. 15354 del 2015);

10.nè possono rilevare, in contrario, il principio di buona fede e l’art. 24 Cost., richiamati in sentenza;

  1. da un canto, “l’impugnazione del preavviso di fermo amministrativo, sia se volta a contestare il diritto a procedere all’iscrizione del fermo, sia che riguardi la regolarità formale dell’atto, è un’azione di accertamento negativo a cui si applicano le regole del processo di cognizione ordinario, e come tale non assoggettata al termine decadenziale di cui all’art. 617 c.p.c.” (v., fra le altre, Cass. n. 18041 del 2019), così che il contribuente che si ritenga leso nei suoi diritti può sempre agire per sentir dichiarare illegittimo il fermo e toglierlo di mezzo, senza essere tenuto a sopportarne, sine die, gli effetti;
  2. dall’altro, il fermo ammnistrativo ha proprio la funzione di “spingere il cittadino all’adempimento”, ferma la possibilità di esperire i rimedi di legge per farne valere l’illegittimità;
  3. in conclusione la sentenza va cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, l’opposizione avverso il fermo amministrativo va rigettata;
  4. Le spese del giudizio di merito e di legittimità si liquidano come in dispositivo e seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione a fermo amministrativo; condanna la parte intimata al pagamento delle spese liquidate, per compensi professionali, in Euro 600,00 per il giudizio di primo grado, Euro 800,00 per il giudizio di secondo grado, Euro 1.500,00 per il giudizio di legittimità, oltre Euro 200,00 per esborsi e quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27-02-2020) 14-07-2020, n. 14941

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11111-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS). in persona dei rispettivi Direttori pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

Z.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1526/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO.

Svolgimento del processo
che:

Con sentenza in data 27 settembre 2018 la Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva parzialmente l’appello proposto da Z.C. avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Torino che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro avviso di intimazione emesso a seguito del mancato pagamento di alcune cartelle esattoriali.

Osservava la CTR, in riferimento a due cartelle di pagamento, “che non vi è alcun documento che provi il collegamento tra la fotocopia della spedizione e ricevuta della raccomandata e le cartelle apparentemente notificate, motivo che di per sè porterebbe alla nullità della notifica. Non vi è poi regolare attestazione di notifica da parte dell’ufficiale postale notificante perchè non vi è indicazione della qualifica del firmatario della ricevuta o dell’ufficiale postale notificante. Ne consegue che tali notifiche irregolari sono nulle”.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 27 marzo 2019, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate-Riscossione hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Il contribuente non ha svolto difese.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Motivi della decisione
che:

Con unico mezzo le ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1335 e 2697 c.c., nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26.

Censurano la sentenza impugnata per avere la CTR erroneamente ritenuto necessaria, per la validità della notifica, la produzione delle cartelle di pagamento nella loro integralità, nonchè l’indicazione sull’avviso di ricevimento della qualifica del firmatario.

Il ricorso è fondato.

Va osservato che, dopo talune oscillazioni, si è ormai consolidato l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, in base al quale “In tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova” (Cass. n. 16528 del 2018 e giurisprudenza ivi richiamata). Questa Corte ha inoltre precisato che “Nell’ipotesi in cui il destinatario della cartella esattoriale ne contesti la notifica, l’agente della riscossione può dimostrarla producendo copia della stessa, senza che abbia l’onere di depositarne nè l’originale (e ciò anche in caso di disconoscimento, in quanto lo stesso non produce gli effetti di cui all’art. 215 c.p.c., comma 2, e potendo quindi il giudice avvalersi di altri mezzi di prova, comprese le presunzioni), nè la copia integrale, non essendovi alcuna norma che lo imponga o che ne sanzioni l’omissione con la nullità della stessa o della sua notifica” (Cass. n. 25292 del 2018).

Con riguardo alla ritenuta nullità della notifica per la mancata indicazione della qualifica del soggetto che ha sottoscritto l’avviso di ricevimento, va richiamato il principio di diritto secondo cui “La cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, anche direttamente da parte del concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, art. 32 e 39, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; ne consegue che se, come nella specie, manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido, poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata”(Cass. n. 11708 del 2011).

La sentenza impugnata non si è uniformata ai richiamati arresti giurisprudenziali e pertanto, in accoglimento del ricorso, deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2020


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27-02-2020) 14-07-2020, n. 14935

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4307-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6120/22/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 22/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO.

Svolgimento del processo
che:

Con sentenza in data 22 giugno 2018 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate-Riscossione avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso proposto da R.L. avverso cartella di pagamento, inviata a mezzo del servizio postale con plico raccomandato, relativa ad imposta comunale sulla pubblicità per l’anno d’imposta 2009. Osservava la CTR che l’agente della riscossione, nonostante la contestazione mossa dal contribuente, non aveva assolto all’onere – che gravava sul mittente – di provare il contenuto del plico raccomandato.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 22 gennaio 2019, l’Agenzia delle entrate-Riscossione ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Il contribuente non ha svolto difese.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Motivi della decisione
che:

Con unico mezzo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1335 e 2697 c.c., nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, per avere erroneamente la CTR ritenuto che gravasse sul mittente l’onere di provare l’esatto contenuto del plico raccomandato.

Il ricorso è fondato.

Va osservato che, dopo talune oscillazioni, si è ormai consolidato l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, in base al quale “In tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova” (Cass. n. 16528 del 2018 e giurisprudenza ivi richiamata).

Orbene, la decisione della CTR, nel ritenere che la prova del contenuto del plico raccomandato spettasse al mittente e non già al destinatario, non si è conformata al principio di diritto sopra richiamato.

Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2020


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 16-01-2020) 02-07-2020, n. 13625

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23179-2018 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO GARRONI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO CASELLI LAPESCHI;

– ricorrente –

contro

JUNGHEINRICH ITALIANA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 17, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RUFINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO MACCONE;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 1596/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/01/2018, R.G.N. 1564/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/01/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FILIPPO GARRONI per delega verbale avvocato ALBERTO CASELLI LAPESCHI;

udito l’Avvocato ALESSANDRO RUFINI.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 28 luglio 2018, la Corte d’Appello di Milano, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Pavia, ha dichiarato la legittimità del licenziamento, per giustificato motivo soggettivo, a P.S. dalla Jungheinrich Italiana s.r.l. con comunicazione del 14/10/2009, e, per l’effetto, ha condannato l’appellante società a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso nella misura contrattualmente dovuta oltre rivalutazione monetaria e interessi legali statuendo, altresì, che il P. provvedesse alla restituzione della somma versatagli in esecuzione della sentenza di primo grado.

In particolare, il giudice di secondo grado ha posto in risalto le plurime inadempienze e trascuratezze circa le modalità di redazione del piano finanziario, da redigersi presso il servizio di tesoreria, che la Corte ha ritenuto costituire una delle competenze attribuite al P. già a decorrere dal momento della sua assunzione presso la società pur essendo la stessa, sulla base di una formazione professionale progressiva, diventata mansione centrale solo in occasione della redazione del piano valevole per l’anno 2010.

1.1. Valutando le risultanze probatorie acquisite il Collegio ha, quindi, ritenuto che la base giustificativa del licenziamento non andasse rinvenuta nella giusta causa, bensì nel giustificato motivo soggettivo, non vertendosi nell’ambito di trasgressioni tali da incidere sul vincolo fiduciario in modo da imporre il licenziamento per giusta causa, bensì di fattispecie di inadempimento e neghittosità rilevanti sotto il profilo di una affidabile resa lavorativa, in quanto determinate da mancanza di diligenza e impegno professionale.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso P.S. affidandolo a quattro motivi.

2.1. Resiste, con controricorso, la Jungheinrich Italiana S.r.l.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione ed errata applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 220, commi 1 e 2 e art. 225 del CCNL Terziario Commercio del 18 luglio 2008 e della L. n. 300 del 1970 per aver posto a fondamento del licenziamento disciplinare il mancato o erroneo espletamento di una mansione che non era stata attribuita al lavoratore.

1.1. Sostiene, al riguardo, parte ricorrente che la redazione e revisione del piano finanziario aziendale ha costituito per il lavoratore, a decorrere dal mese di marzo 2009, una mansione nuova, la cui corretta esecuzione non può essere posta a base del licenziamento disciplinare.

2. Il motivo non può trovare accoglimento.

Va premesso, al riguardo, che, secondo l’insegnamento di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 13534 del 2019 nonchè, in terminis, Cass. n. 7838 del 2005 e Cass. n. 18247 del 2009), il modulo generico che identifica la struttura aperta delle disposizioni di limitato contenuto ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, richiede di essere specificato in via interpretativa, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo. La specificazione può avvenire mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva, come nel caso in esame, in cui si colloca la fattispecie. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro errata individuazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (ex plurimis, Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 6901 del 2016; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010).

Conseguentemente, non si sottrae al controllo di questa Corte il profilo della correttezza del metodo seguito nell’individuazione dei parametri integrativi, perchè, pur essendo necessario compiere opzioni di valore su regole o criteri etici o di costume o propri di discipline e/o di ambiti anche extragiuridici, “tali regole sono tuttavia recepite dalle norme giuridiche che, utilizzando concetti indeterminati, fanno appunto ad esse riferimento” (per tutte v. Cass. n. 434 del 1999), traducendosi in un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa (cfr. Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 5026 del 2004; Cass. n. 10058 del 2005; Cass. n. 8017 del 2006).

Nondimeno, va sottolineato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori.

Sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, opera l’accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento. Quindi occorre distinguere: è solo l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta” (in termini ancora Cass. n. 18247/2009 e n. 7838/2005 citate).

Questa Corte precisa, pertanto, che “spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (così, in motivazione, Cass. n. 15661 del 2001, nonchè la giurisprudenza ivi citata).

2.1. Tale distinzione operante per le clausole generali condiziona la verifica dell’errore di sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa, ascrivibile, per risalente tradizione giurisprudenziale (v. in proposito Cass. SS.UU. n. 5 del 2001), al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (di recente si segnala Cass. n. 13747 del 2018).

E’, infatti, solo l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge: l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta” (sul punto, fra le altre, Cass. n. 18247 del 2009 e n. 7838 del 2005).

3. Nel caso di specie appare evidente che la censura, veicolata per il tramite dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in realtà corre lungo i binari della censura fattuale in quanto mira ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad una inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado.

Parte ricorrente, infatti, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiede in realtà alla Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle conclusioni raggiunte con riguardo alla sussistenza della lamentata negligenza mentre le argomentazioni da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione di merito, inerente il contenuto dell’accertamento compiuto circa l’attività svolta e il conferimento ab origine dell’incarico di redazione del piano finanziario.

3.1. In particolare, deve ritenersi che la Corte d’appello abbia accertato, sulla base degli elementi probatori precedentemente raccolti, che la mansione di redazione del piano finanziario era stata affidata al P. sin dalla data di ingresso nel “servizio per il quale era stato selezionato” e ciò risultava confermato, secondo il Collegio, da diversi indici rivelatori ed in particolare: dalla circostanza che tale attività era stata descritta e individuata sin dalla ricerca per l’assunzione; dal fatto che tale attività era stata in precedenza di competenza di altro addetto alla tesoreria, il S., e solo temporaneamente affidata alla B., poi sostituita dal P.; dal periodo di diversi mesi in cui il P. stesso era stato affiancato dai colleghi per essere addestrato alla redazione del piano.

L’insieme di tali circostanze ha condotto il giudice di secondo grado a ritenere che la redazione del piano finanziario fosse stata affidata in via esclusiva al P. sin dal suo ingresso in Jungheinrich, accertamento, questo, eminentemente fattuale su cui nessuna diversa valutazione può essere effettuata in sede di legittimità non vertendosi nell’ambito della violazione di legge descritta nel motivo bensì, esclusivamente, in una diversa considerazione del materiale probatorio raccolto non ammessa in sede di ricorso per cassazione.

Nè può giungersi a diverse conclusioni in base al contenuto del mansionario richiamato da parte ricorrente atteso che trattasi esclusivamente di uno degli elementi da cui può arguirsi il conferimento dell’incarico, elemento che la Corte ha valutato unitamente agli altri non rivestendo lo stesso carattere assorbente ed anzi essendo reputato dalla Corte il riferimento ad esso come formalistico e non esauriente.

Va, quindi, rilevato che ci si trova di fronte ad una ricostruzione della vicenda storica effettuata dai giudici del merito cui esclusivamente compete e che è invece criticata da parte ricorrente ma il cui esito, non sconfinando in un risultato irragionevole, per i principi innanzi richiamati, si sottrae al sindacato di legittimità ed inoltre, non identificando quali siano i parametri integrativi del precetto normativo elastico che sarebbero stati violati dai giudici del merito, manca dell’individuazione di una incoerenza del loro giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale, così traducendosi in una censura generica e meramente contrappositiva rispetto al giudizio valutativo operato in sede di merito che ha ritenuto che la mancata adeguata redazione del piano finanziario si sia tradotta in un giustificato motivo soggettivo rilevante da legittimare il licenziamento del P. (sul punto si veda Cass. n. 13534/2019 cit.).

4. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e l’omessa motivazione circa la mancanza di diligenza e di impegno professionale del lavoratore alla luce della comunicazione del datore di lavoro del 07/09/2009 che individua la redazione del piano finanziario quale obiettivo rilevante ai fini della retribuzione variabile.

4.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

Giova sottolineare al riguardo, che, come ribadito anche di recente da questa Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 28887 del 2019) l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

D’altro canto, la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta a suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni – svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convincimento – con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere – secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 1997, n. 13045 e, fra le tante: Cass. 18 marzo 2013, n. 6710) – dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti. In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità (dall’art. 360 c.p.c., n. 5) – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

In particolare, nel caso di specie, la piana lettura del motivo di ricorso così come formulato, con il continuo richiamo alle dichiarazioni rese dai testi escussi, induce a vedere come prospettata una inammissibile diversa lettura delle risultanze istruttorie mentre la Corte, proprio sulla base di quelle risultanze, ha sì escluso la sussistenza di una giusta causa di licenziamento non rilevando trasgressioni incidenti sulla sfera di interessi integrante il vincolo fiduciario in modo tranchant, ma ha ritenuto la sussistenza del giustificato motivo soggettivo, avendo riscontrato un difetto di diligenza ed una incapacità rilevanti sotto il profilo di un’affidabile resa lavorativa, ritenendo provata, come già reputato in primo grado, la presenza di errori e gravi imperfezioni nel documento redatto dal ricorrente.

Va anzi rilevato che il Collegio si sofferma a lungo non solo sul rilievo dei sette mesi di affiancamento di cui il dipendente aveva goduto, ma, anche, sulle singole inesattezze riscontrate, afferenti l’incidenza degli interessi passivi con le banche, l’andamento dei rapporti di leasing, che avevano evidenziato gravi errori e connotati irrealistici nelle previsioni fondate sui dati trasmessi dagli uffici.

5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 220, comma 1 e art. 225 CCNL Terziario commercio per sproporzionalità ed inadeguatezza della sanzione comminata.

Va riaffermato al riguardo che, secondo questa Corte, spettano al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (in motivazione Cass. n. 15661 del 2001, nonchè la giurisprudenza ivi citata).

Nell’ambito delle clausole generali come la giusta causa, quindi, innanzitutto è indispensabile, così come in ogni altro caso di dedotta falsa applicazione di legge, che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta così come effettuata dai giudici di merito (tra le più recenti: Cass. n. 13534 del 2019 cit. e Cass. n. 6035 del 2018), altrimenti si trasmoderebbe nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza di detti giudici; dal momento, poi, che gli elementi da valutare ai fini dell’integrazione della giusta causa di recesso sono, per consolidata giurisprudenza, molteplici (gravità dei fatti addebitati, portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze in cui sono stati commessi, intensità dell’elemento intenzionale, etc.) occorre guardare, nel sindacato di legittimità, alla rilevanza dei singoli parametri ed al peso specifico attribuito a ciascuno di essi dal giudice del merito, onde verificarne il giudizio complessivo che ne è scaturito dalla loro combinazione e saggiarne la coerenza e la ragionevolezza della sussunzione nell’ambito della clausola generale.

Poichè si tratta di una decisione che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di sussunzione, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione dei parametri ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare che la combinazione e il peso dei dati fattuali, così come definito dal giudice del merito, consente comunque la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento (cfr. Cass. n. 18715/2016 cit.) o, per il caso che qui interessa, ai giustificato motivo soggettivo.

D’altra parte secondo quanto affermato dalle Sezioni unite, “il compito del controllo di legittimità può essere soltanto quello di verificare la ragionevolezza della sussunzione del fatto” (in termini, Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010; Cass. SS.UU. n. 1414 del 2004, n. 20024 del 2004, n. 19075 del 2012; per i notai: Cass. SS.UU. n. 4720 del 2012, n. 6967 del 2017) e, pertanto, va ribadito che la Corte non può, “sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati… se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza” e “il sindacato sulla ragionevolezza è quindi non relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione” (così Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010);

Orbene, nel caso di specie, la Corte, escludendo la sussistenza di una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario ai fini del licenziamento per giusta causa, ha, tuttavia, riscontrato una significativa incapacità e negligenza nello espletamento dell’attività lavorativa rilevante, così concludendo per la legittimità della sanzione espulsiva e tale valutazione, immune da vizi logici, non può essere censurata in sede di legittimità.

D’altro canto, non appare dirimente il riferimento all’inclusione della retribuzione corrisposta per la redazione del piano finanziario nell’ambito della retribuzione variabile poichè non può ritenersi discendere tout court da tale circostanza un rilievo relativo della mansione considerata tale da escludere la possibilità di licenziamento in caso di erroneo ed inadeguato svolgimento di essa.

In sostanza, parte ricorrente ribadisce che secondo il suo giudizio – che è solo quello personale della parte che vi ha interesse – il fatto addebitato non sarebbe idoneo a costituire giustificato motivo soggettivo, criticando l’apprezzamento diverso dei giudici d’appello in ordine alla proporzionalità della sanzione, il che tuttavia esula dal controllo di questa Corte (ex pluribus: Cass. n. 2289 del 2019; Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003), la quale in queste valutazioni “non può sostituirsi al giudice del merito”, come ammoniscono le sentenze delle Sezioni unite civili citate.

6. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e degli artt. 2049 e 2087 c.c. nel non aver configurato la Corte l’esistenza di un danno biologico subito dal lavoratore per effetto di condotte vessatorie operate da un superiore e tollerate dall’azienda pur circoscritte ad un periodo di tempo limitato.

6.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello muove, infatti, dalla stessa formulazione dei capitoli di prova proposti in sede di appello incidentale per escludere “in radice” il fenomeno del mobbing per assenza di condotte vessatorie sistematicamente orientate a causare offese di ordine professionale e/o rilevati sul piano psichico e morale.

Anche con riguardo a tale aspetto, il ricorrente invoca una diversa valutazione fattuale dell’accaduto ed in particolare critica le conclusioni circa l’assenza di sistematici comportamenti vessatori raggiunta dalla Corte che invece da congruamente conto del proprio iter motivazionale nell’affermare che pur potendo ravvisarsi “qualche aspra invettiva e offesa esternata dal F.” ha escluso la configurabilità di qualsivoglia ipotesi di mobbing trattandosi, al più, di “isolato e circoscritto dissidio sorto solo durante uno stato avanzato del rapporto di lavoro e, in ragione dei pochi elementi a disposizione, privo di apprezzabile continuità”.

Il dato di partenza da cui muove il ricorrente e, cioè, le “condotte vessatorie operate da un superiore” risulta escluso in punto di fatto dalla Corte e, pertanto, non ne può essere riesaminata la conclusione da questa Corte senza illegittimamente invadere il campo delle indagini fattuali precluso al giudice di legittimità.

7. Alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso va respinto.

7.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020


Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 26/02/2020) 08/07/2020, n. 14402

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36370-2018 proposto da:

ADER AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

FINANZIARIA INDUSTRIALE SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIRSO 26, presso lo studio dell’avvocato PIETRO BORIA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7441/9/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata il 04/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI RAFFAELE.

Svolgimento del processo
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una decisione della CTP di Avellino, che aveva accolto il ricorso della contribuente s.r.l. “FINANZIARIA INDUSTRIALE” avverso una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria del 2015.

Motivi della decisione
che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2, e art. 26, comma 2; dell’art. 27 del reg. comunitario n. 910 del 2014; della decisione della commissione CEE n. 1506 del 2015, del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5, nonchè del D.P.R. n. 68 del 2005, recante il regolamento per l’utilizzo della pec., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non era controverso che le cartelle sottese al preavviso impugnato fossero state notificate alla società contribuente via pec; secondo la CTR la notifica di dette cartelle sarebbe stata nulla in quanto il file contenente la cartella aveva un’estensione “pdf” anzicchè “p7m”, ritenendo che solo quest’ultima fosse in grado di garantire l’integrità del documento trasmesso, l’identificabilità del suo autore e la paternità dell’atto; al contrario, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento cartacea non comportava l’invalidità dell’atto, non essendo stata detta nullità espressamente sancita dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, ed essendo solo necessario che l’atto fosse inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo; e detti principi, elaborati con riferimento alle cartelle in formato cartaceo, valevano altresì per le cartelle in versione informatica; era poi errato ritenere che la cartella formato “pdf” (c.d. formato pades) non fosse equipollente al formato “p7m” (c.d. formato cades), avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che le firme digitali del tipo cades e del tipo pades fossero equivalenti, si da essere entrambe ammissibili;

che la contribuente si è costituita con controricorso ed ha altresì presentato memoria;

che l’unico motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è fondato;

che invero la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 10266 del 2018) ha escluso la sussistenza di un obbligo esclusivo di usare la firma digitale in formato CADES, in cui il file generato si presenta con l’estensione finale “p7m”, rispetto alla firma digitale in formato PADES, nel quale il file sottoscritto mantiene il comune aspetto “nomefile.pdf”, atteso che anche la busta crittografica generata con la firma PADES contiene pur sempre il documento, le evidenze informatiche ed i prescritti certificati, si che anche tale ultimo formato offre tutte le garanzie e consente di effettuare le opportune verifiche, anche con riferimento al diritto comunitario, non essendo ravvisabili elementi obiettivi, nella dottrina e nella prassi, tali da far ritenere che solo la firma in formato CADES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa vigente nel nostro paese certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento, sia pure con le differenti estensioni “p7m” e “pdf”;

che è pertanto da ritenere che le 11 cartelle di pagamento, costituenti il presupposto della comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria impugnata dalla società contribuente, siano state ad essa regolarmente notificate a mezzo pec;

che, pertanto, il ricorso in esame va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Campania, sezione staccato di Salerno in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 12-02-2020) 23-06-2020, n. 12307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6080/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

S.W., quale socio e ultimo legale rappresentante della cancellata Europa Distribuzione S.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n. 101/1/12, depositata il 16 luglio 2012.

Sentita la relazione svolta nella udienza camerale del 12 febbraio 2020 dal Cons. Bruschetta Ernestino Luigi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. che, con l’impugnata sentenza, la Regionale delle Marche, dopo aver dato conto della circostanza che la Provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso promosso dalla cancellata Europa Distribuzione S.r.l. avverso l’avviso di accertamento IVA IRPEG IRAP 2004, annullando i soli “rilievi 1 e 2” della ripresa; dopo aver accertato che l’avviso era stato notificato quando la Società contribuente era già stata cancellata dal registro delle imprese; in dispositivo, dopo aver respinto l’appello dell’ufficio, annullava in toto l’avviso perché, così era spiegato in motivazione, lo stesso era stato “notificato a soggetto inesistente”; e, per l’effetto, condannava l’amministrazione al rimborso delle spese a favore della cancellata Società contribuente;
  2. che l’ufficio ricorreva per un unico motivo, peraltro, nei confronti del solo S.W., quale ex socio e ultimo legale rappresentante della cancellata Società contribuente; esponendo, l’ufficio, che il Santilli si era così qualificato sin dall’originario ricorso;
  3. che il Santilli, pur intimato, non presentava difese;
  4. che l’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dopo aver osservato che l’appello, essendo stato notificato ad una Società cancellata, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile “per erronea vocatio in ius”, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 56 e dell’art. 2909 c.c., rimproverava alla Regionale di aver erroneamente annullato in toto l’avviso, senza cioè tenere in considerazione il giudicato formatosi a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui, quest’ultima, aveva rigettato il ricorso relativamente agli altri rilievi;
  5. che la sentenza deve essere cassata senza rinvio, atteso che, come sopra ricordato, l’avviso è stato notificato quando la Società contribuente era già stata cancellata; questo, sulla scorta del consolidato principio, per cui: “Nel processo tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto sia della capacità processuale della stessa sia della legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché, non sussistendo alcuna possibilità di prosecuzione dell’azione, la decisione impugnata mediante ricorso per cassazione deve essere annullata senza rinvio ex art. 382 c.p.c.” (Cass. sez. trib. n. 33278 del 2018; Cass. sez. trib. n. 5736 del 2016);
  6. che, in mancanza di avversaria costituzione, non deve farsi luogo ad alcun regolamento di spese processuali.

P.Q.M.

La Corte cassa, senza rinvio, l’impugnata sentenza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020


Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., (ud. 10-01-2020) 22-06-2020, n. 12052

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2788-2019 proposto da:
O.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 51, presso lo studio dell’avvocato VALERIO SANTAGATA, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE MIRAGLIA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 2097/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 03/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Paola Vella.
Svolgimento del processo
che:
1. La Corte d’appello di Bologna ha dichiarato inammissibile l’appello del cittadino nigeriano O.J. contro il diniego della protezione internazionale, sussidiaria o umanitaria, perché proposto con ricorso notificato con modalità telematiche D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16, comma 3, oltre le ore 21,00 dell’ultimo giorno utile e quindi perfezionatosi, tardivamente, il giorno successivo;
2. il ricorrente ha proposto un motivo di ricorso per cassazione e il Ministero intimato si è costituito senza però svolgere difese;
3. a seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.
Motivi della decisione
che:
4. Il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 147 c.p.c., e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies, in relazione agli artt. 3, 24, 111 Cost., nonché Cedu, art. 6, per non avere la corte territoriale dato alla normativa suddetta un’interpretazione costituzionalmente orientata, tale da consentire al notificante il diritto di sfruttare interamente (sino alle ore 24) l’ultimo giorno utile per la notifica, essendo il limite delle ore 21 destinato solo a tutelare il riposo del destinatario della notifica;
5. il ricorso è fondato, avendo il Giudice delle Leggi dichiarato “l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-septies, (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dal D.L. n. 90 del 2014, art. 45 bis, comma 2, lett. b), (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella L. n. 114 del 2014, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta”, osservando che “il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 risulta, invero, introdotto allo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne, cioè, il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica. Ciò giustifica la fictio iuris, contenuta nella seconda parte della norma, per cui il perfezionamento della notifica è differito, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo, ma non giustifica la corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, al quale – senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta – viene, invece, impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa: termine che l’art. 155 c.p.c., computa a giorni e che, nel caso di impugnazione, scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno” (Corte Cost. sent. n. 75 del 9 aprile 2019);
6. la sentenza va quindi cassata con rinvio senza statuizione sulle spese, in assenza di difese del Ministero costituito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 30-01-2020) 24-06-2020, n. 12470

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4024-2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, ed Agenzia delle entrate – Riscossione, in persona del Presidente pro tempore, rappresentate e difese dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale sono domiciliate in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrenti –

contro

F.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5887/09/2018 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, Sezione staccata di SALERNO, depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Svolgimento del processo
che:

1. In controversia relativa ad impugnazione degli estratti di ruolo relativi a tre cartelle di pagamento notificate a F.P., l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate Riscossione ricorrono per cassazione, sulla base di un unico motivo, nei confronti del predetto contribuente, che resta intimato, avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, accoglieva l’appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, rilevando l’irregolarità della notifica delle cartelle di pagamento in quanto effettuate direttamente a mezzo posta a persona diversa del destinatario senza il successivo invio della raccomandata informativa.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Motivi della decisione
che:

1. Con il motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e dell’art. 139 c.p.c.. Sostiene la difesa erariale che la CTR era incorsa nella violazione della disposizione censurata per avere ritenuto necessario, ai fini del completamento della procedura notificatoria, nell’ipotesi – come quella in esame – di consegna della raccomandata postale contenete le cartelle di pagamento a famigliare convivente del destinatario, l’invio della raccomandata informativa.

2. Il motivo è manifestamente fondato.

3. Nella specie è incontroverso che l’agente della riscossione ha provveduto alla notifica diretta a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973 ex art. 26, delle cartelle di pagamento emesse sulla base dei ruoli oggetto di impugnazione.

4. Ciò precisato in punto di fatto, deve osservarsi in diritto che questa Corte è ferma nel ritenere che “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28872 del 12/11/2018, Rv. 651834 – 01; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10037 del 10/04/2019, Rv. 653680 – 01, secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, mediante invio diretto della raccomandata con avviso di ricevimento da parte del concessionario, non è necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario, peraltro con esclusione della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 883, in quanto privo di efficacia retroattiva, e non quelle della L. n. 890 del 1982”).

5. In questa direzione, del resto, depone proprio il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, che consente agli ufficiali della riscossione di provvedere alla notifica della cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, precisando che in caso di notifica “nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda” (comma 2) o al “portiere dello stabile dov’è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda” del destinatario, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da tali soggetti, prevedendo lo stesso art. 26, il rinvio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, unicamente per quanto non regolato nello stesso articolo (cfr. Cass. n. 14196/2014, Cass. ord. n. 3254/16, Cass. n. 802 del 2018; conf. Cass. n. 12083 del 2016 e n. 29022 del 2017).

6. E d’altro canto, come affermato da Cass. n. 28872 del 12/11/2018, sopra citata, la Corte costituzionale, occupandosi della questione ha dichiarato, con la sentenza n. 175 del 2018, la conformità a Costituzione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, rilevando che “la semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c. e alla L. n. 890 del 1982, art. 3” e nella “mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica (cosiddetta CAN)”, “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1” ha precisato il Giudice delle leggi che, seppure non sia prevista la relata di notifica, nella notificazione “diretta” ai sensi del citato art. 26 “c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario legittimato a riceverlo”. Inoltre, la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica (ma solo nel caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere), “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”.

7. Conclusivamente, con riferimento al caso concreto, in cui le cartelle di pagamento notificate per posta ordinaria risultano essere state consegnate a persone di famiglia, va ribadito che non sussisteva alcun obbligo per l’agente postale di procedere all’invio della raccomandata informativa al destinatario dell’atto. Pertanto, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR per ulteriore esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020


Corte cost., Sent., (ud. 19-03-2019) 09-04-2019, n. 75

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
Svolgimento del processo
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16-septies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114, promosso dalla Corte di appello di Milano, nel procedimento vertente tra la Società agricola “In Carrobbio” e il B.B. spa, con ordinanza del 16 ottobre 2017, iscritta al n. 15 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di costituzione del B.B. spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 marzo 2019 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
udito l’avvocato Cristina Biglia per il B.B. spa e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.- Nel corso di un giudizio civile di secondo grado – nel quale la società appellata aveva preliminarmente eccepito l’inammissibilità del gravame in quanto notificato a mezzo posta elettronica certificata (PEC), l’ultimo giorno utile, con messaggio inviatole alle ore 21:04 (con ricevute di accettazione e di consegna generate, rispettivamente, alle ore 21:05:29 e alle ore 21:05:32), in fascia oraria quindi (successiva alle ore 21) implicante il perfezionamento della notificazione “alle ore 7 del giorno successivo” (data in cui l’impugnazione risultava, appunto, tardiva) – l’adita Corte di appello di Milano, sezione prima civile, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-septies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114, a norma del quale “la disposizione dell’articolo 147 del codice di procedura civile si applichi anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”.
Secondo la rimettente, la disposizione denunciata – della quale non sarebbe, a suo avviso, possibile (senza implicarne la sostanziale abrogazione) una interpretazione costituzionalmente adeguata – violerebbe, appunto, l’art. 3 Cost., sotto il profilo, sia del principio di eguaglianza, sia di quello della ragionevolezza, poiché la prevista equiparazione del “domicilio fisico” al “domicilio digitale” comporterebbe l’ingiustificato eguale trattamento di situazioni differenti – le notifiche “cartacee” e quelle “telematiche” – considerato anche che, per queste ultime, in linea di principio, non verrebbe in rilievo (come per le prime) l’esigenza di evitare “”utilizzi lesivi” del diritto costituzionalmente garantito all’inviolabilità del domicilio” o dell’”interesse al riposo e alla tranquillità”.
La disposizione stessa si porrebbe, altresì, in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., in quanto, nel caso di notifica effettuata a mezzo PEC, la previsione di un limite irragionevole alle notifiche, l’ultimo giorno utile per proporre appello, comporterebbe una grave limitazione del diritto di difesa del notificante giacché, “trovandosi a notificare l’ultimo giorno utile (ex art. 325 cod. proc. civ.) è costretto a farlo entro i limiti di cui all’art. 147 c.p.c., senza poter sfruttare appieno il termine giornaliero (lo stesso art. 135 recte: 155 c.p.c. fa riferimento a “giorni”) che dovrebbe essergli riconosciuto per intero”.
2.- In questo giudizio si è costituita, ed ha poi anche depositato memoria integrativa, la società che resiste all’appello nel giudizio a quo.
Detta società ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione, sia per “genericità ed indeterminatezza del petitum” (non essendone specificato il verso caducatorio o manipolativo), sia per erroneità del presupposto interpretativo (avrebbe errato la Corte rimettente “nel ritenere rilevante il principio di scissione soggettiva degli effetti della notifica via p.e.c., venendo invece in rilievo, per l’applicazione dell’art. 16-septies, il diverso principio del perfezionamento del procedimento notificatorio”).
In subordine, ha contestato, nel merito, la fondatezza della questione, sostenendo, tra l’altro, che l’interesse tutelato dalla norma sia quello del destinatario e non quello del mittente, per cui, ove si ritenesse perfezionata una notifica “eseguita” dopo le ore 21, l’interesse di quest’ultimo non sarebbe “meritevole di tutela”, giacché è il mittente “in prima persona responsabile della violazione dell’orario franco”, avendo “creato il presupposto tale per cui la notifica slitti necessariamente al giorno seguente”.
3.- È pure intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, per la non fondatezza della sollevata questione.
Secondo l’Avvocatura, la norma denunciata potrebbe essere, infatti diversamente interpretata, senza che se ne ponga un problema di “sostanziale abrogazione”, non essendovi neppure ostacolo nella sua formulazione letterale. Essa, infatti, non indicherebbe il soggetto rispetto al quale la notificazione “si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”, così consentendo una lettura coerente con il principio della scissione del momento perfezionativo, che anche per le notifiche telematiche è stato previsto dall’art. 3-bis, comma 3, della L. 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali), essendo quindi possibile ritenere che “gli effetti del differimento al giorno dopo operino per il destinatario, ma non per il notificante”. E da ciò, dunque, l’inammissibilità della questione “per non essere stata tentata una interpretazione della normativa costituzionalmente orientata”, ovvero la sua non fondatezza alla luce di una tale esegesi costituzionalmente adeguata.
Motivi della decisione
1.- Con l’ordinanza di cui si è detto nel Ritenuto in fatto, la Corte di appello di Milano, sezione prima civile – al fine del decidere sulla eccezione di tardività di un gravame innanzi a sé proposto con atto notificato per via telematica dopo le ore 21 ed entro le ore 24 dell’ultimo giorno utile (con ricevute di accettazione e di consegna generate, rispettivamente, alle ore 21:05:29 e alle ore 21:05:32) – ha ritenuto, di conseguenza, rilevante ed ha perciò sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-septies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114, il quale prevede che “la disposizione dell’articolo 147 del codice di procedura civile secondo cui “Le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21″ si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”.
Secondo la rimettente, la disposizione denunciata irragionevolmente considererebbe “uguali e, quindi, meritevoli di essere disciplinate allo stesso modo” due situazioni diverse, quali il domicilio “fisico” e il domicilio “digitale”.
E ciò nonostante che, “per le sue intrinseche caratteristiche, l’indirizzo email cui l’avvocato della parte appellata riceve la posta elettronica certificata non sia suscettibile degli stessi “utilizzi lesivi” del diritto costituzionalmente garantito all’inviolabilità del domicilio o all’interesse al riposo e alla tranquillità, di cui è invece suscettibile il domicilio “fisico” della parte”.
Per di più senza considerare che “quand’anche si ammettesse che colui che riceve una posta elettronica venga leso nel suo diritto al riposo, la semplice estensione del limite d’orario previsto dall’art. 147 c.p.c. alle notifiche a mezzo PEC non bloccherebbe l’inevitabile ricezione dell’email da parte del destinatario con il disturbo che ne consegue”, poiché “la PEC, una volta giunta al server dell’appellato, non può essere rifiutata e, quindi, la ricezione dell’email può effettivamente avvenire in ogni momento, ad ogni ora del giorno e della notte, con il sostanziale raggiungimento del domicilio digitale del destinatario anche oltre il formale limite codicistico”, non sussistendo un esplicito divieto normativo di notifica a mezzo PEC dopo le ore 21 e prima delle ore 7.
Dal che, appunto, la violazione del principio di uguaglianza e del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.
Del pari violati, dalla disposizione in esame, sarebbero gli artt. 24 e 111 Cost., per il vulnus, che ne deriverebbe, al diritto di difesa del notificante. Il quale, “infatti, trovandosi a notificare l’ultimo giorno utile (ex art. 325 c.p.c.) è costretto a farlo entro i limiti di cui all’art. 147 c.p.c., senza poter sfruttare appieno il termine giornaliero (lo stesso art. 135 recte: 155 c.p.c. fa riferimento a “giorni”) che dovrebbe essergli riconosciuto per intero”.
2.- È preliminare l’esame delle eccezioni di inammissibilità della questione – a) per “genericità e indeterminatezza del petitum”; b) per suo “erroneo presupposto interpretativo”; c) “per non essere stata tentata una interpretazione della normativa costituzionalmente orientata” − formulate, rispettivamente, le prime due, dalla parte costituita e, la terza, dall’Avvocatura generale dello Stato.
2.1.- Nessuna di tali eccezioni è suscettibile di accoglimento.
Ed invero:
a) letta nella sua interezza, e secondo l’argomentata prospettazione del Collegio a quo, l’ordinanza di rimessione auspica – in modo chiaro ed univoco – una decisione, a rima obbligata, che riconosca al mittente che proceda alla notifica con modalità telematiche l’ultimo giorno utile, “per intero il termine a sua disposizione, fino alla mezzanotte del giorno stesso”;
b) l’asserita erroneità del presupposto interpretativo attiene propriamente al merito e resta quindi estraneo al profilo della ammissibilità della questione;
c) la Corte milanese non ha omesso di verificare la possibilità di una interpretazione adeguatrice (nel senso della scissione soggettiva degli effetti della notificazione), ma l’ha poi ritenuta impraticabile per l’ostacolo, a suo avviso non superabile, ravvisato nella lettera della legge. E ciò anche alla luce della interpretazione del citato art. 16-septies accolta dal giudice della nomofilachia, e consolidatasi in termini di diritto vivente, nel senso che la notifica con modalità telematiche richiesta con il rilascio della ricevuta di accettazione dopo le ore 21 si perfeziona alle ore 7 del giorno successivo, “secondo la chiara disposizione normativa, intesa a tutelare il diritto di difesa del destinatario della notifica senza condizionare irragionevolmente quello del mittente” (così Corte di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 31 luglio 2018, n. 20198; nello stesso senso, ex multis, sezione sesta civile – sottosezione L, ordinanza 9 gennaio 2019, n. 393; sezione lavoro, sentenza 30 agosto 2018, n. 21445; sezione terza civile, sentenza 21 settembre 2017, n. 21915; sezione lavoro, sentenza 4 maggio 2016, n. 8886). E, secondo quanto più volte affermato da questa Corte, in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice a quo – se pure è libero di non uniformarvisi e di proporre una diversa esegesi del dato normativo, essendo la “vivenza” di una norma una vicenda per definizione aperta, ancor più quando si tratti di adeguarne il significato a precetti costituzionali – ha alternativamente, comunque, la facoltà di assumere l’interpretazione censurata in termini di “diritto vivente” e di richiederne, su tale presupposto, il controllo di compatibilità con i parametri costituzionali (sentenze n. 39 del 2018, n. 259 e n. 122 del 2017, n. 200 del 2016 e n. 11 del 2015).
3.- Nel merito la questione è fondata.
Il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 risulta, infatti, introdotto (attraverso il richiamo dell’art. 147 cod. proc. civ.), nella prima parte del censurato art. 16-septies del D.L. n. 179 del 2012, allo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne, cioè, il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe stato, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica.
Ciò appunto giustifica la fictio iuris, contenuta nella seconda parte della norma in esame, per cui il perfezionamento della notifica – effettuabile dal mittente fino alle ore 24 (senza che il sistema telematico possa rifiutarne l’accettazione e la consegna) – è differito, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo. Ma non anche giustifica la corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, al quale – senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta – viene invece impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa: termine che l’art. 155 cod. proc. civ. computa “a giorni” e che, nel caso di impugnazione, scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno (in questa prospettiva, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 31 agosto 2015, n. 17313; sezione lavoro, ordinanza 30 agosto 2017, n. 20590).
La norma denunciata è, per di più, intrinsecamente irrazionale, là dove viene ad inibire il presupposto che ne conforma indefettibilmente l’applicazione, ossia il sistema tecnologico telematico, che si caratterizza per la sua diversità dal sistema tradizionale di notificazione, posto che quest’ultimo si basa su un meccanismo comunque legato “all’apertura degli uffici”, da cui prescinde del tutto invece la notificazione con modalità telematica.
Una differenza, questa, che del resto lo stesso legislatore ha chiaramente colto in modo significativo nel confinante ambito della disciplina del deposito telematico degli atti processuali di parte, là dove, proprio in riferimento alla tempestività del termine di deposito telematico, il comma 7 dell’art. 16-bis del D.L. n. 179 del 2012, inserito dall’art. 51 del D.L. n. 90 del 2014, ha previsto che il “deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile”.
Anche in tale prospettiva trova dunque conferma l’irragionevole vulnus che l’art. 16-septies, nella portata ad esso ascritta dal “diritto vivente”, reca al pieno esercizio del diritto di difesa – segnatamente, nella fruizione completa dei termini per l’esercizio dell’azione in giudizio, anche nella sua essenziale declinazione di diritto ad impugnare, che è contenuto indefettibile di una tutela giurisdizionale effettiva -, venendo a recidere quell’affidamento che il notificante ripone nelle potenzialità tutte del sistema tecnologico (che lo stesso legislatore ha ingenerato immettendo tale sistema nel circuito del processo), il dispiegamento delle quali, secondo l’intrinseco modus operandi del sistema medesimo, avrebbe invece consentito di tutelare, senza pregiudizio del destinatario della notificazione.
3.1.- L’applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione (sentenze n. 106 del 2011, n. 3 del 2010, n. 318 e n. 225 del 2009, n. 107 e n. 24 del 2004, n. 477 del 2002; ordinanze n. 154 del 2005, n. 132 e n. 97 del 2004) anche alla notifica effettuata con modalità telematiche – regola, del resto, recepita espressamente dall’art. 3-bis, comma 3, della L. 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali) − consente la reductio ad legitimitatem della norma censurata.
L’art. 16-septies del D.L. n. 179 del 2012 va pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16-septies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2019.

Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2019.


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 05-11-2019) 12-06-2020, n. 11311

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 25433/2016 proposto da:

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.P.A., Direzione Regionale Lazio, società con socio unico soggetta ad attività di direzione e coordinamento di Equitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, via XXIV maggio 43, presso lo studio dell’avv. Paolo Puri, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1641/4/16 della CTR di Roma, depositata il 31/03/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2019 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI GIACALONE, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per la parte ricorrente l’Avv. MARIA CLAUDIA SPONTI per delega dell’avv. PAOLO PURI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1641/4/16, depositata il 31 marzo 2016, la CTR del Lazio, riformando la decisione di primo grado, in una causa avente ad oggetto il ricorso avverso l’intimazione di pagamento n. (OMISSIS), riferita alla cartella di pagamento n. (OMISSIS), limitatamente alla statuizione relativa alla tassa smaltimento rifiuti e al tributo provinciale 2008, ha accolto il ricorso originariamente proposto dalla contribuente.

In particolare, la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella di pagamento, eseguita a mezzo posta a mani del portiere dello stabile, senza il successivo invio della raccomandata informativa.

Avverso tale sentenza l’Equitalia Servizi di riscossione s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di impugnazione.

Nessuna attività difensiva è stata svolta in questa sede dalla società regolarmente intimata.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, nella parte in cui la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella di pagamento, effettuata a mezzo posta, mediante la consegna dell’atto al portiere dello stabile, quale soggetto abilitato al ritiro, perchè non seguita dall’invio della raccomandata informativa alla contribuente.

2. Il motivo è fondato e deve pertanto essere accolto.

Non risulta controverso, in fatto, che la cartella di pagamento sia stata spedita alla contribuente direttamente dall’agente di riscossione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, ricevuta e sottoscritta dal portiere in data 14 maggio 2009, senza che poi sia stata inviata alcuna raccomandata informativa alla destinataria dell’atto.

Si deve, in proposito, tenere presente che del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che “La cartella è notificata dagli ufficiali di riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2, o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

Come più volte affermato da questa Corte, la notifica della cartella di pagamento, eseguita ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, costituisce una modalità di notifica alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione. Essa si perfeziona alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza che sia necessario redigere un’apposita relazione di notificazione, nè inviare alcuna raccomandata informativa al destinatario, trovando applicazione le norme del regolamento postale relative agli invii raccomandati e non quelle relative alla notifica a mezzo posta di cui alla L. n. 890 del 1982, (v., tra le tante, Cass., Sez. 6-5 civ., n. 10037 del 10/04/2019; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 29710 del 19/11/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 28872 del 12/11/2018; Cass., Sez. L, n. 19270 del 19/07/2018; Cass., Sez. 5, n. 8293 del 04/04/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 12083 del 13/06/2016).

Tale soluzione interpretativa ha superato il vaglio della Corte costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 175 del 23/07/2018), la quale ha ritenuto che tale forma “semplificata” di notificazione trova giustificazione nell’accentuato ruolo pubblicistico dell’agente per la riscossione, volto ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.

Secondo la Corte costituzionale, i rilevati scostamenti della disposizione in esame rispetto al regime ordinario della notificazione a mezzo posta, considerati nel loro complesso, segnano sì un arretramento del diritto di difesa del destinatario dell’atto, ma soddisfano il requisito dell’effettiva possibilità di conoscenza dell’atto, che costituisce il limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore in materia. La medesima Corte ha aggiunto che lo scarto tra conoscenza legale e conoscenza effettiva, in concreto verificabile, è suscettibile di essere comunque riequilibrato mediante il ricorso alla rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c., che può essere richiesta da colui che assuma di non avere avuto, in concreto, conoscenza dell’atto, per causa a lui non imputabile, dimostrando, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di tale situazione.

La sentenza in questa sede impugnata ha, dunque, errato nel ritenere applicabile la disciplina prevista per la notificazione a mezzo posta dalla L. n. 80 del 1982, art. 7, (nel testo vigente ratione temporis, adattato, per le notifiche degli atti ai contribuenti, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60), posto che, nella specie, il concessionario ha fatto ricorso a tutta un’altra modalità di notificazione, quella “semplificata” di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, la quale, in applicazione della disposizione appena richiamata, deve ritenersi ritualmente perfezionata nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal portiere.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, nella parte in cui la CTR ha affermato l’intervenuta decadenza della pretesa impositiva, annullando l’intimazione di pagamento, mentre invece avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della relativa censura.

4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo, tenuto conto delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, che viene in questa sede cassata.

5. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, nè risultano ulteriori profili controversi rilevanti ai fini della decisione, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c..

6. Come sopra evidenziato, la notificazione della cartella di pagamento deve ritenersi ritualmente effettuata, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento da parte del portiere in data 14 maggio 2009.

E’ incontestato che tale cartella non sia stata tempestivamente impugnata. L’intimata ha semplicemente fatto valere la ritenuta invalidità della stessa con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, notificata circa due anni dopo (v. ricorso per cassazione), senza chiedere di essere rimessa in termini (v. la statuizione della Corte costituzionale supra riportata).

L’accertata regolarità della notificazione della cartella di pagamento, non tempestivamente impugnata, rende pertanto incontestabile la pretesa tributaria in essa portata (v. da ultimo Cass., Sez. 5 civ., n. 19010 del 16/07/2019).

Nè può ritenersi che tra la data della notificazione della cartella di pagamento e la data di notificazione della intimazione di pagamento, effettuata circa due anni dopo, sia maturata alcuna decadenza, che dagli atti non risulta neppure specificamente prospettata.

Il ricorso proposto in primo grado dalla SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L. deve pertanto essere rigettato.

7. Ai fini della statuizione sulle spese, si deve precisare che la materia del contendere è in questa sede limitata al credito relativo alla tassa smaltimento rifiuti e al tributo provinciale per l’anno 2008, portati nella cartella di pagamento sopra descritta, essendo stato dichiarato già in primo grado il difetto di giurisdizione del giudice tributario in relazione ai crediti derivanti dal mancato versamento dei contributi previdenziali, portati nella stessa cartella, con una pronuncia sul punto passata in giudicato.

8. Le spese dei due gradi di merito devono essere compensate, tenuto conto della peculiarità della vicenda e del consolidarsi della giurisprudenza solo dopo che il contenzioso è insorto, anche a seguito della pronuncia della Corte costituzionale supra richiamata.

Nel presente giudizio di legittimità, le spese, liquidate in dispositivo, seguono invece la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo a carico dell’intimata.

P.Q.M.
la Corte:

– accoglie il primo motivo di ricorso e, dichiarato assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata;

– decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dalla SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L.;

– compensa tra le parti le spese dei due gradi di merito;

– condanna la SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020


Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 05-11-2019) 09-06-2020, n. 10954

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 25432/2016 proposto da:

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.P.A., Direzione Regionale Lazio, società con socio unico soggetta ad attività di direzione e coordinamento di Equitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, via XXIV maggio 43, presso lo studio dell’avv. Paolo Puri, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1640/4/16 della CTR del Lazio, depositata il 31/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2019 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale GIOVANNI GIACALONE, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per la parte ricorrente l’Avv. MARIA CLAUDIA SPONTI per delega dell’avv. PAOLO PURI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1640/4/16, depositata il 31 marzo 2016, la CTR del Lazio, riformando la decisione di primo grado, in una causa avente ad oggetto il ricorso avverso l’intimazione di pagamento n. 0972011909616828, riferita alla cartella n. (OMISSIS), limitatamente alla statuizione relativa all’imposta di pubblicità dovuta per l’anno 2006, ha accolto il ricorso originariamente proposto dalla contribuente.

In particolare, la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella di pagamento, eseguita a mezzo posta a mani del portiere dello stabile, senza il successivo invio dalla raccomandata informativa.

Avverso tale sentenza l’Equitalia Servizi di riscossione s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di impugnazione.

Nessuna attività difensiva è stata svolta in questa sede dalla società regolarmente intimata.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, nella parte in cui la CTR ha ritenuto invalida la notifica della cartella di pagamento, effettuata a mezzo posta, mediante la consegna dell’atto al portiere dello stabile, quale soggetto abilitato al ritiro, perchè non seguita dall’invio della raccomandata informativa alla contribuente.

2. Il motivo è fondato.

Non risulta controverso, in fatto, che la cartella di pagamento sia stata spedita alla contribuente direttamente dall’agente di riscossione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, ricevuta e sottoscritta dal portiere in data 4 giugno 2010, senza che poi sia stata inviata alcuna raccomandata informativa alla destinataria dell’atto.

Si deve, in proposito, tenere presente che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che “La cartella è notificata dagli ufficiali di riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2 o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

Come più volte affermato da questa Corte, la notifica della cartella di pagamento, eseguita ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, costituisce una modalità di notifica alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione. Essa si perfeziona alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza che sia necessario redigere un’apposita relazione di notificazione, nè inviare alcuna raccomandata informativa al destinatario, trovando applicazione le norme del regolamento postale relative agli invii raccomandati e non quelle relative alla notifica a mezzo posta di cui alla L. n. 890 del 1982 (v., tra le tante, Cass., Sez. 6-5 civ., n. 10037 del 10/04/2019; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 29710 del 19/11/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 28872 del 12/11/2018; Cass., Sez. L, n. 19270 del 19/07/2018; Cass., Sez. 5, n. 8293 del 04/04/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 12083 del 13/06/2016).

Tale soluzione interpretativa ha superato il vaglio della Corte costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 175 del 23/07/2018), la quale ha ritenuto che tale forma “semplificata” di notificazione trova giustificazione nell’accentuato ruolo pubblicistico dell’agente per la riscossione, volto ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.

Secondo la Corte costituzionale, i rilevati scostamenti della disposizione in esame rispetto al regime ordinario della notificazione a mezzo posta, considerati nel loro complesso, segnano sì un arretramento del diritto di difesa del destinatario dell’atto, ma soddisfano il requisito dell’effettiva possibilità di conoscenza dell’atto, che costituisce il limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore in materia. La medesima Corte ha aggiunto che lo scarto tra conoscenza legale e conoscenza effettiva, in concreto verificabile, è suscettibile di essere comunque riequilibrato mediante il ricorso alla rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c., che può essere richiesta da colui che assuma di non avere avuto, in concreto, conoscenza dell’atto, per causa a lui non imputabile, dimostrando, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, la sussistenza di tale situazione.

La sentenza in questa sede impugnata ha, dunque, errato nel ritenere applicabile la disciplina prevista per la notificazione a mezzo posta dalla L. n. 80 del 1982, art. 7 (nel testo vigente ratione temporis, adattato, per le notifiche degli atti ai contribuenti, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60), posto che, nella specie, il concessionario ha fatto ricorso a tutta un’altra modalità di notificazione, quella “semplificata” di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, la quale, in applicazione della disposizione appena richiamata, deve ritenersi ritualmente perfezionata nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal portiere.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, nella parte in cui la CTR ha erroneamente affermato l’intervenuta decadenza della pretesa impositiva, annullando l’intimazione di pagamento, mentre invece avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della relativa censura.

4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo, tenuto conto delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, che viene in questa sede cassata.

5. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, nè risultano altri profili controversi rilevanti ai fini della decisione, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c..

6. Come sopra evidenziato, la notificazione della cartella di pagamento deve ritenersi ritualmente effettuata, ai sensi D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante la sottoscrizione dell’avviso di ricevimento da parte del portiere in data 4 giugno 2010.

E’ incontestato che tale cartella non sia stata tempestivamente impugnata. L’intimata ha semplicemente fatto valere la ritenuta invalidità della stessa con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, notificata più di un anno dopo (v. ricorso per cassazione), senza chiedere di essere rimessa in termini (v. la statuizione della Corte costituzionale supra riportata).

L’accertata regolarità della notificazione della cartella di pagamento, non tempestivamente impugnata, rende pertanto incontestabile la pretesa tributaria in essa portata (v. da ultimo Cass., Sez. 5 civ., n. 19010 del 16/07/2019).

Nè può ritenersi che tra la data della notificazione della cartella di pagamento e la data di notificazione della intimazione di pagamento, effettuata circa un anno dopo, sia maturata alcuna decadenza, che dagli atti non risulta neppure specificamente prospettata.

Il ricorso proposto in primo grado dalla SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L. deve pertanto essere rigettato.

7. Ai fini della statuizione sulle spese, si deve precisare che la materia del contendere è limitata al credito relativo all’imposta di pubblicità per l’anno 2006, portato nella cartella di pagamento sopra descritta, essendo stato dichiarato già in primo grado il difetto di giurisdizione del giudice tributario, in relazione ai crediti derivanti dal mancato versamento dei contributi previdenziali, portati nella stessa cartella, con una pronuncia sul punto passata in giudicato.

8. Le spese dei due gradi di merito devono essere compensate, tenuto conto della peculiarità della vicenda e del consolidarsi della giurisprudenza solo dopo che il contenzioso è insorto, anche a seguito della pronuncia della Corte costituzionale supra richiamata.

Nel presente giudizio di legittimità, le spese, liquidate in dispositivo, seguono invece la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo a carico dell’intimata.

P.Q.M.
la Corte:

– accoglie il primo motivo di ricorso e, dichiarato assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata;

– decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dalla SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L.;

– compensa tra le parti le spese dei due gradi di merito;

– condanna la SIX STARS HOTEL INTERNATIONAL S.R.L. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.700,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020


Cass. civ. Sez. VI – Lavoro, Ord., (ud. 04-12-2019) 04-06-2020, n. 10585

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24229-2018 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 23/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 29/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO CARLA.

Svolgimento del processo
Che:

1. con sentenza n. 23 pubblicata il 29.1.2018 la Corte d’appello di Genova ha respinto l’appello di G.R., confermando la pronuncia di primo grado, di rigetto della domanda proposta dal predetto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate Riscossioni per la declaratoria di nullità, annullabilità o inefficacia dell’iscrizione ipotecaria su alcuni immobili di sua proprietà, a seguito del mancato pagamento di cartelle aventi ad oggetto crediti di natura tributaria e previdenziale;

2. la Corte territoriale ha ritenuto legittima la notifica della comunicazione di iscrizione ipotecaria a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento inviata direttamente dall’agente di riscossione e di conseguenza irrilevante la mancanza della relata di notifica; parimenti legittima ha giudicato la notifica degli avvisi d’addebito da parte dell’Inps con le medesime modalità;

3. ha escluso la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, rilevando che le cartelle, quali atti prodromici su cui si fonda l’iscrizione ipotecaria, erano specificamente richiamate nella comunicazione opposta, senza che vi fosse necessità di allegazione delle stesse; ha rilevato come non fosse stata contestata la rituale notifica delle cartelle e degli avvisi di addebito, di cui il G. aveva quindi materiale disponibilità, sicchè nessuna violazione del diritto di difesa era ipotizzabile;

4. la Corte di merito ha ritenuto inammissibile la censura sulla mancata indicazione nelle cartelle di pagamento del dettaglio di calcolo degli interessi addebitati ed ha rilevato che, decorso il termine perentorio di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, fosse preclusa la contestazione della pretesa contributiva e dei relativi accessori;

5. ha affermato che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, nel testo applicabile ratione temporis, non precludesse l’iscrizione ipotecaria per un credito complessivo inferiore a 120.000,00 Euro, ma unicamente l’espropriazione immobiliare; ha escluso la violazione del limite (pari a 20.000,00 Euro) fissato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, comma 1-bis sul rilievo che dovessero considerarsi tutti i crediti iscritti a ruolo a cui si riferisce l’iscrizione ipotecaria (nel caso di specie per l’importo complessivo di Euro 43.700,28), senza alcuna distinzione tra crediti di natura previdenziale, tributaria o di altra natura;

6. avverso tale sentenza G.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate Riscossione è rimasta intimata;

7. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Motivi della decisione
Che:

8. col primo motivo di ricorso G.R. ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto per illegittimità della notifica diretta dell’agente di riscossione ed illegittima assenza della relata di notifica;

9. ha richiamato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 comma 1, D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 193 del 2001, art. 1, comma 1, lett. c), sostenendo come a far data dall’1.7.1999 l’esattore non fosse più abilitato alla notifica mediante invio diretto della lettera raccomandata con avviso di ricevimento;

10. col secondo motivo di ricorso il G. ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata applicazione dell’art. 7, L. n. 212 del 2000 per mancato rilievo del vizio di allegazione degli atti tributari richiamati per relationem;

11. col terzo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2; ha sostenuto che la mancata indicazione del procedimento di computo degli interessi e delle singole aliquote su base annuale rendesse nulla la cartella esattoriale e gli atti equiparati, tra cui l’iscrizione ipotecaria;

12. col quarto motivo di ricorso il G. ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, errata applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973,artt. 76 e 77; ha affermato che l’iscrizione ipotecaria, in quanto strumento preordinato all’esecuzione forzata, soggiace ai limiti stabiliti per quest’ultima dall’art. 76 cit. e dunque non può essere iscritta se l’importo del credito non consente di procedere all’espropriazione;

13. il primo motivo è inammissibile;

14. costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a cui si intende dare continuità, quello in forza del quale “In tema di riscossione di contributi previdenziali, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, penultimo comma, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (Cass. n. 19270/18; sez. 6 n. 8423/19; cfr. anche Cass. n. 14834/17 e n. 14327/09 relativa a cartella esattoriale emessa per la riscossione di sanzioni amministrative; Cass. n. 29710/18; n. 17248/17; n. 6395/14 in tema di riscossione delle imposte);

15. neppure il secondo motivo può trovare accoglimento; questa Corte ha già affermato (cfr. Cass. sez. 6 n. 8423/19; cfr. anche Cass. n. 22018/17 con riferimento al fermo amministrativo) che il preavviso di iscrizione ipotecaria emesso sulla base di cartelle di pagamento relative a crediti per contributi previdenziali è correttamente motivato mediante il richiamo agli atti presupposti, che, in quanto già destinati alla stessa parte, sono da questa conosciuti o conoscibili e non necessitano perciò di allegazione all’atto impugnato;

16. anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto costituisce indirizzo consolidato di questa Corte quello secondo cui le questioni sul merito della pretesa contributiva, tra cui rientrano i criteri di calcolo degli interessi, devono farsi valere in sede di opposizione D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 24 (cfr. Cass. n. 25757/08; n. 25208/09);

17. il quarto motivo è infondato;

18. questa Corte ha statuito che in tema d’iscrizione ipotecaria relativa a debiti tributari, ai fini del raggiungimento della soglia minima di ottomila Euro, prevista dal D.P.R. n. 602 del 1972, artt. 76 e 77 (nella formulazione “ratione temporis” vigente), è necessario considerare tutti i crediti iscritti a ruolo, anche quelli non tributari, e specificamente quelli previdenziali (cfr. Cass. n. 18550/17; n. 20055/15; n. 2190/14); deve quindi escludersi la violazione del citato art. 77, tenuto conto dell’importo del credito complessivo per cui è stata iscritta l’ipoteca (Euro 43.700,28);

19. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

20. non luogo a provvedere sulle spese posto che l’Agenzia delle entrate Riscossione è rimasta intimata;

21. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020